Geotermia

DRAGHI VOLA IN ALGERIA E GUARDA ALL’AFRICA PER FARE A MENO DEL GAS RUSSO

Il premier italiano è ad Algeri insieme a Luigi di Maio e Roberto Cingolani, sul tavolo un accordo per aumentare di 9 miliardi le forniture. Ad aprile sono attese le visite in Mozambico, Congo e Angola.

Oggi Mario Draghi è ad Algeri, accompagnato da Luigi di Maio e Roberto Cingolani, per incontrare il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. Sul tavolo c’è un accordo per il potenziamento delle forniture dal paese africano all’Italia per 9-10 miliardi di metri cubi di gas, volumi che sono pari a circa il 30 per cento del gas naturale che oggi Roma compra dalla Russia.

L’infrastruttura che dovrebbe portare in Italia questo gas è il gasdotto Transmed, che via Tunisia passa per il canale di Sicilia e arriva a Mazara del Vallo. Con gli attuali 21 miliardi di metri cubi, l’Algeria è il secondo fornitore italiano, ma grazie al potenziamento diventerebbe il primo. Già il 3 aprile Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, si era recato in Algeria per incontrare il primo ministro Aymen Benabderrahmane e il ministro dell’Energia Mohamed Arkab. In seconda battuta aveva incontrato l’amministratore dell’azienda petrolifera di stato Sonatrach, Toufik Hakkar.

La tappa algerina per l’indipendenza energetica è fondamentale perchè i benefici si potrebbero vedere a breve termine. Anzi, brevissimo. Già dal prossimo inverno, secondo Descalzi, le forniture potrebbero toccare i 30 miliardi di metri cubi. Per fare un confronto, prima di mettere a frutto i giacimenti nazionali Cassiopea e Argo nel canale di Sicilia bisognerà aspettare il 2024 e i metri cubi all’anno saranno “appena” 2,2 miliardi – lungaggini burocratiche permettendo. Dall’Algeria, poi, il percorso del premier e dei rappresentanti del governo prosegue a sud, oltre il Sahara. Già il 12 marzo Di Maio, con Descalzi al seguito, aveva visitato il Congo e l’Angola per mettere in cantiere degli accordi analoghi. Adesso anche Draghi dovrebbe visitare questi paesi entro la fine di aprile, con l’aggiunta del Mozambico

Appena un mese fa Eni aveva annunciato la scoperta di un giacimento di gas e petrolio nel deserto algerino, il cui sfruttamento avverrà in maniera congiunta con la Sonatrach. Le due aziende sono già legate da un contratto da un miliardo e mezzo di dollari per la cooperazione nel bacino del Berkine, nella parte orientale del paese. Le attività del cane a sei zampe in Africa hanno visto un cambio di passo a partire dal 2014, quando le tensioni con Mosca hanno spinto l’azienda a guardare altrove. A partire dal continente dove mosse i primi passi fuori dal territorio nazionale nel ’54. A sud del Sahara gli hub principali sono proprio il Congo (131 mila boe-barili equivalenti di petrolio al giorno), l’Angola (123 mila boe al giorno), la Nigeria e il Mozambico. Qui la presenza di Eni è recente, ma dal 2006, data di acquisizione del primo blocco offshore, è aumentata costantemente. L’attività estrattiva di Eni in Africa è strategica al punto che, per garantire la sicurezza delle sue infrastrutture nella regione la compagnia petrolifera ha sottoscritto un protocollo di intesa con la Marina militare italiana nel 2021.

La necessaria diversificazione energetica per mettersi al riparo dai “ricatti russi” del gas – come li ha definiti ieri Luigi di Maio, provocando la reazione della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova – deve fare i conti con altri fattori. Secondo il rating Sovereign Transfer and Arbitrary Risk, stilato dal gruppo Atradius, i paesi che Draghi visiterà nei prossimi giorni rientrano in fasce di rischio comprese fra alto-moderato (Algeria) e alto/molto alto (Angola, Mozambico e Congo). A dimostrarlo è stato l’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio nel 2021 a Goma e i violentissimi disordini (e relativa repressione) nella capitale dell’Angola, Luanda, nell’ultimo anno. 

L’Algeria è un caso a sé. Qui l’Italia può sfruttare le recenti tensioni con la Spagna, occorse quando il premier Pedro Sánchez ha abbandonato la consueta posizione di neutralità di Madrid sulla questione del Sahara occidentale, schierandosi a sostegno del Marocco, che ha rapporti complicati con Algeri. La Sonatrach ha deciso di rivedere al rialzo il prezzo di vendita del gas al paese iberico, con la possibilità di dirottare parte delle forniture altrove, dunque in Italia. D’altra parte ci sono elementi che potrebbero rendere più complessi i rapporti con Algeri. In primo luogo, negli anni scorsi i due paesi hanno avuto alcuni attriti a proposito della zona economica esclusiva che Algeri ha disegnato nel 2018 e che lambisce le coste della Sardegna. Nel 2019, 90 aziende ittiche avevano contestato la mossa dell’Algeria, spingendo l’allora governo italiano a depositare una protesta presso le Nazioni unite (poi caduta nel vuoto). C’è poi un altro tema che è quello della affidabilità del governo algerino, che ha da sempre canali diplomatici aperti con la Russia.

Grande punto interrogativo è quanto Mosca farà valere la sua influenza sul continente africano. Oltre alla storica cooperazione con Algeri, specie nel settore della Difesa, nessuno dei paesi in questione si è espresso positivamente sulla sospensione della Federazione russa dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Tutti astenuti, come anche il Qatar e l’Azerbaijan che dovrebbero completare la strategia di diversificazione energetica italia.

https://www.ilfoglio.it/esteri/2022/04/11/news/draghi-vola-in-algeria-e-guarda-all-africa-per-fare-a-meno-del-gas-russo-3897820/

“Invece di pensare a come rendere l’#Italia indipendente dalle #energienonrinnovabili entro 2 anni non 4, come dice il Ministro della #TransizioneEcologica #Cingolani, sfruttando il #geotermico a casa nostra, si pensa ancora a forniture esterne di #gas!” #AlessioBrancaccio

“Instead of thinking about how to make #Italy independent from #norenewableenergies within 2 years not 4, as the #Cingolani #EcologicalTransition Minister says, using #geothermal in our home, we are still thinking about external #gas supplies!” #AlessioBrancaccio

Transizione energetica. Perché l’Italia non investe sulla geotermia

Siamo stati tra i leader mondiali nella produzione di elettricità dal calore della terra. Ma è un sistema complesso, lo Stato non lo appoggia più e ci stiamo perdendo questa opportunità

“Inside the Tower”, scatto di Fabio Sartori all’interno di una torre di raffreddamento della centrale geotermica “Sasso 2” di Enel Green Power – Fabio Sartori

Quando si parla di rinnovabili, almeno in Italia, la geotermia – cioè lo sfruttamento del calore terrestre per produrre energia elettrica o termica – appare ancora piuttosto trascurata. Tra i non addetti ai lavori è praticamente sconosciuta o quasi, specie rispetto ad altri paesi europei con potenziale simile al nostro. Ma se ne discute poco anche in ambito di politiche energetiche nazionali. Eppure avrebbe considerevoli margini di sviluppo, anche solo per le caratteristiche geologiche di diverse aree del nostro territorio, adatte a questo tipo di impianti ma non ancora sfruttate a dovere.

I dati di consumo interno lordo di energia elettrica forniti da Terna (gli ultimi disponibili sul portale dell’azienda risalgono al 2019), sono eloquenti: a fronte di una crescita generale dell’utilizzo delle rinnovabili pari al 1,3% rispetto all’anno precedente, la geotermia ha registrato un calo dello 0,5%. Mentre l’eolico, il fotovoltaico e la bioenergia, sono tutti aumentati.

Per quanto riguarda la produzione invece, e stando ai numeri raccolti dall’Unione geotermica italiana, il contributo della geotermia al totale generato rispetto alle altre rinnovabili è pari al 3,5%, 5,4% se parliamo di produzione elettrica e 2% per quella termica. Ciononostante «l’Italia ha delle risorse straordinarie, in Toscana soprattutto, ma in tutta la zona tirrenica. Fino a non molti anni fa era al quarto posto nella produzione mondiale, ma è rimasta ferma e ora è calata all’ottavo – spiega Adele Manzella, presidente dell’Unione geotermica italiana (Ugi) e prima ricercatrice al Cnr –. Non dimentichiamo che il nostro Paese ha inventato il settore geotermoelettrico e fino alla seconda guerra mondiale eravamo gli unici a produrre energia in questo modo. Come competenze e risorse, quindi, saremmo all’avanguardia. Abbiamo una filiera industriale considerevole dedicata alla geotermia che però adesso lavora quasi sempre fuori. Non c’è uno sviluppo e non per mancanza di capacità, ma perché i progetti sono tutti fermi».


«Come competenze e risorse, saremmo all’avanguardia. Abbiamo una
filiera industriale considerevole dedicata alla geotermia che però
adesso lavora quasi sempre fuori. Non c’è uno sviluppo e non per
mancanza di capacità, ma perché i progetti sono tutti fermi»


In Italia, come detto, l’utilizzo più noto della geotermia è la produzione elettrica, ma occupa uno spazio importante anche l’applicazione termica. Il calore terrestre è estratto e utilizzato soprattutto per la climatizzazione di ambienti, che da sola copre il 52% della produzione nazionale, mentre un altro 32% è destinato alla balneoterapia o a uso termale. Vengono poi l’acquacoltura, l’agricoltura (in particolare per le serre) e altre applicazioni industriali.

Ma quali sono gli svantaggi che rendono così difficile la diffusione della geotermia? Innanzi tutto i costi iniziali: «La geotermia ha il grande problema di richiedere la perforazione di pozzi. Un processo molto oneroso che però viene recuperato dal costo generato durante il ciclo di vita degli impianti – continua Manzella – paragonabile e in alcuni casi inferiore a quello di altre energie. E questo vale sia per la produzione elettrica sia per gli usi termici. Senza contare che la geotermia può andare in produzione con continuità e la resa non dipende da fattori climatici, come la presenza di sole o vento. Un impianto geotermico produce sempre, 24 ore su 24».

A complicare le cose c’è però anche un certo grado di rischio, perché non si può essere certi delle caratteristiche della risorsa che si intende utilizzare prima di arrivarci e si potrebbe aver sovrastimato la resa. Inoltre perforare è un lavoro complesso e può avere importanti impatti ambientali.

Le torri della centrale geotermica di Larderello viste da lontano – CC Birgit Juel Martinsen

Lo Stato non aiuta, non più almeno e per il settore non ci sono più incentivi. La geotermia è stata sostenuta al pari delle altre rinnovabili fino al 2018 (con l’eccezione del fotovoltaico che è stato spinto decisamente di più delle altre). Poi è arrivata la prima grande esclusione con il Fer 1 (il decreto sulle rinnovabili). «Attualmente ancora non si vede la luce del Fer2 in cui, in diversi occasioni, si è detto che assieme alle altre tecnologie innovative e sostenibili sarebbe rientrata anche la geotermia – ragiona ancora la presidente dell’Ugi –. Ma al momento non c’è alcun sostegno incentivante, almeno non per gli impianti destinati alla produzione elettrica. Per il termico ci sarebbero alcuni strumenti di sostegno, ma non sono specifici per la geotermia. Quello che manca, insomma, è il riconoscimento delle sue peculiarità e un sistema di aiuti soprattutto nella fase iniziale. Perché una volta che sono avviati i progetti si tengono perfettamente in piedi in modo autonomo».

Ad aggravare la situazione c’è anche l’esiguo numero di professionisti con le competenze necessarie: «Mancano le condizioni per la crescita – conclude la ricercatrice –. Fondamentalmente parliamo di tecnologie poco conosciute e che richiedono professionalità specifiche. Basti pensare al fatto che un’esco interessata a un’installazione, oltre ad ingegneri e impiantisti, avrebbe bisogno anche di un geologo. Quindi servirebbero anche misure che favoriscano l’acquisizione delle competenze necessarie e facciano conoscere un po’ di più il settore».

https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/geotermia-italia

Geotermia e rinnovabili: perché sostenere la fonte più antica d’Italia

L’Italia è la culla della geotermia, fonte rinnovabile storica che può crescere molto. Ma è trascurata. Ecco cosa serve per il suo sviluppo: lo spiega la presidente UGI Adele Manzella

A cura di: Andrea Ballocchi

La geotermia rischia di rimanere sullo sfondo della politica energetica italiana. Peccato, perché il nostro Paese vanta una storia esemplare per quanto riguarda questa fonte parte integrante delle rinnovabili.

È dall’inizio del XX secolo che il Belpaese sfrutta il calore della Terra per produrre energia elettrica. Il primo impianto geotermico al mondo è stato costruito in Italia. Vanta una conoscenza tecnologica notevole: per esempio, nel 2016 è stato avviato in Toscana il primo impianto al mondo che unisce due fonti rinnovabili, ovvero geotermia e biomasse.

Diverse città contano molto sull’apporto geotermico: senza citare le città toscane dell’area storica, Ferrara conta sull’energia distribuita dalla rete di teleriscaldamento cittadina, che per più del 40% è prodotta dall’impianto geotermico locale.

«Ancora oggi l’energia geotermica italiana, per produzione elettrica è al settimo posto mondiale dei Paesi produttori – malgrado non molti anni fa eravamo quarti – e nei primi venti per uso termico. Ma nella realtà italiana, il contributo è assai limitato, stante la grande richiesta di energia nazionale», afferma Adele Manzella presidente Unione Geotermica Italiana (UGI) e Primo Ricercatore al CNR.

Adele Manzella

Geotermia e rinnovabili: il peso della fonte energetica nel mix green

Con geotermia vengono comprese molte applicazioni che fanno capo alla produzione elettrica e termica. A livello nazionale il consumo da produzione geotermica rappresenta circa il 3,5% del mix totale da rinnovabili, incidendo per il 5,4% per la produzione elettrica e per il 2% di termica.

Rispetto al consumo totale lordo italiano di energia, la geotermia conta solo lo 0,62%. «Purtroppo, anziché aumentare diminuisce», sottolinea Manzella.

È paradossale che in Italia, patria natale della geotermia, una delle fonti rinnovabili più antiche sia trascurata. Quando invece si pensa a centrare obiettivi sempre più ambiziosi al 2030 in tema di produzione energetica rinnovabile. Come pensiamo di raggiungerli, puntando alla transizione energetica, tralasciando la risorsa geotermica?

Presidente Manzella, quali potenzialità ha la geotermia italiana?

La geotermia ha delle potenzialità di sviluppo notevoli e di gran lunga superiori a molti Paesi, soprattutto per gli usi termici. Il problema, anzi uno dei tanti, è che manca una valutazione puntuale del potenziale geotermico. Dalla stima fatta da UGI, possiamo sicuramente affermare che oggi in Italia è possibile produrre 10 volte di più della quota attuale.

Il nostro Paese ha una geologia particolarmente favorevole all’accumulo di acque calde nel sottosuolo a profondità relativamente basse. Questo è un fattore positivo, tanto che in teoria potremmo decuplicare ulteriormente questa stima, per lo più grazie alla geotermia ad alta entalpia, ideale tanto per la produzione elettrica sia per il teleriscaldamento. Va inoltre considerato il valore delle pompe di calore geotermiche, che sfruttano la differenza di temperatura ambiente e sotterranea: anche se difficilmente quantificabile, è molto interessante questa tecnologia e andrebbe sfruttata maggiormente come fonte di energia termica, tra l’altro contando sulla loro maggiore efficienza rispetto alle pompe di calore tradizionali.

Quali sono i fattori che ostacolano lo sviluppo della geotermia tra le rinnovabili italiane?

Sono diversi, alcuni dei quali ricollegabili alla poca conoscenza delle tecnologie geotermiche. Innanzitutto, permangono molti veti alle autorizzazioni agli impianti. Negli ultimi dieci anni sono stati richiesti più di 100 permessi: a oggi non c’è ancora il benestare su nessuno di questi per procedere allo scavo di un pozzo. Gli impianti attualmente in funzione sono ancora frutto delle concessioni della geotermia storica, ovvero quelli di Enel nelle zone di Larderello e del monte Amiata. Lascio immaginare quanto sia oggi elevato l’indice di recessione dal proposito di andare avanti da parte degli operatori che hanno fatto richiesta.

Anche coloro che hanno ottenuto le autorizzazioni tecniche a procedere si scontrano poi con la mancanza di benestare provenienti o dalla regione di riferimento o dalla sovrintendenza, malgrado spesso non sussistano criteri oggettivi. In poche parole, è troppo facile opporre un veto. Il problema è che spesso non c’è accettabilità verso queste e altre infrastrutture. Tuttavia in geotermia ad aggravare la situazione e il pregiudizio c’è anche la questione della perforazione dei pozzi, quando sono profondi. Sono spesso visti con timore malgrado in Italia esistano impianti pienamente attivi da oltre un secolo. Da più di cinquant’anni la produzione è intensa e malgrado questo non sono stati segnalati terremoti o problemi ambientali irrisolti.

Su cosa si basano i timori che bloccano di fatto diverse opere geotermiche?

Chi accusa la geotermia lo fa sulla base di sporadici episodi avvenuti in altre epoche e risolti completamente o riferiti ad altri contesti e tecnologie. Questo quadro ha portato la geotermia a non ricevere autorizzazioni per impianti di geotermia a media ed alta entalpia e a non godere più degli incentivi per la produzione elettrica. Rispetto alle altre fonti rinnovabili, la fonte geotermica e idroelettrica sono quelle che hanno beneficiato meno di sussidi.

Tra l’altro, la geotermia ha un costo di produzione complessivo (LCoE) più basso rispetto ad altre fonti rinnovabili, garantito da contenuti costi di sistema, a fronte di più elevati costi di esplorazione e di installazione: extra-rete elettrica, stoccaggio ecc. e dal valore aggiunto di un output elettrico sicuro e costante.

A proposito del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, quali aspettative avete come UGI?

La geotermia, a differenza di fotovoltaico ed eolico, non è una fonte energetica rinnovabile intermittente: infatti, produce 24 ore su 24. Inoltre è indipendente dalle condizioni atmosferiche. Quindi è di per sé una fonte energetica dotata di resilienza rispetto ai cambiamenti climatici e alle necessità variabili del fabbisogno energetico. Ma a differenza di altre rinnovabili, richiede diversi anni prima di poter realizzare una grande centrale. A parte i tempi lunghissimi per l’autorizzazione, per la realizzazione dei pozzi e la costruzione della centrale trascorrono anche tre anni.

D’altro canto la geotermia ha necessità di finanziamenti più alti all’inizio del progetto, proprio per questo maggiore costo iniziale.

L’Italia non ha mai tenuto conto di queste peculiarità nel sostenere questa fonte: i piccoli operatori fanno fatica in queste condizioni, con politiche incentivanti che, quando ci sono state, non hanno mai offerto garanzie di stabilità o hanno avuto caratteristiche poco premianti per il geotermico.

Per questo, ci auspichiamo che il PNRR tenga in debita considerazione anche la geotermia, ma occorre essere realistici. Non ci si può aspettare che in 7 anni si raggiungano 150 MW installati dai progetti geotermoelettrici già proposti, ma speriamo di vedere partire almeno 50 MW e soprattutto di vedere dei dimostratori di tecnologie sostenibili. Sul fabbisogno termico nazionale, il geotermico può contribuire molto, ma nei piani non c’è distinzione tra modalità di pompe di calore. Quelle geotermiche sono più efficienti e vanno sostenute in una programmazione di medio e lungo periodo. A questo riguardo, lo stesso Superbonus 110% può aiutare molto l’implementazione di queste soluzioni. Ma non si sa quanto durerà e se sarà prolungato.

Cosa può dire sul teleriscaldamento geotermico?

È una tecnologia interessante su cui in Europa si sta investendo molto specie in aree urbane. Spero che il governo decida di crederci, anche perché questo sistema in città è molto efficiente e oltretutto permette il riscaldamento e il raffrescamento.

IL PNRR potrebbe essere un volano per lo sviluppo delle reti di distribuzione, a cui poi affiancare tecnologie mature e di comprovata efficacia.

A proposito di ricerca sulla geotermia, quella svolta in Italia che peculiarità ha?

La ricerca sviluppata a livello nazionale sulla geotermia è basata essenzialmente con finanziamenti europei o mediante attività di ricerca industriali. Questa fonte rinnovabile può contare su una filiera industriale molto consolidata in Italia, ma si sta progressivamente disperdendo per vari motivi. Anche in questo caso stiamo perdendo un primato. Non ci sono fondi pubblici per la geotermia.

Grazie ai finanziamenti UE ci dedichiamo alla esplorazione delle risorse, ma anche a nuovi modi per il loro impiego. C’è una grande attenzione alle implicazioni ambientali e di sostenibilità.

Cosa serve quindi perché si affermi la geotermia in Italia? 

Occorrono incentivi innanzitutto, in quantità e mirati per specificità tecnologiche. Servono, ma stabili e sul lungo periodo.

Serve, inoltre, lo sblocco dei decreti da tempo fermi da anni: uno è il FER 2, visto che nel FER 1 geotermia non è stata considerata incentivabile in quanto definita “matura”. Questo criterio non è considerato nel nuovo decreto in quanto disciplinerà gli incentivi alle rinnovabili innovative.

L’altro decreto, fermo anch’esso da anni senza alcuna motivazione logica, è il cosiddetto “posa sonde” ovvero il D.lgs. 28/2011. Entro tre mesi dalla sua entrata in vigore, doveva essere approvato un decreto ministeriale per regolare la posa in opera delle sonde geotermiche e le procedure abilitative. Senza l’ok, non solo c’è una difformità nelle procedure autorizzative, ma mancano dati sugli impianti in Italia.

Servono anche iter autorizzativi più snelli. Personalmente sto lavorando a un progetto UE a documenti per curare gli aspetti ambientali della geotermia su cui circolano informazioni errate e incontrollabili.

Occorre mettere in evidenza che non c’è una fonte rinnovabile migliore delle altre, ma tutte possono concorrere al raggiungimento della transizione energetica e degli obiettivi 2030.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila