Ministero della Transizione Ecologica

ALESSIO BRANCACCIO INVIA UNA SECONDA MAIL PEC AL MINISTRO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA ROBERTO CINGOLANI PER IMPEDIRE L’ORGANIZZAZIONE DEL JOVA BEACH PARTY DI JOVANOTTI A VASTO MARINA NEI GIORNI 19 E 20 AGOSTO 2022

EFFETTI DELLE PRINCIPALI SOSTANZE INQUINANTI SULLA SALUTE UMANA NEGLI AMBIENTI URBANI ITALIANI

Vasto, lì 2 Aprile 2022 ore 22.15

Amici ed amiche, un caro saluto, buonasera a tutti voi.

E’ da un anno ormai che sono approdato nella città di Vasto assieme alla mia famiglia e, da quando sono approdato nella mia nuova casa sita a 50 metri da circonvallazione istoniense, una via perimetrale che permette agli automobilisti di evitare di passare in centro lungo Corso Mazzini, ho notato una maggiore presenza di traffico veicolare proprio lungo questa circonvallazione di 3 km, che collega via dell’Incoronata a Viale Perth, come si vede dalla seguente immagine.

https://www.google.it/maps/place/Circonvallazione+Istoniense,+66054+Vasto+CH/@42.1211865,14.6976606,2219m/data=!3m1!1e3!4m5!3m4!1s0x1330ddb42cb2cf4d:0xc8ff90c8757c5b46!8m2!3d42.1190936!4d14.7011153

Grazie all’installazione di una app per smartphone, Air Quality, che mi consente di misurare i livelli delle principali sostanze inquinanti da monitorare costantemente per la verifica dell’Indice di Qualità dell’Aria (AQI Air Quality Index), mi sono accorto che i livelli di sostanze inquinanti in città più alti qui a Vasto sono il biossido di azoto (NO2), associato ad una eccessiva presenza in città di autoveicoli diesel perché probabilmente, quasi tutte le persone in età da lavoro qui lavorano fuori città ed usano la propria automobile a combustibile fossile diesel nei tragitti a medio e lungo raggio in itinere casa-lavoro, la maggior parte di loro sono rappresentanti di vendita che usano auto personali o aziendali diesel, ma sarebbe il caso che comincino a passare ad autovetture elettriche proprio per impedire al tasso di inquinanti, di aumentare ulteriormente nei prossimi mesi. La misurazione odierna è pari a 60 μg/m3, ben al di sopra dei limiti di legge, pari a 40 μg/m3.

Ossidi di azoto

Inquinante
Gli NOX si formano da processi di combustione alle alte temperature, che avvengono nei motori delle automobili (il traffico è di gran lunga la sorgente più importante per queste emissioni) oltre che nelle industrie e, in particolare, nelle centrali per la produzione di energia. Le altre fonti sono le caldaie, alcune pratiche usate in agricoltura e sorgenti naturali come i vulcani o i processi metabolici di certi batteri. In generale, il 90% degli ossidi di azoto emesso dalle sorgenti inquinanti è composto da monossido di azoto (NO) e per il restante 10% da biossido di azoto (NO2): fanno eccezione, però, i motori diesel, per i quali l’NO2 rappresenta anche il 70% delle emissioni totali di questa famiglia di gas. Nonostante il contributo delle sorgenti naturali di NO2 (intrusione dalla stratosfera, eruzioni vulcaniche, fulmini) sia superiore a quello delle attività umane, i processi di combustione legati alla produzione di calore o energia (caldaie domestiche a gas) e al traffico autoveicolare (soprattutto veicoli diesel) contribuiscono notevolmente ad aumentare la concentrazione dell’NO2 nelle aree urbane, al punto che l’NO2è ragionevolmente considerato un tracciante dell’inquinamento da traffico. Sebbene il biossido di azoto sia uno dei principali inquinanti degli ambienti esterni, questo gas può essere presente in concentrazioni piuttosto alte anche nei luoghi chiusi; le principali sorgenti di NO2 sono il fumo di tabacco, le stufe a cherosene, legna o carbone, i fornelli delle cucine, le candele profumate e i bastoncini di incenso.

Effetti sulla salute
La concentrazione di fondo dell’NO2 ha un range da 0,4 a 9,4 μg/m3; il limite che l’OMS suggerisce di non superare, a tutela della salute umana, è di 40 μg/m3 come media annuale e di 200 μg/m3 come concentrazione media oraria. I meccanismi mediante cui l’NO2 induce i suoi effetti tossici nell’uomo sono stati ipotizzati da modelli sperimentali animali e possono essere descritti in termini di irritazione delle vie aeree fino al broncospasmo negli asmatici e di mantenimento dello stato di infiammazione cronica. In sintesi, gli effetti acuti dell’NO2 sull’apparato respiratorio comprendono: riacutizzazioni di malattie infiammatorie croniche delle vie respiratorie, quali bronchite cronica e asma; riduzione della funzionalità polmonare; possibili danni riguardanti l’apparato cardiovascolare, per esempio la capacità di indurre patologie ischemiche del miocardio, scompenso cardiaco e aritmie cardiache. Gli effetti a lungo termine includono: le alterazioni polmonari a livello cellulare e tessutale; l’aumento della suscettibilità alle infezioni polmonari batteriche e virali.

Suscettibili
Il gruppo di popolazione a maggior rischio è costituito dai bambini, dalle persone con asma o con malattie respiratorie croniche o con malattie cardiache.

L’altra sostanza inquinante che ad un livello medio e comunque da tenere sotto controllo, è il PM10 (Particulate Matter 10), il nanoparticolato atmosferico che classifica le proprie particelle aerodiffuse, a seconda del loro diametro, in PM10, PM5 e PM2,5. La misurazione odierna del PM10 è pari a 24 μg/m3 ed il limite massimo di legge consentito negli ambienti urbani, è pari a 100 μg/m3.

l PM è una mistura di particelle solide che contengono materiale carbonaceo, residuo delle combustioni, altre sostanze organiche (come gli idrocarburi policiclici aromatici), metalli e ioni inorganici e sostanze gassose intrappolate nelle particelle come NO2, SO2 e CO. Le polveri totali vengono generalmente distinte in tre classi dimensionali corrispondenti alla capacità di penetrazione nelle vie respiratorie da cui dipende l’intensità degli effetti nocivi. In particolare: PM10: particolato formato da particelle con diametro <10 μm, è una polvere inalabile, cioè in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore (naso, faringe e laringe); PM2,5: particolato fine con diametro <2,5 μm, è una polvere toracica, cioè in grado di penetrare nel tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi, bronchioli); PM0,1: particolato ultrafine: diametro <0,1 μm, è una polvere in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli. Il PM si origina sia per emissione diretta (particelle primarie) sia per reazione nell’atmosfera di composti chimici, quali ossidi di azoto e zolfo, ammoniaca e composti organici (particelle secondarie). Le sorgenti del particolato possono essere naturali (polveri del deserto, aerosol marino, eruzioni vulcaniche) e antropiche (combustioni dei motori, riscaldamento, residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture, emissioni di impianti industriali).

Effetti sulla salute
Gli effetti sulla salute possono essere diretti in particolare sull’apparto cardiovascolare, sul sangue e sui recettori polmonari, ed effetti indiretti attraverso lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria. Effetti diretti possono avvenire con il passaggio attraverso l’epitelio polmonare fino a raggiungere il circolo sanguigno oppure attraverso l’attivazione di riflessi nervosi che comportano alterazioni del tono del sistema nervoso autonomo che possono dare inizio a un’aritmia cardiaca. Effetti indiretti si possono avere attraverso lo stimolo al rilascio di agenti infiammatori che comportano uno stato di infiammazione sistemica. Questi effetti rappresentano una spiegazione plausibile della rapida (entro poche ore) risposta cardiovascolare, come l’incremento nella frequenza di infarto miocardio o di aritmie. Recenti studi indicano, inoltre, che l’esposizione acuta a particelle in sospensione contenenti metalli (come le particelle derivanti dai combustibili fossili usati come carburanti) possono causare un vasto spettro di risposte infiammatorie nelle vie respiratorie e nel sistema cardiovascolare (danneggiamento cellulare e aumento della permeabilità cellulare), verosimilmente in relazione alle loro componenti metalliche.

Suscettibili
Risultano particolarmente sensibili agli effetti del particolato i soggetti anziani e quelli con malattie cardiocircolatorie e polmonari. Anche i neonati e i bambini costituiscono un gruppo potenzialmente sensibile. In particolare, i bambini sono a maggior rischio per alcuni effetti respiratori quali le crisi di asma bronchiale e l’insorgenza di sintomi respiratori, come tosse e catarro.

https://www.arpa.umbria.it/monitoraggi/aria/contenuto.aspx

Ecco i valori delle misurazioni rilevate dalla mia app Air Quality, che indicano una qualità dell’aria mediocre, livello che non dovrebbe essere tollerato specie in una città di mare come Vasto, in cui l’aspetto della tutela ambientale attraverso il monitoraggio della qualità dell’aria in ambiente urbano, dovrebbe rappresentare una delle massime priorità che ogni amministrazione comunale che amministra la città in maniera degna, deve sempre tenere in forte e seria considerazione:

L’altro aspetto da considerare è la correlazione che esiste tra inquinamento atmosferico ed il coronavirus (COVID19), che guarda caso, colpisce in maniera più evidente tutti quei tessuti urbani della Lombardia, dove l’inquinamento atmosferico da NO2, CO2, SO2 e da PM10 è più alto per via del maggior tasso di veicoli circolanti nelle grandi aree metropolitane e nella Pianura Padana, ma credo che il COVID19 abbia colpito qui a Vasto, anche con livelli di gran lunga inferiori a quelli delle città del Nord Italia, proprio a causa dell’NO2 oltre i livelli di legge, delle PM10, avendo qui vicino casa mia a 500 metri in linea d’aria Portobello, una pompa bianca per la distribuzione di benzina, diesel e gas, per cui tra alto tasso di transito di veicoli a diesel e la pompa di carburante in questione, ovvio che i livelli di NO2 e PM10 si alzano in maniera considerevole ed il problema potrà soltanto che peggiorare nei prossimi mesi, se l’attuale amministrazione Menna non sarà in grado o peggio, non vorrà adottare i dovuti provvedimenti per risolvere il problema, cominciando a piazzare sempre più stazioni di ricarica sia a Vasto città che a Vasto Marina, potenziando già quelle presenti alla marina ed installandone di nuove anche qui in città. Si parla tanto qui in Italia di Transizione Ecologica, ma sarebbe più opportuno parlare di Conversione Ecologica alla quale anche la città del Vasto in Abruzzo, si adegui il prima possibile, facendo in modo che vengano dati degli incentivi in denaro diretti ai cittadini per passare dai autoveicoli a diesel a quelli elettrici, molto prima dei prossimi due anni come asserito dal Ministro Cingolani del Governo Draghi: non abbiamo più tempo, il passaggio dalle energie non rinnovabili alle rinnovabili, va avviato ed ultimato entro al massimo un anno da adesso che siamo nel 2022, non possiamo attendere troppo oltre, che non piaccia alle multinazionali del petrolio è un loro problema, non deve ritardare o impedire questo passaggio, si adeguassero anche loro alla rivoluzione delle coscienze in ambito ecologico, diventassero multinazionali che sfruttano energie rinnovabili, invece di quelle non rinnovabili!

Il legame tra inquinamento e Coronavirus è stato un tema fortemente dibattuto in questi mesi. Il rapporto tra la presenza di particolato atmosferico e diffusione della malattia è stato oggetto controverso di molteplici indagini effettuate da ricercatori di tutto il mondo. La domanda a cui si è cercato di rispondere è stata sempre la stessa: l’inquinamento atmosferico favorisce la diffusione del Covid-19?

A dare una risposta forse definitiva, dopo sospetti iniziali, conferme e smentite, è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che a distanza di un anno dalla tragedia della prima ondata in Lombardia ha elaborato uno studio nel quale conferma la probabile correlazione fra la diffusione del virus e l’effetto dell’inquinamento atmosferico.

La ricerca, condotta dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi, dal titolo “Analisi degli aspetti chimico-fisici ambientali che hanno favorito la diffusione della SARS-CoV-2 nell’area lombarda”, è stata pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health ed ha indagato le possibili correlazioni a livello regionale tra inquinamento atmosferico, dati meteorologici e focolai COVID-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia.

Distribuzione nelle diverse province della Lombardia di (a) numero totale di persone infette, (b) tasso di prevalenza giornaliero (infetti / popolazione), (c) concentrazione media di particolato 2,5 (PM 2,5), (d) media concentrazione di particolato 10 (PM10), (e) ozono (O3), (f) monossido di carbonio (CO), (g) ossido nitrico (NO), (h) biossido di azoto (NO2), (i) anidride solforosa ( SO2), (j) ammoniaca (NH3) e (k) acidità atmosferica netta (NAA) durante il periodo di tempo considerato

Nelle conclusioni della ricerca si legge che: “l’inquinamento atmosferico e le condizioni climatiche potrebbero favorire la diffusione di particelle virali attive. La comprensione della complessa interazione tra diversi fattori chimici, fisici e biologici, che può portare allo sviluppo di focolai di malattie (“effetto netto”), è della massima importanza per affrontare la ricerca futura, ma anche per pianificare lo sviluppo e la gestione di interventi per contenere la futura diffusione di infezioni virali. Questi aspetti potrebbero anche avere importanti implicazioni nella gestione della salute pubblica sia per trasmettere e migliorare la ricettività delle comunicazioni e la diffusione relative alla salute alla popolazione generale, sia per definire strategie di prevenzione più efficaci.


Il comunicato stampa del CNR: La prima ondata di SARS-CoV-2 in Lombardia

Da gennaio 2020, milioni di persone in tutto il mondo hanno contratto il virus SARS-CoV-2 con un tasso medio di mortalità compreso tra il 2% e il 5%. Tuttavia, alcune aree del mondo hanno presentato un tasso di contagio superiore alla media.

La Lombardia appartiene a queste aree con circa il 40% dei contagi dell’intero paese (durante la prima ondata dell’epidemia) e un tasso di crescita dell’infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane.

Lavori recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, e le condizioni meteorologiche come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano condizionare la stabilità di MERS-CoV e SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile effetto anche per il SARS-CoV-2.

In questo studio sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti giornalmente da Istituto superiore di sanità e Protezione civile, riportando la distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata dell’epidemia (dal 24 febbraio al 31 marzo 2020).

Nel periodo analizzato è emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).

I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, riferisce Roberto Dragone, ricercatore Cnr-Ismn. “Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie. Le apparenti discordanze, che a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o nelle loro concentrazioni. Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella virale e/o con l’organismo umano. Tale composizione dipende dalla fonte di emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata. Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso, verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure preventive per il contenimento del contagio”.

Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alla temperatura, all’umidità relativa e alla velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio della Regione Lombardia. Inoltre, tramite il monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (CAMS), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), sono stati elaborati i dati satellitari relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2), ozono (O3) ammoniaca (NH3). Per i gas con proprietà acide o basiche è stato valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”.

Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali”, conclude Gerardo Grasso, ricercatore del Cnr-Ismn.

COVID-19 e inquinamento atmosferico: uno studio dell’Università di Harvard

I dati riguardano il 98% della popolazione statunitense

La possibile relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione di COVID-19 è stata oggetto di discussione in queste settimane di propagazione della pandemia. Come noto, il particolato atmosferico (PM) e gli altri inquinanti dell’aria sono causa di effetti avversi sul sistema respiratorio e cardiovascolare. Il quesito scientifico è valutare se l’esposizione cronica a PM e altri inquinanti possa essere, oltre a sesso, età e ad alcune comorbidità (ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e cerebrovascolari), un fattore di suscettibilità per COVID-19 e/o che possa esacerbare la severità della malattia (ricovero in terapia intensiva o decesso). 
È proprio da queste ipotesi che si muove lo studio pubblicato il 5 aprile dai ricercatori dell’Università di Harvard.

Nello studio americano, per ciascuna delle ~3000 contee degli Stati Uniti (98% della popolazione totale), sono stati recuperati i casi di decesso per COVID-19 fino al 4 aprile 2020 e le stime di esposizione di lungo termine a PM2.5, già elaborate in precedenti progetti di ricerca. Nei modelli di stima dell’associazione sono stati inclusi numerosi fattori di confondimento, quali la densità di popolazione, la percentuale di popolazione di età ≥65 anni, la percentuale di persone che vivono in povertà, il reddito medio, l’etnia, il livello di istruzione, il numero di tamponi eseguiti, la disponibilità di posti-letto in ospedale ed altre.

I risultati mostrano che l’incremento di 1 µg/m3 di PM2.5 è associato ad un incremento di rischio di decesso per COVID-19 pari al 15% (intervallo di confidenza: 5-25%). I risultati sono statisticamente significativi e si confermano anche nelle analisi di sensibilità e analisi secondarie. Gli autori, inoltre, mettono a disposizione sul sito tutti i dati e gli algoritmi dei modelli utilizzati.

Come sottolineato anche dagli autori, uno degli elementi di maggiore criticità riguarda le incertezze sulla identificazione di tutti i casi di decesso per COVID-19, essenzialmente dipendenti dalla capacità di esecuzione dei tamponi per la conferma della diagnosi. È questo un argomento di forte dibattito anche in Italia, così come in tutti i paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, da cui dipendono le forti eterogeneità nelle stime dei tassi di letalità e di mortalità da COVID-19.
Una possibile evoluzione nello studio della relazione tra inquinamento atmosferico e severità di COVID-19 è superare l’approccio ecologico, cioè utilizzando dati aggregati come nello studio americano, e focalizzarsi sui dati individuali di COVID-19, che consentono un aggiustamento per fattori confondenti (età, sesso e comorbidità) molto più efficace.

https://www.ars.toscana.it/com_jce/eventi-2017/2-articoli/4298-covid-19-coronavirus-inquinamento-atmosferico-aria-studio-harvard-pm-pm2-5-diffusione-pandemia.html

Inquinamento atmosferico e diffusione del virus SARS-CoV-2

Le ipotesi che suggeriscono correlazioni tra le aree a maggior inquinamento atmosferico e la diffusione del virus responsabile della COVID-19 hanno sollecitato la richiesta di pareri all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e stimolato molti gruppi di studiosi a collaborare per esaminare il problema e le possibili associazioni. Tuttavia, l’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto.

Gli effetti sanitari avversi dell’inquinamento: cosa sappiamo
L’esposizione all’inquinamento atmosferico indoor e outdoor – e in particolare al materiale particellare PM (PM10, PM2,5), agli ossidi di azoto (NO e NO2), nonché all’ozono (O3) – può determinare un insieme di effetti sanitari avversi già ampiamente descritti nella letteratura scientifica accreditata. Nel 2016, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che globalmente sono circa 7 milioni le morti premature all’anno correlate a questo fattore di rischio, con il 91% di questi decessi a carico dei Paesi a basso-medio reddito e relative alle popolazioni delle aree del sud asiatico, sub-sahariane e dell’America latina. In particolare, per la popolazione europea sono state stimate circa 550.000 morti premature.

Inoltre, l’OMS ha dedicato particolare attenzione agli effetti sanitari dovuti ai livelli di inquinamento degli ambienti indoor, determinati principalmente dall’uso di combustibili di bassa qualità per il riscaldamento degli ambienti e dalla preparazione dei cibi, ma anche dall’uso di sostanze chimiche per l’igiene personale e per la pulizia degli ambienti, aromi per la profumazione indoor, pitture, vernici, ecc. Questa componente riveste un ruolo rilevante se si considera che la popolazione trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi (abitazione, scuola, lavoro, solo per citarne alcuni).

A livello globale, i principali effetti sanitari correlati all’inquinamento dell’aria indoor e outdoor sono relativi all’aumento delle malattie non trasmissibili (Non Communicable Diseases, NCD), che includono principalmente le malattie croniche del sistema cardiocircolatorio quali le malattie ischemiche del cuore (infarto miocardico, ictus cerebrale), quelle dell’apparato respiratorio, come l’asma, la bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), che porta a una maggiore predisposizione alle infezioni respiratorie, e il cancro del polmone per esposizioni sul lungo periodo. Più recentemente all’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e al PM2,5 si associano patologie quali il diabete, un ritardo nello sviluppo neurologico dei bambini così come effetti neurologici degenerativi nella popolazione adulta/anziana. Gli effetti a breve termine sono supportati da molti studi dedicati a singole città e/o a aree urbane aggregate e riguardano una ridotta capacità polmonare, aggravamento e complicanze dell’asma e, per esposizione durante la gestazione, un basso peso alla nascita del bambino. L’ampia letteratura scientifica si è anche dedicata a indagare quale sia la popolazione più suscettibile agli effetti dell’esposizione all’inquinamento atmosferico indoor e outdoor. Le caratteristiche di suscettibilità includono principalmente una predisposizione genetica, fattori socioeconomici, età, durata e intensità dell’esposizione, la presenza di malattie preesistenti, come asma, BPCO e fibrosi cistica. Molti studi evidenziano che i bambini, e più in generale la popolazione di età inferiore ai 14 anni, è la più suscettibile agli effetti sanitari acuti delle infezioni alle basse vie respiratorie.

Materiale particellare: quantità ma anche “qualità”
Un altro aspetto da sottolineare è la natura del materiale particellare. Il PM (sia quello emesso direttamente nell’aria, che quello prodotto durante i processi di conversione gas-particelle) è una miscela complessa di inquinanti organici e inorganici, costituito dal materiale carbonioso derivante dai diversi processi di combustione che lo generano (per esempio, nelle aree a intensa urbanizzazione il PM deriva essenzialmente dai processi di combustione di sorgenti mobili e fisse come i veicoli a motore, gli impianti per la produzione di energia), ma anche da un insieme di altre sostanze particolarmente tossiche per l’uomo (microinquinanti inorganici e organici come: metalli, idrocarburi policiclici aromatici, diossine). La composizione qualitativa e quantitativa del PM varia quindi molto in funzione della tipologia di sorgenti di emissione che lo producono. Gli effetti sanitari che ne derivano dipendono non solo dai livelli di concentrazione a cui le popolazioni sono esposte ma anche da molti altri fattori, che includono le sorgenti, le trasformazioni fisiche e chimiche di precursori, il clima, e la specifica situazione locale (orografica e topografica) delle aree urbane e non urbane che ne influenzano la “qualità” e la composizione.

Vivere in aree urbane dove l’inquinamento atmosferico è elevato incide sullo stato di salute generale della popolazione, come dimostrano gli studi di numerosi gruppi di ricercatori scientifici nazionali e internazionali. La popolazione di queste aree presenta alcuni profili di salute particolari, come registra anche il sistema di sorveglianza PASSI dell’ISS. Dai dati PASSI, emerge che nella popolazione adulta che vive nelle città metropolitane è maggiore la prevalenza di persone con sintomi depressivi, con diagnosi di malattia cronica respiratoria (bronchite cronica, enfisema, insufficienza respiratoria o asma bronchiale), diabete e tumore. Questi eccessi risultano statisticamente significativi anche tenendo conto delle differenze nella struttura per età, genere e caratteristiche sociali di chi vive nelle metropoli, rispetto a chi vive in altre aree urbane o rurali del Paese. Gli stili di vita hanno sicuramente un peso nel determinare questo quadro e fra i residenti nelle città metropolitane si osserva una maggiore quota di sedentari e fumatori.

L’Agenzia Ambientale Europea (EEA) ogni anno produce un report sul Burden of Disease dell’inquinamento atmosferico in Europa in base ai livelli di concentrazione dei singoli inquinanti misurati (PM2,5, NO2 e O3) dalla rete di monitoraggio dell’aria presente in ciascun Paese (concentrazioni variabili anche in funzione delle condizioni meteorologiche peculiari registrate ogni anno, oltre al numero e alla qualità di funzionalità delle centraline). Nel report 2019 (dati riferiti al 2017) l’EEA stima per l’Italia, per esposizione a PM2,5, circa 60.000 morti premature. Va ricordato che le misure delle postazioni di monitoraggio dell’aria sono finalizzate alla corretta gestione dei territori per l’individuazione di possibili soluzioni di riduzione dell’inquinamento e rappresentano solo una misura indicativa dell’esposizione, considerando inoltre che ormai la popolazione trascorre la maggior parte del tempo in ambienti indoor.

Infezione da SARS-CoV-2 e inquinamento: quali associazioni?
In merito alla possibilità di un’associazione diretta della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 con le aree a elevato livello di inquinamento atmosferico è necessario porre una particolare cautela, trattandosi di un’infezione virale, sottoposta a meccanismi di trasmissione attraverso il contagio diversi da quelli che caratterizzano la diffusione dell’inquinamento atmosferico. In Italia, l’ipotesi di un’associazione è stata avanzata in virtù del fatto che aree come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, dove il virus ha presentato la maggiore diffusione, si registrano generalmente le maggiori concentrazioni degli inquinanti atmosferici misurati e controllati secondo quanto indicato e prescritto dalla legislazione di settore (DLgs 155/2010).

Tuttavia, la diffusione del virus si è presentata attraverso focolai circoscritti all’interno di zone della macroarea di appartenenza (pianura padana) sottoposta a valori di inquinamento atmosferico elevati e piuttosto omogenei; altre aree a forte inquinamento atmosferico, anche se prossime, sono rimaste inizialmente escluse e interessate, solo successivamente, con minor forza dalla contaminazione del virus. Si osserva, inoltre, che a seguito delle disposizioni governative, la ridotta mobilità delle persone e la chiusura di molte attività produttive, ha portato a una progressiva e significativa riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria (PM10, PM2,5, NO2, benzene).

Va considerato che le aree dove il virus ha evidenziato l’impatto più elevato, sono le aree italiane sia ad elevata densità di popolazione sia a più alta produttività del Paese. In questi territori sono presenti il maggior numero di aziende con vocazione e crescita internazionale che hanno continui e frequenti rapporti con Paesi stranieri (in particolare Stati Uniti, Cina e Federazione Russa), con conseguente alta mobilità dei lavoratori. Infatti, molti approfondimenti epidemiologici in corso per studiare e comprendere come il virus sia entrato e si sia diffuso nell’area evidenziano l’importanza della componente legata ai rapporti di lavoro internazionali e il conseguente contagio diretto tra persone, oltre all’iniziale diffusione del contagio in strutture sanitarie (ospedaliere e residenze sanitarie assistite, RSA), che ha agito quale forte moltiplicatore dell’infezione. Le misure di minimizzazione degli spostamenti e di distanziamento sociale che sono state adottate stanno mostrando tutta la loro efficacia, evidenziando ancora una volta il meccanismo preferenziale di contagio della malattia COVID-19.

Lo studio di eventuali relazioni di causalità tra la diffusione del virus e l’inquinamento atmosferico, in particolare di PM (PM10 e PM2,5), necessita quindi di essere attentamente analizzato, approfondendo la conoscenza di eventuali fattori confondenti che possono suggerire spurie associazioni causa-effetto.

In sintesi, la complessità del fenomeno, insieme alla parziale conoscenza di alcuni fattori che possono giocare o aver giocato un ruolo nella trasmissione e diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, rende al momento molto incerta una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia da COVID-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione. Appare dunque necessario pianificare e realizzare studi caratterizzati da adeguati disegni e protocolli di indagine, e corredati da modelli di analisi che consentano di comprendere il ruolo giocato dalle molteplici variabili coinvolte nel fenomeno, effettuando anche un’analisi comparativa su scala più ampia quale quella europea e internazionale.

Un elemento di sicuro approfondimento potrà essere rappresentato dal ruolo dell’ambiente indoor/outdoor nel suo complesso nel determinare lo stato di salute generale della popolazione, in particolare quella residente nelle aree urbane, e come questo possa aver influito sulla gravità degli esiti dell’infezione da SARS-CoV-2. Per esempio, l’analisi dei decessi su un ampio campione di casi effettuato dall’ISS ha mostrato come la mortalità per COVID-19 sia stata elevata in soggetti che già presentavano una o più patologie (malattie respiratorie, cardiocircolatorie, obesità, diabete, malattie renali, ecc), sulle quali la qualità ambientale indoor e outdoor e gli stili di vita, in ambiente urbano, possono aver giocato un ruolo.

Uno studio che l’Università di Harvard ha presentato come pre-print, fornisce alcuni spunti di riflessione ma si basa su indicazioni parziali e presenta ampie incertezze ancora da risolvere (come gli autori stessi descrivono nei supplementary materials). Tra queste, sicuramente la modalità di conteggio dei decessi per COVID-19 ancora non completamente chiarite e standardizzate nonché la stima delle concentrazioni di PM2,5 sul territorio degli USA che si basa sull’applicazione di modellistica che deve tener conto delle misure effettuate nelle postazioni fisse, le quali non hanno una distribuzione omogenea sul territorio. Questo fattore introduce un’incertezza sulla rappresentatività spaziale delle stime del modello e gli stessi autori evidenziano una ampia variabilità dell’accuratezza del modello per aree geografiche diverse. Il lavoro dei ricercatori di Harvard mostra dunque alcune carenze metodologiche importanti, tra le quali non ultima la mancanza di controllo per autocorrelazione spaziale sia della esposizione a PM atmosferico sia del contagio.

La diversa distribuzione spaziale delle postazioni di misura dell’inquinamento atmosferico che deve tener conto dell’alta disomogeneità dei territori (aree metropolitane, rurali, industriali, montane, costiere), come avviene anche in Italia, rappresenta un elemento di incertezza nella stima dell’esposizione inalatoria al PM2,5 indoor e outdoor della popolazione. La complessità del fenomeno necessita quindi di ulteriori approfondimenti per completare e risolvere le incertezze ed eventuali relazioni spurie, la covarianza tra variabili, il ruolo dei confondenti e dei modificatori di effetto, ecc.

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-inquinamento-atmosferico

Aria.Inquinamento atmosferico e COVID-19

 DettagliCategoria principale: AriaCategoria: DottrinaPubblicato: 30 Dicembre 2021Visite: 914

Inquinamento atmosferico e COVID-19

di Aldo DI GIULIO

La scienza medica si interroga se fra l’inquinamento atmosferico e la pandemia dal Coronavirus, SARS-CoV-2, ci sia un nesso scientifico documentabile. L’esposizione agli inquinanti atmosferici antropogenici può sviluppare reazioni infiammatori polmonari influendo negativamente sullo stato di salute dell’uomo. Ambedue i contaminanti considerati, chimico (PM10, PM2,5) e biologico (coronavirus), hanno la via dell’aria ambiente come mezzo di trasmissione e il bersaglio comune dei polmoni.

Una traccia comparativa è l’effetto del particolato PM2,5 e del SARS-CoV-2, su l’organismo umano che, in modo distinto, può determinare disfunzione endoteliale vascolare, stress ossidativo, trombosi, aggressione al sistema immunitario. Il virus patogeno che determina la malattia, Covid-19, presenta complicanze respiratorie, infarto miocardico, aumento dei biomarcatori che si rilevano anche con elevati livelli di inquinamento atmosferico (1,2). L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, IARC, ha classificato il particolato PM10 e PM2,5, come cancerogeno di classe 1.

Gli inquinanti tossici e nocivi emessi dalle auto, industrie, riscaldamento domestico, biomasse, possono costituire un catalizzatore, un acceleratore che aumenti la capacità infiammatoria del virus?

Un altro indizio fra i contaminanti per il confronto nel mondo, può essere il numero dei decessi registrati sul versante dell’inquinamento atmosferico, oltre 7mln e quelli attribuiti al SARS-CoV-2 >5 mln (OMS, Ministero della Salute).

L’inquinamento da particolato ambientale PM2,5 è stato il principale fattore di rischio di livello 4 per DALY (Disability Adjusted Life years) tra i rischi ambientali con 4,14 milioni (3,45-4,80) di decessi nel 2019. L’inquinamento da ozono ambientale ha rappresentato l’11,1% dei decessi per BPCO a livello globale, per un totale di 365000 decessi (175000-564000). I più alti tassi di mortalità standardizzati per età attribuibili all’ozono si sono verificati nell’Asia meridionale (Lancet3).

Le fonti di inquinamento atmosferico chimico, provengono dalla combustione dei prodotti fossili, (petrolio, carbone, gas naturale), dalle sorgenti naturali (sabbie sahariane, vulcani, pollini); biomasse e incendi. La cattiva qualità dell’aria outdoor e indoor, data dal coronavirus con i provvedimenti conseguenti, lockdown, smart working, mascherina, guanti, didattica a distanza, accessi limitati ai luoghi chiusi, vaccino e super green pass sono atti di prevenzione contro una forma di “inquinamento atmosferico biologico”.

Aspetto giuridico. Le misure adottate nella pandemia trovano riscontro nel DPR 203/88 ove l’inquinamento atmosferico viene definito “ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria, da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente, alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”. L’assenza di adeguate misure di prevenzione e protezione dalla diffusione del coronavirus, da parte dei responsabili della salute pubblica, potrebbe interessare l’Autorità Giudiziaria a far rispondere sulla scorta degli articoli del C.P. 438 (epidemia colposa) e art.452 (delitti colposi contro la salute pubblica).

Studio della ESC European Society of Cardiology.

Un esame multidisciplinare internazionale sull’ipotesi del ruolo dell’inquinamento atmosferico alla mortalità da Covid-19 è stato svolto dai ricercatori del Centro Internazionale di Fisica, Trieste (Italia), l’Istituto Max Planck di Chimica, Maina (Germania), Dipartimento di Biostatistica di Boston (USA), il Centro per il cambiamento climatico, Londra (Gran Bretagna), l’Università di medicina di Berlino (Germania), il Centro per la ricerca cardiovascolare di Mainz (Germania), l’Istituto di clima e atmosfera, Nicosia (Cipro) (1,2).

Metodologia della ricerca. L’ approccio sul rapporto inquinamento atmosferico/Covid-19 è stato lo studio su 65 lavori pubblicati, con criticità in alcuni Paesi. Cina. Una ricerca svolta nel 2003(4) con 5327 casi segnalati e circa 349 decessi, ha presunto che l’incidenza dell’inquinamento atmosferico potesse aggravare gli esiti sanitari dal SARS-CoV-1, antesignano del SARS-CoV-2. I due coronavirus sono simili in quanto “ i loro genomi sono estremamente correlati e i virus entrano nelle cellule ospiti legandosi allo stesso recettore di ingresso angiotensina-enzima di conversione 2” (1) L’ indice di inquinamento atmosferico (API) è stato considerato in base alle concentrazioni del particolato, anidride solforosa, biossido di azoto, monossido di carbonio e ozono al livello del suolo. ” Un’ analisi su l’esposizione a breve termine ha dimostrato che i pazienti con SARS provenienti da regioni con API (indice di inquinamento atmosferico) moderate avevano un rischio dell’84% di morire di SARS rispetto a quelli provenienti da regioni con API basse (RR=1,84, 95%CI:1,41-2,40). I pazienti con SARS provenienti da regioni con API elevate avevano il doppio delle probabilità di morire di SARS rispetto a quelle provenienti da regioni con API basse (RR=2,18, 95%CI:1,31-3,65%) (1,4) ”.

Italia. La Protezione Civile Italiana ha calcolato che al 21 marzo 2020, la mortalità in Lombardia ed Emilia Romagna è stata di circa il 12% mentre nel resto di Italia è stata di circa il 4,5%. Il Royal Netherlands Meteorological Institute studiando il monitoraggio dell’ozono dal satellite della Nasa ha affermato che il Nord Italia rappresenta una delle aree più inquinate di Europa anche a causa della morfologia e orografia del territorio. L’indice di inquinamento utilizzato (AQI) considera gli inquinanti del PM10, PM2,5, SO2, O3 ed NO2 . La popolazione con una età media avanzata e affetta da altre comorbidità che vive in una area fortemente inquinata, “ potrebbe avere le difese delle ciglia e delle vie aeree superiori indebolite sia dall’età che dall’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e l’esposizione al virus SARS-CoV-2 aggravare lo stato di salute. Un sistema immunitario debole, innescato dalla esposizione cronica all’inquinamento atmosferico, può portare a un distress respiratorio acuto (ARDS) e alla morte, in caso di gravi comorbidità respiratorie e cardiovascolari L’alto tasso di inquinamento atmosferico dovrebbe essere considerato come un ulteriore cofattore dell’elevato livello di letalità nelle regioni del Nord Italia (1,5)”.

Inghilterra e Paesi Bassi. Ricerche svolte hanno confermato i riscontri fra la cattiva qualità dell’aria ambiente e il Covid-19(1).

Modello di studio. L’equipe della European Society of Cardiology Cardiovascolar ha stimato l’incidenza dell’inquinamento atmosferico sul tasso di mortalità da Covid-19 utilizzando i dati epidemiologici negli USA e in Cina, i valori del particolato PM2,5 per l’esposizione a medio e lungo termine, con l’impiego di modelli misti binomiali. Il modello adottato di circolazione generale della chimica atmosferica globale (EMAC) ricrea i processi chimici atmosferici, meteorologici e le interazioni con gli oceani e la biosfera, nella stessa rappresentazione degli studi sui cambiamenti climatici e la salute pubblica. L’esposizione al particolato, è stata determinata con i valori annuali di PM2,5 del 2019, acquisiti dai dati satellitari, in prossimità della superfice terrestre, calcolando la frazione antropica, integrati nel modello di chimica atmosferica. La stima dell’inquinante ha ponderato la popolazione tra aree urbane e rurali (1).

Fonte: Cardiovascolar Research Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg.2247-2253. Contributi regionali e globali dell’inquinamento atmosferico al rischio di morte per COVID-19. A. Pozzer, F. Dominici, A. Haines, C. Watt, T. Munzel e J. Lelieveld2020.

L’indagine della ESC, osservata fino al marzo del 2020, ha individuato mediamente l’incidenza percentuale dell’inquinamento atmosferico sui decessi dalla pandemia del Covid-19 nel mondo del 15%, Asia Orientale 27%, Nord America 17%, Asia del Sud 15%, Europa 19%, Sud America 9%, Asia Occidentale 8%, Africa 7%, Oceania 3%; in Italia del 15% (1-2).

Percentuali regionali di mortalità per COVID-19 attribuite a fonti di aria legate ai combustibili fossili e a tutte le fonti antropogeniche di inquinamento
RegionePopolazione (milioni)Frazioni di mortalità per COVID-19 attribuita all’inquinamento atmosferico (%)
Emissioni legate ai combustibili fossiliTutte le emissioni antropogeniche
Europa62813 (6-33)19 (8-41)
Africa13452 (1-19)7 (3-25)
Asia occidentale6276 (3-25)(4-27)
Asia del sud25657 (3-22)15 (8-31)
Asia orientale168515 (8-32)27 (13-46)
Nord America52514 (6-36)17 (6-39)
Sud America5473 (1-23)9 (4-30)
Oceania281 (0-20)(1-23)
Mondo79508 (4-25)15 (7-33)
I livelli di confidenza del 95% sono indicati tra parentesi

I dati dei decessi per il Covid-19 in USA sono stati raccolti dalla Jonhns Hopkinsin University fino al 22 aprile del 2020, in 3087 contee su 3142, il 98% della popolazione, di cui il 42% ha riportato decessi per Covid-19. L’indagine ha considerato 20 potenziali fattori di confusione: la dimensione della popolazione, la distribuzione per età, densità di popolazione, periodo di tempo dall’inizio della pandemia, tempo trascorso ai confinamenti domiciliari, letti ospedalieri, numero di individui testati, condizioni meteorologiche, fattori socioeconomici e di rischio come obesità e fumo.

Lo studio mostra una confrontabilità fra le cause di morte dei pazienti da Covid-19 e quelle che determinano la mortalità da PM2,5. Il rischio di mortalità dal virus è aumentato fino all’8% con l’incremento del contaminante. Una osservazione di 5700 pazienti ricoverati per Covid-19 nel distretto di New York ha rilevato che le comorbilità erano di ipertensione (57%), obesità (42%), e diabete (34%), indici di rischio cardiovascolare, osservati anche in relazione a elevati valori di particolato PM2,5 (1,6).

L’effetto dello smog su gli esiti sanitari della pandemia in Cina nel 2020, è valutato con la correlazione spaziale dell’inquinamento da particolato. Una analisi trasversale è stata eseguita per esaminare il valore giornaliero del PM2,5 e PM10 nello spazio con il tasso di mortalità da Covid-19, attraverso il metodo di regressione lineare multipla. La ricerca ha riguardato 49 città tra cui Wuhan, 15 città all’interno dell’Hubei e 33 città fuori dell’Hubei con non meno 100 casi al 22 marzo 2020, pervenendo alla conclusione che “ il tasso di mortalità da Covid-19 ha una forte associazione con PM2,5 e PM10 sia nella provincia di Hubei che nelle altre città della Cina. Il tasso di mortalità delle città all’interno dell’Hubei era inferiore a quello di Whan”.

L’approfondimento è stato svolto considerando gli studi sulla epidemia della SARS in Cina del 2003, aumentando il tasso di mortalità, considerando che, il Covid-19 è causato da SARS-CoV-2 che condivide il 79,6 di identità di sequenza con SARS-CoV e ha lo stesso recettore di ingresso cellulare, l’enzima di conversione dell’angiotensina II come il SARS-CoV (1,7).

L’influenza dell’inquinamento sulla pandemia dal Covid-19 indica che 7 sui primi dieci Paesi nel mondo sono in Europa (2).

Rischio dall’inquinamento atmosferico. La stima del rischio dell’inquinamento atmosferico al Covid-19 è stata svolta applicando la funzione esposizione-risposta dell’OMS considerando l’esposizione media annua del sito osservato e la concentrazione del PM2,5 al di sotto della quale l’esposizione non ha significato epidemiologico. La frazione della mortalità attribuibile allo smog ha considerato i valori del PM2,5 rispetto alla distribuzione della popolazione sul territorio, città, periferia, aree suburbane. I dati sulla popolazione sono stati forniti dalla NASA e dalla Columbia University Center.

Limiti dell’indagine preliminare. Una conclusione congrua sarà svolta al termine della pandemia in quanto i dati epidemiologici si fermano alla terza settimana di giugno 2020 e i livelli di confidenza al 95%, presentati in tabella, sono considerevoli. I dati per la Cina presentano una incertezza significativa, i valori utilizzati per lo studio provengono da paesi ad alto reddito e la rappresentatività per i paesi a basso reddito può essere limitata. In Africa e in Asia occidentale la contaminazione dell’aria ambiente dalle polveri eoliche può agire sulla mortalità e in Paesi a basso reddito l’inquinamento domestico può influire sui decessi anticipati.

Valutazioni. Le precondizioni broncopolmonari e cardiovascolari, tra cui ipertensione, diabete, malattia coronarica, cardiomiopatia, asma, BPCO e malattie acute delle vie inferiori, tutte influenzate negativamente dall’inquinamento atmosferico, portano a un rischio più elevato in Covid-19. Il rischio di decesso aumenta con l’età, >70 anni. Le frazioni di mortalità per Covid-19 attribuita all’inquinamento atmosferico dato dai combustibili fossili vede il mondo articolato in tre fasce: Asia orientale (15), Nord America (14), Europa (13); Asia del sud (7), Asia occidentale (6); Sud America (3), Africa (2), Oceania (1); mediamente nel mondo (8).

Lo studio suggerisce che l’inquinamento atmosferico è un importante cofattore che aumenta la mortalità dal Covid-19 (1) .

Bibliografia. 1-ESC European Society of Cardiology Cardiovascolar Research Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg.2247-2253. Contributi regionali e globali dell’inquinamento atmosferico al rischio di morte per COVID-19. A. Pozzer, F. Dominici, A. Haines, C. Watt, T. Munzel e J. Lelieveld2020; 2- Cardiovascolar Research “Informazioni supplementari” Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg,2247-2253. Stima delle percentuali di mortalità da COVID-19 attribuite all’inquinamento atmosferico da tutte le fonti antropogeniche; 3- The Lancet.com Vol. 396 17 ottobre 2020; 4- Inquinamento atmosferico e morte del caso di SARS nella Repubblica Popolare Cinese: uno studio ecologico. -Salute ambientale. Cui Y, Zhang Z-F, Froines G, Zhao J, Whang H, Yu S-Z, Detels R; 5-L’inquinamento atmosferico può essere considerato un co-fattore nell’altissimo livello di letalità SARS-CoV-2 nel Nord Italia? E. Conticini, B. Frediani, D. Cario, Inquinamento ambientale. Volume 261, giugno 2020, 114465; 6-Esposizione all’inquinamento atmosferico e alla mortalità da COVID-19 negli Stati Uniti: una analisi nazionale, studio trasversale. Xiao Wu, Rachel C Nethery, M Benjamin Sabath, Danielle Braun, Francesca Dominici; 7-Correlazione spaziale dell’inquinamento atmosferico da particolato e del tasso di mortalità di COVID-19, Yao Y, Pan J; Wang W, Liu X, Kan H, Meng X, Wang W, Università Fuban, Shangai, Cina, 2020.

Aldo Di Giulio

https://lexambiente.it/materie/aria/170-dottrina170/16029-aria-inquinamento-atmosferico-e-covid-19.html

Covid, la ricerca: l’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezione

Lo studio del Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria sulla popolazione adulta della città di Varese

Varese – L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV-2: lo suggerisce una ricerca condotta da Epimed, il Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria i cui risultati sono pubblicati oggi online sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, del gruppo editoriale Bmj.

Lo studio, relativo alla popolazione adulta della città di Varese (62.848 persone), seguita nel tempo da inizio pandemia a marzo 2021, segnala un aumento del 5 per cento nel tasso di infezione per incremento di un microgrammo/metrocubo di PM2.5, 294 casi in più ogni centomila persone/anno. Fin dall’inizio del periodo di pandemia è stato osservato – anche in Italia – che le aree più esposte all’inquinamento atmosferico erano anche quelle con tassi di infettività da SARS-CoV-2 più elevati. Queste osservazioni erano basate principalmente su dati aggregati, come livelli medi di inquinanti atmosferici e numero di casi di Covid-19 per provincia, ed erano limitate alle primissime fasi della pandemia. Sebbene importanti per identificare primi segnali di associazione, avevano bisogno di conferma da studi più robusti, con dati su singoli individui e su orizzonti temporali più lunghi.

Spiega Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro: “Nel nostro studio abbiamo seguito prospetticamente nel tempo ogni adulto residente nella città di Varese, l’ottava città più grande della Lombardia, vicino al confine con la Svizzera, dall’inizio del periodo di pandemia (febbraio 2020) fino a marzo 2021. Per poter realizzare questo, è stato necessario uno sforzo collettivo che ha coinvolto non solo l’Università di Varese e Como e quella di Cagliari; ma anche l’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia e l’Agenzia regionale Aria, che hanno fornito i dati sanitari; e Arianet, una società privata leader nel campo delle modellizzazioni degli inquinanti ambientali, che ha messo a disposizione i dati sull’esposizione ambientale di lungo periodo”.

Dopo aver preso in considerazione molte delle caratteristiche cliniche e demografiche che possono aumentare la suscettibilità a SARS-CoV-2 oltre all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico, i risultati indicano che l’aumento di un microgrammo/metro cubo nel livello medio annuo di PM2.5 era associato ad un aumento del 5% dei tassi di infezione, corrispondente a 294 ulteriori casi di positività da Covid-19 per 100mila abitanti/anno. Relazioni simili valgono per altri inquinanti, come PM10, NO e NO2. Questi valori sono ancora più sorprendenti se si considera che l’esposizione media annua a PM2.5, PM10, e NO2 a Varese per l’anno 2018 (usato per le analisi) era sostanzialmente inferiore ai limiti di legge per la media annua di tali inquinanti. Sottolinea il professor Marco Ferrario, autore senior del lavoro: “È noto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari, attraverso l’infiammazione persistente e compromissione dell’immunità. Presumibilmente, gli stessi percorsi sono coinvolti nel legame tra inquinamento atmosferico ed incremento nei tassi di infezione da Covid-19». E aggiunge: «I nostri risultati da soli non sono in grado di stabilire il nesso di causa-effetto, ma forniscono la prima solida prova empirica in merito al legame finora solo ipotizzato che collega l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico con l’incidenza di Covid-19. Per questo meritano una futura generalizzazione in diversi contesti”. 

Il team di ricerca – composto dai professori Giovanni Veronesi, Sara De Matteis, Giuseppe Calori, Nicola Pepe, Marco Ferrario – è quindi già al lavoro per espandere lo studio, estendendolo all’intera provincia di Varese, a tutto l’anno 2021 e comprendendo anche altri endpoint, quali le ospedalizzazioni e i decessi da Covid19.

https://www.ilgiorno.it/cronaca/covid-inquinamento-1.7236472

Inquinamento e COVID-19: cosa sappiamo

PUBBLICATO IL 25 MAGGIO 2020

Sempre più numerosi studi osservano una correlazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e i numeri dell’epidemia COVID-19. Uno studio del San Raffaele prova spiegarne il meccanismo.

Diversi studi suggeriscono che tra le aree geografiche maggiormente colpite dalla pandemia di COVID-19 a livello mondiale (sia in termini di diffusione del virus che in termini di gravità dei sintomi e prognosi della malattia) ci siano quelle con il più alto tasso di inquinamento atmosferico.

Sappiamo che l’inquinamento atmosferico ha un ruolo nell’esacerbazione di diverse malattie infettive e croniche del tratto respiratorio. Ma è così anche per COVID-19? E se sì, attraverso quale meccanismo? 

Uno studio del San Raffaele, appena pubblicato sul Journal of Infection, indaga il fenomeno in Italia e propone per la prima volta un meccanismo biologico in grado di spiegare il ruolo dell’inquinamento atmosferico.

Lo studio è stato coordinato da Antonio Frontera, cardiologo dell’Unità di Aritmologia ed Elettrofisiologia Cardiaca, e George Cremona, primario del servizio di Pneumologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Cos’è il particolato atmosferico e perché fa male

L’inquinamento atmosferico è caratterizzato dal particolato, l’insieme delle cosiddette polveri sottili presenti nell’aria che respiriamo ogni giorno. A seconda del loro diametro (che può anche essere inferiore ai 2,5 millesimo di millimetro), queste particelle sono in grado di penetrare a diverse profondità dell’apparato respiratorio, danneggiando i tessuti e indebolendo le difese immunitarie.

Come conseguenza, è stato dimostrato che l’esposizione cronica al particolato, anche a bassi livelli, è associata a maggiore incidenza e maggior gravità di diverse malattie: 

  • respiratorie croniche (asma, bronchite, tumori polmonari);
  •  infettive (per esempio, l’influenza).

L’insieme di questi fenomeni rende l’inquinamento atmosferico responsabile, secondo il nuovo report sulla qualità dell’aria in Europa da parte dell’European Environment Agency (EEA), di oltre 370.000 morti premature all’anno.

Il potenziale legame tra particolato e COVID-19

Il team di ricercatori del San Raffaele ha analizzato il numero dei ricoveri di pazienti Covid in terapia intensiva in tutta Italia e il relativo tasso di mortalità, correlando questi dati con i livelli di inquinamento atmosferico nelle diverse regioni, in particolare la concentrazione di PM2.5 (il particolato più fine e pericoloso) nel mese di febbraio 2020, poco prima dello scoppio dell’epidemia.

I dati sulla popolazione sono stati forniti dalla Protezione Civile (aggiornati al 31 marzo 2020), mentre quelli relativi alle emissioni di inquinanti atmosferici provengono dal servizio Air-matters, che raccoglie dati di inquinamento da tutto il mondo.

“Secondo i risultati dello studio le regioni più colpite sono quelle che hanno un livello più alto di particolato: prima fra tutti la Lombardia, con 35 microgrammi per metro cubo di PM2.5, oltre 43.000 casi e 7.000 morti, seguita da Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, e così via a scendere,” spiega George Cremona.

In letteratura, tale disparità geografica nel numero dei casi viene spiegata sulla base del fatto che l’elevato livello di inquinanti può in qualche modo favorire la trasmissione aerea del virus, allungando la distanza minima necessaria per il contagio.

“L’idea che il particolato possa funzionare da trasportatore per virus e batteri è già stato suggerito in passato e ora viene ipotizzato anche per SARS-CoV-2, ma è tutto da dimostrare” specifica Frontera, primo autore dello studio. 

L’ipotesi, però, non spiegherebbe l’alto tasso di mortalità nella aree più inquinate, solo il maggior numero di infetti. Un fenomeno osservato anche negli Stati Uniti da un gruppo di Harvard, la cui ricerca è però ancora in attesa di pubblicazione e non è quindi stata sottoposta a peer-review. 

L’ipotesi sul ruolo dell’inquinamento atmosferico

Per spiegare i risultati di incidenza e mortalità di COVID-19 nelle aree più inquinate i ricercatori del San Raffaele hanno avanzato un’ipotesi innovativa, che prevede due meccanismi congiunti. 

Il primo meccanismo mira a spiegare perché le popolazioni più esposte ad inquinamento sono quelle in cui si è registrato il maggior contagio e si basa sul fatto, già dimostrato in laboratorio sui topi, che l’esposizione cronica al particolato PM2.5 è associata a una iper-espressione polmonare di ACE-2, il recettore noto per essere “la chiave di accesso” del nuovo coronavirus nelle nostre cellule. 

L’ipotesi è che questa sovra-espressione del recettore di accesso renda più facile infettarsi a parità di carica virale e, a seconda della quantità di recettori ACE-2 presenti, possa essere responsabile di forme poco sintomatiche fino alle forme di malattia più grave.

Il secondo meccanismo ipotizzato, sul quale però non ci sono evidenze al momento, potrebbe invece spiegare l’elevata mortalità nelle zone più inquinate ed è legato alla presenza di alti livelli di biossido di azoto, NO2, un altro inquinante gassoso presente in atmosfera. 

“Come è noto nella pratica clinica infatti, un’intossicazione da NO2 è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle forme gravi di COVID19 – spiega Frontera -. 

La nostra ipotesi è che gli effetti di alti tassi di NO2, anche se non equivalenti a un’intossicazione, possano sommarsi all’azione infiammatoria dovuta al virus, rendendo la manifestazione della malattia più aggressiva. Si tratta solo di un’ipotesi per ora, che andrà confermata da successivi studi.”

https://www.hsr.it/news/2020/maggio/inquinamento-coronavirus

Dopo aver letto questi articoli, auspico in una presa di coscienza ambientale sul tema inquinamento atmosferico, unita ad una importante risposta popolare della cittadinanza vastese a tutela della propria salute, che è l’aspetto più importante da salvaguardare, perché senza di essa non esisterebbe la vita, che dovrebbe essere intesa sempre come uno sforzo di gruppo, anche se l’attuale pandemia di COVID19 ci ha reso tutti più egoisti e menefreghisti, ognuno ormai ragiona per sè, pur di salvarsi la pelle. Mi aspetto che presto, come me, inizino a fare pressioni insistenti sull’attuale amministrazione Menna, in modo che quest’ultima, prenda tutta una serie di concreti provvedimenti atti ad adottare una mobilità più sostenibile, disincentivando concretamente l’utilizzo dell’automobile a diesel, dare maggiori incentivi ai cittadini per passare ad auto e bici elettriche, creare un sistema di piste ciclabili che dovranno andare a formare una Rete Integrata alla Mobilità Sostenibile, in modo da contenere concretamente le suddette sostanze inquinanti, a tutela della salute pubblica dell’intera comunità vastese.

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila, tecnico sportivo CSEN Abruzzo

DECRETO CARO BOLLETTE FIAB E CICLOATTIVISTI: “GLI 8 MILIARDI DESTINATI ALL’AUTOMOTIVE SIANO DESTINATI A TRANSIZIONI VERSO MOBILITA’ A ZERO EMISSIONI”

Nel Consiglio dei Ministri del 18 Febbraio è stato approvato il decreto-legge c.d. “Caro-bollette”, all’interno del quale si prevede lo stanziamento di un miliardo di euro all’anno fino al 2030 a sostegno del settore automotive. In risposta a quello che rischia di essere l’ennesimo atto di greenwashing da parte del governo Draghi e dei ministri Giorgetti e Cingolani, le associazioni ambientaliste e i movimenti per la mobilità attiva e sostenibile (v. elenco firmatari) dichiarano quanto segue:

“Ancora una volta i ministri Giorgetti e Cingolani dimostrano di non avere ben chiaro quali dovrebbero essere le priorità dell’Italia in tema di trasporti e transizione ecologica”.

L’Italia, firmataria dell’accordo di Parigi e co-host dell’ultima conferenza sul clima, non sta facendo abbastanza per ridurre rapidamente le emissioni di gas effetto serra. I fondi del PNRR per la transizione ecologica sono pochi e male allocati. 

Il decreto caro-bollette risponde all’aumento dei prezzi del gas non riducendo, ma incrementando la dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili, proprio nel momento in cui questa dipendenza ci rende geopoliticamente vulnerabili, come evidenziato dall’indisponibilità dell’Italia a sanzionare la Russia tagliando le importazioni di gas. La stessa logica sottende le misure relative al settore dei trasporti incluse nel decreto legge. 

Gli 8 miliardi di euro stanziati dal decreto caro-bollette equivalgono al totale dei fondi destinati nel PNRR al settore della mobilità sostenibile: secondo un’analisi di Kyoto Club e Transport & Environmentsarebbero state necessarie risorse cinque volte maggiori. Se ci fossero ulteriori risorse da investire sui trasporti dovrebbero essere prioritariamente destinate a una profonda e rapida decarbonizzazione del settore, promuovendo modalità di trasporto che ci allontanino progressivamente dalla centralità dell’automobile e del motore endotermico: ciclabilità, pedonalità, trasporto pubblico elettrico locale su gomma e rotaia, sharing mobility elettrica.

Malgrado gli alti livelli di congestione, l’aria avvelenata delle nostre città e il budget di CO2 sforato da tempo, continuiamo a parlare di incentivi per le auto endotermiche. Il ministro Giorgetti ha dichiarato che il MISE vorrebbe far accedere agli eco-incentivi anche le auto fino a 135gCO2/km: questo vuol dire destinare i soldi dei contribuenti a tecnologie  obsolete e inquinanti come le “mild hybrid” e le auto a diesel e a benzina.

Se si vuole discutere seriamente di “riconversione e riqualificazione” del comparto automotive, e soprattutto di transizione ecologica, il governo italiano deve invece: 

1) Aumentare in modo sostanziale gli investimenti in infrastrutture e politiche per la mobilità attiva (bici, piedi) e condivisa (TPL, sharing mobility), prima ancora di intervenire sul comparto automotive.

2) Fissare come obiettivo quello di abbattere in modo rapido il tasso di motorizzazione (almeno dimezzandolo nel medio termine), accompagnando l’industria italiana verso una mobilità adatta al 21° secolo e che risponda all’emergenza climatica e a quella dell’inquinamento dell’aria.

3) Destinare le risorse ora pensate  per gli eco-incentivi a sostenere invece lo shift modale nelle città italiane: il governo potrebbe istituire un fondo presso il MITE o il MIMS al quale le amministrazioni comunali e regionali possano accedere per finanziare programmi di riduzione del tasso di motorizzazione. Ad esempio, incentivando chi, rottamando un’auto inquinante, la sostituisce con altro mezzo di trasporto sostenibile (cargo bike, e-bike) o accetta in cambio un pacchetto di abbonamenti pluriennali al trasporto pubblico e ai servizi di sharing per il proprio nucleo familiare.”

Coordinamento Associazioni e Movimenti Cicloattivisti e Ambientalisti

FIRMATARI (in ordine alfabetico): 

  • Bike4City Aps
  • Bikeitalia.it
  • Bike to school Asd
  • Ciclostile – ciclofficina popolare del Centro Sociale Bruno di Trento
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  • Clean Cities Campaign
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IN ITALIA AUMENTA TUTTO, TRANNE CHE GLI STIPENDI AI LAVORATORI!

Vasto (CH) lì 2 Novembre 2021 ore 18.43

Amici ed amiche, buonasera a tutti voi. In questo articolo desidero riportare alla vostra attenzione un altro problema serio che si sta manifestando in tutta la sua pericolosità in Italia, specie da quando abbiamo a che fare on multinazionali del petrolio che non ne vogliono ancora sapere di adeguarsi con gli obiettivi del New Green Deal https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it e con gli obiettivi di Agenda 2030 https://unric.org/it/agenda-2030/ https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/ e quelli di altri protocolli ambientali vigenti relativi al taglio delle emissioni di CO2 pari al 40% che si era già chiesto in occasione del Protocollo di Kyoto in Giappone nel 1997: faccio riferimento ai nuovi aumenti di bollette energetiche di luce, gas ed acqua pari al 40%, aumenti ai quali saranno interessati tutti coloro che hanno sottoscritto un contratto energetico a mercato libero e non tutelato, io ed i miei genitori abbiamo sottoscritto tutti i contratti energetici a mercato tutelato per cui avremo i prezzi bloccati ancora per un bel pò. Con la pandemia di COVID19 ancora a farci compagnia, gli aumenti stanno già interessando anche i barili di petrolio, arrivato a 45 dollari il barile e questo si è ripercosso inevitabilmente sui prezzi stabiliti dalle compagnie petrolifere attualmente sul mercato: qui in Italia il prezzo di diesel e benzina sono aumentati in una maniera spaventosa: il diesel ha toccato quota 1,60€/litro e la benzina quota 1,80€/litro, quindi significa che l’Italia è l’unico Paese dell’Eurozona che ha i prezzi più alti di tutti gli altri, è semplice! Giorni fà mi sono imbattuto personalmente in un Twitter di un improbabile politicante da strapazzo, da Monopoli che asseriva: “se non ci fosse stato l’Euro in Italia, la benzina sarebbe arrivata a 2€/litro”, ma con tutto che siamo nell’Eurozona, la benzina è arrivata a 1,80€/litro, quindi siamo lì, che cambia! Quale categoria verrà colpita per prima dagli aumenti dei prezzi delle bollette e della benzina? Ma naturalmente i lavoratori, tanto pagano sempre gli stessi stronzi, paga sempre chi sta alla base della catena, si devono sempre pagare le decisioni antiambientaliste di aziende e multinazionali!!! Gli aumenti del diesel e della benzina si sono manifestati dopo che il nuovo Ministero della “Transizione Ecologica” del Ministro Cingolani ha dovuto ascoltare le aziende produttrici di petrolio greggio che si sono opposte al nuovo adattamento di conversione energetica, sfruttando energie rinnovabili invece delle non rinnovabili, quindi i nuovi aumenti, come al solito, si ripercuoteranno verso i lavoratori che alimentano tutti i giorni il fenomeno del pendolarismo, fenomeno che da anni imperversa in Italia e nato da una voluta cattiva organizzazione del lavoro, sia nei contesti delle Pubbliche Amministrazioni, sia in quelli dei privati. Per quanto mi riguarda, in teoria i lavoratori dovrebbero essere sempre messi nella migliore condizione di esprimere al meglio il proprio rendimento sul lavoro, creando le condizioni ideali per farli lavorare il più possibile nel luogo in cui si vive o di residenza, non essere sbattuti come dei pacchi postali qui e là tra un comune e l’altro, come la ASL 2 Abruzzo sta facendo da 8 mesi con mia madre, impiegata coadiutore amministrativo categoria B, una semplice impiegata non asservita alla politica portata all’estremo attualmente vigente in questa regione che ormai da romano ho imparato ad odiare con tutto me stesso per come è amministrata molto male e per l’indecente clientelarismo da anni vigente qui e che mai nessuno riuscirà a rimuovere con un colpo di spugna. Mia madre è stata sbattuta a Lanciano dalla sua nuova dirigente dall’Ospedale SS Annunziata di Chieti, dirigente egoista e indecente, che io da mesi equiparo ad una Gerarca Nazista per la decisione indegna che ha riservato a mia madre: da 8 mesi è costretta a viaggiare da Vasto a Lanciano con automezzo proprio senza che la ASL stessa le avesse previsto alcun tipo di indennizzo chilometrico, per ben 90 km andata e ritorno e a lungo andare, questa è una situazione insostenibile e per evitare ! Lei purtroppo non è l’unica in Abruzzo ed in Italia ad alimentare questo assurdo fenomeno al quale io sicuramente farei di tutto per mettergli un freno ed abolirlo all’istante, ma io purtroppo non faccio parte della politica che conta e neanche voglio vendermi ad essa, se il prezzo da pagare poi è la vendita dell’ultimo briciolo di dignità che mi è restato da difendere. Per ora sarò costretto ad agire nell’ombra, come l’Innominato dei Promessi Sposi di Manzoni, poi a tempo debito, uscirò allo scoperto non c’è problema, il prossimo anno è vicino! Resterò qui a Vasto per tutta la durata della pandemia, dopo di essa starà a me decidere se restare o se andare via, baderò ovviamente alla mia convenienza, perché prima vengo io, poi gli altri, proprio per questo non mi sono vaccinato e mai lo farò, anche se la vaccinazione divenisse obbligatoria, perché per come sono stato reso al momento, non sono più italiano e quindi non sono assoggettato alla giurisdizione italiana, io da sempre sono un cittadino del Mondo, anche se all’estero non ci sono mai potuto andare!

Adesso vi mostro un video youtube relativo al costo della benzina in Spagna in autostrada, video realizzato il 23 Ottobre scorso da Lorenzo Lambrughi, meglio conosciuto come Lambrenedetto, ex-leghista che votava per Salvini e quando ha visto che il “cinghialone carnivoro milanese” non manteneva mai la parola data, come tutti i politici del resto, ha iniziato a dissociarsi dalla politica e all’astenersi dal voto, come sto facendo io ormai dalle regionali abruzzesi del 2019, non voto più da allora, sono al momento tre anni e penso continuerò così ancora per molti anni! Ecco a voi il Lambrenedettone nazionale, stranamente in questo video non incazzato come dovrebbe essere!

https://www.youtube.com/user/lambrenedettoxvi

Io ritengo che per diminuire il costo della benzina, l’unico modo sarebbe quello di sfruttare il nostro potere di consumatori, mi spiego meglio, è tutto legato ad una legge di domanda ed offerta a livello di mercato economico: durante il periodo del lockdown tra Marzo e Maggio 2020, il costo della benzina era sceso talmente in modo considerevole che era arrivata a 1,20€/litro e questo perché per motivi legati alle retrizioni governative sono state impedite tutte le forme di mobilità tramite mezzi a motore, le macchine sono restate nei garage o all’esterno nei cortili delle case degli italiani, per cui ne deduciamo che meno si usano le automobili e meno costa la benzina quando si va dal distributore a mettere 20€ o fare il pieno. Io pongo a voi questa semplice domanda: per quale motivo oggi la benzina in Italia è arrivata a 1,80€/litro? E’ soltanto colpa come sempre delle multinazionali del petrolio, del nuovo Ministero della Transizione Ecologica di Cingolani, delle aziende petrolifere tutelate dalle Sette Sorelle petrolifere o da Confindustria o di noi consumatori che non vogliamo utilizzare razionalmente l’automobile solo per gli spostamenti indispensabili all’interno delle nostre città? Vi siete chiesti per quale motivo l’inquinamento atmosferico è aumentato di nuovo a dismisura da dopo il lockdown di Marzo-Maggio 2020 nella Pianura Padania ed anche in tutte le maggiori metropoli italiane dove, guarda caso, vengono utilizzate in maniera smodata automobili berline, SUV, furgoni, caravan, camion e TIR? Veramente pensate ancora che il problema sono solo le multinazionali del petrolio? Il problema sono le vostre abitudini ed io posso scriverlo, perché ho mandato a fare in culo l’auto privata da sempre, non la uso mai per spostarmi in città, mi sposto soltanto a piedi ed in bicicletta, così non emetto inquinanti, non inquino l’aria della mia città e, fattore più importante di tutti questi, tutelo la mia salute!

https://www.cnr.it/it/comunicato-stampa/9702/l-inquinamento-in-italia-durante-il-lockdown

https://www.filodiritto.com/pandemia-e-inquinamento-gli-effetti-del-covid-su-emissioni-di-co2-e-gas-serra

https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/smog-con-il-lockdown-piu-bassi-i-livelli-di-pm-10-e-benzene-in-italia-0ed2197a-7bac-44e9-8b62-4e1a01ecae8a.html

Gli impatti della pandemia sull’ambiente (cioè su tutti noi)

https://www.milanotoday.it/attualita/aumento-inquinamento.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/08/inquinamento-e-lockdown-il-calo-del-traffico-impatta-sulla-qualita-dellaria-chi-lo-nega-fa-disinformazione/5763568/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/17/coronavirus-lo-studio-smog-e-polveri-sottili-hanno-accelerato-la-diffusione-di-sars-cov2/5739565/

https://www.tgcom24.mediaset.it/green/inquinamento-gi-finiti-gli-effetti-benefici-del-lockdownsullambiente_22657795-202002a.shtml

Dott. Alessio Brancaccio Università dell’Aquila-CSEN Abruzzo settori Ecorunning/Mountain Fitness e Cicloturismo Sportivo