Cassino

17 GENNAIO 1944 – 17 GENNAIO 2024: GLI 80 ANNI DALL’INIZIO DELLA BATTAGLIA DI MONTECASSINO, LA LIBERAZIONE DEL PAESE DI CASSINO E DELL’ABBAZIA BENEDETTINA DALL’OCCUPAZIONE NAZISTA

Vasto (CH), lì 20 Gennaio 2024 ore 21.38

Amici ed amiche appassionati di storia non molto lontana dall’Era Moderna, buonasera a tutti: in questo articolo andremo alla riscoperta di una battaglia storica della Seconda Guerra Mondiale combattuta nei pressi dell’abbazia di Montecassino a Cassino in provincia di Frosinone nel Lazio tra le forze alleate anglo-americane e gli occupanti invasori nazisti della Werhmacht appartenenti alle forze dell’asse italo-tedesche il 17 Gennaio 1944 e, proprio il 17 Gennaio scorso sono passati 80 anni esatti da quel giorno in cui sia il paese che l’abbazia benedettina, che domina ancora oggi dall’alto il paese, vennero liberati dall’occupazione nazista. Si tratta di un evento che in Italia oggi le istituzioni non hanno volutamente ricordato, ma sarò lieto di farlo io al posto loro, perché io e la Storia siamo da sempre una cosa sola! Qui entra in gioco la mia indimenticata nonna materna Maria Concetta Gulia, nota con il soprannome di Rosetta a Scurcola Marsicana (AQ), paese di 2000 abitanti in cui ha vissuto per molti anni, ma era nata a Sora in provincia di Frosinone in Ciociaria, luogo in cui ha vissuto poi per gran parte della sua adolescenza: quando frequentavo la terza media dell’Istituto Comprensivo di 1° Grado di Scurcola, durante l’ora di Storia mi venne affidato il compito di procurarmi una testimonianza relativa ad un evento vissuto dai miei nonni durante la Seconda Guerra Mondiale e così pensai di fare un’intervista in merito alla mia cara e dolce nonna Rosetta, l’anima candida della famiglia, che nella vita è stata una mamma amorevole che ha sempre dato l’anima alle sue due figlie una delle quali Carla, la primogenita, è mia madre ed ha sempre saputo mantenere ben salda la famiglia attraverso il duro lavoro, era una stacanovista non si fermava mai e quando nel 1985 dovette lasciare a Roma suo marito mio nonno Carmine e le due figlie per motivi di lavoro, da Responsabile di una concessione Tupperware Srl a Viale del Gran Sasso nel quartiere Torrione di L’Aquila che anche d’inverno dormiva in sede all’interno di cartoni per non dover alimentare un pendolarismo continuo tutti i giorni tra Roma e L’Aquila. Mia nonna accettò di essere intervistata e mi rilasciò un’intervista di circa 17 minuti incisa su una musicassetta che purtroppo ho perso nel tempo, ma mi è rimasta bene in mente la sua testimonianza che adesso vi vado di seguito a riportare integralmente ed alla mia domanda: “Qual’è stato l’evento della Seconda Guerra Mondiale che ha segnato la tua adolescenza?” la risposta fu: “Senza dubbio la battaglia di Montecassino del 17 Gennaio del 1944!” le domandai di nuovo: “Cosa ricordi di quel giorno?” e mia nonna rispose: “Ricordo avevo appena 13 anni, vivevo a Sora, a circa 45 km dal fronte di Montecassino che faceva parte della linea Gustav nell’entroterra dove si affrontarono gli alleati ed i tedeschi: ricordo che per quante batterie di artiglieria tedesca sparavano verso i bombardieri americani che sganciavano dagli aerei sull’abbazia, ogni volta che i tedeschi sparavano dalle loro batterie di artiglieria, la notte si illuminava a giorno!” giusto per farvi rendere bene l’idea di quanti megatoni vennero sganciati dai bombardieri B25 americani in una sola notte in quel punto per stanare i tedeschi che si erano asseragliati nell’abbazia per tentare di respingere l’attacco degli alleati anglo-americani, proveniente prima dalla Sicilia, dove sbarcarono il 9 Luglio 1943, poi dal fiume Volturno il 25 Novembre 1943, prima di arrivare a Cassino sotto l’abbazia di Montecassino, dove vi fu la battaglia che anticipò il secondo sbarco degli alleati ad Anzio, città laziale dove inizia la linea gotica Gustav dal lato del Mar Tirreno, dove i tedeschi nelle vicinanze, a Cisterna di Latina, avevano piazzato un pezzo da artiglieria pesante, il K5E “Annie”, un cannone atomico obice da 280 mm montato su un vagone ferroviario che da mesi colpiva ogni unità alleata in movimento, come la fanteria, i carri armati, l’artiglieria semovente ed aerei incursori nemici, usandolo anche come cannone contraereo.

46 I KM CHE SEPARAVANO MIA NONNA A SORA DAL FRONTE DI CASSINO (FR)

46 chilometri separavano mia nonna Rosetta a Sora dal fronte di Cassino in provincia di Frosinone nel Lazio
https://www.google.com/maps/dir/03039+Sora+FR/Montecassino,+Cassino,+FR/@41.6223288,13.5787694,32533m/data=!3m1!1e3!4m13!4m12!1m5!1m1!1s0x133aaa44d7505e83:0xd1d77b8ca8c186d6!2m2!1d13.6130491!2d41.7188539!1m5!1m1!1s0x133abbf093da4079:0x6c171f25c437c96f!2m2!1d13.8158578!2d41.4916194?hl=it&entry=ttu

LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO, 17 GENNAIO 1944 – 17 GENNAIO 2024, 80 ANNI DOPO!

La battaglia di Montecassino è stata una delle operazioni militari più importanti della Seconda Guerra Mondiale. Anche nota come la Battaglia per Roma, non si è trattato di una sola battaglia quanto piuttosto di una serie di assalti militari degli Alleati contro i tedeschi, cominciati il 17 gennaio e terminati nel Maggio inoltrato del 1944.

Montecassino ha avuto un ruolo centrale in questa battaglia poiché non soltanto l’intelligence alleata sospettava che le unità di artiglieria tedesche stessero utilizzando l’Abbazia come validissimo punto di osservazione, ma anche perché si trovava in una posizione strategica utile per poter avanzare sulle difensive tedesche ed entrare in una Roma pesantemente occupata. La perdita di vite umane fu enorme in questa controversa operazione, con gli Alleati che persero 55.000 uomini e circa 20.000 soldati tedeschi feriti e uccisi.

Prima che la battaglia cominciasse, l’ufficiale tedesco Capitano Maximilian Becker e il Tenente Colonnello austriaco Julius Schlegel, avevano predisposto che tutti i manufatti, gli archivi e i documenti della biblioteca, e numerosi altri incommensurabili tesori fossero messi al sicuro presso Città del Vaticano a Roma. Ci vollero mesi perché l’enorme operazione fosse ultimata e centinaia di uomini e monaci a fare da scorta al tutto.
Dopo la fine della guerra, l’abate Ildefonso Rea fu a capo del progetto di ricostruire Montecassino esattamente dove era prima, in tutta la sua gloria precedente e di riportare in sede tutti gli oggetti preziosi e i documenti che erano stati custoditi in Vaticano durante la guerra. La risorta Abbazia fu riconsacrata nel 1964 da Papa Paolo VI.

Fonte: https://abbaziamontecassino.it/storia/la-battaglia-di-montecassino/

La Grande Storia dall’alto. 15 Marzo 1944: battaglia di Cassino

15-MAR- 44, 10:45….” Queste sono la data e l’ora riportate sulla foto che documenta da 6 chilometri di altezza (20.000 piedi di quota) quella che è probabilmente la più controversa delle battaglie concepite per disarticolare la linea Gustav, la Terza Battaglia di Montecassino.
Una mattina di marzo di settantasette anni fa una squadriglia fu inviata a documentare la pioggia di bombe che stava distruggendo la città. Solo trenta giorni prima, il 15 febbraio, era stato raso al suolo l’antico monastero fondato nel 529 da San Benedetto, un monumento artistico e religioso di importanza mondiale. I comandi Alleati avevano deciso di sfruttare la superiorità aerea in modo mai fatto prima, nella convinzione che l’azione dei bombardieri fosse decisiva per rimuovere l’impasse in cui si trovava da mesi la battaglia terrestre. Alle 10.45, quando i ricognitori della nostra foto arrivarono, il bombardamento stava procedendo senza sosta da più di due ore. Dai dati impressi sulla foto sappiamo che a scattarla fu un aereo della 12th Photo Reconnaissance Aerial, quell’annoalla sua485a missione (questo significa la sigla 12PRA485 visibile in basso nella foto).
L’obiettivo si era spostato ai piedi del Monte per un attacco frontale su Cassino e sulla collina del monastero, per aprire la via alle truppe alleate tra lo schieramento nemico grazie allo sforzo congiunto di aviazione e artiglieria. Con questa offensiva la città, già duramente colpita nei mesi precedenti, sarebbe diventata un cumulo di macerie, faticoso da oltrepassare per gli stessi soldati a terra.
La città era già stata colpita gravemente a febbraio, durante le due ore di bombardamento aereo e fuoco di artiglieria che avevano distrutto l’Abbazia. I volantini  lanciati dagli aerei alleati avevano avvisato la popolazione del bombardamento imminente (“Amici italiani ATTENZIONE!”), invitandola a lasciare il “Sacro Recinto” e a mettersi al riparo, ma pochi vi avevano creduto. Sembrava impossibile che una simile azione potesse compiersi su un monumento come quello di Montecassino (3, 4), anche perché vi erano delle norme che regolavano la salvaguardia dei monumenti storici e religiosi in periodo di guerra, emanate nel 1943 dallo stesso generale D. Eisenhower, comandante supremo per le operazioni in Europa.
Il 15 marzo 1944 la città fu letteralmente rasa al suolo. Dalle 8.30 alle 12.30, ad ondate di 10-15 minuti l’una dall’altra, 550 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri, decollati da aeroporti italiani, nordafricani ed inglesi, sganciarono su Cassino 1250 (per alcuni 2000) tonnellate di bombe, lasciando sepolti sotto le macerie militari e civili. “Ci rendemmo conto che ci volevano annientare […] fu come la fine del mondo” scrisse nei suo ricordi un soldato tedesco.
Al bombardamento aereo seguì, infatti, il fuoco di artiglieria su tutta la montagna contro gli ultimi avamposti tedeschi, e poi l’avanzata di 400 carri armati accompagnati dalla fanteria neozelandese ed indiana. Toccò infatti al corpo neozelandese avanzare in città tra le rovine diventate rifugio per i paracadutisti tedeschi superstiti della 1° Divisione. Questi ultimi, nonostante l’esiguo numero rispetto ai soldati Alleati, resero più difficile la presa dei punti strategici; alla divisione indiana toccò il compito di avanzare sulla montagna fino alla quota 435, l’avamposto più alto, la Hangman’s Hill (‘collina del boia’). Solo dopo sette giorni, il 22 marzo, il generale H. Alexander ordinerà di interrompere gli attacchi sulla città e sul monte. Bisognerà tuttavia aspettare maggio (tra l’11 ed il 18) per vedere il territorio intorno a Montecassino occupato esclusivamente dalle truppe alleate.
Grazie alle foto oggi conservate in Aerofototeca Nazionale, scattate dalla Mediterranean Allied Photo Reconnaissance Wing, è possibile ripercorrere le tragiche vicende della città di Cassino, un tempo ritenuta intoccabile per la sua vicinanza ad un monumento da preservare e divenuta invece una città martire a causa di errori di valutazione strategici, sacrificata sull’altare della “giusta causa” per obiettivi bellici.

Fonte: http://www.iccd.beniculturali.it/it/150/archivio-news/5003/la-grande-storia-dall-alto_-15-marzo-1944-battaglia-di-cassino

Le battaglie per Cassino: dal fiume Volturno a Cassino

Fonte: http://www.dalvolturnoacassino.it/asp/le-battaglie-per-cassino.asp

La campagna di Montecassino

https://www.liberationroute.com/it/stories/113/the-campaign-of-monte-cassino

La difficile strada per Roma La campagna di Montecassino fu combattuta dagli Alleati in quattro fasi tra gennaio e maggio 1944. La città di Cassino era una roccaforte chiave della linea Gustav, la linea di difesa tedesca nell’Italia centrale, progettata per impedire l’avanzata alleata verso Roma. Gli Alleati subirono circa 55.000 perdite, i tedeschi 20.000.

CHI SIAMOMEDIA

Alla fine di dicembre 1943 l’avanzata delle forze alleate in Italia fu ostacolata dalle forti difese tedesche sulla linea Gustav o linea invernale. L’area intorno alla città di Cassino, con fortificazioni montane e difficili traversate fluviali, era la posizione chiave sulla linea Gustav. Gli Alleati tentarono per quattro volte di sfondare la roccaforte di Montecassino. La prima battaglia avvenne tra il 17 gennaio e l’11 febbraio 1944, e provocò pesanti perdite e un fallimento per gli Alleati. Per alleviare la pressione dalla testa di ponte sulla spiaggia di Anzio, dove gli Alleati erano bloccati dalla forte resistenza tedesca, un secondo attacco venne lanciato tra il 16 e il 18 febbraio. Il 15 febbraio la famosa abbazia di Montecassino venne distrutta dai bombardieri americani. Il comando alleato era convinto che l’antica abbazia fosse un osservatorio tedesco, ma ironicamente le truppe tedesche occuparono le rovine solo dopo il raid aereo. La terza offensiva venne condotta tra il 15 e il 23 marzo, di nuovo senza successo. La quarta battaglia iniziò l’11 maggio. I tedeschi si ritirarono infine dalla linea Gustav il 25 maggio 1944. Dopo cinque mesi di stallo sulla linea Gustav, la strada per Roma fu aperta, ma i costi furono elevati. Si stima che gli Alleati (Australia, Canada, Francia liberata con l’ausilio di soldati marocchini, Regno d’Italia, India, Nuova Zelanda, Polonia, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti) subirono circa 55.000 perdite, la Germania e la Repubblica Sociale Italiana 20.000.

75° anniversario della battaglia di Montecassino

I 75 anni dalla battaglia di Cassino ricordati dall’Istituto Polacco di Roma
https://instytutpolski.pl/roma/2019/05/18/75-anniversario-della-battaglia-di-montecassino/

La battaglia di Monte Cassino fu una delle più dure e sanguinose battaglie che determinarono l’esito della Seconda guerra mondiale.

1944 – 2019

“Il compito che ci è toccato porterà gloria mondiale al soldato polacco”

La battaglia di Monte Cassino fu una delle più dure e sanguinose battaglie che determinarono l’esito della Seconda guerra mondiale.

Fu il quarto assalto delle truppe alleate sulle truppe tedesche che controllavano l’abbazia benedettina in cima alla collina di Monte Cassino in Italia. Finì con la vittoria del 2 ° corpo polacco che ruppe le linee di difesa tedesche e aprì gli eserciti alleati sulla strada per liberare Roma.

Monte Cassino era la posizione chiave del sistema di fortificazioni tedesco nella parte più stretta della penisola italiana, chiamata la linea Gustav. Nella prima metà del 1944 Monte Cassino fu testimone di aspri combattimenti tra forze alleate e truppe tedesche. Per diversi mesi le truppe tedesche che occupavano posizioni forti respinsero gli attacchi alleati. Tre assalti successivi da parte di forze americane, britanniche, francesi, canadesi, sudafricane, neozelandesi e indiane fallirono.

Il comandante alleato Oliver Leese chiese al generale polacco Władysław Anders, comandante del 2 ° corpo polacco, di unirsi alla battaglia di Montecassino. Il generale Anders fu d’accordo, ritenendo che il coinvolgimento polacco nella battaglia avrebbe dimostrato la solidarietà della Polonia con le nazioni la cui libertà, come quella polacca, fu violentemente violata dalla Germania. L’11 maggio il generale Anders emise un ordine storico per i soldati del 2 ° corpo:

Soldati!

Il compito che ci è toccato porterà gloria mondiale al soldato polacco. In questi momenti di prova saremo nella mente e nel cuore dell’intera nazione polacca. Gli spiriti dei nostri fratelli caduti in armi ci sosterranno.

Lasciate che il leone si risvegli nel vostro cuore!

Soldati – marciamo avanti con il santo motto di “Dio, onore, patria” nei nostri cuori, ricordando l’attacco del bandito tedesco contro la Polonia, le partizioni tedesco-sovietiche della Polonia, le migliaia di città e città in rovina, gli omicidi e le torture inflitte centinaia di migliaia di nostri fratelli e sorelle, i milioni di polacchi deportati in Germania come schiavi, la triste condizione e il dolore del nostro paese, la nostra sofferenza e il nostro esilio, con la fede nella giustizia della Divina Provvidenza.

Dopo una sanguinosa battaglia durata quasi una settimana, l’abbazia fu conquistata. Un altro campo di difesa tedesco, chiamato Linea di Hitler, fu rotto. Il 18 maggio a mezzogiorno, una bandiera vittoriosa in bianco e rosso fu issata sulla collina di Monte Cassino. L’assalto costò la vita a 923 soldati polacchi, 2931 feriti e 345 non furono mai trovati.

La battaglia di Monte Cassino è stata una testimonianza del coraggio e del sacrificio polacchi. Soprattutto, è stata un’espressione di solidarietà con le altre nazioni del mondo che combattono contro il nazismo. La vittoria polacca fu fondamentale per la storia della Seconda guerra mondiale. Voleva anche ricordare ai leader occidentali la necessità di ripristinare l’indipendenza della Polonia nel momento in cui l’Unione Sovietica aveva già occupato metà del territorio della Polonia. Come si è scoperto più tardi, le decisioni sul futuro della Polonia e dei suoi confini erano già state prese da Stalin, Roosevelt e Churchill alla Conferenza di Teheran nel 1943 e ulteriormente suggellate a Yalta.

Dopo la guerra, un cimitero militare polacco fu creato sulla collina e divenne un santuario nazionale.

I combattimenti di Monte Cassino sono stati commemorati da una lapide alla Tomba del Milite Ignoto a Varsavia e da un’iscrizione su una torcia alla Tomba del Milite Ignoto a Cracovia. Un monumento per onorare la battaglia e i suoi eroi polacchi è stato inaugurato nel 1999 a Varsavia, vicino a Via Władysław Anders Street e al Parco Krasinski.

Ripercorriamo insieme le fasi più significative di quella battaglia analizzando foto e video del tempo.

Truppe tedesche della Werhmacht nel cambio della guardia interno all’abbazia di Montecassino, 1944
Il generale Anders
La battaglia di Cassino: il generale Wladyslaw Anders, aprile 1944
The Battle of Cassino: (from left) Lieutenant Colonel Hodgson, Brigadier Thirth, General Keightley, General Anders
Image of La battaglia di Cassino: il generale Kazimierz Sosnkowski
Truppe alleate catturate dai tedeschi della Wehrmacht a Cassino
Due soldati tedeschi catturati dagli alleati tra le rovine dell’Abbazia di Montecassino, 18 Maggio 1944
L’abbazia di Montecassino com’era prima dei bombardamenti che la rasero al suolo durante le quattro battaglie di Cassino
Aerei alleati sorvolano l’area di Cassino
Un bombardiere B25 alleato sorvola l’area di Cassino
Il sacrificio polacco nella battaglia di Montecassino
Le rovine dell’Abbazia di Montecassino dopo i bombardamenti alleati
Mappa militare della seconda battaglia di Cassino
https://www.larchivio.com/xoom/cassino-battaglia03.htm
18 Maggio 1944: divieto di sorvolo dell’area di Cassino da terra a 6000 piedi di quota
La famigerata linea difensiva tedesca Gustav fatta erigere da Adolf Hitler per difendere Roma e la Repubblica di Salò a Nord: si estendeva da Anzio sul Mar Tirreno fino ad Ortona a Mare in Abruzzo sul Mare Adriatico

Guide turistiche Frosinone, tour dei campi di battaglia di Cassino

https://guideturistichefrosinone.altervista.org/campi-di-battaglia/

Indice dei contenuti

Tour dei campi di battaglia di Cassino

Se avete sentito parlare dei tour dei campi di battaglia della Normandia, o avete avuto la fortuna di visitarli, non potete non essere interessati ad un tour dei campi di battaglia della asseconda Guerra Mondiale a Cassino.

Visita guidata dei campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale a Cassino

Per avere una idea generale delle 4 battaglie di Cassino si può cominciare con una visita a SantcAngelo in Theodice dove vicino l’abitato si vede bene il fiume Rapido, che gli Americani circa 80aa fa chiamavano Rapido. Nel attraversarlo il 20-22 Gennaio del 1944 la 36th Divisione Texas , e poi alcuni giorni più tardi la 34th Divisione Red Bull furono decimate. Accanto al moderno ponte sotto l’abitato, dove gli Alleati durante l’ultima battaglia eressero un ponte bailey che chiamarono London Bridge, si vedono la campana della Pace, posta da Severino De Sanctis, che bambino all’epoca delle battaglie, rimase shoccato da ciò che vide, e la targa in bronzo dedicata ai Nisei del 100th Battaglione della 34th Divisione.

I campi di battaglia di Cassino: l’attraversamento del fiume Rapido

Nel centro del paese, sulla piazzetta che sovrasta il fiume dall’alto, si vede bene la pianura che gli Americani dovettero attraversare nella notte per raggiungere il fiume, tra campi minati tedeschi e filo spinato e dove molti di loro persero la vita. La piazzetta costituisce uno splendido punto per apprezzare la semplice strategia tedesca di porsi nei punti più alti ed attendere i nemici, godendo di una vista eccezionale su quelli che sarebbero stati per 4 mesi i campi di battaglia. Sulla stessa piazzetta il monumento ai soldati della 36th Texas.

Tour dei campi di battaglia di Cassino: i Britannici che costruirono e attraversarono l’Amazon Bridge

Proseguendo verso Cassino sulla strada si trovano 2 monumenti: il primo dedicato ai Soldato Britannici che per primi raggiunsero questa sponda del fiume Rapido, e poi il nuovo monumento dedicato ai soldati che costruirono l’Amazon Bridge per permettere l’attraversamento del fiume e ancora più avanti si trova il Cimitero del Commonwealth Britannico con circa 8.000 soldati. Circa la metà di essi sono purtroppo solo menzionati poiché i loro corpi non furono mai ritrovati. Sono presenti naturalmente tutte le nazionalità che a quel tempo combattevano per lo UK, dal Sud Africa, al Canada, passando per il Nepal e la Nuova Zelanda.

L’abbazia di Montecassino e la difesa tedesca della Linea Gustav

Giunti a Cassino dove inizia la via per il monastero un cartello marrone indica la posizione della grotta Foltin, il quartier generale tedesco, che il Capitano Foltin fece spostare dal palazzo dell’hotel Continental ad una grotta prevedendo il bombardamento alleato. Percorrendo la strada che porta al monastero, dopo aver costeggiato il castello chiamato Rocca Janula luogo di battaglia chiave per tante nazionalità durante le 4 battaglie, si raggiunge il belvedere, un ampio slargo da dove si vede tutta la valle sottostante. Da lì si può avere una idea, anche se ridotta del punto di vista tedesco sui campi di battaglia, con una vista mozzafiato che spazia per decine di km in ogni direzione.

I campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale a Cassino

Prima di arrivare al monastero sulla sinistra l’ultima grotta carsica lasciata aperta, dove i tedeschi si ripararono durante il bombardamento dell’abbazia il 15 febbraio 1944, e sulla destra la strada che porta al cimitero Polacco ed ai campi di battaglia polacchi. Oltre al cimitero con più di 100 soldato ricordati, ed al piccolo memoriale che ricorda l’odissea Polacca, sulla sinistra del cimitero, vi è un cancello pedonale che permette di raggiungere il grande obelisco polacco per ricordare i caduti durante l’ultima battaglia a metà maggio 1944.

L’Albaneta e la sua storia: le battaglie di Cassino

Seguendo i cartelli si arriva alla prepositura dell’Albaneta, una piccola abbazia bombardata durante la guerra che divenne sede del comando tedesco, e poco più avanti un carrarmato Polacco lasciato come monumento a ricordare i primi Polacchi morti a Cassino e celebrare l’impresa fatta dagli stessi nel portare attraverso la Cavendish Road (costruita da NZ e Indiani in precedenza) dei carri armati sulle montagne dietro all’Abbazia. Nel punto dove si trova il carrarmato si distingue benissimo la sede stradale della Cavendish Road….

Visita guidata dei campi di battaglia di Montecassino: l’abbazia di Montecassino e i monumenti dedicati a varie nazionalità.

Poi naturalmente tocca visitare l’Abbazia di Montecassino totalmente ricostruita seguendo il motto “com’era e dov’era”, che si è rivelata la scelta giusta. Proprio nei pressi dell’altare maggiore il 18 Maggio 1944 i soldati Polacchi piantarono la propria bandiera, simbolo della presa di Montecassino e della fine delle battaglie iniziate circa 4 mesi prima sul Fiume Rapido.
A questo itinerario che tocca tutti i principale monumenti, aggiungerei 4 luoghi in città: il monumento a Wojtek l’orso Polacco, il busto del Generale Anders, la lapide a ricordo dei Soldati Indiani ed il Cimitero Tedesco con circa 20.000 soldati onorati.

La battaglia di Anzio e Montecassino fu importante anche per un mostro sacro della musica internazionale Roger Waters dei Pink Floyd: è qui che il piccolo Roger perse suo padre dopo lo sbarco

https://www.ilmessaggero.it/frosinone/dalla_battaglia_di_cassino_ai_pink_floyd_dibattito_universita-7753973.html
Roger Waters visita la tomba di suo nonno G.H. Waters, ingegnere reale morto il 14 Settembre 1916 a Verdun nel fronte franco-tedesco durante la Prima Guerra Mondiale
Roger Waters visita ad Aprilia il monumento onorario dedicato a suo padre, il Tenente Eric Fletcher Waters, caduto a Campo di Carne, mitragliato dai soldati tedeschi appostati dentro i bunker di cemento armato da cui mitragliarono i soldati alleati appena sbarcati ad Anzio

Articolo dedicato alla memoria della mia amorevole nonna materna “Rosetta”, Maria Concetta Gulia.

Maria Concetta Gulia (Sora, 29 Luglio 1931 – Celano 12 Marzo 2018)
http://www.infinitamemoria.it/cimiteri/abruzzo/l-aquila/scurcola-marsicana/cimitero-comunale-di-scurcola-marsicana/memorial/maria-concetta-gulia

LA BATTAGLIA DI ORTONA, ORTONA’S BATTLE, ABRUZZO, ITALIA ITALY, 20-28 DICEMBRE 1943 20-28 DECEMBER 1943, LA “STALINGRADO D’ITALIA”

Vasto (CH) Abruzzo, lì 12 Dicembre 2023 ore 18.09

Buonasera a tutti e a tutte coloro che sono appassionati/e di Storia come me: questa sera andremo insieme alla riscoperta di una battaglia molto importante combattuta durante la Seconda Guerra Mondiale ad Ortona in Abruzzo, 40 km da Pescara tra il Canadian Regiment canadese di liberazione dal Nazismo ed i nazisti tedeschi per il controllo strategico della città di Ortona a Mare, città costiera che sorge lungo il lato del Mare Adriatico dove finisce la linea difensiva Gustav o Gustav Line voluta da Adolf Hitler in persona per la difesa dei territori italiani occupati dal nazismo a Nord dell’Italia e dal fascismo, come la Repubblica di Salò in Lombardia. Chi vi scrive in questa sede è un uomo che ha vissuto per 21 anni ad Avezzano, il capoluogo del distretto interno della Marsica, meglio conosciuta come Caput Frigoris per quanto è freddo ed umido il clima d’inverno, una città dove tra il 1939 ed il 1944, a pochi passi dalla mia ultima casa, vi era il quartier generale del Villino Cimarosa a via Domenico Cimarosa 2 del camerata Albert Konrad Kesselring, il Feld maresciallo considerato la mente strategica della Luftwaffe, la principale forza aerea difensiva della Germania nazista ed al quale Hitler in persona affidò il compito di difendere ad ogni costo la Linea Gustav, la linea difensiva che partiva da Anzio nel Lazio sul Mar Tirreno ed arrivava a Ortona in Abruzzo, sul Mare Adriatico, passando per paesi interni dell’Alto Sangro, come Castel di Sangro, Pietransieri vicino Roccaraso, dove vi fu l’Eccidio dei Limmari: il 21 Novembre 1943 i nazisti trucidarono per rappresaglia, per aver appoggiato la Resistenza partigiana e gli inglesi che si nascondevano tra le montagne intorno al paese 128 persone, tra i quali 60 donne, 34 bambini e molti anziani, un evento terribile di rappresaglia contro civili inermi che sconvolse l’intero Abruzzo e l’Italia intera.

Pietransieri Racconta, l’Eccidio dei Limmari, Pietransieri Alto Sangro, Abruzzo, Italia 21 Novembre 1943
https://www.pietransieri-racconta.com/la-storia-di-pietransieri/eccidio-di-limmari/

La vera storia della battaglia di Ortona, la Stalingrado d’Italia

Il 19 e 20 dicembre del 1943 nella cittadina abruzzese il sacrificio di 2 mila soldati canadesi del Canadian Regiment, venuti a morire in territorio abruzzese per liberarci dalla tirannia e dall’odio del nazifascismo

Rappresentazione iconografica della Battaglia di Ortona, combattuta tra canadesi e tedeschi tra il 19 ed il 28 Dicembre 1943
https://www.lastampa.it/cultura/2016/12/19/news/la-vera-storia-della-battaglia-di-ortona-la-stalingrado-d-italia-1.34758776/

ANDREA CIONCI

19 Dicembre 2016 alle 06:00

In pochi conoscono la vera storia e gli inquietanti retroscena della Battaglia di Ortona (20-28 dicembre 1943) passata alla storia come la “Stalingrado d’Italia”: gli errori di Montgomery, l’accanimento su un obiettivo inutile, ma irrimediabilmente enfatizzato dalla propaganda, il sacrificio di duemila soldati canadesi per tranquillizzare i sovietici, la falsa attribuzione della distruzione della cattedrale, gli stupri perpetrati dalle truppe indiane.

Con il contributo degli storici della battaglia, le testimonianze di reduci e civili, e perfino attraverso l’indagine sul campo con metal detector, proveremo a riassumere questa tragica vittoria di Pirro che, per le sue tecniche combattive, rimase un unicum su tutto il fronte occidentale. Come Stalingrado, anche la cittadina abruzzese – sebbene in scala minore – fu un inferno di corpo a corpo, trappole esplosive, combattimenti “stanza per stanza” che spezzarono i nervi ai soldati alleati che vi presero parte, tanto da non poter essere più inviati in prima linea. Molti di questi reduci smisero per sempre di festeggiare il 24 dicembre a causa del terrore che il Natale di sangue del 1943 aveva irrimediabilmente impresso nella loro psiche, 80 anni fà: quest’anno infatti ricorre l’80esimo anniversario della Battaglia di Ortona (1943-2023).

1.La linea Gustav

Erano passati cinque mesi da quando gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia. Nonostante l’eroica – quanto dimenticata – resistenza della divisione “Livorno” del Regio Esercito (che lasciò sul campo 9.000 dei suoi 13.000 effettivi) gli Alleati avevano conquistato, senza ulteriori difficoltà, il sud della penisola e avevano iniziato a marciare verso Roma. Tuttavia, se gli statunitensi, guidati lungo la costa tirrenica dal generale Clark, furono bloccati a Cassino, l’armata anglo-canadese (comprensiva anche di neozelandesi, indiani, sudafricani, australiani) agli ordini di Montgmomery, si impantanò a Ortona mentre risaliva lungo la costa adriatica. Fra le due cittadine si tendeva, infatti, la Linea Gustav, la prima di una serie di fortificazioni e trincee volute da Hitler per arrestare una prevedibile invasione dell’Italia.

Carri armati medi M4 Sherman canadesi schierati sul fonte adriatico
Paracadutisti (Parà) tedeschi sorvegliano il territorio abruzzese dalla Linea Gustav

2.Gli errori della “Faina”

Il piano di Montgomery era quello di sfondare a Ortona, raggiungere Pescara, poco più a nord e da lì percorrere la Tiburtina per prendere Roma da est. “Un piano già pensato male – spiega Marco Patricelli, storico di fama internazionale e autore del volume “La Stalingrado d’Italia”(ed. Utet) – perché gli inglesi sottovalutavano le difficili condizioni meteo che avrebbero trovato cercando di attraversare l’Appennino abruzzese, con un esercito meccanizzato, in dicembre. Un altro errore di Montgomery fu quello di non tentare, immediatamente dopo la faticosa vittoria sul fiume Sangro, di conquistare Ortona, ancora non fortificata dai tedeschi. Prese tempo per dotarsi di mezzi e materiali, come era suo costume, e questo consentì ai nazisti di innescare una delle più micidiali trappole di tutta la Seconda Guerra Mondiale”.

Montgomery sul Sangro inaugura il nuovo ponte. 14 Dicembre 1943
Un ritratto a olio di Montgomery

3.La campagna mediatica

Ortona avrebbe potuto essere tranquillamente aggirata, se non fosse stato per la stampa alleata che, grazie ai suoi giornalisti “embedded”, (integrati al seguito delle truppe), aveva dato un’importanza spropositata alla conquista della cittadina abruzzese. “Si trattava, infatti – continua Patricelli – di un’operazione mediatico-politica: Stalin, dopo la vittoria ottenuta l’anno prima, a carissimo prezzo, a Stalingrado, cominciava a lamentarsi dell’immobilismo degli Alleati in Italia. Occorreva dare un segnale e, non a caso, furono invitati a Ortona ufficiali sovietici in funzione di osservatori”. Di fronte alla campagna mediatica suscitata dal nemico, anche per Hitler divenne imperativo difendere la città: “Die Festung Ortona ist bis zum letzten Mann zu halten!” – “La Fortezza Ortona deve essere difesa fino all’ultimo uomo!” ordinò, perentorio, al Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia.

Foto di propaganda con soldati canadesi
Il corrispondente di guerra canadese Mattew Halton

4.Gli specialisti della guerra

A Ortona fu quindi fatta confluire la 1° divisione dei Fallschirmjäger (paracadutisti) che, fino ad allora, avevano ceduto elasticamente terreno in Italia meridionale seguendo la strategia difensiva di Kesselring. In Germania erano soprannominati “Pompieri del fronte” perché, analogamente alle Waffen SS sul fronte orientale, erano truppe scelte che venivano inviate per “spegnere” i più pericolosi sfondamenti avversari. “Nonostante vi fossero tra loro giovanissime reclute – spiega Andrea Di Marco, autore del volume “Assolutamente resistere” (ed. Menabò) – in buona parte, questi parà erano reduci delle campagne Creta, di Norvegia, di Russia e soprattutto delle battaglie in area urbana svoltesi a Centuripe, in Sicilia. Formati idealmente nella Hitler Jugend, erano combattenti esperti e possedevano uno spirito di corpo formidabile. Tuttavia, come risulta dai loro diari, sebbene sentissero forte il valore dell’obbedienza agli ordini, (il “Führerprinzip”, “Principio del capo” costituivo dell’onore del soldato tedesco), si domandavano anch’essi che senso avesse difendere ad ogni costo quella cittadina, strategicamente insignificante”.

Equipaggiamento di Fallschirmjaeger 1943

Nel ’43, i tedeschi in Italia erano motivati a combattere anche per difendere la Germania dai bombardamenti alleati. Dalla Sicilia, gli aerei angloamericani potevano raggiungere, all’incirca, solo la Baviera, ma quanto più spazio avessero guadagnato in Italia, tanto più territorio tedesco avrebbero potuto bombardare.

“Come truppe scelte – spiega Massimo Lucioli, vicepresidente dell’associazione di rievocatori Historica XX secolo – i Fallschirmjäger possedevano un equipaggiamento altamente specialistico. Mentre i canadesi avevano in dotazione l’equipaggiamento standard inglese, (elmetto piatto, fucile Enfield e giberne in canapa, con l’unica eccezione del mitra americano Thompson) i parà germanici disponevano di elmetti speciali, dalle falde accorciate per non subire danni al collo durante il lancio, nonché di giubbe, calzature e buffetterie appositamente disegnate per loro”.

Fallschirmjaeger tedeschi

5.Casa Berardi

Per i soldati canadesi comandati dal generale Chris Vokes, dei quali molti appena diciottenni, Ortona era il grande momento per dimostrare al mondo il loro valore. Sapevano che si sarebbero confrontati con l’élite delle forze armate naziste, ma erano ottimisti. Dopotutto, erano numericamente il triplo degli avversari, disponevano di una logistica ben organizzata, di abbondanza di cibo e di una spaventosa artiglieria terrestre e navale. Tuttavia, l’inesperienza, – per quanto unita al coraggiodei canadesi si rivelò fatale, fin da subito, nella conquista del primo avamposto tedesco: Casa Berardi. E’ questo un casale situato ancor oggi alle porte di Ortona, che domina una ripida valle che i canadesi battezzarono “The Gully” – “La Gola” e che si trasformò in breve tempo in un cimitero per i loro carri armati Sherman M4. “Dì a Monty – sbraitò il generale Vokes a una staffetta di Montgomeryche se venisse in questo inferno, a vedere in quale pantano ci siamo ficcati, saprebbe benissimo perché non avanziamo!”

Casa Berardi durante la guerra e com’è oggi
Carri armati M4 Sherman canadesi distrutti nella gola sotto Casa Berardi

6.Un testimone oculare

L’agricoltore Nicola Paolini, di 83 anni, vera memoria storica di Ortona, vive ancor oggi sul crinale opposto a Casa Berardi. Aveva dieci anni quando fu testimone dell’assedio all’avamposto: “Nella casa erano asserragliati cinque soldati tedeschi, con una mitragliatrice, alcuni lanciarazzi e un carro armato (Panzerkampfwagen IV, n.d.r.) nascosto dietro l’edificio. I carri canadesi attaccarono dapprima frontalmente, attraversando il fosso, e nove furono distrutti. Allora, tentarono un aggiramento da sinistra, su strada, ma alla prima curva, altri due furono centrati da un cannoncino anticarro che i tedeschi avevano già nascosto sotto il profilo del terreno”.

Il capitano Triquet con la Victoria Cross

Tutta la battaglia fu, infatti, accuratamente disegnata sul campo dai parà nazisti, che prevedevano i movimenti di carri e fanti nemici e li convogliavano verso punti di annientamento. “Fu solo il colpo di genio del capitano canadese Paul Triquet – continua Paolini – a sbloccare la situazione: ebbe l’ardire di passare a destra della Casa Berardi in un territorio già occupato dai nemici. In questo modo, poté sorprendere il loro unico Panzer e metterlo fuori combattimento. La strada per Ortona era aperta e Triquet fu il primo canadese a essere decorato con la Victoria Cross britannica”.

Una baionetta tedesca rinvenuta nei pressi di Casa Berardi

Ancor oggi, intorno a Casa Berardi, si possono trovare, con il metal detector, un’infinità di schegge di granate alleate. Aperte in quattro petali, le spolette esplose sembrano dei grossi fiori di ottone massiccio, e recano ancora stampigliati modello e anno di costruzione. Per calibro e quantità restituiscono con immediatezza, pur a settant’anni di distanza, il tremendo volume di fuoco che l’artiglieria anglo-canadese scaricò sugli avversari. Il terreno ha restituito perfino una baionetta di fucile Mauser k 98 tedesco, ormai ridotta a uno spezzone di ruggine, ma senza dubbio evocativa.

Una spoletta – esplosa – di proietto d’artiglieria alleata

7.I combattimenti “stanza per stanza”

Fu proprio il combattimento all’arma bianca una delle caratteristiche più cruente e “medievali” della Stalingrado italiana. Come ben spiegato presso il Museo della Battaglia di Ortona, i tedeschi avevano fatto crollare i palazzi delle tre direttrici principali della città, che vanno da Porta Caldari alla piazza del Municipio. I detriti impedivano, così, il passaggio ai carri: non appena uno di questi tentava di salire su un cumulo di macerie, infatti, esponeva il ventre, meno corazzato, ai colpi del Panzerschreck, una versione del bazooka che, dalla Tunisia, i tedeschi avevano copiato dagli americani.

Canadesi avanzano tra le macerie
Canadesi sotto il fuoco nemico. Uno di loro giace ferito o morto
Un soldato canadese del Canadian Regiment spara con il suo fucile di precisione dall’apertura di una casa ad Ortona, Dicembre 1943
Un soldato canadese del Loyal Edmonton Regiment del Canada spara con il suo fucile contro una postazione tedesca ad Ortona, Dicembre 1943

Senza poter avvalersi degli Sherman, i fanti canadesi dovettero impegnarsi nei combattimenti casa per casa, fra le macerie. Continuamente bersagliati, furono costretti a traforare l’interno delle abitazioni pur di avanzare al coperto: una volta liberato uno stabile, dal secondo o terzo piano, facevano saltare le pareti divisorie, per passare nell’edificio contiguo, ma non di rado i Fallschirmjäger li aspettavano dall’altra parte e, approfittando del polverone, colpivano gli avversari ancora frastornati dall’esplosione. Si dovettero quindi innalzare dei ripari prima di minare le pareti delle case. Nonostante questi continui adattamenti, i soldati venuti da oltre Oceano continuavano a cadere per i trappolamenti esplosivi, le mine anticarro e antiuomo, gli agguati corpo a corpo, e il fuoco incrociato dei cecchini. Impiegarono una settimana per conquistare 500 metri di territorio urbano; fu un combattimento così devastante per i loro nervi che dopo Ortona nacquero degli studi psicologici sui danni provocati dallo stress da combattimento. Anche per i più esperti paracadutisti tedeschi, schiacciati dall’inferiorità numerica e dai tassativi ordini di resistenza, fu un’esperienza psicologica terribile. Una drammatica foto ricorda la vicenda del sottotenente Ewald Pick il quale, non potendo più sostenere l’assalto nemico e avendo ricevuto via radio l’ordine di resistere ad ogni costo, ebbe un crollo nervoso. Si alzò dalla postazione, andò tranquillamente a fumare una sigaretta sulla fontana, al centro della piazza, e si fece fulminare dalle fucilate canadesi.

Parà tedeschi con Panzerschreck dietro a uno Sherman distrutto

8.Militari e civili

Le perdite tedesche, tra morti, feriti e dispersi furono circa 870; quelle canadesi intorno alle 2.340 e le vittime civili furono circa 1300. Nonostante gli occupanti si fossero attivati per far sfollare la popolazione prima della battaglia, l’ordine non fu rispettato da tutti i cittadini molti dei quali non si rendevano conto del pericolo incombente. Il rapporto fra militari dei vari eserciti e i civili, riferito dagli ortonesi che vissero quel periodo, fu più complesso rispetto ai cliché sedimentati nell’immaginario comune.

Nicola Paolini, testimone dell’assalto canadese a Casa Berardi

“I miei nonni – racconta Nicola Paolini – si erano riparati in una grotta sotto al crinale dietro il quale si erano accampati gli Alleati. Un giorno, il nonno fu arrestato dai canadesi che lo ritenevano, erroneamente, una spia e la nonna, completamente paralizzata, rimase abbandonata nella grotta. I parà germanici, di notte, passando a pochi metri dai nemici, portavano da mangiare all’anziana rimasta sola”. Ciò che emerge dalle testimonianze è che nonostante i tedeschi avessero fatto saltare il porto di Ortona, per impedire l’attracco alle navi nemiche, avevano mantenuto un rapporto sostanzialmente corretto con la popolazione, forse anche per la rigida disciplina cui erano avvezzi.

Soldati canadesi perquisiscono prigionieri tedeschi

I canadesi furono accolti con grande benevolenza, come liberatori, e aiutarono i civili nella prima riorganizzazione di una vita normale, dopo la battaglia. Tuttavia, dato che erano poco abituati al vino, (le cantine di Ortona ne abbondavano) si verificarono diversi problemi disciplinari dovuti all’ ubriachezza. Gli inglesi erano percepiti come militari intransigenti, ma erano anche quelli che potevano controllare le intemperanze dei loro alleati. I più temuti di tutti dalla popolazione furono gli indiani, presenti nel contingente alleato, che, a detta di numerosi testimoni, compirono stupri su donne e ragazzi.

Un civile ortonese si aggira per le macerie

9.L’ultimo massacro e la distruzione della Cattedrale

Dopo la notte di Natale in cui i canadesi cenarono con birra, maiale in salsa di mele e pudding (l’ultimo pasto per molti di loro) la battaglia entrò nella fase finale, ma si completò con un ulteriore disastro. Una volta riusciti a percorrere le tre vie principali, le forze alleate confluirono e si ammassarono incautamente nella piazza del Municipio. Qui, alcuni cecchini tedeschi appostati sulla torre dell’orologio ne fecero strage. “Ebbi modo di parlare con uno di loro – spiega Marco Patricelli – il quale mi riferì che alla fine, disgustati loro stessi da tanta carneficina, si limitavano a tirare solo su ufficiali e sottufficiali, per lasciare senza guida la truppa”. Nonostante la ferocia dei combattimenti, non furono rari gli episodi di reciproca cavalleria fra i due schieramenti e di comprensione umana per il nemico ferito o catturato.

Danni di guerra della Cattedrale di Ortona

Alle spalle del Municipio sorge la Cattedrale di San Tommaso, il cui campanile e la cupola furono distrutti il 21 dicembre. “Una leggenda vuole – continua Patricelli – che fosse stata minata da un ufficiale germanico, protestante, in odio al culto cattolico delle reliquie di San Tommaso Apostolo ivi custodite. I documenti militari e il diario del maggiore canadese Bert Hoffmeister hanno però dimostrato che la cattedrale fu presa a cannonate dall’artiglieria navale alleata in quanto forniva un punto di osservazione privilegiato al nemico”.

Un infermiere canadese dà da bere a un sottufficiale tedesco ferito
Un parà tedesco caduto

10.Vittoria?

Il 28 dicembre 1943, gli ultimi Fallschirmjäger si ritirarono dalla città, ormai rasa al suolo; si arroccarono appena 5 km a nord, sul fiume Riccio, dove resistettero per sei mesi, fino alla liberazione di Roma, avvenuta il 4 Giugno dell’anno successivo.

Tatticamente, Ortona fu una vittoria alleata, anche se Montgomery non la incluse nelle sue memorie, fermandosi al successo ottenuto sul fiume Sangro. Strategicamente, invece, può essere considerata una vittoria dei tedeschi: con pochi uomini erano riusciti a ritardare l’avanzata dell’avversario angloamericano dissanguandolo per ogni palmo di terreno conquistato. Dopo aver subìto lo sfondamento della Gustav a Cassino, e aver perso Roma, i nazisti nuovamente si attesteranno sulla Linea Gotica, tra Pisa e Rimini, mantenendo il fronte per altri quattro mesi. L’obiettivo di Churchill di far stornare al nemico molte divisioni nella Campagna d’Italia era fallito, e questo renderà, agli Alleati, molto più dura la conquista della Normandia, che prenderà il via con il D-Day del 6 giugno 1944.

Un edificio di Ortona rimasto com’era dal 1943
Il cimitero canadese di Ortona: Moro War Cemetery, località Moro Ortona, Abruzzo Italia
https://www.cwgc.org/visit-us/find-cemeteries-memorials/cemetery-details/2018200/moro-river-canadian-war-cemetery/
Cimitero militare canadese di Ortona, Moro War Cemetery
https://www.google.com/maps/place/Cimitero+Militare+Canadese+di+Ortona/@42.3362449,14.414196,580m/data=!3m2!1e3!4b1!4m6!3m5!1s0x13310388174fc31d:0x7da01775cadbabec!8m2!3d42.3362449!4d14.4167709!16s%2Fg%2F1q6fs73ng?hl=it&entry=ttu

La sorpresa del carro armato medio canadese Sherman M4 nella rotonda all’ingresso di Ortona

Per ricordare il sacrificio del capitano canadese Richard Maurice Dillon, caduto valorosamente in battaglia ad Ortona per mano dei nazisti il 24 Dicembre 1943, il Canadian Regiment di cui il capitano faceva parte donò il carro armato alla vedova Dillon, la quale come atto di magnanimità ad eterna memoria amorevole del marito, decise di donarlo alla comunità degli ortonesi ed oggi il carro armato medio M4 Sherman si trova nella rotonda all’ingresso della città, dove si svolse una battaglia cruciale ai fini dell’esito della Seconda Guerra Mondiale in Italia ed, ancora oggi, la Stalingrado d’Italia è la battaglia meno nota di tutte quelle che sono state combattute durante la Seconda Guerra Mondiale stessa.

Disegno di un carro armato medio M4 Sherman canadese affidato al Canadian Regiment dagli inglesi per liberare dai tedeschi la città di Ortona

Ho voluto ricordare questa mattanza di soldati canadesi e tedeschi narrando questa battaglia storica della Seconda Guerra Mondiale dimenticata che si combattè nella porzione costiera del Mare Adriatico in Abruzzo per mantenere alta, eterna la memoria di tutti quei giovanissimi soldati, i quali partirono da paesi lontanissimi, dal Canada, Nuova Zelanda, Australia, India, percorrendo ben 20 mila km per venire a morire in Italia sottoi colpi dei tedeschi in pieno onverno, senza poter sentire il canto delle cicale in primavera, tutto questo nel nome della difesa della libertà delle persone di tutto il Mondo, per impedire che esso cadesse completamente per 1000 anni nelle mani della follia ideologica nazista e neonazista, che ieri come oggi, ancora non è stata e forse mai verrà sconfitta.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto