Vittorio Adorni

MORTO VITTORIO ADORNI, CICLISTA CHE VINSE IL GIRO D’ITALIA NEL 1965 E FU ANCHE CAMPIONE DEL MONDO

di Marco Bonarrigo

A darne la notizia, Norma Gimondi, figlia di Felice, tra i suoi più grandi avversari negli anni Sessanta. Adorni aveva 85 anni

Il grande ciclista della FAEMA Vittorio Adorni: vinse il Giro d’Italia nel 1965 e divenne Campione del Mondo ad Imola nel 1968 https://www.corriere.it/sport/ciclismo/22_dicembre_24/morto-vittorio-adorni-vinse-giro-d-italia-1965-23381f10-8376-11ed-8cce-4b72b0db0f83.shtml

Grandissimo campione, grande signore, grande italiano: Vittorio Adorni è morto a Parma alla vigilia di Natale, a 85 anni. Nato a San Lazzaro Parmense il 14 novembre 1937, Adorni è stato una leggenda assoluta dello sport azzurro (professionista dal 1961 al 1970, vincitore del Giro d’Italia nel 1965, campione del mondo nel 1968) e un formidabile ambasciatore del ciclismo in tanti ruoli diversi, pedalati e non. Ricoverato a Parma la mattina del 23, si è spento poche ore dopo: era il più anziano trionfatore del Giro d’Italia vivente e da 57 anni deteneva il record del distacco più ampio inflitto ai rivali nella classifica finale della corsa rosa: 11’26” a Italo Zilioli e 12’57” a Felice Gimondi, suo grandissimo avversario e amico, mancato tre anni fa.

Di una carriera relativamente breve rispetto a corridori coevi come Gimondi e Merckx, si ricorda sopratutto il trionfo solitario al Mondiale di Imola nel 1968 (era stato argento a Sallanches quattro anni prima), a due passi dalla sua Parma, quando dopo un’epica fuga solitaria di 90 chilometri Adorni staccò il secondo e il terzo di dieci minuti. Ripercorse l’impresa per l’ennesima volta pochi mesi fa al Festival dello Sport di Trento, strappando un lungo applauso alla platea. Vinse in tutto 42 corse vestendo la maglia rosa per 19 giorni.

Stile pacato, eloquio forbito, Adorni fu tra i primissimi atleti azzurri a diventare un personaggio televisivo. Opinionista impeccabile ed elegantissimo al Processo alla Tappa di Sergio Zavoli nell’anno in cui vinse il Giro, Adorni condusse a fine carriera il telequiz «Ciao Mamma» con Moira Orfei e poi fu una sorta di proto commentatore tecnico al fianco di Adriano De Zan nelle telecronache del ciclismo negli anni Ottanta e Novanta. In virtù anche del suo ottimo francese e dei buoni rapporti a livello internazionale, Adorni è stato per lunghi anni rappresentante e presidente del movimento professionistico all’interno dell’Unione Ciclistica Internazionale viaggiando in lungo e largo per il pianeta. Assessore allo sport a Parma, quando lasciò il ciclismo diventò un broker assicurativo di grande successo. Tra i primi a salutarlo ieri Norma Gimondi, la figlia del grande Felice: «Fai buon buon viaggio Vittorio e salutami papà».

Del Processo alla Tappa del 1965 resta celebre un puntata in cui — capovolgendo lo schema della trasmissione (un intellettuale ospite rivolgeva una domanda a uno o più corridori) — Adorni prese in mano il microfono a Sergio Zavoli e si rivolse così a Pier Paolo Pasolini: «Volevo chiederle, Pasolini, come mai lei è qui in studio al Processo. Perché è venuto? Per farsi pubblicità, per vedere qualche nuovo soggetto o magari per progettare un film o per scrivere dei libri? È convinto che noi siamo solo pedalatori o faticatori della strada o crede che dentro di noi ci sia qualcosa di buono da tirar fuori, qualche bella storia o qualche bel personaggio?». E Pasolini rispose. «Sono qui perché mi è stato chiesto — replicò lo scrittore friulano — e non ho fatto nessuna fatica ad accettare. Il ciclismo è uno sport che amo fin da ragazzino. Lei sai chi era Canavesi, Adorni? Io sì e lo seguivo. Sono qui per amore del ciclismo. Io prenderei Dancelli e Taccone per un film, dopo quello che hanno detto». Adorni di nuovo: «Non volevo offenderla o criticarla, mi scuso, è che lei è un grosso personaggio: i giornalisti ci chiedono sempre dei rapporti che usiamo, delle fughe, del perché abbiamo mangiato questo o quello ma lei è un grandissimo scrittore e tutto quello che ha fatto è criticato o elogiato. Volevo ripetere la domanda: lei crede davvero che i corridori siano faticatori di strada o qualcosa di più?». Pasolini: «Non si possono dividere pedalatori e uomini in due categorie nette. Ci sono molti casi interessanti tra voi, molte vicende umane e tanto materiale ricco per l’ispirazione di uno scrittore o un regista».

Fonte: Corriere della Sera

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo