Ecologia

PERCHE’ GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI INQUINANO?

Roberta Favazzo 25 Ottobre 2023 16:00

Gli allevamenti intensivi inquinano principalmente a causa delle elevate densità di animali, che generano grandi quantità di deiezioni contenenti metano e ammoniaca. La produzione di mangimi richiede vasti terreni e risorse e per questo porta alla deforestazione e all’uso eccessivo di acqua e fertilizzanti. Inoltre, il trasporto di animali e prodotti animali comporta emissioni di carbonio. Tutto ciò contribuisce negativamente all’impatto ambientale sull’aria, l’acqua e il suolo.

https://www.greenstyle.it/perche-allevamenti-intensivi-inquinano-409113.html

Indice

  1. Cosa sono gli allevamenti intensivi?
  2. Perché gli allevamenti intensivi inquinano?
  3. Quanto inquinano gli allevamenti intensivi?

Gli allevamenti intensivi svolgono un ruolo cruciale nell’approvvigionamento di carne, latte e uova in tutto il mondo per soddisfare la crescente domanda alimentare della popolazione globale. Ma non sono privi di “effetti collaterali”: oltre che l’estrema sofferenza e le pessime condizioni nelle quali gli animali sono costretti a vivere, c’è anche la devastante conseguenza dell’impatto ambientale che esercitano. In questo articolo approfondiamo come e perché gli allevamenti intensivi inquinano e perché il loro impatto è rilevante per il cambiamento climatico.

Cosa sono gli allevamenti intensivi?

Prima di entrare nel vivo della questione, è bene approfondire in cosa consistono. Gli allevamenti intensivi costituiscono un metodo di produzione agricola che si caratterizza per l’alta densità di animali o coltivazioni all’interno di uno spazio relativamente ristretto. Si tratta di approccio sviluppato per massimizzare la produzione di prodotti animali, di origine animale o agricoli in genere riducendo al minimo i costi operativi e aumentando l’efficienza.

Proprio per tali caratteristiche, ad essi sono legate sempre più crescenti preoccupazioni relative, oltre al benessere animale e all’impatto ambientale, anche alla salute pubblica. Le condizioni stressanti nelle quali sono mantenuti gli animali possono portare a problemi di salute, e l’uso massiccio degli antibiotici può contribuire alla diffusione di batteri resistenti a questi ultimi. Vediamo come influisce negativamente l’allevamento intensivo sull’ambiente.

Perché gli allevamenti intensivi inquinano?

Cosa provocano gli allevamenti intensivi? Tale modello di produzione comporta una serie di impatti ambientali negativi, ad iniziare dal consumo di risorse idriche. Gli animali richiedono notevoli quantità di acqua per l’abbeveraggio e la pulizia dei locali. Inoltre, producono enormi quantità di rifiuti organici, che spesso finiscono per contaminare le risorse idriche sotterranee e superficiali danneggiando di fatto gli ecosistemi acquatici e minacciando la qualità dell’acqua per l’uso umano.

Non solo: la sempre più massiccia richiesta di terreni per l’allevamento ha portato alla deforestazione di vaste aree di foresta pluviale, causando la perdita di biodiversità e la liberazione di grandi quantità di carbonio nell’atmosfera. Infine, l’emissione di gas nocivi come ammoniaca e metano nell’atmosfera (il sistema digestivo degli animali li produce durante la digestione) contribuiscono all’inquinamento dell’aria.

Quanto inquinano gli allevamenti intensivi?

Quando si valuta l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi, sono numerosi i fattori che bisogna tenere in conto e che vanno ben oltre le sole emissioni generate all’interno delle strutture destinate all’allevamento. Questi includono anche la coltivazione e la produzione di mangimi per il bestiame, che a loro volta richiedono terreni agricoli, acqua, fertilizzanti e pesticidi. Processi che portano inevitabilmente a emissioni di gas serra, alla perdita di biodiversità e alla degradazione del suolo. Da non sottovalutare la deforestazione, che contribuisce alle emissioni di carbonio dovute alla perdita di copertura forestale. C’è anche il trasporto degli animali tra le diverse fasi della catena alimentare, che comporta emissioni legate all’uso di veicoli a motore e alla logistica associata. Così come le loro deiezioni, altamente inquinanti, ricche di azoto, fosforo e potassio.

Il settore agricolo, l’allevamento in maniera particolare, sono i principali emettitori di ammoniaca e metano in Europa. Ecco qualche dato in merito alle percentuali riportato sul sito della FAO:

  • Le emissioni totali derivanti dal bestiame a livello globale sarebbero pari a 7,1 gigatonnellate di CO2 equivalenti all’anno, ovvero il 14,5% di tutte le emissioni di gas serra di origine antropica.
  • La produzione e la lavorazione dei mangimi (il 45% delle emissioni totali) e la fermentazione enterica dei ruminanti (39%) sono le due principali fonti di emissioni.
  • Il consumo di combustibili fossili lungo le catene di approvvigionamento rappresenta circa il 20% delle emissioni del settore zootecnico.
  • Le intensità delle emissioni variano da prodotto a prodotto. I valori più elevati riguardano la carne bovina, seguita dalla carne e dal latte di piccoli ruminanti. Intensità di emissione medie globali minori sono quelle determinate dal latte vaccino, dai prodotti a base di pollo e carne di maiale
  • Infine, il 44% circa delle emissioni del bestiame sono sotto forma di metano (CH4). Seguono protossido di azoto (N2O, 29%) e anidride carbonica (CO2, 27%).
https://attivati.greenpeace.it/petizioni/stop-allevamenti-intensivi/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus

BRUTTE NOTIZIE PER IL PIANETA: 21 SPECIE ANIMALI SONO STATE UFFICIALMENTE DICHIARATE ESTINTE

Una delle otto specie di rari uccelli hawaiani estinti
https://tecnologia.libero.it/brutte-notizie-pianeta-21-specie-ufficialmente-dichiarate-estinte-77793

Brutte notizie per la biodiversità del nostro Pianeta: ben 21 specie sono state dichiarate ufficialmente estinte e non possiamo più fare nulla per loro.

20 Ottobre 2023

Nicoletta Fersini GIORNALISTA PUBBLICISTA E WEB CONTENT EDITOR

Il Pianeta sta cambiando e a farne le spese sono prima di tutto gli animali. Il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti si occupa da ben 50 anni di salvaguardare le specie degli Stati Uniti considerate in pericolo ha fornito dei dati preoccupanti. Sulla base di analisi e studi rigorosi e seguendo dei criteri ben precisi, 21 specie sono state ufficialmente cancellate dall’elenco dell’ESA – Endangered Species Act. E ciò significa soltanto una cosa: non sono più da considerare in via di estinzione, ma ufficialmente estinte.

Quali sono le 21 specie dichiarate ufficialmente estinte

Nonostante l’impegno e le attività connesse all’ESA, ovvero l’Endangered Species Act, legge federale che dal 1973 obbliga i governi federali e statali a proteggere le specie a rischio di estinzione, per 21 di queste non c’è stato nulla da fare. A comunicarlo è stato il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti che opera per conservare, proteggere e migliorare i pesci, la fauna selvatica, le piante e i loro habitat.

“Per stabilire se le migliori informazioni disponibili indicano che una specie è estinta, abbiamo analizzato i seguenti criteri: rilevabilità della specie, adeguatezza degli sforzi di indagine e tempo trascorso dall’ultima rilevazione”, così ha spiegato attraverso quali criteri abbia deciso di “declassare” gli animali in questione da “specie in via di estinzione” a “specie estinte”.

Le 21 specie di cui si parla sono:

  • Otto varietà distinte di uccelli rampicanti hawaiani;
  • L’uccello imbrigliato dagli occhi bianchi di Guam;
  • Il piccolo pipistrello della frutta delle Marianne (detto anche volpe di Guam);
  • La gambusia di San Marcos, un minuscolo pesce originario del Texas;
  • Lo Scioto madtom, un piccolo pesce gatto che si trovava nel Big Darby Creek in Ohio;
  • L’usignolo di Bachman, un melodico uccello canoro nero e giallo avvistato nel sud e a Cuba;
  • Otto varietà di cozze d’acqua dolce.

Purtroppo era un destino scritto da diverso tempo. Già nel 2021 era stata avanzata la proposta di eliminare queste 21 specie dall’elenco di quelle in via di estinzione, sulla scia di un fatto inequivocabile: nessuna di esse è mai più stata avvistata già da diversi periodi, che coprono un arco temporale che spazia dal 1899 al 2004.

L’impatto dell’attività umana sul declino e l’estinzione delle specie

Il Fish and Wildlife Service ha sottolineato quanto sia importante l’ESA e con esso gli sforzi per conservare le specie prima che il declino diventi irreversibile, ma ha anche evidenziato quanto sia determinante l’attività umana sulla salvaguardia di esse. “Le circostanze di ciascuna di esse sottolineano anche come l’attività umana possa guidare il declino e l’estinzione delle specie, contribuendo alla perdita dell’habitat, all’uso eccessivo e all’introduzione di specie invasive e malattie – si legge in un comunicato del 2021 -. Si prevede che i crescenti impatti dei cambiamenti climatici aggraveranno ulteriormente queste minacce e le loro interazioni. (…) Quasi 3 miliardi di uccelli sono stati persi in Nord America dal 1970. Queste estinzioni evidenziano la necessità di agire per prevenire ulteriori perdite”.

I fattori che hanno contribuito all’estinzione di queste ultime 21 specie, così come delle altre 650 che si contano negli Stati Uniti negli ultimi anni, sono molteplici: l’impatto del cambiamento climatico, l’inquinamento, l’introduzione di specie invasive, la deforestazione. Proprio a causa di quest’ultima, tanto per fare un esempio, sono scomparse otto specie di uccelli rampicanti hawaiani, privati del loro habitat naturale, situazione aggravata ulteriormente dall’arrivo di alcune specie di zanzare alloctone che hanno trasmesso loro il vaiolo e la malaria aviarie.

Se non vengono compiuti urgentemente sforzi concertati per proteggere le specie attualmente minacciate e in via di estinzione, molte altre potrebbero presto andare perdute perdute per sempre e a farne le spese sarebbe la biodiversità del nostro Pianeta.

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Fonte: Libero Tecnologia

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

I GRANCHI PELOSI CINESI STANNO INVADENDO IL REGNO UNITO: SONO GRANDI COME PIATTI E PIZZICANO CHIUNQUE SI AVVICINI TROPPO

Granchio peloso cinese, una specie aliena sta invadendo il Regno Unito
https://www.lastampa.it/la-zampa/2023/10/12/news/granchi_cinesi_invadono_regno_unito_mordono_cimici_letti-417539050/

di Daniela Borghi 12 Ottobre 2023 Aggiornato alle 16:34

Mentre Parigi è alle prese con una vera e propria invasione quella delle “punaises de lit“, le cimici dei letti, e l’Italia cerca una soluzione per il granchio blu, il Regno Unito sta affrontando l’emergenza dei granchi pelosi cinesi. Questi crostacei sono stati avvistati lungo i corsi d’acqua nel Cambridgeshire, compresi luoghi come una diga a Whittlesea e il Nene Park a Peterborough. 

Grandi come un piatto e aggressivi: ecco i granchi pelosi cinesi

I granchi pelosi cinesi stanno creando problemi significativi, come scrive il Daily Mail: erodono le sponde dei fiumi scavando all’interno e danneggiano anche l’industria della pesca nutrendosi di pesci e rovinando le reti. Questi granchi sono tra le 30 specie non autoctone classificate come preoccupanti a causa della loro invasività e capacità di stabilirsi in diverse nazioni in tutta Europa. Dal 2016, sono stati classificati come “ampiamente diffusi” in tutta la Gran Bretagna. La specie, che deve il nome ai suoi artigli pelosi (Eriocheir sinensis), si ritiene abbia viaggiato dalla Cina orientale all’Europa e al Nord America nei sedimenti trovati sul fondo delle cisterne di zavorra delle navi. Il Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali ha affermato che questi granchi si sono stabiliti nel Tamigi a Londra nel 1973 e da allora si sono diffusi ulteriormente.

Il Museo di Storia Naturale ha avvertito che i granchi invasivi potrebbero crescere fino alle dimensioni di un piatto piano. Ci sono stati avvistamenti di granchi pelosi cinesi in diverse parti della Gran Bretagna, compreso un parco reale a Londra. Andy Litchfield ha raccontato di aver visto un granchio mentre passeggiava con il suo cane a Bushy Park, a Sud-Ovest di Londra, definendo l’incontro come sorprendente. Ha persino girato un video in cui il granchio sollevava gli artigli in aria in modo difensivo.

Il Nene Park Trust ha informato di avvistamenti di granchi intorno a Orton Water a Peterborough e ha affermato che poiché i granchi si stanno diffondendo naturalmente attraverso i corsi d’acqua del Regno Unito, non c’è molto che possano fare per fermarli. Nonostante non costituiscano una minaccia per le persone o i cani, i granchi cinesi possono pizzicare se ci si avvicina troppo, quindi è consigliabile mantenerne le distanze. Il Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali ha invitato le persone a segnalare gli avvistamenti per monitorare il movimento delle uova di questi granchi e ha incoraggiato a scattare foto. È importante notare che nel Regno Unito non è prevista alcuna pesca legale per questa specie, e se un granchio peloso cinese viene catturato non può essere venduto vivo per il consumo umano.

Fonte: La Stampa

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

IDROGENO NELL’AREA EX-COTIR: “L’IMPIEGO NEL SETTORE NAUTICO RENDERA’ COMPETITIVO IL PORTO DI VASTO”

#Idrogeno nell’area ex #COTIR: “L’impiego nel settore nautico renderà competitivo il #porto di #Vasto#Vastoweb “In merito mi sentirò a breve per via telefonica con il Presidente di #TUAAbruzzo #GabrieleDeAngelis, ex-Sindaco di #Avezzano (AQ).”

https://x.com/bralex84/status/1709513597389295738

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IL MODELLO ECOLOGICO MALTHUSIANO CHE REGOLA IL RAPPORTO TRA PREDE E PREDATORI NEGLI ECOSISTEMI NATURALI: IL MODELLO DI LOTKA E VOLTERRA

Questo che vedete è il modello ecologico di #LotkaVolterra che esplica il rapporto #preda#predatore all’interno degli #ecosistemi naturali. Io sfido i #politici locali di oggi a chiedere loro se sono a conoscenza di questo modello: al 100% avrei sicuro risposte negative. https://x.com/bralex84/status/1708162165604069845

This is the #LotkaVolterra ecological model which explains the #prey#predator relationship within natural #ecosystems. I challenge today’s local #politicians to ask them if they are aware of this model: I would 100% certainly have negative answers. https://x.com/bralex84/status/1708162498396865015

Il #modelloecologico di #LotkaVolterra si studia all’#Università in #DinamicadellePopolazioni: è un modello matematico deterministico che segue un andamento malthusiano in base alla legge di #Malthus e porta a tre soluzioni, due #instabili ed una #stabile. https://x.com/bralex84/status/1708163863043023057

The #LotkaVolterra ecological model is studied at the #University in #PopulationsDynamic: it’s a deterministic mathematical model that follows a Malthusian trend based on #Malthus‘ law and leads to three solutions, two #unstable and one #stable. https://x.com/bralex84/status/1708164211514261900

#Università Studi #AlmaMaterStudiorum #Bologna #EmiliaRomagna, #Italia #DinamicadellePopolazioni, modelli deterministici di #LotkaVolterra Tesi di #SimoneArtioli, #Unibo

https://x.com/bralex84/status/1708164940199022678 https://amslaurea.unibo.it/21934/1/Tesi_Artioli_Simone.pdf

#AlessioBrancaccio playlist Youtube sul modello matematico malthusiano di interazione tra le #prede ed i #predatori negli #ecosistemi naturali: il modello ecologico di #LotkaVolterra #DinamicadellePopolazioni #AnalisideiSistemiEcologici #ASE

https://x.com/bralex84/status/1708237275631341625

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“UNA FORESTA PER AMARENA”, IL PROGETTO DI UNA COPPIA PESCARESE PER PIANTARE ALBERI DA FRUTTO A VILLALAGO

Alberi di mele, pere, ciliegie e cespugli di more e sorbo saranno acquistati e piantati per arricchire l’ecosistema del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con l’obiettivo di garantire la nutrizione degli orsi e di altre specie protette.

Eugenia Salvatore e Giovanni Casadei
https://www.ilpescara.it/green/life/foresta-amarena-progetto-piantumazione-alberi-frutto-a-villalago.html

Il ricordo dell’orsa Amarena non deve sbiadire, così come il suo “sacrificio” deve essere da monito per il futuro. Anche per tali ragioni merita attenzione l’iniziativa benefica “Una foresta per Amarena”, promossa da Giovanni Casadei ed Eugenia Salvatore, amministratori della pagina Facebook “Le montagne dell’orso”. Un progetto che la coppia pescarese, amante della natura e degli animali, sta organizzando sul territorio di Villalago insieme agli abitanti del posto.
Alberi di mele, pere, ciliegie e cespugli di more e sorbo saranno acquistati e piantati nei terreni concessi dal Comune di Villalago per arricchire l’ecosistema del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise: l’obiettivo è quello di garantire la nutrizione degli orsi e di altre specie protette presenti in quella zona. L’orsa Amarena era divenuta popolare ed era benvoluta dagli abitanti del posto. In seguito alla sua uccisione, i due promotori si sono subito dati da fare per creare un comitato che fosse in grado di salvaguardare i pochi esemplari di plantigradi rimasti nel parco: nel giro di pochi giorni, Giovanni ed Eugenia hanno attivato un gruppo Facebook per informare della loro iniziativa.
E oggi la community de “Le Montagne dell’Orso” ha già raccolto circa 1.500 iscritti, rivelandosi un successo. Un tam tam che si diffonde sempre più e che è arrivato anche sui banchi dell’amministrazione comunale di Villalago. Proprio il sindaco del piccolo centro montano, Fernando Gatta, ha voluto incontrare i due ragazzi e il comitato locale, sostenendoli nella messa a dimora degli arbusti con la partecipazione dell’associazione culturale “Antico borgo” che, tramite l’editore e scrittore Jacopo Lupi, delvolverà parte dei ricavati della vendita del libro “La favola di Amarena e dei suoi cuccioli” a sostegno dell’iniziativa.
Le nuove piantagioni da frutto verranno acquistate con il contributo spontaneo dei sostenitori. La raccolta fondi, come ci spiega Giovanni Casadei, avverrà tramite un numero IBAN; intanto è già stata individuata l’area selvatica dove in futuro verranno piantumati gli alberi da frutto. È prevista inoltre l’organizzazione di alcuni incontri con esperti naturalisti per sensibilizzare anche la popolazione civile riguardo a queste tematiche.

Fonte: Il Pescara

“Una #foresta per #Amarena“, il #progetto di una coppia pescarese per piantare #alberidafrutto a #Villalago nel #PNALM #IlPescara

https://x.com/bralex84/status/1708165841374630293

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

GORO, FERRARA: GRANCHIO BLU SPECIE ALIENA INVASIVA. LO STOP ALLA VENDITA E’ VICINO

Annarita Bova

https://www.lanuovaferrara.it/ferrara/cronaca/2023/09/24/news/granchio-blu-specie-invasiva-lo-stop-alla-vendita-e-vicino-1.100388959

Potrebbe ben presto finire nella lista delle specie esotiche: gli allevatori e i pescatori di Goro e Porto Garibaldi avevano appena cominciato a commercializzarlo

24 Settembre 2023

GORO, FERRARA Il granchio blu, il predatore crostaceo importato nei nostri mari dalle navi commerciali provenienti dagli USA, potrebbe ben presto finire nella lista delle specie esotiche invasive di interesse comunitario. Un bene? Nì. Perché questo vorrebbe dire immediato stop alla vendita del crostaceo. E per l’ennesima volta allevatori e pescatori si siedono sulle banchine dei porti scoraggiati e confusi.

#Granchioblu #speciealiena invasiva. Vicino lo stop alla vendita. #LaNuovaFerrara

https://x.com/bralex84/status/1706331437069119873

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

ORSI UCCISI E CONFINI RISTRETTI: IL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO NON E’ PIU’ UN MODELLO

di Corrado Zunino

L’orsa Amarena in una foto di Valerio Minato scattata il 30 giugno 2023 (Ansa)
https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/04/news/orsi_uccisi_e_confini_ristretti_parco_dabruzzo_non_e_piu_modello-413262446/

Sono 153 i marsicani bruni morti dal 1970, l’80 per cento per colpa dell’uomo. L’area resta in bilico tra protezione e sviluppo anti-ambientale. Il direttore Sammarone: “Dove è stata uccisa Amarena troppe catapecchie e pollai abusivi”

04 SETTEMBRE 2023 AGGIORNATO ALLE 16:51

ROMA – Lo sparo che ha bucato il polmone di Orsa Amarena ha lacerato la fama del modello Abruzzo, il Parco in armoniosa sintonia con la popolazione della Marsica. I cervi superstar sulle passeggiate di Villetta Barrea, i grifoni che volano a centinaia nei tramonti del Velino, sono stati reintrodotti trent’anni fa dopo essere scomparsi da tutto l’Appennino centrale. Quindi gli orsi bruni marsicani, che a partire da Amarena, la più bella, e i suoi due cuccioli avevano trovato nel Comune di Villalago, quattrocento abitanti poggiati sulle Gole del Sagittario, un luogo sicuro per scendere dal Monte Argatone… 

https://x.com/bralex84/status/1704503176848720344

Orsi uccisi e confini ristretti, il Parco d’Abruzzo non è più un modello

L’orsa Amarena ed i suoi cuccioli attraversano la strada il 30 Giugno 2023
https://www.informazione.it/a/F803F49F-ABEC-42A7-ACC0-200BB504E417/Orsi-uccisi-e-confini-ristretti-il-Parco-d-Abruzzo-non-e-piu-un-modello

04/09/2023

ROMA – Lo sparo che ha bucato il polmone di Orsa Amarena ha lacerato la fama del modello Abruzzo, il Parco in armoniosa sintonia con la popolazione della Marsica. I cervi superstar sulle passeggiate di Villetta Barrea, i grifoni che volano a centinaia nei tramonti del Velino, sono stati reintrodotti trent’anni fa dopo essere scomparsi da tutto l’Appennino centrale. Quindi… (la Repubblica)

La notizia riportata su altri media

“Dopo 4 giorni di ricerche ininterrotte abbiamo la consapevolezza che i cuccioli dovrebbero essere entrambi ancora vivi e che si sono separati”, si legge in una nota pubblicata su Facebook dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. (la Repubblica)

Ebbene, tanto per essere chiari, mettendo i puntini sulle i, lo sciagurato uccisore dell’orsa Amarena è un “ex” cacciatore, uno che, per l’esattezza, non ha più la licenza di caccia da oltre 15 anni. (BigHunter)

I due cuccioli di Amarena si sono separati. È quanto emerge dal bollettino odierno del Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise sulla ricerca e i tentativi di cattura dei due piccoli orsi marsicani. (La Stampa).

Minacce online all’uomo che ha ucciso l’orsa Amarena: sporge denuncia
Un corteo dedicato a mamma orsa Amarena: sabato nove ettembre, ore 15.30 in Piazza della Pace a Parma. Il corteo è stato organizzato per protestare contro la sperimentazione sui macachi, ma le associazioni animaliste hanno deciso di dedicarlo all’orsa simbolo dell’Abruzzo, con lo slogan “siamo tutti Amarena”. (Sardegna Reporter)

«Dopo 4 giorni di ricerche ininterrotte abbiamo la consapevolezza che i cuccioli dovrebbero essere entrambi ancora vivi e che si sono separati». Così in una nota pubblicata su Facebook il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise riferendosi ai piccoli d’orso bruno marsicano — di circa 8 mesi — fuggiti dopo la morte della mamma Amarena, uccisa con una fucilata, nella radura di San Benedetto dei Marsi, nell’aquilano. (Corriere della Sera)
Sono state inviate minacce di morte all’uomo che ha sparato e ucciso l’orsa Amarena nella notte del 31 agosto 2023. (Kodami)

Fonte: Informazione.it

https://x.com/bralex84/status/1704570817235833034

Ricordo che l’attuale Vice Presidente della Giunta Regionale #Abruzzo #EmanueleImprudente, di cognome e di fatto, è delegato alla #caccia che ha fatto tagliare 10 mila ettari dalla superficie protetta di 70 mila ettari che componevano il #ParcoRegionaleSirenteVelino.

https://x.com/bralex84/status/1704576206274785517

I remember that the current Vice President of the #Abruzzo Regional Council #EmanueleImprudente, in surname and in fact, is delegated to the #hunting who cut 10 thousand hectares cut from the protected area of ​​70 thousand hectares that made up the #SirenteVelinoRegionalPark.

https://x.com/bralex84/status/1704576567978889560

Sirente-Velino, un taglio fuori dalla realtà

STORIE. La Regione Abruzzo motiva il taglio di 10 mila ettari di Parco naturale per presunti «disagi socio-economici e demografici dei comuni inclusi nell’area protetta». Ma sindaci e associazioni denunciano altri interessi

Serena Giannico

Disagi socio-economici e conseguentemente demografici, lamentati nei territori, come diretta conseguenza della loro totale inclusione nel perimetro dell’area protetta».

È LA MOTIVAZIONE con cui la Regione Abruzzo – con ok della maggioranza di centrodestra del Consiglio regionale lo scorso 18 maggio – ha adottato la «Nuova disciplina del Parco naturale regionale Sirente – Velino con revisione dei confini». Una leggina che ha tagliato circa 10mila dei complessivi 54.361,22 ettari del Parco, nato nel 1989 e che annovera Zone speciali di conservazione (Zsc), una Zona di protezione (Zps) e diversi Siti di interesse comunitario (Sic), istituiti dall’Unione Europea. La riperimetrazione, arrivata in barba alle 125 mila firme raccolte dagli ecologisti e ai 18 mila e più emendamenti presentati dai gruppi di opposizione (5Stelle con Giorgio Fedele e Pd con Pierpaolo Pietrucci), era già stata approvata dalla Giunta il 15 giugno dell’anno passato, in piena pandemia da Covid-19, su proposta del vice presidente della Regione, il leghista Emanuele Imprudente, con deleghe ad Ambiente e Parchi e Riserve Naturali, ma pure alla Caccia.

ALLA SUA STESURA HA LAVORATO Igino Chiuchiarelli, agronomo di Ovindoli (AQ), funzionario della Regione, di cui è responsabile dell’Ufficio Parchi e Riserve. Ma lui è anche commissario del Parco Sirente-Velino e, si vocifera, prossimo direttore del Parco. Una leggina il cui testo, almeno quello portato in aula, appare a tratti vago, non definendo neppure l’esatta misura dei tagli. Voluti – a detta di Imprudente – dai Comuni del Parco, sia quelli della Valle Subequana che dell’Alto Aterno, ai quali viene addossata la scelta dell’operazione, che è, nelle intenzioni di chi l’ha avallata, «una revisione dell’apparato normativo a seguito delle mutate esigenze» della realtà; «dell’emergenza dei danni alla fauna selvatica, soprattutto cinghiali, che hanno generato situazioni di conflitto e rilevanti problemi» e «delle difficoltà connesse alla ricostruzione post terremoto che trova rallentamenti procedurali».

INSOMMA I MALI DEL TERRITORIO generati dal Parco: dallo spopolamento, agli assalti degli ungulati; ai centri abitati che, a 12 anni dal sisma del 2009, faticano a ritrovare una propria identità e a rimettersi in piedi, infognate in una stagnazione a causa della burocrazia made in Italy. E allora via, meglio dargli una ridimensionata, per renderlo, come è stato evidenziato, «più funzionale alle esigenze delle comunità locali ed espressione della volontà popolare». Da qui l’accettata che si è abbattuta sulle montagne marsicane, con polemiche fiorite in ogni dove. E col presidente della Regione, Marco Marsilio, che respinge «la presunzione di qualche borghese radical chic che sta nei salotti dei Parioli e pretende di dire a chi vive sul Velino come deve farlo, se può fare una staccionata o se deve adibire un posto a pascolo». «Frase priva di fondamento – ribatte il Wwf – e pronunciata da uno che con l’Abruzzo c’entra come gli arrosticini cotti in padella» (il Presidente della Regione è un tecnico romano “paracadutato” da Giorgia Meloni qui in Abruzzo).

PARTITI, MOVIMENTI E ASSOCIAZIONI contestano la riforma, promettono battaglia e gridano allo scandalo parlando, con l’eliminazione dei vincoli, di «via libera a doppiette, speculatori e disboscamento». La questione è approdata anche in Parlamento con la deputata del Movimento Cinque Stelle Patrizia Terzoni e col segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni che, come sollecitato pure da Legambiente, chiedono al ministro della Transizione ecologica e a quello degli Affari regionali «l’impugnativa davanti alla Corte Costituzionale della norma appena sarà pubblicata sul Bollettino ufficiale» e comunque «quali iniziative il Governo intende assumere».

IN MEZZO, CON LE LORO RAGIONI, ci sono i sindaci dei borghi del Parco ai quali viene addebitata la responsabilità dell’accaduto. Ma non tutti sono per la sforbiciata. L’ex primo cittadino di Acciano (AQ) e consigliere regionale Americo Di Benedetto non l’ha votata, astenendosi: «È un’operazione che interessa una porzione di territorio con equilibri e criticità particolarmente delicati. Occorre quindi che vi sia la piena consapevolezza di ciò che si sta facendo e di quali siano le conseguenze. Prima di qualsiasi modifica serve una valutazione tecnico-scientifica». A Ocre, 23 chilometri quadrati e circa mille residenti, il sindaco, Gianmatteo Riocci, ha invece sollecitato, come fatto anche dal suo predecessore, Fausto Fracassi, l’ampliamento della porzione di territorio ricadente nel Parco. «Vogliamo – fa presente – che la frazione di San Panfilo, il capoluogo, dove ha sede il municipio, e quella di San Martino, già salvaguardati, entrino nel Parco. Siamo convinti della necessità di un futuro ecocompatibile e sostenibile, legato al turismo». E racconta, Riocci, dei sentieri escursionistici, per passeggiate, anche in bici, delle doline, del convento di Sant’Angelo, del monastero di Santo Spirito, delle antiche rovine del castello. Mettiamo in campo la valorizzazione di questo patrimonio che ci è stato donato». Ma nella riforma appena attuata, la richiesta del suo Comune, di includere nel Parco il 40% in più del territorio, è stata dimenticata. O depennata. Sparita, inghiottita tra le scartoffie. «C’era il nulla osta delle varie Commissioni, ma in Consiglio è stato stabilito altro. Mi dovranno spiegare che è successo», chiude Riocci. «I Comuni ascoltati a senso unico…», tuona ancora il Wwf. «L’aspetto amministrativo indecente – rileva Enrico Perilli, della segreteria regionale di Sinistra italiana – è che i Comuni che si sono battuti contro il Parco, hanno però lasciato una piccola parte di territorio al suo interno, al fine di prendere finanziamenti e partecipare alla governance. La Regione ha generato confusione, perché per effettuare interventi nei Sic sarà comunque necessario espletare le procedure di VINCA (Valutazione di INCidenza Ambientale) e VAS (Valutazione Ambientale Strategica), ma senza più i previsti vantaggi in termini di promozione e compensazione dello stare all’interno di un Parco».

POI CI SONO LE PECULIARITÀ ambientali. Ci sono i luoghi di riproduzione del lupo, i corridoi del passaggio dell’orso bruno marsicano, a rischio estinzione; i siti con nidi dell’aquila reale e del gufo reale, gli habitat di chirotteri rarissimi. «Allo stato attuale – riprende Perilli – l’orsa Amarena potrebbe transitare in posti esclusi dal Parco e finire in una braccata al cinghiale, tecnica venatoria aggressiva, ed essere uccisa o separata dai cuccioli (Ha previsto lui la morte di Amarena il 31 Agosto 2023?). È inaccettabile che la Regione, firmataria di protocolli a protezione di questa specie, citiamo ad esempio il PATOM (Piano d’Azione nazionale per la Tutela dell’Orso bruno Marsicano), continui a predicare bene e a razzolare male». Tra l’altro sono stati allentati i divieti in zone dove il bracconaggio non manca. «È di qualche settimana fa – racconta Perilli – il ritrovamento di una cerva stretta in un laccio d’acciaio, pratica primitiva e violenta». Intervenuti Asl e carabinieri forestali. L’animale è stato salvato.

Fonte: Il Manifesto, Quotidiano Comunista

#Extraterrestre #ParcoRegionaleSirenteVelino, un #taglio fuori dalla realtà #IlManifesto 27 Maggio 2021

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Personalmente, propongo l’introduzione di due misure urgenti da tenere in forte considerazione per evitare che possano accadere di nuovo simili attentati minanti la vita della fauna selvatica in Abruzzo:

  1. dotare di radiocollari GPS soltanto quegli esemplari che tendono spesso ad uscire dai confini del territorio protetto e l’orsa Amarena era una di questi, avendo sconfinato più volte: tendo a ricordare in tale sede che non esiste la nomenclatura di orso “confidente” o “problematico”, come coniato dal nazista priebkiano Presidente della Provincia Autonoma di Trento Maurizio Fugatti, di problematici esistono soltanto quegli esseri umani che non conoscono il modus comportamentalis da adottare quando avvistano o entrano in contatto diretto con un orso e questo aspetto necessita da parte del Parco il dovere di potenziare le proprie campagne di sensibilizzazione ed informazione della popolazione miranti al rispetto della fauna selvatica, ma anche di lanciare moniti ad agricoltori e a cacciatori di non creare trappole con esche per attirare la fauna selvatica, trasformarla in confidente attirandola a sé per poi ucciderla, come sta succedendo già da mesi in alcuni Parchi del Nord Italia, perché questo è un modo di comportarsi subdolo, meschino, riprovevole e tipico dei criminali da malavita organizzata, non da persone civili e rispettose della vita animale: https://www.055firenze.it/art/203621/Campi-trappole-ed-esche-avvelenate-per-catturare-istrici-denunciato-un-uomo https://twitter.com/bralex84/status/1697602763289465024;
  2. costruire recinti elettrificati attorno ai suoli agricoli ricadenti all’interno del territorio protetto dal Parco a spese del servizio tecnico del Parco stesso, per impedire alla fauna selvatica di entrare nei suoli, di cibarsi dei raccolti agricoli degli agricoltori e doverli indennizzare ogni anno.
https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/abruzzo-corte-costituzionale-stop-legge-taglia-parco/#:~:text=La%20Corte%20Costituzione%20dichiara%20illegittima%20la%20Legge%20Regionale%20che%20voleva,del%20Parco%20Regionale%20Sirente%20Velino.&text=La%20Corte%20Costituzionale%20si%20è,regionale%20Sirente%20Velino%20è%20illegittimo!

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO MANDA IN CRISI LA PRODUZIONE DI OLIO IN EUROPA

di Paola Arosio

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/19/news/cambiamenti_climatici_produzione_olio-414581953/

Le stime si avranno a fine raccolto ma le previsioni sono negative. La siccità e le alte temperature, dalla Spagna alla Grecia e all’Italia, rischiano di far abbassare la raccolta di olive di un terzo rispetto agli anni passati con un conseguente aumento dei prezzi

19 SETTEMBRE 2023 ALLE 03:44

Con l’autunno alle porte, gli agricoltori si preparano per la tradizionale raccolta delle olive, a mano o con l’ausilio di macchinari. Convogliate nelle reti, le drupe finiscono poi nelle ceste o nei sacchi di iuta, iniziando così il loro viaggio verso il frantoio. Quest’anno, però, a causa del caldo estremo e della siccità provocati dai cambiamenti climatici, in Europa la realizzazione di olio è a rischio. In particolare, nonostante l’entità del danno non sarà nota fino al termine del raccolto, gli esperti sostengono che la produzione europea potrebbe diminuire di 700mila tonnellate, un calo di oltre il 30% rispetto alla media degli ultimi cinque anni.


I problemi dell’Andalusia

La nazione più colpita è la Spagna, il maggiore fornitore mondiale di olio di oliva. Qui le ondate di calore sono cominciate ad aprile e si sono susseguite per tutta l’estate, con picchi superiori ai 40 gradi. La situazione era tale che, a maggio, il vescovo Sebastián Chico Martínez della città di Jaén, in Andalusia, ha guidato una processione religiosa durante la quale i fedeli hanno invocato la pioggia per gli uliveti. “Senza acqua non c’è ulivo e, senza ulivi, la nostra provincia soffre”, disse allora il presule. Fatto sta che il prossimo raccolto non promette nulla di buono. “Il clima resta sfavorevole”, considera Kyle Holland, analista di Mintec, azienda di ricerche di mercato. “Pertanto si prevede che la resa sarà di nuovo molto scarsa, ancora una volta al di sotto della media storica”.

Da Creta alla Tracia

Anche in Grecia i produttori sono scoraggiati. “L’aumento termico ha favorito sia la diffusione della mosca dell’olivo, sia la scarsa fruttificazione”, lamenta Ioannis Kampouris, produttore della regione della Corinzia, nel Peloponneso. Secondo le stime, durante la prossima stagione verranno probabilmente prodotte circa 200mila tonnellate di olio, a fronte delle oltre 300mila dello scorso anno. Nel frattempo, a Creta, gli agricoltori attendono uno dei peggiori raccolti mai registrati sull’isola. “Consiglio ai consumatori di risparmiare l’olio di quest’anno per usarlo anche l’anno prossimo”, suggerisce l’agronomo Manolis Gelasakis. Problemi riscontrati anche a Lesbo, dove gli ultimi tre inverni sono stati particolarmente caldi. “La fioritura degli ulivi è ridotta. Anzi, peggio, non tutti i fiori si sono trasformati in frutti”, constata il produttore Stratis Sloumatis. Non va meglio in Tracia, dove scarseggiano le olive Makri, una varietà autoctona che produce l’omonimo olio, certificato con la Denominazione di origine protetta.

Precarietà in Italia

Rispetto a Spagna e Grecia, nel nostro Paese la situazione è meno critica. “Ancora non disponiamo di proiezioni esatte”, spiega Nicola Di Noia, direttore generale del Consorzio olivicolo italiano Unaprol, amministratore delegato di Fondazione Evoo School e presidente del Centro assistenza agricola Coldiretti. “Se prossimamente pioverà la produzione sarà in linea con le aspettative e le annate precedenti. Se, invece, non pioverà avremo difficoltà. Anche se la realtà italiana è a macchia di leopardo, con rilevanti differenze tra le varie regioni e province. Tuttavia, visti i cambiamenti del clima, è ormai indispensabile contrastare l’andamento altalenante e l’incertezza della produzione con politiche più attente all’impiego dell’acqua. Da anni la nostra associazione chiede di mettere in atto procedure finalizzate a raccogliere e conservare l’acqua piovana, per poterla utilizzare nei momenti di criticità. Per fare ciò servono investimenti, attrezzature, infrastrutture, che speriamo vengano implementati grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.


Il “nodo” dei prezzi

Carenze e incertezza avranno effetti sul mercato, facendo probabilmente lievitare i prezzi. Gli analisti si chiedono se, a questo punto, i consumatori continueranno ad acquistare l’olio d’oliva o preferiranno optare per altri oli. “In proposito ci vuole una politica culturale che promuova i prodotti di qualità presso gli acquirenti”, sostiene Di Noia, “perché certamente l’olio extravergine costa di più rispetto alle miscele di oli, ma è un insostituibile alleato del gusto e della salute”. Non per niente è considerato il re della dieta mediterranea, che – portafoglio permettendo – non dovrebbe mai mancare sulla nostra tavola.

Fonte: Repubblica

https://x.com/bralex84/status/1704428845691031588

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

LA FOTOSINTESI E’ A RISCHIO? COSA SAPPIAMO DEGLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE SULLE PIANTE

di Paola Arosio

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/18/news/fotosintesi_a_rischio_causa_cambiamenti_climatici-414478820/

Un esperimento condotto nelle foreste di Sud America, Africa e Sud-Est asiatico dimostra che l’attività vitale della vegetazione rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7°C

18 SETTEMBRE 2023 ALLE 03:00

Deforestazione, incendi, siccità sono i principali nemici delle foreste tropicali, il polmone verde del nostro pianeta. A queste minacce si aggiunge ora una nuova insidia: il riscaldamento globale, che potrebbe mettere a rischio la fotosintesi, processo attraverso il quale le piante convertono anidride carbonica, luce del sole, acqua in energia necessaria per crescere, fissando il carbonio nelle foglie, negli steli, nelle radici. Un’attività vitale, che rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7 gradi.


In un recente studio pubblicato su Nature, un gruppo internazionale di scienziati ha misurato le temperature raggiunte nella parte superiore delle chiome degli alberi, esposte direttamente ai raggi solari, nelle foreste di Sud America, Africa, Sud-Est asiatico. La rilevazione è stata effettuata combinando i dati derivanti dall’Ecosystem spaceborne thermal radiometer experiment on space station (Ecostress), un satellite della Nasa, che possiede un’elevata risoluzione spaziale e temporale, a 400 chilometri dalla Terra, e le osservazioni effettuate sul campo, applicando appositi sensori al fogliame. “Ci siamo focalizzati non sulle temperature medie, ma sugli estremi. E abbiamo scoperto che le prime si aggirano intorno ai 34 gradi, mentre i picchi superano i 40 gradi”, rendo noto Christopher Doughty, professore di eco-informatica alla Northern Arizona University e uno degli autori della ricerca.


Dall’analisi è emerso che lo 0,01% delle foglie supera, almeno una volta all’anno, la soglia di temperatura critica con danni irreversibili alla capacità di fotosintesi. “Quando ciò accade le foglie imbruniscono, i loro pori si chiudono e la traspirazione si riduce, impedendo loro di raffreddarsi. Fino a che sopraggiunge la morte”, spiega Martijn Slot, eco-fisiologo vegetale allo Smithsonian Tropical Research Institute di Panama, che ha firmato lo studio.
 

L’attuale percentuale, sebbene esigua, potrebbe aumentare. I ricercatori hanno svolto, in proposito, tre esperimenti, uno in Brasile, un altro in Australia, un altro ancora a Porto Rico, in cui foglie e rami sono stati riscaldati per valutare gli effetti. È stata così evidenziata una relazione non lineare tra l’aumento della temperatura dell’aria e l’incremento di quella delle foglie. Per esempio, una crescita della temperatura atmosferica di 2-3-4 gradi mostra un innalzamento della temperatura delle foglie rispettivamente di 8,1-6,1-8 gradi. Secondo il modello, se l’aria dovesse innalzarsi di circa 4 gradi, l’1,4% delle foglie supererebbe il livello critico, causando potenzialmente un’ampia perdita di fogliame e la morte dell’albero.


“Il rischio è significativo se si considera che le foreste tropicali coprono circa il 12% della superficie del pianeta e ospitano una moltitudine di specie”, afferma Doughty. Altri esperti sono più cauti. Chloe Brimicombe, scienziata del clima all’Università di Graz, in Austria, afferma che, “considerato il numero limitato di foglie che raggiungono la temperatura critica e l’elevato riscaldamento che sarebbe necessario raggiungere prima di provocare un danno su vasta scala, le foreste tropicali dovrebbero essere, almeno in teoria, abbastanza resilienti al cambiamento climatico”.
 

Un plauso al lavoro svolto viene dal Centro di ricerca tedesco per le geoscienze di Potsdam, dove la ricercatrice Viola Heinrich, non coinvolta nello studio, sostiene che “l’analisi è approfondita” e i dati “sono precisi, il che corrobora la validità dei risultati complessivi e le loro implicazioni”. Di parere analogo è Stephanie Pau, scienziata alla Florida State University, che ribadisce che la ricerca è “innovativa e preziosa”, svolta “con una metodologia solida”.

Gli autori concludono che, nonostante le incertezze, lo studio fornisce spunti importanti, da tenere in considerazione. Joshua Fisher, scienziato del clima alla Chapman University, in California, coinvolto nel lavoro, chiosa: “è importante rilevare un fenomeno critico prima che si diffonda, quando ancora possiamo agire”. Il futuro degli alberi (e dell’intero pianeta) è nelle nostre mani.

Fonte: Repubblica

La #fotosintesi è a rischio? Cosa sappiamo degli effetti del #riscaldamentoglobale sulle #piante #Repubblica

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network