Alzheimer

ALZHEIMER, TEST DEL SANGUE PER DIAGNOSTICARE LA MALATTIA: LO STUDIO (ANCHE ITALIANO)

Il test individua “un anticorpo speciale” che distingue in modo affidabile l’Alzheimer da altre malattie neurodegenerative

Alzheimer, nuovo test del sangue per diagnosticare la malattia https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/alzheimer_test_sangue_diagnosi_studio-7157827.html

Lunedì 9 Gennaio 2023, 17:12 – Ultimo aggiornamento: 17:19

Basterà un test del sangue per individuare la malattia dell’Alzheimer. Il nuovo metodo diagnostico è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori anche italiani, dell’università di Brescia insieme ai colleghi dell’Università di Pittsburgh (Stati Uniti) e dell’Università di Goteborg (Svezia). 

I loro risultati, pubblicati sulla rivista «Brain», mostrano che il nuovo biomarcatore, basato su un anticorpo che si lega in modo specifico alla proteina tau prodotta nel cervello, supera gli attuali test usati per rilevare la neurodegenerazione legata all’ Alzheimer.

Alzheimer, un nuovo test meno invasivo

Fino ad oggi per diagnosticare la malattia dell’Alzheimer veniva utilizzata una scansione cerebrale o l’analisi del liquido cerebro-spinale. Ma «questi test sono costosi e molti pazienti non vi hanno accesso», spiega l’autore senior Thomas Karikari, assistente professore di psichiatria dell’Università di Pittsburgh. Da qui la necessità di sviluppare test poco invasiva e più economici. 

Il team ha quindi sviluppato una tecnica per rilevare selettivamente un anticorpo speciale, che se presente nel sangue, conferma la presenza della malattia. Si tratta della “Tau derivata dal cervello” (BD-Tau). I ricercatori hanno convalidato il loro test su oltre 600 campioni di pazienti compresi quelli la cui diagnosi era stata confermata dopo la morte e quella di pazienti con malattia in fase iniziale.

«Ora potremmo testare nuovi gruppo di popolazione» 

I test di verifica hanno funzionato: hanno mostrato che i livelli di BD-tau rilevati corrispondevano ai livelli di tau nel liquido cerebro spinale e distinguevano in modo affidabile l’Alzheimer da altre malattie neurodegenerative. Inoltre erano correlati alla gravità delle placche amiloidi e dei grovigli tau nel tessuto cerebrale, confermati tramite autopsia.

L’utilità della ricerca consentirà non solo di individuare in maniera precoce e più economica la malattia, ma sarà possibile ampliare gli studi su questa malattia. Per gli scienziati sarà infatti più facile iscrivere in studi clinici pazienti appartenenti a gruppi di popolazione finora escluse dalla ricerca.

Fonte: Il Messaggero

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila

L’ALZHEIMER LAVORA NEL BUIO PER VENTI ANNI, I SINTOMI COMPAIONO QUANDO E’ TARDI

Anzidei (Fondazione Igea): “Per la malattia avanzata non c’è cura, bene fare screening dopo i 50 anni”

https://www.dire.it/20-09-2022/793305-lalzheimer-lavora-nel-buio-per-20-anni-i-sintomi-compaiono-quando-e-tardi/

ROMA – “L’Alzheimer è una malattia che non ha possibilità di cura ma c’è la possibilità di prevenirla, cioè di affrontarla prima che appaiano i sintomi”. A dirlo è Giovanni Anzidei, fondatore e vicepresidente della Fondazione Igea, onlus con lo scopo di promuovere studi sul fenomeno dell’invecchiamento della popolazione.


Contattato dalla Dire in occasione della Giornata mondiale sull’Alzheimer, che si celebra domani 21 settembre, Anzidei ha spiegato come questa malattia, che colpisce circa 47 milioni di persone nel mondo, inizialmente non dà alcun sintomo: “Per circa 15 anni lavora al buio e non dà sintomatologia. Infatti, quando arriva e comincia a distruggere i neuroni, il cervello si accorge della mancanza di neuroni e chiede a quelli superstiti di fare il doppio lavoro. Automaticamente compensa i danni che può fare la malattia. Quindi chi è malato non se ne accorge, ma la malattia continua a mangiare i neuroni. È un processo che dura 15-20 anni, fino a quando i neuroni superstiti sono talmente pochi che non riescono più a compensare, e solo allora appaiono i sintomi”. I sintomi, dunque, compaiono solo quando la malattia è in uno stato assai avanzato ed è questo il motivo per cui “le medicine in questo campo non hanno finora dato alcun risultato”.


Importante, quindi, lavorare sulla prevenzione, per scovare la malattia prima che mostri i suoi primi segnali. A tal proposito, Anzidei ha citato uno studio del neurofisiatra Lamberto Maffei che nel 2018 ha ideato il protocollo ‘Train the brain’, sperimentato dall’istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche: “Maffei ha pensato di usare la grande plasticità del cervello umano per contrastare l’inizio della malattia, attraverso esercizi di intelligenza, memoria e creatività”. Attività particolarmente indicate sono “il canto e suonare uno strumento”, ha detto ancora Anzidei. In entrambi i casi, infatti, si tratta di “azioni che emozionano e le emozioni sono fondamentali perché i malati perdono la memoria ma non perdono le emozioni. Attraverso le emozioni, quindi, si riescono a stimolare molto bene”. Il protocollo Train the Brain, ha proseguito Anzidei, “ha dato risultati molto positivi: a distanza di anni, l’80% de casi trattati o sono rimasti stabili o addirittura sono migliorati”.

Ma che tipo di controlli si possono fare per accorgersi in tempo dell’insorgere della malattia? “Dopo i 50 anni è bene fare un controllo da un neuropsicologo una volta l’anno– ha risposto Anzidei- Si tratta di un semplice colloquio con test di intelligenza, attraverso i quali un professionista è in grado di accorgersi di qualcosa che non va anche prima che il paziente presenti i sintomi veri e propri. È una cosa molto importante, perché l’unica cosa che possiamo fare per difenderci dall’Alzheimer è la prevenzione”, ha concluso.

Fonte: Dire.it

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo