Antifascismo

RESISTENZA N°5/2024 PARTITO DEI CARC, COMITATI DI APPOGGIO PER LA RESISTENZA DEL COMUNISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/organizzarsi-e-insorgere-contro-la-barbarie/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Viviamo in una situazione di straordinaria gravità e illudersi che si possa in qualche modo “tornare alla normalità” è sbagliato e apre le porte alla sicura disfatta del proletariato. Solo la classe dominante trae vantaggio da queste illusioni. È per questo che – con manovre per intossicare le coscienze, manipolare l’opinione pubblica e nascondere la realtà – investe tanto nell’assuefazione delle masse popolari alla barbarie di cui essa stessa è promotrice.
In Palestina è in corso un genocidio che si svolge sotto gli occhi delle “istituzioni democratiche” del mondo, dei governi, del Papa e del Vaticano, dell’Onu. Ma il massimo che ognuno di essi riesce a esprimere è costernazione e preoccupazione, ma senza nessuna azione concreta per porvi fine.
La barbarie è plateale e nessuno di coloro che avrebbe il ruolo e gli strumenti per porvi fine fa niente.
Anche i nazisti si fecero più scrupoli a condurre lo sterminio degli ebrei di quanto i sionisti se ne fanno oggi a sterminare il popolo palestinese.
I nazisti hanno costruito il grosso dei loro campi di concentramento lontano agli occhi dell’opinione pubblica, al punto che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, prendere atto della sistematica eliminazione di ebrei, comunisti, popolazioni rom, omosessuali e malati psichiatrici fu uno shock per l’opinione pubblica mondiale.
I sionisti no. Ostentano quello che stanno facendo, lo gridano al mondo e lo rivendicano. I soldati sionisti si mettono in posa e scattano foto mentre compiono massacri, i coloni sorridono fieri mentre chiudono con il cemento gli accessi all’acqua potabile dei villaggi palestinesi e attaccano i campi profughi.
La barbarie in diretta Tv serve a terrorizzare le masse popolari di tutto il mondo. E serve a infondere in loro impotenza e rassegnazione.

La normalizzazione della guerra è in pieno corso. Quando il governo Meloni dispone l’organizzazione delle “gite didattiche” nelle basi militari in cui sono stoccate – illegalmente – le bombe atomiche degli Usa (come è successo a Brescia, con gli studenti in visita alla base di Ghedi) o nelle caserme dell’esercito, quanto caldeggia stage di formazione in cui gli studenti imbracciano fucili oppure introduce nel programma scolastico la ginnastica militare, allora la fase in cui il governo dei padroni usa la scuola per formare gli operai da sfruttare si combina con la fase in cui il governo servo della Nato usa la scuola per arruolare carne da macello e da cannone.
E del resto, i giovani delle masse popolari questo devono essere: carne da cannone al fronte oppure carne da macello in un cantiere, in un capannone, in un magazzino o nel reparto di una fabbrica.
Ogni giorno, nella Repubblica Pontificia italiana, muoiono tre, quattro o cinque persone sul posto di lavoro. Ogni giorno fioccano articoli di giornale e moniti affinché “non succeda mai più”. Invece succede ogni giorno. Anzi, aumentano le vere e proprie stragi in cui i morti sono quattro, cinque o sei alla alla volta. Dalla Thyssen Krupp di Torino alla stazione di Viareggio, da Brandizzo a Suviana passando dal cantiere Esselunga di Firenze. Ma per le autorità e istituzioni sono solo “tragiche fatalità”.
Anche i sindacati di regime concorrono alla recita e, anzi, svolgono un ruolo di primo piano nel distogliere le masse popolari dalla lotta di classe: mazzi di fiori al posto di ore e giornate di sciopero e fiacchi presidi sotto le prefetture anziché picchetti, blocchi stradali e delle merci. Tentano di giustificarsi in qualche modo: si possono, forse, organizzare e mobilitare i lavoratori ogni volta che uno di loro muore per il profitto dei padroni, per la mancanza di controlli, per la corruzione, per il sistema degli appalti e dei subappalti? Significherebbe paralizzare le aziende e il paese…
La conclusione che tirano è, dunque, che i morti sul lavoro sono talmente tanti che bisogna imparare a conviverci.
Quando nel 2020 il mondo dei padroni è andato in panne per la pandemia, anche in Italia la propaganda di regime ha messo in piedi il suo teatrino al motto di “andrà tutto bene” e apologia della “resilienza”. Che non è andato tutto bene è evidente come anche il fatto che gli elogi alla resilienza erano solo un martellante invito ad adattarsi al mondo di merda che sarebbe venuto “dopo i lockdown” anziché a organizzarsi e mobilitarsi.

Viviamo in una situazione rivoluzionaria e rassegnarsi all’idea che la classe dominante possa in qualche modo mantenere il controllo della società e l’ordine costituito è sbagliato. Questa convinzione – campata per aria e ampiamente smentita dai fatti – ostacola lo sviluppo della lotta di classe e la convergenza delle numerose proteste, del malcontento e delle mobilitazioni nello sbocco politico che è possibile e necessario.
C’è un nesso fra l’opera di assuefazione alla barbarie che la classe dominante promuove verso le masse popolari e le resistenze del movimento comunista cosciente e organizzato ad assumere coscientemente e chiaramente l’obiettivo di imporre un governo di emergenza popolare come sbocco politico per le mobilitazioni delle masse popolari. È l’assuefazione alla sconfitta che il movimento comunista eredita dalla sinistra borghese.
Per decenni, a colpi di “meno peggio” e illusioni di riformare il capitalismo, la sinistra borghese ha sistematicamente minato la fiducia nel fatto che è possibile vincere.
Tuttavia, in tutto il mondo la classe dominante è seduta su un barile di polvere nera. E anche in Italia i vertici della Repubblica Pontificia e il governo Meloni sono seduti su un barile di polvere nera.
Il movimento comunista italiano e i promotori delle mobilitazioni e delle proteste delle masse popolari hanno davanti due strade.

“La prima è quella di lottare, anche tenacemente, contro il governo Meloni, alimentando l’ingovernabilità del paese nelle aziende, nelle scuole e università, ritorcendo contro il governo Meloni ogni tentativo autoritario di colpire con la repressione le masse popolari in lotta, animando campagne di mobilitazione e organizzazione città per città, quartiere per quartiere, per far fronte ai problemi che attanagliano le masse popolari fino a cacciare questo governo e lo stuolo di scimmiottatori del fascismo riciclati che lo compongono.
Questa strada è giusta e necessaria per assestare un duro colpo ai vertici della Repubblica Pontificia che ripongono fiducia nel governo Meloni affinché prosegua più speditamente l’attuazione dell’agenda Draghi. Ma questa strada è monca, non indica dove andare, a cosa miriamo in prospettiva.
Cacciare il governo Meloni senza porsi il problema di quale alternativa di governo costituire, vuol dire consegnare il paese nuovamente nelle mani del polo Pd delle Larghe Intese o di qualche governo tecnico e di funzionari scelti dai vertici della Repubblica Pontificia.

La seconda è quella di cacciare il governo Meloni e costituire un governo d’emergenza popolare: un governo sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari, già presenti in gran numero in tutto il nostro paese, un governo deciso ad attuare tutte quelle misure che nessun governo espressione dei partiti delle Larghe Intese attua, come la messa in sicurezza del territorio attraverso le centinaia di piccole opere necessarie a impedire le stragi dovute agli eventi climatici estremi; la messa in sicurezza delle aziende per far fronte agli omicidi padronali nei luoghi di lavoro; il blocco dell’esportazione di armamenti; l’interruzione per decreto di tutti gli accordi pubblici e segreti di cooperazione militare, industriale, scientifica e accademica che i governi delle Larghe Intese hanno stipulato nel corso degli anni con aziende, agenzie e istituti dello Stato sionista d’Israele” – da Saluto del (n)Pci all’Assemblea Nazionale “Mobilitiamoci contro il governo Meloni” promossa da Potere al Popolo! – 17 aprile 2024.

Entrambe le strade sono concrete. Ma solo la seconda dà sbocco politico alle principali rivendicazioni delle masse popolari, alimenta il protagonismo degli organismi operai e popolari e la mobilitazione rivoluzionaria. Soltanto la seconda permette di combinare il fatto che viviamo in una situazione di straordinaria gravità con il fatto che viviamo in una situazione rivoluzionaria.

Fonte: Partito dei CARC

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RESISTANCE N°5/2024 CARC PARTY, SUPPORT COMMITTEES FOR THE RESISTANCE OF COMMUNISM

We live in a situation of extraordinary gravity and to delude ourselves that we can somehow “return to normality” is wrong and opens the door to the certain defeat of the proletariat. Only the ruling class benefits from these illusions. This is why – with maneuvers to intoxicate consciences, manipulate public opinion and hide reality – it invests so much in the habituation of the popular masses to the barbarism of which it itself promotes.
A genocide is underway in Palestine which is taking place under the eyes of the “democratic institutions” of the world, governments, the Pope and the Vatican, the UN. But the most any of them can express is dismay and concern, but without any concrete action to put an end to it.
The barbarism is blatant and none of those who have the role and the tools to put an end to it do anything.
Even the Nazis had more scruples about carrying out the extermination of the Jews than the Zionists do today about exterminating the Palestinian people.
The Nazis built the bulk of their concentration camps far from the eyes of public opinion, to the point that, after the end of the Second World War, taking note of the systematic elimination of Jews, communists, Roma populations, homosexuals and psychiatric patients was one shock to world public opinion.
The Zionists do not. They flaunt what they are doing, shout it out to the world and claim it. Zionist soldiers pose and take photos while carrying out massacres, settlers smile proudly as they block access to drinking water in Palestinian villages with concrete and attack refugee camps.
Barbarism on live TV serves to terrorize the popular masses all over the world. And it serves to instill helplessness and resignation in them.

The normalization of war is in full swing. When the Meloni government orders the organization of “educational trips” to the military bases where the US atomic bombs are stored – illegally (as happened in Brescia, with students visiting the Ghedi base) or to the military barracks army, when it advocates training courses in which students take up rifles or introduces military gymnastics into the school curriculum, then the phase in which the bosses’ government uses the school to train workers to be exploited combines with the phase in which the government serves of NATO uses the school to recruit cannon fodder and cannon fodder.
And after all, the young people of the popular masses must be this: cannon fodder at the front or cannon fodder on a construction site, in a shed, in a warehouse or in the department of a factory.
Every day, in the Italian Papal Republic, three, four or five people die at work. Every day newspaper articles and warnings pour in so that “it never happens again”. Instead it happens every day. Indeed, actual massacres in which four, five or six people die at a time are increasing. From Thyssen Krupp in Turin to Viareggio station, from Brandizzo to Suviana passing through the Esselunga shipyard in Florence. But for the authorities and institutions they are just “tragic fatalities”.
Even the regime’s trade unions participate in the play and, indeed, play a leading role in distracting the popular masses from the class struggle: bouquets of flowers instead of hours and days of strike and weak garrisons under the prefectures instead of pickets and road blocks and goods. They try to justify themselves in some way: can we perhaps organize and mobilize workers every time one of them dies for the bosses’ profit, for the lack of controls, for corruption, for the procurement and subcontracting system? It would mean paralyzing companies and the country…
The conclusion they draw is, therefore, that there are so many deaths at work that we have to learn to live with it.
When the world of the bosses collapsed due to the pandemic in 2020, even in Italy the regime’s propaganda set up its little theater with the motto “everything will be fine” and apologia of “resilience”. That everything didn’t go well is evident as is the fact that the praise for resilience was just a hammering invitation to adapt to the shitty world that would come “after the lockdowns” rather than to organize and mobilize.

We live in a revolutionary situation and resigning ourselves to the idea that the ruling class can somehow maintain control of society and the established order is wrong. This belief – unrealized and widely denied by the facts – hinders the development of the class struggle and the convergence of the numerous protests, discontent and mobilizations into the political outlet that is possible and necessary.
There is a connection between the work of indulging in barbarism that the ruling class promotes towards the popular masses and the resistance of the conscious and organized communist movement to consciously and clearly assume the objective of imposing a popular emergency government as a political outlet for the mobilizations of the popular masses. It is the habit of defeat that the communist movement inherits from the bourgeois left.
For decades, with blows of “less worse” and illusions of reforming capitalism, the bourgeois left has systematically undermined confidence in the fact that it is possible to win.
However, all over the world the ruling class is sitting on a barrel of black powder. And even in Italy the leaders of the Papal Republic and the Meloni government are sitting on a barrel of black powder.
The Italian communist movement and the promoters of the mobilizations and protests of the popular masses have two paths ahead of them.

“The first is to fight, even tenaciously, against the Meloni government, fueling the ungovernability of the country in companies, schools and universities, turning against the Meloni government any authoritarian attempt to attack the struggling popular masses with repression, animating mobilization and organization campaigns city by city, neighborhood by neighborhood, to deal with the problems that grip the popular masses to the point of expelling this government and the crowd of recycled fascist apes that compose it.
This path is right and necessary to deal a severe blow to the leaders of the Papal Republic who place their trust in the Meloni government to continue the implementation of the Draghi agenda more quickly. But this road is incomplete, it does not indicate where to go, what we are aiming for in perspective.
Ousting the Meloni government without posing the problem of which government alternative to establish means handing the country back into the hands of the Pd pole of the Broad Agreements or of some technical government and officials chosen by the leaders of the Papal Republic.

The second is to oust the Meloni government and set up a popular emergency government: a government supported by workers’ and popular organisations, already present in large numbers throughout our country, a government determined to implement all those measures that no government expresses of the parties of the Broad Understandings implements, such as securing the territory through the hundreds of small works necessary to prevent massacres due to extreme climatic events; the safety of companies to deal with employer murders in the workplace; the blocking of arms exports; the interruption by decree of all public and secret military, industrial, scientific and academic cooperation agreements that the governments of the Broad Ententes have stipulated over the years with companies, agencies and institutes of the Zionist State of Israel” – from Greetings of the (n)PCI at the National Assembly “Let’s mobilize against the Meloni government” promoted by Potere al Popolo! – April 17, 2024.

Both paths are concrete. But only the second gives a political outlet to the main demands of the popular masses, fuels the protagonism of workers’ and popular organizations and revolutionary mobilization. Only the second allows us to combine the fact that we live in a situation of extraordinary gravity with the fact that we live in a revolutionary situation.

Source: Italian CARC Party

PER UN GOVERNO DI EMERGENZA POPOLARE. PER UNA NUOVA LIBERAZIONE NAZIONALE

https://www.carc.it/2024/04/29/per-un-governo-di-emergenza-popolare-per-una-nuova-liberazione-nazionale/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

L’Italia è a pieno titolo un paese imperialista, un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Questo è ben evidente dal ruolo politico, economico e commerciale che riveste nelle relazioni internazionali e dalla compenetrazione fra interessi nazionali e sovranazionali.
Ma l’Italia è anche un protettorato degli Usa – non una colonia: ha una sua autonomia e indipendenza, ma non può entrare in contrasto con i loro interessi – oltre che un ingranaggio della Ue dominata dai gruppi imperialisti franco-tedeschi.
L’aggravarsi della crisi generale alimenta le contraddizioni fra gli interessi dei gruppi imperialisti Usa e quelli dei gruppi imperialisti Ue – le conseguenze delle sanzioni contro la Federazione Russa ne sono un esempio – e l’Italia è lacerata, storicamente e in modo via via più profondo, da questa contraddizione.
Infine, l’Italia è la sede del Vaticano, il più antico e longevo centro di potere del mondo: affonda le sue radici nella società medievale ed è sopravvissuto alla rivoluzione borghese grazie al fatto di essere riuscito a ostacolare la nuova classe dirigente della società, la borghesia appunto, nella sua ascesa al potere proprio in Italia, dove l’ha costretta a scendere a patti nel corso di quel processo passato alla storia come “la rivoluzione borghese incompiuta”.
Alla vittoria della Resistenza sul nazifascismo, mezza Italia era “occupata dai partigiani in armi”, il Pci era riconosciuto – tanto dalla classe operaia del Nord quanto da parti crescenti dei contadini del Sud – come il principale dirigente della vittoriosa guerra di Liberazione.
Gli imperialisti Usa – che occupavano l’altra metà del paese – hanno affidato al Vaticano il compito di raccogliere i rimasugli delle classi dominanti, combinarli con le organizzazioni criminali (come la Mafia) e dare le gambe al nuovo sistema di potere che ha sostituito il fascismo, ma che allo stesso modo del fascismo, doveva arginare il “pericolo comunista”. L’operazione è riuscita SOLO grazie agli errori e ai limiti del Pci di Togliatti che non volle usare la forza e il prestigio conquistati per fare avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Il sistema di potere istituito in Italia – che ancora oggi costituisce un unicum nei paesi imperialisti – si chiama Repubblica Pontificia.

Come un paese occupato

Da questa particolare struttura di potere, che nel corso del tempo si è consolidata nell’intricata matassa di interessi fra gruppi imperialisti Usa, sionisti, gruppi imperialisti Ue, gruppi capitalisti italiani, organizzazioni criminali e Vaticano, derivano particolari e specifiche conseguenze.
La principale è che, a differenza delle classi dominanti di Germania e Francia, ad esempio, le classi dominanti italiane governano e operano come forze occupanti, cioè piegano il paese a ogni tipo di traffico e speculazione che consente immediati profitti, incuranti delle conseguenze a breve, medio e lungo termine. Ci sono molti esempi di ciò.
Si veda il progressivo smantellamento dell’industria siderurgica, chimica-farmaceutica, dell’automotive e anche le misure per accrescere la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi.
Si veda il più generale smantellamento dell’intero apparato produttivo di cui la cessione di marchi italiani – alcuni definiti “strategici” – è solo una manifestazione che va di pari passo con la distruzione di migliaia di posti di lavoro.
Si veda la distruzione del settore agroalimentare a opera della filiera delle multinazionali della grande distribuzione.
E poi ci sono gli effetti delle privatizzazioni a devastare “i servizi pubblici”: dalla sanità alla scuola, alle pensioni, ai trasporti, alle comunicazioni, alle poste. Un fenomeno tutt’altro che distintivo della Repubblica Pontificia italiana, ma che in Italia ha alcune particolarità: il Vaticano e le organizzazioni criminali pretendono “per diritto naturale” – e in genere hanno ottenuto – una grossa fetta di affari.

La guerra interna

Gli effetti della crisi generale, la guerra per bande fra fazioni di potere della Repubblica Pontificia, le conseguenze della condotta delle classi dominanti come “forze di occupazione del paese” si combinano nel risultato della guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari.
Non tragga in inganno il fatto che il termine “guerra di sterminio” richiama alla mente scene apocalittiche con cumuli di cadaveri per le strade. Le vittime ci sono eccome, ma questa guerra non è dichiarata, pertanto i morti sono accompagnati al cimitero con la tipica liturgia clericale: è stato il destino, è stata una fatalità.
I morti per malasanità o per malattie curabili sono conseguenza delle speculazioni con cui le forze occupanti stanno smantellando la sanità pubblica. I morti sul lavoro, quelli per inquinamento, quelli per incidenti stradali dovuti all’incuria, quelli per alluvioni e frane, la strage di migranti… sono tutte morti evitabili che non hanno nulla a che fare con “la fatalità”.

La guerra esterna

L’Italia è un anello della Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue, dicevamo. Quale che sia il “colore” del governo in carica, l’Italia è naturalmente intruppata nelle manovre belliche della Nato. Il paese è disseminato di basi militari, sistemi radar e centri politico-militari degli Usa e della Nato.
È intruppata sia quando il parlamento viola apertamente la Costituzione e approva ciò che la Nato ordina – come nel caso della missione nel Mar Rosso contro gli Houti – sia quando lo fa in sordina. Lo è quando le basi militari italiane e quelle della Nato in territorio italiano sono coinvolte nelle operazioni belliche, nelle provocazioni, nello spionaggio e nelle comunicazioni militari; quando dai porti italiani transitano armi e quando Leonardo e RFI stipulano accordi per sviluppare il trasporto ferroviario di armi.
Per il 2024 l’Italia ha stanziato per le missioni militari all’estero 1.192 milioni di euro (+ 300 milioni di euro già stanziati per il 2025 – fonte analisidifesa.it). La missione nel Mar Rosso è solo la punta dell’iceberg del coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale in corso.

Una nuova liberazione nazionale

Quanto detto fin qui qualifica il contenuto e le prospettive delle mobilitazioni dei lavoratori e delle masse popolari nel nostro paese e indica il ruolo delle forze comuniste e progressiste del paese.
Date le caratteristiche delle classi dirigenti della Repubblica Pontificia e la singolare natura del sistema di potere vigente, le mobilitazioni di carattere rivendicativo hanno ristretti margini di successo.
Nella lotta degli operai contro la chiusura di un’azienda e per la salvaguardia dei posti di lavoro, ad esempio, incide in modo decisivo il fatto che la proprietà dell’azienda sia di un capitalista (italiano o straniero) o di un fondo di investimento immateriale, irresponsabile, irrintracciabile.
Nella lotta contro le grandi opere speculative incide in modo decisivo il fatto che la controparte siano i vertici delle organizzazioni criminali con la loro rete di relazioni, interessi, intrighi in ogni ambito della vita politica, sociale ed economica del paese.
Nella lotta contro la guerra fa una differenza sostanziale avere come controparte un governo che risponde ai cittadini della sovranità nazionale oppure un governo che maldestramente cerca di giustificare, ad esempio, lo stoccaggio illegale di testate atomiche Usa sul territorio nazionale (nascondendo chissà cos’altro).
Le lotte rivendicative sono importanti, essenziali – sono la prima elementare forma della lotta di classe – e a certe condizioni possono anche raggiungere alcuni risultati. Ma non possono risolvere né la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari né il coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale e le sue ovvie conseguenze: economia di guerra, inquinamento, repressione del dissenso, ecc.
Serve una nuova liberazione nazionale. Non la liberazione da “un nemico straniero” che occupa il paese, ma una liberazione dagli agenti e dai servi italianissimi che per conto della Nato, dei sionisti, della Ue, dei gruppi industriali e speculativi e del Vaticano occupano tutti i gangli del potere, sia quelli palesi che quelli occulti.
Serve raccogliere il malcontento diffuso e far confluire tutte le proteste e le mobilitazioni nella lotta per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare. È l’unica strada per rimettere al loro posto i nostalgici del Ventennio e per sbarrare la strada anche al Pd e ai suoi cespugli.

L’anello debole

Abbiamo detto che l’Italia è un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Più precisamente ne è l’anello debole in ragione anche della natura di protettorato e delle caratteristiche del sistema di potere della Repubblica Pontificia.
Ciò non è ancora abbastanza chiaro né nel movimento comunista cosciente e organizzato italiano né agli organismi politici e sindacali che promuovono le mobilitazioni popolari. La mancanza di questa chiarezza è una delle cause delle difficoltà a superare le tare elettoraliste e movimentiste e, soprattutto, della difficoltà a rompere con l’assuefazione alla sconfitta – vedi Editoriale – ereditata dalla sinistra borghese.
Le caratteristiche della Repubblica Pontificia italiana sono il punto da cui partire per contribuire dal nostro paese alla lotta che sta già animando le masse popolari in tutti i paesi imperialisti e i popoli oppressi del mondo e sono ciò che ci permette di guardare con fiducia al successo della lotta per togliere il governo del paese dalle mani dei vertici della Repubblica Pontificia e imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Le sette misure del programma del Governo di Blocco Popolare:
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la più ampia partecipazione dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

FOR A POPULAR EMERGENCY GOVERNMENT. FOR A NEW NATIONAL LIBERATION

Italy is an imperialist country in its own right, a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. This is clearly evident from the political, economic and commercial role it plays in international relations and from the interpenetration between national and supranational interests.
But Italy is also a protectorate of the USA – not a colony: it has its own autonomy and independence, but cannot conflict with their interests – as well as a cog in the EU dominated by Franco-German imperialist groups.
The worsening of the general crisis fuels the contradictions between the interests of the US imperialist groups and those of the EU imperialist groups – the consequences of the sanctions against the Russian Federation are an example – and Italy is torn apart, historically and increasingly profound, from this contradiction.
Finally, Italy is the seat of the Vatican, the oldest and longest-lived center of power in the world: it has its roots in medieval society and survived the bourgeois revolution thanks to the fact that it managed to hinder the new ruling class of society, the bourgeoisie precisely, in its rise to power in Italy itself, where it was forced to come to terms during that process which went down in history as “the unfinished bourgeois revolution”.
At the victory of the Resistance over Nazi-fascism, half of Italy was “occupied by armed partisans”, the PCI was recognized – both by the working class of the North and by growing parts of the peasants of the South – as the main leader of the victorious war of Liberation.
The US imperialists – who occupied the other half of the country – entrusted the Vatican with the task of collecting the remnants of the dominant classes, combining them with criminal organizations (such as the Mafia) and giving legs to the new system of power that replaced the fascism, but which, in the same way as fascism, had to stem the “communist danger”. The operation succeeded ONLY thanks to the errors and limitations of Togliatti’s PCI who did not want to use the strength and prestige gained to advance the socialist revolution in our country.
The system of power established in Italy – which still today constitutes a unicum in imperialist countries – is called the Papal Republic.

Like an occupied country

Particular and specific consequences derive from this particular power structure, which over time has consolidated itself in the intricate tangle of interests between US imperialist groups, Zionists, EU imperialist groups, Italian capitalist groups, criminal organizations and the Vatican.
The main one is that, unlike the ruling classes of Germany and France, for example, the Italian ruling classes govern and operate as occupying forces, that is, they bend the country to every type of trafficking and speculation that allows immediate profits, regardless of the short-term consequences , medium and long term. There are many examples of this.
See the progressive dismantling of the steel, chemical-pharmaceutical and automotive industries and also the measures to increase Italy’s energy dependence on other countries.
See the more general dismantling of the entire production system of which the sale of Italian brands – some defined as “strategic” – is only one manifestation that goes hand in hand with the destruction of thousands of jobs.
See the destruction of the agri-food sector by the supply chain of large-scale retail multinationals.
And then there are the effects of privatizations that devastate “public services”: from healthcare to schools, pensions, transport, communications and post offices. A phenomenon that is anything but distinctive of the Italian Papal Republic, but which in Italy has some particularities: the Vatican and the criminal organizations demand “by natural law” – and generally have obtained – a large slice of business.

The internal war

The effects of the general crisis, the gang war between power factions of the Papal Republic, the consequences of the conduct of the dominant classes as “occupying forces of the country” combine in the result of the undeclared war of extermination that the dominant class wages against the popular masses.
Don’t be fooled by the fact that the term “war of extermination” brings to mind apocalyptic scenes with piles of corpses in the streets. There are certainly victims, but this war is not declared, therefore the dead are accompanied to the cemetery with the typical clerical liturgy: it was fate, it was a fatality.
Deaths due to medical malpractice or curable diseases are a consequence of the speculations with which the occupying forces are dismantling public healthcare. Deaths at work, those due to pollution, those due to road accidents due to neglect, those due to floods and landslides, the massacre of migrants… they are all avoidable deaths that have nothing to do with “fatality”.

The External war

Italy is a link in the International Community of US, Zionist and EU imperialists, we were saying. Whatever the “color” of the government in office, Italy is naturally involved in NATO’s war maneuvers. The country is dotted with military bases, radar systems and political-military centers of the USA and NATO.
It is trooped both when parliament openly violates the Constitution and approves what NATO orders – as in the case of the mission in the Red Sea against the Houthis – and when it does so quietly. It is when Italian military bases and those of NATO on Italian territory are involved in war operations, provocations, espionage and military communications; when weapons transit from Italian ports and when Leonardo and RFI stipulate agreements to develop the rail transport of weapons.
For 2024, Italy has allocated 1,192 million euros for military missions abroad (+ 300 million euros already allocated for 2025 – source analysisdifesa.it). The mission in the Red Sea is only the tip of the iceberg of Italy’s involvement in the ongoing Third World War.

A new national Liberation

What has been said so far qualifies the content and prospects of the mobilizations of workers and the popular masses in our country and indicates the role of the country’s communist and progressive forces.
Given the characteristics of the ruling classes of the Papal Republic and the singular nature of the current power system, mobilizations of a grievance nature have limited margins of success.
In the workers’ struggle against the closure of a company and to safeguard jobs, for example, the fact that the company is owned by a capitalist (Italian or foreign) or by an investment fund has a decisive impact. immaterial, irresponsible, untraceable.
In the fight against large-scale speculative works, the fact that the counterparts are the leaders of criminal organizations with their network of relationships, interests and intrigues in every area of ​​the country’s political, social and economic life has a decisive impact.
In the fight against war, it makes a substantial difference to have as a counterpart a government that is accountable to citizens for national sovereignty or a government that clumsily tries to justify, for example, the illegal storage of US atomic warheads on national territory (hiding who knows what else). .
Struggles for demands are important, essential – they are the first elementary form of class struggle – and under certain conditions they can even achieve some results. But they cannot resolve either the undeclared war of extermination that the imperialist bourgeoisie is waging against the popular masses or Italy’s involvement in the Third World War and its obvious consequences: war economy, pollution, repression of dissent, etc.
We need a new national liberation. Not liberation from “a foreign enemy” who occupies the country, but a liberation from the very Italian agents and servants who on behalf of NATO, the Zionists, the EU, the industrial and speculative groups and the Vatican occupy all the corners of power, both the obvious ones and the hidden ones.
We need to gather widespread discontent and bring together all the protests and mobilizations in the fight to oust the Meloni government and replace it with a popular emergency government. It is the only way to put those nostalgic for the twenty-year period back in their place and to also block the way for the Democratic Party and its bushes.

The weak link

We have said that Italy is a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. More precisely, it is the weak link also due to the nature of a protectorate and the characteristics of the power system of the Papal Republic.
This is not yet clear enough either in the conscious and organized Italian communist movement or in the political and trade union bodies that promote popular mobilizations. The lack of this clarity is one of the causes of the difficulties in overcoming electoralist and movementist flaws and, above all, of the difficulty in breaking with the addiction to defeat – see Editorial – inherited from the bourgeois left.
The characteristics of the Italian Papal Republic are the starting point for our country’s contribution to the struggle that is already animating the popular masses in all the imperialist countries and oppressed peoples of the world and are what allow us to look with confidence to the success of the struggle to take the government of the country out of the hands of the leaders of the Papal Republic and impose an emergency government of the organized popular masses.

The seven measures of the Popular Bloc Government program:

  1. Assign productive tasks to each company that are useful and suited to its nature, according to a national plan. No company should be closed.
  2. Distribute products to families and individuals, companies and collective uses according to clear, universally known and democratically decided plans and criteria.
  3. Assign to each individual a socially useful job and guarantee him, in exchange for its scrupulous execution, the conditions necessary for a dignified life and for participation in the management of society. No worker must be fired, every adult must have a useful and dignified job, no individual must be marginalized.
  4. Eliminate useless or harmful activities and production, assigning other tasks to the companies involved.
  5. Start the reorganization of all other social relations in accordance with the new production base and the new distribution system.
  6. Establish relationships of solidarity and collaboration or exchange with other countries willing to establish them with us.
  7. Purge the senior leaders of the Public Administration who sabotage the transformation of the country, bring the Police Forces, the Armed Forces and the Information Services into line with the democratic spirit of the 1948 Constitution and restore the widest participation of citizens in military activities defense of the country and protection of public order.

Source: Italian CARC Party

https://x.com/bralex84/status/1787240843436298587

LE MOBILITAZIONI CONTRO LA NATO IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE

https://www.carc.it/2024/04/29/le-mobilitazioni-contro-la-nato-in-occasione-del-75-anniversario-della-sua-fondazione/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Dal 4 al 14 aprile si sono svolte in tutta Italia proteste e iniziative in occasione del 75° anniversario della fondazione della NATO. La maggior parte di esse è il risultato di un percorso di coordinamento che – attraverso riunioni pubbliche online – ha visto la partecipazione di numerose realtà locali da Nord a Sud del paese.

Come dichiarato fin dall’appello iniziale del coordinamento promotore, l’obiettivo non era organizzare “grandi manifestazioni”, ma rendere visibile l’opposizione alla NATO attraverso molteplici e capillari iniziative territoriali, anche piccole ma simboliche. Effettivamente, nessuna delle iniziative ha visto una “partecipazione di massa” e questo ha alimentato, a posteriori, un dubbio: quelle iniziative hanno mostrato una vitalità della mobilitazione che deve essere curata e sviluppata oppure hanno messo a nudo “l’esiguità delle forze” disposte a mobilitarsi?

Dare una risposta a questa domanda è utile non solo in termini di bilancio, ma anche e soprattutto per definire le linee di sviluppo. Diamo un contributo in questo senso.

Quella che, per semplificare, definiamo “la settimana di mobilitazione contro la Nato” ha dimostrato che nel paese esiste una schiera di organismi territoriali, movimenti e reti che tengono viva e alimentano la lotta contro la NATO e la guerra. Ciò non è affatto una questione secondaria. In una fase in cui pesano come un macigno sia la sconfitta subita nel 2003 dal movimento contro la guerra (l’enorme mobilitazione che, però, non impedì l’aggressione all’Iraq) che l’asservimento dei tradizionali centri autorevoli della mobilitazione popolare (sindacati di regime, grandi associazioni nazionali) ai governi guerrafondai delle Larghe Intese, l’esistenza di organismi territoriali che lottano contro la NATO, la guerra e la militarizzazione della società è la base – ferma e solida – da cui partire per alimentare una mobilitazione di massa.

Non solo. Il percorso di costruzione delle iniziative ha favorito lo scambio di esperienze e ha permesso di compiere alcuni passi nello sviluppo di un legame tra i vari organismi territoriali. Sarebbe miope valutare i risultati di questa mobilitazione, in questa fase, principalmente usando il metro della partecipazione alle iniziative, ma soprattutto è completamente sbagliato concentrarsi su questo dato, trascurando la cura degli organismi e i passi concreti da fare per promuovere il loro coordinamento.

Le domande da porsi, dunque, sono se, quanto e come gli organismi territoriali sono usciti rafforzati da questa esperienza e se, quanto e come sono state create condizioni più favorevoli al loro coordinamento.

In questo momento non abbiamo risposte esaustive. Ma abbiamo chiaro che l’unica strada per alimentare un movimento di massa contro la guerra, la NATO, le basi, le servitù, i poligoni militari e le armi nucleari è curare il fronte degli organismi che ne sono i promotori. La mobilitazione si sviluppa solo se qualcuno la promuove.

Si sono svolte 25 iniziative “coordinate” a Milano, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Roma, Firenze, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Napoli, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Altre mobilitazioni sono state promosse anche al di là del coordinamento suddetto. Tra queste, il corteo cittadino di Napoli duramente caricato dalla polizia per evitare che i manifestanti raggiungessero il teatro S. Carlo dove si svolgevano le “cerimonie ufficiali”. La repressione non ha, però, impedito che in teatro venisse esposto uno striscione di protesta.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

MOBILIZATIONS AGAINST NATO ON THE OCCASION OF THE 75TH ANNIVERSARY OF ITS FOUNDATION

From 4 to 14 April, protests and initiatives took place throughout Italy on the occasion of the 75th anniversary of the founding of NATO. Most of them are the result of a coordination process which – through online public meetings – saw the participation of numerous local entities from the North to the South of the country.

As stated since the initial appeal of the promoting coordination, the objective was not to organize “large demonstrations”, but to make the opposition to NATO visible through multiple and widespread territorial initiatives, even small but symbolic ones. Indeed, none of the initiatives saw “mass participation” and this fueled, in retrospect, a doubt: those initiatives showed a vitality of the mobilization that must be taken care of and developed or they exposed “the smallness of the forces” willing to mobilize?

Giving an answer to this question is useful not only in terms of budget, but also and above all to define the lines of development. Let’s make a contribution in this sense.

What, to simplify, we call “the week of mobilization against NATO” demonstrated that in the country there is a host of territorial bodies, movements and networks that keep alive and fuel the fight against NATO and the war. This is by no means a secondary issue. In a phase in which both the defeat suffered in 2003 by the anti-war movement (the enormous mobilization which, however, did not prevent the aggression against Iraq) and the enslavement of the traditional authoritative centers of popular mobilization weigh like a boulder ( regime unions, large national associations) to the warmongering governments of the Broad Ententes, the existence of territorial bodies fighting against NATO, war and the militarization of society is the basis – firm and solid – from which to start to fuel a mobilization of mass.

Not only. The process of building the initiatives favored the exchange of experiences and allowed some steps to be taken in developing a link between the various territorial bodies. It would be short-sighted to evaluate the results of this mobilization, at this stage, mainly using the measure of participation in the initiatives, but above all it is completely wrong to focus on this data, neglecting the care of the bodies and the concrete steps to be taken to promote their coordination.

The questions to ask, therefore, are whether, how much and how the territorial bodies have emerged strengthened by this experience and if, how much and how more favorable conditions for their coordination have been created.

At this moment we do not have exhaustive answers. But we are clear that the only way to fuel a mass movement against war, NATO, bases, easements, military ranges and nuclear weapons is to take care of the bodies that are promoting them. Mobilization develops only if someone promotes it.

25 “coordinated” initiatives were held in Milan, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Rome, Florence, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Naples, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Other mobilizations were also promoted beyond the aforementioned coordination. Among these, the city procession of Naples was harshly attacked by the police to prevent the demonstrators from reaching the S. Carlo theater where the “official ceremonies” were taking place. The repression, however, did not prevent a protest banner from being displayed in the theatre.

Source: Italian CARC Party

TRE INSTANTANEE SUL 25 APRILE

https://www.carc.it/2024/04/29/tre-istantanee-raccontano-il-25-aprile/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

A Milano si è svolta la manifestazione più partecipata, imponente. Tradizionalmente è “la manifestazione di rilievo nazionale del 25 Aprile”, ma a caricare di aspettative il corteo di quest’anno, e dunque la partecipazione, hanno contribuito alcuni fattori.
Il manifesto aveva lanciato l’appello per fare del 25 Aprile 2024 una giornata di mobilitazione contro il governo Meloni così come il 25 Aprile del 1994 fu una giornata di mobilitazione contro il governo Berlusconi. Le polemiche sulla censura a Scurati da parte dei vertici Rai hanno alimentato il tutto. Stiamo parlando di operazioni orchestrate, direttamente o meno, dal PD nel tentativo di strumentalizzare la giornata per fini elettorali che però indubbiamente hanno alimentato la partecipazione di quella parte di masse popolari preoccupata per la via che il governo Meloni sta imponendo al paese.
Il comitato promotore, alla cui testa c’era l’Anpi di Milano, per settimane ha tenuto i piedi in più scarpe per evitare di prendere una posizione chiara contro il genocidio in Palestina, dovendo ammettere che la presenza della Brigata ebraica – travestimento della comunità sionista – era fuori luogo (come d’altronde lo è da quando, a partire dal 2004, la sua presenza è stata imposta con i cordoni di celere e le manganellate).
Anche i tentennamenti – ma è più corretto dire il doppio gioco – del comitato promotore e dell’ANPI milanese hanno certamente avuto un ruolo nell’accendere la determinazione di moltissime persone a essere in piazza per esprimere solidarietà al popolo palestinese.
Pertanto a Milano è successo questo: decine di migliaia di persone (i giornali dicono 100 mila) hanno manifestato contro il governo Meloni e le sue politiche antipopolari e guerrafondaie e in solidarietà con il popolo palestinese.
Da molti anni il corteo del 25 Aprile a Milano non aveva una caratterizzazione politica tanto netta e una partecipazione così elevata.
L’intero corteo, dalla testa alla coda, è stato un tripudio di bandiere della Palestina che sventolavano accanto a bandiere di ogni tipo. Alla testa del corteo, circondati dalla polizia privata che va sotto il nome di City Angels, dalla digos e dalla celere, c’è stata la comunità sionista con le bandiere dello Stato genocida d’Israele, le bandiere ucraine infarcite di simboli nazisti, le bandiere di Azione, Italia Viva e + Europa. Fra questi, per non farsi mancare niente, anche un paio di bandiere della NATO.

Ecco la prima istantanea, la prima fotografia della giornata: un plotone greve, estraneo e ostile al corteo, che ha ostentato vessilli di morte e di sterminio, strenuamente difeso dallo Stato italiano, IMPOSTO manu militari alla testa dello stesso, ma al contempo assediato dai manifestanti antifascisti e antisionisti. Tutt’intorno, per chilometri – alle 13:30 Piazza Duomo era già piena di bandiere palestinesi e così fino alla coda che alle 17 doveva ancora partire – un tripudio di bandiere, striscioni, cartelli, cori, canzoni e slogan, moltissimi dei quali a sostegno della resistenza del popolo palestinese che oggi incarna i valori della vittoriosa Resistenza contro il nazifascismo.
Che i media di regime parlino di “contestazioni e offese alla Brigata ebraica” e di “aggressioni” è soltanto un’ulteriore dimostrazione del peso di quel plotone mortifero imposto alla testa del corteo, che ha cercato in ogni modo di passare come la reale vittima dell’intolleranza.

Da Roma viene la seconda istantanea. È utile analizzarla alla luce del vittimismo, amplificato a reti unificate, che la comunità sionista ha sparso a piene mani per “gli insulti e le aggressioni” che sostiene di aver subito a Milano.
Cordoni di celere che accerchiano il concentramento del corteo antifascista e antisionista a “protezione” del concentramento dei fascisti sionisti da cui parte il lancio di quattro bombe carta, sassi e barattoli di metallo. I fascisti sionisti cercano persino di aggirare i cordoni della celere per caricare il concentramento antifascista e, mentre col megafono augurano alle donne antifasciste di essere stuprate, aggrediscono i giornalisti che a loro avviso non danno una corretta versione di quello che sta accadendo.
In diretta televisiva, su Rai 3, l’inviata viene accerchiata e aggredita per aver detto che “è appena partito un tentativo di carica verso il corteo antifascista”. La conduttrice in studio si è subito allineata, affermando che “dalla comunità ebraica non parte nessuna carica”.

La terza istantanea è una foto panoramica. Da Roma a Milano, da Torino a Catania, da Firenze a Napoli, dalle metropoli ai piccoli centri il 25 Aprile sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone contro il governo Meloni, contro la guerra e i guerrafondai, in solidarietà con il popolo palestinese.
In mille posti e in mille modi hanno preso forma i contenuti e i valori della Resistenza contestualizzati alla situazione e alla lotta di classe di oggi. Rivendicazioni, ambizioni e obiettivi che concorrono, tutti, allo sbocco politico che serve al paese: una nuova liberazione dagli imperialisti USA e UE, dai sionisti e dalla NATO.

Il PD e i suoi cespugli avevano predisposto tutto affinché le celebrazioni del 25 Aprile diventassero una grande speculazione in chiave elettorale contro “il moderno fascismo del governo Meloni”.
A tal proposito hanno sfruttato fino in fondo i numerosi assist che gli esponenti del governo Meloni hanno offerto loro, dalle polemiche sulla censura della Rai a Scurati alle esternazioni di Salvini. Tuttavia l’operazione non è riuscita, come speravano.
È riuscita solo nella misura in cui i principali organi di informazione hanno dato spazio e fiato a questa pantomima.
C’è da dire che il cavallo su cui il PD ha puntato per denunciare “la censura” era un cavallo zoppo. Scurati è megafono quotidiano delle “ragioni” dei sionisti, è un detrattore della resistenza palestinese, è un negazionista del genocidio in corso il Palestina, è un sostenitore del governo ucraino e della NATO, è un sostenitore dell’intruppamento dell’Italia nella guerra contro la Federazione Russa.
Tuttavia, non è principalmente questo che ha fatto fare cilecca alla manovra orchestrata. Il colpo di grazia lo ha dato la grandiosa mobilitazione del 25 Aprile milanese.
Le larghe masse non si sono lasciate intruppare nelle file dell’antifascismo padronale.
In molte piazze il PD è stato contestato e in alcuni casi ha addirittura ammainato bandiere e striscioni.
Se si guardano le piazze anziché i commenti dei pennivendoli sui giornali, è evidente che la grande maggioranza di chi ha manifestato lo ha fatto contro le Larghe Intese e il loro programma comune. Il 25 Aprile è stata una plateale dimostrazione del diffuso rifiuto di ogni guerra e dell’economia di guerra che tanto il governo Meloni che il PD e i suoi cespugli perseguono.
La mobilitazione in cui questo rifiuto si è espresso ha bisogno di trovare una direzione per trasformarsi in una corrente politica strutturata e organizzata.
Darle sbocco politico è il compito del movimento comunista cosciente e organizzato e delle forze anti Larghe Intese.
A questo proposito, una riflessione.
Anche quest’anno si sono riproposte, in particolare a Milano, ma non solo, le annose questioni rispetto alla necessità di organizzare un corteo alternativo “per non portare acqua al mulino del PD”.
Ma anche quest’anno, ancor più degli altri anni, tali questioni sono state spazzate via dall’evidenza pratica.
È compito dei comunisti dare voce a quei sentimenti diffusi che, se nessuno li prende in mano, non sono che sterili lamenti. È compito dei comunisti promuovere e organizzare le manifestazioni di malcontento e di protesta che altrimenti sono destinate a spegnersi. È compito dei comunisti organizzare questa protesta e questo malcontento e indirizzarli e coordinarli verso un comune sbocco politico.
Andare da un’altra parte e lasciare campo libero alle Larghe Intese, ai guerrafondai, ai sostenitori e complici della NATO, dei sionisti e della UE è un errore. È un errore quando a contestarli siamo in pochi, ed è un errore ancora più grave quando è evidente che la volontà di contestazione è ampia e diffusa e cerca solo una strada per manifestarsi.

È utile riprendere – e comprendere – l’esperienza del vecchio movimento comunista nel nostro paese. Quando sotto il fascismo i partiti d’opposizione – e in particolare il Pci – erano banditi, per svolgere il lavoro di organizzazione, di agitazione e di propaganda i comunisti entravano e operavano nei sindacati fascisti, che erano l’unica forma di organizzazione operaia permessa. È facile immaginare quale tipo di contributo possono aver dato anche allora i sostenitori della tesi “nel sindacato fascista no, perché si porta acqua al mulino del regime”. Ecco, con le dovute differenze, uno spunto per riflettere sul ruolo dei comunisti e sul fatto che essi devono stare fra le masse “come pesci nell’acqua”.
A essere pesci fuor d’acqua sono le Larghe Intese e i loro esponenti, sono i sostenitori della Nato e i complici dei sionisti. Ogni centimetro di terreno che non si contende loro, è un centimetro di terreno che perdiamo noi.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

THREE SNAPSHOT PICTURES OF APRIL 25TH

The most popular and impressive demonstration took place in Milan. Traditionally it is “the event of national importance on April 25th”, but some factors contributed to filling this year’s procession with expectations, and therefore the participation.
The manifesto had launched the appeal to make 25 April 2024 a day of mobilization against the Meloni government just as 25 April 1994 was a day of mobilization against the Berlusconi government. The controversy over the censorship of Scurati by Rai leaders fueled everything. We are talking about operations orchestrated, directly or otherwise, by the PD in an attempt to exploit the day for electoral purposes which however undoubtedly fueled the participation of that part of the popular masses worried about the path that the Meloni government is imposing on the country.
The promoting committee, headed by the Anpi of Milan, kept its feet in different shoes for weeks to avoid taking a clear position against the genocide in Palestine, having to admit that the presence of the Jewish Brigade – a disguise for the community Zionist – was out of place (as indeed it has been since 2004 when its presence was imposed with police cordons and truncheons).
Even the hesitations – but it is more correct to say the double game – of the promoting committee and the Milanese ANPI certainly played a role in igniting the determination of many people to be in the streets to express solidarity with the Palestinian people.
Therefore this happened in Milan: tens of thousands of people (the newspapers say 100 thousand) demonstrated against the Meloni government and its anti-people and warmongering policies and in solidarity with the Palestinian people.
For many years the April 25th procession in Milan had not had such a clear political characterization and such high participation.
The entire procession, from head to tail, was a riot of Palestinian flags waving alongside flags of all kinds. At the head of the procession, surrounded by the private police who go by the name of City Angels, the Digos and the police, there was the Zionist community with the flags of the genocidal State of Israel, the Ukrainian flags filled with Nazi symbols, the flags of Action, Italia Viva and + Europa. Among these, so as not to miss anything, also a couple of NATO flags.

Here is the first snapshot, the first photograph of the day: a heavy platoon, alien and hostile to the procession, which flaunted banners of death and extermination, strenuously defended by the Italian State, IMPOSED by military force at its head, but at the same time besieged by the anti-fascist and anti-Zionist demonstrators. All around, for kilometers – at 1.30pm Piazza Duomo was already full of Palestinian flags and so on up to the queue which still had to leave at 5pm – a riot of flags, banners, placards, chants, songs and slogans, many of which support for the resistance of the Palestinian people who today embody the values ​​of the victorious Resistance against Nazi-fascism.
That the regime media speak of “disputes and offenses against the Jewish Brigade” and of “assaults” is only a further demonstration of the weight of that deadly platoon imposed at the head of the procession, which tried in every way to pass itself off as the real victim of intolerance.

The second snapshot comes from Rome. It is useful to analyze it in light of the victimhood, amplified in unified networks, that the Zionist community has spread liberally due to the “insulting and aggression” it claims to have suffered in Milan.
Police cordons surrounding the concentration of the anti-fascist and anti-Zionist procession to “protect” the concentration of Zionist fascists from which the launch of four paper bombs, stones and metal cans began. The Zionist fascists even try to get around the police cordons to charge the anti-fascist concentration and, while with the megaphone they wish the anti-fascist women to be raped, they attack the journalists who in their opinion do not give a correct version of what is happening.
On live television, on Rai 3, the correspondent was surrounded and attacked for having said that “an attempt to charge towards the anti-fascist march has just started”. The studio presenter immediately aligned herself, stating that “no charge comes from the Jewish community”.

The third snapshot is a panoramic photo. From Rome to Milan, from Turin to Catania, from Florence to Naples, from metropolises to small towns, on April 25th hundreds of thousands of people took to the streets against the Meloni government, against the war and the warmongers, in solidarity with the Palestinian people.
In a thousand places and in a thousand ways the contents and values ​​of the Resistance have taken shape contextualized to the situation and class struggle today. Claims, ambitions and objectives that all contribute to the political outcome that the country needs: a new liberation from the US and EU imperialists, from the Zionists and from NATO.

The PD and its bushes had arranged everything so that the celebrations of April 25th would become a great electoral speculation against “the modern fascism of the Meloni government”.
In this regard, they took full advantage of the numerous assists that members of the Meloni government offered them, from the controversy over RAI censorship to Scurati to Salvini’s utterances. However, the operation was not as successful as they had hoped.
It succeeded only to the extent that the main media outlets gave space and breath to this pantomime.
It must be said that the horse on which the PD relied to denounce “censorship” was a lame horse. Scurati is a daily megaphone of the “reasons” of the Zionists, he is a detractor of the Palestinian resistance, he is a denier of the ongoing genocide in Palestine, he is a supporter of the Ukrainian government and of NATO, he is a supporter of Italy’s involvement in the war against the Russian Federation.
However, this is not primarily what caused the orchestrated maneuver to fail. The coup de grace was given by the grandiose mobilization of April 25th in Milan.
The broad masses did not allow themselves to be drawn into the ranks of the employers’ anti-fascism.
In many squares the PD was contested and in some cases it even took down flags and banners.
If you look at the squares rather than the comments of the street vendors in the newspapers, it is clear that the vast majority of those who demonstrated did so against the Broad Agreements and their common program. April 25th was a dramatic demonstration of the widespread rejection of any war and of the war economy that both the Meloni government and the PD and its bushes pursue.

The mobilization in which this refusal was expressed needs to find a direction to transform itself into a structured and organized political current.
Giving it a political outlet is the task of the conscious and organized communist movement and the anti-Broad Understanding forces.
In this regard, a reflection.
This year too, the age-old questions regarding the need to organize an alternative procession “so as not to bring grist to the PD’s mill” have arisen again, particularly in Milan but not only.
But this year too, even more than other years, these questions have been swept away by practical evidence.
It is the task of communists to give voice to those widespread feelings which, if no one takes them into account, are nothing but sterile complaints. It is the task of communists to promote and organize demonstrations of discontent and protest which otherwise are destined to die out. It is the task of the communists to organize this protest and this discontent and direct and coordinate them towards a common political outcome.
Going elsewhere and leaving the field open to the Broad Ententes, the warmongers, the supporters and accomplices of NATO, the Zionists and the EU is a mistake. It is a mistake when there are few of us who contest them, and it is an even more serious mistake when it is clear that the will to contest is broad and widespread and is only looking for a way to manifest itself.

It is useful to revisit – and understand – the experience of the old communist movement in our country. When under fascism the opposition parties – and in particular the PCI – were banned, to carry out the work of organisation, agitation and propaganda the communists entered and operated in the fascist trade unions, which were the only form of workers’ organization allowed . It is easy to imagine what kind of contribution the supporters of the thesis “not in the fascist union, because it brings grist to the regime’s mill” may have made even then. Here, with the necessary differences, is a starting point to reflect on the role of communists and on the fact that they must be among the masses “like fish in water”.
Those who are fish out of water are the Broad Ententes and their exponents, they are the supporters of NATO and the accomplices of the Zionists. Every inch of land that they don’t compete for is an inch of land that we lose.

Source: Italian CARC Party

LE UNIVERSITA’ IN RIVOLTA

https://www.carc.it/2024/04/29/le-universita-in-rivolta/

Il testo che segue è tratto da un articolo di Milos Skakal pubblicato il 20 aprile su Dinamopress.

***

Da due mesi nelle università di tutta Italia le studentesse e gli studenti, ma anche il corpo accademico, dalla docenza alla ricerca, nonché lavoratrici e lavoratori delle utenze degli atenei stanno protestando contro il genocidio in corso in Palestina. La mobilitazione è portata avanti da collettivi e associazioni studentesche di orizzonti diversi, che però si raggruppano intorno all’idea che le università non possono essere complici del massacro in corso a Gaza e dell’escalation bellica in Medio Oriente. Le richieste si sono quindi definite in modo omogeneo nelle varie città dove si sono svolte le proteste e vertono in particolare intorno a tre temi.

Il primo riguarda la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani inquadrata all’interno dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele stipulato per le rispettive parti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dal Ministero dell’Innovazione, scienza e tecnologia (Most). (…)

La seconda rivendicazione è invece legata ai rapporti che alcune rettrici e alcuni rettori hanno con il comitato scientifico della Fondazione Med-Or, nata, come si legge sul sito, “per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del 2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)”. Leonardo, si ricorda, è una delle principali aziende belliche italiane e intrattiene rapporti commerciali correnti con Israele.

La terza richiesta riguarda più in generale di interrompere i rapporti e i finanziamenti tra le università e le aziende italiane fortemente coinvolte con lo Stato israeliano, come per esempio l’Eni, che si avvia a sfruttare i giacimenti di gas a largo della costa di Gaza, oppure la stessa Leonardo che vende armamenti all’esercito israeliano.

(…) A Roma, il 5 marzo, un corteo interno all’Università La Sapienza ha protestato contro la partecipazione dell’ateneo al bando Maeci e ha chiesto alla rettrice Polimeni di dimettersi dal board scientifico della Fondazione Med-Or. La manifestazione si è svolta mentre all’interno del rettorato si teneva il Senato accademico, che ha rifiutato di ascoltare una delegazione di studentesse e studenti.

Il 19 marzo, il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato che non rinnoverà il bando del Maeci. (…)

Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, gli studenti dell’Università di Bologna hanno protestato per chiedere lo stop agli accordi tra l’ateneo e le università israeliane, oltre a richiedere il cessate il fuoco a Gaza. Il corteo è stato represso con cariche della polizia. In contemporanea, è stato permesso a due studentesse di intervenire durante la seduta istituzionale. Mentre una di loro parlava, il rettore l’ha interrotta togliendole il microfono.

All’Università La Sapienza a Roma, il 25 e il 26 marzo le studentesse e gli studenti hanno occupato il rettorato e impedito così che si potesse svolgere in quei luoghi il Senato accademico, il quale ha continuato a ignorare le proteste. Sempre il 26 marzo la Scuola Normale superiore di Pisa ha approvato un documento che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza e ha preso piede un dibattito interno per riconsiderare le collaborazioni scientifiche applicabili anche in campo militare con le università israeliane.

L’8 aprile le studentesse e gli studenti dell’Università di Napoli Federico II hanno occupato il rettorato del loro ateneo per protestare contro la collaborazione scientifica con le università israeliane. (…)

Il 9 aprile, il Senato accademico dell’Università di Bari si è convocato per parlare unicamente della partecipazione al bando Maeci. Nessun docente ha partecipato al bando, mentre il rettore ha sottolineato l’importanza di una ricerca libera e collaborativa con gli atenei di tutto il mondo, ispirandosi al principio di pace sancito dall’articolo 11 della Carta. Inoltre il rettore si è dimesso anche dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or a seguito delle richieste delle studentesse e degli studenti.

Il 16 aprile, dopo un corteo che in mattinata ha chiesto di nuovo al Senato accademico di prendere posizione sulle stragi che avvengono in Palestina, nel pomeriggio per quattro volte le studentesse e gli studenti sono stati manganellati dalla polizia mentre provavano a uscire in corteo dall’università. Alla fine della giornata risulteranno due persone arrestate. (…)

Ma la risposta delle istituzioni, anche ai più alti livelli, sembra voler fermare questa mobilitazione in modo chiaro. Proprio questa settimana la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), per bocca della sua presidente Giovanna Iannantuoni, ha ribadito che “non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti scientifici esistenti con le università israeliane”. Inoltre, anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini si è più volte espressa contro le richieste di sospensione degli accordi tra atenei italiani e israeliani.

A tal proposito, nella lettera aperta dello scorso 8 aprile, docenti, ricercatrici e ricercatori contro il bando Maeci sostengono che “la questione della collaborazione universitaria con istituzioni di ricerca implicate nella sistematica violazione di diritti umani, sociali e civili – come lo sono  le università e i centri di ricerca israeliani – dovrebbe sempre accompagnare la nostra professione. A oggi, non esiste alcuna istituzione israeliana che si sia dissociata dalla linea governativa e non abbia sostenuto la continuazione dell’attacco militare contro Gaza. Le colleghe e i colleghi che hanno osato dissentire sono stati prontamente puniti dalle loro istituzioni con sospensioni, licenziamenti e, nel caso della collega Shalhoub-Kevorkian della Hebrew University, come è ormai noto, persino con la detenzione temporanea e la confisca temporanea del passaporto”.

***

Le università sono uno specchio del paese. Gli interessi della cricca sionista sono strenuamente difesi dal governo, dalle Forze dell’Ordine, da una parte del mondo accademico e dalle baronie, dai media. Ma se la mobilitazione continua, le crepe nel muro di gomma della Repubblica Pontificia si allargano. Se la repressione colpisce chi si mobilita, le crepe si allargano ancora di più. Se le mobilitazioni non si fermano, le autorità devono iniziare a cedere, perché le università diventano ingovernabili. Devono ingoiare il rospo.
Ciò che le autorità sono costrette a ingoiare non mette certamente fine alla complicità della Repubblica Pontificia italiana con i criminali sionisti, ma rafforza tutto il movimento delle masse popolari.
Pertanto, avanti studenti! Per far saltare tutte le collaborazioni dell’Italia con lo Stato sionista d’Israele, per la liberazione della Palestina e per la liberazione del nostro paese dai vertici della Repubblica Pontificia.

Fonte: Partito dei CARC

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UNIVERSITIES IN REVOLT

The following text is taken from an article by Milos Skakal published on April 20 on Dinamopress.


For two months in universities across Italy, students, but also the academic staff, from teaching to research, as well as university workers and utility workers have been protesting against the ongoing genocide in Palestine. The mobilization is carried out by student collectives and associations of different horizons, who however group together around the idea that universities cannot be complicit in the ongoing massacre in Gaza and the escalation of war in the Middle East. The requests were therefore defined in a homogeneous way in the various cities where the protests took place and focused in particular on three themes.

The first concerns the scientific collaboration between Italian and Israeli universities framed within the Italy-Israel industrial, scientific and technological cooperation agreement stipulated for the respective parties by the Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation (Maeci) and by the Ministry of Innovation, Science and Technology (Most). (…)

The second claim is instead linked to the relationships that some rectors have with the scientific committee of the Med-Or Foundation, created, as stated on the website, “on the initiative of Leonardo Spa in the spring of 2021 with the aim of promoting activities cultural, research and scientific training, in order to strengthen ties, exchanges and international relations between Italy and the countries of the Mediterranean area extended to the Sahel, Horn of Africa and Red Sea (“Med”) and of Middle and Far East (“Or”)”. Leonardo, it should be remembered, is one of the main Italian war companies and has current commercial relations with Israel.

The third request concerns more generally the interruption of relations and financing between Italian universities and companies heavily involved with the Israeli state, such as Eni, which is starting to exploit the gas fields off the coast of Gaza, or Leonardo herself who sells armaments to the Israeli army.

(…) In Rome, on March 5, a procession inside La Sapienza University protested against the university’s participation in the Maeci tender and asked the rector Polimeni to resign from the scientific board of the Med-Or Foundation. The demonstration took place while the Academic Senate was being held inside the rectorate, which refused to listen to a delegation of students.

On March 19, the Academic Senate of the University of Turin decided that it will not renew the Maeci tender. (…)

The following day, on the occasion of the inauguration of the academic year, students of the University of Bologna protested to ask for a halt to the agreements between the university and Israeli universities, as well as requesting a ceasefire in Gaza. The demonstration was repressed with police charges. At the same time, two female students were allowed to intervene during the institutional session. While one of them was speaking, the rector interrupted her by taking away the microphone.

At La Sapienza University in Rome, on 25 and 26 March the students occupied the rector’s office and prevented the Academic Senate from taking place there, which continued to ignore the protests. Also on March 26, the Scuola Normale Superiore of Pisa approved a document calling for a ceasefire in Gaza and an internal debate took hold to reconsider scientific collaborations also applicable in the military field with Israeli universities.

On April 8, students of the University of Naples Federico II occupied the rector’s office of their university to protest against scientific collaboration with Israeli universities. (…)

On 9 April, the Academic Senate of the University of Bari convened to talk solely about participation in the Maeci call. No professor participated in the call, while the rector underlined the importance of free and collaborative research with universities around the world, drawing inspiration from the principle of peace enshrined in Article 11 of the Charter. Furthermore, the rector also resigned from the scientific committee of the Med-Or Foundation following requests from students.

On 16 April, after a procession in the morning which once again asked the Academic Senate to take a position on the massacres taking place in Palestine, in the afternoon the students were beaten four times by the police as they tried to march out of the school. university. At the end of the day two people will be arrested. (…)

But the response of the institutions, even at the highest levels, seems to clearly want to stop this mobilization. Just this week the Conference of Rectors of Italian Universities (Crui), through its president Giovanna Iannantuoni, reiterated that “there is no boycott by Italian universities in existing scientific relations with Israeli universities”. Furthermore, the Minister of University and Research Anna Maria Bernini has also repeatedly spoken out against requests for the suspension of agreements between Italian and Israeli universities.

In this regard, in the open letter of last April 8, teachers, men and women researchers against the Maeci call argue that “the issue of university collaboration with research institutions implicated in the systematic violation of human, social and civil rights – as universities are and Israeli research centers – should always accompany our profession. To date, there is no Israeli institution that has dissociated itself from the government line and has not supported the continuation of the military attack on Gaza. Colleagues who dared to disagree were promptly punished by their institutions with suspensions, dismissals and, in the case of my colleague Shalhoub-Kevorkian of the Hebrew University, as is now known, even with temporary detention and temporary confiscation of her passport.”

Universities are a mirror of the country. The interests of the Zionist clique are strenuously defended by the government, by the police, by a part of the academic world and by the baronies, by the media. But if the mobilization continues, the cracks in the rubber wall of the Papal Republic will widen. If repression hits those who mobilize, the cracks widen even further. If the mobilizations do not stop, the authorities must begin to give in, because the universities become ungovernable. They have to bite the bullet.
What the authorities are forced to swallow certainly does not put an end to the complicity of the Italian Papal Republic with the Zionist criminals, but it strengthens the entire movement of the popular masses.
Therefore, forward students! To blow up all Italy’s collaborations with the Zionist State of Israel, for the liberation of Palestine and for the liberation of our country from the leaders of the Papal Republic.

Source: Italian CARC Party

I SIONISTI STANNO PERDENDO LA GUERRA CONTRO HAMAS

https://www.carc.it/2024/04/29/i-sionisti-stanno-perdendo-la-guerra/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 14 aprile ci siamo svegliati con la notizia dell’attacco condotto dall’Iran contro Israele con più di trecento tra droni e missili, come ritorsione al bombardamento da parte dei sionisti dell’ambasciata iraniana in Siria il 1° aprile.

Questo scambio di attacchi tra Israele e Iran rappresenta una svolta nel processo di allargamento del conflitto, che si realizza però in un contesto ben più ampio: in questi mesi gli imperialisti hanno messo il piede sull’acceleratore nelle loro manovre per portare il mondo intero verso la guerra, in un crescendo di provocazioni condotte su tutti i fronti.

Nell’ultimo periodo, infatti, è sempre più evidente la debolezza degli imperialisti, paralizzati dalla guerra per bande al loro interno, dall’opposizione delle masse popolari dei loro stessi paesi alla guerra, dalla crescente ribellione dei popoli di tutto il mondo al loro dominio.

Nelle istituzioni internazionali, dove prima facevano il bello e il cattivo tempo, si moltiplicano ora le risoluzioni contro il massacro perpetrato dai sionisti a Gaza, la Corte Internazionale di Giustizia ha accettato la richiesta del Sud Africa di processare Israele per genocidio e il 2024 si è aperto con l’ingresso nei Brics di cinque nuovi paesi (Etiopia, Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti).

Sugli stessi giornali dove fino all’anno scorso leggevamo articoli che ci spiegavano come fosse imminente la sconfitta dei russi, leggiamo ora titoli che prevedono il probabile crollo delle truppe del regime Zelensky questa estate.

E sul fronte della guerra in Medio Oriente, addirittura il quotidiano israeliano Hareetz l’11 aprile ha titolato: “Dire ciò che non si può dire: Israele è stato sconfitto – una sconfitta totale. Gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti, gli ostaggi non saranno restituiti attraverso la pressione militare, la sicurezza non sarà ripristinata e l’ostracismo internazionale di Israele non finirà”.

Insomma, gli imperialisti sono in crescente difficoltà. Impantanati a Gaza e in Yemen, con il fronte ucraino che sembra sul punto di crollare, e sempre più isolati a livello internazionale. Provano, quindi, a rilanciare con una nuova stagione di provocazioni, nella speranza di compattare il fronte interno e far valere il proprio potenziale militare arrivando a uno scontro diretto con i bersagli “di grosso calibro” della guerra che promuovono in tutto il mondo: Iran, Federazione Russa e, soprattutto, Repubblica Popolare Cinese.

Riportiamo, di seguito, gli avvenimenti principali.

A dicembre dello scorso anno il Mossad assassina due membri delle Guardie della Rivoluzione in Siria.

Il 3 gennaio, a Kerman, in Iran, un’attentato fa 84 morti e 284 feriti tra la folla che si era radunata presso la tomba del generale Soleimani per l’anniversario della sua morte (avvenuta a opera degli Usa nel 2020). L’azione è rivendicata dall’Isis, ma Teheran non ha dubbi: i responsabili sono gli imperialisti Usa e sionisti.

L’Iran reagisce il 16 gennaio, bombardando una base del Mossad in Iraq.

Nel frattempo, sul fronte della guerra in Ucraina, gli attacchi in territorio russo si spingono sempre più in profondità, fino al bombardamento del 15 marzo sulla raffineria di Rjazan, a 200 chilometri a sud di Mosca. Sempre nel mese di marzo vengono pubblicate le dichiarazioni di Macron, che paventa l’invio di truppe Nato in Ucraina, e dei vertici della commissione Ue, che dichiarano che l’Europa deve prepararsi a un conflitto aperto contro la Russia.

Il 22 marzo uomini armati sparano sulla folla nella sala concerti del Crocus City Hall a Mosca, dopodiché danno fuoco all’edificio, causando oltre 140 morti e centinaia di feriti. L’attentato è ancora una volta rivendicato dall’Isis, ma le autorità russe accusano il regime Zelensky, gli imperialisti Usa e Ue.

Il 1 aprile i sionisti bombardano l’ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo tredici persone, tra cui un generale delle Guardie della Rivoluzione. È un attacco verso quello che formalmente è suolo iraniano e in aperta violazione della sovranità siriana.

L’Iran reagisce nella notte tra il 13 e il 14 aprile, lanciando più di 300 tra missili e droni contro Israele. L’attacco è una ritorsione dovuta, ma non ha chiaramente l’intenzione di scatenare un’escalation e le seguenti dichiarazioni del governo iraniano confermano questa linea.

Nella notte tra il 17 e il 18 aprile i sionisti rilanciano, bombardando con droni una base militare sul territorio iraniano, nei pressi di impianti nucleari.

Il giorno dopo, il 19 aprile, viene bombardata una base delle Forze di mobilitazione popolare irachene, milizia sciita inquadrata nello Stato iracheno. Imperialisti Usa e sionisti negano ogni responsabilità, che invece viene loro addebitata dalle forze della Resistenza Islamica in Iraq, che rispondono il giorno stesso con un attacco di droni contro Israele.

Nel frattempo si intensificano anche le manovre per preparare lo scontro contro la Repubblica Popolare Cinese. L’11 aprile Biden incontra il presidente giapponese Kishida e quello filippino Marcos per rafforzare l’alleanza e la cooperazione militare in funzione anti cinese. Nei giorni successivi rilascia dichiarazioni in cui annuncia che triplicherà i dazi sull’acciaio e alluminio cinesi.

Infine, il 20 aprile, il Congresso Usa approva quattro disegni di legge che rappresentano una sintesi della politica bellicista di Washington: 60 miliardi per finanziare il regime Zelensky e la guerra contro la Federazione Russa, 26 per finanziare i sionisti e il genocidio palestinese, 8 per finanziare Taiwan e preparare la guerra contro la Repubblica Popolare Cinese. Il tutto condito con nuove provocazioni: la messa al bando di Tik Tok, l’utilizzo degli asset russi congelati per promuovere la guerra in Ucraina, l’imposizione di nuove sanzioni a Mosca, Teheran e Pechino.

Come possiamo vedere, le difficoltà degli imperialisti, la crescente forza dei paesi che si oppongono al loro dominio, determinati a non subire più passivamente ogni provocazione, non ci portano verso un più pacifico mondo multipolare, ma verso una nuova guerra mondiale, perché gli imperialisti non hanno altra strada per uscire dalla propria crisi che estendere il conflitto.

Le condizioni che alimentano la guerra sono però le stesse che concorrono a creare una situazione rivoluzionaria. Solo la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può anticipare o mettere fine alla guerra. Quale via imboccherà la storia dipende da noi comunisti.

Fonte: Partito dei CARC

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ZIONISTS ARE LOSING THE WAR AGAINST HAMAS

On April 14th we woke up to the news of the attack conducted by Iran against Israel with more than three hundred drones and missiles, in retaliation for the bombing by the Zionists of the Iranian embassy in Syria on April 1st.

This exchange of attacks between Israel and Iran represents a turning point in the process of widening the conflict, which however takes place in a much broader context: in recent months the imperialists have put their foot on the accelerator in their maneuvers to bring the whole world towards the war, in a crescendo of provocations conducted on all fronts.

In the last period, in fact, the weakness of the imperialists is increasingly evident, paralyzed by the gang war within them, by the opposition of the popular masses of their own countries to the war, by the growing rebellion of the peoples of the whole world against their domination .

In international institutions, where previously there was good and bad weather, resolutions against the massacre perpetrated by the Zionists in Gaza are now multiplying, the International Court of Justice has accepted South Africa’s request to try Israel for genocide and 2024 has opened with the entry into the Brics of five new countries (Ethiopia, Egypt, Iran, Saudi Arabia, United Arab Emirates).

In the same newspapers where until last year we read articles explaining to us how the defeat of the Russians was imminent, we now read headlines predicting the probable collapse of the Zelensky regime’s troops this summer.

And on the front of the war in the Middle East, even the Israeli newspaper Hareetz on April 11 ran the headline: “Saying what cannot be said: Israel has been defeated – a total defeat. The objectives of the war will not be achieved, the hostages will not be returned through military pressure, security will not be restored and Israel’s international ostracism will not end.”

In short, the imperialists are in growing difficulty. Bogged down in Gaza and Yemen, with the Ukrainian front appearing on the verge of collapse, and increasingly isolated internationally. They therefore try to relaunch with a new season of provocations, in the hope of compacting the internal front and asserting their military potential by arriving at a direct clash with the “large caliber” targets of the war they promote all over the world: Iran , Russian Federation and, above all, the People’s Republic of China.

Below we report the main events.

In December last year, the Mossad assassinated two members of the Revolutionary Guards in Syria.

On January 3, in Kerman, Iran, an attack left 84 dead and 284 injured among the crowd who had gathered at the tomb of General Soleimani for the anniversary of his death (which occurred at the hands of the USA in 2020). The action is claimed by ISIS, but Tehran has no doubts: those responsible are the US and Zionist imperialists.

Iran reacts on January 16, bombing a Mossad base in Iraq.

Meanwhile, on the front of the war in Ukraine, the attacks on Russian territory are pushing ever deeper, up to the bombing on March 15 on the Ryazan refinery, 200 kilometers south of Moscow. Also in March, statements were published by Macron, who feared the sending of NATO troops to Ukraine, and by the leaders of the EU commission, who declared that Europe must prepare for an open conflict against Russia.

On March 22, gunmen fired into a crowd at the Crocus City Hall concert hall in Moscow, then set fire to the building, causing over 140 deaths and hundreds of injuries. The attack is once again claimed by ISIS, but the Russian authorities blame the Zelensky regime, US and EU imperialists.

On April 1, Zionists bomb the Iranian embassy in Damascus, killing thirteen people, including a general of the Revolutionary Guards. It is an attack on what is formally Iranian soil and in open violation of Syrian sovereignty.

Iran reacts on the night between 13 and 14 April, launching more than 300 missiles and drones against Israel. The attack is a necessary retaliation, but it clearly has no intention of triggering an escalation and the following statements from the Iranian government confirm this line.

On the night between 17 and 18 April the Zionists relaunched, bombing a military base on Iranian territory, near nuclear plants, with drones.

The following day, April 19, a base of the Iraqi Popular Mobilization Forces, a Shiite militia within the Iraqi state, was bombed. US imperialists and Zionists deny any responsibility, which instead is attributed to them by the Islamic Resistance forces in Iraq, who respond the same day with a drone attack against Israel.

In the meantime, maneuvers to prepare for the clash against the People’s Republic of China are also intensifying. On April 11, Biden meets Japanese President Kishida and Philippine President Marcos to strengthen the alliance and military cooperation with an anti-Chinese function. In the following days he released statements announcing that he would triple the duties on Chinese steel and aluminium.

Finally, on April 20, the US Congress approves four bills that represent a synthesis of Washington’s warmongering policy: 60 billion to finance the Zelensky regime and the war against the Russian Federation, 26 to finance the Zionists and the Palestinian genocide, 8 to finance Taiwan and prepare for war against the People’s Republic of China. All seasoned with new provocations: the banning of Tik Tok, the use of frozen Russian assets to promote the war in Ukraine, the imposition of new sanctions on Moscow, Tehran and Beijing.

As we can see, the difficulties of the imperialists, the growing strength of the countries that oppose their domination, determined to no longer passively suffer any provocation, do not lead us towards a more peaceful multipolar world, but towards a new world war, because the imperialists they have no other way out of their crisis than to extend the conflict.

However, the conditions that fuel war are the same that contribute to creating a revolutionary situation. Only the victory of the socialist revolution in the imperialist countries can anticipate or put an end to the war. Which path history will take depends on us communists.

Source: Italian CARC Party

9 MAGGIO, LA GIORNATA DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/9-maggio-la-giornata-della-vittoria-sul-nazifascismo/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 9 maggio si celebra la Giornata della Vittoria sul nazifascismo. Attorno a questa data e a ciò che essa rappresenta la borghesia da tempo alimenta un’opera di revisionismo storico: cerca con ogni mezzo di demonizzare il comunismo, equiparando l’Urss di Stalin alla Germania di Hitler, e di intestare agli imperialisti Usa e del Regno Unito i maggiori meriti nella sconfitta del nazifascismo.
Questa ricorrenza deve essere, invece, occasione per riaffermare la verità storica e celebrare l’eroico sacrifico del popolo sovietico e del movimento comunista, veri artefici della liberazione dal nazifascismo.
La realtà storica è che i nazisti sono saliti al potere e hanno scatenato la guerra con il preciso intento di annientare l’Unione Sovietica e il movimento comunista, cioè di realizzare quello che era il sogno di tutta la borghesia imperialista. E, infatti, per lungo tempo gli imperialisti Usa, britannici e francesi hanno sostenuto, finanziato e appoggiato Hitler nel suo progetto.
Solo la mobilitazione antifascista delle masse popolari, alimentata dal movimento comunista, e le manovre dell’Urss per rompere il fronte imperialista (fino a firmare un patto di non belligeranza con la Germania nel 1939, il patto Molotov-Ribbentrop), li costrinsero, infine, a dichiarare guerra ai nazisti. Guerra nella quale, comunque, non si impegnarono se non quando la sconfitta dei nazisti era oramai evidente e con il principale obiettivo di non lasciare spazio ai sovietici.
Francia e Regno Unito dichiararono guerra alla Germania il 1° settembre 1939 (gli Usa solo nel 1941), giorno in cui comincia l’invasione nazista della Polonia. Ma per mesi rimasero pressoché immobili, dando ai nazisti tutto il tempo per completare la conquista della Polonia, invadere la Danimarca e la Norvegia e, infine, nel maggio del 1940, entrare in Francia passando per i Paesi Bassi e il Belgio, senza incontrare praticamente nessuna resistenza. D’altronde il motto che circolava nell’alta borghesia francese a quei tempi era: “meglio Hitler che il governo del Fronte Popolare” (che aveva vinto le elezioni nel 1936). E non è un caso se i nazisti non ebbero grandi difficoltà nell’installare un regime collaborazionista nel paese (la Francia di Vichy).
Da quel momento gli imperialisti del Regno Unito e dal dicembre del 1941 quelli Usa, entrati formalmente in guerra contro l’Asse dopo l’attacco di Pearl Harbour, resteranno sostanzialmente alla finestra, impegnandosi al massimo su fronti secondari come quello africano. Sperando in un crollo del regime socialista, lasciarono ai nazisti, oramai padroni dell’Europa, tutto il tempo per preparare e portare avanti l’invasione dell’Unione Sovietica.
Solo nel luglio del 1943, quando oramai era già cominciata la travolgente controffensiva sovietica, gli Alleati sbarcarono in Italia, dove si ritrovarono però subito impantanati (Roma sarà liberata solo il 4 giugno del 1944). E solo il successivo 6 giugno, con lo sbarco in Normandia, apriranno un vero e proprio secondo fronte nel cuore dell’Europa, come Stalin chiedeva loro di fare fin dalla fine del 1941.
È stato, invece, il movimento comunista, con l’URSS di Stalin alla testa, che fin da subito promosse la mobilitazione delle masse popolari contro il fascismo e operò per contrastarne l’ascesa; che inviò armi e mezzi e organizzò le Brigate Internazionali in sostegno alla Repubblica spagnola in quello che fu il primo vero confronto militare con i nazisti e i fascisti: la guerra civile spagnola (1936-1939).
E dal momento in cui i nazisti, oramai padroni dell’Europa, si sentirono forti abbastanza per lanciare, nel giugno del 1941, l’invasione dell’URSS, furono i sovietici a sopportare tutto il peso della guerra. Il paese fu invaso da una coalizione che comprendeva eserciti di praticamente tutti i paesi europei sotto il giogo nazista, per un totale di oltre 3 milioni di soldati e 600 mila veicoli corazzati: la più grande forza d’invasione della storia militare. Le armate di Hitler riuscirono a penetrare in profondità nel paese, arrivando in pochi mesi fino ai sobborghi di Mosca.
Ma il Partito comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica fu capace di mobilitare tutte le forze del popolo in un immenso sforzo collettivo per fermare le armate naziste, aumentare la capacità industriale e smontare e ricostruire migliaia di fabbriche dai territori occupati a quelli orientali. In breve tempo l’Urss riuscì a colmare il distacco industriale e militare nei confronti dell’impero nazista che andava da Parigi a Varsavia.
Il 28 luglio del 1942 Stalin emanò l’ordine “Non un passo indietro!”. I nazisti furono fermati nella città di Stalingrado, che divenne per le masse popolari di tutto il mondo il simbolo stesso della resistenza al nazifascismo.
Nell’inverno del 1943 si scatenò poi la controffensiva sovietica: l’assedio di Stalingrado venne rotto, centinaia di migliaia di soldati della coalizione nazista furono catturati. Cominciava l’avanzata che avrebbe portato in due anni i sovietici a liberare tutta l’Europa dall’occupazione nazista, fino a entrare, tra aprile e maggio del 1945, nella capitale tedesca: il 30 aprile Hitler si suicida in una Berlino oramai condannata a cadere in mano ai sovietici e il 9 maggio i nazisti firmano la resa.

30 aprile 1945 – l’Armata Rossa issa la bandiera della vittoria sul Reichstag a Berlino.

L’Unione Sovietica alla testa del movimento comunista – che aveva promosso eroicamente la resistenza partigiana in tutti i paesi occupati – aveva liberato l’umanità dall’incubo nazista, dimostrando la superiorità del sistema socialista e ampliando il campo comunista a mezza Europa.
Il prezzo pagato dal popolo sovietico fu altissimo: 27 milioni di morti tra cui 18 milioni di civili. E ancora oggi questo immenso sacrificio sta lì a dimostrare che comunismo e nazifascismo non solo non sono equiparabili, ma al contrario sono agli opposti, perché il movimento comunista è la sola alternativa alla barbarie del capitalismo di cui il nazifascismo è figlio e strumento.

Fonte: Partito dei CARC

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MAY 9, THE DAY OF VICTORY OVER NAZI-FASCISM

Victory Over Nazi-Fascism Day is celebrated on May 9th. Around this date and what it represents, the bourgeoisie has long been fueling a work of historical revisionism: it tries by every means to demonize communism, equating Stalin’s USSR with Hitler’s Germany, and to name the US and UK imperialists United the greatest merits in the defeat of Nazi-fascism.
This anniversary must, instead, be an opportunity to reaffirm the historical truth and celebrate the heroic sacrifice of the Soviet people and the communist movement, the true architects of liberation from Nazi-fascism.
The historical reality is that the Nazis came to power and unleashed the war with the precise intent of annihilating the Soviet Union and the communist movement, that is, of realizing what was the dream of the entire imperialist bourgeoisie. And, in fact, for a long time the US, British and French imperialists supported, financed and supported Hitler in his project.
Only the anti-fascist mobilization of the popular masses, fueled by the communist movement, and the maneuvers of the USSR to break the imperialist front (to the point of signing a non-belligerence pact with Germany in 1939, the Molotov-Ribbentrop pact), finally forced them to declare war on the Nazis. War in which, however, they did not engage until the defeat of the Nazis was now evident and with the main objective of leaving no room for the Soviets.
France and the United Kingdom declared war on Germany on 1 September 1939 (the USA only in 1941), the day on which the Nazi invasion of Poland began. But for months they remained virtually immobile, giving the Nazis plenty of time to complete the conquest of Poland, invade Denmark and Norway and, finally, in May 1940, enter France via the Netherlands and Belgium, practically without encountering no resistance. On the other hand, the motto circulating among the French upper class at that time was: “better Hitler than the Popular Front government” (which had won the elections in 1936). And it is no coincidence that the Nazis did not have great difficulty in installing a collaborationist regime in the country (Vichy France).
From that moment on, the imperialists of the United Kingdom and from December 1941 those of the USA, who formally entered the war against the Axis after the attack on Pearl Harbour, essentially remained on the sidelines, committing themselves to the maximum on secondary fronts such as the African one. Hoping for a collapse of the socialist regime, they left the Nazis, now masters of Europe, plenty of time to prepare and carry out the invasion of the Soviet Union.

Only in July 1943, when the overwhelming Soviet counteroffensive had already begun, did the Allies land in Italy, where they immediately found themselves bogged down (Rome was only liberated on 4 June 1944). And only on the following 6 June, with the landing in Normandy, will they open a real second front in the heart of Europe, as Stalin had asked them to do since the end of 1941.
It was, however, the communist movement, with Stalin’s USSR at its head, which immediately promoted the mobilization of the popular masses against fascism and worked to counter its rise; who sent weapons and equipment and organized the International Brigades in support of the Spanish Republic in what was the first real military confrontation with the Nazis and fascists: the Spanish Civil War (1936-1939).
And from the moment the Nazis, now masters of Europe, felt strong enough to launch the invasion of the USSR in June 1941, it was the Soviets who bore the full weight of the war. The country was invaded by a coalition that included armies of practically all the European countries under the Nazi yoke, for a total of over 3 million soldiers and 600 thousand armored vehicles: the largest invasion force in military history. Hitler’s armies managed to penetrate deep into the country, reaching the suburbs of Moscow within a few months.
But the Communist Party (Bolshevik) of the Soviet Union was able to mobilize all the forces of the people in an immense collective effort to stop the Nazi armies, increase industrial capacity and dismantle and rebuild thousands of factories from the occupied territories to the eastern ones. In a short time, the USSR managed to bridge the industrial and military gap with the Nazi empire that stretched from Paris to Warsaw.
On July 28, 1942, Stalin issued the order “Not a step back!”. The Nazis were stopped in the city of Stalingrad, which became the very symbol of resistance to Nazi-fascism for the popular masses all over the world.
In the winter of 1943, the Soviet counteroffensive was unleashed: the siege of Stalingrad was broken, hundreds of thousands of soldiers of the Nazi coalition were captured. The advance began which would lead the Soviets to liberate all of Europe from Nazi occupation in two years, until they entered the German capital between April and May 1945: on 30 April Hitler committed suicide in a Berlin now condemned to fall into Soviet hands and on May 9 the Nazis sign the surrender.

April 30, 1945 – The Red Army raises the victory flag over the Reichstag in Berlin.

The Soviet Union at the head of the communist movement – which had heroically promoted partisan resistance in all occupied countries – had freed humanity from the Nazi nightmare, demonstrating the superiority of the socialist system and expanding the communist camp to half of Europe.
The price paid by the Soviet people was very high: 27 million deaths, including 18 million civilians. And even today this immense sacrifice is there to demonstrate that communism and Nazi-fascism are not only not comparable, but on the contrary they are opposites, because the communist movement is the only alternative to the barbarism of capitalism of which Nazi-fascism is the son and instrument.

Source: Italian CARC Party

PERCHE’ E’ IMPORTANTE INTERVENIRE NELLE PIAZZE DELLA CGIL

Alla luce del sole tutto prende colore

https://www.carc.it/2024/04/29/perche-e-importante-intervenire-nelle-piazze-della-cgil/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Spesso abbiamo scritto articoli sul ruolo e il valore delle mobilitazioni organizzate dalla CGIL. É necessario tornare a parlarne, perché molti compagni svalutano e disertano queste mobilitazioni e molti altri sono tentati costantemente di farlo.

Di motivi per giustificare una simile condotta se ne possono trovare quanti se ne vogliono, la storia dei sindacati di regime degli ultimi quaranta e più anni ne offrono di molteplici. Ma per chi vuole dare il suo contributo a costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese o più semplicemente contribuire a costruire una prospettiva di riscossa per le masse popolari, astenersi dall’intervenire nelle piazze della CGIL equivale a una resa, all’abbandono di migliaia di lavoratori nelle mani di Landini, lasciando a lui l’iniziativa e il lusso di decidere cosa fare o non fare.

Questo ragionamento è valido sempre, ma lo è a maggior ragione in questa fase. Non viviamo episodi di rivolta generalizzata, ma molteplici sono i segnali, certo ancora slegati fra loro, di un sommovimento generale nel campo delle masse popolari per fare fronte agli effetti della crisi, alla spirale di guerra in cui la Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE sta trascinando il mondo e alle misure antipopolari (l’agenda Draghi aggravata dall’economia di guerra) del governo Meloni.

In questo contesto la campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno (e le amministrative, laddove si terranno) sono un’occasione in cui il nemico di classe scopre il fianco e si acuiscono le contraddizioni fra le varie fazioni della classe dominante.

Dato questo scenario, le iniziative e le mobilitazioni che i vertici della CGIL stanno portando avanti sono contemporaneamente tre cose:

– un ingrediente della campagna elettorale del polo PD delle Larghe Intese (quindi PD e tutti i suoi cespugli, di cui i vertici della CGIL sono parte integrante);

– una possibilità di mobilitazione su ampia scala dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni e contro il corso disastroso delle cose;

– una enorme potenzialità per trasformare la partecipazione a quelle manifestazioni in un’irruzione degli organismi operai e popolari nella campagna elettorale in corso.

La prima è ciò che i vertici CGIL e il PD hanno pianificato e perseguono, le altre due sono potenzialità e possibilità su cui i comunisti possono e devono intervenire affinché si sviluppino.

Per parlare chiaramente, la collusione dei vertici CGIL con il sistema delle Larghe Intese che governa il nostro paese e la sua collaborazione nello smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dai lavoratori nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, sono dati di fatto indiscutibili.

Ma allo stesso tempo è un dato di fatto indiscutibile anche che la massa di iscritti alla CGIL è costituita da lavoratori e da una grossa fetta della classe operaia del nostro paese. Si tratta di gente che ha oggettivamente interesse a combattere i governi delle Larghe Intese per imporre un governo che attui le misure che (a parole) rivendica anche Landini.

Di fronte a questa natura e composizione, come devono porsi i comunisti e chi vuole realmente darsi i mezzi per cambiare e vincere?

Alla luce del sole tutto prende colore: chi vuole cambiare le cose deve essere quel sole che permette al colore di manifestarsi, di sviluppare le sue potenzialità.

Il discorso sul rapporto fra vertici sindacali e iscritti è valido anche per gli altri sindacati di regime, ma qui ci concentriamo sulla CGIL in virtù del suo ruolo politico particolare. Un ruolo politico che è dato principalmente proprio dalla composizione della sua base, che è fatta di lavoratori che spesso hanno la falce e il martello nel cuore e che aspirano (seppur in molti casi confusamente) a cambiare lo stato di cose presente.

Questo ruolo è dimostrato dal fatto che più la CGIL si instrada su un cammino di opposizione aperta al governo Meloni, nel solco di parole d’ordine politiche, maggiore è la partecipazione che riesce a promuovere. In questo senso, l’esempio eclatante viene dalla partecipazione popolare alla manifestazione “La Via Maestra” dello scorso 7 ottobre che ha visto scendere in piazza 200 mila persone sulla parola d’ordine “applicare la Costituzione”.

Applicare la Costituzione significa lavorare per dare al paese un governo che attui quello che i vari organismi operai e popolari sparsi in tutto il paese rivendicano. Attuare coerentemente queste rivendicazioni è darsi un programma politico, di governo: è quello che noi sintetizziamo con le sette misure del Governo di Blocco Popolare (GBP).

Per i comunisti e anche per i militanti delle organizzazioni sindacali di base, porsi in modo settario verso gli iscritti ai sindacati di regime è un grave errore. Anche quando questi ripongono cieca fiducia nei vertici delle loro organizzazioni, la loro collocazione di classe ci pone il dovere di intervenire su di loro: è la nostra gente.

É sbagliato, dannoso, confondere gli iscritti con i vertici della CGIL. Hanno fiducia in Landini? Bene, allora dobbiamo puntare a organizzarli e mobilitarli sulle stesse parole d’ordine che lui solleva, sviluppare la loro autonomia d’azione, dare le gambe a quanto Landini spara solo per fare la voce grossa.

Il fattore rivoluzionario non è spararla più grossa di lui, ma sviluppare organizzazione e spirito di iniziativa. Questo emancipa realmente i lavoratori da una dirigenza parolaia e inconcludente. Dobbiamo contrastare la tendenza alla delega a cui i lavoratori sono costantemente educati e utilizzare la propaganda che i vertici sindacali sono costretti a fare per mantenere il loro ruolo, trasformandola in un programma di lotta, di organizzazione e di governo.

Fonte: Partito dei CARC

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WHY IT IS IMPORTANT TO INTERVENE IN THE SQUARES OF THE CGIL

In the sunlight everything takes color

We have often written articles on the role and value of the mobilizations organized by the CGIL. It is necessary to talk about it again, because many comrades devalue and desert these mobilizations and many others are constantly tempted to do so.

You can find as many reasons to justify such conduct as you like; the history of the regime’s trade unions over the last forty or more years offers many. But for those who want to give their contribution to building the socialist revolution in our country or more simply to contribute to building a prospect of recovery for the popular masses, abstaining from intervening in the CGIL squares is equivalent to a surrender, to the abandonment of thousands of workers in Landini’s hands, leaving him the initiative and the luxury of deciding what to do or not do.

This reasoning is always valid, but even more so at this stage. We are not experiencing episodes of generalized revolt, but there are many signs, certainly still unrelated to each other, of a general upheaval in the field of the popular masses to deal with the effects of the crisis, the spiral of war in which the International Community of US imperialists, Zionists and the EU is dragging the world and the anti-popular measures (the Draghi agenda aggravated by the war economy) of the Meloni government.

In this context, the electoral campaign for the European elections on 8 and 9 June (and the local elections, where they will be held) are an occasion in which the class enemy exposes its side and the contradictions between the various factions of the ruling class become more acute. .

Given this scenario, the initiatives and mobilizations that the CGIL leaders are carrying out are three things at the same time:

– an ingredient of the electoral campaign of the PD pole delle Larghe Intese (therefore PD and all its bushes, of which the leaders of the CGIL are an integral part);

– a possibility of large-scale mobilization of workers and the popular masses against the Meloni government and against the disastrous course of things;

– an enormous potential to transform participation in those demonstrations into an irruption of workers’ and popular organizations in the ongoing electoral campaign.

The first is what the CGIL and PD leaders have planned and are pursuing, the other two are potentials and possibilities on which the communists can and must intervene so that they develop.

To speak clearly, the collusion of the CGIL leaders with the system of Broad Understandings that governs our country and its collaboration in the dismantling of the rights and conquests obtained by workers during the first wave of the proletarian revolution, are indisputable facts.

But at the same time it is also an indisputable fact that the mass of CGIL members is made up of workers and a large portion of the working class of our country. These are people who objectively have an interest in fighting the governments of the Broad Ententes to impose a government that implements the measures that (in words) Landini also demands.

Faced with this nature and composition, how should communists position themselves and who really wants to give themselves the means to change and win?

In the light of the sun everything takes color: whoever wants to change things must be that sun that allows color to manifest itself, to develop its potential.

The discussion on the relationship between union leaders and members is also valid for other regime unions, but here we focus on the CGIL by virtue of its particular political role. A political role that is mainly given by the composition of its base, which is made up of workers who often have the hammer and sickle in their hearts and who aspire (albeit in many cases confusedly) to change the present state of affairs.

This role is demonstrated by the fact that the more the CGIL follows a path of open opposition to the Meloni government, following political slogans, the greater the participation it manages to promote. In this sense, the striking example comes from the popular participation in the “La Via Maestra” demonstration last 7 October which saw 200 thousand people take to the streets under the slogan “apply the Constitution”.

Applying the Constitution means working to give the country a government that implements what the various workers’ and popular organizations spread across the country demand. To consistently implement these demands is to give ourselves a political, government program: this is what we summarize with the seven measures of the Popular Bloc Government (GBP).

For the communists and also for the militants of the basic trade union organizations, approaching the members of the regime’s trade unions in a sectarian manner is a serious mistake. Even when they place blind trust in the leaders of their organizations, their class position places on us the duty to intervene on them: they are our people.

It is wrong, harmful, to confuse members with the leaders of the CGIL. Do they trust Landini? Well, then we must aim to organize and mobilize them on the same slogans that he raises, develop their autonomy of action, give legs to what Landini uses only to raise his voice.

The revolutionary factor is not to be louder than him, but to develop organization and a spirit of initiative. This truly emancipates workers from a talkative and inconclusive management. We must counter the tendency to delegate which workers are constantly educated in and use the propaganda that union leaders are forced to do to maintain their role, transforming it into a program of struggle, organization and government.

Source: Italian CARC Party

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente dalla Geoingegneria Solare SRM

SOSTIENI LA PUBBLICAZIONE DEL MANUALE DI STORIA CONTEMPORANEA DELLA SCUOLA DI BASE MAKARENKO!

https://www.carc.it/2024/02/21/sostieni-la-pubblicazione-del-manuale-di-storia-contemporanea-della-scuola-di-base-makarenko/

La conoscenza della storia è uno strumento della lotta dei lavoratori promossa dal movimento comunista per liberarsi dallo sfruttamento economico, dall’oppressione politica e dall’arretratezza culturale. Tanto più la conoscenza della storia contemporanea, cioè dell’epoca in cui Marx ed Engels hanno fondato il movimento comunista (Manifesto del partito comunista -1848) e la vittoria dell’Ottobre ha dato il via a quel movimento che “ha sconvolto il mondo”: vittoria sul nazifascismo, abbattimento del sistema coloniale, creazione del campo socialista, conquiste di civiltà e benessere strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti, una delle quali è stata la scuola pubblica. Non è un caso che dalla riforma Moratti (2003) in poi l’insegnamento della storia contemporanea è stato eliminato dalle scuole elementari e le ore di storia ridotte. Né è un caso che le prime a essere trasformate in giornate lavorative sono state le date del 25 Aprile e del 1° Maggio. Tanto più dopo l’installazione del governo Meloni, composto da nostalgici del ventennio fascista che stanno dando maggiore impulso a quel revisionismo storico inaugurato anni fa in maniera bipartisan con l’equiparazione dei partigiani comunisti ai “ragazzi della Repubblica di Salò”. Emblematica è stata la trasformazione del 27 gennaio di quest’anno da giornata della memoria di tutte le vittime dell’Olocausto nazista (6 milioni di ebrei, ma anche 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici, 1.5 milioni di altri prigionieri politici, 4 milioni di slavi, oltre a rom, disabili, omosessuali) in giornata delle sole vittime della Shoah e il divieto delle manifestazioni a sostegno della resistenza palestinese bollate più o meno apertamente come “antisemite”.

Promuovere l’ignoranza della storia è un ingrediente dello smantellamento della scuola pubblica in corso da quarant’anni a questa parte, a cui si sommano ora anche il carovita, la riduzione dei posti letto negli studentati pubblici, il rincaro degli affitti nelle città universitarie, gli aumenti dei servizi di mensa e di trasporto. Da luogo di istruzione le aule diventano sempre più serbatoi di manodopera gratuita per le fabbriche dei capitalisti o di futuri soldati da usare come carne da cannone nella “terza guerra mondiale a pezzi” in cui gli imperialisti USA, UE e sionisti trascinano anche il nostro paese.

Ignoranza, intossicazione dell’opinione pubblica, abbrutimento delle masse popolari sono, combinati con la repressione, le armi di cui la classe dominante dispone per cercare di prolungare la vita del suo sistema, per distogliere le masse popolari dalla lotta di classe. Fanno danni, certo, ma sono la conferma che la permanenza del suo potere è decadenza intellettuale e morale dell’umanità, è distruzione delle condizioni della vita sulla Terra, sono la conferma che solo le masse popolari possono costruire un futuro di ordine e progresso (Ordem e Progresso, il motto contenuto nella bandiera del Brasile).

Per tutti i giovani e lavoratori che oggi si organizzano per costruire il loro futuro e vogliono conoscere la storia della propria classe, una storia dalla quale attingere insegnamenti, un metodo di ragionamento, insomma gli strumenti per costruire la via della propria emancipazione, le Edizioni Rapporti Sociali hanno deciso di pubblicare un Manuale di Storia contemporanea in tre volumi, la cui esposizione sia fondata su principi, criteri, metodi e contenuti di analisi storica, sociale e politica propri del proletariato. Un manuale dal quale emerga il ruolo delle masse nella storia e della lotta di classe come motore della trasformazione sociale. Un manuale che spieghi i fatti e non si limiti a metterli in fila con pedante nozionismo, che illumini il passato e quindi il presente, che appassioni docenti, studenti, operai in cui vive l’aspirazione a una società senza più sfruttamento.

Per produrre questo Manuale abbiamo attinto dall’esperienza della Scuola di Base Anton Makarenko, una scuola serale aperta a giovani e lavoratori che insegna italiano e storia dove, negli anni, in decine e decine hanno studiato, sperimentato e discusso i testi che ci apprestiamo a pubblicare. Un’impresa onerosa per noi, questa pubblicazione. Uno dei modi attraverso cui la classe dominante cerca di impedire la circolazione di idee autonome dalla sua concezione del mondo è quello di imporre condizioni economiche svantaggiose alle case editrici indipendenti, così come impedisce l’aggregazione delle masse strangolando economicamente le case del popolo e organismi affini.

Per questo, chiediamo quindi agli studenti, alle studentesse, ai docenti mobilitati in difesa della scuola e dell’università, alle operaie e agli operai coscienti e desiderosi di intraprendere il cammino di studi che la classe dominante ha loro negato, a chiunque vuole ricercare nella gloriosa storia delle conquiste del movimento operaio e comunista le risposte per mobilitarsi ed essere protagonista della fase storica che attraversiamo, di sostenere economicamente il nostro progetto editoriale.

Riprendiamoci il nostro futuro. Diamoci gli strumenti per farlo!

Fonte: Partito dei CARC

https://it.wikipedia.org/wiki/Anton_Semenovyč_Makarenko

https://www.makarenko.it

English translate

SUPPORT THE PUBLICATION OF THE CONTEMPORARY HISTORY MANUAL OF THE MAKARENKO BASIC SCHOOL!

Knowledge of history is an instrument of the workers’ struggle promoted by the communist movement to free themselves from economic exploitation, political oppression and cultural backwardness. Even more so, the knowledge of contemporary history, that is, of the era in which Marx and Engels founded the communist movement (Manifesto of the Communist Party -1848) and the victory of October gave rise to that movement which “shocked the world”: victory over Nazi-fascism, overthrow of the colonial system, creation of the socialist camp, conquests of civilization and well-being wrested from the popular masses of imperialist countries, one of which was public schools. It is no coincidence that since the Moratti reform (2003) onwards, the teaching of contemporary history has been eliminated from primary schools and history hours reduced. Nor is it a coincidence that the first to be transformed into working days were the dates of April 25th and May 1st. Even more so after the installation of the Meloni government, made up of nostalgics of the twenty years of fascism who are giving greater impetus to that historical revisionism inaugurated years ago in a bipartisan manner with the comparison of the communist partisans to the “Salò boys”. Emblematic was the transformation of 27 January this year from a Day of Remembrance for all the victims of the Nazi Holocaust (6 million Jews, but also 3 million Soviet prisoners of war, 1.5 million other political prisoners, 4 million Slavs, as well as Roma, disabled people, homosexuals) on the day of the victims of the Shoah only and the ban on demonstrations in support of the Palestinian resistance branded more or less openly as “anti-Semitic”.

Promoting ignorance of history is an ingredient of the dismantling of public schools that has been going on for forty years now, to which is now also added the high cost of living, the reduction of beds in public student residences, the increase in rents in university cities, increases in canteen and transport services. From places of education, classrooms increasingly become reservoirs of free labor for the capitalists’ factories or of future soldiers to be used as cannon fodder in the “piecemeal third world war” into which the US, EU and Zionist imperialists are also dragging our country.

Ignorance, intoxication of public opinion, brutalization of the popular masses are, combined with repression, the weapons that the ruling class has at its disposal to try to prolong the life of its system, to divert the popular masses from the class struggle. They cause damage, of course, but they are the confirmation that the permanence of his power is the intellectual and moral decadence of humanity, it’s the destruction of the conditions of life on Earth. They are confirmation that only the popular masses can build a future of order and progress (Ordem and Progress like says the motto of Brazilian national flag).

For all young people and workers who today organize themselves to build their future and want to know the history of their own class, a history from which to draw lessons, a method of reasoning, in short the tools to build the path to their own emancipation, Edizioni Rapporti Sociali have decided to publish a Manual of Contemporary History in three volumes, the exposition of which is based on principles, criteria, methods and contents of historical, social and political analysis specific to the proletariat. A manual from which the role of the masses in history and of the class struggle as the engine of social transformation emerges. A manual that explains the facts and does not limit itself to lining them up with pedantic notions, which illuminates the past and therefore the present, which fascinates teachers, students, workers in which the aspiration for a society without exploitation lives.

To produce this Manual we have drawn from the experience of the Anton Makarenko Basic School, an evening school open to young people and workers that teaches Italian and history where, over the years, dozens and dozens have studied, experimented and discussed the texts that we are preparing to to publish. An expensive undertaking for us, this publication. One of the ways through which the ruling class tries to prevent the circulation of ideas autonomous from its conception of the world is to impose disadvantageous economic conditions on independent publishing houses, just as it prevents the aggregation of the masses by economically strangling people’s houses and similar bodies.

For this reason, we therefore ask the students, the teachers mobilized in defense of the school and the university, the workers who are conscious and eager to undertake the path of studies that the ruling class has denied them, to anyone who wants to research in glorious history of the conquests of the workers’ and communist movement, the answers to mobilize and be protagonists of the historical phase we are going through, to financially support our editorial project.

Let’s take back our future. Let’s give ourselves the tools to do it!

Source: Partito dei CARC

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

ALESSIO BRANCACCIO SCRIVE A HISTADRUT, IL SINDACATO CONFEDERALE ISRAELIANO EQUIVALENTE DELLA CGIL IN ITALIA IN MERITO AL RILASCIO DEGLI OSTAGGI ISRAELIANI NELLE MANI DI HAMAS E DI SOLLEVARE DAL POTERE NETANYAHU IN ISRAELE

Good evening to all your Histadrut staff, I’m comrade Dr. Alessio Brancaccio of the Partito della Rifondazione Comunista of Abruzzo region in Italy and honorary member of the Al-Rahma Charity Association of Khan Younis https://rahma4gaza.org/en/ in the Gaza Strip fan of historic PLO leader Yasser Arafat, so I’m in solidarity with the Palestinian cause. You also know very well that this genocide has nothing to do with the Israeli people, the majority of them do not want it, I am sure of this, it is only a personal war carried out by Prime Minister Netanyahu who is continuously supported in money and weapons from the decadent old American with the “talking butt” Biden is no longer willing to give weapons to Netanyahu: I hope you have learned that the amendment to give another 60 billion dollars in weapons to Israel was passed in the Senate, but the The American House is opposed, therefore the amendment itself was blocked, while Joseph Borrell the catalan Vice President of the EU Security Council in Brussels rightly said that Biden must stop supplying weapons to Netanyahu if the military response has “been exaggerated”, so in my opinion we can stop all this horrible mess by not always asking for a permanent ceasefire in Gaza, because you know well that Netanyahu the criminal is not willing to negotiate and will continue to bomb you for other months and months until December 2024 and you you don’t want to see more deaths among your people and among the Palestinians, so the only way is to create the conditions to remove the Zionist with the protruding mouse ears from power without continuing to suffer further losses in the IDF, amidst Hamas ambushes among the ruins of destroyed cities and the diseases encountered by Israeli soldiers on the battlefield on land in the Gaza Strip. As a mediator for the Palestinian cause, I propose the only possible way to get your hostages back from Hamas which can only happen through the release of all the Palestinian prisoners imprisoned by Netanyahu in your occupation prisons, otherwise we will continue to see massacres among your soldiers and my Palestinian civilians at least through 2024! If Netanyahu is not willing to deal with this, you must create the conditions to remove him from power, without letting him reach the end of the legislature, because he will do everything to continue this genocide in Gaza to the bitter end until the date of the next national elections which he does not has still called and I remind you that the International Court of Justice in The Hague in the Netherlands was very clear with Netanyahu: “to prevent acts of genocide”. Organize as unions, band together, unite and send Netanyahu home as soon as possible! 

We’ll remain in contact for further upcoming negotiations, thank you for your attention.”

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

MOGOL: “LUCIO BATTISTI ED IO CHIAMATI FASCISTI”/ “IL NOSTRO ERA INNO ALLA LIBERTA’”

Pubblicazione: 13.03.2023 – Marta Duò

Mogol ricorda la musica del passato e analizza le minacce al cantautorato del presente rappresentate soprattutto dal social: “sono un danno per la musica”

Mogol Rai 1
https://www.ilsussidiario.net/news/mogol-lucio-battisti-ed-io-chiamati-fascisti-il-nostro-era-inno-alla-liberta/2504490/

Giulio Rapetti, più conosciuto come Mogol, parla della musica di ieri e di oggi, tra nomi indimenticabili e canzoni destinate a essere presto dimenticate. “Io figlio di un antifascista mi sentivo dare del fascista insieme a Lucio (Battisti, ndr) semplicemente perché non facevamo canzoni politiche, perché non avevamo scritto ‘Contessa’  – ricorda Mogol al quotidiano La Verità – Mi angosciai e mi stupii perché facemmo un concerto al Covent Garden a Londra e ci accolsero nel silenzio più rispettoso dove la musica e le parole creavano emozioni e armonia. Mentre in Italia per aver scritto “Volando sopra un bosco di braccia tese” siamo stati accusati di fascismo. Se uno vede la copertina del disco si accorge che ci sono due braccia protese verso il cielo. Era un inno di libertà. Allora abbiamo scelto di non cantare più in pubblico. Per me è stato un dolore perché credo che la democrazia sia l’unica forma possibile di governo”.

A oggi, Mogol ritiene che “non ci sono canzoni memorabili, che la gente ricorda come succede con le canzoni di Lucio” e che “quando la musica e il testo sono un’espressione poetica c’è un evoluzione culturale nella gente. Per saper discernere tra le canzoni che hanno molte visualizzazioni sui social e le canzoni che si radicano nella memoria delle persone serve competenza. La parola è centrale nella cultura popolare che ha mille espressioni”.

Mogol, “i social minacciano il diritto d’autore: sono un danno perché…”

Mogol, all’anagrafe Giulio Rapetti, nella sua intervista a La Verità vuole anche commentare il modo in cui i social possono mettere in pericolo la musica e il cantautorato, anziché contribuire alla diffusione di nuovi brani. “La tutela del diritto d’autore è fondamentale e la minaccia è continua” spiega, perché “il pericolo viene dalle piattaforme digitali che sono quelle che usano la musica e la gettano. Perciò serve una tutela forte. Prima della Siae nacque la società degli autori francesi e andò così; tre autori pranzarono in un gran ristorante di Parigi e al momento del conto non pagarono dicendo: voi sfruttate la nostra musica e noi sfruttiamo la vostra cucina. Con i social bisogna fare la stessa cosa. Sono un danno per la musica perché non riconoscono i dritti degli artisti”.

E a conclusione del suo dialogo, Mogol vuole concludere con un messaggio per il futuro: “dobbiamo avere due convinzioni: accettare qualsiasi cosa il destino ci riservi perché questo vale più di una preghiera; essere consapevoli che al momento di andarcene l’unica cosa che portiamo via e per la quale saremo giudicati è come abbiamo agito nella vita. Se siamo intelligenti dobbiamo dimostrare di aver vissuto degnamente. Tutto il resto è polvere”.

Fonte: Il Sussidiario

https://midiconoche.com/2017/01/12/hegel-e-battisti-cosa-hanno-in-comune/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

LA BATTAGLIA DI ORTONA, ORTONA’S BATTLE, ABRUZZO, ITALIA ITALY, 20-28 DICEMBRE 1943 20-28 DECEMBER 1943, LA “STALINGRADO D’ITALIA”

Vasto (CH) Abruzzo, lì 12 Dicembre 2023 ore 18.09

Buonasera a tutti e a tutte coloro che sono appassionati/e di Storia come me: questa sera andremo insieme alla riscoperta di una battaglia molto importante combattuta durante la Seconda Guerra Mondiale ad Ortona in Abruzzo, 40 km da Pescara tra il Canadian Regiment canadese di liberazione dal Nazismo ed i nazisti tedeschi per il controllo strategico della città di Ortona a Mare, città costiera che sorge lungo il lato del Mare Adriatico dove finisce la linea difensiva Gustav o Gustav Line voluta da Adolf Hitler in persona per la difesa dei territori italiani occupati dal nazismo a Nord dell’Italia e dal fascismo, come la Repubblica di Salò in Lombardia. Chi vi scrive in questa sede è un uomo che ha vissuto per 21 anni ad Avezzano, il capoluogo del distretto interno della Marsica, meglio conosciuta come Caput Frigoris per quanto è freddo ed umido il clima d’inverno, una città dove tra il 1939 ed il 1944, a pochi passi dalla mia ultima casa, vi era il quartier generale del Villino Cimarosa a via Domenico Cimarosa 2 del camerata Albert Konrad Kesselring, il Feld maresciallo considerato la mente strategica della Luftwaffe, la principale forza aerea difensiva della Germania nazista ed al quale Hitler in persona affidò il compito di difendere ad ogni costo la Linea Gustav, la linea difensiva che partiva da Anzio nel Lazio sul Mar Tirreno ed arrivava a Ortona in Abruzzo, sul Mare Adriatico, passando per paesi interni dell’Alto Sangro, come Castel di Sangro, Pietransieri vicino Roccaraso, dove vi fu l’Eccidio dei Limmari: il 21 Novembre 1943 i nazisti trucidarono per rappresaglia, per aver appoggiato la Resistenza partigiana e gli inglesi che si nascondevano tra le montagne intorno al paese 128 persone, tra i quali 60 donne, 34 bambini e molti anziani, un evento terribile di rappresaglia contro civili inermi che sconvolse l’intero Abruzzo e l’Italia intera.

Pietransieri Racconta, l’Eccidio dei Limmari, Pietransieri Alto Sangro, Abruzzo, Italia 21 Novembre 1943
https://www.pietransieri-racconta.com/la-storia-di-pietransieri/eccidio-di-limmari/

La vera storia della battaglia di Ortona, la Stalingrado d’Italia

Il 19 e 20 dicembre del 1943 nella cittadina abruzzese il sacrificio di 2 mila soldati canadesi del Canadian Regiment, venuti a morire in territorio abruzzese per liberarci dalla tirannia e dall’odio del nazifascismo

Rappresentazione iconografica della Battaglia di Ortona, combattuta tra canadesi e tedeschi tra il 19 ed il 28 Dicembre 1943
https://www.lastampa.it/cultura/2016/12/19/news/la-vera-storia-della-battaglia-di-ortona-la-stalingrado-d-italia-1.34758776/

ANDREA CIONCI

19 Dicembre 2016 alle 06:00

In pochi conoscono la vera storia e gli inquietanti retroscena della Battaglia di Ortona (20-28 dicembre 1943) passata alla storia come la “Stalingrado d’Italia”: gli errori di Montgomery, l’accanimento su un obiettivo inutile, ma irrimediabilmente enfatizzato dalla propaganda, il sacrificio di duemila soldati canadesi per tranquillizzare i sovietici, la falsa attribuzione della distruzione della cattedrale, gli stupri perpetrati dalle truppe indiane.

Con il contributo degli storici della battaglia, le testimonianze di reduci e civili, e perfino attraverso l’indagine sul campo con metal detector, proveremo a riassumere questa tragica vittoria di Pirro che, per le sue tecniche combattive, rimase un unicum su tutto il fronte occidentale. Come Stalingrado, anche la cittadina abruzzese – sebbene in scala minore – fu un inferno di corpo a corpo, trappole esplosive, combattimenti “stanza per stanza” che spezzarono i nervi ai soldati alleati che vi presero parte, tanto da non poter essere più inviati in prima linea. Molti di questi reduci smisero per sempre di festeggiare il 24 dicembre a causa del terrore che il Natale di sangue del 1943 aveva irrimediabilmente impresso nella loro psiche, 80 anni fà: quest’anno infatti ricorre l’80esimo anniversario della Battaglia di Ortona (1943-2023).

1.La linea Gustav

Erano passati cinque mesi da quando gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia. Nonostante l’eroica – quanto dimenticata – resistenza della divisione “Livorno” del Regio Esercito (che lasciò sul campo 9.000 dei suoi 13.000 effettivi) gli Alleati avevano conquistato, senza ulteriori difficoltà, il sud della penisola e avevano iniziato a marciare verso Roma. Tuttavia, se gli statunitensi, guidati lungo la costa tirrenica dal generale Clark, furono bloccati a Cassino, l’armata anglo-canadese (comprensiva anche di neozelandesi, indiani, sudafricani, australiani) agli ordini di Montgmomery, si impantanò a Ortona mentre risaliva lungo la costa adriatica. Fra le due cittadine si tendeva, infatti, la Linea Gustav, la prima di una serie di fortificazioni e trincee volute da Hitler per arrestare una prevedibile invasione dell’Italia.

Carri armati medi M4 Sherman canadesi schierati sul fonte adriatico
Paracadutisti (Parà) tedeschi sorvegliano il territorio abruzzese dalla Linea Gustav

2.Gli errori della “Faina”

Il piano di Montgomery era quello di sfondare a Ortona, raggiungere Pescara, poco più a nord e da lì percorrere la Tiburtina per prendere Roma da est. “Un piano già pensato male – spiega Marco Patricelli, storico di fama internazionale e autore del volume “La Stalingrado d’Italia”(ed. Utet) – perché gli inglesi sottovalutavano le difficili condizioni meteo che avrebbero trovato cercando di attraversare l’Appennino abruzzese, con un esercito meccanizzato, in dicembre. Un altro errore di Montgomery fu quello di non tentare, immediatamente dopo la faticosa vittoria sul fiume Sangro, di conquistare Ortona, ancora non fortificata dai tedeschi. Prese tempo per dotarsi di mezzi e materiali, come era suo costume, e questo consentì ai nazisti di innescare una delle più micidiali trappole di tutta la Seconda Guerra Mondiale”.

Montgomery sul Sangro inaugura il nuovo ponte. 14 Dicembre 1943
Un ritratto a olio di Montgomery

3.La campagna mediatica

Ortona avrebbe potuto essere tranquillamente aggirata, se non fosse stato per la stampa alleata che, grazie ai suoi giornalisti “embedded”, (integrati al seguito delle truppe), aveva dato un’importanza spropositata alla conquista della cittadina abruzzese. “Si trattava, infatti – continua Patricelli – di un’operazione mediatico-politica: Stalin, dopo la vittoria ottenuta l’anno prima, a carissimo prezzo, a Stalingrado, cominciava a lamentarsi dell’immobilismo degli Alleati in Italia. Occorreva dare un segnale e, non a caso, furono invitati a Ortona ufficiali sovietici in funzione di osservatori”. Di fronte alla campagna mediatica suscitata dal nemico, anche per Hitler divenne imperativo difendere la città: “Die Festung Ortona ist bis zum letzten Mann zu halten!” – “La Fortezza Ortona deve essere difesa fino all’ultimo uomo!” ordinò, perentorio, al Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia.

Foto di propaganda con soldati canadesi
Il corrispondente di guerra canadese Mattew Halton

4.Gli specialisti della guerra

A Ortona fu quindi fatta confluire la 1° divisione dei Fallschirmjäger (paracadutisti) che, fino ad allora, avevano ceduto elasticamente terreno in Italia meridionale seguendo la strategia difensiva di Kesselring. In Germania erano soprannominati “Pompieri del fronte” perché, analogamente alle Waffen SS sul fronte orientale, erano truppe scelte che venivano inviate per “spegnere” i più pericolosi sfondamenti avversari. “Nonostante vi fossero tra loro giovanissime reclute – spiega Andrea Di Marco, autore del volume “Assolutamente resistere” (ed. Menabò) – in buona parte, questi parà erano reduci delle campagne Creta, di Norvegia, di Russia e soprattutto delle battaglie in area urbana svoltesi a Centuripe, in Sicilia. Formati idealmente nella Hitler Jugend, erano combattenti esperti e possedevano uno spirito di corpo formidabile. Tuttavia, come risulta dai loro diari, sebbene sentissero forte il valore dell’obbedienza agli ordini, (il “Führerprinzip”, “Principio del capo” costituivo dell’onore del soldato tedesco), si domandavano anch’essi che senso avesse difendere ad ogni costo quella cittadina, strategicamente insignificante”.

Equipaggiamento di Fallschirmjaeger 1943

Nel ’43, i tedeschi in Italia erano motivati a combattere anche per difendere la Germania dai bombardamenti alleati. Dalla Sicilia, gli aerei angloamericani potevano raggiungere, all’incirca, solo la Baviera, ma quanto più spazio avessero guadagnato in Italia, tanto più territorio tedesco avrebbero potuto bombardare.

“Come truppe scelte – spiega Massimo Lucioli, vicepresidente dell’associazione di rievocatori Historica XX secolo – i Fallschirmjäger possedevano un equipaggiamento altamente specialistico. Mentre i canadesi avevano in dotazione l’equipaggiamento standard inglese, (elmetto piatto, fucile Enfield e giberne in canapa, con l’unica eccezione del mitra americano Thompson) i parà germanici disponevano di elmetti speciali, dalle falde accorciate per non subire danni al collo durante il lancio, nonché di giubbe, calzature e buffetterie appositamente disegnate per loro”.

Fallschirmjaeger tedeschi

5.Casa Berardi

Per i soldati canadesi comandati dal generale Chris Vokes, dei quali molti appena diciottenni, Ortona era il grande momento per dimostrare al mondo il loro valore. Sapevano che si sarebbero confrontati con l’élite delle forze armate naziste, ma erano ottimisti. Dopotutto, erano numericamente il triplo degli avversari, disponevano di una logistica ben organizzata, di abbondanza di cibo e di una spaventosa artiglieria terrestre e navale. Tuttavia, l’inesperienza, – per quanto unita al coraggiodei canadesi si rivelò fatale, fin da subito, nella conquista del primo avamposto tedesco: Casa Berardi. E’ questo un casale situato ancor oggi alle porte di Ortona, che domina una ripida valle che i canadesi battezzarono “The Gully” – “La Gola” e che si trasformò in breve tempo in un cimitero per i loro carri armati Sherman M4. “Dì a Monty – sbraitò il generale Vokes a una staffetta di Montgomeryche se venisse in questo inferno, a vedere in quale pantano ci siamo ficcati, saprebbe benissimo perché non avanziamo!”

Casa Berardi durante la guerra e com’è oggi
Carri armati M4 Sherman canadesi distrutti nella gola sotto Casa Berardi

6.Un testimone oculare

L’agricoltore Nicola Paolini, di 83 anni, vera memoria storica di Ortona, vive ancor oggi sul crinale opposto a Casa Berardi. Aveva dieci anni quando fu testimone dell’assedio all’avamposto: “Nella casa erano asserragliati cinque soldati tedeschi, con una mitragliatrice, alcuni lanciarazzi e un carro armato (Panzerkampfwagen IV, n.d.r.) nascosto dietro l’edificio. I carri canadesi attaccarono dapprima frontalmente, attraversando il fosso, e nove furono distrutti. Allora, tentarono un aggiramento da sinistra, su strada, ma alla prima curva, altri due furono centrati da un cannoncino anticarro che i tedeschi avevano già nascosto sotto il profilo del terreno”.

Il capitano Triquet con la Victoria Cross

Tutta la battaglia fu, infatti, accuratamente disegnata sul campo dai parà nazisti, che prevedevano i movimenti di carri e fanti nemici e li convogliavano verso punti di annientamento. “Fu solo il colpo di genio del capitano canadese Paul Triquet – continua Paolini – a sbloccare la situazione: ebbe l’ardire di passare a destra della Casa Berardi in un territorio già occupato dai nemici. In questo modo, poté sorprendere il loro unico Panzer e metterlo fuori combattimento. La strada per Ortona era aperta e Triquet fu il primo canadese a essere decorato con la Victoria Cross britannica”.

Una baionetta tedesca rinvenuta nei pressi di Casa Berardi

Ancor oggi, intorno a Casa Berardi, si possono trovare, con il metal detector, un’infinità di schegge di granate alleate. Aperte in quattro petali, le spolette esplose sembrano dei grossi fiori di ottone massiccio, e recano ancora stampigliati modello e anno di costruzione. Per calibro e quantità restituiscono con immediatezza, pur a settant’anni di distanza, il tremendo volume di fuoco che l’artiglieria anglo-canadese scaricò sugli avversari. Il terreno ha restituito perfino una baionetta di fucile Mauser k 98 tedesco, ormai ridotta a uno spezzone di ruggine, ma senza dubbio evocativa.

Una spoletta – esplosa – di proietto d’artiglieria alleata

7.I combattimenti “stanza per stanza”

Fu proprio il combattimento all’arma bianca una delle caratteristiche più cruente e “medievali” della Stalingrado italiana. Come ben spiegato presso il Museo della Battaglia di Ortona, i tedeschi avevano fatto crollare i palazzi delle tre direttrici principali della città, che vanno da Porta Caldari alla piazza del Municipio. I detriti impedivano, così, il passaggio ai carri: non appena uno di questi tentava di salire su un cumulo di macerie, infatti, esponeva il ventre, meno corazzato, ai colpi del Panzerschreck, una versione del bazooka che, dalla Tunisia, i tedeschi avevano copiato dagli americani.

Canadesi avanzano tra le macerie
Canadesi sotto il fuoco nemico. Uno di loro giace ferito o morto
Un soldato canadese del Canadian Regiment spara con il suo fucile di precisione dall’apertura di una casa ad Ortona, Dicembre 1943
Un soldato canadese del Loyal Edmonton Regiment del Canada spara con il suo fucile contro una postazione tedesca ad Ortona, Dicembre 1943

Senza poter avvalersi degli Sherman, i fanti canadesi dovettero impegnarsi nei combattimenti casa per casa, fra le macerie. Continuamente bersagliati, furono costretti a traforare l’interno delle abitazioni pur di avanzare al coperto: una volta liberato uno stabile, dal secondo o terzo piano, facevano saltare le pareti divisorie, per passare nell’edificio contiguo, ma non di rado i Fallschirmjäger li aspettavano dall’altra parte e, approfittando del polverone, colpivano gli avversari ancora frastornati dall’esplosione. Si dovettero quindi innalzare dei ripari prima di minare le pareti delle case. Nonostante questi continui adattamenti, i soldati venuti da oltre Oceano continuavano a cadere per i trappolamenti esplosivi, le mine anticarro e antiuomo, gli agguati corpo a corpo, e il fuoco incrociato dei cecchini. Impiegarono una settimana per conquistare 500 metri di territorio urbano; fu un combattimento così devastante per i loro nervi che dopo Ortona nacquero degli studi psicologici sui danni provocati dallo stress da combattimento. Anche per i più esperti paracadutisti tedeschi, schiacciati dall’inferiorità numerica e dai tassativi ordini di resistenza, fu un’esperienza psicologica terribile. Una drammatica foto ricorda la vicenda del sottotenente Ewald Pick il quale, non potendo più sostenere l’assalto nemico e avendo ricevuto via radio l’ordine di resistere ad ogni costo, ebbe un crollo nervoso. Si alzò dalla postazione, andò tranquillamente a fumare una sigaretta sulla fontana, al centro della piazza, e si fece fulminare dalle fucilate canadesi.

Parà tedeschi con Panzerschreck dietro a uno Sherman distrutto

8.Militari e civili

Le perdite tedesche, tra morti, feriti e dispersi furono circa 870; quelle canadesi intorno alle 2.340 e le vittime civili furono circa 1300. Nonostante gli occupanti si fossero attivati per far sfollare la popolazione prima della battaglia, l’ordine non fu rispettato da tutti i cittadini molti dei quali non si rendevano conto del pericolo incombente. Il rapporto fra militari dei vari eserciti e i civili, riferito dagli ortonesi che vissero quel periodo, fu più complesso rispetto ai cliché sedimentati nell’immaginario comune.

Nicola Paolini, testimone dell’assalto canadese a Casa Berardi

“I miei nonni – racconta Nicola Paolini – si erano riparati in una grotta sotto al crinale dietro il quale si erano accampati gli Alleati. Un giorno, il nonno fu arrestato dai canadesi che lo ritenevano, erroneamente, una spia e la nonna, completamente paralizzata, rimase abbandonata nella grotta. I parà germanici, di notte, passando a pochi metri dai nemici, portavano da mangiare all’anziana rimasta sola”. Ciò che emerge dalle testimonianze è che nonostante i tedeschi avessero fatto saltare il porto di Ortona, per impedire l’attracco alle navi nemiche, avevano mantenuto un rapporto sostanzialmente corretto con la popolazione, forse anche per la rigida disciplina cui erano avvezzi.

Soldati canadesi perquisiscono prigionieri tedeschi

I canadesi furono accolti con grande benevolenza, come liberatori, e aiutarono i civili nella prima riorganizzazione di una vita normale, dopo la battaglia. Tuttavia, dato che erano poco abituati al vino, (le cantine di Ortona ne abbondavano) si verificarono diversi problemi disciplinari dovuti all’ ubriachezza. Gli inglesi erano percepiti come militari intransigenti, ma erano anche quelli che potevano controllare le intemperanze dei loro alleati. I più temuti di tutti dalla popolazione furono gli indiani, presenti nel contingente alleato, che, a detta di numerosi testimoni, compirono stupri su donne e ragazzi.

Un civile ortonese si aggira per le macerie

9.L’ultimo massacro e la distruzione della Cattedrale

Dopo la notte di Natale in cui i canadesi cenarono con birra, maiale in salsa di mele e pudding (l’ultimo pasto per molti di loro) la battaglia entrò nella fase finale, ma si completò con un ulteriore disastro. Una volta riusciti a percorrere le tre vie principali, le forze alleate confluirono e si ammassarono incautamente nella piazza del Municipio. Qui, alcuni cecchini tedeschi appostati sulla torre dell’orologio ne fecero strage. “Ebbi modo di parlare con uno di loro – spiega Marco Patricelli – il quale mi riferì che alla fine, disgustati loro stessi da tanta carneficina, si limitavano a tirare solo su ufficiali e sottufficiali, per lasciare senza guida la truppa”. Nonostante la ferocia dei combattimenti, non furono rari gli episodi di reciproca cavalleria fra i due schieramenti e di comprensione umana per il nemico ferito o catturato.

Danni di guerra della Cattedrale di Ortona

Alle spalle del Municipio sorge la Cattedrale di San Tommaso, il cui campanile e la cupola furono distrutti il 21 dicembre. “Una leggenda vuole – continua Patricelli – che fosse stata minata da un ufficiale germanico, protestante, in odio al culto cattolico delle reliquie di San Tommaso Apostolo ivi custodite. I documenti militari e il diario del maggiore canadese Bert Hoffmeister hanno però dimostrato che la cattedrale fu presa a cannonate dall’artiglieria navale alleata in quanto forniva un punto di osservazione privilegiato al nemico”.

Un infermiere canadese dà da bere a un sottufficiale tedesco ferito
Un parà tedesco caduto

10.Vittoria?

Il 28 dicembre 1943, gli ultimi Fallschirmjäger si ritirarono dalla città, ormai rasa al suolo; si arroccarono appena 5 km a nord, sul fiume Riccio, dove resistettero per sei mesi, fino alla liberazione di Roma, avvenuta il 4 Giugno dell’anno successivo.

Tatticamente, Ortona fu una vittoria alleata, anche se Montgomery non la incluse nelle sue memorie, fermandosi al successo ottenuto sul fiume Sangro. Strategicamente, invece, può essere considerata una vittoria dei tedeschi: con pochi uomini erano riusciti a ritardare l’avanzata dell’avversario angloamericano dissanguandolo per ogni palmo di terreno conquistato. Dopo aver subìto lo sfondamento della Gustav a Cassino, e aver perso Roma, i nazisti nuovamente si attesteranno sulla Linea Gotica, tra Pisa e Rimini, mantenendo il fronte per altri quattro mesi. L’obiettivo di Churchill di far stornare al nemico molte divisioni nella Campagna d’Italia era fallito, e questo renderà, agli Alleati, molto più dura la conquista della Normandia, che prenderà il via con il D-Day del 6 giugno 1944.

Un edificio di Ortona rimasto com’era dal 1943
Il cimitero canadese di Ortona: Moro War Cemetery, località Moro Ortona, Abruzzo Italia
https://www.cwgc.org/visit-us/find-cemeteries-memorials/cemetery-details/2018200/moro-river-canadian-war-cemetery/
Cimitero militare canadese di Ortona, Moro War Cemetery
https://www.google.com/maps/place/Cimitero+Militare+Canadese+di+Ortona/@42.3362449,14.414196,580m/data=!3m2!1e3!4b1!4m6!3m5!1s0x13310388174fc31d:0x7da01775cadbabec!8m2!3d42.3362449!4d14.4167709!16s%2Fg%2F1q6fs73ng?hl=it&entry=ttu

La sorpresa del carro armato medio canadese Sherman M4 nella rotonda all’ingresso di Ortona

Per ricordare il sacrificio del capitano canadese Richard Maurice Dillon, caduto valorosamente in battaglia ad Ortona per mano dei nazisti il 24 Dicembre 1943, il Canadian Regiment di cui il capitano faceva parte donò il carro armato alla vedova Dillon, la quale come atto di magnanimità ad eterna memoria amorevole del marito, decise di donarlo alla comunità degli ortonesi ed oggi il carro armato medio M4 Sherman si trova nella rotonda all’ingresso della città, dove si svolse una battaglia cruciale ai fini dell’esito della Seconda Guerra Mondiale in Italia ed, ancora oggi, la Stalingrado d’Italia è la battaglia meno nota di tutte quelle che sono state combattute durante la Seconda Guerra Mondiale stessa.

Disegno di un carro armato medio M4 Sherman canadese affidato al Canadian Regiment dagli inglesi per liberare dai tedeschi la città di Ortona

Ho voluto ricordare questa mattanza di soldati canadesi e tedeschi narrando questa battaglia storica della Seconda Guerra Mondiale dimenticata che si combattè nella porzione costiera del Mare Adriatico in Abruzzo per mantenere alta, eterna la memoria di tutti quei giovanissimi soldati, i quali partirono da paesi lontanissimi, dal Canada, Nuova Zelanda, Australia, India, percorrendo ben 20 mila km per venire a morire in Italia sottoi colpi dei tedeschi in pieno onverno, senza poter sentire il canto delle cicale in primavera, tutto questo nel nome della difesa della libertà delle persone di tutto il Mondo, per impedire che esso cadesse completamente per 1000 anni nelle mani della follia ideologica nazista e neonazista, che ieri come oggi, ancora non è stata e forse mai verrà sconfitta.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

AMBASCIATORE DEL CATONGA GIORGIA MELONI, 13 MINUTI DI FIGURA BARBINA DA ZELIG

13 minuti di figura barbina da Zelig – Torquato Cardilli

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

ALZARE OVUNQUE LA BANDIERA PALESTINESE

https://www.carc.it/2023/10/13/alzare-ovunque-la-bandiera-palestinese/

di Agenzia Stampa CARC – Ottobre 13, 2023

Nessuna divisione fra buoni e cattivi, nessuna equidistanza: sostenere la lotta del popolo palestinese senza se e senza ma

La mattina del 7 ottobre la resistenza palestinese ha inferto un colpo durissimo ai sionisti d’Israele, un colpo senza precedenti nella storia della lotta di liberazione della Palestina.
La reazione scomposta e la barbara rappresaglia dell’esercito sionista, degli imperialisti Usa e di tutta la comunità internazionale di cui sono alla testa ne sono dimostrazione.
La resistenza palestinese ha raggirato il più esteso e sviluppato sistema di controllo del mondo, ha eluso il più sofisticato servizio segreto del mondo, ha sbaragliato il secondo esercito più equipaggiato, armato e tecnologicamente avanzato del mondo.
Bando al complottismo! Una simile operazione sarebbe stata impossibile senza l’ampio supporto e il sostegno delle masse popolari palestinesi alle organizzazioni politiche e militari della resistenza.
Questo è uno degli aspetti che i sionisti e gli imperialisti non riescono a ingoiare, questo è l’esempio che vogliono cancellare il prima possibile con una cortina fumogena di intossicazione e disinformazione mentre stanno radendo al suolo la Striscia di Gaza e ne stanno sterminando la popolazione.
L’operazione della resistenza palestinese parla a tutte le masse popolari del mondo, a quelle dei paesi oppressi dall’imperialismo, ma anche a quelle dei paesi imperialisti; dimostra che gli imperialisti sono giganti dai piedi di argilla, che resistere è possibile, che contrattaccare è possibile, infliggere colpi fatali al nemico è possibile anche di fronte a una schiacciante disparità di forze.
Di fronte al massacro di rappresaglia che i sionisti stanno compiendo a Gaza con il benestare di TUTTI i governi dei paesi imperialisti e delle loro istituzioni internazionali, il popolo palestinese ha bisogno della solidarietà delle masse popolari di tutti i paesi e in particolare della solidarietà delle masse popolari dei paesi imperialisti.

Approfondimento – “Il sionismo è fratello gemello del fascismo e del nazismo” – (nuovo)PCI, 5 aprile 2002

Fin da subito, dal 7 ottobre, è iniziata la martellante opera di disinformazione e intossicazione dell’opinione pubblica a livello mondiale. Una manovra poliedrica basata su fake news, revisionismo storico, moralismo d’accatto, sensazionalismo, terrorismo mediatico e razzismo, tutto combinato in modo da spacciare gli aggressori sionisti per aggrediti, i resistenti palestinesi per terroristi, fino a descrivere la popolazione civile palestinese come una razza “sub umana” e invocare per Gaza “la soluzione finale” come i nazisti la invocavano per gli ebrei.
È un coro a reti unificate alimentato da giornalisti, intellettuali, politicanti di tutti gli schieramenti, esponenti istituzionali che vanno dal sindaco di Terni alla Presidente della Commissione europea, è il messaggio scritto a caratteri cubitali su tutti i giornali, ripetuto in tutte le trasmissioni e su tutti i canali e proiettato sui monumenti e sui palazzi istituzionali.
È un messaggio ripetuto allo sfinimento, al punto che anziché essere convincente, chi lo ripete si mostra per quello che è, disperato. La propaganda di regime sta impiegando TUTTE le sue forze e risorse per debellare la solidarietà verso il popolo palestinese che esiste fra le masse popolari. Il più classico degli espedienti è dividere il fronte della resistenza palestinese fra “buoni” e “cattivi”.

Nonostante il contrattacco del 7 ottobre sia stato un’operazione congiunta di TUTTE le organizzazioni della resistenza palestinese, la propaganda di regime ha assegnato il ruolo dei cattivi ad Hamas che è l’organizzazione principale e maggioritaria e partito di governo nella Striscia di Gaza. Pertanto, a fianco di chi con la bava alla bocca invoca di radere al suolo la Striscia di Gaza, si esprime anche una schiera di anime belle e “democratici” che incita a “isolare Hamas”, “cancellare Hamas”, “annientare Hamas” perché “Hamas è come l’Isis”, “tagliagole, jihadisti, clerico-fascisti e reazionari”.
Chi cade nel tranello e si intruppa nella schiera di chi invoca “la distruzione di Hamas”, si schiera al fianco di chi vuole distruggere la principale organizzazione della resistenza palestinese, cioè si schiera al fianco di chi vuole distruggere tutta la resistenza palestinese, cioè si schiera – ne sia cosciente o meno – al fianco dei sionisti, dei loro alleati e dei loro servi. 

Approfondimento – “Alcuni compagni sono talmente indignati delle nefandezze commesse dal clero reazionario musulmano, da fermarsi alla denuncia di esse. In effetti la direzione del clero ha portato la rivoluzione democratica antimperialista a sanguinarie pratiche settarie. Ma noi comunisti per venire a capo della situazione dobbiamo anzitutto trovare risposte alla questione: “Perché noi comunisti abbiamo perso la direzione della rivoluzione”, oppure “Perché noi comunisti non siamo riusciti a prendere noi la direzione della rivoluzione?”.
Quanto al clero reazionario, esso per prendere e mantenere la direzione delle masse popolari ha però dovuto cavalcare la rivoluzione democratica antimperialista. Ovviamente lo ha fatto a suo modo, mediando tra il suo vecchio ruolo sociale reazionario e la rivoluzione democratica. Questa è continuata con forza, tanto più che gli imperialisti hanno aumentato sempre più le loro pretese ed esazioni, l’oppressione e lo sfruttamento, spinti dalla nuova crisi generale iniziata negli anni ’70 e liberati dalla pressione del movimento comunista. Hamas in Palestina è la manifestazione più chiara di un clero reazionario che si mette alla testa di una rivoluzione democratica antimperialista. Un organismo lanciato in funzione anticomunista dai sionisti d’Israele e dalla monarchia wahabita dell’Arabia Saudita (una specie di Vaticano musulmano), due braccia dei gruppi imperialisti USA, è diventato l’organizzatore più radicale della guerra contro l’occupazione sionista della Palestina, l’avamposto dell’imperialismo USA nel mondo arabo e musulmano” – da “La rivoluzione democratica antimperialista dei paesi arabi e musulmani”, La Voce del (nuovo)PCI n. 16, marzo 2004

Non è compito di chi solidarizza dall’Italia – come da nessun’altra parte del mondo – sindacare sulle forme, i mezzi e gli strumenti della resistenza palestinese.
Nessun popolo in lotta deve chiedere il permesso di lottare, né quello di usare gli strumenti e i modi che ritiene efficaci; questa è una legge universale della guerra di liberazione e della lotta per l’autodeterminazione, una legge valida sempre e ovunque da via Rasella al ghetto di Varsavia, valida in Sud Africa, nei Paesi Baschi, in Irlanda del Nord, in Angola e nel Vietnam, dalla resistenza dei Pellerossa alla guerra condotta dall’Armata Rossa Cinese dei Lavoratori e dei Contadini. Ed è valida anche per il popolo palestinese.
Del resto, la divisione fra buoni e cattivi eseguita in base a criteri stabiliti dalle forze occupanti e dai loro alleati è la tradizionale arma della classe dominante per dividere il fronte della resistenza e anche per dividere le masse popolari. Oggi i sionisti e gli imperialisti cercano di scatenare una faida fra veri o presunti “sostenitori di Hamas” e “antagonisti di Hamas” in modo da deviare l’attenzione dalle loro responsabilità tanto sul piano storico quanto rispetto al massacro che stanno perpetrando OGGI.
Che i sionisti e gli imperialisti riescano o meno nel loro intento dipende da quanto, anche in Italia, i comunisti e i rivoluzionari sono decisi a incunearsi nelle contraddizioni del nemico e a “bastonarlo mentre annaspa”.

La classe dominante è terrorizzata dall’idea che la solidarietà al popolo palestinese diventi visibile, aperta, dispiegata perché quella solidarietà è il terreno attraverso cui circola anche l’insegnamento che la resistenza palestinese ha offerto alle masse popolari di tutto il mondo: “gli imperialisti sono giganti dai piedi di argilla, che resistere è possibile, che contrattaccare è possibile, infliggere colpi fatali al nemico è possibile anche di fronte a una schiacciante disparità di forze”.
Nei paesi arabi le piazze ribollono, ma molte manifestazioni in sostegno alla Palestina si stanno svolgendo anche nei paesi imperialisti: dagli Usa alla Gran Bretagna, alla Germania. In Australia le manifestazioni sono state vietate. Il governo francese ha provato a vietarle, ma subito dopo la comunicazione del Ministro dell’interno, il 12 ottobre, migliaia di persone sono scese in strada a Parigi e in altre città e hanno resistito agli attacchi della polizia. Il governo inglese sta disponendo di rendere “illegale” l’esposizione della bandiera della Palestina.

In Italia il governo Meloni non ha ancora preso l’iniziativa di vietare iniziative e manifestazioni in sostegno alla resistenza palestinese (anche se a Roma hanno caricato il corteo alla Sapienza del 10 ottobre – vedi da Potere al Popolo), ma le Larghe Intese stanno creando il clima favorevole per farlo (vedi le minacce di Valditara ai collettivi studenteschi), anche se ciò creerebbe il presupposto per una violazione di massa dei divieti e ciò alimenterebbe  l’ingovernabilità del paese.
Nei prossimi giorni sono previste manifestazioni e presidi in moltissime città italiane e altre ne seguiranno. Non è da escludere che autorità e istituzioni prendano l’iniziativa per provocare e intimidire chi scende in piazza, alimentare la criminalizzazione del movimento di solidarietà per giustificare il restringimento degli spazi di iniziativa politica e dei diritti di manifestazione.

Se la classe dominante teme che la mobilitazione in solidarietà al popolo palestinese si estenda e si combini con le mille mobilitazioni di cui i lavoratori e le masse popolari sono già protagoniste contro il governo Meloni e le “delizie della sua agenda Draghi”, allora bisogna fare in modo che la solidarietà al popolo palestinese e le mille mobilitazioni già in atto si leghino. A partire dalle manifestazioni contro le basi militari e la Nato del 21 ottobre (a Ghedi, Pisa e Palermo), passando per le iniziative di lotta del 20 ottobre in occasione dello sciopero generale dei sindacati di base, ma soprattutto a opera e su iniziativa di chi impugnerà la bandiera palestinese per portarla di fronte alle aziende, alle scuole, agli ospedali, alle manifestazioni per la difesa della sanità pubblica, a quelle per il diritto al lavoro, a quelle degli insegnanti e a quelle contro la crisi ambientale.
Del resto c’è più di un filo che lega la resistenza del popolo palestinese alla resistenza che i lavoratori e le masse popolari del nostro paese oppongono alla crisi e alle manovre della classe dominante.
Per il ruolo che i gli imperialisti Usa e i sionisti hanno nel nostro paese, le istituzioni e le autorità della Repubblica Pontificia italiana sono complici e corresponsabili dell’occupazione della Palestina e del regime di apartheid. Per il ruolo della Repubblica Pontificia italiana nella catena dei paesi imperialisti (l’anello debole), le masse popolari italiane possono dare un enorme contributo alla causa della liberazione della Palestina e alla lotta di liberazione di tutti i popoli oppressi, rovesciando il sistema di potere su cui si basano i governi delle Larghe Intese e costituendo un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Fonte: Partito dei CARC – Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

UN GRANDE 25 APRILE PER LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE

L’INIZIATIVA. Il Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza lancia un appello per un grande e partecipatissimo 25 aprile

Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza
https://ilmanifesto.it/un-grande-25-aprile-per-la-democrazia-e-la-costituzione

Il 25 Aprile è la data del calendario civile in cui tutti i cittadini e le cittadine ricordano la Liberazione, e quindi, la Resistenza che ha cambiato la storia d’Italia con la sconfitta del nazifascismo. Con la Costituzione repubblicana e antifascista si sancì la conquista della democrazia e di libere Istituzioni.

Il 25 Aprile, che pose fine alla tragedia della guerra, fu preceduto da un ventennio di lotte antifasciste, durante il quale decine di migliaia di italiani furono perseguitati, arrestati, confinati, deportati e uccisi perché contrari al regime di Mussolini.

Ogni anno celebriamo questo giorno e rinnoviamo l’impegno in difesa di quei valori.

Quest’anno lanciamo un appello affinché il 25 Aprile sia caratterizzato da una straordinaria partecipazione unitaria di donne e uomini, giovani, famiglie, popolo.

Esprimiamo preoccupazione per dichiarazioni, decisioni e comportamenti di alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica che, in vari casi, sono apparse divisive e del tutto inadeguate rispetto al ruolo esercitato.

Si impone una netta condanna del fascismo, mentre si moltiplicano episodi di violenza e di apologia del fascismo stesso di cui si rendono protagonisti gruppi che si ispirano a quella ideologia e a quelle politiche, riaffermando in questo giorno che unisce tutti gli italiani il significato più profondo della Liberazione.

Aggiungiamo l’allarme per la grave situazione economica e sociale in cui versa l’intero Paese a causa degli effetti perversi di tante crisi che si sono sovrapposte e intrecciate, e la necessità e l’urgenza, a più di un anno dall’aggressione russa all’Ucraina, di spingere il governo italiano e l’Unione Europea a dare vita a una iniziativa diplomatica per aprire uno spiraglio di trattativa che crei le condizioni di una pace giusta e duratura.

Sosteniamo lo spirito e la lettera della Costituzione, di cui ricorre il 75° anniversario dell’entrata in vigore, che disegna una Repubblica parlamentare, antifascista, una e indivisibile, dando forma alle speranze e ai sogni di futuro di quanti combatterono e diedero la vita.

Per queste ragioni pensiamo che i valori dell’antifascismo e della Resistenza, incarnati nella Costituzione, non siano mai stati così attuali come oggi: è bene che libertà e liberazione, piena democrazia ed eguaglianza sociale, lavoro, pace, solidarietà orientino le Istituzioni della Repubblica e la vita quotidiana dei cittadini.

Per questi obiettivi e su questi valori fondativi chiamiamo cittadine e cittadini, affinché il 25 Aprile di quest’anno sia una grandissima festa unitaria, pacifica, antifascista e popolare a sostegno della democrazia e a difesa della Costituzione della Repubblica.

Il Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza:

ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

AICVAS – Associazione Italiani Combattenti Volontari Antifascisti in Spagna

ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti

ANEI – Associazione Nazionale Ex Internati

ANFIM – Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri

ANPC – Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

ANPPIA – Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti

ANRP – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia

FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane

FIVL – Federazione Italiana Volontari della Libertà

ADERISCONO ALL’APPELLO:

  • ACLI
  • Archivio Audiovisivo Movimento Operaio e Democratico
  • ARCI
  • Articolo 21
  • Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
  • Associazione Nazionale Giuristi Democratici
  • Associazione Volere la Luna Odv
  • CDC – Coordinamento Democrazia Costituzionale
  • CGIL
  • CISL
  • Comitati Democrazia Internazionale
  • Comitati Dossetti per la Costituzione
  • Coordinamento Antifascista Torino
  • Emergency
  • Fondazione CVL
  • Gruppo Abele
  • IRIAD – Istituto Ricerche Internazionali Archivio Disarmo
  • Istituto “Alcide Cervi”
  • Legambiente
  • Libera
  • Rete degli Studenti Medi
  • RIPD – Rete Italiana Pace e Disarmo
  • Salviamo la Costituzione
  • UIL
  • Unione degli Universitari

Fonte: Il Manifesto

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

NUOVA OFFESA DI LA RUSSA ALLA STORIA D’ITALIA: “NON C’È ANTIFASCISMO NELLA COSTITUZIONE”

Elena Mazzoni ALBANO LAZIALE, Italia

21 APR 2023 — 

La Russa: “Nella Costituzione non c’è riferimento all’antifascismo”. È di nuovo polemica

Dopo le dichiarazioni sull’attentato di via Rasella, il presidente del Senato è tornato a parlare in vista del 25 aprile negando la presenza dell’antifascismo nella Costituzione.

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La Russa in missione a Praga. Cerca un 25 aprile senza antifascismo

REPUBBLICA CIECA. Il presidente del Senato insiste: «La Costituzione non parla di Resistenza» e annuncia la trasferta ceca. Protesta l’opposizione

https://ilmanifesto.it/la-russa-in-missione-a-praga-cerca-un-25-aprile-senza-antifascismo

di Giuliano Santoro

La larusseide, saga poco onorevole attraverso la quale il presidente del Senato e seconda carica dello stato punta a erodere il senso dell’antifascismo, ieri si è allungata di un’altra puntata. Già nella seduta a Palazzo Madama di due giorni fa, quando si erano votate le mozioni sulla memoria e le date fondative della Repubblica, Ignazio La Russa aveva trovato il modo di segnalare che «la Costituzione non parla di antifascismo».

Ha approfondito il concetto dicendo ancora: «Nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo – ribadisce La Russa – Credo che ciò accadde sotto la spinta dei partiti moderati che non volevano fare questo regalo al Pci e all’Urss». Resta insomma l’idea che la lotta contro il nazifascismo sia stata manipolata dai «rossi» e che per questo debba essere archiviata insieme al comunismo, che viene ridotto a una forma totalitarismo alla stregua del nazifascismo.

QUESTA EQUIPARAZIONE emerge anche dalla risposta alla domanda: cosa farà La Russa il 25 aprile? Aveva detto che avrebbe trovato il modo di «non scontentare nessuno». Scorrendo la sua agenda si apprende dunque che al mattino, come era previsto, si recherà all’Altare della patria con Sergio Mattarella, Giorgia Meloni e Lorenzo Fontana. Poi, ecco la novità, partirà per Praga. Ha colto al volo l’occasione di partecipare alla riunione dei presidenti dei parlamenti dei paesi membri dell’Unione europea per sfuggire alle contraddizioni italiche.

Qui visiterà il campo di concentramento di Theresienstadt e in seguito parteciperà alla deposizione di una corona al monumento di Jan Palach in Piazza San Venceslao. Insomma, nel giorno in cui l’Italia festeggia l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, La Russa andrà a mille e duecento chilometri da Roma per commemorare un patriota simbolo della resistenza anti-sovietica cecoslovacca.

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ELLY SCHLEIN martedì prossimo sarà alla manifestazione organizzata dall’Anpi a Milano, dietro lo striscione «Nata dalla Resistenza». A Milano ci sarà per altro anche Carlo Calenda, mentre Giuseppe Conte visiterà il museo della Resistenza di via Tasso a Roma. La segretaria dem risponde a La Russa da Riano, dove ha riunito la segreteria del Pd in omaggio al luogo in cui venne trovato il cadavere di Giacomo Matteotti, il deputato socialista ammazzato dal fascismo che iniziava a diventare regime.

«Ho sentito le parole di La Russa – afferma la leader del Partito democratico – Ha detto che l’antifascismo non è in Costituzione. Ma l’antifascismo è la nostra Costituzione». «Continuiamo ad assistere a un tentativo di rimettere in discussione le radici antifasciste della nostra democrazia e della Repubblica – dice la capogruppo del Pd alla Camera Chiara Braga – consideriamo molto grave che la seconda carica dello stato non perda occasione per riaprire polemiche e ambiguità sulla verità storica del nostro paese».

Da Sinistra italiana Nicola Fratoianni sottolinea come «più che un governo ed una maggioranza parlamentare, la destra del nostro paese sembra una casa di produzione televisiva intenta a organizzare una contro-programmazione rispetto alla realtà e a quello che vivono quotidianamente i cittadini italiani». Il riferimento è anche al fatto che il governo Meloni ha pensato bene di riunirsi il prossimo primo maggio per varare alcuni non meglio identificati «provvedimenti in materia di lavoro e politiche sociali».

Anche questa è una mossa che sembra pensata per aggredire il tema delle celebrazioni e delle date, attorno al quale si è dipanato lo scontro tra le mozioni di maggioranza e opposizione l’altro giorno al Senato. E che ha la funzione di spostare l’attenzione dal 25 aprile, il primo di una erede del Msi a Palazzo Chigi, ai giorni successivi.

INFINE, in prevedibile ossequio alla consumata tattica del dico/non dico dei postfascisti, dopo qualche ora di polemiche arriva la parzialissima retromarcia di La Russa. Per bocca del suo portavoce. «In questi giorni il presidente del Senato ha ripetutamente affermato di ‘condividere appieno i valori della Resistenza, vista come superamento di una dittatura’», recita il messaggio. Dunque, prosegue la nota, «non sono i valori della Resistenza antifascista a mancare nella Costituzione, che sono espressi in forma positiva, bensì la parola antifascista». Con questa scena si chiude questo episodio della larusseide. Purtroppo è difficile credere che sia l’ultimo di questa stagione.

Fonte: Il Manifesto

25 Aprile, Lega e Fi scaricano La Russa. L’Anpi: è inadeguato

LIBERAZIONE. Zaia: una festa fondante. Salvini: festeggerò. Crosetto caustico: «Io sarò con Mattarella». Conte: vorrei che tutti si riconoscessero. Smeriglio, sì all’appello pubblicato sul manifesto: i senatori escano dall’aula quando lui presiede

Ignazio la Russa – LaPresse https://ilmanifesto.it/25-aprile-lega-e-fi-scaricano-la-russa-lanpi-e-inadeguato

di Andrea Carugati

Dopo aver spinto governo e maggioranza a inasprire le norme contro i migranti, ora Salvini prova a farsi bello sul 25 aprile: «Celebrerò la liberazione del nostro Paese, starò un po’ in famiglia e lavorerò come farò il primo maggio, perché gli italiani ci pagano per farlo», dice il leader leghista, che a domanda sull’eventualità di prendere le distanze da La Russa dice: «Mi occupo di opere pubbliche, non di commenti che riempiono i giornali».

LA RADICE ANTIFASCISTA della Lega delle origini viene recuperata, con un briciolo di coerenza in più, dal governatore veneto Luca Zaia, che definisce in un’intervista il 25 aprile «festa fondante». «La liberazione dal nazifascismo è una cosa per cui non hanno combattuto soltanto coloro che erano in armi. Ma ha coinvolto donne, bambini, civili», dica Zaia. E auspica che diventi «la festa della lotta all’intolleranza, al razzismo, alla violenza e alla mancanza di libertà. Che sono valori di tutti, non di destra o di sinistra».

ANCHE ANTONIO TAJANI (Forza Italia), prova a ridimensionare le polemiche innescatae dagli alleati di Fdi: «Il 25 aprile è la festa della libertà e di tutti. Gli eroi della liberazione non sono un patrimonio di questo o quel partito, ma dell’Italia. Io sarò alle Fosse Ardeatine a depositare una corona a nome del governo. Non mi pare che ci siano da fare ulteriori polemiche».

E invece le polemiche restano. Il presidente del Senato Ignazio La russa, che sarà in vista a Praga per ricordare Jan Palach e ribadire la sua equiparazione tra nazifascismo e comunismo, torna ancora sulle sue frasi sull’antifascismo che non sarebbe parte della Costituzione. «Resto allibito di fronte allo stravolgimento della verità sulle mie parole. Ho detto che “la parola antifascismo non c’è nella Costituzione”, ma ho aggiunto di riconoscermi nei valori della Resistenza che sono espressi in positivo nella prima parte della Costituzione».

Quindi annuncia querele contro chi abbia osato distorcere il suo pensiero. Anche il collega di partito Crosetto prende le distanze: «Il 25 aprile io sarò con la prima carica dello Stato, non con la seconda…», ironizza.

E TUTTAVIA LA FOGA revisionista della seconda carica dello Stato continua a suscitare indignazione.«Ogni sua dichiarazione è sempre ostinatamente divisiva. Dovrebbe valutare da solo la propria adeguatezza al ruolo che ricopre», dice il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo. «Le leggi razziali sono criticate dagli esponenti di Fdi senza ricordare che quel provvedimento è arrivato al culmine di una serie di azioni del fascismo sempre permeati dal razzismo: prima gli slavi, poi gli africani nel periodo coloniale e infine gli ebrei».

Pagliarulo critica il «linguaggio pericoloso» della premier e dei vertici di Fdi che «descrive una visione inquietante che richiama ai valori sbagliati del fascismo: nazione, italiani, destino, patria, parole che sono pronunciate contro qualcosa e qualcuno, non per unire».

L’EURODEPUTATO PD Massimilianio Smeriglio invita ad aderire all’appello lanciato ieri da politici e intellettuali sul manifesto, che chiede ai senatori di uscire dall’aula quando La Russa presiede i lavori. Maurizio Acerbo di Rifondazione invita i senatori a dire, in ogni intervento, che «l’esponente di Fdi si deve dimettere».

«Spero di vivere in un Paese in cui il 25 aprile è un festa non accompagnata da polemiche, purtroppo vedo che non è ancora così, ma non dobbiamo disperare», il pensiero di Giuseppe Conte. «L’importante è che tutti si possano riconoscere in questa festa di liberazione dal nazismo, dal fascismo e da tutti i regimi autoritari e dittatoriali».

Nicola Fratoianni di Sinistra italiana è meno ottimista: «Assistiamo all’oltraggio sistematico al fondamento antifascista della Costituzione da parte di esponenti della destra. Non si tratta di incidenti, ma di un progetto egemonico a cui lavorano da tempo». Elly Schlein, dopo aver ricordato venerdì che «l’antifascismo è la nostra Costituzione», dice stop ai commenti sulle parole di esponenti della maggioranza.

«C’è un chiaro disegno dietro queste stupidaggini revisioniste: distrarre l’opinione pubblica e i media dai totali fallimenti economici, sociali e ambientali di questo governo», dice il capogruppo del M5 Francesco Silvestri E Luigi De Magistris attacca: «Un presidente del Senato che non riconosce la costituzione antifascista va sfrattato».

Fonte: Il Manifesto

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus