WWF Abruzzo

DOSSIER D’INCHIESTA DI ALESSIO BRANCACCIO SULLO STATO DEI PARCHI NAZIONALI, PARCHI REGIONALI E RISERVE NATURALI D’ABRUZZO IN ITALIA

Vasto (CH), lì 29 Dicembre 2023 ore 22.28

Buonasera a tutti e a tutte voi, ma per me stasera non è tale per l’ennesimo colpo al cuore dopo aver appreso la notizia dell’emendamento adottato dalla Regione Abruzzo per cancellare la Riserva Naturale del Borsacchio sita a Roseto degli Abruzzi vicino Teramo. Alla luce delle indegne politiche di tagli indiscriminati alle superfici naturali delle aree protette o legate all’abbattimento della fauna selvatica portate avanti o dalla Presidenza della Giunta Regionale dell’Abruzzo di centro-sinistro D’Alfonso o di centro-destra Marsilio, quando si ha a che fare con dei mafiosi criminali si deve dare loro una risposta ferma, integerrima, forte e perentoria, pertanto ho deciso di lavorare personalmente ad un dossier d’inchiesta sullo stato di tutti i parchi naturali nazionali composti da Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM) con sede amministrativa sita a Pescasseroli (AQ), Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, con sede amministrativa sita ad Assergi (AQ) e Parco Nazionale della Maiella, con sede amministrativa sita a Caramanico Terme (CH), dell’unico parco naturale regionale che abbiamo in Abruzzo, il Parco Regionale Sirente-Velino, con sede amministrativa sita a Rocca di Mezzo (AQ) e di tutte le riserve naturali guidate, come quella del Monte Salviano ad Avezzano e di tutte le riserve naturali orientate, come quella del Monte Velino a Magliano dei Marsi, un dossier da presentare al programma di protezione mondiale Man And Biosphere (MAB) delle Riserve della Biosfera gestito direttamente dall’UNESCO, una nuova forma di conduzione e gestione delle aree protette che non si limita soltanto a tutelarle dal punto di vista prettamente naturalistico in senso stretto, ma anche dal punto di vista architettonico, archeologico e turistico, inglobando all’interno di queste aree naturali sottoposte a protezione speciale Siti di Importanza Comunitaria (SIC) o Zone a Protezione Speciale (ZPS) vigenti all’interno della legge europea Rete Natura 2000, anche siti di particolare interesse archeologico e/o turistico, come ad esempio il Parco Archeologico Romanico di Alba Fucens, sito nel borgo omonimo a pochi km da Avezzano nella Marsica. Rendo da subito nota la proposta tecnica che io ed il Presidente dell’Associazione ERCI Team Il Salviano Sergio Rozzi avanzammo nel 2016 al MINAM, il Ministero dell’Ambiente del Perù, con cui ci interfacciavamo direttamente presso la sede dell’Ambasciata del Perù sita in via Paisiello nel quartiere Parioli a Roma, per tutelare tutti i parchi abruzzesi della Marsica, al fine di inglobare nella Riserva della Biosfera Marsica-Gran Sasso tutti i seguenti Parchi: Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Parco Regionale Sirente-Velino e la Riserva Naturale Guidata del Monte Salviano, in modo da annullare tutti gli atti ignobili che Regione Abruzzo, agricoltori e cacciatori, i primi supportati dal Triumvirato Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione Italiana degli Agricoltori, mentre i secondi sono supportati direttamente dalla Federcaccia, stanno portando avanti in Abruzzo per arrivare a cancellare gradualmente tutte le aree protette per riconvertire questi suoli naturali a suoli agrari da sfruttare attraverso agricoltura intensiva ome si praticava negli anni ’50 del Dopoguerra, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tutto questo per me è umanamente inaccettabile, perché la Regione Abruzzo, anche se è una regione a forte vocazione agricola e la principale attività di sussistenza è data dall’agricoltura, questo però non deve giustificare il fatto che il volano dell’economia abruzzese venga rappresentata solo ed esclusivamente dal contesto agricolo, questa regione può vivere anche di turismo sostenibile, ma per garantirlo sempre, si devono avere delle superfici protette intatte e lontane da continue speculazioni portate avanti dai soliti interessi di potentati economici che si oppongono alla protezione ambientale ed alla valorizzazione del turismo verde sostenibile, in una regione in cui sono state le varie politiche fallimentari sia di centro-sinistro che di centro-destra vigenti da sempre in Abruzzo a contrapporre tra loro la tutela ambientale e l’agricoltura, due aspetti che per me dovevano essere complementari, facce della stessa medaglia che potevano benissimo convivere insieme, ma in molti Presidenti di Regione questi aspetti li hanno messi volutamente contro per garantire i soliti interessi economici dei soliti potentati legati alla tutela dell’agricoltura intensiva e della caccia e questo non è decisamente salutare per la tutela dell’integrità dei nostri Parchi e Foreste, per questo sono anni che assieme a Mauro Corona sto richiedendo l’annullamento della Legge 19 Agosto 2016 n° 177 o Decreto Madia e la riabilitazione del Corpo Forestale dello Stato in Abruzzo ed in tutte le altre quattordici regioni italiane a statuto ordinario, proprio per tornare a garantire quel minimo di controllo e pattugliamento del territorio protetto atto a proteggere la flora e la fauna dei Parchi d’Abruzzo.

PARCHI NAZIONALI ABRUZZO

1. PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE (PNALM), SEDE OPERATIVA PESCASSEROLI (AQ), ABRUZZO

IL TERRITORIO

Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è costituito principalmente da un insieme di catene montuose di altitudine compresa tra i 900 e i 2.200 m s.l.m.

Le montagne del Parco presentano un paesaggio vario ed interessante in cui si alternano vette tondeggianti, tipiche dell’Appennino, a pendii dirupati dal tipico aspetto alpino. La zona centrale del Parco è percorsa dal fiume Sangro, al quale affluiscono vari torrenti; nella zona più esterna defluiscono, invece, le acque del fiume Giovenco, del Melfa, del Volturno e di altri fiumi.

A causa del fenomeno carsico, le acque scorrono spesso in letti sotterranei e formano risorgive a valle, talvolta anche fuori del territorio del Parco. All’interno del Parco esistono due bacini lacustri: il lago artificiale di Barrea alimentato dal fiume Sangro ed il lago Vivo di origine naturale. Quest’ultimo è situato in una depressione di origine tettonica posta a circa 1.600 m s.l.m. Essendo alimentato in parte da sorgenti proprie ed in parte dallo scioglimento delle nevi, le sue dimensioni seguono andamenti stagionali.

Il territorio del Parco è stato in passato modellato da fenomeni di giacialismo e carsismo, oggi testimoniati dalla presenza di circhi glaciali nella parte alta delle vallate, depositi morenici, rocce montonate lungo le valli, grotte, fenditure e doline. Le rocce del Parco sono per la maggior parte di natura calcarea. Nella zona della Camosciara è presente la dolomia, un tipo di roccia che contiene magnesio e che si ritrova nelle Dolomiti in Nord Italia, essendo impermeabile, permette all’acqua di scorrere in superficie dando luogo a pittoresche cascate e pozze d’acqua.

Nei rilievi più importanti, come il Monte Marsicano, la Montagna Grande, la catena del Petroso e della Meta, il Monte Greco, sono scolpiti in forma visibile i segni dei grandi eventi della storia della Terra, che hanno condizionato la morfologia del territorio fino ai nostri giorni. Là dove 160 milioni di anni fa si ergevano possenti scogliere coralline immerse in caldi mari tropicali, oggi possiamo ammirare imponenti massicci. Le acque meteoriche, sciogliendo il calcare con cui è stata “costruita” la roccia, penetrano nelle viscere dei monti, si arricchiscono di preziosi minerali e vanno a formare grandi emergenze situate alla base delle catene montuose. Notevoli e suggestive sono le sorgenti del Volturno, nei pressi di Rocchetta al Volturno o quelle di Posta Fibreno nell’alta Ciociaria, che nel contesto formano habitat acquatici di raro valore naturalistico.

Lungo i versanti e le valli del Parco si possono ammirare le impronte delle glaciazioni che hanno lasciato ai nostri giorni circhi glaciali, morene e massi erratici sui Monti della Meta, sul Marsicano e sul Greco. Ancora più emozionanti appaiono gli enormi fenomeni erosivi prodotti dalle acque piovane e dai fiumi che, fessurando la fragile roccia, forgiano profonde gole, come quella della Foce di Barrea, una forra spettacolare di 5 chilometri di lunghezza attraversata dal fiume Sangro che, dopo aver formato l’omonimo lago artificiale, fragorosamente raggiunge la pianura alluvionale tra Alfedena e Castel di Sangro, tra vertiginose pareti verticali.

La morfologia del territorio è molto complessa ed elaborata, per cui nel contesto dei rilievi montuosi si aprono ampi altipiani come la distesa di Pescasseroli o suggestivi pianori carsici come quello delle “Forme” in comune di Pizzone e quello di “Campitelli” in comune di Alfedena, incassati nella ripida cordigliera delle Mainarde.

Tuttavia, quando si arriva nel cuore del Parco grande è l’emozione provocata dall’impressionante anfiteatro naturale della Camosciara molto simile, nell’aspetto e nella struttura, alle montagne dolomitiche, che racchiude nel proprio contesto la zona di Riserva Integrale, in cui la protezione della flora e della fauna è totale: in questa zona non si devono mai rinvenire insediamenti antropici. Da qualche anno è stata abolita la strada provinciale che consentiva l’accesso all’area per circa 3 km al traffico motorizzato, con grande disturbo per la flora e la fauna selvatiche. Oggi, invece, partendo dall’area di sosta, situata a fianco della SS83 Marsicana, oltre la riva destra del Sangro, è possibile godere del grandioso scenario percorrendo un comodo itinerario a piedi, accompagnati dai suoni della natura e lontano dagli assordanti rumori delle auto, moto e pulman. La catena della Camosciara, insieme alle contigue Val di Rose e Valle Iannanghera rappresentano i luoghi del “culto” della natura protetta, dove si possono osservare con meraviglia a pochi metri di distanza e in ogni stagione, stupendi esemplari del Camoscio d’Abruzzo, che grazie all’opera dell’Ente Parco, ha raggiunto oggi una consistente popolazione.

Lungo i versanti, quasi sempre impervi, si dipartono innumerevoli e ripide vallate come la profonda incisione della Valle del Sagittario che, dopo vari chilometri di ripide strettoie, si apre nella conca di Sulmona; o come la profonda Val Canneto, nel versante laziale, dove la ricchezza delle acque e il clima particolarmente umido ne fanno una delle valloni più ricchi di vegetazione forestale.

Il versante nord-ovest del Parco si affaccia nell’immenso altopiano lacustre del Fucino, prosciugato dal principe Alessandro Torlonia nel 1877 e trasformato in una vasta pianura agricola, dopo la Riforma Fondiaria del 1951, ma recentemente sfruttata eccessivamente e degradata con l’aggravante massiccio inquinamento da pesticidi.

In questo versante la natura del Parco assume forme altrettanto caratteristiche, anche se diversificate rispetto all’Alto Sangro, con la splendida Vallelonga dagli infiniti itinerari che si perdono nei tramonti incantevoli della vastità dei Prati d’Angro; la ridente Valle del Giovenco dai climi miti e favorevoli per la coltivazione di gustosi fruttiferi; la Cicerana con le sue belle faggete alternate ad ampie radure, abitualmente frequentata dall’Orso ma che negli anni ’60 del secolo scorso, sull’onda di una malintesa valorizzazione turistica, è stata oggetto di speculazioni edilizie. La pregiata area è stata successivamente riscattata dall’Ente Parco, con la demolizione di quelle strutture estranee e deturpanti.

Homepage sito ufficiale Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM) https://www.parcoabruzzo.it

Parco e Rete Natura 2000

La Rete Natura 2000 è un sistema di aree ad elevata valenza naturalistica, con una gestione omogenea del territorio naturale e seminaturale degli Stati membri dell’UE, formato dall’insieme dei SIC, Siti di Importanza Comunitaria (che al termine dell’iter istitutivo saranno designati come ZSC – Zone Speciali di Conservazione) e delle ZPS, Zone di Protezione Speciale.
Essa deve garantire la presenza, il mantenimento e/o il ripristino di habitat e di specie peculiari del continente europeo, particolarmente minacciati di frammentazione e di estinzione e costituisce la principale iniziativa europea volta al mantenimento della biodiversità negli Stati Membri.
L’individuazione dei Siti è stata realizzata in Italia dalle Regioni e Province autonome, con il coordinamento del Ministero dell’Ambiente.
Il principale carattere innovativo della Rete Natura 2000 è rappresentato dalla valorizzazione della funzionalità degli habitat e dei sistemi naturali con una valutazione, oltre che della qualità attuale del sito, anche della potenzialità che gli habitat hanno di raggiungere un livello di complessità maggiore.
In tal senso la Direttiva Habitat 92/43/CEE, prende in considerazione anche siti attualmente degradati nei quali gli ecosistemi presenti abbiano comunque conservato un’efficienza funzionale tale che permetta loro di ritornare verso forme più evolute mediante l’eliminazione delle cause di degrado.
Affinché i vari Paesi siano in grado di attuare adeguate politiche di tutela all’interno della Rete Natura 2000 e rispondere così agli obblighi di conservazione dei propri siti e prevenzione del loro deterioramento, è prevista la possibilità di cofinanziamenti comunitari destinati alla realizzazione di investimenti in infrastrutture, attività, staff e istituzioni.
Il Piano di Gestione costituisce lo strumento attraverso cui sono programmate e regolamentate le attività all’interno del SIC, e la sua redazione è propedeutica anche per l’accesso ad eventuali finanziamenti regionali e comunitari.
Lo scopo cardine del Piano è quello di integrare all’interno del SIC gli aspetti più schiettamente naturalistici con quelli socio-economici ed amministrativi mantenendo in uno “stato di conservazione soddisfacente” il patrimonio di risorse di biodiversità, rappresentato dagli habitat e dalle specie di interesse comunitario.
Lo stato di conservazione è considerato “soddisfacente” quando l’area di distribuzione degli habitat o delle specie sia stabile o in espansione e le condizioni ambientali siano tali da garantirne la presenza e la permanenza a lungo termine.
Secondo la normativa vigente, il Piano di Gestione comprende la descrizione e la valutazione delle valenze naturalistiche, delle minacce e delle criticità, la definizione degli obiettivi e delle strategie gestionali, le indicazioni per la gestione del sito.
Nell’ambito di questo quadro generale, la Regione Abruzzo ha erogato agli enti gestori della rete Natura 2000 ricadenti nel territorio di propria competenza le risorse finanziarie per la redazione dei Piani di Gestione attraverso la Misura 323 del Programma di Sviluppo Rurale della Regione Abruzzo, PSR 2007-2013 – “Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale” (pubblicata sul BUR Abruzzo BURA n° 13/2001 del 18/02/2011).
Nella redazione del presente Piano di Gestione si è pertanto tenuto conto di quanto previsto dalla suddetta Misura con particolare riferimento all’Allegato 2 “indicazioni per la redazione dei Piani di Gestione dei SIC e ZPS” e all’Allegato 4 “linee guida per la redazione dei piani di gestione dei siti natura 2000 nella Regione Abruzzo”, del Manuale per la Gestione dei Siti Natura 2000 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, della pubblicazione “La gestione dei siti della Rete Natura 2000”.
Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva «Habitat» 92/43/CEE” della Comunità Economica Europea. Sono state inoltre consultate le pubblicazioni e le linee guida dell’ISPRA (ex INFS) sulle specie e sugli habitat elencate negli Allegati della Direttiva Habitat.

Uno scorcio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM)

LA FLORA DEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO LAZIO E MOLISE (PNALM)

“Nella meravigliosa oasi verde che oggi costituisce il Parco Nazionale d’Abruzzo, il visitatore trova estasiato e felice una grande ricchezza di piante, un superbo rigoglio di vegetazione.” 

Con queste parole l’illustre botanico Romualdo Pirotta celebrava all’inizio del secolo scorso il valore della flora delle montagne del Parco. La flora del Parco, è così ricca ed interessante, da essere stata, da sempre, oggetto di studio Complessivamente è possibile elencare circa 2.000 specie di piante superiori senza cioè considerare i muschi, i licheni, le alghe ed i funghi.
Tra le peculiarità floristiche, spicca il giaggiolo (Iris marsica) un endemismo del parco, che cresce solo in alcune località e che fiorisce tra maggio e giugno.
Sono presenti inoltre numerose e variopinte orchidee, delle quali la più bella, grande e rara è senz’altro rappresentata dalla scarpetta di Venere o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), che fiorisce negli angoli più nascosti, tra maggio e giugno.

Un’altra rarità è senz’altro rappresentata dal pino nero di Villetta Barrea (Pinus nigra), una specie relitta risalente probabilmente al Terziario; si tratta di una varietà esclusiva del Parco, localizzata in alcune zone della Camosciara e della Val Fondillo. Tra le conifere spontanee, troviamo, inoltre, il pino mugo (Pinus mugo), un relitto glaciale che occupa la fascia vegetazionale tra la faggeta e la prateria di altitudine anch’esso localizzato prevalentemente nella zona della Camosciara.

Altra peculiarità del parco è rappresentata da una piccola stazione di betulle (Betula pendula), localizzata a Barrea in una località chiamata Coppo Oscuro. Si tratta di una specie relitta, tipica delle epoche glaciali quaternarie, che testimonia la vegetazione fredda un tempo predominante sull’Appennino.

Ma il paesaggio vegetale predominante del Parco è costituito dalle foreste di faggio: il nome scientifico di questa specie, Fagus syIvatica, ricorda l’origine spontanea di questa specie sulle montagne dell’Italia appenninica, dove la presenza dei faggi risale a decine di secoli fa. Il faggio è infatti l’albero più comune del Parco e generalmente cresce tra 900 e 1.800 metri di altitudine.
Le faggete occupano più del 60% dell’intera superficie del Parco e concorrono a creare un paesaggio ricco di colori che variano al trascorrere delle stagioni. La forma e la grandezza dei faggi varia in base all’altitudine, all’età e alle condizioni di fertilità del suolo. L’abbondante lettiera presente in faggeta svolge un’importante azione termoregolatrice: durante l’estate mantiene umido il suolo impedendone l’essiccamento, mentre d’inverno lo protegge dal gelo. Inoltre, decomponendosi grazie all’azione di insetti e microrganismi, contribuisce ad arricchire il terreno di humus. Dai rami dei faggi pendono inoltre, abbondanti ciuffi di “barba di bosco” (Usnea florida), un lichene tipico di questo ambiente dell’Appennino.
Il faggio manifesta una molteplicità di aspetti: da esemplari tozzi e plurisecolari, con chioma a forma di candelabro ad alberi dal fusto alto e diritti come ceri.
Questi alberi, se potessero parlare, racconterebbero storie lunghe e complesse, fatte di pesanti interventi da parte dell’uomo, con tagli e disboscamenti irrazionali avvenuti sin dalle epoche più remote.
Ma il periodo più difficile per questi boschi fu quello del cosiddetto ‘miracolo economico’, in cui ebbero il sopravvento i tagli di tipo industriale. Grazie l’impiego di mezzi e tecnologie più moderne, le foreste subirono una pericolosa distruzione che non andò a vantaggio delle popolazioni locali e della cultura forestale.

Nel Parco, tra il 1957 e il 1967, furono tagliate oltre 650.000 piante d’alto fusto.
Dal 1969, con la riorganizzazione dell’Ente, sono stati vietati tutti i tagli a uso industriale, stroncando cosi una vera e propria speculazione boschiva. Dopo anni di sfruttamento indiscriminato, le foreste dei Parco ora vengono conservate accuratamente al fine di riportarle, ove possibile, alla loro struttura originale, favorendo così sia la fauna – che cosi può riavere il suo ambiente naturale – sia l’uomo, cui consentono il godimento di spettacolari bellezze.
Oltre il limite delle foreste si incontrano il ginepro nano (Juniperus communis nana), di forma prostrata, e relitti della brughiera nordica come il mirtillo (Vaccinium myrtillus) e l’uva ursina (ArctostaphyIos uva-ursl), che rivelano la presenza, in tempi passati, di uno strato superiore di vegetazione a conifere.
Le praterie di altitudine – che insieme a prati e radure ricoprono oltre il 30% della superficie complessiva del Parco – sono tipiche della parte alta delle montagne e. occupano creste e sommità intorno ai 1.900-2.000 metri di quota. Qui la vegetazione è composta prevalentemente da diverse specie di Graminacee e Ciperacee cui si accompagnano nella bella stagione la gialla genziana maggiore e tantissime altre specie: genziane, genzianelle, primule, ciclamini, viole, anemoni, scilie, gigli, orchidee, sassifraghe, ranuncoli, asperule, dentarie, ofridi, ellebori, epatiche.
Particolarmente vistosi sono il giglio rosso (Lilium bulbiferum croceum), proprio di pendii assolati e asciutti, il giglio martagone (Lilium martagon), che cresce nelle faggete meno fitte, l’aquilegia (Aquilegia ottonis), abbondante nei pascoli e nei terreni incolti, la genziana appenninica (Gentiana dinarica), di un azzurro intenso, e la già citata Iris marsica.
Il fiore più famoso dei Parco è senza dubbio la scarpetta di Venere o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), un’orchidea gialla e nera localizzata nel cuore della riserva integrale e relitto di epoche lontane. Questa pianta, che cresce anche in località alpine, rischia l’estinzione a causa della vandalica quanto inutile raccolta da parte di turisti non educati; occorre quindi proteggerla adeguatamente.

Scarpetta di Venere (foto di: Valentino Mastrella)
Anacamptis pyramidalis (foto di: Valentino Mastrella)
Iris Marsica (foto di: Valentino Mastrella)
Campanula persicifelia (foto di: Valentino Mastrella)
Pinguicola (foto di: Archivio PNALM)

LA FAUNA DEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE (PNALM)

La fauna del Parco offre esempi di eccezionale valore, con specie che da sole potrebbero giustificare l’esistenza dell’area protetta

Il Parco ospita una grande varietà di animali che un tempo occupavano un areale assai più esteso nell’Appennino: 67 specie di mammiferi, 230 di  uccelli, 14 di rettili, 12 di anfibi, 15 di pesci, e 4.764 specie di insetti, comprendenti importanti endemismi.

Non è sempre facile avvistare gli animali, soprattutto i grandi mammiferi,  poiché sono per lo più elusivi; tuttavia in particolari circostanze o  stagioni dell’anno è possibile osservare anche gli animali più spettacolari e rappresentativi del Parco, come il camoscio appennico,  l’orso bruno marsicano, il lupo, il cervo e l’aquila reale.
La fauna, nella sua totalità, è preservata grazie all’opera educativa e di tutela svolta dall’Ente Parco.

GLI ANFIBI

Recenti ricerche effettuate nell’area del Parco hanno confermato la presenza di 10 specie di anfibi, tra i quali vanno segnalati la salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii) e la salamandrina settentrionale (Salamandrina perspicillata), entrambe localizzate in prossimità di faggete con presenza di pozze, ruscelli o fontanili.
Tra gli anfibi che rivestono particolare importanza, poiché divenuti rari sul territorio nazionale soprattutto a seguito dell’alterazione degli habitat, vanno segnalati l’ululone (Bombina pachypus), il tritone crestato (Triturus carnifex) e il tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris), specie molto localizzate nel Parco, spesso legate alla presenza di fontanili e abbeveratoi.
Gli anfibi più diffusi, sempre legati alla presenza dell’acqua, sono la rana italica (Rana italica) e il rospo comune (Bufo bufo), presenti soprattutto nelle valli meno fredde.

RAGANELLA ITALIANA

Raganella italiana (foto di: Angela Iannarelli)
Raganella italiana (foto di: Angela Iannarelli)

Hyla intermedia (Boulenger, 1882)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Ilidi (Hylidae)

Riconoscimento: La raganella italiana si differenzia facilmente da tutte le altre specie di anuri del nostro paese, tranne le altre raganelle, per il colore verde brillante uniforme dorsale, che talvolta può essere addirittura blu o viola. Il ventre è biancastro nettamente demarcato da una linea di colore dal grigio al beige; dall’occhio si diparte una evidente striscia nera laterale che si prolunga fino all’inserzione dell’arto inferiore e la forma delle zampe slanciate con le dita lunghe e terminanti con una ventosa ventrale. La lunghezza è di circa 4-5 cm. Le altre tre specie di raganelle presenti nel nostro paese sono geograficamente vicarianti e tutte assenti dal PNALM. I girini della raganella si riconoscono per la grande distanza tra i due occhi e per la cresta dorsale estesa ampiamente fino al capo.

Biologia ed ecologia: A differenza degli altri anuri del Parco, si arrampica sulla vegetazione utilizzando le zampe con dita a ventosa apicali. Ha vita prevalentemente terrestre e si reca in acqua solo nella fase della riproduzione. È difficilmente riscontrabile al di fuori del periodo riproduttivo. Anche in acqua si può arrampicare sulla vegetazione igrofila ed è particolarmente legata ad ambienti di stagni, piccole paludi e canali. Può anche riprodursi in invasi artificiali o abbeveratoi- fontanili, purché vi sia della vegetazione acquatica. Il maschio possiede un sacco vocale sotto la gola che, gonfiato, raggiunge quasi la grandezza del corpo. I maschi formano cori e richiamano le femmine emettendo un canto baritonale che si ode da lunghe distanze. L’amplesso è ascellare e la fecondazione esterna. Le femmine depongono alcune centinaia di uova. Cattura insetti terrestri al suolo e dalla vegetazione su cui si arrampica, soprattutto ditteri (mosche, zanzare e moscerini) e lepidotteri. I girini sono onnivori e sono predati da insetti acquatici, altri anfibi adulti e natrici. La riproduzione avviene a fine primavera in invasi d’acqua (pozze temporanee, laghi, canali, fiumi a corrente lenta). Sono animali molto attivi e scattanti e si nascondono prontamente nel fango o tra la materia vegetale del fondo al primo pericolo percepito. Possiedono, infatti, una buona vista e captano in modo efficace le vibrazioni dell’acqua. Fattori di minaccia: Hyla intermedia è tutelata da leggi regionali in tutti e tre i settori del PNALM. È una specie abbastanza comune, ma nel Parco non così diffusa né abbondante. In generale, i rischi di conservazione maggiori riguardano la trasformazione di piccole zone umide per motivi agricoli; l’inquinamento delle acque; la riduzione della vegetazione igrofila che costeggia gli stagni e gli altri corpi idrici; la pulizia in periodo estivo degli abbeveratoi. Tutto ciò vale in particolare nei settori di fondovalle o nelle zone più calde dei versanti meridionali del Parco, dove è maggiore la presenza antropica. Tuttavia, nel Parco non sono state individuate particolari minacce, anche se la specie può risentire negativamente della perdita di habitat dovuta ad inquinamento delle acque e sfruttamento delle stesse per uso agricolo, soprattutto in pianura.

Curiosità: Un tempo si diceva che il canto delle raganelle preannunciava la pioggia.    

Nel Parco: La raganella italiana è endemica dell’Italia peninsulare. È una specie abbastanza termofila e quindi è presente nel Parco soprattutto nei settori laziali e molisano, e in quello abruzzese nei fondivalle, da 520 a 1622 m s.l.m. La raganella italiana era segnalata storicamente in 14 siti, di cui solo 2 sono stati confermati. Nel corso dei due anni di monitoraggio sono state aggiunte 14 nuove segnalazioni. È stata rinvenuta in numerose tipologie di corpi idrici, quali laghetti, fontanili, pozze temporanee, vasconi artificiali e fontane all’interno di giardini privati, ma tutti caratterizzati da acque ferme. Rispetto ad altri anuri è poco avvistata all’interno del PNALM e questa scarsa presenza potrebbe essere dovuta in parte alla sua spiccata termofilia, come si evince dalla maggiore distribuzione nei versanti esposti a sud e comunque a quote minori, e in parte al suo carattere elusivo. Il monitoraggio, al crepuscolo o di notte, può essere utile per rilevare la presenza al canto.

RANA AGILE

Rana dalmatina (foto di: Angelina Iannarelli)

Rana dalmatina (Fitzinger in Bonaparte, 1838)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Ranidi (Ranidae)

Riconoscimento: Questa rana rossa si distingue abbastanza facilmente dalla rana appenninica per la gola che non è picchiettata di nero con una linea impuntata mediana, e per l’inguine posteriore di colore giallo tenue anziché bianco. Rispetto alle rane verdi si distingue per la colorazione bruno-rossastra e la presenza di una macchia facciale nera timpanica. Le lunghe zampe posteriori, caratterizzate da una bandatura brunastra abbastanza chiara, e le dita affusolate la distinguono anche dagli altri anuri. I girini sono bruno chiari e possono essere riconosciuti da quelli di altre specie anche grazie al fatto che hanno fenologia più precoce e generalmente sono già in sviluppo avanzato quando le altre specie cominciano a riprodursi. Lunga circa 7 cm (raramente raggiunge i 9 cm).

Biologia ed ecologia: Entrambe le specie di rane rosse presenti nel PNALM sono soprattutto a vita terrestre, ed in particolare la rana agile, tranne nel periodo riproduttivo vive in ambienti forestali, soprattutto boschi igrofili, e comunque non decisamente termofili. Può essere presente anche nei pascoli igrofili di derivazione dai suddetti ambienti o nelle relative zone ecotonali, o di rado anche in zone agricole. Durante il ristretto periodo riproduttivo, perlopiù invernale (gennaio-febbraio) a basse quote o primaverile precoce (marzo-aprile) a quote maggiori, lascia gli ambienti forestali e prativi per recarsi nei siti di riproduzione che sono costituiti di norma da stagni in boschi o prati allagati. Le uova sono deposte in grandi masse tondeggianti che galleggiano sotto la superficie dell’acqua. Lo sviluppo si completa in tarda primavera e i neometamorfosati escono dall’acqua per iniziare la vita terrestre. Gli adulti si nutrono fuori dall’acqua di invertebrati (artropodi e molluschi), mentre i girini sono fitofagi. È una riproduttrice esplosiva, dal momento che le deposizioni si concentrano in un breve intervallo di tempo. Depone 600-1200 uova e le ovature restano riconoscibili in acqua per circa un mese. I girini misurano all’incirca 6 cm e terminano la metamorfosi a giugno/luglio. Quando è in cerca di cibo può percorrere notevoli distanze sulla terraferma.

Fattori di minaccia: La rana agile è protetta dalla Convenzione di Berna (Allegato II) e della Direttiva Habitat (Allegato IV), oltre che da Leggi regionali. La distruzione di ambienti umidi planiziali, soprattutto nelle zone di Area Contigua molisane ed abruzzesi settentrionali, è da scongiurare per la conservazione di popolazioni stabili della specie.

Curiosità: Una particolarità comportamentale di questa specie può essere osservata nei primi stadi di sviluppo, e riguarda la capacità dei girini di modificare le proprie attitudini se ci sono predatori nei paraggi. I girini mostrano infatti una plasticità comportamentale per la quale divengono meno attivi, e in un certo senso più cauti, se crescono in uno stagno in cui sono presenti predatori. Una delle più grandi minacce per questi animali è rappresentata dalle larve di odonati (libellule e damigelle), dei predatori da agguato molto voraci ed efficienti. Sembra che nei primi stadi di sviluppo, i girini siano in grado di percepire delle sostanze chimiche rilasciate da tali predatori nell’acqua e che modifichino di conseguenza i loro pattern comportamentali, tentando di esporsi il meno possibile al rischio di predazione. Tali variazioni comportamentali sono accompagnate anche da modifiche sul piano morfologico, con i girini che tendono a divenire più grandi e a sviluppare code più robuste. Questo meccanismo di difesa, efficace contro le larve degli odonati, non viene però messo in pratica nei confronti del gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) che, pur costituendo una minaccia, non viene riconosciuto come tale. Quest’ultima è infatti una specie invasiva, introdotta in Europa dal continente americano, e dunque la rana agile non ha potuto sviluppare meccanismi di difesa simili a quelli che invece si sono evoluti nel tempo per far fronte ai predatori autoctoni.      

Nel Parco:   La rana agile è una delle quattro specie di rane rosse, assai simili tra loro, autoctone dell’Europa centrale. L’areale di distribuzione della Rana agile si estende dalla Spagna nordorientale, attraverso la Francia, l’Europa meridionale, centrale e in parte anche settentrionale, fino alla Turchia nordoccidentale e all’Ucraina. A nord della catena alpina la sua distribuzione non è continua, bensì a colonie isolate, che arrivano peraltro a raggiungere la punta settentrionale dell’isola svedese di Öland, nel Mar Baltico. In Italia si trova fino a 1300 metri d’altezza al centro-sud (nel PNALM è segnalata anche a 1427 in località Campitelli nel comune di Alfedena), mentre al nord è diffusa fino a 600 metri di altitudine. È più comune nell’Italia settentrionale e più localizzata nelle aree di pianura e vallive in quella centro-meridionale. La rana agile era segnalata storicamente in nove siti, situati perlopiù nella valle del Fiume Sangro, dei quali nessuno è stato confermato nel corso dei due anni di monitoraggio. Tuttavia, sono stati identificati nove nuovi siti di presenza, tutti al confine tra l’Abruzzo ed il Molise, e nessuno nel Lazio, distribuiti tra i 577 e i 1427 m s.l.m. La rana agile predilige corpi idrici ad acque relativamente ferme, di medie dimensioni e soprattutto non troppo profondi, perlopiù in ambiti di boschi igrofili di fondovalle, e nel PNALM è stata segnalata in ruscelli, pozze temporanee e stagni nei pressi di pascoli e boschi. Tra le specie di anfibi rinvenute all’interno del PNALM risulta quella meno segnalata. Sebbene nessuno dei siti storici sia stato confermato, la presenza della specie nella valle del Fiume Sangro, tra Pescasseroli e Barrea è piuttosto probabile, data l’alta idoneità ambientale della zona. 

RANA APPENNINICA

Rana appenninica (foto di: A. Iannarelli)

Rana italica (Dubois, 1987)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Ranidi (Ranidae)

Riconoscimento: La rana appenninica si riconosce dalla rana agile, per la presenza di una macchiettatura nera golare, tranne lungo la linea mediana longitudinale e per l’inguine posteriore bianco. Dagli altri anuri si differenzia per i caratteri già descritti per la rana agile. È lunga circa 6-7 centimetri. Presenta colorazione dorsale molto variabile – dal bruno al giallastro, al grigio, al rossastro, spesso con macchie scure e chiare – e corpo tozzo con portamento appiattito. I girini sono bruno scuro spesso con un disegno dorsale sinuoso.

Biologia ed ecologia: La rana appenninica è una specie endemica dell’Italia, e si trova nella zona appenninica dalla Liguria centrale alla Calabria, da 100 a oltre 1500 m con prevalenza nelle fasce collinari da 400 a 600 m di quota. Ha una valenza ecologica piuttosto ristretta, essendo una specie legata ad ambienti forestali, perlopiù di latifoglie, ma sempre con ruscelli al loro interno presso i quali rimane anche per i periodi di estivazione. Ha vita terrestre nelle foreste dove durante il giorno vive sotto la lettiera o in altri rifugi, mentre nelle ore crepuscolari e notturne più umide svolge un’attiva caccia a vari invertebrati, perlopiù insetti e crostacei. Si reca all’acqua nel periodo riproduttivo, esteso dal tardo inverno alla primavera, ed in questa fase è strettamente acquatica. Lo svernamento può avvenire in ambiente terrestre oppure al di sotto del fango nel letto dei torrenti. I predatori naturali di questa specie sono varie specie di pesci e la natrice dal collare che può nutrirsi anche delle larve. Ben più gravi per le popolazioni sono le infezioni da parte di protozoi e funghi che possono uccidere molti individui rapidamente. Talvolta questa rana depone anche in abbeveratoi-fontanili con acque fresche e ben ossigenate. Il periodo riproduttivo ha luogo da febbraio a maggio; ogni femmina depone le uova di piccole dimensioni (da 200 a 1350), raccolte in 1-3 masse rotondeggianti ancorate sotto i sassi ai bordi di pozze, dalle quali dopo 20-50 giorni sgusciano le larve. La larva è simile a quella di Rana temporaria, ha colore grigio a fitta punteggiatura nera e lunghezza circa 50 mm, con apice della coda ottusamente appuntito e cresta caudale chiara screziata di nero; metamorfosa in 2 – 5 mesi, in tarda primavera/estate, e i giovani abbandonano immediatamente l’acqua rimanendo, però, nelle vicinanze dei corpi idrici.

Fattori di minaccia: La rana appenninica è inserita nella Convenzione di Berna (Allegato II) e nella Direttiva Habitat 92/43/CEE (Allegato IV). È inoltre protetta dalla eleggi regionali del Lazio, Abruzzo e Molise. Le principali minacce per la specie sono generalmente rappresentate dalla perdita di habitat (tagli boschivi troppo drastici e ravvicinati, senza il mantenimento di parcelle intatte); l’inquinamento delle acque e l’immissione di ittiofauna e specie esotiche predatrici. Come accennato un nuovo pericolo è anche rappresentato dal diffondersi nelle regioni dell’Italia centrale di patogeni cutanei (protozoi e funghi). Ciononostante, durante i sopralluoghi effettuati, nessuno di questi fattori è emerso come elemento impattante sulle popolazioni. Possiamo quindi concludere che lo stato di conservazione per la rana appenninica sia buono e che non sussista la necessità di interventi gestionali urgenti e specifici.

Curiosità: Il maschio vocalizza soltanto sott’acqua, perciò è generalmente necessario l’uso di un idrofono per udirne il canto. In rari casi, tuttavia, emette suoni udibili se si trova appena sotto la superficie. La rana appenninica ha un repertorio composto da tre diversi tipi di canto: un suono basso e prolungato simile a un “grongron” ripetuto, un suono modulato “squack” e, più raramente, emette un suono “uh” molto breve. Si fa molta fatica a distinguerla dalla dalmatina: in realtà basta guardare la gola (nera e scura vs bianca)!

Nel Parco: La Rana italica è endemica dell’appennino, distribuita dalla Liguria centrale all’Aspromonte. Prima dell’ultimo monitoraggio era storicamente segnalata in 27 siti, di cui solo 8 sono stati confermati. Nel corso dei due anni di monitoraggio sono state aggiunte 82 nuove segnalazioni, distribuite da 413 a 1758 m s.l.m. Dopo il rospo comune (Bufo bufo), la rana appenninica è la seconda specie più segnalata all’interno del PNALM. Vive prevalentemente in acque a rapido scorrimento, quali ruscelli e torrenti, in ambienti boschivi mesofili, ma è stata segnalata in ogni tipologia di corpo idrico, come abbeveratoi, fontanili, marmitte su roccia, pozze temporanee, prati allagati, stagni, tombini, vasche artificiali. La distribuzione dei siti è tuttavia concentrata nella porzione meridionale del PNALM e denota una buona consistenza delle popolazioni. Rana italica (Dubois, 1987): segnalata storicamente in 27 siti di cui 8 confermati. In questi due anni sono state aggiunte 82 nuove segnalazioni. La specie appare distribuita da 413 a 1758 m s.l.m.  

RANE VERDI

Pelophylax lessonae (Camerano, 1882) P. esculentus (Linnaeus, 1758)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Ranidi (Ranidae)

 Riconoscimento:Le due specie di rana verde non sono morfologicamente riconoscibili tra loro. Invece, sono bene riconoscibili dalle cosiddette rane rosse (Rana italica e Rana dalmatina) per la tipica colorazione (verde vs bruno-rosse) e la mancanza di macchia nera nella parte posteriore del capo. Dai rospi si riconosce per l’assenza di ghiandole paratoidi e dalla raganella per la differente conformazione delle dita che sono allungate e senza ventosa apicale. I girini sono di grandi dimensioni, di colore chiaro e maculati lateralmente. Gli appartenenti al genere Pelophylax condividono caratteristiche comuni. Il muso è appuntito e la testa triangolare; la lingua è biforcuta e i denti sono vomerini, ossia presenti sul vomere. La pelle è liscia e non squamosa, con colorazione del dorso che va dal verde-giallastro al verde-oliva, con macchie più scure estremamente variabili per numero e dimensioni e una linea medio-dorsale più chiara. Il ventre è biancastro. Le zampe posteriori presentano delle strisce scure. I maschi sono provvisti di due sacchi vocali esterni vicino agli angoli della bocca che, se non usati, si presentano invisibili.

Biologia ed ecologia: Entrambe le due specie di rane verdi di questo complesso hanno una valenza ecologica ampia, sono essenzialmente acquatiche e vivono in ambienti umidi di ogni tipo, anche se sempre con corrente assente o scarsa. Possono colonizzare fiumi; ruscelli; pozze; stagni; bacini artificiali dai piccoli abbeveratoi a grandi vasche. In ogni caso però, non tollerano condizioni di temperatura troppo fredde, per cui la loro distribuzione altitudinale non supera generalmente 800 m negli Appennini e gli ambienti in cui vivono sono perlopiù ben esposti. Nel periodo primaverile ed estivo i maschi gracidano per richiamare le femmine in arene riproduttive in cui competono. Le uova sono deposte in grandi masse galleggianti ed i girini raggiungono grandi dimensioni che li contraddistinguono rispetto agli altri anuri autoctoni. Lo sviluppo si completa tra l’estate e l’autunno e i neometamorfosati restano comunque a vita principalmente acquatica. Le rane verdi europee costituiscono un complesso di specie definite ibrido-ibridogeniche e, nelle popolazioni in cui convivono, la specie ibrida, Pelophylax esculentus, è obbligata ad accoppiarsi con individui di P. lessonae. Le rane verdi sono largamente predate da aironi, natrici ed anche i girini sono oggetto di predazione degli stessi animali e di invertebrati.

Fattori di minaccia: Le rane verdi sono minacciate soprattutto dall’inquinamento delle acque e da alterazioni dell’habitat per cause antropiche, ma nel Parco non sono rilevate queste problematiche. Il prelievo per usi alimentari è ormai ridotto. Nel Parco sono protette anche da Leggi regionali. Nel nostro paese sono, però, state introdotte altre specie balcaniche che ibridizzano con le popolazioni autoctone creando gravi problemi di inquinamento genetico e zoogeografico.

Curiosità: La tassonomia delle rane verdi è alquanto complessa e discussa essendo presenti, in Italia, diversi klepton, ovvero unità sistematiche formate da un complesso costituito da una specie e dal suo ibrido ibridogenetico. In Europa, sono presenti tre tipi diversi di rane verdi: la rana verde maggiore (Pelophylax ridibundus), la rana dei fossi (Pelophylax esculentus) e la rana verde minore o rana di Lessona (Pelophylax lessonae). Le loro interrelazioni sono tuttora oggetto di discussione. P. esculentus sarebbe un ibrido tra P. lessonae e P. ridibundus. Il processo è detto ibridogenesi e gli ibridi non si accoppiano mai tra loro ma sempre con una delle due specie parentali, generando così delle popolazioni miste. Uzzel e Holtz nel 1979 studiarono le popolazioni italiane di rane verdi e conclusero che a sud del Po vi sarebbero due diverse specie per cui è stato proposto il nome di Pelophylax kl hispanicus e Pelophylax bergeri. 

Nel Parco:   Il complesso di specie presenti nel PNALM è ampiamente diffuso nell’Europa centrale, settentrionale e nella penisola italiana. Nel PNALM, a differenza che in gran parte d’Italia, le due specie elencate non sono molto diffuse e sono limitate ai soli settori collinari e di fondovalle, perlopiù termofili, soprattutto nella parte laziale e molisana. Vengono segnalate in 21 siti, di cui solo 6 confermati durante le ricerche per l’Atlante, ma a cui sono stati aggiunti 28 nuovi siti di presenza. La specie risulta distribuita da 385 a 1817 m s.l.m. ed è stata osservata in tutti i tipi di corpi idrici, quali ruscelli, stagni, laghetti, pozze, fontanili, vasconi artificiali, in tutti i settori del PNALM, soprattutto quelli appartenenti all’Area Contigua. Sebbene siano specie piuttosto comuni, il ridotto numero di osservazioni raccolte potrebbe essere spiegato dal fatto che sono generalmente assenti dalle aree boschive, che rappresentano invece buona parte del territorio del Parco. 

ROSPO COMUNE

Rospo Comune (foto di: Angela Iannarelli)

Bufo bufo (Linnaeus, 1758)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Bufonidi (Bufonidae)

Riconoscimento:Il rospo comune è riconoscibile dagli altri anuri per la presenza di grandi corpi ghiandolari sopraoculari (ghiandole paratoidi). Le grandi dimensioni, soprattutto delle femmine, sono un altro carattere distintivo. L’unica specie relativamente simile è il rospo smeraldino, la cui presenza non è confermata nel PNALM, caratterizzato da piccole macchie verdi dorsali, assenti nel rospo comune. Dall’aspetto robusto, è ricoperto da una pelle spessa e rugosa. La colorazione del dorso è castano-bruna, mentre sul ventre la pelle è di colore più chiaro. Gli occhi sono laterali con la pupilla orizzontale e l’iride di color rame/arancio (caratteristica determinante per il riconoscimento). La bocca è priva di denti, utilizza la lingua per procurarsi il cibo.

Biologia ed ecologia: Il rospo comune è una specie diffusa e ad ampia valenza ecologica. Gli adulti vivono in una grande varietà di ambienti, naturali e secondari, come ecotoni forestali, prati di derivazione, boschetti, ma anche coltivi o ambienti suburbani, anche relativamente lontani da corpi idrici. In questi ambienti si nutre di invertebrati quali insetti, crostacei, centopiedi, lombrichi e lumache. Gli ambienti acquatici usati per la riproduzione sono di norma con acque ferme o a lento scorrimento, ma questo rospo può deporre anche sulle rive di fiumi, laghi e grandi stagni, così come in strutture artificiali come fontane, abbeveratoi e cisterne. Tra gennaio ad aprile, fino all’inizio dell’estate alle quote maggiori, avvengono vere e proprie migrazioni verso i siti riproduttivi di centinaia di individui. Le uova sono deposte anche a migliaia in lunghi cordoni gelatinosi e i girini, caratteristici per il colore nero lucido sono onnivori. Lo sviluppo è piuttosto rapido e migliaia di neometamorfosati escono in primavera dalle acque per disperdersi negli ambienti circostanti. In ambiente acquatico girini e adulti possono essere predati da natrici e aironi, mentre in ambiente terrestre i predatori naturali sono natrici e piccoli mammiferi.

Fattori di minaccia: Nonostante il rospo comune sia così largamente diffuso in tutto il PNALM e le sue popolazioni risultino consistenti, segno che non sussistano particolari minacce, nel periodo delle migrazioni riproduttive abbiamo potuto osservare diversi individui morti lungo le strade. Queste morie possono talvolta esser davvero drammatiche e determinare la consistente riduzione di alcune popolazioni. Per evitare lo schiacciamento da parte degli autoveicoli, riscontrato in diverse zone del parco, saranno posizionati pannelli di avviso e saranno attivate iniziative didattiche. Anche l’inquinamento chimico delle zone agricole e delle acque utilizzate per scopi irrigui può essere un rischio per la conservazione di questa specie. Il Rospo comune è protetto da Leggi regionali nel territorio del Parco.

Curiosità: Mentre nella cultura e nella letteratura popolare europea il rospo è stato a lungo associato alla stregoneria, in Estremo oriente è sempre stato animale portatore di prosperità e ricchezza. 

Nel Parco: Questo rospo è largamente diffuso in Europa e in alcune aree del nord Africa. In Italia è distribuito in tutte le regioni tranne la Sardegna. La presenza del rospo comune nel PNALM è stata confermata in 9 dei 31 siti in cui era segnalato storicamente dal 1971, ma negli ultimi anni del monitoraggio sono state aggiunte 78 nuove stazioni. La specie appare quindi ampiamente distribuita in tutto il Parco, tra 345 e 2240 m s.l.m., ed è stata segnalata in ogni possibile tipologia di corpo idrico: fontanili; abbeveratoi; pozze temporanee; ruscelli; torrenti; laghetti; stagni; marmitte su roccia e vasconi artificiali.

ROSPO SMERALDINO

Rospo smeraldino: femmina adulta (foto di: Matteo Di Nicola)
Rospo smeraldino in accoppiamento (foto di: Matteo Di Nicola)
Rospo smeraldino: Giovane (foto di: Leonardo Vignoli)
Rospo smeraldino: adulto emergente dal rifugio sotterraneo (foto di: Leonardo Vignoli)
Rospo smeraldino: Distribuzione e Presenza nel Parco (foto di: Marco Bologna et al.)

Bufotes balearicus (Boettger, 1880)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Bufonidi (Bufonidae)

Riconoscimento: Presenta una livrea dai toni verde argento, decorata da macchie verde brillante, maggiormente evidenti nelle femmine. L’iride è verde metallizzato e la pupilla è orizzontale. Mostra dimorfismo sessuale, con dimensioni maggiori nelle femmine. È facilmente riconoscibile da quello comune (con cui condivide le grandi ghiandole paratoidi sopra gli occhi) per la colorazione peculiare. Non è confondibile con altri anuri.

Biologia ed ecologia: Il rospo smeraldino è una specie legata ad ambienti pionieri, vale a dire ambienti neoformati o temporanei, o anche in situazioni più marginali come substrati argillosi o sabbiosi. La riproduzione e lo sviluppo sono simili a quelle del rospo comune, ma il periodo riproduttivo è più avanzato in primavera. Gli ambienti acquatici usati per la riproduzione sono spesso piccole pozze temporanee, anche salmastre nelle zone costiere, ovvero piccoli ruscelli a lento scorrimento e bacini artificiali. Le uova sono deposte a migliaia in lunghi cordoni gelatinosi e i girini sono bruno scuri e si differenziano poco da quelli della specie congenere. Lo sviluppo è rapido grazie alle temperature relativamente elevate raggiunte dall’acqua degli ambienti temporanei che la specie colonizza. I maschi, provvisti di sacca vocale, si disputano i territori ed invitano le femmine all’accoppiamento emettendo diverse e complesse vocalizzazioni.

Fattori di minaccia: Lo stato di conservazione di questa specie nel nostro paese è poco noto. Sembra più abbondante e diffuso nelle aree planiziali padane, ed anche nelle zone costiere dei due versanti peninsulari, sebbene anche qui con popolazioni frammentate. Nelle regioni appenniniche le popolazioni note sono poche e il loro stato di conservazione non è valutabile. I fattori di minaccia sono gli stessi del rospo comune, ma soprattutto la distruzione di piccole aree umide in zone bene esposte al sole e lungo le valli fluviali e le uccisioni durante le migrazioni riproduttive. Il Rospo smeraldino è protetto da Leggi regionali anche nel territorio del Parco; è elencato in appendice II della Convenzione di Berna e appendice IV della Direttiva Habitat (92/43/CEE).

Curiosità: La classificazione di questa specie è discussa. Il Rospo italiano e il Rospo calamita (non presente in Italia) hanno molte caratteristiche in comune, per questo alcuni studiosi hanno inserito queste due specie nel genere Epidalea (o Pseudoepidalea). Il Rospo italiano o appenninico (Bufotes balearicus), veniva prima attribuito a Bufotes viridis. Adesso, viene considerato specie a sé stante, anche se morfologicamente e comportamentalmente identico al primo (Stock 2008). Il rospo smeraldino si distingue per il suo canto: è in grado di emettere un richiamo piuttosto forte, simile al trillo dei grilli, e i maschi in riproduzione tendono a “cantare” in gruppi numerosi come le rane verdi.  

Nel Parco: I rospi smeraldini sono un complesso di specie, distribuito in Nord Africa, Europa ed in Asia centrale. Nel nostro paese sono presenti ben quattro specie di questo complesso tassonomico, ma solo B. balericus è ampiamente distribuito nell’Italia continentale, peninsulare e in Sardegna, mentre altre specie sono presenti in Sicilia, a Lampedusa e in Friuli. La sua presenza era segnalata in letteratura in soli tre siti del PNALM, uno nel versante laziale e due in quello abruzzese. Anche se la presenza della specie non è stata confermata durante le ricerche per l’Atlante, è molto probabile che esistano popolazioni vitali almeno nella zona del Frusinate, poiché questa specie è stata rinvenuta in quella zona, non lontano dal Parco.  

SALAMANDRA PEZZATA

Salamandra pezzata: adulto (foto di: Leonardo Vignoli)
Salamandra pezzata: femmina in deposizione (foto di: Leonardo Vignoli)
Salamandra pezzata: larva di stadio precoce (foto di: Matteo Di Nicola)
Salamandra pezzata: larva in stadio avanzato (foto di: Matteo Di Nicola)
Salamandra pezzata: Distribuzione e Presenza nel Parco (foto di: Marco Bologna et al.)

Salamandra salamandra (Linnaeus, 1758)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Caudati (Caudata)

Famiglia: Salamandridi (Salamandridae)

Riconoscimento: La salamandra pezzata è inconfondibile per la sua colorazione nera sub-lucida, con ampie macchie dorsali e laterali che sono tipicamente gialle, ma nelle popolazioni degli Appennini centrali e meridionali possono essere anche di un colore arancione vivace. Per le sue dimensioni e la colorazione “aposematica” si distingue facilmente dagli altri urodeli. Di fatti, il suo corpo è ricoperto da piccole ghiandole, le quali secernono una sostanza alcaloide irritante e dal gusto sgradevole che ha la funzione di proteggere la pelle dalle infezioni batteriche, dalla disidratazione e dai predatori. Raramente supera i 20 centimetri. Le larve son facilmente riconoscibili per la presenza di una macchia gialla sul dorso a livello dell’inserzione delle zampe posteriori.

Biologia ed ecologia: Conduce vita prevalentemente terricola. La femmina si reca in acqua per partorire le larve. La salamandra pezzata, negli Appennini, è legata a un habitat di boschi mesofili umidi di latifoglie, ma in altre zone del suo areale può vivere anche in altre tipologie boschive, con conifere e latifoglie più termofile. Resta vicino ai siti di riproduzione, rappresentati da ruscelli a lento scorrimento che formano delle pozze più o meno profonde. Corsi d’acqua poco profondi, dall’andamento naturale, con ricchezza di rifugi e substrato ben diversificato hanno maggiori probabilità di ospitare questo urodelo. Anche la qualità dell’acqua è importante. La salamandra depone infatti solitamente in torrenti poco o per nulla inquinati con ampia disponibilità di macro-invertebrati (crostacei, larve di insetto ecc.) di cui le larve si nutrono. Di rado, proprio nel PNALM, le deposizioni possono essere effettuate anche in abbeveratoi-fontanili. Dopo un corteggiamento ritualizzato, il maschio depone al suolo delle spermatofore che sono raccolte dalla femmina. La salamandra pezzata è vivipara e partorisce, quindi, larve già formate, in genere 20-40, in primavera o, a quote maggiori, all’inizio dell’estate. Si tratta di un anfibio prevalentemente notturno. Nelle giornate piovigginose o nebbiose dell’autunno, che è il periodo degli incontri tra i sessi, o anche primaverili, la si può vedere che si muove sulla lettiera dei boschi.  Gli adulti si nutrono di piccoli invertebrati della lettiera, sia insetti, sia altri artropodi, ma anche nematodi e molluschi.

Fattori di minaccia: Grazie alla secrezione tossica ed alla sgargiante colorazione giallo-nera, che nel mondo animale è sinonimo di pericolo (colorazione aposematica), la salamandra pezzata non ha predatori. Può comunque accadere che venga maldestramente attaccata da ratti, cani, gatti, polli, serpenti; in questi casi l’aggressore finisce per ritirarsi sconfitto. L’unico vero pericolo per la salamandra pezzata è l’uomo, che la uccide direttamente (schiacciandola inavvertitamente sulle strade) ed indirettamente, alterando ed inquinando gli ambienti dove vive. In alcune specifiche aree, come ad esempio nei pressi del Santuario di Val Canneto, è stato osservato un impatto negativo particolarmente pronunciato a causa degli autoveicoli, i quali sono responsabili dell’uccisione di numerosi adulti, nelle zone di attraversamento, durante la migrazione riproduttiva. Si sta lavorando per apporre una cartellonistica specifica anche lì, volta alla riduzione della velocità di conduzione degli autoveicoli. Non sono stati individuati altri importanti fattori di minaccia incidenti sulle popolazioni del Parco, sebbene la mancata conferma in siti storici di presenza sia da indagare, soprattutto nel versante abruzzese. In tempi recenti si è assistito ad una rarefazione delle popolazioni di questa specie, soprattutto in aree limitrofe al Parco sul versante laziale, per cui verranno pianificate estese sessioni di ricerca negli anni a venire. Questa specie non è protetta a livello europeo, se non dalla Convenzione di Berna (allegato III), ma nel nostro paese le popolazioni appenniniche sono in forte riduzione e minacciate, e sono protette da leggi regionali, che sono vigenti anche nel PNALM. Le ampie e vetuste foreste di faggio del Parco mantengono un buono stato di conservazione, ma i cambi climatici in atto e il ripetersi di estati siccitose sono un fattore di rischio per la riduzione di questa specie. È quindi prioritario il mantenimento delle foreste, ma anche dei piccoli ruscelli a lento scorrimento, affluenti dei fiumi principali del Parco. 

Curiosità: La salamandra pezzata è da sempre protagonista di miti e leggende popolari, peraltro assolutamente infondate. Tra le altre gli si attribuisce infatti l’assurda capacità di poter sopravvivere tra le fiamme o di essere un animale molto velenoso, mortale per l’uomo. La prima credenza è totalmente falsa, e la pelle umida della salamandra la rende estremamente vulnerabile non solo a fonti di calore, ma anche al disseccamento lontano dall’acqua o da luoghi umidi. Anche la seconda: naturalmente per l’uomo non è pericolosa se non la si mette in bocca o se non ci si toccano gli occhi dopo averla maneggiata (cosa sconsigliabile date le malattie e i parassiti che potrebbe trasmettere). In natura, l’aspettativa di vita si aggira intorno ai 20 anni, ma è documentato un caso di una salamandra pezzata vissuta per ben 50 anni, dal 1863 al 1913, in un terrario del museo Alexander Koenig presso l’istituto di ricerca zoologica di Bonn.

Nel Parco: In Italia settentrionale è largamente distribuita sia in zone alpine sia prealpine, o anche planiziali, mentre nell’Italia peninsulare è in forte riduzione dalle zone submontane e le popolazioni appenniniche sono più ridotte nel settore centrale, mentre sono ancora abbastanza abbondanti nel settore meridionale (ssp. gigliolii). La presenza della salamandra pezzata è stata confermata solo in 6 delle 23 stazioni storicamente segnalate dal 1973, ma nel corso delle indagini erpetologiche, condotte da RomaTre nel biennio 2015-2016, è stato possibile individuare 14 nuovi siti di presenza. La specie appare distribuita da 560 a 1700 m s.l.m., anche se in maniera piuttosto frammentata. La sua presenza è legata principalmente alla disponibilità di abbondante lettiera nei pressi di ruscelli in foreste decidue, ma è stata rinvenuta anche all’interno di fontanili e sorgenti, sempre in prossimità di boschi. Di tutte le segnalazioni meno recenti del settore abruzzese, solo due hanno avuto riscontro positivo (Cacciagrande e Val Jancino, Comune di Opi). È risultata, invece, più abbondante soprattutto nei settori boschivi interni dei tre versanti dei massicci della Meta e delle Mainarde, in particolare nell’alto corso del Fiume Melfa e in parte in piccoli affluenti ben conservati nell’alta Val di Sangro, perlopiù in aree di riserva integrale. In queste stazioni è stato possibile osservare numerose larve; ciò suggerisce che un’attenta protezione degli ambienti forestali più maturi e dei rii che li attraversano è alla base della tutela della salamandra pezzata.

SALAMANDRINA DI SAVI O DAGLI OCCHIALI SETTENTRIONALE

Salamandrina di Savi: femmina adulta con uova (foto di: Matteo Di Nicola)
Salamandrina di Savi: adulto in ambiente naturale (foto di: Matteo Di Nicola)
Salamandrina di Savi: adulto in comportamento “Unkenreflex” (foto di: Leonardo Vignoli)
Salamandrina di Savi: larva (foto di: Leonardo Vignoli)
Salamandrina di Savi: Distribuzione e Presenza nel Parco (foto di: Marco Bologna et al.)

Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Caudati (Caudata)

Famiglia: Salamandridi (Salamandridae)

Riconoscimento: La salamandrina di Savi è un endemita appenninico diffuso dalla Liguria centrale fino al Molise e alla porzione settentrionale della Campania. A sud del fiume Volturno, fino alla Calabria, ma non nel versante adriatico, è distribuita invece Salamandrina terdigitata (Lacépède, 1788), specie strettamente affine, riconoscibile solo in base a caratteri molecolari. Tranne in piccole zone della valle del Volturno, le due specie non convivono. Rispetto alla salamandra pezzata è di dimensioni molto minori (7-9 cm; a volte 11 cm le femmine) ed è priva di macchie gialle-arancio sul fondo nero dorsale. La coda è lunga più di una volta e mezzo il resto del corpo. Si distingue dalle altre specie di anfibi per la forma più magra, la colorazione più scura e, soprattutto, il disegno chiaro a forma di occhiali sulla testa e le macchie bianche e rosse del ventre e sotto la coda. La configurazione e la distribuzione di queste macchie è estremamente variabile, tanto da consentire il riconoscimento di ciascun individuo. Inoltre, il genere Salamandrina, a differenza degli altri urodeli italiani, presenta arti anteriori e posteriori dotati di quattro dita anziché cinque. Il dimorfismo sessuale è poco evidente, ma i maschi sono generalmente di dimensioni inferiori alle femmine e hanno coda relativamente più lunga. 

Biologia ed ecologia: Si tratta di una specie di urodelo a vita prevalentemente terrestre e che entra in acqua solo per l’ovideposizione. Vive soprattutto in boschi temperati e abbastanza umidi, attraversati da ruscelli con scarsa corrente e presenza sul fondo di sassi, foglie e rami. Di rado è presente anche in ambienti secondari di derivazione da boschi, ma sempre con ruscelli o abbeveratoi. Fuori dall’acqua è difficile da vedere, perlopiù in autunno, perché vive tra le foglie e la colorazione marrone dorsale la rende criptica. Inoltre, è prevalentemente notturna e, solitamente, si registra una fase di latenza invernale ed una estiva, con gli animali che si rifugiano più o meno in profondità negli interstizi del terreno. La fecondazione, tramite spermatofore deposte dal maschio dopo una “danza” di corteggiamento e raccolte dalla femmina, avviene in autunno e sul terreno, tra le foglie. In primavera (in zone più calde sin da febbraio) le sole femmine vanno in acqua per deporre le uova adesive fissandole sotto sassi, rami o vari copri sommersi. In questa fase non è difficile osservare le salamandrine in acqua, soprattutto nei ruscelli di piccola portata o negli abbeveratoi. Le femmine depongono, nell’arco di 1-9 giorni, da 30 a 60 uova, e sono fedeli ai siti riproduttivi. Dopo circa 2-5 settimane schiudono le larve che completano la metamorfosi in 2-5 mesi. La durata di queste fasi dipende dalla temperatura dell’acqua e dalla quantità di cibo disponibile. Le femmine raggiungono la maturità sessuale fra i 4 e i 5 anni e la massima longevità è di 12 anni. Gli adulti sono carnivori e si nutrono di piccoli nematodi, molluschi ed artropodi della lettiera, soprattutto collemboli e isopodi. Estroflettono la lingua per catturare le prede. Le larve sono anch’esse predatrici di piccoli artropodi ma in ambiente acquatico.

Fattori di minaccia: Sebbene S. perspicillata mantenga una distribuzione relativamente ampia, con popolazioni localmente abbondanti, è da considerare come una specie molto sensibile alle alterazioni della qualità ambientale tanto da essere ritenuta un efficace bioindicatore dello stato di conservazione di una data area. La distruzione o il degrado dei suoi ambienti vitali, per via del disboscamento, urbanizzazione, inquinamento, captazione dei corpi d’acqua, introduzione di salmonidi, ha già prodotto declini localizzati della specie. In alcune zone la presenza della specie è ormai solamente documentata da dati storici, ma dato l’elevato numero di nuovi siti di presenza individuati, si ritiene che la distribuzione della specie possa essere sottostimata.  Come nel caso della salamandra pezzata, infatti, l’osservazione della specie in natura non è semplice, a causa delle abitudini elusive degli adulti e dell’alta capacità mimetica delle larve (queste ultime di dimensioni ancora più ridotte rispetto alle larve di salamandra). Entrambe le specie di salamandrina hanno livelli prioritari di conservazione: S. perspicillata è inclusa (ancora col nome S. terdigitata) nella Direttiva Habitat (Allegati II e IV) (DPR 357/97) e nell’Allegato II della Convenzione di Berna ed è protetta da varie leggi Regionali (per il Lazio L. R. 18/1988). Una misura importante da tenere in considerazione per la tutela di questa specie è la limitazione agli interventi di pulizia dei fontanili-abbeveratoi e alla loro trasformazione da strutture in gran parte in pietra ad altre fortemente cementate. Per questo, il Parco, ha attivato una campagna di sensibilizzazione contro questa usanza. Nella Lista Rossa IUCN (2020) è classificata come “in pericolo” (EN). 

Curiosità: Anche in questo caso, la colorazione ventrale rossa ha valore aposematico e viene mostrata in caso di pericolo inarcando il tronco e sollevando verso l’alto arti e coda. L’assunzione di questa particolare postura è una reazione difensiva denominata Unkenreflex, termine coniato per gli anuri del genere Bombina che manifestano un comportamento simile. Se minacciata la salamandrina può mettere in atto un’altra strategia difensiva, la “tanatosi”, quando l’animale si immobilizza fingendosi morto. In condizioni di affollamento o di scarsità di cibo, si verificano sistematicamente episodi di cannibalismo. Questo non vale solo per la salamandrina, ma per gli Urodeli in genere. Le salamandrine rappresentano l’unico genere di vertebrati endemici della penisola italiana. Secondo uno studio di Macaluso et al. (2021) il riscaldamento globale, causato dalle crescenti emissioni di C02, potrebbe, nei prossimi 50 anni, ridurre l’idoneità climatica per questi anfibi e causarne la definitiva estinzione. 

Nel Parco: La salamandrina dagli occhiali era segnalata storicamente in 20 siti, di cui solo 3 sono stati confermati. Nel corso dei due anni d’indagine sono state però aggiunte 14 nuove stazioni di presenza. La specie appare generalmente distribuita da 629 a 1843 m s.l.m., quasi esclusivamente nei pressi di ruscelli, all’interno o nelle immediate vicinanze di boschi mesofili. Questi ambienti rappresentano l’habitat elettivo della salamandrina, anche se la stessa è talvolta rinvenibile all’interno di fontanili o abbeveratoi. Complessivamente, tutti i siti riproduttivi si addensano nel versante molisano e laziale. Non è stato invece possibile confermare nessuna delle 15 segnalazioni storiche del versante abruzzese, distribuite soprattutto nell’area centrale del PNALM, lungo la valle del Fiume Sangro. Questa discrepanza suggerisce di compiere nuove indagini nelle aree dove la specie non è stata confermata, per cercare di individuare eventuali cause di rarefazione. La presenza di piccole zone di convivenza nella valle del Volturno, non lontano del settore meridionale del PNALM, incentiva a sviluppare indagini genetico-molecolari sulle popolazioni di salamandrina delle aree molisane del Parco, per confermare la presenza della sola specie settentrionale.

TRITONE CRESTATO ITALIANO

Tritone crestato – corteggiamento. (foto di: Angela Iannarelli)
Tritone crestato – maschio (foto di: Angela Iannarelli)

Triturus carnifex (Laurenti, 1768)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Caudati (Caudata)

Famiglia: Salamandridi (Salamandridae)

Riconoscimento: Questo tritone è facilmente riconoscibile dagli altri urodeli presenti nel PNALM, in primo luogo, per le grandi dimensioni (di norma 10-15 cm, fino ad un massimo di 21 nella femmina coda compresa), raggiunto solo dalla salamandra giallo nera, che però ha macchie dorsali giallo-arancio ed una vita terragnola. Dalla salamandrina di Savi si distingue anche per la colorazione ventrale di fondo bruna anziché bianca e per l’assenza di disegni sul capo. Rispetto al tritone punteggiato ed a quello italiano si distingue per la colorazione bruno-nera con una stria gialla mediana dorsale nelle femmine e nei giovani ed una cresta dorso-caudale nei maschi. Il ventre è giallo-ocra-rosso con macchie tondeggianti nere. Il tritone crestato italiano è il più grande tritone europeo. Un tempo riconosciuto come razza geografica di T. cristatus, recenti studi cariologici ne hanno elevato il rango a piena specie.

Biologia ed ecologia: Il tritone crestato italiano è una specie a valenza ecologica piuttosto ampia ed abitualmente vive in acque ferme o a lento scorrimento in ambienti acquatici naturali (pozze, stagni, piccoli ruscelli) o artificiali (vasche, abbeveratoi). Di norma predilige bacini con almeno 25 cm di profondità, a differenza delle altre due specie di tritoni. Può rimanere in acqua tutto l’anno, anche se nei periodi più caldi può uscire ed estivare sotto le pietre. La riproduzione e lo sviluppo sono del tutto acquatici: dopo un complesso corteggiamento, il maschio deposita una spermatofora raccolta dalla femmina che poi depone fino ad alcune centinaia di uova, che sono appiccicate singolarmente sulla vegetazione sommersa in cui poi vengono avvolte grazie all’uso delle zampe posteriori. Le larve sono di grandi dimensioni e per questo facilmente riconoscibili da quelle degli altri urodeli. Questo tritone ha un ampio spettro trofico e si nutre di ogni invertebrato acquatico o che cade nell’acqua dall’esterno, e talvolta di stadi giovanili di altri anfibi.

Fattori di minaccia: Questo urodelo è considerato specie relativamente minacciata a livello nazionale e dell’Unione Europea. Per questo motivo è protetta a livello internazionale ed inserita nella Direttiva Habitat (Appendici II e IV) e nell’Allegato II della Convenzione di Berna. Nelle tre province del Parco è protetta da Leggi regionali. Il tritone crestato è in effetti in forte riduzione in alcune zone d’Italia, ma in realtà può essere localmente presente anche con popolazioni abbastanza numerose, come in alcuni siti del PNALM. Lo stato di conservazione nel Parco appare abbastanza soddisfacente, anche se interventi gestionali potrebbero favorire la persistenza di popolazioni o la colonizzazione di nuovi ambienti idonei. I rischi per questa specie sono sostanzialmente dovuti ad interventi antropici di alterazione delle acque, come l’immissione di pesci, inquinamento, eutrofizzazione dovuta alle deiezioni degli animali al pascolo. Sebbene non siano state individuate specifiche minacce per la specie, la stessa in Italia sembra subire un declino nelle aree planiziali, mentre popolazioni più consistenti, come quelle da noi accertate nel PNALM, vivono in aree interne collinari e montane.

Curiosità: La femmina depone circa 250 uova ma, a seguito di una mutazione letale sul primo cromosoma, di solito, metà della covata viene distrutta durante lo sviluppo.  

Nel Parco: Il tritone crestato italiano è un sub-endemita italiano ampiamente diffuso nell’Italia continentale e peninsulare, ma presente anche marginalmente in Austria, Slovenia e Croazia. Il tritone crestato italiano era segnalato storicamente in 28 siti, di cui solo 5 sono stati confermati anche in tempi recenti. Negli ultimi anni di monitoraggio, però, sono stati individuati altri 24 siti di presenza. Complessivamente le stazioni sono situate tra 500 e 1817 m s.l.m. La distribuzione di questa specie non è uniforme, in quanto molte delle nuove segnalazioni sono localizzate nel settore settentrionale del PNALM, ma quasi tutte le popolazioni rinvenute sono piuttosto consistenti. Il 5% delle segnalazioni totali appartengono al versante laziale. 

TRITONE ITALIANO

Tritone italiano: maschio adulto (foto di: Matteo Di Nicola)
Tritone italiano: femmina adulta (foto di: Matteo Di Nicola)
Tritone italiano: adulto con livrea ventrale (foto di: Matteo Di Nicola)
Tritone italiano: Subadulto (foto di: Matteo Di Nicola)
Tritone italiano: Distribuzione e Presenza nel Parco (foto di: Marco Bologna et al.)

Lissotriton italicus (Peracca, 1898)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Caudati (Caudata)

Famiglia: Salamandridi (Salamandridae)

Riconoscimento: L. italicus è facilmente riconoscibile dal tritone crestato (T. carnifex) per le dimensioni decisamente minori, la colorazione giallo-bruno chiara e la mancanza di una cresta dorsale, mentre è molto più difficile da riconoscere da L. vulgaris e se ne differenzia solo per la presenza di una macchia nera nella porzione posteriore alla bocca. Il riconoscimento nel PNALM si rende ancora più difficile proprio perché, nelle zone meridionali molisane ed abruzzesi del PNALM, sono presenti individui di L. vulgaris a colorazione più scura e contrastata, molto simili a L. italicus. Nel periodo riproduttivo, in tardo autunno, subiscono piccole variazioni nella morfologia: ai maschi compare una piccola cresta solo sulla coda, mentre alla femmina cambia leggermente la pigmentazione.

Biologia ed ecologia: Anche questo tritone, come l’affine tritone punteggiato, ha valenza ecologica molto ampia, potendo colonizzare praticamente ogni tipo di ambiente acquatico naturale ed artificiale. Vive, infatti, in stagni; pozze di piccole dimensioni (anche temporanee); piccoli ruscelli con scarsa portata; abbeveratoi-fontanili e strutture artificiali di varia tipologia per la raccolta dell’acqua. Ha una distribuzione altitudinale molto ampia, che va dal livello del mare fino a oltre 1700 m negli Appennini meridionali. Può vivere fuori dall’acqua nei periodi al di fuori della riproduzione e quando la disponibilità idrica è ridotta. La riproduzione è molto simile a quella del tritone punteggiato, anche se la danza nuziale differisce per alcune sequenze comportamentali. Le larve sono difficili da riconoscere rispetto a quelle di L. vulgaris e lo sviluppo ha modalità e tempi simili. Anche da un punto di vista della nutrizione delle larve e degli adulti le due specie sono assai simili. Esistono nell’Italia centrale popolazioni delle due specie di Lissotriton che vivono in sintopia senza apparente differenziamento della loro nicchia ecologica.

Fattori di minaccia:
 Il tritone italiano è incluso nella Direttiva Habitat (Appendice IV) e nell’Allegato II della Convenzione di Berna. Nelle tre regioni del Parco è protetto da leggi regionali. Nel suo areale è relativamente comune, meno nei settori marginali settentrionali degli Appennini abruzzesi e laziali. Come tutti gli urodeli è comunque in riduzione a causa della distruzione o trasformazione degli habitat umidi. La capacità di questa specie di colonizzare anche zone umide davvero piccole, fa sì che spesso le popolazioni siano numericamente molto ridotte. Le minacce maggiori per questa specie sono legate alla riduzione e all’ infossamento dei piccoli ambienti umidi, e come per gli altri tritoni, all’immissione di pesci negli ambienti umidi artificiali, nonché alla pulizia in periodo riproduttivo dei fontanili-abbeveratoi.

Curiosità: È il nano del gruppo! 

Nel Parco: Il Tritone italiano è una specie esclusiva dell’Italia centro-meridionale, con un areale che, nella nostra penisola, si sovrappone sostanzialmente a quello della specie congenere L. vulgaris: è pertanto diffusa nel versante adriatico delle Marche e Abruzzo; in quello tirrenico del Lazio meridionale ed in tutt’Italia meridionale. La presenza nel PNALM è da confermare poiché la specie, segnalata in precedenza (Bruno 1973) in alcune località meridionali del Parco (Montagna spaccata; dintorni di Alfedena; sorgenti del Volturno), ed a noi nota nella zona della Zittola, esternamente al Parco, non è stata recentemente rinvenuta in nessuna stazione del Parco in due anni di indagini erpetologiche molto intense. Nelle stesse aree è stato invece rinvenuto solo L. vulgaris, anche con individui a colorazione scura simile a quella del tritone italiano. Si potrebbe pertanto pensare o a errate segnalazioni o ad una recente espansione del tritone punteggiato a scapito di quello italiano, anche se la coesistenza delle due specie in piccole zone dell’Abruzzo, Lazio e Molise è ben dimostrata. In ogni caso, L. italicus è distribuito con certezza in zone limitrofe al Parco, nella bassa valle del Sangro, nella provincia di Isernia e nel Cassinate. 

TRITONE PUNTEGGIATO

Tritone punteggiato – corteggiamento (foto di: Angela Iannarelli)
Tritone punteggiato – maschio (foto di: Angela Iannarelli)

Lissotriton vulgaris meridionalis (Boulenger, 1882)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Caudati (Caudata)

Famiglia: Salamandridi (Salamandridae)

 Riconoscimento: Questo tritone è facilmente riconoscibile dal tritone crestato per le dimensioni decisamente minori (10 cm di lunghezza); la colorazione giallo-bruno chiara con punteggiature scure; la striscia centrale arancione e la mancanza di un’evidente cresta dorsale; mentre è più difficile da riconoscere dall’altra specie di tritone di piccola taglia, Lissotriton italicus, da cui differisce solo per la mancanza di una macchia nera nella porzione posteriore alla bocca. Differisce anche dalla salamandra giallo nera, che peraltro va in acqua solo per partorire, per la colorazione e le dimensioni minori e dalla salamandrina dagli occhiali, anch’essa sostanzialmente terrestre, per la colorazione bruna del dorso e bianco-rosso-nera del ventre.

Biologia ed ecologia: Questa specie ha una valenza ecologica molto ampia e preferenze ambientali meno ristrette di quelle del tritone crestato. Infatti, vive in quasi ogni tipo di ambiente acquatico naturale ed artificiale, da pozze e stagni con acque anche poco profonde a piccoli laghi, ruscelli a scorrimento lento, ma anche in abbeveratoi, e vasche artificiali. In periodi molto freddi e soprattutto in quelli caldi e siccitosi, può uscire dall’acqua ed ibernare o estivare sotto pietre o altri ricoveri. Nel periodo riproduttivo, in tardo inverno o primavera, i maschi presentano una vistosa cresta che parte dal collo, di colore arancio vivo. Anche la femmina subisce delle variazioni nel periodo riproduttivo: la parte inferiore della coda diventa più vivace ma complessivamente mantiene un aspetto mimetico e presenta una punteggiatura meno vistosa. La riproduzione avviene in acqua dopo un complesso corteggiamento che prevede il movimento della coda che riflette la luce sui tessuti iridescenti e la deposizione di una spermatofora, poi raccolta dalla femmina che depone le uova adesive (da 20 a 60 circa) tipicamente facendole aderire singolarmente alla vegetazione sommersa. Le larve hanno uno sviluppo più o meno lungo a seconda della temperatura dell’acqua e si cibano perlopiù di artropodi acquatici e possono essere mangiate da insetti acquatici e giovani natrici. Gli adulti si cibano di molluschi e artropodi acquatici e terrestri. Talvolta sono preda di serpenti acquatici, come le natrici, ma anche di pesci e del tritone crestato.

Fattori di minaccia: Il tritone punteggiato è considerato una specie con ridotte problematiche di conservazione a livello nazionale e dell’Unione Europea. Per questo motivo è incluso nell’Allegato III della Convenzione di Berna, ma non nella Direttiva Habitat. Nelle tre regioni del Parco è protetta da Leggi regionali. Le minacce maggiori sono dovute al drenaggio e all’inquinamento di piccoli ambienti umidi; all’immissione di pesci e alla pulizia dei fontanili-abbeveratoi.

 Curiosità: L’individuo conosciuto più longevo ha raggiunto i 20 anni di età in cattività.

Nel Parco: Il tritone punteggiato meridionale è una sottospecie endemica italiana di una specie a più ampia distribuzione europea. In Italia è distribuito solo nelle regioni settentrionali e centrali, a sud fino alla Campania, e manca nel versante adriatico a sud delle Marche settentrionali. Il tritone punteggiato era storicamente segnalato in 17 siti, di cui solo 2 sono stati confermati. Nel corso degli ultimi anni di monitoraggio sono stati, tuttavia, aggiunti 14 nuovi siti di presenza. Nel PNALM è distribuito in modo piuttosto continuo in tutte le province ed in gran parte dei complessi montuosi e dei sistemi vallivi tra 660 e 1900 m s.l.m., prevalentemente sui versanti molisani e abruzzesi del Parco.  

ULULONE APPENNINICO

Ululone appenninico (foto di: A. Iannarelli)

Bombina pachypus (Bonaparte, 1838)

Classe: Anfibi (Amphibia)

Ordine: Anuri (Anura)

Famiglia: Bombinatoridi (Bombinatoridae)

Riconoscimento:L’ululone appenninico è facilmente distinguibile da tutti gli altri anuri per le piccole dimensioni e la combinazione della colorazione dorsale bruna con chiazze scure e di quella ventrale con macchie gialle contornate da reticolature nero-azzurre. Di solito, nella regione del petto, ci sono alcune macchie gialle separate dalle altre. Presenta pelle ruvida con piccole escrescenze ghiandolari. Le dimensioni sono inferiori ai 6 centimetri. È una specie molto simile a Bombina variegata (Ululone a ventre giallo). Le larve sono meno facilmente riconoscibili e possono esser confuse con quelle della rana italiana, con cui talvolta convive.

Biologia ed ecologia: Questo piccolo rospo della famiglia Bombinatoridae è una specie a valenza ecologica apparentemente molto ampia poiché vive in una grande varietà di ambienti naturali e secondari. In realtà alcune caratteristiche ecologiche lo rendono piuttosto specializzato e vulnerabile alle alterazioni ambientali. Infatti, si riproduce in piccole raccolte d’acqua generalmente poco profonde, esposte al sole e a carattere perlopiù temporaneo, spesso derivanti da accumulo di acque meteoriche o alimentate da sorgenti. Queste piccole pozze sono i siti idonei per la riproduzione di questo anuro, a cui gli individui rimangono spesso fedeli per anni. Per questo motivo, la scomparsa dei siti riproduttivi determina spesso l’estinzione locale di intere popolazioni. Talvolta utilizza anche abbeveratoi-fontanili per la riproduzione. L’ululone appenninico emette canto molto flebile e udibile solo a breve distanza. L’amplesso è di tipo inguinale anziché ascellare come in molti altri anuri. Dalla tarda estate o all’inizio dell’autunno fino alla primavera inoltrata l’ululone appenninico abbandona i siti acquatici e si nasconde in fessure del suolo o sotto ripari. Le uova sono deposte in piccoli gruppi (10-100), attaccate alla vegetazione sommersa e le larve hanno altissima mortalità soprattutto per l’essiccamento precoce di questi ambienti temporanei: il tasso di successo col completamento della metamorfosi è quindi molto ridotto. Lo sviluppo può durare da uno ad oltre tre mesi, in relazione alla temperatura dell’acqua, e si possono avere più deposizioni nell’arco della stagione riproduttiva. L’ululone appenninico è una specie longeva (oltre 20 anni) e presenta una colorazione dorsale decisamente criptica, come il fondo delle pozze fangose, il che lo rende elusivo ai predatori, mentre la colorazione del ventre è gialla con chiazze nero-azzurre che mostra arcuando la schiena come atteggiamento difensivo. La specie è inoltre protetta da una sostanza tossica prodotta da ghiandole epidermiche. L’adulto si alimenta fuori dall’acqua cibandosi di una gran varietà di invertebrati, perlopiù insetti. Data la sua tossicità i predatori degli adulti son pochi mentre i girini sono predati da insetti acquatici e piccole natrici. La stagione riproduttiva dura circa sette mesi (da aprile ad ottobre), ma si hanno tre massimi nei mesi di maggio, giugno e nella seconda metà di luglio (se gli ambienti non si sono prosciugati). Questi anuri tendono a ritornare a riprodursi tutti gli anni negli stessi biotopi. Le uova, che misurano circa 2 mm, vengono deposte in un numero molto inferiore rispetto ad altri anfibi e le larve schiudono dopo 10-25 giorni. Il girino misura meno di 1 cm alla schiusa dell’uovo. Il colore del dorso è marrone ed è bianco nella zona ventrale.

Fattori di minaccia: Si tratta probabilmente della specie di anfibio più a rischio nel Parco. La protezione dell’Ululone appenninico è garantita anche se è inserito nelle normative internazionali (Direttiva Habitat e Convenzione di Berna) come B. variegata; la sua distinzione specifica è però ormai accettata e il grado di minaccia elevato è ugualmente considerato tanto da essere considerata dalla IUCN come EN (in pericolo di estinzione). Nel PNALM la specie è protetta anche dalle leggi regionali del Lazio, Abruzzo e Molise. Il principale motivo di riduzione, enfatizzato dalle caratteristiche ecologiche assai particolari, è la scomparsa degli ambienti umidi temporanei, connessi principalmente alle attività di pascolo, e la trasformazione di zone incolte a zone agricole, oltre alla riduzione delle sorgenti dovuta alla captazione ed alla riduzione e concentrazione delle piogge, che riducono i periodi di permanenza delle acque temporanee che non consentono lo sviluppo delle larve. In generale, sono state osservate due tipologie principali di minaccia: 1) rischio di prosciugamento del corpo idrico nel periodo riproduttivo, con conseguente rischio di essiccamento per uova e larve; 2) ridotta capacità portante del sito riproduttivo, con conseguente impossibilità di crescita della popolazione. Inoltre, il diffondersi di un’infezione fungina, la chitridiomicosi, che è stata evidenziata in alcune popolazioni, e che determina danni cutanei con esiti spesso fatali, potrebbe essere un’altra importante causa di declino o estinzione di popolazioni. La situazione attuale richiede dunque un programma di monitoraggio nel lungo periodo e interventi di conservazione immediati nelle aree riproduttive. Questi potrebbero implementare, o almeno mantenere, le condizioni d’idoneità per la presenza della specie, riducendo la perdita di acqua nei siti di presenza (dovuta al pascolo di bestiame, alla fauna di ungulati o alla tipologia di terreno e di corpo idrico) o incrementando la capacità portante del sito.

Curiosità: Il maschio, una volta selezionato il luogo idoneo per la riproduzione, attrae la femmina con un richiamo ululante (da cui il nome comune).

Nel Parco: L’Ululone appenninico è una specie endemica italiana, con un areale ristretto esteso dalla Liguria centrale alla Calabria. Questa specie è stata distinta negli ultimi venti anni da Bombina variegata (Linnaeus, 1758), specie centro-europea distribuita anche nelle Prealpi centro-orientali. Un tempo comune in ambienti agro-pastorali dove venivano mantenuti i sistemi acquatici temporanei, questo anuro ha avuto negli ultimi decenni una riduzione drastica tranne che nelle regioni meridionali (Basilicata e Calabria). Un fenomeno analogo è avvenuto anche nel PNALM, dove era segnalato dal 1971 in 24 siti dei quali solo 6 sono stati confermati dalle ultime ricerche, durante le quali sono però state individuate otto nuove località. La specie risulta complessivamente distribuita da 757 a 1700 m s.l.m. Storicamente, la maggioranza delle segnalazioni rientrava nell’area dell’alto Sangro, presso Pescasseroli e Opi, sul versante esposto a Sud della zona dietro Villetta Barrea e nelle zone termofile dei versanti laziali e molisani. Il settore settentrionale del PNALM non presentava né presenta alcun sito riproduttivo. Negli ultimi anni, invece, la specie è stata rinvenuta maggiormente nel versante laziale (zone di San Biagio Saracinisco e Vallerotonda) e in quello molisano (Comune di Pizzone), mantenendo comunque alcuni siti di presenza nei pressi di Pescasseroli e Barrea. La specie è stata ritrovata perlopiù in pozze temporanee, anche se sono presenti diverse segnalazioni in abbeveratoi, fontanili e piccoli ruscelli. Purtroppo, molte di queste segnalazioni riguardano uno o pochi individui o poche uova e/o larve, il che rende difficile immaginare come tali popolazioni possano persistere nel lungo periodo. Tuttavia, sono state accertate quattro popolazioni più consistenti, per ognuna delle quali è stato avviato un intensivo programma di monitoraggio: Fonte dell’Orso, nel comune di Pescasseroli; il Pozzo, abbeveratoio situato tra Barrea e Alfedena; la Sorgente di Collelungo, nel comune di Vallerotonda; Casone del Medico, nel comune di Pizzone. Inoltre, nel 2016, è stato individuato un nuovo sito riproduttivo nel comune di Scapoli, in località Fonte Vecchia. In primo luogo, è stato costruito un database fotografico degli individui, strumento indispensabile per studi non invasivi di cattura-marcatura-ricattura. Tale database è stato fondamentale per la stima delle dimensioni delle popolazioni di ululone, e sarà la base per il proseguimento delle attività di monitoraggio. Dai dati ottenuti, la numerosità di queste quattro popolazioni è apparsa piuttosto critica, perché sempre inferiore a 50 individui adulti, condizione che, insieme ad altri fattori di criticità (quali una sex-ratio sbilanciata a favore dei maschi), ne determina l’inclusione nella categoria IUCN “Critically endangered”.

GLI INSETTI

AFODIO

Aphodius fimetarius

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 5-8 mm.

Habitat: Vola durante il giorno nelle campagne, andando alla ricerca di materie escrementizie sulle quali depone le uova.

Cosa mangia: Si nutre di sostanze in via di putrefazione.

Note: Il genere Aphodius è assai numeroso e comprende diverse specie molto comuni di piccole dimensioni, con elitre nere, brune o rosse. L’Aphodius fimetarius è comunissimo.

BRACHINO CREPITANTE O BOMBARDIERE

Brachinus crepitans

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Dimensioni: 6,5-9,5 mm.

Curiosità: Presenta una proprietà particolare: all’apprestarsi di un pericolo, lancia dall’estremo dell’addome un liquido caustico, che si nebulizza, producendo una nuvoletta di vapore biancastro o bluastro ed un piccolo crepitio.

Note: Si tratta di un piccolo Carabide elegantemente colorato di rosso, con elitre verdi o azzurre, comune da noi e diffuso in tutta l’Europa e parte dell’Asia.

CALOSOMA

Calosoma sycophanta (foto di: Archivio PNALM)

Calosoma sycophanta

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidea)

Dimensioni: 22-30 mm.

Habitat: Vive di preferenza sugli alberi.

Cosa mangia: Si nutre di bruchi, crisalidi ed anche di adulti di farfalle.

Note: La Calosoma è un magnifico Carabide la cui armatura risplende di vivi riflessi metallici. E’ diffusa nell’Europa e nell’Asia occidentale ma non è molto comune.

CARABO CAVERNOSO

Carabus (Pachistus) cavernosus variolatus

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Note: Razza endemica dell’Appennino centrale di una specie balcanica, da considerare come elemento steppico, relitto di epoca glaciale.

Nel Parco: E’ presente nel Parco nel massiccio del Monte Greco.

CARABO VIOLACEO

Carabus violaceus (foto di: Archivio PNALM)

Carabus violaceus

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Dimensioni: E’ lungo 18-34 mm.

Habitat: E’ diffuso nei prati e nei boschi.

Note: Il vastissimo genere Carabus comprende forme di grandi dimensioni, spesso adorne di magnifici colori metallici e di eleganti sculture. Le ali membranose sono talora rudimentali, pertanto, questi Coleotteri non possono volare.
Il Carabo violaceo è abbastanza comune nell’Europa centrale e settentrionale con diverse razze.

CARABUS (CHAETOCARABUS) LEFEBREI BAYARDI

Carabus lefebvrei (foto di: Archivio PNALM)

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Note: Razza appenninica di specie endemica italiana, diffusa dalla Sicilia al Lazio.

CETONIA DORATA

Cetonia aurata (foto di: Archivio PNALM)

Cetonia aurata

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 14-20 mm.

Habitat: L’adulto sta sui fiori, ad esempio delle rose e delle peonie e li danneggia, mentre la larva vive nel legno decomposto o nel nido di alcune formiche.

Cosa mangia: L’adulto si nutre di polline e di frutta.

Note: Notissimo Coleottero, presenta colorito estremamente variabile.

CETONIELLA PELOSA

Cetoniella pelosa (Tropinota irta)

Tropinota hirta

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 8-12 mm.

Note: E’ una specie comunissima, gli adulti compaiono già agli inizi della primavera e frequentano i fiori di svariate piante. Le larve stanno nel terriccio e si nutrono di sostanze organiche in decomposizione e in fermentazione.

CICINDELA CAMPESTRE

Cicindela campestris (foto di: Archivio PNALM)

Cicindela campestris

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Cicindelidi (Cicindela)

Dimensioni: La Cicindela campestre è lunga 12-15 mm.

Habitat: Si riscontrano generalmente nei luoghi soleggiati, aperti, lungo le strade e le zone sabbiose aride. Sono comuni in tutta Europa.

Cosa mangia: Le Cicindele sono carnivore.

Note: Normalmente di dimensioni medie, sono agili, robuste ed ornate spesso di vivaci colori e fornite di grandi occhi sporgenti e di poderose mandibole.

CYCHRUS ATTENUATUS LATIALIS

Cychrus attenuatus latialis

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Cosa mangia: Si nutre di chiocciole e lumache.

Note: Razza endemica dell’Appennino centro-meridionale, ben differenziata, di una specie silvicola diffusa sulle montagne europee, dai Pirenei ai Carpazi.

Nel Parco: Si rinviene, non frequente, nelle faggete umide o negli alti pascoli, presso nevai delle montagne del Parco.

CYCHRUS ITALICUS

Cychrus italicus (foto di: Archivio PNALM)

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Carabidi (Carabidae)

Cosa mangia: Si ciba di lumache e chiocciole.

Nel Parco: Specie endemica italiana, frequente in tutte le formazioni forestali del Parco, specialmente nelle più termofile.

GEROTRUPE

Gerotrupe mutador

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 16-24 mm.

Habitat: Si riscontra abbastanza frequentemente sui campi e lungo i boschi.

Cosa mangia: Il suo cibo è costituito da escrementi equini o bovini.

Note: I Gerotrupi sono Coleotteri di grosse dimensioni, ornati spesso di splenditi riflessi metallici soprattutto sulla superficie ventrale del corpo. Sul loro corpo si riscontrano spesso dei minuscoli acari giallognoli.

GNORIMUS NOBILIS

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Habitat: E’ facile trovare questo splendente scarabeo sui fiori di Sambuco, Ligustro, Berberis, Spirea, Ulmaria, Rosa, Corniolo e così via. La larva si sviluppa nel legno marcio di Susino, Ontano e altre essenze arboree.

MAGGIOLINO

Melolontha pectoralis

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: Ha una lunghezza che varia da 30 a 35 mm.

Cosa mangia: Specie polifagia, si nutre di foglie di svariate piante. La larva, invece, vive nel terreno e si nutre di radici.

Note: E’ uno dei tre Maggiolini della fauna italiana.L’adulto, come dice il nome, compare in maggio e si rinviene fino a giugno.

MIMELA DI GIUGNO

Mimela junii

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Habitat: Spesso si rinvengono sui fiori di Sambuco.

Cosa mangia: Gli adulti della Mimela junii si nutrono di foglie di varie piante erbacee spontanee e di arbusti selvatici, mentre le larve si nutrono delle radici di varie piante erbacee oppure vivono negli accumuli di terriccio ricco di sostanze vegetali in decomposizione.

OSMODERMA EREMITA, LO “SCARABEO EREMITA”

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 25-37 mm.

Habitat: La sua larva si sviluppa nel terriccio all’interno di grosse cavità di vecchi alberi, per lo più salici, querce, castagno e faggio, ma anche platano, pioppi, olmi, aceri, e altre latifoglie. Pertanto, si rinviene in formazioni boschive mature, in filari di vecchi alberi e anche in parchi cittadini, per lo più in ambiente collinare e montano, fino a circa 1000 m di altitudine.

Curiosità: Il maschio emana un forte odore di cuoio di Russia, che ha il compito di attrarre le femmine.

Note: Gli adulti di questa rara specie, di taglia medio-grande, sono caratterizzati da una livrea di colore bruno-scuro. Il maschio porta sul capo, sopra gli occhi, un corto tubercolo.

ROSALIA DELLE ALPI

Rosalia Alpina (foto di: Valentino Mastrella)

Rosalia alpina

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Cerambicidi (Cerambicidae)

Dimensioni: 20-36 mm.

Habitat: Vive nei boschi montani di latifoglie, in particolare nelle faggete con presenza di piante mature.

Cosa mangia: La Rosalia alpina é un insetto con un regime alimentare strettamente vegetariano, sia allo stadio di adulto che in quello di larva.

Curiosità: La Rosalia alpina é inconfondibile per la sua livrea azzurra macchiettata di nero e con le lunghe antenne tipiche di molti cerambicidi.Le antenne, più lunghe dell\’intero corpo, sono costituite da una serie di articoli con la parte prossimale blu e quella apicale scura per la presenza di evidenti setole nere.

Note: La Rosalia colpisce per la bellezza della sua livrea, tanto da considerarlo uno dei coleotteri più belli della fauna europea.Le larve si sviluppano scavando gallerie nei vecchi tronchi cariati, spezzati o morti da poco, e il loro sviluppo richiede due o tre anni. Gli adulti si rinvengono in tarda estate, di giorno e sulle piante su cui si sono sviluppati, spesso anche sui tronchi accatastati lungo i margini delle strade forestali.

Nel Parco: Si rinviene in montagna, ma non è molto comune.

SCARABEO RINOCERONTE

Oryctes nasicornis

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: Può raggiungere i 40 mm.

Note: Il nome di questo Scarabeide deriva dalla presenza, sul capo del maschio, di un robusto corno di lunghezza variabile rivolto all’indietro. E’ uno dei più grandi coleotteri della fauna europea. La sua larva vive circa quattro anni nel legno in via di decomposizione, oppure nel terreno concimato con molte sostanze vegetali.

TRICHIUS ROSACEUS

Classe: Insetti (Insecta)

Ordine: Coleotteri (Coleoptera)

Famiglia: Scarabeidi (Scarabaeoidea)

Dimensioni: 10-13 mm.

Habitat: L’adulto frequenta le infiorescenze delle Ombrellifere, i fiori di Rovo, Spirea e simili durante i mesi primaverili ed estivi. Da larva vive dentro i tronchi e nei rami di piante di bosco e da frutto.

I MAMMIFERI

Il territorio del Parco ospita una biodiversità di Mammiferi numerosa e differenziata. Attualmente sono state censite 67 specie, tra queste 35 sono inserite negli allegati della Direttiva Habitat dell’Unione Europea e quindi oggetto di particolare tutela.

Qui vivono 10 specie di carnivori, tra i quali quello più affascinante è, senza dubbio, l’orso bruno marsicano, eletto a simbolo del Parco da molti decenni. Presente in 50 esemplari, strenuamente protetti e monitorati, vive su tutto il territorio del Parco, spostandosi prevalentemente nelle ore notturne. L’avvistamento di questo splendido animale è sicuramente un’esperienza emozionante. L’orso è un animale possente, che incute timore e rispetto, ma ha un’indole mite ed un carattere schivo e solitario. E’ sopravvissuto in quest’ultimo lembo di natura intatta dell’Appennino dall’ultima era glaciale, e questo lo rende ancora più prezioso e degno di speciale tutela. Un altro protagonista della natura selvaggia è il leggendario lupo appenninico, presente nel Parco con circa 7-8 branchi, in espansione negli ultimi anni in tutto il territorio italiano grazie alla tutela della specie a partire dagli anni ’70. Elusivo, intelligente e forte, in questi ecosistemi naturali svolge pienamente il suo ruolo naturale di predatore. La ricerca scientifica degli ultimi decenni ci ha restituito una figura di questo animale assai diversa da quella creata in secoli e secoli di odio da parte dell’uomo: il lupo è un animale straordinario, dotato di una complessa vita sociale, che sfugge l’uomo e contribuisce in maniera determinante a mantenere l’equilibrio naturale. Udire l’ululato del lupo o scoprirne le impronte in natura testimonia l’ottimo stato di salute del territorio, che gli offre cibo, riparo e tutela. Altre specie di carnivori che meritano di essere citate sono la lontra, il tasso, diffuso dai campi coltivati fino alle praterie di altitudine il gatto selvatico molto elusivo ma più diffuso di quanto si pensi.

Il Parco ospita 4 specie di ungulati il cervo, il capriolo, il cinghiale e il camoscio. Tra i mammiferi del Parco un posto importante spetta proprio al camoscio appenninico. Perfettamente adattato all’ambiente montano di alta quota caratterizzato da rupi impervie e praterie, è presente con una popolazione di circa 600 esemplari; il suo caratteristico mantello e la lunghezza delle corna lo differenziano nettamente dal camoscio alpino. Magnifico nell’aspetto, agile ed elegante nelle movenze, non è difficile da avvistare in numerosi branchi oltre il limite del bosco. Cinghiali e cervi sono giunti nell’ area protetta in tempi più o meno recenti in seguito ad interventi umani.

Ci sono 25 specie di chirotteri.

Nel Parco sono presenti due specie di lepre, la lepre europea e la lepre italica considerata un endemismo tipicamente italiano.
Tra i “micromammiferi insettivori” sono presenti il riccio europeo, diverse specie di toporagno e di crocidura, la talpa cieca e la talpa romana; tra i “roditori” il moscardino con abitudini notturne o crepuscolari, diverse specie di arvicola diffuse dalle fasce collinari a quelle montane, legate ad ambienti forestali, ripariali, praterie, l’arvicola delle nevi è diffusa oltre il limite della vegetazione forestale.

Checklist mammiferi del Parco

ARVICOLA DELLE NEVI

Arvicola delle nevi

Chionomys nivalis

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Muridi (Muridae)

Dimensioni: Il corpo ha una lunghezza compresa tra gli 11 e i 14 cm e la coda, piuttosto lunga, misura circa la metà del corpo; il peso può raggiungere anche i 60 g. Il muso è dotato di baffi prominenti. Il pelo è di un caratteristico color grigio-scuro sulle parti superiori del corpo, più biancastro nella zona inferiore.  

Vita: non è difficile, soprattutto d’inverno, osservarla vicino ai rifugi di montagna frequentati dagli escursionisti, dove approfitta della presenza antropica per procurarsi qualche risorsa trofica in più. In cattività può arrivare fino a 4 anni.

Habitat: è l’arvicola più legata agli ecosistemi montani, vive infatti in aree di pascolo e cespuglieti, al di sopra del limite dei boschi, fino a quote elevate oltre i 2.500 m slm. Sceglie spesso pietraie e accumuli di massi per costruire la tana. Scava complessi sistemi di gallerie, piuttosto superficiali, con diverse camere utilizzate per immagazzinare il cibo; la camera scelta come nido, viene rivestita di paglia ed erba.  

Cosa mangia: l’arvicola delle nevi si ciba principamente di gemme, erbe, semi, frutti, radici…  

Riproduzione: la stagione riproduttiva va in genere da maggio ad agosto e si possono avere anche 2 cucciolate. La gestazione dura circa 21 giorni e vengono partoriti dai 2 ai 4 cuccioli durante la stagione estiva.  

Piccoli: i cuccioli restano con la madre per circa 3 settimane e tra la quarta e la quinta settimana di vita raggiungono la maturità sessuale.

Curiosità: è molto attiva anche di giorno, al contrario di altri micromammiferi che hanno abitudini più spiccatamente notturne, per questo viene poco predata dai rapaci è, infatti, una delle poche specie di micromammiferi che non si può rilevare attraverso lo studio delle borre di questi rapaci.

Note: l’arvicola delle nevi durante l’ultima glaciazione era diffusa in tutta Europa; oggi è presente, in Appennino, con popolazioni disgiunte sui principali rilievi. La specie viene considerata Quasi Minacciata (NT), soprattutto a causa della frammentazione delle popolazioni, in particolare lungo la catena appenninica.

ARVICOLA DI SAVI

Arvicola di Savi (Microtus savii)

Microtus savii

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Muridi (Muridae)

Dimensioni: la lunghezza del corpo varia dai 7 ai 10 cm, la misura della coda può arrivare ai 3,5 cm; il peso oscilla tra 14 e 24 g. Il colore predominante del corpo è un marrone-rossiccio. Gli occhi e le orecchie sono piccoli, quest’ultime quasi completamente nascoste dal pelo, come spesso accade nelle specie che hanno prevalentemente attività ipogea.

Vita: è una specie gregaria che forma colonie molto numerose. E’ presente dal livello del mare fino a 2000 m di altitudine. Ha abitudini notturne e ipogee più caratterizzanti rispetto a quelle di altre arvicole. È una preda molto presente nella dieta dei rapaci notturni. Può arrivare anche fino a 4 anni.

Habitat: è una specie legata ad ambienti caratterizzati da vegetazione erbacea, come prati e campi umidi, riesce ad adattarsi con facilità ad ambienti coltivati e antropizzati, dove può arrivare a raggiungere una consistenza numerica numerosa e a provocare danni alle coltivazioni.  

Cosa mangia: la dieta è costituita principalmente di vegetali, in particolare, si nutre di tuberi, bulbi, radici.

Riproduzione: il periodo riproduttivo va dalla primavera fino all’inizio dell’autunno. Si possono avere anche 4 nidiate di 2-4 piccoli.

Piccoli: i piccoli vengono allattati per circa 2 settimane e la maturità sessuale è raggiunta intorno ai 3 mesi. 

Curiosità: come altre arvicole, costruisce un complesso sistema di gallerie sotterranee, con la distinzione tra camere magazzino e camere nido, quest’ultime sono rivestite di foglie secche ed erba. Emette un caratteristico fischio quando è spaventata.

Note: è un endemismo italiano, presente in tutta la Penisola che eccezione delle Alpi orientali e della Sardegna. La specie è abbandante e ha una popolazione stabile, per questo è considerata a Minor Preoccupazione (LC).   

ARVICOLA ROSSASTRA

Arvicola rossastra (Myodes glareolus)

Myodes glareolus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Cricetidi (Cricetidae)

Dimensioni: il corpo è lungo 8-12 cm, la coda 3-7 cm; il peso varia da 15 a 35 g. Il pelo è di un caratteristico color castano-rossiccio sul dorso, bianco-giallastro sul ventre.

Vita: dai 6 mesi ai due anni.

Habitat: è l’arvicola più legata agli ecosistemi forestali, dove sia presente un denso strato arbustivo, costituito da specie variegate e con abbandante lettiera. Si trova dal livello del mare fino a 2000 m di altitudine.

Cosa mangia: l’arvicola terrestre ha una dieta varia che include gemme, foglie, semi, frutti, ma anche insetti e altri invertebrati.  

Riproduzione: la stagione dell’accoppiamento va da aprile a settembre e si possono avere tre o anche più parti durante l’anno.

Piccoli: nel periodo primaverile e autunnale, la femmina dà alla luce dai 3 ai 5 piccoli (in qualche caso anche di più).

Curiosità: l’arvicola rassastra percorre sentieri superficiali nella lettiera oltre che fitti cunicoli sotteranei. Durante l’inverno, conserva il cibo nelle tane sotterranee.

Note: al contrario di altri micromammiferi, ma come altre specie di arvicole, presenta sia attività notturna sia diurna e spesso resta attiva anche durante l’inverno, per questo è più facilmente osservabile di altre specie. Valutata Least Concern (Minor preoccupazione) dallo European Mammal Assessment.  

ARVICOLA TERRESTRE

Arvicola terrestre (Arvicola amphibius)

Arvicola amphibius

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Muridi (Muridae)

Dimensioni: è una delle arvicole più grandi, il corpo è lungo 12-19 cm e la coda 7,5-12,5 cm; il peso varia dagli 80 e ai 170 g. Generalmente, il colore della pelliccia è marrone scuro, ma si possono trovare alcuni individui di color grigio scuro o nero. La testa è un po’ tozza e il muso ha una forma piuttosto arrotondata. In acqua, si può confondere con il ratto, visto che ne ha dimensioni e colore molto simili, ma sulla terra, si riesce facilmente a distinguere per via della coda più corta.

Vita: l’arvicola terrestre costruisce una grande tana sulle rive dei fiumi o dei laghi e fossati in cui vive, la tana può avere ingressi e aperture sia sopra sia sotto il livello dell’acqua. All’ingresso delle tane, si può trovare un caratteristico accumulo di terra che ricorda quello prodotto dalle talpe, ma che si distingue perché questa specie realizza un buco d’ingresso.può vivere fino a 3 anni. Si registrano casi, in cattività, di vita fino a 5 anni. 

Habitat: al contrario di quanto il nome faccia ipotizzare, è una specie legata agli ambienti acquatici di acqua dolce: fiumi lenti, laghi, paludi, purchè provvisti di vegetazione ripariale. Come per altre arvicole, il sistema di gallerie comprende la creazione di camere nido e camere magazzino.

Cosa mangia: l’arvicola terrestre si ciba principamente di erbe, semi e altre parti vegetali come le radici. Può nutrirsi anche di specie coltivate, arrecando qualche danno alle coltivazioni visto che ne rosicchia le radici. 

Riproduzione: la stagione riproduttiva va da aprile a settembre e le femmine possono avere anche 3 gravidanze, con una gestazione che dura 21 giorni.

Piccoli: nascono in genere dai 4 ai 6 cuccioli, che, dopo 1 mese di vita, raggiungono l’indipendenza e a 2-3 mesi la maturità sessuale.

Curiosità: le arvicole terrestri sono grandi nuotatrici, riescono a muoversi molto bene in acqua usando tutte e quattro le zampe per nuotare. Sono attive soproattutto all’alba e al crepuscolo, ma si possono osservare anche di giorno.  

Note: la ripulitura e la cementificazione degli argini dei corsi d’acqua possono rappresentare una minaccia per la specie.

Camoscio appenninico

Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)

Rupicapra pyrenaica ornata

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)

Famiglia: Bovidi (Bovidae)

Dimensioni: la lunghezza è di 100 – 130 cm, l’altezza al garrese è di 70 – 80 cm, il peso è di circa 30 kg per i maschi e 27 kg per le femmine

Vita: 15 anni

Habitat: il camoscio appenninico è prevalentemente legato agli ambienti d’alta quota (1.200-2.000 m s.l.m.) caratterizzati da praterie e pareti scoscese; in inverno, quando la neve è abbondante, scende più a valle nel bosco.

Cosa mangia: è un erbivoro; particolarmente importante per la dieta, grazie alla ricchezza di proteine, è la comunità vegetale del Festuco-Trifolietum thalii.

Riproduzione: la stagione degli amori è a ottobre-novembre; in questo periodo i maschi ingaggiano delle spericolate lotte per potersi accoppiare con più femmine.

Piccoli: a maggio le femmine partoriscono un solo camoscetto.

Curiosità: se è allarmato il camoscio emette un tipico fischio di avvertimento.

Note: le corna, presenti in entrambi i sessi, sono molto sviluppate.
Il mantello estivo ha un colore marrone chiaro piuttosto uniforme, mentre in inverno assume una tipica e vistosa colorazione composta da fasce bianche, nere e brune a contrasto.

Nel Parco: grazie all’istituzione del Parco e ad un’attenta tutela, questo raro ungulato è stato salvato dall’estinzione.
Negli ultimi decenni la popolazione è aumentata in modo consistente, tanto da consentire, attraverso programmi di ricerca, la reintroduzione in altre aree protette dell’Appennino, da dove si era estinto in epoca storica.
Al Parco è presente sui monti della Camosciara, sul Monte Meta, sulle Mainarde, sul Monte Amaro, sul Monte Marsicano e sulle montagne che circondano la Val Canneto.

Capriolo

Capriolo (Capreolus capreolus)

Capreolus capreolus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)

Famiglia: Cervidi (Cervidae)

Dimensioni: lunghezza fino a 120 cm, altezza alla spalla 75 cm.

Vita: 12-13 anni

Habitat: vive in zone boscose, preferibilmente con frequenti radure e un folto strato arbustivo

Cosa mangia: erba, fogliame, piccole piante

Riproduzione: luglio e agosto

Piccoli: nascono alla fine della primavera; sono comuni i parti gemellari

Note: è privo di coda e il suo mantello è marrone-rossastro d’estate, marrone-grigiastro con un evidente posteriore bianco in inverno; i piccoli hanno il mantello maculato. Le corna, dotate di tre punte, cadono all’inizio dell’inverno per riformarsi nella primavera successiva. In inverno tende a formare piccoli gruppi mentre nelle altre stagioni è più frequentemente solitario; durante la stagione degli amori i maschi adulti marcano il proprio territorio scortecciando piccoli alberi con le corna

Nel Parco: molto comune, almeno fino a 1800 metri di quota.

CERVO

Cervo (Cervus elaphus)

Cervus elaphus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Artiodattili (Artiodactylia)

Famiglia: Cervidi (Cervidae)

Dimensioni: il Cervo è un ungulato di medie-grandi dimensioni con spiccato dimorfismo sessuale, nel maschio si sviluppa il palco, mentre è assente nella femmina. I maschi adulti possono essere lunghi sino a 2,5 m e alti, al garrese sino a 1.2 m, con un peso che va da 200 a più di 250 kg nei casi eccezionali. La femmina è notevolmente più piccola, e può raggiungere i 150 kg di peso.

Vita: frequenta una vasta gamma di habitat, la stessa popolazione può utilizzare ambienti diversi nel corso del ciclo annuale. In montagna, durante l’estate, si spinge oltre il limite superiore del bosco, nelle praterie alpine,  mentre nei periodi invernali scende nei fondovalle. La vita in natura dei cervi si aggira intorno ai 15 anni.  

Habitat: il Cervo vive nelle zone boschive con presenza di radure inframmezzate a distese di prateria, dalle quote più basse fino a circa 2500 metri.

Cosa mangia: è un erbivoro,  i cervi si nutrono di erbe, germogli, di foglie, ma anche di delle cortecce, degli arbusti secchi e delle radici scavate a colpi di zoccolo.  

Riproduzione: la stagione degli amori è a settembre-ottobre. In questo periodo, i maschi , iniziano a sfidarsi tramite il tipico e potente bramito per formare i propri “harem” costituiti da  5-15 femmine che custodiscono gelosamente. Dopo l’accoppiamento i maschi si allontanano, riprendendo la loro vita normale. La gestazione dura circa 260 giorni.  

Piccoli: tra maggio e giugno nasce un cerbiatto, che resta nascosto nel fitto dei cespugli per un paio di settimane, dove la madre lo raggiunge per le poppate. Si allontanano dalle madri dopo aver compiuto un anno di età. Il cucciolo ha il dorso pomellato per meglio mimetizzarsi fra i cespugli, la pomellatura viene persa alla fine dell’estate.

Curiosità: i maschi sono provvisti di palchi, costituiti da tessuto osseo, che annualmente perdono e riformano in primavera. Durante questo periodo le due stanghe sono ricoperte da un’epidermide riccamente vascolarizzata che si chiama “velluto”, se manca questo rivestimento significa che il palco, per quell’anno, ha finito di crescere. Lo sviluppo segue l’età dell’animale fino al raggiungimento delle massime dimensioni intorno agli 8-12 anni per poi regredire con la vecchiaia. La crescita dei palchi è legata al tasso di testosterone e indica appunto lo stato di salute dell’animale.  

Note:

nelle normative nazionali ed internazionali il Cervo viene citato nella Legge nazionale 157/92 art. 18 come specie cacciabile e nell’appendice III della convenzione di Berna come specie protetta. 

Nel Parco: i cervi  erano completamente scomparsi nelle vallate del Parco.  Essi furono reintrodotti negli anni settanta e adesso popolano in gran numero le foreste. Non è difficile osservare cervi al pascolo nelle ore meno assolate della giornata. Negli ultimi anni molti cervi sono diventati assai confidenti, spingendosi fin dentro i centri abitati  dove non è difficile vederli anche di giorno nei giardini o nei pressi delle strade.  

CINGHIALE

Cinghiale (Sus scrofa)

Sus scrofa

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Artiodattili (Artiodactylia)

Famiglia: Suidi (Suidae)

Dimensioni: il cinghiale ha costituzione massiccia, ma zampe piuttosto corte e sottili. Gli adulti misurano fino a 180 cm di lunghezza, per un’altezza al garrese  che può sfiorare il metro e un peso massimo di un quintale circa.

Vita: i cinghiali sono animali sociali, che vivono in gruppi composti da una ventina di femmine adulte coi propri cuccioli, guidate dalla scrofa più anziana. I maschi più anziani conducono una vita solitaria per la maggior parte dell’anno, mentre i maschi giovani che ancora non si sono accoppiati tendono a riunirsi in gruppetti. Vivono in media 15-20 anni.

Habitat: il Cinghiale occupa una vasta varietà di habitat, colonizza praticamente ogni tipo di ambiente a disposizione, dai rilievi collinari agli orizzonti montani. Predilige boschi decidui dominati dal genere Quercus alternati a cespuglieti e prati-pascoli.

Cosa mangia: è un animali onnivoro dalla dieta molto varia  costituita principalmente di materiale vegetale, come ghiande, frutti, tuberi, radici e funghi, ma non disdegna di integrare la propria dieta con materiale di origine animale, come invertebrati, anfibi, rettili e piccoli roditori e talvolta anche carne proveniente da carcasse.  

Riproduzione: Il periodo riproduttivo va da novembre a febbraio/marzo, durante questo periodo, i maschi affrontano spesso aspri combattimenti infatti durante quel periodo sviluppano la cosiddetta “armatura”, ossia un ispessimento cutaneo adiposo che ricopre il collo e le spalle per difendersi dagli avversari. La gestazione dura circa 4 mesi  e le nascite si concentrano in primavera e alla fine dell’estate aumentando così le probabilità di sopravvivenza della prole. 

Piccoli: i cuccioli, sono in numero variabile da tre a dodici per ciascuna cucciolata. Il periodo di allattamento dei cuccioli è di circa 2-3 mesi, ma già al termine dei primo mese i piccoli di cinghiale iniziano a pascolare e grufolare sul terreno. La maturità sessuale viene raggiunta a 10-16 mesi.

Curiosità: abitudine particolare del cinghiale, comune al cervo, è l’insoglio cioè un bagno di acqua e fango che gli animali hanno necessità di fare per liberarsi dai parassiti e dallo sporco o per rinfrescarsi durante i periodi caldi.

Note: il Cinghiale rappresenta una specie autoctona problematica per l’impatto che può avere su alcuni habitat svolgendo azioni di grufolamento, o rooting, sul terreno. Rivoltano il terreno in cerca di radici, larve, bulbi, forma buche e solchi, fino a 40 cm di profondità e alcune decine di mq di estensione creando gravi danni al substrato e al manto erboso.

Nel Parco: è presente dalla metà dagli anni ’80. Comune e diffuso in tutto il Parco fino alle quote superiori però con densità medio-basse.

DONNOLA

Donnola (Mustela nivalis)

Mustela nivalis

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: la Donnola è il più piccolo carnivoro europeo, è lunga in media 35 cm  con la coda corta rispetto al corpo che si assottiglia verso l’estremità. Ha un corpo snello con pelo raso e di colore fulvo sul dorso e biancastro sul ventre.

Vita: è un animale molto agile nel correre, nell’arrampicarsi e nel nuotare. Vive nelle cavità del terreno o degli alberi sia in pianura che in montagna, dove si spinge oltre i 2000 metri. In natura vive fino a quattro anni, in cattività può arrivare ai dieci anni.

Habitat: la Donnola frequenta diversi ambienti, sia terreni coltivati, zone cespugliate, boschi, praterie di alta quota ma anche luoghi abitati dall’uomo dove trova il cibo e luoghi di rifugio.  E’ anche un’abituale frequentatrice di pollai, piccionaie e conigliere, dove fa delle vere stragi.

Cosa mangia: la Donnola è un predatore generalista, si muove prevalentemente di notte alla ricerca di topi, conigli, lepri, di uccelli; talvolta integra la dieta con rettili, anfibi, pesci e insetti.

Riproduzione: gli accoppiamenti si verificano abitualmente da Marzo ad Aprile ed inizia con una lotta tra maschio e femmina. La gestazione dura circa cinque settimane.

Piccoli: i piccoli, da quattro a sette, vengono svezzati in circa 8 settimane e curati dalla madre. Dopo il terzo mese diventano indipendenti.   

Curiosità: la Donnola quando è minacciata, soffia o grida ed emette un odore forte e sgradevole, dovuto ad un secreto solfureo prodotto da un paio di ghiandole perianali. 

Note: è una specie ad areale ampio. Non esistono indicazioni di un declino di popolazione e non sussistono specifiche minacce. Per queste ragioni la specie è valutata a Minor Preoccupazione (LC).

FAINA

Faina (Martes foina)

Martes foina

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: la Faina lunga in media 35-50 cm  con la coda di circa 25 cm.  Il pelo è raso e folto, si presenta di colore marroncino, che schiarisce sulla testa, mentre le zampe sono di colore marrone scuro. Presenta una caratteristica macchia bianca, più raramente giallognola, che si estende dal collo fino al ventre.

Vita: è un animale principalmente solitario che vive in piccoli gruppi familiari soltanto nel periodo riproduttivo. Ha abitudini notturne, durante il giorno si rifugia in cavità naturali, nei fienili, nelle stalle, tra le cataste di legna. In natura vive 5-10 anni, mentre in cattività può sfiorare i venti anni.

Habitat: la Faina frequenta diversi ambienti, dalla pianura alla montagna, fino ad altitudini di 2000 metri. Vive in zone forestali, cespugliate, ambienti rurali ma anche luoghi abitati dall’uomo.

Cosa mangia: la Faina è un predatore generalista, si nutre di topi, conigli, uccelli, pipistrelli, ma anche di insetti, frutti e bacche selvatiche. Quando riesce ad entrare in un pollaio, spesso uccide un maggior numero di animali rispetto al fabbisogno immediato di cibo, questo comportamento è noto come surplus killing.

Riproduzione: gli accoppiamenti si verificano abitualmente in tarda estate. I cuccioli nascono solo nella primavera successiva tra aprile e maggio. Lo sviluppo degli embrioni è ritardato, in modo che i piccoli vengano alla luce nel periodo più adatto al loro sviluppo.

Piccoli: i piccoli, da tre a cinque, vengono svezzati in circa 8 settimane e curati dalla madre. Dopo il terzo mese diventano  indipendenti.   

Curiosità: spesso La Faina provoca problemi alle attività umane, in alcune zone si registrano danni alle copeture dei tetti, che vengono smossi per ricercare nidi, uccelli e pipistrelli. 

Note: tra i Carnivori è una delle specie ecologicamente più adattabili e flessibili.

Nel Parco: diffusa in tutto il Parco.

GATTO SELVATICO

Gatto selvatico (Felis silvestris)

Felis silvestris

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Felidi (Felidae)

Dimensioni: si tratta di animali con un corpo robusto, agilissimo, testa corta e rotondeggiante, zampe forti e lunghe, specialmente quelle posteriori, coda tronca all’estremità. Misura circa 1,20 metri di lunghezza compresa la coda, per un peso di 3–8 kg.  La coda è lunga circa 35 cm uniformemente folta, con anelli e apice nero. Il dimorfismo sessuale riguarda soprattutto le dimensioni corporee e il peso, decisamente maggiori nei maschi.  

Vita: il Gatto selvatico è un animale schivo e solitario e anche quando vive in coppia tende a mantenere la propria individualità. Vive circa 13-14 anni. E’ un animale con abitudini soprattutto crepuscolari-notturne, di giorno rimane nascosto nelle cavità  degli alberi, in tane abbandonate, e in anfratti rocciosi. Il maschio difende il proprio territorio depositando feci e rilasciando marcature odorose spruzzando urina.    

Habitat: il Gatto selvatico è legato agli habitat forestali, in particolare ai boschi di latifoglie, soprattutto per la protezione della vegetazione. Tende ad escludere le aree di altitudine elevata, probabilmente in relazione  che l’innevamento causa alle attività di caccia e di spostamento e tende ad evitare i luoghi frequentati dall’uomo.  

Cosa mangia: è un animale carnivoro di abitudini notturne. Le sue prede preferite sono i roditori ed i piccoli mammiferi. E’ anche un predatore opportunista che all’occorrenza non disdegna  gli anfibi, gli insetti e gli uccelli che scova nei nidi. 

Riproduzione: si riproduce una volta all’anno. Durante il periodo degli amori, che va da gennaio a marzo, si intensifica l’operazione di marcatura dell’ambiente circostante con lo scopo di richiamare le femmine in calore e mettere in guardia i possibili rivali. La gestazione dura circa 66 giorni e da marzo e giugno vengono partoriti 3 o 4 cuccioli.  

Piccoli: i cuccioli nascono in luoghi nascosti e inaccessibili, avvolti nella placenta, ciechi e totalmente inetti. Alla nascita pesano 75-150 g, con mantello maculato e solo successivamente, durante la crescita, le macchie si fondono a formare delle strisce. Dopo il terzo mese iniziano a condurre vita indipendente.

Curiosità: è il felino selvatico più diffuso in Italia. Durante il periodo di eccitazione sessuale del maschio che dura alcuni mesi, in genere da gennaio a giugno, si possono udire i caratteristici richiami amorosi che sono tra le poche esibizioni vocali  di questo animale.

Note: il Gatto selvatico in Italia è stato classificato come specie “Quasi Minacciata” (NT) delle categorie IUCN (International Union for Conservation of Nature).

Nel Parco: la presenza è stata riscontrata sia nel Parco che nei comuni immediatamente limitrofi. All’interno dei confini del PNALM l’ibridizzazione con il gatto domestico rappresenta una causa di rischio per la conservazione del Gatto selvatico.

ISTRICE

Istrice (foto di: Valentino Mastrella)

Hystrix cristata

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Istricidi (Hystricidae)

Dimensioni: è il roditore più grande d’Italia. Il peso varia  tra i 10 e 15 Kg e la lunghezza  tra i 70 e gli 80 cm.

Vita: la vita dell’Istrice può superare i 10 anni. E’ una specie monogama che vive in coppie o in nuclei familiari.

Habitat: è una specie molto generalista, che frequenta prevalemtemente zone boscose e cespugliate, che si alternano a campi coltivati. L’attività è principalmente notturna, ma in primavera anche diurna.

Cosa mangia: l’Istrice viene indicato come un vegetariano di tipo generalista. Si nutre di tuberi, radici, erbe, semi e frutti caduti a terra.

Riproduzione: il periodo riproduttivo è legato ai mesi più caldi. La gestazione dura circa 120 giorni e i cuccioli nascono in una zona ben precisa della tana che viene ricoperta di foglie e muschio.

Piccoli: nascono 2 o 3 piccoli con il corpo  ricoperto di pelo, che forma strisce bianche sul dorso, mentre gli aculei sono ancora morbidi. Dopo una settimana diventano duri così da permettere all’animale di utilizzarli come arma di difesa.

Curiosità: il corpo è ricoperto da peli modificati, chiamati aculei, che usa per difendersi. Sono presenti soprattutto sul dorso, sui fianchi e sulla coda. Essi sono lunghi circa 20-35 cm, gli aculei della coda sono molto particolari, sottili alla base e allargati e cavi nella parte finale e vengono utilizzati come un sonaglio. per avvertire eventuali nemici. 

Note: l’Istrice è una specie elencata nell’allegato IV della direttiva Habitat (92/43/CEE). Protetta dalla legge italiana 157/92. Valutata Least Concern (a minor rischio) dallo European Mammal Assessment (IUCN 2007).

LEPRE ITALICA

Lepre italica (Lepus corsicanus)

Lepus corsicanus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)

Famiglia: Leporidi (Leporidae)

Dimensioni: si tratta di animali di medie dimensioni, con  testa piccola, occhi ed orecchie grandi, denti incisivi molto sviluppati a crescita continua, zampe posteriori assai sviluppate. Misura circa mezzo metro o poco più di lunghezza, per un peso di 3–3,5 kg. La specie è molto simile alla Lepre europea, ma ha un corpo più slanciato ed è di dimensioni più piccola.

Vita: poco si sa circa le abitudini di questo animale, in quanto fino a poco tempo fa considerato una sottospecie della Lepre europea e perciò non studiato esaurientemente. La Lepre italica ha abitudini notturne, con una elevata fedeltà al territorio, ha un comportamento sedentario con spazi vitali relativamente piccoli.  Dopo il tramonto frequenta le aree di pastura, nelle cui vicinanze stabilisce in seguito i covi diurni. I covi sono normalmente nel folto della vegetazione e nel bosco.

Habitat: la Lepre italica abita sia le zone montane quanto quelle costiere. L’habitat è costituito da vegetazioni a mosaico con alternanza di radure, praterie, cespuglieti e anche zone boscate da latifoglie. Gli ambienti dove vive sono caratterizzati dalla presenza di formazioni boschive di latifoglie con radure, anche coltivate a cereali, vigneti, oliveti e mandorleti, aree cespugliate, macchia mediterranea, gariga e pascoli.

Cosa mangia: questo animale ha una dieta esclusivamente erbivora, molto differenziata, anche se  a base principalmente di Graminacee, Leguminose e Composite. In inverno invece aumenta il consumo di gemme e  cortecce. Nella Lepre italica, come nelle altre specie, si verifica la ciecotrofia che consiste nella reingestione di particolari feci prodotte durante il riposo, e questo consente una completa assimilazione dei nutrienti contenuti nelle piante consumate.  

Riproduzione: si ritiene che le sue abitudini riproduttive non siano molto differenti da quelle delle altre specie di lepri. Si riproduce durante tutte le stagioni, anche se è stata rilevata una concentrazione delle nascite nel periodo primaverile. Ogni figliata è in media inferiore a 2 leprotti con un minimo di 1 ad un massimo di 4 parti per femmina. Sono animali con utero doppio.  

Piccoli: come per tutte le specie di lepri, i piccoli appena nati hanno gli occhi aperti ed il corpo ricoperto di peli. Dopo qualche ora dalla nascita sono in grado di muoversi agilmente e dopo un mese di vita i cuccioli si allontanano definitivamente dal rifugio materno.

Curiosità: le due specie sono distinguibili tra loro dalla colorazione del mantello. Il carattere più facilmente riconoscibile consiste nella separazione netta tra la colorazione bianca del ventre e la colorazione dei fianchi nella Lepre italica, infatti nel gergo venatorio viene denominata “lepre dalla mezza luna”. La nuca e la parte dorsale del collo sono grigio-nerastra nella specie italica, colorazione bruno-rossiccia in quella europea. Mentre la coscia e groppone sono di colore bruno-ocra-rossiccia nella Lepre italica e bruno-grigiastra in quella europea.  Non sono presenti differenze di colorazione tra i due sessi.  

Note: veniva un tempo considerata una popolazione locale della lepre comune (Lepus europaeus corsicanus): solo in tempi recenti, grazie all’analisi del DNA mitocondriale, si è arrivati alla conclusione che si tratta di una specie ben distinta da L. europaeus. in Italia sono presenti quattro specie di lepri: Lepre comune o europea (Lepus europaeus), Lepre italica (L. corsicanus), Lepre variabile (L. timidus) e la Lepre sarda (L. “capensis” mediterranea). La specie Lepre italica è stata classificata come specie “Vulnerabile” (VU) con trend “in declino” delle categorie IUCN ( International Union for Conservation of Nature).

LONTRA EUROASIATICA

Lontra europea (foto di: Archivio PNALM)
Lontra europea (foto di: Archivio PNALM)

Lutra lutra

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: Di medie dimensioni, con corpo slanciato e zampe corte con palmatura interdigitale ben sviluppata. Hanno una testa larga e leggermente schiacciata con orecchie piccole e baffi (vibrisse) particolarmente lunghi e sensibili.  La lunghezza è di circa 120 cm, compresa la lunga coda, il peso è di 7 – 12 kg

Vita: E’ un predatore semiacquatico, attiva nelle ore crepuscolari e notturne. Sulla terra ferma, all’interno dell’area di attività, la lontra utilizza i giacigli per il riposo diurno. Di solito i giacigli si trovano all’interno di cespugli, cavità rocciose o ammassi di materiale legnoso depositato sulle sponde, ma anche strutture create dall’uomo quali ponti, gabbioni e sottopassaggi.  La lontra eurasiatica è una specie fondamentalmente solitaria, in alcuni casi le femmine  adulte imparentate possono utilizzare un “territorio di gruppo”.

Habitat: La lontra è strettamente legata a ecosistemi acquatici e ripariali. Vive in prossimità di fiumi e laghi di montagna, paludi, canali di irrigazione, bacini artificiali che garantiscono abbondanza di risorse trofiche,  disponibilità di tane, e scarso disturbo antropico.

Cosa mangia: La lontra si nutre essenzialmente di specie acquatiche e semi-acquatiche. La dieta è costituita prevalentemente da pesci e in particolare da ciprinidi, ma anche da anfibi e crostacei, mentre piccoli mammiferi, rettili ed uccelli sono utilizzati più raramente.

Riproduzione: Raggiunge la maturità sessuale intorno ai 2-3 anni. La stagione degli accoppiamenti è praticamente tutto l’anno in quanto la femmina ha un estro continuo, ma partorisce una sola volta  e probabilmente non può avere più di tre cucciolate nella vita. La gestazione dura 60-65 giorni e generalmente nascono 2-3 cuccioli.

Piccoli: I piccoli nascono in apposite tane situate in un’area indisturbata, al sicuro da eventi di piena e in prossimità dei corsi d’acqua che offrono buone diponibilità trofiche. Alla nascita sono ciechi, pesano 40-60 gr e sono lunghi circa 12 cm.

Curiosità: E’ la sola specie di mustelide a poliestro, capace di riprodursi durante tutto l’anno. La lontra può vivere fino ad almeno 16 anni.

Note: Fino agli anni ’70 era diffusa in tutti i fiumi della penisola italiana. Dopo un declino progressivo, oggi è confinata in alcune Regioni del centro-sud, e precisamente, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Abruzzo e Molise.

Nel Parco: Presente nella Zona di Protezione Esterna nei fiumi Sangro e Volturno.

LUPO

Lupo (foto di: Valentino Mastrella)
Lupo (foto di: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)

Canis lupus lupus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Canidi (Canidae)

Chi è il lupo dell’Appennino? Nel 1921 un medico di Campobasso appassionato di storia naturale, G. Altobello, scoprì nel lupo dell’Appennino alcune differenze rispetto ai parenti più nordici, e lo chiamò Canis lupus italicus, considerandolo così una sottospecie a se stante. Gli studiosi oggi, grazie anche ai risultati di indagini genetiche, sono più propensi a non considerare le popolazioni che vivono nell’area del Mediterraneo come sottospecie a parte, ma facenti parte di un’unica sottospecie, Canis lupus lupus che vive in Eurasia centrale e settentrionale con diverse varietà geografiche.

Per altre informazioni sul lupo

Dimensioni: 110 -148 cm dalla testa alla base della coda, l’altezza al garrese è di 60-70 cm. Il peso va dai 25 ai 40 kg.

Vita: 8-10 anni.

Habitat: Il lupo è un animale molto adattabile ai vari ambienti presenti nel Parco, dal bosco alle praterie, spaziando tra i diversi livelli altitudinali.

Cosa mangia: La dieta del lupo è composta di cinghiali, caprioli, cervi, roditori e, occasionalmente, bestiame domestico. In mancanza di prede non disdegna carcasse, bacche e frutta selvatica.

Riproduzione: Alla fine dell’inverno si accoppiano solamente il maschio e la femmina dominante.

Piccoli: A primavera nascono da 2 a 6 cuccioli che rimangono con la madre e con il branco per almeno un anno.

Curiosità: Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza (funzione territoriale) che come richiamo per gli altri membri del proprio branco.

Note: Il lupo può vivere isolato o in piccoli branchi gerarchicamente organizzati in entrambi i sessi.
Il branco, oltre ad utilizzare l’ululato, delimita il proprio territorio con marcature odorose (feci e urina).

Nel Parco: Il lupo è un animale difficile da avvistare: di abitudine prevalentemente notturna, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili del Parco. I segni di presenza più facili da riscontrare sul territorio sono le orme molto simili a quelle di un grosso cane, ma disposte su un’unica fila e gli escrementi pieni di peli.

MARTORA

Martora (Martes martes)

Martes martes

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: la Martora ha una forma slanciata, il mantello è di colore bruno scuro e presenta una macchia sulla gola e sul petto spesso color tuorlo d’uovo o giallo chiaro. La lunghezza varia tra 35-55 cm e peso varia 800-1200 gr.

Vita: è un animale solitario, con una territorialità molto rigida. I maschi delimitano il loro territorio e lo difendono dalle intrusioni di individui dello stesso sesso.   

Habitat: la Martora vive in ambienti boschivi sia di conifere che di latifoglie o misti preferendo però le foreste ad alto fusto con grande estensione e scarso sottobosco,  fino ai 2.000 m s.l.m.  In genere è assente dalle aree prive di copertura arborea ed evita gli insediamenti umani.

Cosa mangia: è un predatore generalista, si nutre di piccoli mammiferi, di uccelli e loro uova, ma anche di rettili;  integra la dieta con invertebrati e frutta.

Riproduzione: si riproduce una volta l’anno, con accoppiamenti tra Giugno e Agosto. L’uovo fecondato si sviluppa fino ad un certo stadio per poi bloccarsi per diversi mesi, la gestazione riprende nella primavera successiva e dopo circa un mese (Marzo-Aprile) avviene il parto.

Piccoli: i piccoli, da tre a cinque, vengono svezzati in circa 8-10 settimane e curati dalla madre. Dopo il terzo mese diventano  autonomi.   

Curiosità: non attacca quasi mai animali domestici e non è veritiera la convinzione popolare che essa abitualmente, dopo aver assalito la preda, ne recida subito la carotide per berne il sangue. 

Note: la Martora non è cacciabile in Italia (Legge 157/92), è inserita tra le specie protette dalla Convenzione di Berna (Allegato II) ed è elencata in appendice V della direttiva Habitat (92/43/CEE). Valutata Least Concern dallo European Mammal Assessment (IUCN 2007).

MOSCARDINO

Moscardino (foto di: Archivio PNALM)

Muscardinus avellanarius

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Gliridi (Gliridae)

Dimensioni: il corpo è lungo 6-9 cm, la coda 7-7,5 cm; il peso è di 15-40 g. E’ il ghiro più piccolo ed è facilmente distinguibile grazie al colore bruno-arancio sul dorso e giallastro sul ventre. La coda è rivestita da pelo corto e fitto.  

Vita: circa 4 anni.

Habitat: il Moscardino è prevalentemente legato ad ambienti ecotonali, ricchi di siepi, situati ai margini del bosco, ma anche alle aree boscate, sia di latifoglie sia di conifere, provviste di sottobosco. Predilige, comunque, le fomazioni mesofile collinari.

Cosa mangia: il Moscardino ha una dieta prevalentemente vegetariana, si nutre di fiori e frutti, in particolare di nocciole (il suo nome scientifico deriva appunto da quello del nocciolo: Corylus avellana) e occasionalmente di insetti e uova. Sulle noci e sulle nocciole aperte lascia un foro molto netto con il margine interno liscio, tanto che il ritrovamento di questi resti in un determinato luogo, può attestare la presenza della specie (i topi e le arvicole lasciano un foro più frastagliato con i segni dei denti lungo il margine ben evidenti).

Riproduzione: il periodo riproduttivo va da maggio a settembre, si possono avere uno o, più raramente, due parti l’anno. Costruisce nidi di forma sferica, nascosti nei cespugli del sottobosco, utilizzando graminacee, muschi, foglie; il nido non presenta un’entrata ben evidente né ha un aspetto troppo ordinato.  

Piccoli: ad ogni parto, nascono all’incirca quattro/cinque piccoli.

Curiosità: occupa spesso le cassette nido degli uccelli sia in estate sia in inverno. La sua attività si svolge prevalentemente di notte, mentre durante il giorno, in genere, dorme. D’inverno cade in letargo e il risveglio avviene verso aprile.  

Note: elencata in appendice IV della direttiva Habitat (92/43/CEE) e in appendice III della Convenzione di Berna; inclusa in aree protette. Non cacciabile secondo la legge italiana 157/92. Valutata Least Concern dallo European Mammal Assessment (Temple & Terry 2007).  

ORSO BRUNO MARSICANO

Orso bruno marsicano (foto di: Valentino Mastrella)
Peso Altezza Orso (foto di: Valentino Mastrella)

Ursus arctos marsicanus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Ursidi (Ursidae)

Dimensioni: Mediamente un orso maschio adulto ha un peso che si aggira intorno ai 140 – 210 kg (le femmine sono più piccole) ed una lunghezza massima di 150 – 180 cm.

Vita: 35-40 anni

Habitat: Il bosco rappresenta l’habitat più importante per l’Orso: in esso trova rifugio, tranquillità e cibo. Non è raro comunque che l’Orso frequenti, a seconda delle stagioni, le praterie di alta quota o i coltivi di fondovalle. Trattandosi di un animale onnivoro (che si nutre cioè sia di sostanze vegetali che animali), l’Orso riesce ad adattarsi a diversi tipi di habitat, purché tranquilli e sicuri.

Cosa mangia: L’orso è un animale onnivoro, si nutre cioè sia di piante che di animali, anche se la sua dieta è costituita per l’80% da vegetali. La sua alimentazione varia stagionalmente a seconda di ciò che la natura offre: bacche e frutti di bosco, insetti e larve, miele, carcasse di animali.

Riproduzione: A maggio inizia per gli orsi il periodo degli amori.
Sia i maschi che le femmine possono accoppiarsi con più individui nella stessa stagione e di conseguenza i piccoli di una stessa cucciolata possono essere di padri diversi.

Piccoli: A febbraio, durante il periodo di latenza invernale, la femmina partorisce da 1 a 3 cuccioli. Al momento della nascita i piccoli pesano meno di 500 grammi e dipendono completamente dalla mamma. Grazie al latte materno che è particolarmente ricco di grassi, gli orsacchiotti riescono a crescere rapidamente per affrontare lo svezzamento in l’estate.
I piccoli rimangono con la madre per più di un anno.

Curiosità: L’Orso ha un udito molto sviluppato ed un olfatto acutissimo che lo aiuta nella ricerca del cibo. A differenza dell’olfatto e dell’udito, la vista è invece piuttosto mediocre. Il verso dell’Orso si chiama ruglio.

Note: Ai primi freddi, quando il cibo comincia a scarseggiare, gli orsi vanno alla ricerca di un rifugio asciutto e sicuro dove trascorrere l’inverno. Nella tana l’Orso cade in una specie di letargo che gli consente di far fronte alle basse temperature e alla mancanza di cibo. Non si tratta di un letargo vero e proprio: a differenza di altre specie, gli orsi mantengono un buon grado di reattività agli stimoli esterni e possono addirittura uscire fuori dalla tana durante le belle giornate invernali. In questo periodo non si alimentano e sopravvivono grazie al grasso accumulato in autunno che funziona sia come riserva energetica che da isolante termico.

Nel Parco: Simbolo del Parco d’Abruzzo, l’orso bruno marsicano è una sottospecie differenziata geneticamente dagli orsi delle Alpi e dunque rappresenta un endemismo esclusivo dell’Italia centrale. Grazie ai monitoraggi genetici si è potuta stimare una popolazione di circa 50 esemplari con un intervallo tra 45-69 nel territorio del Parco e zone limitrofe.

PUZZOLA

Puzzola (Mustela putorius)

Mustela putorius

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: la Puzzola ha una forma slanciata, coda folta, il colore dominante è il  bruno più scuro nelle estremità.  La lunghezza  varia  tra 50 e 60 cm e il  peso varia tra 500  e 1200 gr.  Il muso è caratterizzato da una maschera bianca che circonda gli occhi e la bocca.

Vita: è un animale solitario, che difende strenuamente il proprio territorio. I maschi sono attivi prevalentemente di notte trascorrendo le ore diurne nei rifugi naturali, le femmine possono avere attività diurna e crepuscolare.

Habitat: la Puzzola può vivere in habitat molto diversi, dagli ambienti umidi alle aree montane forestali e a quelle agricole, fino ad ambienti antropizzati, dove a volte utilizza le abitazioni umane come rifugi diurni. Predilige però i terreni boscati con fiumi o torrenti nelle zone adiacenti.

Cosa mangia: si adatta a ciò che l’ambiente offre, dagli uccelli ai piccoli mammiferi ma la dieta include anche una proporzione significativa di anfibi.

Riproduzione: il periodo degli accoppiamenti va da marzo a giugno e la gestazione dura all’incirca 40-43 giorni. Nascono da 3 a 7 cuccioli che vengono partoriti sotto cataste di legna, nelle cavità degli alberi o nel terreno o in tane abbandonate da altri animali. 

Piccoli: vengono allattati per circa un mese, durante lo svezzamento i cuccioli seguono la madre  e soltanto dopo circa 3 mesi salla nascita si scioglie il gruppo familiare e per i giovani inizia la ricerca del proprio territorio.

Curiosità: come gli altri Mustelidi, la Puzzola ha un paio di ghiandole anali che emettono un forte e sgradevole odore quando l’animale è eccitato o minacciato.

Note: elencata nell’allegato II della Convenzione di Berna (1979) e nell’appendice V della direttiva Habitat (92/43/CEE). In Italia è protetta dalla legge 157/92 sulla caccia.

QUERCINO

Quercino (Eliomys quercinus)

Eliomys quercinus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Gliridi (Gliridae)

Dimensioni: Il corpo è lungo 10-17 cm, la coda 9-12 cm; il peso varia tra 50 e 120 g.  

Vita: circa 2 anni.

Habitat: il Quercino è diffuso in tutti gli ecosistemi forestali, dalle formazione mediterranee, ai boschi mesofili, alle conifere, anche oltre il limite della vegetazione, pur non essendo strettamente legato alla presenza di una fitta copertura arborea, è, infatti, tra i Gliridi, la specie più terricola e meno arboricola.

Cosa mangia: il Quercino si nutre spesso di insetti, sia nella forma larvale sia in quella adulta, lumache, uova, oltre che di frutti e noci. È, tra i ghiri, quello con la dieta costituita maggiormente dalla componente animale.

Riproduzione: la riproduzione avviene circa due volte l’anno. Il Quercino costruisce, in genere, grandi nidi sferici ricoperti di muschio, anche se non disdegna di occupare i nidi degli scoiattoli o degli uccelli. 

Piccoli: la femmina partorisce dai due ai sei piccoli, tra maggio e giugno e, a volte, si registra un altro parto a tarda estate.

Curiosità: caratteristica della specie è la coda che presenta, all’estremità, un tipico ciuffo appiattito. Altri particolari di identificazione sono la “mascherina” nera che va dai lati del muso fino a dietro le orecchie, comprendendo gli occhi e le grandi orecchie.

Note: il Quercino, prima dell’inverno, per prepararsi alla stagione fredda, mangia grandi quantità di cibo e ne accumula altro in apposite tane. Durante il letargo, che spesso trascorre insieme ad altri individui per scaldarsi, quando la temperatura si alza, può svegliarsi e consumare le provviste accumulate. Elencata in appendice III della Convenzione di Berna e inclusa in aree protette. Valutata Quasi Minacciata (LC) dallo European Mammal Assessment (Temple & Terry 2007).

RICCIO EUROPEO

Riccio europeo (Erinaceus europaeus)

Erinaceus europaeus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Erinaceomorpha (Erinaceomorpha)

Famiglia: Erinaceidi (Erinaceidae)

Dimensioni: il corpo è raccolto e tozzo ed è coperto di aculei sulle regioni dorsali, mentre le restanti parti sono rivestite di peli. Lunghezza 20-30 cm, coda circa 2,5 cm. I maschi tendono ad essere più pesanti, ma entrambi i sessi mostrano marcate variazioni stagionali del peso, tra 500-600 g all’inizio della stagione attiva fino a 1000-1200 g in autunno.

Vita: la vita media è di circa 3 anni, l’età massima sembra essere 6-8 anni. Durante i mesi invernali (fra ottobre ed aprile), il riccio è solito cadere in letargo: tale operazione risulta però piuttosto rischiosa per l’animale, in quanto nel caso in cui esso non abbia accumulato una quantità di grasso corporeo sufficiente nel corso della bella stagione, potrebbe morire per inedia.

Habitat: il Riccio frequenta un’ampia gamma di ambienti, sia aperti che ricchi di vegetazione. Sono molto comuni nelle aree suburbane e rurali, abbondanti in orti e giardini. Preferiscono i margini dei boschi decidui o misti ricchi di sottobosco e le zone cespugliate. Durante il giorno riposa nascosto nei nidi, tra le radici degli alberi, sotto i rovi e le foglie cadute o altri detriti vegetali,  mentre la notte esce alla ricerca di cibo, percorrendo tragitti sempre uguali.

Cosa mangia: il Riccio per la varietà di alimenti che assume, risulta essere onnivoro. La dieta comprende insetti, molluschi, lombrichi, ranocchie, lucertole, piccoli mammiferi, soprattutto topi, nidiacei. In caso di necessità, i ricci mangiano anche ghiande, bacche, frutta ed altro materiale di origine vegetale.

Riproduzione: il periodo riproduttivo si estende tra marzo-aprile e agosto e comprende generalmente un solo parto. La gestazione dura 30-35  giorni e la femmina partorisce tra aprile e settembre tra 2 e 10  piccoli.

Piccoli: alla nascita i piccoli sono ciechi e nudi, con spine embrionali bianche che solo nell’ultima muta (entro 18 mesi) vengono sostituite da spine adulte longeve. Nascono con un peso di 10- 25 g. Dopo circa sei settimane essi sono completamente indipendenti e si allontanano dalla madre.

Curiosità: possiedono un alto grado di immunità al veleno delle vipere. Tollerano molto bene  alcune sostanze chimiche naturali di cui sono dotate alcune loro prede (come la cantaridina di alcuni insetti), ma anche veleni artificiali come il cianuro e l’arsenico.

Note: la specie è protetta a livello nazionale dalla L. 157/92. A livello internazionale, è inclusa nell’Allegato III “Specie di fauna protette” della Convenzione di Berna. Nella Lista Rossa dell’IUCN è inserita nella categoria LR/lc.

TALPA CIECA

Talpa cieca (Talpa caeca)

Talpa caeca

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Soricomorfi (Soricomorpha)

Famiglia: Talpidi (Talpidae)

Dimensioni: è più piccola della Talpa europea e della Talpa romana, il corpo è lungo 9-13 cm; il peso non supera i 100 g. Il piede posteriore è lungo meno di 17 mm e questo può rappresentare un’utile caratteristica per la sua identificazione.

Vita: anche fino a 3 anni. Come le altre talpe, conduce una vita principalmente ipogea, scavando complessi sistemi di gallerie sotterranee. Le zampe anteriori hanno la caratteristica forma a pala, che permette di muovere la terra, spingerla dietro il corpo e periodicamente portarla all’esterno a creare le tipiche collinette.

Habitat: vive principalmente nei prati e nel sottobosco di lafitoglie. Nelle aree montane, a quote più elevate oltre il limite degli alberi, riesce a insediersi nei cespuglieti e nelle doline ove vi siano suoli abbastanza profondi da garantire la possibilità di scavare le gallerie. A quote più basse, può colonizzare anche suoli poveri e relativamente aridi, forse per sfuggire alla competizione con le altre specie di talpe, che presentano dimensioni maggiori. Vive anche a quote abbastanza elevate, raggiungendo i 2000 m s.l.m., resistendo a climi freddi e a terreni coperti dalla neve anche per diversi mesi.

Cosa mangia: come le altre talpe, si nutre di lombrichi, altri invertebrati e larve di insetti.

Piccoli: di solito nascono 3-4 piccoli, in un’unica cucciolata primaverile.

Curiosità: caratteristica della specie è la membrana che ricopre gli occhi, praticamente una palpebra saldata su occhi atrofici, molto piccoli, che denotano le abitudini di vita ipogee. Il nome della specie deriva proprio da questa particolare caratteristica.

Note: per distinguere la Talpa cieca dalle altre specie di talpe, si può osservare la dentatura, in particolare gli incisivi superiori, che sono più larghi e formano una caratteristica “V”, inoltre, il primo incisivo è evidentemente più grande del terzo incisivo che è il più piccolo.

TALPA ROMANA

Talpa romana

Talpa romana

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Soricomorfi (Soricomorpha)

Famiglia: Talpidi (Talpidae)

Dimensioni: è più grande della Talpa cieca; il corpo misura più di 13 cm, fino a raggiungere anche i 16 cm; può superare il peso di 120 g. Il piede posteriore è più lungo di 17 mm a differenza di quello della Talpa cieca.

Vita: 3-4 anni. Come le altre talpe, conduce una vita principalmente ipogea, scavando complessi sistemi di gallerie sotterranee. Le zampe anteriori hanno la caratteristica forma a pala, che permette di muovere la terra, spingerla dietro il corpo e periodicamente portarla all’esterno a creare le tipiche collinette.   

Habitat: la Talpa romana riesce a vivere nelle più disparate tipologie di habitat, da quelli sabbiosi quasi a livello del mare, fino ai 2000 m delle faggete appenniniche e anche oltre il limite superiore della vegetazione arborea. Si nota una preferenza per gli habitat a prateria, dove è presente uno strato di terreno idoneo allo scavo di gallerie e una comunità di specie edafiche strutturata e numerosa. È meno frequente nei boschi di conifere e negli ambienti con agricoltura intensiva, dove probabilmente risente dell’uso massiccio dei pesticidi che si accumulano negli invertebrati, sue prede principali.

Cosa mangia: come le altre talpe, si nutre di lombrichi, altri invertebrati e larve di insetti.

Riproduzione: Il nido può essere individuato da una collinetta esterna più grande delle altre e può essere rivestito da materiale vegetale.   

Piccoli: di solito nascono 3-4 piccoli, in un’unica cucciolata primaverile.

Curiosità: come la Talpa cieca ha gli occhi atrofizzati, coperti da una membrana permanente. Ha  un udito molto sviluppato che le permette di avvertire anche le vibrazioni e i rumori più impercettibili.   

Note: è attiva sia di giorno che di notte. Conduce prevalentemente una vita ipogea, si può osservare in superficie solo in rari casi quali eccessiva siccità, inondazioni o nella fase di dispersione dei giovani. In passato è stata oggetto di persecuzione perché considerata nociva per l’agricoltura, ma anche per orti e giardini, infatti, nella ricerca sotterranea di larve e lombrichi, scava gallerie e buche nel terreno recidendo spesso anche le radici delle piante.  

TASSO

Tasso (Meles meles)

Meles meles

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)

Dimensioni: il corpo è  lungo mediamente tra 45 e 63 cm, il peso può variare dai 2 ai 5 kg. Il mantello si presenta di colore grigiasto sul dorso, mentre gli arti, il ventre e la gola tendono al nero. La testa è bianca con due strisce nere.

Vita: sono molto territoriali,  trascorrono gran parte della vita nella tana, da cui escono solo di notte. Caratteristiche sono le “latrine” cioè della buche scavate nel terreno dove vengono depositati gli escrementi. Spesso si trovano in clan misti composti da circa 5-10 individui e questo aspetto è unico fra i Mustelidi.   

Habitat: il Tasso vive prevalentemente in ambiente forestale sia di pianura che di montagna. Preferisce i boschi di latifoglie alternati a zone aperte, cespugliate o incolte.  

Cosa mangia: il Tasso può essere definito un “collezionista” perché si alimenta raccogliendo quanto disponibile sul terreno, sia di origine vegetale che animale. Le categorie principali della sua dieta sono insetti e frutta, ma anche piccoli mammiferi.   

Riproduzione: il periodo degli accoppiamenti ha luogo di solito in autunno  e tra gennaio e marzo nascono da 3  a 5 cuccioli.  

Piccoli: alla nascita i cuccioli sono coperti da un rado pelame morbido e biancastro. A 7-9 mesi abbandonano il nucleo familiare e intraprendono un’esistenza autonoma. La maturità sessuali si raggiunge a circa due anni di vita.  

Curiosità: il Tasso ha un ruolo importante nella dispersione dei semi di piante presenti nel suo habitat.  Gli adattamenti anatomici del tubo digerente e della articolazione della mandibola, consentono ai semi dei frutti ingeriti di arrivare nelle feci non danneggiati.   

Note: le principali minacce sono le malattie, soprattutto la rabbia è stata la cauasa del forte declino subito dalle popolazioni di Tasso in molti paesi e il traffico stradale che rappresenta la principale causa di morte.  

Nel Parco: il Tasso è piuttosto diffuso all’interno del Parco e visita occasionalmente anche le zone più prossime ai centri urbani. I distretti più frequentati sembrano quelli sud orientali e manifesta una tendenza ad occupare zone localizzate tra i 1000 ed 1350 m di quota.  

TOPO SELVATICO

Topo selvatico (Apodemus sylvaticus)

Apodemus sylvaticus

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Muridi (Muridae)

Dimensioni: Il corpo è lungo dai 9 agli 11 cm e la coda ha una lunghezza quasi pari a quella del corpo stesso; il peso varia dai 13 ai 27 g. La parte dorsale del corpo è di un colore bruno-giallastro, mentre la parte ventrale è di un colore più pallido. È il topo selvatico più comune in Europa.

Vita: Si muove soprattutto al crepuscolo e nelle ore notturne, grazie alla sua plasticità ecologica, si adatta a differenti situazioni e vive in diverse tipologie di ambiente. In natura non sopravvivono per più di un anno, ma sono stati osservati casi, in cattività, di vita fino a 5 anni.

Habitat: predilige gli habitat forestali, anche quando il sottobosco è poco fitto e abbondante, ma non è raro trovarlo anche in giardini, arbusteti, terreni coltivati. Può vivere anche nelle case e negli edifici. Si può trovare dalle quote più basse a livello del mare, fino al limite della vegetazione arborea.

Cosa mangia: Si nutre principalmente di semi, ma anche di erbe e frutti e in alcuni casi di piccoli invertebrati.

Riproduzione: la stagione riproduttiva va da marzo a ottobre e le femmine possono avere 4-5 cucciolate. La gestazione dura circa 26 giorni e nascono fino a 8 piccoli

Piccoli: i piccoli vengono allattati per circa 15 giorni, raggiungono l’indipendenza intorno alla terza settimana di vita e la maturità sessuale a circa 2 mesi.

Curiosità: è molto agile, sia quando si muove sul terreno sia quando si arrampica sugli alberi, utilizzando la coda come contrappeso. Attraversa anche terreni aperti, con più facilità rispetto ad altre specie di micromammiferi.

Note:

in Italia è presente su tutto il territorio, dal livello del mare, fino al limite della vegetazione arborea.

TOPO SELVATICO A COLLO GIALLO

Topo selvatico a collo giallo (Apodemus flavicollis)

Apodemus flavicollis

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Roditori (Rodentia)

Famiglia: Muridi (Muridae)

Dimensioni: il corpo ha una lunghezza compresa tra i 9 e i 13 cm e la coda ha più o meno la stessa lunghezza del corpo; il peso varia dai 10 ai 45 g. 

Vita: in natura non sopravvivono per più di un anno, ma sono stati osservati casi, in cattività, di vita fino a 5 anni.

Habitat: predilige le formazioni forestali di una certa estensione, sia di conifere sia di latifoglie. Al contrario del topo selvatico, frequenta meno gli arbusteti e gli ambienti più aperti. La densità delle popolazioni sembra essere legata alla produzione dei semi delle specie arboree.

Cosa mangia: ha una dieta essenzialmente costituita da vegetali, quali semi e piccoli frutti, ma in alcuni periodi dell’anno, può integrare l’alimentazione mangiando piccoli invertebrati come insetti e lumache.

Riproduzione: la stagione riproduttiva va da marzo a settembre e le femmine possono avere dalle 3 fino alle 5 cucciolate. La gestazione dura circa 26 giorni e nascono fino a 8 piccoli.

Piccoli: i piccoli vengono allattati per circa 15 giorni, raggiungono l’indipendenza intorno alla terza settimana di vita e la maturità sessuale a circa 8 settimane.

Curiosità: come molte altre specie di micromammiferi, scava gallerie sotterranee e crea camere per il nido e per immaganizzinare le risorse alimentari, in particolare pare che questa specie, nasconda grandi quantitativi di semi come scorta alimentare e per questo faciliti la dispersione di molte specie vegetali.

Note: è molto simile al topo selvatico, ma le due specie si possono distinguere agevolmente perché il flavicollis ha una caratteristica macchia gialla sulla gola, che si estende anche sui lati del collo, fino a formare un collare e rappresenta una netta demarcazione tra il dorso scuro e il ventre più chiaro; inoltre, il flavicollis è di dimensioni maggiori.

VOLPE

Volpe (Volpes volpes)

Vulpes vulpes

Classe: Mammiferi (Mammalia)

Ordine: Carnivori (Carnivora)

Famiglia: Canidi (Canidae)

Dimensioni: è un canide di medie dimensioni, lungo circa 60–80 cm, e un peso che varia da 6 a 10 kg. Le volpi hanno il muso appuntito, cranio leggero e piuttosto appiattito, orecchie larghe e coda molto pelosa.

Vita: la vita media è di circa 2 anni, anche se possono raggiungetre gli 8-10 anni.

Habitat: vive negli habitat più svariati, principalmente nei boschi ma si può trovare  anche in pianura, nelle campagne coltivate e nelle zone antropizzate. 

Cosa mangia: la Volpe mostra una grande adattabilità rispetto al cibo. Si nutre di piccoli ungulati, conigli, lepri, roditori e uccelli, ma anche di invertebrati come insetti e lombrichi. Quando è stagione, integra la dieta con frutti selvatici e bacche.

Riproduzione: la  stagione degli amori è l’inverno e la femmina, dopo essersi accoppiata, cerca un rifugio sicuro.  Le volpi si riproducono una volta all’anno e il periodo di gestazione dura circa 50 giorni.

Piccoli: il numero dei cuccioli è normalmente da 1 a 4, alla nascita sono ciechi e coperti di un mantello lanoso di colore variabile dal bruno al grigio con una macchia bianca sul petto ed all’estremità della coda.  Durante il primo mese di vita vengono nutriti con il latte materno, ma la loro dieta viene integrata con piccoli bocconi di carne che vengono rigurgitati dagli adulti.

Curiosità: la Volpe, a seconda dell’andatura, lascia sul terreno tracce differenti: nel passo le orme si susseguono formando una linea a zig-zag; nel trotto le impronte si trovano lungo una linea retta, poiché quelle posteriori coprono le anteriori; quando, invece, fugge velocemente, porta le zampe posteriori all’altezza o davanti a quelle anteriori lasciando una traccia simile a quella della lepre.

Note: come altri Canidi, le volpi comunicano per mezzo di suoni e di segnali olfattivi e comportamentali. Le feci e le urine sono abbandonate su punti di riferimento opportuni, come i ciuffi d’erba che cosi rappresentano segnali olfattivi distribuiti per tutto il territorio.  

Nel Parco: non è difficile incontrare le volpi. La loro proverbiale furbizia, alimentata anche da comportamenti scorretti di gente che danno loro da mangiare, le fa avvicinare molto all’uomo e il Parco per tale motivo intraprende spesso azioni di dissuasione in quanto tutto ciò non rientra nel normale ciclo della natura.  

RETTILI

VIPERA COMUNE

Vipera comune (foto di: Fritz Occotta)

VIPERA DEGLI URSINI

Vipera degli Ursinii (foto di: Valentino Mastrella)

Anche i rettili hanno un loro posto negli ecosistemi del Parco: il più comune è la lucertola muraiola(Podarcis muralis), frequente anche nelle aree urbanizzate. Anche il ramarro(Lacerta bilineata) è assai diffuso in ambienti campestri ed è visibile nelle ore più calde.

Tra i serpenti il più frequente è il vivace biacco(Hierophis viridiflavus), un innocuo colubride che frequenta campi ed orti alla ricerca di roditori e lucertole, anche nelle periferie dei centri abitati.

Tra i viperidi, oltre alla vipera comune(Vipera aspis), diffusa, ma molto elusiva, molto rara e localizzata esclusivamente in alta quota è la piccola vipera dell’Orsini(Vipera ursinii) che si alimenta prevalentemente di insetti.

Tra i serpenti innocui vanno inoltre segnalati il colubro liscio (Coronella austriaca), il saettone(Zamenis longissimus) e, in prossimità di corsi d’acqua e zone umide, la biscia dal collare(Natrix natrix) e la biscia tassellata(Natrix tessellata).

Nei fondovalle più riparati è a volte possibile ossarvare l’orbettino(Anguis veronensis), un piccolo anguide simile alle lucertole, ma privo di zampe.

UCCELLI

Numerose sono le specie di uccelli, tra cui il posto d’onore spetta all’Aquila reale (Aquila chrysaetos), abitatrice tipica delle creste di montagna più alte ed inaccessibili.

Presente con due o tre coppie e di facile avvistamento mentre sorvola creste, valli e vette alla ricerca di prede, rappresentate non solo da piccoli mammiferi o uccelli, ma anche da giovani camosci più deboli ed ammalati che soccombono alla dura legge della selezione naturale.

Sono presenti, poi, quasi tutti gli altri rapaci: a cominciare, per i diurni, dal maestoso Astore (Accipiter gentilis), alla Poiana (Buteo buteo), al Falco pellegrino (Falco peregrinus), senza escludere specie comuni come il Gheppio (Falco tinnunculus), e lo Sparviero (Accipiter nisus).

Di notte si possono ascoltare i richiami dei rapaci notturni: la Civetta (Athena noctua), l’Allocco (Strix alluco), e il Barbagianni (Tyto alba).
In primavera ed in estate i canti degli uccelli risuonano in ogni angolo del Parco e sarebbe difficile elencare tutte le specie stanziali e migratorie presenti, anche se alcune meritano di essere menzionate.

Nel bosco si incontrano di frequente la Ghiandaia (Garrulus glandarius), la Cinciallegra (Parus major), un piccolo e paffuto passeriforme, il Picchio verde (Picus viridis), facilmente individuabile dal carattetistico “tambureggiare” mentre cerca gli insetti sui tronchi degli alberi e l’Upupa (Upupa epops), un uccello che nidifica nei boschi, ma ama cacciare nelle ampie radure e che in primavera torna al Parco da località più calde dove ha svernato.

L’uccello più interessante del bosco è senza dubbio il rarissimo Picchio di Lilford (Picoides leocotus lilfordi) anche detto Picchio dorsobianco, che vive solo in limitate zone dell’Appenino centro meridionale.

Presso i corsi d’acqua abitano il Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), la Ballerina gialla (Motacilla cinerea), il Germano reale (Anas platyrrhinchos) e molti altri uccelli sia stanziali che migratori, come l’Airone cenerino (Ardea cinerea), un elegante trampoliere.

In alta montagna si incontrano, mentre volteggiano in gruppo con frequenti voli acrobatici, il Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) e il Gracchio corallino (Pyrrhocorax Pyrrhocorax); frequente anche il Fringuello alpino (Motifringilla nivalis) e il Culbianco (Oenanthe oenanthe) nonchè una specie nordica di eccezionale interesse la Coturnice (Alectoris graeca).

AQUILA REALE

Aquila reale (Aquila chrysaetos)

Aquila chrysaetos

Classe: Uccelli (Aves)

Ordine: Accipitriformes (Accipitriformes)

Famiglia: Accipitridi (Accipitridae)

E’ il rapace per antonomasia chiamata molto spesso semplicement aquila presente in Europa, Asia Nordamerica e Nordafrica.

Dimensioni: dai 70cm ai 120cm compreso la coda. Il peso varia dai 3 ai 7 kg. La femmina è più grande.

Habitat: Sulle creste di montagna più alte ed inaccessibili.

Cosa mangia: Piccoli mammiferi o uccelli, ma anche giovani camosci più deboli.
Integra regolarmente la sua dieta con resti di animali rinvenuti morti come ungulati vittime dei rigori invernali. 

Riproduzione: L’accoppiamento avviene in marzo e viene preceduto da uno spettacolare rituale noto come danza del cielo, che per vari giorni vede impegnati entrambi gli individui in spettacolari evoluzioni aeree che spesso la femmina compie in volo rovesciato mentre il maschio sembra piombarle sopra, con scambi di preda in volo o giri della morte.
Fedeli per tutta la vita l’accoppiamento avviene sempre a terra.
La deposizione delle uova (solitamente due) avviene a distanza di 2 – 5 giorni l’una dall’altra.
Le uova si schiudono dopo circa 45 giorni di cova.

Piccoli: Dopo due mesi i pulcini diventano aquilotti ed iniziano ad esercitarsi nel volo sul bordo del nido.
Spiccano il primo volo dopo 2 mesi circa e a 6 mesi diventano indipendenti.
In questo periodo vengono portati dai genitori fuori dai confini del territorio natale e verso i 3 – 6 anni costituiranno un nuovo nucleo familiare.

Curiosità: Anche se le leggende parlano di agnelli, volpi (ed in passato addirittura di bambini) sollevati dall’aquila, in realtà può trasportare al nido prede di medie dimensioni (ca. kg 1,5) solo se la cattura è avvenuta in posizione sopraelevata rispetto al nido.

Nel Parco: Presente con due o tre coppie e di facile avvistamento mentre sorvola creste, valli e vette alla ricerca di prede.

AVERLA PICCOLA

Averla piccola (Lanius collurio)

Lanius collurio

Classe: Uccelli (Aves)

Ordine: Passeriformi (Passeriformes)

Famiglia: Lanidi (Lanidae)

E’ un comune passeraceo detto anche falconcello

Ha il corpo rosso-bruno nella parte superiore e bianco-rosa sul ventre. La testa di colore chiaro è contraddistinta da una fascia nera sulla faccia

Dimensioni: È lungo circa 18 cm e pesa circa 30 grammi.

Habitat: Comunissima in ambienti di alta quota ai margini dei boschi, in zone cespugliose e sassaie con alberi e cespugli.

Cosa mangia: Predano insetti e piccoli vertebrati e li infilzano sulle spine o sui rami dei cespugli

Riproduzione: La femmina vi depone dalle 4 alle 6 uova.

PESCI

Il territorio del Parco è ricco di acque nelle quali si trova la componente faunistica forse meno nota al pubblico, i pesci. In queste acque vivono specie come la trota fario (Salmo trutta), la trota iridea (Oncorhynchus mykiss) e la rarissima trota macrostigma (Salmo cettii) che caratterizzano fiumi e torrenti montani perché amano ambienti in cui si alternano tratti a corrente turbolenta e veloce e tratti in cui la corrente rallenta. Nel lago di Barrea invece la comunità ittica è più ricca di specie, per la maggior parte frutto di immissioni effettuate in passato per consentire la pesca: nelle sue acque oggi troviamo persico reale (Perca fluviatilis), scardola europea (Scardinius erythrophtalmus), carpa (Cyprinus carpio), carassio (Carassius carassius), tinca (Tinca tinca), barbo (Barbus plebejus), cavedano (Squalius cephalus). 
Una specie molto importante nella fauna ittica del Parco è la rovella (Rutilus rubilio): è un pesce di piccole dimensioni (di poco superiore ai 20 cm) che si trova esclusivamente lungo il Sangro, soprattutto nelle aree in cui questo divaga formando pozze poco profonde. La rovella è inserita nell’all. II della Direttiva Habitat ovvero tra le specie d’interesse comunitario meritevoli di conservazione.

SPECIE IN DIRETTIVA

La Direttiva del Consiglio Europeo del 21 maggio 1992 ( Direttiva Habitat 92/43/CEE) “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, detta Direttiva “Habitat”, e la Direttiva Uccelli 73/409/CEE, costituiscono il cuore della politica comunitaria in materia di conservazione della biodiversità.

Scopo della Direttiva Habitat è “salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato” (art 2). Per il raggiungimento di questo obiettivo la Direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati.

La Direttiva è costruita intorno a due pilastri: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati rispettivamente negli allegati I e II, e il regime di tutela delle specie elencate negli allegati IV e V.

ANIMALI

ALBANELLA REALE

Albanella reale (Circus cyaneus) (Linnaeus, 1766)
Ordine: ACCIPITRIFORMES
Famiglia: Accipitridae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

ALLOCCO

Allocco (Strix Aluco) (Linnaeus, 1758)
Ordine: STRIGIFORMES
Famiglia: Strigidae

ALZAVOLA

Alzavola (Anas crecca) (Linnaeus, 1758)
Ordine: ANSERIFORMES
Famiglia: Anatidae

AQUILA REALE

Aquila reale (Aquila chrysaetos)
Classe: Uccelli (Aves)
Ordine: Accipitriformes (Accipitriformes)
Famiglia: Accipitridi (Accipitridae)

E’ il rapace per antonomasia chiamata molto spesso semplicement aquila presente in Europa, Asia Nordamerica e Nordafrica.

Dimensioni: dai 70cm ai 120cm compreso la coda. Il peso varia dai 3 ai 7 kg. La femmina è più grande.

Habitat: Sulle creste di montagna più alte ed inaccessibili.

Cosa mangia: Piccoli mammiferi o uccelli, ma anche giovani camosci più deboli.
Integra regolarmente la sua dieta con resti di animali rinvenuti morti come ungulati vittime dei rigori invernali. 

Riproduzione: L’accoppiamento avviene in marzo e viene preceduto da uno spettacolare rituale noto come danza del cielo, che per vari giorni vede impegnati entrambi gli individui in spettacolari evoluzioni aeree che spesso la femmina compie in volo rovesciato mentre il maschio sembra piombarle sopra, con scambi di preda in volo o giri della morte.
Fedeli per tutta la vita l’accoppiamento avviene sempre a terra.
La deposizione delle uova (solitamente due) avviene a distanza di 2 – 5 giorni l’una dall’altra.
Le uova si schiudono dopo circa 45 giorni di cova.

Piccoli: Dopo due mesi i pulcini diventano aquilotti ed iniziano ad esercitarsi nel volo sul bordo del nido.
Spiccano il primo volo dopo 2 mesi circa e a 6 mesi diventano indipendenti.
In questo periodo vengono portati dai genitori fuori dai confini del territorio natale e verso i 3 – 6 anni costituiranno un nuovo nucleo familiare.

Curiosità: Anche se le leggende parlano di agnelli, volpi (ed in passato addirittura di bambini) sollevati dall’aquila, in realtà può trasportare al nido prede di medie dimensioni (ca. kg 1,5) solo se la cattura è avvenuta in posizione sopraelevata rispetto al nido.

Nel Parco: Presente con due o tre coppie e di facile avvistamento mentre sorvola creste, valli e vette alla ricerca di prede.

ASTORE

Accipiter gentilis (Linnaeus, 1758)
Ordine: ACCIPITRIFORMES
 Famiglia: Accipitridae

AVERLA PICCOLA

Averla piccola (Lanius collurio)
Classe: Uccelli (Aves)
Ordine: Passeriformi (Passeriformes)
Famiglia: Lanidi (Lanidae)

E’ un comune passeraceo detto anche falconcello

Ha il corpo rosso-bruno nella parte superiore e bianco-rosa sul ventre. La testa di colore chiaro è contraddistinta da una fascia nera sulla faccia

Dimensioni: È lungo circa 18 cm e pesa circa 30 grammi.

Habitat: Comunissima in ambienti di alta quota ai margini dei boschi, in zone cespugliose e sassaie con alberi e cespugli.

Cosa mangia: Predano insetti e piccoli vertebrati e li infilzano sulle spine o sui rami dei cespugli

Riproduzione: La femmina vi depone dalle 4 alle 6 uova

BALIA DAL COLLARE

Balia dal collare (Ficedula albicollis) (Temminck, 1815)

Ordine: PASSERIFORMES
 Famiglia: Muscicapidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

BARBASTELLO

Barbastello (Barbastella barbastellus) (Schreber, 1774)

Ordine: CHIROPTERA
Famiglia: Vespertilionidae

BOMBICE DEL PRUGNOLO

Bombice del prugnolo (Eriogaster catax) (Linnaeus, 1758)

Ordine: LEPIDOPTERA
Famiglia: Lasiocampidae

CALANDRO

Calandro (Anthus campestris) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Motacillidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

CAMOSCIO APPENNINICO

Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)

Classe: Mammiferi (Mammalia)
Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)
Famiglia: Bovidi (Bovidae)
Camosci appenninici

Dimensioni: la lunghezza è di 100 – 130 cm, l’altezza al garrese è di 70 – 80 cm, il peso è di circa 30 kg per i maschi e 27 kg per le femmine

Vita: 15 anni

Habitat: il camoscio appenninico è prevalentemente legato agli ambienti d’alta quota (1.200-2.000 m s.l.m.) caratterizzati da praterie e pareti scoscese; in inverno, quando la neve è abbondante, scende più a valle nel bosco.

Cosa mangia: è un erbivoro; particolarmente importante per la dieta, grazie alla ricchezza di proteine, è la comunità vegetale del Festuco-Trifolietum thalii.

Riproduzione: la stagione degli amori è a ottobre-novembre; in questo periodo i maschi ingaggiano delle spericolate lotte per potersi accoppiare con più femmine.

Piccoli: a maggio le femmine partoriscono un solo camoscetto.

Curiosità: se è allarmato il camoscio emette un tipico fischio di avvertimento.

Note: le corna, presenti in entrambi i sessi, sono molto sviluppate.
Il mantello estivo ha un colore marrone chiaro piuttosto uniforme, mentre in inverno assume una tipica e vistosa colorazione composta da fasce bianche, nere e brune a contrasto.

Nel Parco: grazie all’istituzione del Parco e ad un’attenta tutela, questo raro ungulato è stato salvato dall’estinzione.
Negli ultimi decenni la popolazione è aumentata in modo consistente, tanto da consentire, attraverso programmi di ricerca, la reintroduzione in altre aree protette dell’Appennino, da dove si era estinto in epoca storica.
Al Parco è presente sui monti della Camosciara, sul Monte Meta, sulle Mainarde, sul Monte Amaro, sul Monte Marsicano e sulle montagne che circondano la Val Canneto.

CAPRIOLO

Capriolo (Capreolus capreolus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ARTIODACTYLA
 Famiglia: Cervidae

CERAMBICE DEL FAGGIO

Cerambice del faggio (Rosalia alpina) (Linnaeus, 1758)

Ordine: COLEOPTERA
Famiglia: Cerambycidae

CERVO NOBILE

Cervo nobile (Cervus elaphus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ARTIODACTYLA
 Famiglia: Cervidae

CERVONE

Cervone (Elaphe quatuorlineata) (Lacépède, 1789)

Ordine: SQUAMATA
Famiglia: Colubridae

CODIROSSONE

Codirossone (Monticola saxatilis) (Linnaeus, 1766)

Ordine: PASSERIFORMES
 Famiglia: Turdidae

CORVO IMPERIALE

Corvo imperiale (Corvus corax) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Corvidae

COTURNICE

Coturnice (Alectoris graeca) (Meisner, 1804)

Ordine: GALLIFORMES
Famiglia: Phasianidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

COTURNICE DELLE ALPI

Coturnice ss. delle Alpi (Alectoris graeca saxatilis) (Bechstein, 1805)

Ordine: GALLIFORMES
Famiglia: Phasianidae

EUPHYDRYAS AURINIA

Euphydryas aurinia (Euphydryas aurinia) (Rottemburg,1775)

Ordine: LEPIDOPTERA
Famiglia: Nymphalidae

FALCO PECCHIAIOLO

Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ACCIPITRIFORMES
Famiglia: Accipitridae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

FALCO PELLEGRINO

Falco pellegrino (Falco peregrinus) (Tunstall, 1771)

Ordine: FALCONIFORMES
Famiglia: Falconidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

FALENA DELL’EDERA

Falena dell’edera (Euplagia quadripunctaria) (Poda, 1761)

Ordine: LEPIDOPTERA
Famiglia: Arctiidae

FERRO DI CAVALLO MAGGIORE

Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) (Schreber, 1774)

Ordine: CHIROPTERA
Famiglia: Rhinolophidae

FERRO DI CAVALLO MINORE

Ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros) (Bechstein, 1800)

Ordine: CHIROPTERA
Famiglia: Rhinolophidae

FISCHIONE

Fischione (Anas penelope) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ANSERIFORMES
Famiglia: Anatidae

FOLAGA

Folaga (Fulica atra) (Linnaeus, 1758)

Ordine: GRUIFORMES
Famiglia: Rallidae

FRINGUELLO ALPINO

Fringuello alpino (Montifringilla nivalis) (Linnaeus, 1766)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Passeridae

GAMBERO DI FIUME

Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) (Lereboullet, 1858)

Ordine: DECAPODA
Famiglia: Astacidae

GATTO SELVATICO

Gatto selvatico (Felis silvestris) (Schreber, 1777)

Ordine: CARNIVORA
Famiglia: Felidae

GERMANO REALE

Germano reale (Anas platyrhynchos) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ANSERIFORMES
Famiglia: Anatidae

GHIRO

Ghiro (Myoxus glis) (Linnaeus, 1766)

Ordine: RODENTIA
Famiglia: Myoxidae

GRACCHIO ALPINO

Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Corvidae

GRACCHIO CORALLINO

Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Corvidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

GUFO REALE

Gufo reale (Bubo bubo) (Linnaeus, 1758)

Ordine: STRIGIFORMES
Famiglia: Strigidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

ISTRICE

Istrice (Hystrix cristata) (Linnaeus, 1758)

Ordine: RODENTIA
Famiglia: Hystricidae

LANARIO

Lanario (Falco biarmicus) (Temminck, 1825)

Ordine: FALCONIFORMES
Famiglia: Falconidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

LUPO

Lupo (Canis lupus lupus)

Classe: Mammiferi (Mammalia)
Ordine: Carnivori (Carnivora)
Famiglia: Canidi (Canidae)
Lupo
(foto di: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)

Chi è il lupo dell’Appennino? Nel 1921 un medico di Campobasso appassionato di storia naturale, G. Altobello, scoprì nel lupo dell’Appennino alcune differenze rispetto ai parenti più nordici, e lo chiamò Canis lupus italicus, considerandolo così una sottospecie a se stante. Gli studiosi oggi, grazie anche ai risultati di indagini genetiche, sono più propensi a non considerare le popolazioni che vivono nell’area del Mediterraneo come sottospecie a parte, ma facenti parte di un’unica sottospecie, Canis lupus lupus che vive in Eurasia centrale e settentrionale con diverse varietà geografiche.

Per altre informazioni sul lupo

Dimensioni: 110 -148 cm dalla testa alla base della coda, l’altezza al garrese è di 60-70 cm. Il peso va dai 25 ai 40 kg.

Vita: 8-10 anni.

Habitat: Il lupo è un animale molto adattabile ai vari ambienti presenti nel Parco, dal bosco alle praterie, spaziando tra i diversi livelli altitudinali.

Cosa mangia: La dieta del lupo è composta di cinghiali, caprioli, cervi, roditori e, occasionalmente, bestiame domestico. In mancanza di prede non disdegna carcasse, bacche e frutta selvatica.

Riproduzione: Alla fine dell’inverno si accoppiano solamente il maschio e la femmina dominante.

Piccoli: A primavera nascono da 2 a 6 cuccioli che rimangono con la madre e con il branco per almeno un anno.

Curiosità: Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza (funzione territoriale) che come richiamo per gli altri membri del proprio branco.

Note: Il lupo può vivere isolato o in piccoli branchi gerarchicamente organizzati in entrambi i sessi.
Il branco, oltre ad utilizzare l’ululato, delimita il proprio territorio con marcature odorose (feci e urina).

Nel Parco: Il lupo è un animale difficile da avvistare: di abitudine prevalentemente notturna, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili del Parco. I segni di presenza più facili da riscontrare sul territorio sono le orme molto simili a quelle di un grosso cane, ma disposte su un’unica fila e gli escrementi pieni di peli.

MARTORA

Martora (Martes martes) (Linnaeus, 1758)

Ordine: CARNIVORA
Famiglia: Mustelidae

MERLO DAL COLLARE

Merlo dal collare (Turdus torquatus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Turdidae

MINIOTTERO

Miniottero (Miniopterus schreibersii) (Natterer in Kuhl, 1819)

Ordine: CHIROPTERA
Famiglia: Vespertilionidae

MORIGLIONE

Moriglione (Aythya ferina) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ANSERIFORMES
Famiglia: Anatidae

MOSCARDINO

Moscardino (Muscardinus avellanarius) (Linnaeus, 1758)

Ordine: RODENTIA
Famiglia: Myoxidae

NIBBIO BRUNO

Nibbio bruno (Milvus migrans) (Boddaert, 1783)

Ordine: ACCIPITRIFORMES
Famiglia: Accipitridae

ORSO BRUNO

Orso bruno (Ursus arctos) (Linnaeus, 1758)

Ordine: CARNIVORA
Famiglia: Ursidae

ORSO BRUNO MARSICANO

Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus)

Classe: Mammiferi (Mammalia)
Ordine: Carnivori (Carnivora)
Famiglia: Ursidi (Ursidae)
Peso Altezza Orso
(foto di: Valentino Mastrella)

Dimensioni: Mediamente un orso maschio adulto ha un peso che si aggira intorno ai 140 – 210 kg (le femmine sono più piccole) ed una lunghezza massima di 150 – 180 cm.

Vita: 35-40 anni

Habitat: Il bosco rappresenta l’habitat più importante per l’Orso: in esso trova rifugio, tranquillità e cibo. Non è raro comunque che l’Orso frequenti, a seconda delle stagioni, le praterie di alta quota o i coltivi di fondovalle. Trattandosi di un animale onnivoro (che si nutre cioè sia di sostanze vegetali che animali), l’Orso riesce ad adattarsi a diversi tipi di habitat, purché tranquilli e sicuri.

Cosa mangia: L’orso è un animale onnivoro, si nutre cioè sia di piante che di animali, anche se la sua dieta è costituita per l’80% da vegetali. La sua alimentazione varia stagionalmente a seconda di ciò che la natura offre: bacche e frutti di bosco, insetti e larve, miele, carcasse di animali.

Riproduzione: A maggio inizia per gli orsi il periodo degli amori.
Sia i maschi che le femmine possono accoppiarsi con più individui nella stessa stagione e di conseguenza i piccoli di una stessa cucciolata possono essere di padri diversi.

Piccoli: A febbraio, durante il periodo di latenza invernale, la femmina partorisce da 1 a 3 cuccioli. Al momento della nascita i piccoli pesano meno di 500 grammi e dipendono completamente dalla mamma. Grazie al latte materno che è particolarmente ricco di grassi, gli orsacchiotti riescono a crescere rapidamente per affrontare lo svezzamento in l’estate.
I piccoli rimangono con la madre per più di un anno.

Curiosità: L’Orso ha un udito molto sviluppato ed un olfatto acutissimo che lo aiuta nella ricerca del cibo. A differenza dell’olfatto e dell’udito, la vista è invece piuttosto mediocre. Il verso dell’Orso si chiama ruglio.

Note: Ai primi freddi, quando il cibo comincia a scarseggiare, gli orsi vanno alla ricerca di un rifugio asciutto e sicuro dove trascorrere l’inverno. Nella tana l’Orso cade in una specie di letargo che gli consente di far fronte alle basse temperature e alla mancanza di cibo. Non si tratta di un letargo vero e proprio: a differenza di altre specie, gli orsi mantengono un buon grado di reattività agli stimoli esterni e possono addirittura uscire fuori dalla tana durante le belle giornate invernali. In questo periodo non si alimentano e sopravvivono grazie al grasso accumulato in autunno che funziona sia come riserva energetica che da isolante termico.

Nel Parco: Simbolo del Parco d’Abruzzo, l’orso bruno marsicano è una sottospecie differenziata geneticamente dagli orsi delle Alpi e dunque rappresenta un endemismo esclusivo dell’Italia centrale. Grazie ai monitoraggi genetici si è potuta stimare una popolazione di circa 50 esemplari con un intervallo tra 45-69 nel territorio del Parco e zone limitrofe.

ORTOLANO

Ortolano (Emberiza hortulana) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Emberizidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

PASSERA LAGIA

Passera lagia (Petronia petronia) (Linnaeus, 1766)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Passeridae

PICCHIO DALMATINO

Picchio dalmatino (o dorsobianco) (Picoides leucotos) (Bechstein, 1803)

Ordine: PICIFORMES
Famiglia: Picidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

PICCHIO MURAIOLO

Picchio muraiolo (Tichodroma muraria) (Linnaeus, 1766)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Tchodromadidae

PICCHIO ROSSO MAGGIORE

Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PICIFORMES
Famiglia: Picidae

PICCHIO ROSSO MEZZANO

Picchio rosso mezzano (Dendrocopos medius) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PICIFORMES
Famiglia: Picidae
Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE

PICCHIO ROSSO MINORE

Picchio rosso minore (Dendrocopos minor) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PICIFORMES
Famiglia: Picidae

RAGANELLA COMUNE

Raganella comune (Hyla arborea) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ANURA
Famiglia: Hylidae

RAGANELLA ITALIANA

Raganella italiana (Hyla intermedia) (Boulenger, 1882)

Ordine: ANURA
Famiglia: Hylidae

RAMPICHINO

Rampichino (Certhia brachydactyla) (Brehm, 1820)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Certhiidae

RAMPICHINO ALPESTRE

Rampichino alpestre (Certhia familiaris) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Certhiidae

RANA AGILE

Rana agile (Rana dalmatina) (Bonaparte, 1840)

Ordine: ANURA
Famiglia: Ranidae

RANA APPENNINICA

Rana appenninica (Rana italica) (Dubois, 1987)

Ordine: ANURA
Famiglia: Ranidae

RICCIO

Riccio (Erinaceus europaeus) (Linnaeus, 1758)

Ordine: INSECTIVORA
Famiglia: Erinaceidae

ROSPO COMUNE

Rospo comune (Bufo bufo) (Linnaeus, 1758)

Ordine: ANURA
Famiglia: Bufonidae

ROSPO SMERALDINO

Rospo smeraldino (Bufo viridis) (Laurenti, 1768)

Ordine: ANURA
Famiglia: Bufonidae

ROVELLA

Rovella (Rutilus rubilio) (Bonaparte, 1837)

Ordine: CYPRINIFORMES
Famiglia: Cyprinidae

SALAMANDRA PEZZATA

Salamandra pezzata (Salamandra salamandra) (Linnaeus, 1758)

Ordine: URODELA
Famiglia: Salamandridae

SALAMANDRINA DAGLI OCCHIALI

Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) (Lacépède, 1788)

Ordine: URODELA
Famiglia: Salamandridae

SALAMANDRINA DI SAVI

Salamandrina di Savi (Salamandrina perspicillata) (Savi, 1821)

Ordine: URODELA
Famiglia: Salamandridae

SCARABEO EREMITA ODOROSO

Scarabeo eremita odoroso (Osmoderma eremita) (Scopoli, 1763)

Ordine: COLEOPTERA
Famiglia: Cetoniidae

SCOIATTOLO

Scoiattolo (Sciurus vulgaris) (Linnaeus, 1758)

Ordine: RODENTIA
Famiglia: Sciuridae

SORDONE

Sordone (Prunella collaris) (Scopoli, 1769)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Prunellidae

STIACCINO

Stiaccino (Saxicola rubetra) (Linnaeus, 1758)

Ordine: PASSERIFORMES
Famiglia: Turdidae

VEGETALI

2. PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA, SEDE OPERATIVA ASSERGI (AQ), ABRUZZO

Uno scorcio di Corno Grande a Campo Imperatore, tipico paesaggio glaciale carsico all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga https://www.gransassolagapark.it
Uno scorcio di un lago glaciale tipico di un ambiente carsico all’interno del Parco Nazionale della Maiella https://www.parcomajella.it

Parco Regionale Abruzzo

I Piani di Pezza, pianoro carsico glaciale sito a 4 km da Rocca di Mezzo (AQ) all’interno del Parco Naturale Regionale Sirente-Velino https://www.parcosirentevelino.it

Riserve Naturali Abruzzo

Uno scorcio montano della Riserva Naturale Guidata del Monte Salviano sopra Avezzano (AQ) nella Marsica https://www.parks.it/riserva.monte.salviano/
Uno scorcio del sito archeologico romanico di Alba Fucens, borgo medioevale che si trova sopra la città di Avezzano in provincia di L’Aquila
https://www.lorenzotaccioli.it/alba-fucens-rovine-archeologiche-d-abruzzo/
L’Anfiteatro Romano sito all’interno del Parco Archeologico Romanico di Alba Fucens sopra Avezzano nella Marsica, fatto cosruire da Macrone nel 300 avanti Cristo https://fondoambiente.it/luoghi/alba-fucens?ldc
Uno scorcio della Riserva Naturale del Borsacchio, sita a Roseto degli Abruzzi vicino Teramo https://www.visitroseto.it/la-riserva-naturale-del-borsacchio-natura-da-scoprire/
Uno scorcio della Riserva Naturale Guidata oasi WWF di Serranella vicino Sulmona https://www.wwf.it/dove-interveniamo/il-nostro-lavoro-in-italia/oasi/oasi-lago-di-serranella/
Uno scorcio della Riserva Naturale Guidata del Lago di Penne oasi WWF Abruzzo vicino a Penne in provincia di Pescara https://www.wwf.it/dove-interveniamo/il-nostro-lavoro-in-italia/oasi/oasi-penne/
Uno scorcio del promontorio della Riserva Naturale Marina Punta Aderci di Vasto, sita a 5 km da casa mia https://www.puntaderci.it

Tutti gli atti vili di attacco a cui sono state oggetto i Parchi abruzzesi e la fauna selvatica negli ultimi anni

Lavorerò da stasera e da stanotte stessa alla ricerca delle informazioni ed alla stesura del mio dossier d’inchiesta direttamente al programma MAB dell’UNESCO e non appena avrò una risposta, farò aprire ufficialmente la procedura burocratica per far gestire le aree protette abruzzesi direttamente all’UNESCO, sfilando la gestione dei Parchi Nazionali, Regionali e delle Riserve Naturali direttamente all’indegna politica locale abruzzese, un esempio virtuoso al quale dovranno poi attenersi tutte le altre regioni italiane, se i cittadini delle comunità locali vogliono ancora vedere quel poco di Natura che resta loro da proteggere.

English translate

Good evening to all of you, but for me tonight is not such a blow to my heart after hearing the news of the amendment adopted by the Abruzzo Region to cancel the Borsacchio Nature Reserve located in Roseto degli Abruzzi near Teramo. In light of the unworthy policies of indiscriminate cuts to the natural surfaces of protected areas or linked to the culling of wild fauna carried out by either the centre-left Presidency of the Abruzzo Regional Council D'Alfonso or the centre-right Marsilio, when one has when dealing with mafia criminals you must give them a firm, upright, strong and peremptory response, therefore I decided to personally work on an investigative dossier on the state of all the national natural parks made up of the Abruzzo Lazio National Park and Molise (PNALM) with administrative headquarters located in Pescasseroli (AQ), Gran Sasso and Monti della Laga National Park, with administrative headquarters located in Assergi (AQ) and Maiella National Park, with administrative headquarters located in Caramanico Terme (CH), of the only regional natural park that we have in Abruzzo, the Sirente-Velino Regional Park, with administrative headquarters located in Rocca di Mezzo (AQ) and of all the guided nature reserves, such as that of Monte Salviano in Avezzano and of all the nature reserves oriented, such as that of Monte Velino in Magliano dei Marsi, a dossier to be presented to the Man And Biosphere (MAB) global protection program of Biosphere Reserves managed directly by UNESCO, a new form of management and management of protected areas that cannot it limits itself only to protecting them from a purely naturalistic point of view in the strict sense, but also from an architectural, archaeological and tourist point of view, incorporating within these natural areas subjected to special protection Sites of Community Importance (SIC) or Special Protection Areas (ZPS) of European Law Rete Natura 2000 also sites of particular archaeological and/or tourist interest, such as the Romanesque Archaeological Park of Alba Fucens, located in the village of the same name a few km from Avezzano in Marsica. I immediately make known you the technical proposal that I and the President of the ERCI Team Il Salviano Association Sergio Rozzi put forward in 2016 to MINAM, the Peruvian Ministry of the Environment, with which we interfaced directly at the headquarters of the Peruvian Embassy located in via Paisiello in the Parioli district of Rome, to protect all the Abruzzo parks of Marsica, in order to incorporate all the following parks into the Marsica-Gran Sasso Biosphere Reserve: Abruzzo Lazio and Molise National Park, Gran Sasso and Monti National Park della Laga, Sirente-Velino Regional Park and the Guided Nature Reserve of Monte Salviano, in order to cancel all the ignoble acts committed by the Abruzzo Region, farmers and hunters, the former supported by the Coldiretti Triumvirate, Confagricoltura and the Italian Confederation of Farmers, while the latter are supported directly by Federcaccia, they are carrying out in Abruzzo to gradually erase all the protected areas to reconvert these natural soils into agricultural soils to be exploited through intensive agriculture as was practiced in the post-war 1950s, after the Second World War. All this for me is humanly unacceptable, because the Abruzzo Region, even if it is a region with a strong agricultural vocation and the main subsistence activity is agriculture, this however must not justify the fact that the driving force of the Abruzzo economy is represented only and exclusively from the agricultural context, this region can also live from sustainable tourism, but to always guarantee it, there must be intact protected surfaces and away from continuous speculation carried out by the usual interests of economic powers that oppose environmental protection and valorization of sustainable green tourism, in a region in which the various failed centre-left and centre-right policies that have always been in force in Abruzzo have pitted environmental protection and agriculture against each other, two aspects that for me had to be complementary, sides of the same coin that could very well coexist together, but in many Regional Presidents these aspects have deliberately been put against each other to guarantee the usual economic interests of the usual potentates linked to the protection of intensive agriculture and hunting and this is definitely not healthy for the protection of the integrity of our Parks and Forests, for this reason for years together with Mauro Corona I have been requesting the annulment of Law 19 August 2016 n° 177 or Madia Decree and the rehabilitation of the State Forestry Corps in Abruzzo and in all the other fourteen Italian regions with ordinary statute, precisely to return to guaranteeing that minimum level of control and patrolling of the protected territory aimed at protecting the flora and fauna of the Abruzzo Parks.

I will work from this evening and night to search informations and draft my investigative dossier directly to UNESCO's MAB program and as soon as I have a response, I will officially open the bureaucratic procedure to have the protected areas of Abruzzo managed directly by UNESCO, parading the management of National, Regional Parks and Nature Reserves directly to the unworthy local politics of Abruzzo, a virtuous example to which all the other Italian regions will then have to follow, if the citizens of the local communities still want to see the little of Nature that remains for them to protect.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

PREAPERTURA DELLA CACCIA SEGNATA DALLE POLEMICHE: IL WWF DIFFIDA LA REGIONE ABRUZZO

L’Ufficio Legale dell’associazione ambientalista elenca le irregolarità del calendario venatorio in Abruzzo e chiede l’immediata modifica prima del via ufficiale fissato ad Ottobre.

di Lorenzo Colantonio

Caccia in Abruzzo: il WWF Italia diffida la Regione Abruzzo sul calendario venatorio approvato
https://www.ilcentro.it/pescara/preapertura-della-caccia-segnata-dalle-polemiche-il-wwf-diffida-la-regione-1.3189401

PESCARA. Caccia, polemiche, diffide e carte bollate nei giorni della preapertura. L’Ufficio Legale del WWF Italia ha infatti messo in mora la Regione Abruzzo sul calendario venatorio 2023-2024. “Chiediamo all’amministrazione regionale di prendere atto di tutte le criticità rilevate, alcune delle quali in evidente contrasto con quanto indicato nel parere ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)” esordisce l’associazione ambientalista che chiede anche “di procedere con urgenza ad una rettifica del calendario”. Il tempo per farlo non è scaduto, perché dopo questa prima fase anticipata della stagione venatoria, dal 14 Settembre ad oggi, oltre 10 mila doppiette torneranno in azione ad Ottobre, con il via ufficiale della caccia. Ecco alcuni dei punti contestati dal WWF:

  1. No al posticipo della chiusura della caccia al colombaccio al 10 Febbraio 2024, in quanto l’ISPRA sostiene che può essere “consentito solamente alle realtà territoriali dove sia garantita un’adeguata vigilanza venatoria, in grado di prevenire eventuali illeciti”, cosa non assicurata in Abruzzo, tanto più che nel calendario venatorio non vi è alcun riferimento alla vigilanza venatoria ed il posticipo della caccia al colombaccio è esteso a tutto il territorio regionale senza discriminante alcuna.
  2. No alla caccia dell’allodola, specie in stato di conservazione sfavorevole con un calo della popolazione in Europa. Il WWF, anche in questo caso, evidenza quanto sottolineato dall’ISPRA che, nel suo parere sul calendario venatorio, fa un richiamo esplicito al “Piano di Gestione Nazionale per l’allodola” ed all’inottemperanza della Regione Abruzzo nella trasmissione di “alcuna informazione riguardo ad attività svolte per il primo obiettivo del Piano di Gestione”, ossia il miglioramento dell’habitat della specie negli agroecosistemi che, al momento sembra quindi inattuato.
  3. No anche alla chiusura della caccia alla beccaccia il 20 Gennaio, e non il 31 Dicembre, perché oltre a quanto indicato dall’ISPRA.
  4. Mancato rispetto delle prescrizioni per l’attività venatoria nell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM). Nel parere ISPRA, scrive il WWF nell’esposto, viene chiaramente richiesto che nel calendario venatorio si forniscano “indicazioni sulle modalità di esercizio dell’attività venatoria nelle Aree Contigue dei Parchi Nazionali”. In tali ambiti la caccia dovrebbe essere riservata ai soli residenti dei comuni delle aree naturali protette e delle aree contigue e dovrebbe essere gestita in forma “controllata”, mentre nel calendario approvato dalla Regione non si fa riferimento alcuno alla riserva di caccia ai soli residenti.
  5. “Limitazioni all’utilizzo di munizionamento a pallini di piombo”, il calendario approvato prevede una mera raccomandazione all’utilizzo di munizioni spezzate prive di piombo e non un divieto, così come segnalato nel parere ISPRA.
  6. Mancato inserimento del divieto di caccia nelle aree percorse da incendi, come peraltro ricordato dal WWF Italia in una nota inviata a tutte le Regioni. Nel calendario approvato però non è presente alcun accenno alla questione incendi. Ma la delegata regionale del WWF, Filomena Ricci, tende la mano al Vicepresidente della Giunta e delegato alla caccia, Emanuele Imprudente: “Rettificare il calendario venatorio e non accogliere solo le richieste dei cacciatori”, dice, “sarebbe un segnale positivo rispetto alla tutela della fauna regionale che, si ricorda, è patrimonio comune di tutti i cittadini: gli amministratori regionali”, conclude il WWF “non possono ignorarlo”.

Fonte: Il Centro Abruzzo

https://x.com/bralex84/status/1704431351024275632

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

WWF ABRUZZO: “NEL 2023 CONTINUARE A TUTELARE LE SPECIE SIMBOLO”

PUBBLICATO DA GIGLIOLA EDMONDO 29/12/2022

https://www.rete8.it/cronaca/123wwf-abruzzo-nel-2023-continuare-a-tutelare-le-specie-simbolo/

Il Wwf Abruzzo traccia un consuntivo dell’attività svolta nel 2022 e parla dei futuri obiettivi. In primis tutelare le specie simbolo

Proteggere la natura è la prima mission del Wwf: è quanto hanno ribadito questa mattina incontrando la stampa la delegata regionale dell’associazione ambientalista Filomena Ricci,  il direttore delle Oasi del Wwf Abruzzo Andrea Rosario Natale e la presidente del WWF Chieti-Pescara Nicoletta Di Francesco.

Nel bilancio di fine anno ci sono gli obiettivi raggiunti e le migliaia di ettari del Parco naturale regionale Sirente Velino che restano territorio tutelato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale.

L’obiettivo primario del 2023 è quello di ribadire l’impegno per tutelare le specie simbolo e il Wwf lancia il suo “attenti al lupo”. Per la gestione delle oasi l’associazione avanza una richiesta alla Regione: inserire risorse nel bilancio.

La delegata regionale dell’associazione ambientalista Filomena Ricci e il direttore delle Oasi del Wwf Andrea Rosario Natale hanno parlato dei tanti risultati raggiunti, ma ancora troppe minacce per la natura.

Nel dettaglio il consuntivo del Wwf Abruzzo:

Di rilievo lo stop della Consulta al taglio del Parco Regionale Sirente-Velino e la partecipata festa per i primi 50 anni della presenza del Wwf in Abruzzo

Il 2022 è stato l’anno in cui l’Associazione del Panda ha festeggiato i primi 50 anni della presenza sul territorio: l’evento si è tenuto a settembre a Chieti, la città nella quale nel 1972 si formò il primo nucleo (la delegazione regionale è nata invece nel 1974), presso il Museo universitario con una numerosa partecipazione di soci, amici e simpatizzanti del Wwf.

Numerose attività in Abruzzo, le principali azioni, i tanti risultati ottenuti: 4 organizzazioni locali, 6 Oasi (5 delle quali Riserve regionali), 6 Centri di Educazione Ambientale e nuclei di vigilanza.

Nel 2022 è arrivato anche l’importante riconoscimento per Luciano Di Tizio, storico socio e delegato regionale del Wwf Abruzzo per 7 anni, nominato Presidente del Wwf Italia. Una grande soddisfazione per Luciano, ma anche per tutta la realtà del Panda della nostra regione.

Aree protette

A fine novembre è arrivata la notizia che il mondo ambientalista attendeva: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235/2022, ha dichiarato illegittimo il taglio del Parco Regionale Sirente Velino. Il pronunciamento salva molte migliaia di ettari di territorio protetto che la Regione Abruzzo aveva eliminato dal territorio tutelato.

Il Wwf è stato capofila della movimentazione contro il taglio del parco, ha raccolto le adesioni di più di 20 associazioni locali e nazionali, ha organizzato una petizione on line arrivata a 125.000 firme, ha elaborato un appello firmato da 50 personalità della scienza e della cultura abruzzesi e italiane portando la discussione a livello nazionale. La sentenza della Corte Costituzionale dà una sonora batosta all’amministrazione regionale che pensava di ridurre i confini di un’area protetta, mentre gli obiettivi comunitari chiedono esattamente il contrario.

Un altro importante pronunciamento è stato quello del Tar Abruzzo sul ricorso presentato da alcune associazioni ambientaliste, con l’intervento ad adiuvandum del Wwf Italia, che ha annullato le autorizzazioni del Comune di Ovindoli e della Regione Abruzzo per la realizzazione di nuove piste da sci e nuovi impianti da risalita in un’area di circa 10 ettari sul Monte Magnola nel territorio di Ovindoli, anche in questo caso nel Parco Regionale Sirente-Velino, all’interno di habitat naturali ricompresi in una Zona di Protezione Speciale della Rete Narura2000 tutelata dall’Unione Europea. L’idea antica e superata del rilancio della montagna attraverso la realizzazione di impianti da sci purtroppo non abbandona la nostra Regione.

Filomena Ricci ha ricordato che: «Sulle nostre montagne si ripropongono progetti anacronistici che fanno spendere i fondi della collettività per impianti di risalita in territori che, inevitabilmente, saranno sempre meno innevati a causa dei cambiamenti climatici in atto. Ben altre politiche sarebbero necessarie per il rilancio della montagna: sulla bellezza della natura e sull’attrattività ambientale, per le quali l’Abruzzo viene riconosciuto a livello nazionale ed europeo, si deve costruire un percorso di crescita che porti turismo tutto l’anno e non solo per poche settimane».

Purtroppo anche quest’anno manca all’appello il Parco Nazionale della Costa teatina: individuato nel 1997, istituito nel 2001 e perimetrato nel 2015 da un commissario ad acta, non è mai stato attivato, di fatto lasciando un territorio come quello della costa dei trabocchi in balia di programmazioni non strutturate, interventi spot non organizzati in una visione comune o peggio di speculazioni e gestioni discutibili come quelle a cui si assiste ad esempio sulla Via Verde.

Positivo invece il bilancio delle 6 Oasi Wwf presenti in Abruzzo. In queste, e in altre tre aree nelle quali si stanno sperimentando iniziative di gestione insieme a diverse Associazioni e/o gruppi locali, si sperimentano laboratori per tecniche di gestione creando anche opportunità lavorative, preziose soprattutto nei piccoli centri. Spesso rappresentano aree di incontro, aggregazione e accoglienza, con un ruolo conservazionistico e sociale. Propongono poi un turismo rispettoso dell’ambiente che porta un arricchimento culturale in chi le visita.

Per la Festa Oasi Wwf 2022 sono stati organizzati eventi durante tutto il mese di maggio: in 9 aree protette (che coinvolgono in totale 11 Comuni abruzzesi) sono state organizzate oltre 50 iniziative rivolte a adulti e bambini: escursioni, laboratori didattici, corsi di fotografia naturalistica e di birdwatching, sedute di yoga, momenti dedicati alla pittura e alla scultura e tanto altro ancora. Gli eventi sono stati organizzati dal personale delle Oasi e Riserve, dalle cooperative che collaborano nella gestione, dalle associazioni vicine al WWF e hanno visto la partecipazione dei volontari delle organizzazioni locali del WWF. Simili attività si svolgono per tutto l’anno nelle Oasi, sempre pronte ad accogliere visitatori e persone che vogliono passare un po’ del loro tempo in natura: solo nell’Oasi e Riserva regionale “Calanchi di Atri” nella stagione estiva si sono contate più di 7.000 presenze.

Ma le Oasi sono anche e soprattutto importanti presidi per la tutela della biodiversità e per questo ottengono importanti riconoscimenti. «Per il terzo anno consecutivo le attività organizzate per il World Wetland Day hanno avuto il riconoscimento di MedWet e sono state patrocinate dall’OFB, Ufficio Francese per la Biodiversità – dichiara Andrea Rosario Natale, direttore dell’Oasi WWF e Riserva Regionale “Lago di Serranella” e coordinatore dello Iaap-Wwf – ma soprattutto, l’Oasi di Serranella sarà uno dei 50 siti (l’unico sito in Abruzzo) dove saranno sviluppate e attuate azioni di ripristino e recupero in favore della testuggine palustre (Emys orbicularis) del progetto Life Urca Proemys (Life21-Nat-It-Life) coordinato dal Wwf Italia come capofila e co-finanziato dall’Unione Europea».

L’impegno per tre specie simbolo: Orso bruno marsicano, Fratino e Lupo

I volontari e i tecnici del Wwf Abruzzo continuano a portare avanti con incessante impegno la campagna WWF “Orso 2×50” che punta al raddoppio dell’esigua popolazione del plantigrado entro il 2050 e vede centrale l’azione dell’Oasi WWF e Riserva regionale “Gole del Sagittario” di Anversa degli Abruzzi (AQ). Nel 2022, dopo lo stop dovuto alla pandemia, sono stati di nuovo organizzati i campi di volontariato nelle strutture dell’Oasi, questa volta rivolti alle famiglie. Diversi nuclei famigliari, organizzati in più turni, sono stati ospitati presso le strutture nel Comune di Anversa degli Abruzzi e hanno avuto l’occasione di vivere momenti unici, non solo di svago e di contatto con altre persone con le stesse passioni, ma anche di partecipare ad azioni concrete per la tutela della natura e per la salvaguardia dell’Orso bruno marsicano.

Solo nel 2022 circa 20 strutture sono state messe in sicurezza da danni da Orso, con recinzioni elettrificate o porte in ferro: pollai, apiari, frutteti sono stati dotati di strutture, fornite dall’associazione in comodato d’uso gratuito, che prevengono i danni e quindi i conflitti tra orso e attività umane. L’istallazione di queste strutture da parte dei volontari (si contano più di 45 giornate di lavoro per l’annualità 2022) diventa una preziosa occasione di incontro con gli allevatori e gli agricoltori che vivono il territorio e una possibilità di crescita reciproca. Di recente, sempre grazie alla Campagna Orso 2×50, il Wwf Italia ha collaborato con un importante contributo economico, insieme al Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e all’Associazione Salviamo l’Orso, alla messa in sicurezza della Strada Statale 17, dove nel 2019 venne investita una femmina di orso, tramite l’istallazione di recinzioni lungo la strada.
I volontari del Wwf Abruzzo, inoltre, hanno partecipato alle iniziative organizzate nell’ambito del Progetto LIFE-ARCPROM “Bentornato Orso gentile” dell’Unione Europea con il Parco Nazionale della Maiella, in particolare per l’inaugurazione del Sentiero dell’Orso, percorso tematico dedicato all’Orso bruno marsicano, che si snoda per circa 4 km nel Comune di Campo di Giove ed è allestito con 6 installazioni informative sull’Orso, sulla sua presenza nel Parco e sulle regole di coesistenza. Da ricordare, inoltre, sempre nell’ambito del progetto Life citato, il marchio “Bear Friendly” istituito dal Parco Nazionale della Maiella, in collaborazione con il Wwf Italia, che è stato consegnato a 20 produttori di miele, olio, frutta e ortaggi che operano nei comuni dell’area protetta applicando specifici disciplinari a favore dell’Orso bruno marsicano e del suo habitat.

Grazie all’Area Marina Protetta “Torre del Cerrano” e al Wwf Abruzzo, anche nel 2022 è stato portato avanti il Progetto “Salvafratino Abruzzo”, che vede coinvolta la Capitaneria di Porto così come molte associazioni, comitati locali e singoli volontari. Come avviene ormai da diversi anni, la specie è stata monitorata durante la fase riproduttiva. Nella stagione 2022 però si è registrato un calo: preoccupa la situazione della specie che continua a essere problematica, così come nel resto d’Italia. Alle cause naturali che portano alla perdita dei nidi (mareggiate o predazione) si aggiungono minacce legate all’uomo come la pulizia delle spiagge con mezzi meccanici, la presenza di cani e gatti vaganti, l’eccessiva frequentazione di alcune aree o veri e propri atti di vandalismo. Oltre al monitoraggio dei nidi, sono state tante le attività svolte a partire da marzo fino a tutto agosto: un convegno sul Progetto Salvafratino, organizzato a Pineto il 1° marzo 2022, insieme all’AMP “Torre del Cerrano” e alla Guardia costiera per presentare i risultati ottenuti e anche un’interessante analisi ambientale condotta nell’ambito del progetto. E ancora giornate di pulizia a mano delle spiagge, attività di educazione ambientale, incontri con amministrazioni e operatori economici, distribuzione di materiale informativo, campagne di sensibilizzazione, creazione di nuove piccole aree destinate alla tutela del Fratino e del suo habitat.

Il Lupo è una specie in forte espansione che sta progressivamente riconquistando spazi dai quali era scomparso da decenni a causa dell’uomo, comprese aree di pianura e litoranee, spesso prossime a nuclei urbani. Le strutture locali del Wwf Abruzzo hanno continuato a sensibilizzare sulla tematica di convivenza uomo-lupo, anche con la diffusione di un opuscolo tematico appositamente realizzato. Le minacce per il Lupo non sono certo diminuite: bracconaggio, incidenti stradali, ibridazione con i cani e non ultime le proposte di modifica della normativa sullo stato di protezione, mettono purtroppo ancora a rischio la conservazione della specie e i risultati raggiunti per la sua tutela.

Attività venatoria e gestione faunistica

Anche nel 2022 la Regione Abruzzo ha emanato il proprio calendario venatorio accogliendo solo in parte le osservazioni inviate dal Wwf Abruzzo. Più in generale, rispetto alla gestione venatoria, è necessaria una nuova impostazione che si occupi della tutela del patrimonio faunistico della nostra Regione. A febbraio, insieme con l’Università di Teramo, il Wwf Abruzzo ha organizzato il convegno “Il cinghiale e il territorio: dalla ricerca scientifica alla gestione”, un momento di riflessione molto seguito: oltre 300 partecipanti on line e diverse decine in presenza tra cui rappresentanti del mondo accademico, dei Carabinieri Forestali, delle ASL, delle aree naturali protette, delle associazioni ambientaliste e di categoria.

Per il Wwf Abruzzo è stata l’occasione di presentare una review di oltre 80 pubblicazioni e la propria analisi della situazione. In buona sostanza la caccia, intervenendo sulle dinamiche ecologiche della specie, ottiene risultati opposti rispetto alle intenzioni: più abbattimenti e pressione sulla popolazione ci sono, più i cinghiali si riproducono (i numeri quindi aumentano anziché diminuire) mentre i gruppi familiari si destabilizzano. Di conseguenza possono aumentare sia i danni all’agricoltura sia gli incidenti stradali. Lo dimostrano numerosi studi, ma lo dimostra anche l’esperienza pratica: da anni l’emergenza cinghiali si contrasta soltanto con doppiette e carabine, ma la situazione peggiora. È dunque del tutti assurdo dover assistere a proposte come quella dell’emendamento alla Legge di Bilancio che introduce una norma che consentirà di cacciare nelle aree protette e persino nelle aree urbane, tutte le specie e per tutto l’anno e che ancora si continui a intervenire sulla gestione faunistica senza appoggiarsi al mondo della scienza e degli esperti che si occupano di fauna.

Mare e Costa

Il litorale abruzzese si presenta fragile ed esposto all’erosione. Manca una visione lungimirante che punti alla risoluzione delle criticità e si procede con strumenti obsoleti che ripropongono l’infrastrutturazione dell’ecosistema costiero. Emblematico l’esempio della gestione della Costa dei Trabocchi, che avrebbe bisogno di idee di rilancio per un approccio completamente nuovo anche verso il turismo e che invece vede riproporre espansioni urbanistiche, come nel PRG di Ortona, o la costruzione di impianti impattanti come il nuovo cementificio di Vasto a ridosso della Riserva di Punta Aderci contro il quale il Wwf, insieme a Legambiente, ha intrapreso una battaglia legale.

Durante tutto l’anno, nell’ambito della campagna del Wwf Italia “GenerAzioneMare”, sono state numerosissime le iniziative organizzate dai volontari del Wwf lungo tutto il litorale, tanti chilometri di spiaggia sono stati liberati dai rifiuti e in particolare della plastica che continua a essere una delle principali minacce per l’ecosistema acquatico. I gruppi locali che operano sulla costa, hanno anche ottenuto il finanziamento da parte del Wwf Italia del progetto “Mare nostrum” che prevede la realizzazione di un gioco dedicato al mare e alla sua tutela che sarà presentato nella prossima primavera.

Alberofobia in Abruzzo

Rispetto alla situazione dei tagli boschivi nella nostra Regione, il Wwf Abruzzo ha presentato, in occasione della festa dell’albero, un documento, redatto dai tecnici dell’Associazione e della Coop. Cogecstre, sulla situazione degli alberi in Abruzzo. Si attuano continui interventi sulle piante in città e lungo le alberature stradali o per la prevenzione incendio, determinando così un generalizzato depauperamento del patrimonio arboreo per abbattimenti, capitozzature, potature errate e scelte illogiche nelle zone a verde pubblico: una vera e propria “alberofobia”. Al di là dei diritti acquisiti o dei reali problemi di sicurezza, quello che emerge dall’analisi dei vari casi affrontati dal Wwf, è che molto spesso gli interventi vengono basati su valutazioni inadeguate, affrettate e poco rigorose… il tutto con generici richiami alla sicurezza, al “governo” del bosco o alla prevenzione per gli incendi. In generale il Wwf ha voluto portare all’attenzione la necessità di una maggiore considerazione del patrimonio arboreo della nostra regione che è troppo importante perché venga trattato in modo così approssimativo. Esso custodisce specie tutelate, spesso uniche al mondo come l’Orso bruno marsicano e garantisce importanti servizi ecosistemici utili alla natura, ma anche alla nostra salute. La proposta del Wwf, inoltre, è quella di creare un tavolo tecnico che raccolga diversi esperti, enti e associazioni e che funga come organo in grado di dare direttive e linee guida chiare su come e dove intervenire rispetto al patrimonio arboreo sia esso relativo al verde urbano, alle alberature stradali, ai tagli boschivi.

Tutela del Territorio

È proseguito l’impegno del Wwf per la tutela del territorio attraverso battaglie su vertenze storiche: dalla messa in sicurezza dell’acquifero del Gran Sasso, minacciato dall’interferenza dei laboratori sotterranei di fisica nucleare e delle gallerie autostradali, alla tutela dei territori attraversati dal metanodotto SNAM e della centrale di Sulmona all’opposizione ai nuovi centri commerciali in zona Megalò.

La presidente del WWF Chieti-Pescara Nicoletta Di Francesco presente alla conferenza stampa in rappresentanza della rete territoriale ha affermato che «In Abruzzo siamo purtroppo ancora molto lontani da una pianificazione rispettosa del territorio e indirizzata al consumo zero di suolo e molto spesso è necessario ricorrere a vie legali per scongiurare la realizzazione di scellerati progetti, con un lavoro molto intenso da parte dei volontari e dei legali del Wwf».

Fondamentale per la tutela del territorio è l’azione delle Guardie del Wwf che, con un impegno quasi quotidiano, affrontano illeciti su varie questioni ambientali, dagli inquinamenti alla tutela della fauna e degli animali di affezione. Nel 2022 le guardie hanno stipulato anche una convenzione con la Regione Abruzzo per la vigilanza ittica e sono state impegnate nel progetto Life-Arcprom “Bentornato Orso gentile” con il Parco Nazionale della Maiella.

Una riflessione importante è stata condotta anche sul consumo di suolo che non si arresta in Italia e in Abruzzo in particolare. Il recente rapporto Ispra-Snpa ha restituito, infatti, un quadro drammatico della perdita di territorio e natura. La nostra regione registra una delle situazioni peggiori e conquista il podio dei maggiori incrementi percentuali di superficie artificiale rispetto all’anno precedente (+0,78%). Per riflettere e sensibilizzare su questa tematica, in occasione dell’evento nazionale “Urban Nature”, il Wwf, con il supporto del gruppo locale del Wwf Abruzzo montano, ha organizzato un convegno a L’Aquila dal titolo “Una volta qui era tutta campagna. Analisi e riflessioni sul consumo di suolo in Italia e in Abruzzo”.

Filomena Ricci conclude che «Anche nel 2022 l’azione dei volontari del Wwf Abruzzo è stata incessante e sono state organizzate molteplici iniziative: incontri pubblici, giornate di pulizia delle spiagge, laboratori didattici, corsi di formazione, escursioni, visite guidate, attività di campo, convegni come quello sui cambiamenti climatici organizzato dal Wwf Zona frentana e Costa teatina o quelli organizzati in collaborazione con il Museo universitario di Chieti dal Wwf Chieti-Pescara per “Darwin Day”, “Eppur si muove” e “M’ammalia”.
Tante, inoltre, sono state le osservazioni del Wwf Abruzzo su Piani e progetti presentati da Enti e da privati e le vertenze che ci hanno visto impegnati in prima linea, grazie anche agli avvocati del Panda, un nucleo di legali che aiuta l’Associazione nelle vertenze più complesse. Sono proseguite le collaborazioni con la Guardia Costiera, in particolare per il Progetto Salvafratino Abruzzo, e con i Carabinieri forestali per giornate di sensibilizzazione, a cominciare da Urban Nature.
Significativa in aprile anche l’inaugurazione a Teramo di “Piano B, la casa della Legalità e dell’Ambiente” gestita dal Wwf Teramo e da altre associazioni in un bene sottratto alle mafie e concesso in comodato dal Comune di Teramo. Un’azione intensa quella del Wwf  in Abruzzo, resa possibile solo grazie ai tanti volontari che dedicano il proprio tempo alla difesa della natura. Ai presidenti delle organizzazioni locali, ai referenti dei gruppi tematici, ai componenti della Segreteria tecnica regionale e del Comitato scientifico, ai direttori e al personale delle Oasi e dei Centri di Educazione Ambientale, alle guardie, agli avvocati, a tutti gli attivisti e ai tanti soci che ci sostengono va la gratitudine e il riconoscimento per i risultati raggiunti».

Fonte: Rete 8 Pescara, Abruzzo





#Lupi sul crinale, #ParcoNazionaledellaMajella

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila

SOLIDARIETA’ E SOSTEGNO AD ANDREA ROSARIO NATALE PER IL VILE ATTACCO SUBITO!

Un atto di stile mafioso inaccettabile!

20 dicembre 2013

Andrea Rosario Natale, ex-Direttore della Lecceta Torino di Sangro ed attuale Responsabile di tutte le oasi WWF Abruzzo

Domenica 15 Dicembre 2013 l’Assessore all’Ambiente del Comune di Fossacesia Andrea Rosario Natale (PRC – CambiAMO Fossacesia) scopre che nel campo di proprietà della sua famiglia sono stati barbaramente tagliati 29 piante di ulivo. Un chiaro gesto intimidatorio contro un’appassionato attivista ambientalista e un amministratore da sempre impegnato per la difesa del territorio, per la nascita del Parco Nazionale della Costa Teatina e per i Beni Comuni.

Il Forum Acqua e l’Abruzzo Social Forum, mentre si rendono disponibili a qualsiasi iniziativa di lotta e di impegno comune, esprimono la piena solidarietà, umana e politica ad Andrea ed alla sua famiglia. Nella risposta-proposta di Andrea sta il senso ed il futuro delle nostre lotte per ridare voce e vita a questo nostro martoriato ed amato territorio ed a chi ci vive. Un pensiero va anche agli ulivi ed al popolo di Palestina che gli occupanti vogliono sradicare. E come ci ricordano sempre i nostri amici e compagni indigeni maya: “HANNO TAGLIATO I NOSTRI RAMI MA NON HANNO POTUTO SRADICARE LE NOSTRE RADICI “(C.U.C.-Comitè de Unidad Campesina -GUATEMALA).

Le foto dei 29 ulivi barbaramente tagliati

http://www.peacelink.it/gallerie/gallery.php?id=196&i=18805

L’intervista ad Andrea di AbruzzoLiveTv

http://www.abruzzolive.tv/Fossacesia,_uliveto_tagliato._Natale:__C_entra_la_battaglia_per_il_Parco___In_passato_presa_di_mira_l_auto-_-_s_7459.html

Andrea non si lascerà intimidire e continuerà a resistere. Noi con lui:

“Grazie ancora a tutti. Mi avete commosso. Sopratutto avete fatto tornare il sorriso sul volto di mia Madre (che vi ringrazia e vi abbraccia simbolicamente tutti). Tra le varie telefonate sta prendendo corpo anche il progetto “L’Uliveto di Nazzareno” per trasformare questo luogo in un uliveto didattico che diventi un simbolo e serva a far crescere la CULTURA del RISPETTO per le idee, per le persone e per gli alberi e gli altri esseri viventi. Vi terrò informati sullo sviluppo di questo progetto che spero possa vedere la luce all’interno del Parco Nazionale Costa Teatina magari la prossima primavera. Continuiamo a testa alta. Non ci fermeranno. Le nostre idee come gli ulivi hanno radici profonde. Vi abbraccio” 

La denuncia di Andrea domenica 15 dicembre

“APPELLO AI FOSSACESIANI:
Stamattina un amico mi ha chiamato per avvertirmi di una cosa che ho sperato non fosse vera finchè i miei occhi non l’hanno dovuta vedere. 29 alberi di ulivo, alcuni della mia stessa età, alcuni più giovani, piantati e con fatica accuditi da mio Padre che li ha lasciati a mia sorella e a me, erano stati TAGLIATI. TAGLIATI e LASCIATI come monito sul campo. 29 insulti alla memoria di mio Padre. Chi ha fatto questo non è degno neanche di essere chiamato persona. CHIUNQUE SAPPIA O VENGA A SAPERE QUALCOSA E’ PREGATO DI CONTATTARE I CARABINIERI, LA POLIZIA DI STATO O DI CONTATTARMI DIRETTAMENTE. RINGRAZIO TUTTI COLORO MI DARANNO UNA MANO. NON LASCIAMO IMPUNITO QUESTO GESTO CRIMINALE. All’autore del gesto un solo pensiero: SE PENSAVI DI INTIMIDIRMI PER FARMI LASCIARE UNA DELLE TANTE LOTTE CHE PORTO AVANTI TI SBAGLIAVI DI GROSSO. ORA HO 29 MOTIVI IN PIU’.”

https://www.peacelink.it/abruzzo/a/39513.html

https://it.linkedin.com/in/andrea-rosario-natale-aa088028