Rosario Marcianò

NON FATEVI INTORTARE: IL CLOUD SEEDING NON SONO LE SCIE CHIMICHE!

Vasto (CH), lì 26 Aprile 2024 ore 16.12

Buon pomeriggio a tutti e a tutte voi, in questo articolo vi parlerò della netta differenza che esiste tra due tecniche diverse appartenenti alla Geoingegneria clandestina praticata nei nostri cieli appartenenti al Patto Atlantico della NATO dopo la sottoscrizione del Trattato di Cooperazione Internazionale per la Sperimentazione Climatica istituito nel 2005 dal Presidente degli Stati Uniti George W.Bush Jr. attraverso la US Air Force e la sottoscrizione di tutti e 28 gli Stati appartenenti al Patto Atlantico della NATO, l’organizzazione militare direttamente gestita dagli Stati Uniti e che oggi ha sede a Bruxelles in Belgio nel cuore dell’Europa, Paesi tra i quali vi è anche l’Italia che al tempo era “amministrata” indegnamente a suo modo dal Governo di Silvio Berlusconi. Come ho avuto già modo di riportare nella mia tesi di laurea su “La Geoingegneria, nuovi metodi artificiali per contrastare il Riscaldamento Globale”, discussa davanti alla Commissione di Scienze Ambientali nella Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali (MM.FF.NN.) di Coppito (L’Aquila) in data 26 Ottobre 2012, ho fatto una precisa distinzione tra le tecniche di rimozione del Diossido di Carbonio o Carbon Dioxide Remotion (CDR) e le tecniche di gestione della Radiazione Solare o Solar Radiation Management (SRM): nella prima parte della mia esposizione verbale, per circa 15-20 minuti parlai delle tecniche di CDR, poi passai all’esposizione delle tecniche di SRM, che sono quelle che ci interessano più da vicino ai fini dell’attuale manipolazione meteo e climatica globale a livello artificiale mediante aerei militari e civili. In tale sede è opportuno fare chiarezza sulle prime tecniche di manipolazione del meteo a livello locale, al tempo non si parlava ancora di Geoingegneria, ma si cominciarono ad utilizzare le prime tecniche di cloud seeding o inseminazione artificiale delle nuvole alte (nembi e cumulonembi, particolari nuvole a forma di fungo che si allargano verso l’alto e che si rinvengono tra i 5 e gli 8 km di quota, in alta troposfera prima dell’ingresso in stratosfera) attraverso sostanze chimiche tossiche per la salute umana quali lo ioduro d’argento usato tra gli anni ’60, anni ’90 ed ancora oggi, ma anche nuove sostanze quali il grafene, a stessa sostanza contenuta nei trials sierogenici che sono stati iniettati nelle persone in occasione della prima campagna vaccinale contro il COVID19 durante il biennio legato all’emergenza sanitaria tra il 2020 ed il 2021, ma anche batteri geneticamente modificati ed anche batteri come l’Escherichia Coli, batteri colifecali in grado di arrecare infezioni sistemiche nei corpi degli esseri umani e provocarne conseguente morte, sostanze annoverate nel prossimo video che andrò a proporvi e realizzato in data 22 Aprile 2024 da Rosario Marcianò, il Presidente del Comitato Tankerenemy di Sanremo in Liguria, con i quale sono in contatto sicuramente dal 2009, quando vivevo ancora ad Avezzano, nel distretto montano dell’Appennino Centrale della Marsica. Le tecniche di cloud seeding venivano già utilizzate dagli apparati militari USA ed italiani già negli anni ’60, qui in Italia per la precisione intorno già al 1966, quando un’enorme quantità di acqua venne fatta precipitare a Firenze causando l’alluvione di quell’anno, la peggiore per danni arrecati alla comunità locale, la peggiore che si ricordi nella storia del nostro Paese in 163 anni di unità d’Italia, mentre negli USA il primo progetto che fece uso di scie chimiche (chemtrails) e non di cloud seeding, o creazione di nuvole artificiali basse o alte stratificate (cirri che si rinvengono tra gli 8 ed i 10 km di quota nella stratosfera) dal colore bianco opaco, fu il progetto Stormfury, istituito nel 1967 direttamente dalla US Air Force per depotenziare i tornado distruttivi di Forza Fukushita 4 (F4) o Fukushita 5 (F5), che originatisi dal Golfo del Messico tendevano a percorrere una traiettoria che li avrebbe portati a puntare e a distruggere direttamente grandi centri abitati come Houston, Forth Worth, Sant’Antonio nello stato del Texas e New Orleans nello stato della Louisiana, i velivoli militari intercettori radar USA come l’A10 o altre tipologie di aerei impiegati a quel tempo sorvolavano il tornado, raccoglievano dati preziosi per determinare la sua potenza, poi si procedeva allo spargimento di apposite sostanze chimiche che servivano a depotenziare il tornado stesso e a deviarlo dal suo percorso abituale, allontanandolo da queste città molto densamente popolate.

Project Stormfury, US Air Force Jacksonville, Florida USA, June 1969
https://documents.theblackvault.com/documents/weather/AD0722670.pdf

https://www.jstor.org/stable/26224358

Project Stormfury US Air Force staff, June 1969 Source: National Oceanographic and Air Administration (NOAA)
https://vlab.noaa.gov/web/nws-heritage/-/almost-science-fiction-hurricane-modification-and-project-stormfury

https://apps.dtic.mil/sti/citations/AD0730016 Project Stormfury, US Air Force military report 1970

Golfo del Messico ed alcune delle città densamente popolate che sorgono in prossimità del Golfo e costantemente in allerta per l’arrivo di forti tornado che si originano dal Golfo stesso.
https://www.google.it/maps/place/Golfo+del+Messico/@30.0049586,-95.3220766,1390089m/data=!3m1!1e3!4m6!3m5!1s0x85f1032277809767:0x4061678d86094852!8m2!3d25.304304!4d-90.065918!16zL20vMDNmXzk?entry=ttu

Le tecniche di cloud seeding che impiegavano sostanze chimiche come lo ioduro d’argento sono state utilizzate moltissimo anche dai militari italiani dell’Aeronautica Militare intorno agli anni ’90 nella regione della Puglia in Italia per combattere la desertificazione del clima locale vigente nel Sud Italia già a quel tempo, considerando che in questa regione esiste una nota e famosa base militare NATO, quella di Gioia del Colle, da dove partivano aerei militari come il Lockreed C130 Hercules, ma anche il McDonnell Douglas F15 C-Eagle americani donati alla nostra aeronautica per creare delle perturbazioni da zero e far piovere circa 100-200 mm di acqua in appena 30-40 minuti, in un luogo dove abitualmente a quel tempo pioveva al massimo 5-6 volte all’anno, non di più.

Foto di gruppo dei miliari dell’Aeronautica Militare che gestiscono l’aeroporto NATO di Gioia del Colle (Bari) Puglia, Italia
https://www.facebook.com/492504490804133/photos/a.501909033197012/1840342709353631/?type=3
Da Gioia del Colle nuovo carico di armi italiane all’Ucraina Fonte: Contropiano quotidiano comunista
https://contropiano.org/news/politica-news/2024/04/23/da-gioia-del-colle-nuovo-carico-di-armi-italiane-allucraina-0171641
Addestramento a Gioia del Colle (Bari) Puglia Fonte: Aeronautica Militare Ministero della Difesa Italia https://www.aeronautica.difesa.it/2020/06/25/addestramento-a-gioia-del-colle-missione-congiunta-dei-velivoli-dellaeronautica-militare/
Aeroporto Militare Antonio Ramirez e base NATO gestita dal 36° Stormo dell’Aeronautica Militare in via Federico II di Svevia, Gioia del Colle (Bari) regione Puglia, Italia
https://www.google.it/maps/place/Aeroporto+Militare+%22Antonio+Ramirez%22+-+36%C2%BA+Stormo/@40.7835269,16.9293424,593m/data=!3m1!1e3!4m14!1m7!3m6!1s0x1347a269d6c6a337:0xd340878c4e4b827f!2sAeroporto+Militare+%22Antonio+Ramirez%22+-+36%C2%BA+Stormo!8m2!3d40.7828166!4d16.9320566!16s%2Fg%2F1tf9dbsq!3m5!1s0x1347a269d6c6a337:0xd340878c4e4b827f!8m2!3d40.7828166!4d16.9320566!16s%2Fg%2F1tf9dbsq?entry=ttu
Lockreed C130 Hercules of Italy Air Force https://www.planespotters.net/photo/947550/mm62183-aeronautica-militare-italian-air-force-lockheed-c-130j-hercules
McDonnell Douglas F15 C-Eagle US Air Force gift to Italy Air Force
https://www.af.mil/About-Us/Fact-Sheets/Display/Article/104501/f-15-eagle/

SOSTANZE CHIMICHE USATE NEL CLOUD SEEDING

1. IODURO D’ARGENTO (AgI)

Lo ioduro d’argento (AgI) è un sale binario dell’acido iodidrico (HI). Si presenta come una sostanza solida gialla brillante, anche se i campioni spesso contengono delle impurità di argento metallico che conferiscono al composto una colorazione grigia, fotosensibile con densità pari a 5,675 g/cm^3, temperatura di fusione di 558 °C e temperatura di ebollizione di 1506 °C. Alla temperatura di 20°C, AgI presenta una solubilità in acqua pari a 3 nanog/L.

Formula dello Ioduro d’argento

L’argento è un elemento chimico appartenente al gruppo dei metalli di transizione che presenta un numero di ossidazione pari a +1.

AgI deriva formalmente dalla neutralizzazione dell’acido iodidrico HI con nitrato di argento, entrambi in soluzione:

AgOH+HI>AgI+H2O

AgI può essere preparato facendo reagire ioduro di potassio con nitrato di argento, entrambi in soluzione: KI(aq)+AgNO3(aq)>AgI(s)+KNO3(aq)

Reazioni

In presenza di luce, campioni puri di AgI scuriscono rapidamente, la luce provoca infatti la riduzione dello ione Ag+ ad Ag metallico.

Impieghi

Lo ioduro d’argento trova largo impiego nella lotta antigrandine attraverso l’inseminazione artificiale delle nubi (cloud seeding): razzi antigrandine costituiti da ioduro d’argento, sparati in aria, forniscono ulteriori nuclei di condensazione, in aggiunta a quelli dovuti al naturale pulviscolo atmosferico, che permettono la formazione di un maggior numero di chicchi di grandine, ma di minori dimensioni. Solo per tale utilizzo vengono prodotti annualmente 50000 kg di AgI.

Agi trova impiego anche in medicina come disinfettante e, in quanto sostanza fotosensibile, nel campo della fotografia.

2. Grafene

Che cosa è il grafene?

Il materiale più sottile del mondo è destinato a rivoluzionare quasi ogni campo della vita quotidiana. Scopri come nasce l’interesse sul grafene, le sue stupefacenti proprietà e le potenziali applicazioni che queste proprietà offrono per il futuro.

Il grafene è un foglio di atomi di carbonio disposti a formare un reticolo esagonale. Ogni singolo foglio è spesso quanto un solo atomo, e quindi in confronto ha un’estensione laterale enorme, come un lenzuolo molto flessibile eppure resistente. Per questo si parla di grafene come di un materiale bidimensionale, in cui esistono solo le due dimensioni del piano, mentre la terza è zero! La grafite è composta da tanti di questi fogli messi assieme uno sull’altro, e se consideriamo la grafite come un libro, il grafene è come una delle pagine che lo compongono. Anche se la grafite era studiata intensamente da tempo, solo nel 2004 si è scoperto che uno suo singolo foglio ha proprietà molto diverse e che, a volte, una pagina sola è meglio di un intero libro.

La scoperta

Nel 2004 due scienziati russi emigrati a Manchester, Andrej Gejm e il suo studente Konstantin Novosëlov, cercarono di ottenere delle strutture molto sottili di grafite. L’idea era di paragonare le proprietà di strati sottili e piatti di grafite con quelle dei nanotubi di carbonio, già noti da tempo. Per assottigliare sempre più delle scaglie di grafite Gejm e Novosëlov provarono a usare del nastro adesivo, un metodo molto semplice ma efficace. Attaccando e staccando due pezzi di scotch con in mezzo un fiocco di grafite, si ottenevano strati sempre più sottili, che potevano poi essere trasferiti su un pezzo di silicio. Il procedimento funzionò; Gejm e Novosëlov trovarono fogli abbastanza larghi da essere visibili otticamente ma spessi solo tre, due, o anche un solo atomo di carbonio.  Grazie alla facilità del metodo di produzione riuscirono a studiare le proprietà elettriche di un singolo foglietto di grafene. E scoprirono di aver trovato un tesoro.

I due scienziati hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica nel 2010, in riconoscimento della loro conquista.

Il “metodo dello scotch” utilizzato a Manchester, era così semplice ed efficace che lo studio di questo materiale è cresciuto molto rapidamente, e ora centinaia di laboratori nel mondo si dedicano a vari aspetti della ricerca sul grafene.

Le proprietà

Perché il grafene è così speciale?

La grafite è un buon conduttore di cariche elettriche, ma il modo in cui le conduce è abbastanza convenzionale, simile a quello dei metalli. Se però si assottiglia la grafite sino ad arrivare a pochi strati di grafene, gli elettroni sono costretti a muoversi lungo il piano di questi fogli. In un singolo foglio di grafene, il movimento degli elettroni è praticamente bidimensionale. Così gli elettroni sono costretti a viaggiare attraverso il reticolo del grafene e questa struttura periodica influenza il loro modo di essere, al punto che gli elettroni viaggiando nel grafene diventando equivalenti a particelle senza massa simili a neutrini, ma elettricamente carichi.

“Studiare l’elettrodinamica quantistica in laboratorio e a temperatura ambiente è come avere il Cern sulla scrivania” 

Questo cambiamento non è dovuto a una qualche proprietà “magica” del grafene, bensì alla simmetria esagonale del suo reticolo. Gli elettroni nel grafene acquisiscono così un’altissima mobilità, cento volte maggiore di quella che hanno, ad esempio, nei pur velocissimi transistor al silicio; si comportano come particelle balistiche, piccoli proiettili che viaggiano per distanze molto grandi (su scala microscopica) senza essere deviati.

Il comportamento unico degli elettroni nel grafene permise immediatamente di osservare interessanti fenomeni quantistici, a temperatura ambiente e in campioni prodotti semplicemente usando del nastro adesivo. Poter fare esperimenti di elettrodinamica quantistica senza usare acceleratori di particelle e a temperatura ambiente era come, citando le parole di Andrej Gejm, «avere il Large Hadron Collider del Cern sulla scrivania».

Anche se le proprietà elettroniche e fisiche furono le prime a eccitare gli scienziati, il grafene ha molte altre proprietà eccezionali. È molto stabile meccanicamente: un singolo foglio di grafene, spesso quanto un solo atomo, può essere manipolato e deformato, resistendo a pressioni anche elevate. Può condurre elettroni più velocemente del silicio, come già accennato, e trasportare calore meglio del rame. A causa della sua struttura compatta è praticamente impermeabile alle molecole e a tutti i gas. Come la grafite, è chimicamente stabile all’aria e alla luce. Si può inoltre modificare (funzionalizzare) chimicamente per cambiarne le proprietà. Le eccezionali caratteristiche di questo materiale lo rendono promettente per svariate applicazioni e sono centinaia, in tutto il mondo, i gruppi di ricerca che stanno cercando di portare questo materiale dal banco di laboratorio allo sviluppo di una nuova tecnologia e di prodotti a base di grafene.

Le applicazioni

Grafene in elettronica: mi piego ma non mi spezzo

La prima idea per utilizzare il grafene è stata, naturalmente, quella di sfruttare l’enorme mobilità delle sue cariche per realizzare transistor e microchip più veloci di quelli di silicio, oggi alla base di tutti i computer e telefoni cellulari. In effetti, i ricercatori sono riusciti a produrre singoli transistor o anche semplici circuiti capaci di funzionare a frequenze elevatissime, di centinaia di gigahertz. Il grafene, dunque, è destinato a soppiantare il silicio perché più veloce e performante? Sfortunatamente, no. Per due motivi, uno scientifico, l’altro economico. Il primo motivo è che il grafene conduce molto, troppo bene, cariche elettriche sia positive che negative. È quindi molto difficile “spegnere” un transistor a base di grafene. Mentre un transistor al silicio può essere acceso e spento, assumendo i valori “0” e “1” che sono alla base dell’elettronica digitale, un transistor al grafene al massimo può passare da “molto acceso” a ”poco acceso”. Questo è un limite che gli scienziati stanno cercando di risolvere in vari modi, anche abbastanza fantasiosi, ad esempio tagliando piccole strisce di grafene per limitare in qualche modo il trasporto di elettroni. Il secondo motivo è economico. Anche se, in futuro, si riuscirà a creare transistor al grafene efficienti ma controllabili, è difficile che il grafene soppianti il silicio. La tecnologia del silicio è vecchia di sessant’anni, estremamente ottimizzata e robusta, e l’industria microelettronica richiede impianti davvero costosi: una singola fabbrica del colosso Intel può arrivare a costare quanto il bilancio di un piccolo Stato. Difficilmente le industrie microelettroniche smantelleranno i loro impianti esistenti basati sul silicio per avventurarsi in una nuova tecnologia, per quanto vantaggiosa. Il grafene quindi non sostituirà il silicio. È più probabile, invece, che sia utilizzato in applicazioni impossibili per il silicio, ad esempio per dispositivi elettronici su plastica, flessibili e resistenti. Cellulari, computer e televisori “arrotolabili” sono il Santo Graal del settore microelettronico. Colossi come Samsung, Nokia o LG stanno investendo moltissimo per sviluppare questi prodotti e hanno già presentato al pubblico vari prototipi flessibili. I materiali attualmente usati per l’elettronica, in primis il silicio, sono di solito cristallini e fragili, quindi non adatti per questo tipo di applicazioni. Il grafene, invece, può essere piegato e allungato senza perdere le sue proprietà elettriche ed è un candidato ideale per la prossima rivoluzione dell’elettronica.

(Sinistra) Grafene depositato su wafer di Silicio e definito con litografia ottica. (Centro) Grafene depositato su vetro. (Destra) Nano-composito conduttivo, trasparente e flessibile di grafene e resina epossidica.

Grafene per sensori: sottile e sensibile

Il grafene, essendo un materiale monoatomico, è esposto all’influenza dell’ambiente esterno da entrambi i lati del foglio. Il trasporto di carica in un foglio di grafene può essere influenzato dalla presenza di molecole, radiazioni e cariche elettriche presenti sulla superficie, e questo ne fa un materiale eccellente per realizzare sensori. Di recente la Nokia ha brevettato l’uso di grafene per sensori di luce innovativi, e ha anche prodotto un sensore di acqua ultraveloce che, analizzando l’umidità presente nell’aria che espiriamo, può riconoscere persone diverse dal modo in cui “fischiettano”. Tanta tecnologia per riconoscere qualcuno che fischietta? I produttori di cellulari ci hanno dimostrato che, dagli SMS ai social network, spesso le applicazioni più strane o apparentemente banali sono quelle di maggior successo.

Grafene per batterie: elettrodi ultraporosi

Le attuali batterie agli ioni di litio, che alimentano la maggior parte dei nostri computer e cellulari, hanno elettrodi in carbonio, di solito in grafite. A ogni ciclo di carica gli ioni di litio penetrano tra gli strati di grafite, che è capace di immagazzinarli efficientemente. Purtroppo, però, questo processo distrugge, ciclo dopo ciclo, la grafite. Immagazzinare ioni di litio nella grafite è come infilare a forza biglie di vetro tra le pagine di un libro chiuso, ammaccandolo. Infatti, dopo un po’, come tutti sappiamo, il cellulare si scarica sempre più velocemente e bisogna cambiare la batteria. Il grafene, invece, ha un’alta area superficiale, sino a 2600 metri quadri per un singolo grammo. La sua flessibilità gli permette, a differenza della grafite, di resistere meglio all’intercalazione degli ioni in una batteria; l’alta area superficiale e l’elevata conducibilità elettrica lo rendono un materiale promettente per creare nuove batterie nanotecnologiche o anche supercapacitori per lo sviluppo di automobili ibride, cellulari di lunga durata o dispositivi flessibili.

Fogli di grafene come filtri molecolari

Se dei fogli di grafene sono impacchettati gli uni sugli altri in presenza di piccoli difetti o di altre molecole, possono creare delle fessure nanometriche, di spessore ben definito. La struttura bidimensionale del grafene permette di controllare molto bene lo spessore di queste fessure, permettendo di filtrare in maniera selettiva liquidi e ioni. Applicazioni ancora più fantascientifiche immaginano di usare un singolo foglio di grafene, capace di resistere comunque a pressioni elevate, con dei buchi ben definiti per desalinizzare l’acqua del mare oppure sequenziare frammenti di DNA in modo estremamente veloce.

Dai microcompositi con fibre di carbonio ai nanocompositi con fogli di grafene

Le buone proprietà meccaniche ed elettriche del grafene permettono di utilizzarlo come un nanoadditivo, da aggiungere a plastiche o materiali compositi per renderli più resistenti o elettricamente conduttivi. I materiali compositi utilizzano già additivi come fibre di carbonio o di vetro per questi scopi. L’utilizzo di un materiale nanotecnologico come il grafene, però, permette di ottenere questi risultati con quantità minime di materiale, sfruttando la sua alta area superficiale per massimizzare l’interazione con il polimero circostante. Anche se ci sono ancora problemi di costo e di produzione per sfruttare al massimo le proprietà del grafene nei compositi, esistono già in commercio delle racchette da tennis a base di grafene, che sono utilizzate da campioni come Novak Djokovic o Maria Sharapova.

Cosa ci riserva il futuro

I pregi del grafene sono così numerosi da essere quasi incredibili. Tutte queste eccezionali proprietà sono ben note e sono state misurate da diversi laboratori di ricerca in tutto il mondo. Purtroppo, però, si tratta di proprietà osservate su scala nanoscopica, a livello di un singolo foglietto di grafene, spesso privo di difetti o contaminanti di ogni tipo. Se si passa dal singolo foglietto, prodotto con il nastro adesivo, a materiali macroscopici a base di grafene, queste proprietà si degradano rapidamente. Il trasporto di elettroni è disturbato da difetti presenti all’interfaccia tra fogli contigui, così come il trasporto di calore. L’interfaccia tra grafene e polimeri è spesso un punto debole che diminuisce le proprietà meccaniche dei compositi, ed è difficile inserire in maniera uniforme ed economica questo materiale in prodotti commerciali. La sfida di tutti i ricercatori del settore è quindi quella di riuscire a sfruttare in modi utili e affidabili le proprietà del grafene, sviluppando una nuova tecnologia che si basi su questi nanomateriali.

Con questo obiettivo, la Commissione Europea ha lanciato nel 2013 il Graphene Flagship Project, una delle più ambiziose iniziative di ricerca europea mai tentate, con una durata programmata di dieci anni e un budget previsto di cento milioni di euro all’anno. L’Italia è in prima linea in questo settore di ricerca, con la partecipazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, di tante università e centri di ricerca e di grandi aziende, come ad esempio la STMicroelectronics di Catania. Nonostante tutti questi sforzi, è difficile predire se e come il grafene e in generale le nanotecnologie cambieranno le nostre vite. Pensare a un progresso incrementale, in cui la scienza serve solo a migliorare prodotti già esistenti, è forse riduttivo. Come disse il premio Nobel Herbert Kroemer: «L’applicazione principale di ogni nuova tecnologia è sempre un’applicazione creata dalla nuova tecnologia». Se, nel Cinquecento, aveste scommesso sul futuro della grafite, su cosa avreste puntato: un’applicazione militare, altamente tecnologica, per fare palle di cannone, o un’applicazione di basso livello e basso costo per scrivere su carta, per cui esisteva già una tecnologia ben sviluppata come la penna d’oca e il calamaio? Probabilmente, avreste sbagliato. Nel Cinquecento come nel presente, è sempre difficile predire il futuro.

3. Batteri geneticamente modificati (OGM)

Batteri OGM usati come farmaci nell’uomo per la cura del diabete e dei tumori

Alcuni tipi di batteri vengono geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di convertire un prodotto di scarto delle cellule tumorali (l’ammoniaca NH4) in un metabolita immunomodulante (L-arginina) che aumenta le funzioni antitumorali delle cellule T, o linfociti CAR-T.

Batteri geneticamente modificati per “sabotare” i tumori
e potenziare l’immunoterapia

https://www.ticinoscienza.ch/it/news.php?batteri-geneticamente-modificati-per-sabotare-tumori-e-potenziare-immunoterapia#:~:text=I%20batteri%20sono%20stati%20geneticamente,funzioni%20antitumorali%20delle%20cellule%20T.

Sulla rivista Nature i risultati di uno studio condotto dall’équipe di Roger Geiger all’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona. Utilizzati microrganismi che riescono a insinuarsi fra le cellule malate.

di Elisa Buson

Nella lotta ai tumori abbiamo nuovi alleati davvero insospettabili: i batteri. Siamo abituati a distinguerli in “buoni” e “cattivi”, a seconda del loro effetto sulla nostra salute, ma in realtà, grazie alla biologia sintetica, oggi inizia a profilarsi anche una terza categoria: quella dei batteri “intelligenti”. Sono microrganismi innocui per l’uomo che vengono geneticamente modificati per diventare veri e propri sabotatori di tumori, capaci di insinuarsi tra le cellule malate e trasformare i loro rifiuti in benzina per il sistema immunitario. Un’astuta strategia che è stata sperimentata con successo all’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB, affiliato all’Università della Svizzera Italiana) nel laboratorio guidato da Roger Geiger, che grazie ai suoi meriti scientifici è da poco entrato a far parte del programma Young Investigator della European Molecular Biology Organization (EMBO). Lo studio, condotto per ora su modelli animali, è stato coronato dalla pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature e lascia presagire importanti sviluppi per le cure anticancro.

L’obiettivo è quello di potenziare gli effetti dell’immunoterapia, che agisce risvegliando il sistema immunitario: pur essendo efficace contro diversi tipi di tumore, purtroppo non funziona in tutti i pazienti. Spesso ciò accade perché i guardiani del sistema immunitario, le cellule T, si trovano a combattere in condizioni molto difficili e senza adeguati rifornimenti. Per rifornirli di vettovaglie, si è pensato di sfruttare la capacità che hanno alcuni batteri di “colonizzare” i tumori. Tra le cellule malate, infatti, si crea un ambiente povero di ossigeno che costituisce una nicchia ideale per alcuni microrganismi che vivono in condizioni anaerobiche. Non a caso «i tumori contengono un microbioma diverso da quello che caratterizza gli organi sani – afferma Geiger. – Proprio questi batteri che si insediano nei tumori possono essere usati come piattaforme da ingegnerizzare per interferire con l’ambiente tumorale generando un effetto terapeutico».

L’intuizione di usare i batteri come armi anticancro risale addirittura alla fine dell’Ottocento, quando il medico e chirurgo statunitense William Coley osservò per primo la completa eradicazione di un sarcoma cervicale in seguito a un’infezione acuta da streptococco. Partendo da questa scoperta, mise a punto una miscela contenente tossine di origine batterica nell’intento di attivare il sistema immunitario contro il tumore. «Sebbene questa terapia si sia rivelata inefficace e piuttosto dannosa, le prime osservazioni di Coley hanno dimostrato che i batteri possono vivere all’interno dei tumori e scatenare una risposta immunitaria contro di essi», sottolinea l’esperto dell’IRB. «Oggi sappiamo che diversi batteri, patogeni e non, si accumulano preferenzialmente nei tumori e possono avere un’azione antitumorale: tra questi ci sono la Salmonella, la Listeria, il Clostridium e lo Streptococco. Siccome la somministrazione di batteri patogeni ha effetti tossici inaccettabili, attualmente la maggior parte delle strategie anticancro si basa su batteri non patogeni».

I ricercatori dell’IRB, in collaborazione con l’azienda Synlogic di Cambridge (Usa), hanno puntato in particolare sul ceppo di Escherichia coli Nissle 1917 (EcN), che è del tutto innocuo e da tempo utilizzato per la produzione di farmaci e vaccini. I batteri sono stati geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di convertire un prodotto di scarto delle cellule tumorali (l’ammoniaca) in un metabolita immunomodulante (L-arginina) che aumenta le funzioni antitumorali delle cellule T. Iniettati nei topi, sono andati subito a colonizzare il tumore, favorendo l’infiltrazione delle cellule T e potenziando l’efficacia dell’immunoterapia (basata in questo caso sulla somministrazione di anticorpi che bloccano la proteina PD-L1).

Questa strategia è risultata efficace nei cosiddetti tumori “caldi”, quelli che presentano segni di infiammazione dovuti a una preesistente risposta delle cellule T, mentre non sembra funzionare nei tumori “freddi”, quelli cioè che non suscitano una reazione immunitaria. «Quando abbiamo provato a indurre una risposta immunitaria nei tumori freddi iniettando cellule T specifiche – racconta Geiger – la terapia con i batteri è risultata nuovamente efficace, potenziando la risposta immunitaria di base. Considerando questi risultati pre-clinici, è possibile che i pazienti con tumori caldi o immunogenici (come il melanoma, il tumore del polmone non a piccole cellule e il tumore del colon con instabilità dei microsatelliti) possano rispondere alla terapia con batteri».

Prima di arrivare alla sperimentazione sull’uomo, però, restano ancora diversi problemi da risolvere, in primis quello della sicurezza. Finora è stato dimostrato che l’iniezione dei batteri all’interno del tumore è ben tollerata, mentre si sa ancora poco dei potenziali rischi di una somministrazione per via sistemica, necessaria per raggiungere la malattia nei diversi distretti del corpo. «Sappiamo da studi preclinici sul topo che la somministrazione di E. coli Nissle per via endovenosa è associata con una certa tossicità e questo dimostra la necessità di ingegnerizzare ulteriormente i batteri in modo da migliorare la precisione con cui raggiungono il tumore. Questo – prosegue Geiger – ci permetterebbe di iniettare meno batteri nel sangue riducendo l’infiammazione sistemica. Diversi laboratori, incluso il mio, stanno attualmente sperimentando varie strategie per raggiungere questo obiettivo». Il passo successivo sarà quello di migliorare ancora i batteri per renderli multitasking, cioè in grado di produrre non solo L-arginina, ma anche altre molecole utili. Ciò permetterebbe di avere «un maggiore effetto terapeutico e una più vasta applicazione nei pazienti malati di cancro».
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Nella foto in alto (di Loreta Daulte), Roger Geiger con quattro ricercatori del suo gruppo: da sinistra, Gaia Antonini, Giulia Saronio, Lorenzo Petrini e Giada Zoppi

Batteri geneticamente modificati aiutano a guarire le ferite

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2022/03/18/batteri-geneticamente-modificati-aiutano-a-guarire-le-ferite_5ef5e780-10de-4a48-a849-5a1875931939.html

Applicazioni locali a base di batteri geneticamente modificati che producono proteine ripara-ferite hanno dimostrato di guarire ulcere diabetiche negli animali e sono attualmente in fase di sperimentazione clinica in Germania e Polonia.

Lo ha annunciato l’azienda che ha sviluppato l’innovativo trattamento, la finlandese Aurealis Therapeutics, e i riusultati sono pubblicati sulla rivista Plos One.

Il batterio utilizzato per le applicazioni locali è impiegato normalmente nella produzione dei latticini, il Lactococcus lactis, ed è quindi considerato sicuro per gli esseri umani. Gli esperti lo hanno modificato geneticamente introducendo nel suo DNA tre geni che controllano la produzione di proteine umane note per aiutare a riparazione delle ferite: una interleuchina e due fattori di crescita.
Applicati direttamente su ferite larghe un centimetro (in modelli animali di ulcera diabetica) tutti i giorni per una settimana, i batteri hanno permesso di richiudere quasi totalmente le ferite; gli animali trattati con una sostanza inerte non sono guariti nello stesso arco di tempo.
Gli esperti stanno attualmente conducendo dei trial clinici su pazienti diabetici per verificare l’efficacia e la sicurezza della terapia.

Veniamo adesso alle scie chimiche o chemtrails: queste scie si discostano dalle tradizionali scie di condensazione o contrails che si formano molto raramente ogni volta che i motori degli aerei o turbopan posti ai lati delle ali entrano in contatto con le particelle di ghiaccio che si formano sulle stesse, il ghiaccio sublima passa allo stato gassoso, creando la caratteristica scia a “treccia di Berenice” che resta in cielo per qualche secondo e poi svanisce nel nulla. Per riscontrare la presenza in cielo di una scia di condensazione si devono verificare tre condizioni:

1. L’aereo in questione deve volare oltre gli 8000 metri di quota;

2. La temperatura dell’aria non deve essere inferiore a -60°C;

3. L’Umidità relativa (UR%) deve essere superiore al 60%

Le tre condizioni sopra esposte sono praticamente rare, dando origine alle scie di condensazione soltanto al 3%, dal momento che gli aerei militari e civili volano tutti al di sotto dei 10000 metri, a quote decisamente inferiori rispetto a quanto dichiarano i loro trasponder di navigazione sul sito Flight Radar 24 https://www.flightradar24.com/.

Le scie chimiche vengono tracciate sia da aerei civili che da quelli militari i quali spargono sostanze chimiche igroscopiche come il trimetil alluminio (TMA) Al2(CH3)6, una sostanza chimica a base di alluminio che è riportato come un metallo pesante nella tavola periodica degli elementi chimici, redatta dal chimico russo Dmitrij Ivanovic Mendeelev: i trimetil alluminio ed altre sostanze a base di alluminio catturano, asciugano tutta l’umidità contenuta in atmosfera per creare nubi bianche artificiali stratificate cirriformi di alta quota di un colore bianchiccio opaco, nuvole artificiali che servono a migliorare le telecomunicazioni militari in banda ELF ed EHF: questo sistema tende a far sparire sia la copertura nuvolosa naturale che le perturbazioni da essa generate e si tende ad indurre una siccità artificiale che può perdurare per settimane o mesi nelle zone oggetto di questi “trattamenti”. Qui in Italia le previsioni del tempo ed i bollettini vengono emanati direttamente dall’Aeronautica Militare: non a caso, da diversi anni a questa parte, diciamo dal 2010 in poi, tenenti colonnello dell’Aeronautica Militare come Guido Guidi ed altri del suo stesso genere, quando si presentano in televisione ad enunciare il meteo per la giornata stessa e per le giornate seguenti, hanno coniato il termine “velature”, non spiegando mai apposta la loro reale natura e come esse si formano proprio per tenere la popolazione italiana all’oscuro circa le pratiche di Geoingegneria clandestina che da molti anni vanno avanti imperterritamente nei nostri cieli e senza che nessuno faccia niente per fermarle o quanto meno per ridurle sensibilmente, in modo da ridonare quella naturalità e stabilità di cui ha bisogno la circolazione media zonale della nostra atmosfera, il nostro clima, ma anche i nostri corpi umani, perché le sostanze utilizzate sono tutte tossiche.

SOSTANZE CHIMICHE UTILIZZATE NELLE SCIE CHIMICHE E CHE STANNO MODIFICANDO ARTIFICIALMENTE IL CLIMA A LIVELLO GLOBALE

1. TRIMETIL ALLUMINIO Al(CH3)3

Il Timetil alluminio (TMA) è un composto organometallico con la formula Al (CH3)3. È un liquido incolore che è altamente piroforico, il che significa che si accende spontaneamente nell’aria. La TMA è utilizzata principalmente come precursore nel processo di deposizione di vapore chimico (CVD) per depositare film sottili di ossido di alluminio (AL2O3) e altri materiali contenenti alluminio.

Nel processo CVD, il TMA viene in genere miscelato con altri gas e introdotto in un reattore ad alta temperatura. Il calore fa decomporre il TMA, rilasciando atomi di alluminio che reagiscono con ossigeno o altre specie reattive per formare un film sottile su un substrato. Questa tecnica è ampiamente utilizzata nel settore dei semiconduttori per creare strati isolanti, rivestimenti di passione e altri materiali funzionali.

Trimetil alluminio
https://it.bossgoo.com/product-detail/chemical-additives-trimethyl-aluminum-63113273.html

A causa della sua natura piroforica, il TMA deve essere gestito con estrema cautela e conservato in contenitori a tenuta d’aria in un’atmosfera inerte. Reagisce violentemente con l’acqua, rilasciando gas infiammabili e potenzialmente causando esplosioni. Sono necessari protocolli di attrezzatura e sicurezza specializzati per lavorare con TMA per ridurre al minimo il rischio di incidenti.

Nel complesso, il trimetil alluminio è un importante composto chimico nel campo della scienza dei materiali e della produzione di semiconduttori, consentendo la produzione di dispositivi e rivestimenti elettronici avanzati.

2. ESAFLUORURO DI ZOLFO (SF6)

L’esafluoruro di zolfo è un composto inorganico, un gas inodore e trasparente di sintesi formato da 6 atomi di fluoro F raccolti attorno ad un atomo di zolfo S centrale con formula SF₆. È una molecola a geometria ottaedrica con orbitali ibridi sp3d2 secondo il modello Valence Shell Electron Pair Repulsion (VSEPR) della Teoria del Legame di Valenza o VB. La sua struttura rende il gas SF6 molto stabile dal punto di vista chimico e termico. Grazie alle sue proprietà chimico-fisiche, il suo principale utilizzo è quello di isolante inerte dielettrico nei sistemi elettrici a media ed alta tensione e nella fabbricazione di semiconduttori e nei processi di fusione del magnesio e delle sue leghe, grazie alle proprietà elettriche, termiche e chimiche.

L’SF6 viene impiegato anche da aerei militari e civili nelle attività di irrorazione di solfati tramite aerosol nella stratosfera, lo strato di atmosfera posto dai 10 km di quota in su mediante tecniche di gestione della radiazione solare o Solar Radiation Management SRM, nell’ambito della Geoingegneria clandestina sia per ridurre la quantità di radiazione UV e cosmica proveniente dal Sole e sia per migliorare le telecomunicazioni in ambito militare.

Di seguito il video di Rosario Marcianò, Presidente del Comitato Tankerenemy che da anni si batte contro l’abuso delle scie chimiche in Italia, buona visione!

English translate

DON’T BE FOOLED: CLOUD SEEDING IS NOT CHEMICAL TRAILS!

Good afternoon to all of you, in this article I will talk to you about the clear difference that exists between two different techniques belonging to clandestine geoengineering practiced in our skies belonging to the Atlantic Pact of NATO after the signing of the Treaty of International Cooperation for Climate Experimentation established in 2005 by the President of the United States George W. Bush Jr. through the US Air Force and the subscription of all 28 states belonging to the Atlantic Pact of NATO, the military organization directly managed by the United States and which today has its headquarters in Brussels in Belgium in the heart of Europe, countries among which there is also Italy which at the time was “administered” unworthily in its own way by the Government of Silvio Berlusconi. As I have already had the opportunity to report in my degree thesis on “Geoengineering, new artificial methods to combat Global Warming”, discussed before the Environmental Sciences Commission in the Faculty of Mathematical, Physical and Natural Sciences (MM.FF.NN.) of Coppito (L’Aquila) on 26 October 2012, I made a precise distinction between the techniques for removing Carbon Dioxide or Carbon Dioxide Remotion (CDR) and the techniques for managing Solar Radiation or Solar Radiation Management (SRM): in the first part of my verbal exposition, for about 15-20 minutes I talked about CDR techniques, then I moved on to the exposition of SRM techniques, which are those that interest us most closely for the purposes of current global weather and climate manipulation to artificial level using military and civil aircraft. In this context it is appropriate to clarify the first techniques of weather manipulation at a local level, at the time there was still no talk of geoengineering, but the first techniques of cloud seeding or artificial insemination of high clouds (clouds and cumulonimbus, particular mushroom-shaped clouds that spread upwards and are found between 5 and 8 km above sea level, in the upper troposphere before entering the stratosphere) through chemical substances toxic to human health such as silver iodide used between the 60s, 90s and still today, but also new substances such as graphene, the same substance contained in the serogenic trials that were injected into people during the first vaccination campaign against COVID19 during the two-year period linked to health emergency between 2020 and 2021, but also genetically modified bacteria and also bacteria such as Escherichia Coli, colifecal bacteria capable of causing systemic infections in the bodies of human beings and causing consequent death, substances included in the next video that I will propose to you and carried out on 22 April 2024 by Rosario Marcianò, the President of the Tankerenemy Committee of Sanremo in Liguria, with whom I have certainly been in contact since 2009, when I still lived in Avezzano, in the mountain district of the Central Apennines of Marsica. Cloud seeding techniques were already used by the US and Italian military systems as early as the 1960s, here in Italy to be precise around 1966, when an enormous quantity of water was precipitated in Florence causing the flood of that year, the worst for damage caused to the local community, the worst ever remembered in the history of our country in 163 years of Italian unification, while in the USA the first project that made use of chemtrails and not cloud seeding , or creation of artificial low or high stratified clouds (cirrus clouds found between 8 and 10 km above sea level in the stratosphere) with an opaque white colour, was the Stormfury project, established in 1967 directly by the US Air Force to weaken the destructive tornadoes of Force Fukushita 4 (F4) or Fukushita 5 (F5), which originated from the Gulf of Mexico and tended to follow a trajectory that would have led them to target and directly destroy large population centers such as Houston, Forth Worth, San Antonio in the state of Texas and New Orleans in the state of Louisiana, US military radar interceptor aircraft such as the A10 or other types of aircraft used at that time flew over the tornado, collecting precious data to determine the its power, then we proceeded to spread special chemical substances which served to weaken the tornado itself and divert it from its usual path, moving it away from these very densely populated cities.

Cloud seeding techniques that used chemicals such as silver iodide were also widely used by the Italian Air Force soldiers around the 1990s in the Puglia region of Italy to combat the desertification of the local climate already in force in Southern Italy. at that time, considering that in this region there is a well-known and famous NATO military base, that of Gioia del Colle, from where military aircraft such as the Lockreed C130 Hercules, but also the American McDonnell Douglas F15 C-Eagle donated to our air force departed create disturbances from scratch and make it rain about 100-200 mm of water in just 30-40 minutes, in a place where at that time it usually rained a maximum of 5-6 times a year, no more.

CHEMICALS USED IN CLOUD SEEDING

1. SILVER IODIDE (AgI)

Silver iodide (AgI) is a binary salt of hydrogen iodide (HI). It appears as a bright yellow solid substance, although the samples often contain metallic silver impurities which give the compound a grey, photosensitive color with a density of 5.675 g/cm^3, a melting temperature of 558 °C and a boiling of 1506 °C. At a temperature of 20°C, AgI has a solubility in water equal to 3 nanog/L.

Formula of silver iodide

Silver is a chemical element belonging to the group of transition metals which has an oxidation number of +1.

AgI formally derives from the neutralization of hydroiodic acid HI with silver nitrate, both in solution:

AgOH+HI>AgI+H2O

AgI can be prepared by reacting potassium iodide with silver nitrate, both in solution: KI(aq)+AgNO3(aq)>AgI(s)+KNO3(aq)

Reactions

In the presence of light, pure samples of AgI darken rapidly, as the light causes the reduction of the Ag+ ion to metallic Ag.

Uses

Silver iodide is widely used in the fight against hail through the artificial insemination of clouds (cloud seeding): anti-hail rockets made up of silver iodide, fired into the air, provide further condensation nuclei, in addition to those due to natural dust atmospheric, which allow the formation of a greater number of hailstones, but of smaller dimensions. For this use alone, 50,000 kg of AgI are produced annually.

Agi is also used in medicine as a disinfectant and, as a photosensitive substance, in the field of photography.

2. Grafene

What is graphene?

The thinnest material in the world is destined to revolutionize almost every field of daily life. Find out how interest in graphene began, its amazing properties and the potential applications these properties offer for the future.

Graphene is a sheet of carbon atoms arranged to form a hexagonal lattice. Each individual sheet is only one atom thick, and so in comparison has an enormous lateral extension, like a very flexible yet strong sheet. This is why we talk about graphene as a two-dimensional material, in which only the two dimensions of the plane exist, while the third is zero! Graphite is made up of many of these sheets placed together on top of each other, and if we consider graphite like a book, graphene is like one of the pages that compose it. Although graphite had been studied intensively for some time, only in 2004 was it discovered that a single sheet of graphite has very different properties and that, sometimes, a single page is better than an entire book.

The discovery

In 2004 two Russian scientists who emigrated to Manchester, Andrej Gejm and his student Konstantin Novoselov, tried to obtain very thin graphite structures. The idea was to compare the properties of thin, flat layers of graphite with those of carbon nanotubes, which had already been known for some time. To make the graphite flakes increasingly thin, Gejm and Novoselov tried using adhesive tape, a very simple but effective method. By attaching and detaching two pieces of tape with a flake of graphite in between, increasingly thin layers were obtained, which could then be transferred onto a piece of silicon. The procedure worked; Gejm and Novoselov found sheets wide enough to be optically visible but only three, two, or even a single carbon atom thick. Thanks to the ease of the production method, they were able to study the electrical properties of a single sheet of graphene. And they discovered they had found a treasure.

The two scientists received the Nobel Prize in Physics in 2010, in recognition of their achievement.

The “scotch tape method” used in Manchester was so simple and effective that the study of this material grew very rapidly, and now hundreds of laboratories around the world are dedicated to various aspects of graphene research.

The property

Why is graphene so special?

Graphite is a good conductor of electrical charges, but the way it conducts them is quite conventional, similar to that of metals. However, if the graphite is thinned until it reaches a few layers of graphene, the electrons are forced to move along the plane of these sheets. In a single sheet of graphene, the movement of electrons is practically two-dimensional. Thus the electrons are forced to travel through the graphene lattice and this periodic structure influences their way of being, to the point that the electrons traveling in the graphene become equivalent to massless particles similar to neutrinos, but electrically charged.

“Studying quantum electrodynamics in the laboratory and at room temperature is like having Cern on your desk”

This change is not due to some “magical” property of graphene, but to the hexagonal symmetry of its lattice. The electrons in graphene thus acquire a very high mobility, a hundred times greater than that which they have, for example, in even very fast silicon transistors; they behave like ballistic particles, small projectiles that travel very large distances (on a microscopic scale) without being deflected.

The unique behavior of electrons in graphene immediately allowed interesting quantum phenomena to be observed, at room temperature and in samples produced simply using duct tape. Being able to carry out quantum electrodynamics experiments without using particle accelerators and at room temperature was like, quoting the words of Andrej Gejm, «having Cern’s Large Hadron Collider on your desk».

Although the electronic and physical properties first excited scientists, graphene has many other exceptional properties. It is very mechanically stable: a single sheet of graphene, as thick as a single atom, can be manipulated and deformed, resisting even high pressures. It can conduct electrons faster than silicon, as already mentioned, and transport heat better than copper. Due to its compact structure it is practically impervious to molecules and all gases. Like graphite, it is chemically stable in air and light. It can also be chemically modified (functionalized) to change its properties. The exceptional characteristics of this material make it promising for various applications and there are hundreds, all over the world, of research groups that are trying to bring this material from the laboratory bench to the development of new technology and graphene-based products.

The applications

Graphene in electronics: I bend but I don’t break

The first idea to use graphene was, naturally, to exploit the enormous mobility of its charges to create transistors and microchips faster than silicon ones, today the basis of all computers and mobile phones. Indeed, researchers have managed to produce individual transistors or even simple circuits capable of operating at very high frequencies, hundreds of gigahertz. Is graphene, therefore, destined to replace silicon because it is faster and more performing? Unfortunately no. For two reasons, one scientific, the other economic. The first reason is that graphene conducts both positive and negative electrical charges very, very well. It is therefore very difficult to “turn off” a graphene-based transistor. While a silicon transistor can be turned on and off, assuming the values ​​”0″ and “1” which are the basis of digital electronics, a graphene transistor can at most go from “very turned on” to “slightly turned on”. This is a limit that scientists are trying to resolve in various, even quite imaginative, ways, for example by cutting small strips of graphene to somehow limit electron transport. The second reason is economic. Even if, in the future, it is possible to create efficient but controllable graphene transistors, it is unlikely that graphene will replace silicon. Silicon technology is sixty years old, extremely optimized and robust, and the microelectronics industry requires truly expensive plants: a single factory of the giant Intel can cost as much as the budget of a small state. Microelectronics industries are unlikely to dismantle their existing silicon-based plants to venture into a new technology, no matter how advantageous. Graphene will therefore not replace silicon. It is more likely, however, that it will be used in applications that are impossible for silicon, for example for flexible and resistant electronic devices on plastic. Rollable cell phones, computers and televisions are the Holy Grail of the microelectronics industry. Giants such as Samsung, Nokia or LG are investing heavily to develop these products and have already presented various flexible prototypes to the public. The materials currently used for electronics, primarily silicon, are usually crystalline and fragile, therefore not suitable for this type of applications. Graphene, on the other hand, can be bent and stretched without losing its electrical properties and is an ideal candidate for the next electronics revolution.

(Left) Graphene deposited on silicon wafer and defined with optical lithography. (Center) Graphene deposited on glass. (Right) Conductive, transparent and flexible nano-composite of graphene and epoxy resin.

Graphene for sensors: thin and sensitive

Graphene, being a monatomic material, is exposed to the influence of the external environment from both sides of the sheet. Charge transport in a graphene sheet can be influenced by the presence of molecules, radiation and electrical charges present on the surface, making it an excellent material for making sensors. Nokia recently patented the use of graphene for innovative light sensors, and has also produced an ultra-fast water sensor which, by analyzing the humidity in the air we exhale, can recognize different people by the way they “whistle”. . Lots of technology to recognize someone whistling? Cell phone manufacturers have shown us that, from SMS to social networks, the strangest or seemingly banal applications are often the most successful.

Graphene for batteries: ultraporous electrodes

Current lithium-ion batteries, which power most of our computers and cell phones, have carbon electrodes, usually graphite. With each charging cycle, lithium ions penetrate between the layers of graphite, which is capable of storing them efficiently. Unfortunately, however, this process destroys the graphite, cycle after cycle. Storing lithium ions in graphite is like forcing glass marbles between the pages of a closed book, denting it. In fact, after a while, as we all know, the cell phone runs out of battery faster and faster and the battery needs to be changed. Graphene, on the other hand, has a high surface area, up to 2600 square meters for a single gram. Its flexibility allows it, unlike graphite, to better resist the intercalation of ions in a battery; the high surface area and high electrical conductivity make it a promising material for creating new nanotechnological batteries or even supercapacitors for the development of hybrid cars, long-lasting cell phones or flexible devices.

Graphene sheets as molecular filters

If graphene sheets are packed on top of each other in the presence of small defects or other molecules, they can create nanometric cracks of a well-defined thickness. The two-dimensional structure of graphene allows the thickness of these cracks to be controlled very well, allowing liquids and ions to be selectively filtered. Even more science fiction applications imagine using a single sheet of graphene, capable of withstanding high pressures, with well-defined holes to desalinate sea water or sequence DNA fragments extremely quickly.

From microcomposites with carbon fibers to nanocomposites with graphene sheets

The good mechanical and electrical properties of graphene allow it to be used as a nanoadditive, to be added to plastics or composite materials to make them more resistant or electrically conductive. Composite materials already use additives such as carbon or glass fibers for these purposes. The use of a nanotechnological material such as graphene, however, allows these results to be obtained with minimal quantities of material, exploiting its high surface area to maximize interaction with the surrounding polymer. Even if there are still cost and production problems to make the most of the properties of graphene in composites, there are already graphene-based tennis rackets on the market, which are used by champions such as Novak Djokovic or Maria Sharapova.

What does the future have to offer

The advantages of graphene are so numerous that they are almost incredible. All these exceptional properties are well known and have been measured by several research laboratories around the world. Unfortunately, however, these are properties observed on a nanoscopic scale, at the level of a single sheet of graphene, often free of defects or contaminants of any kind. If we move from the single sheet, produced with adhesive tape, to macroscopic graphene-based materials, these properties degrade rapidly. Electron transport is disturbed by defects present at the interface between adjacent sheets, as is heat transport. The interface between graphene and polymers is often a weak point that decreases the mechanical properties of composites, and it is difficult to uniformly and economically insert this material into commercial products. The challenge for all researchers in the sector is therefore to be able to exploit the properties of graphene in useful and reliable ways, developing a new technology based on these nanomaterials.

With this objective, the European Commission launched the Graphene Flagship Project in 2013, one of the most ambitious European research initiatives ever attempted, with a planned duration of ten years and an expected budget of one hundred million euros per year. Italy is at the forefront in this research sector, with the participation of the National Research Council, the Italian Institute of Technology, many universities and research centers and large companies, such as STMicroelectronics of Catania. Despite all these efforts, it is difficult to predict if and how graphene and nanotechnologies in general will change our lives. Thinking of incremental progress, in which science only serves to improve already existing products, is perhaps reductive. As Nobel Prize winner Herbert Kroemer said: “The principal application of any new technology is always an application created by the new technology.” If, in the sixteenth century, you had bet on the future of graphite, what would you have bet on: a high-tech military application for making cannonballs, or a low-level, low-cost application for writing on paper, for which it already existed a well-developed technology like the quill pen and the inkwell? You would probably be wrong. In the sixteenth century as in the present, it is always difficult to predict the future.

3. Genetically modified bacteria (GMO)

GMO bacteria used as drugs in humans to treat diabetes and cancer

Some types of bacteria are genetically modified in the laboratory to make them capable of converting a waste product of tumor cells (ammonia NH4) into an immunomodulatory metabolite (L-arginine) which increases the anti-tumor functions of T cells, or CAR lymphocytes -T.

Bacteria genetically modified to “sabotage” tumors and enhance immunotherapy

In the journal Nature the results of a study conducted by Roger Geiger’s team at the Biomedicine Research Institute of Bellinzona. Microorganisms that manage to insinuate themselves between diseased cells are used.

by Elisa Buson

In the fight against tumors we have new, truly unexpected allies: bacteria. We are used to distinguishing them into “good” and “bad”, depending on their effect on our health, but in reality, thanks to synthetic biology, today a third category is also starting to emerge: that of “intelligent” bacteria. They are microorganisms that are harmless to humans and are genetically modified to become real tumor saboteurs, capable of insinuating themselves between diseased cells and transforming their waste into fuel for the immune system. A cunning strategy that has been successfully tested at the Institute for Research in Biomedicine (IRB, affiliated to the University of Italian Switzerland) in the laboratory led by Roger Geiger, who thanks to his scientific merits has recently joined the program Young Investigator of the European Molecular Biology Organization (EMBO). The study, currently conducted on animal models, was crowned by publication in the prestigious journal Nature and suggests important developments for anti-cancer treatments.

The aim is to enhance the effects of immunotherapy, which works by awakening the immune system: although it is effective against different types of cancer, unfortunately it does not work in all patients. Often this happens because the guardians of the immune system, the T cells, find themselves fighting in very difficult conditions and without adequate supplies. To supply them with supplies, it was decided to exploit the ability that some bacteria have to “colonize” tumors. In fact, an oxygen-poor environment is created among diseased cells which constitutes an ideal niche for some microorganisms that live in anaerobic conditions. It is no coincidence that “tumors contain a different microbiome from that which characterizes healthy organs – says Geiger. – Precisely these bacteria that settle in tumors can be used as platforms to be engineered to interfere with the tumor environment, generating a therapeutic effect.”

The intuition of using bacteria as anti-cancer weapons dates back to the end of the 19th century, when the American doctor and surgeon William Coley was the first to observe the complete eradication of a cervical sarcoma following an acute streptococcal infection. Starting from this discovery, he developed a mixture containing toxins of bacterial origin with the aim of activating the immune system against the tumor. «Although this therapy proved to be ineffective and rather harmful, Coley’s first observations demonstrated that bacteria can live inside tumors and trigger an immune response against them», underlines the IRB expert. «Today we know that various bacteria, pathogenic and non-pathogenic, accumulate preferentially in tumors and can have an anti-tumor action: among these there are Salmonella, Listeria, Clostridium and Streptococcus. Since the administration of pathogenic bacteria has unacceptable toxic effects, currently most anticancer strategies are based on non-pathogenic bacteria.”

The IRB researchers, in collaboration with the Cambridge (USA) company Synlogic, have focused in particular on the strain of Escherichia coli Nissle 1917 (EcN), which is completely harmless and has long been used for the production of drugs and vaccines . The bacteria have been genetically modified in the laboratory to make them capable of converting a waste product of tumor cells (ammonia) into an immunomodulatory metabolite (L-arginine) which increases the anti-tumor functions of T cells. Injected into mice, they are immediately colonized the tumor, favoring the infiltration of T cells and enhancing the effectiveness of immunotherapy (based in this case on the administration of antibodies that block the PD-L1 protein).

This strategy was effective in so-called “hot” tumors, those that show signs of inflammation due to a pre-existing T cell response, while it does not seem to work in “cold” tumors, i.e. those that do not elicit an immune reaction. «When we tried to induce an immune response in cold tumors by injecting specific T cells – says Geiger – the therapy with bacteria was effective again, strengthening the basic immune response. Considering these pre-clinical findings, it is possible that patients with warm or immunogenic tumors (such as melanoma, non-small cell lung cancer, and colon cancer with microsatellite instability) may respond to bacterial therapy.”

Before arriving at human trials, however, there are still several problems to be solved, primarily that of safety. So far it has been shown that the injection of bacteria into the tumor is well tolerated, while little is known about the potential risks of systemic administration, necessary to reach the disease in different parts of the body. «We know from preclinical studies in mice that intravenous administration of E. coli Nissle is associated with some toxicity and this demonstrates the need to further engineer the bacteria so as to improve the precision with which they reach the tumor. This – continues Geiger – would allow us to inject fewer bacteria into the blood, reducing systemic inflammation. Several laboratories, including mine, are currently experimenting with various strategies to achieve this goal.” The next step will be to further improve the bacteria to make them multitasking, that is, capable of producing not only L-arginine, but also other useful molecules. This would allow for “a greater therapeutic effect and wider application in cancer patients”.

In the photo above (by Loreta Daulte), Roger Geiger with four researchers from his group: from left, Gaia Antonini, Giulia Saronio, Lorenzo Petrini and Giada Zoppi

Genetically modified bacteria help heal wounds

Local applications of genetically modified bacteria that produce wound-healing proteins have been shown to heal diabetic ulcers in animals and are currently undergoing clinical trials in Germany and Poland.

This was announced by the company that developed the innovative treatment, the Finnish Aurealis Therapeutics, and the results are published in the magazine Plos One.

The bacterium used for local applications is normally used in the production of dairy products, Lactococcus lactis, and is therefore considered safe for humans. Experts genetically modified him by introducing into his DNA three genes that control the production of human proteins known to help repair wounds: an interleukin and two growth factors.
Applied directly to wounds one centimeter wide (in animal models of diabetic ulcers) every day for a week, the bacteria allowed the wounds to close almost completely; animals treated with an inert substance did not recover in the same time frame.
Experts are currently conducting clinical trials on diabetic patients to verify the effectiveness and safety of the therapy.

We now come to chemtrails or chemtrails: these trails differ from the traditional contrails or contrails which form very rarely whenever the aircraft engines or turbopans placed on the sides of the wings come into contact with the ice particles that form on the themselves, the ice sublimates and passes into a gaseous state, creating the characteristic “Berenice braid” trail which remains in the sky for a few seconds and then vanishes into thin air. To detect the presence of a contrail in the sky, three conditions must be met:

  1. The aircraft in question must fly above 8000 meters altitude;
  2. The air temperature must not be lower than -60°C;
  3. Relative Humidity (RH%) must be above 60%

The three conditions described above are practically rare, giving rise to contrails at only 3%, since military and civil aircraft all fly below 10,000 meters, at altitudes decidedly lower than what their navigation transponders declare on the Flight Radar 24 website https://www.flightradar24.com/.

Chemtrails are traced by both civilian and military aircraft which scatter hygroscopic chemicals such as trimethyl aluminum (TMA) Al2(CH3)6, an aluminum-based chemical that is listed as a heavy metal in the periodic table of chemical elements, drawn up by the Russian chemist Dmitrij Ivanovic Mendeelev: trimethyl aluminum and other aluminum-based substances capture and dry all the humidity contained in the atmosphere to create artificial white stratified cirriform clouds at high altitude of an opaque whitish colour, artificial clouds which they serve to improve military telecommunications in the ELF and EHF bands: this system tends to make both the natural cloud cover and the disturbances generated by it disappear and tends to induce an artificial drought which can last for weeks or months in the areas subject to these ” treatments”. Here in Italy the weather forecasts and bulletins are issued directly by the Air Force: it is no coincidence that for several years now, let’s say from 2010 onwards, lieutenant colonels of the Air Force such as Guido Guidi and others of his ilk , when they appear on television to announce the weather for the same day and for the following days, they coined the term “veilments”, never purposely explaining their real nature and how they are formed precisely to keep the Italian population in the dark about the clandestine geoengineering practices that have been going on unabated in our skies for many years and without anyone doing anything to stop them or at least to significantly reduce them, in order to restore the naturalness and stability that the average zonal circulation of our atmosphere needs , our climate, but also our human bodies, because the substances used are all toxic.

CHEMICAL SUBSTANCES USED IN CHEMTRAILS AND WHICH ARE ARTIFICIALLY CHANGING THE CLIMATE AT A GLOBAL LEVEL

1. TRIMETIL ALUMINIUM Al(CH3)3

Timethyl aluminum (TMA) is an organometallic compound with the formula Al (CH3)3. It is a colorless liquid that is highly pyrophoric, meaning it ignites spontaneously in air. TMA is mainly used as a precursor in the chemical vapor deposition (CVD) process to deposit thin films of aluminum oxide (AL2O3) and other aluminum-containing materials.

In the CVD process, TMA is typically mixed with other gases and introduced into a high-temperature reactor. Heat causes TMA to decompose, releasing aluminum atoms that react with oxygen or other reactive species to form a thin film on a substrate. This technique is widely used in the semiconductor industry to create insulating layers, passion coatings, and other functional materials.

Trimetil aluminium

Due to its pyrophoric nature, TMA must be handled with extreme caution and stored in air-tight containers in an inert atmosphere. Reacts violently with water, releasing flammable gases and potentially causing explosions. Specialized equipment and safety protocols are required for working with TMA to minimize the risk of accidents.

Overall, trimethyl aluminum is an important chemical compound in the fields of materials science and semiconductor manufacturing, enabling the production of advanced electronic devices and coatings.

2. SULFUR HEXAFLUORIDE (SF6)

Sulfur hexafluoride is an inorganic compound, an odorless and transparent synthetic gas formed by 6 fluorine F atoms collected around a central sulfur S atom with the formula SF₆. It is an octahedral geometry molecule with sp3d2 hybrid orbitals according to the Valence Shell Electron Pair Repulsion (VSEPR) model of the Valence Bond Theory or VB. Its structure makes SF6 gas very stable from a chemical and thermal point of view. Thanks to its chemical-physical properties, its main use is as an inert dielectric insulator in medium and high voltage electrical systems and in the manufacturing of semiconductors and in the casting processes of magnesium and its alloys, thanks to its electrical, thermal and chemicals.

SF6 is also used by military and civil aircraft in the spraying of sulphates via aerosols in the stratosphere, the layer of atmosphere located from 10 km above sea level using solar radiation management techniques or Solar Radiation management SRM, in the context of clandestine geoengineering both to reduce the amount of UV and cosmic radiation coming from the Sun and to improve telecommunications in the military sector.

Below is the video of Rosario Marcianò, President of the Tankerenemy Committee which has been fighting for years against the abuse of chemtrails in Italy, enjoy vision!

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente dalla Geoingegneria Solare SRM

LE VELATURE PREVISTE NEI SERVIZI METEO IMPEDISCONO LA PIOGGIA E SONO ARTIFICIALI

11 Aprile 2023

Il Colonnello dell’Aeronautica Militare Guido Guidi durante una previsione del tempo a Uno Mattina su RaiUno http://www.tankerenemy.com/2023/04/le-velature-previste-nei-servizi-meteo.html

I servizi meteo militarizzati hanno puntualmente previsto le “velature”, sul Settentrione Occidentale (Liguria e Piemonte). Queste altro non sono che coperture artificiali, create ad-hoc per inibire le precipitazioni piovose. Infatti è in arrivo la prima perturbazione di aprile e, immancabilmente, non pioverà come dovuto. In pratica il graduato di turno ci avvisa, sulle Reti nazionali, che il cielo sarà coperto da strati nuvolosi artificiali. I meteorologi ci raccontano che si tratta di umidità in quota, ma la lettura delle radiosonde ci mostra un’altra verità: i valori di umidità relativa (UR) alle quote di sorvolo sono prossimi allo zero percentuale, proprio perché quelle “velature” sono composte da prodotti chimici disseccanti aviodispersi, utili alle comunicazioni radio in banda Ka e che impediscono la formazione di nubi imbrifere. La siccità non è certo dovuta al CO2, ma alla guerra climatica, avallata dalle nostre amorevoli istituzioni.

Fonte: Tankerenemy

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

VALERIA SORESIN – ROSARIO MARCIANO’ CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER LE “TEORIE DI COMPLOTTO” AI DANNI DELLA FAMIGLIA

Vi comunico che, a seguito di sentenza definitiva in Corte di Cassazione – Procedimento “Solesin” – dopo che è stato stato rigettato il ricorso per “violazione del Codice di procedura penale” (interrogatorio di garanzia avvenuto in assenza del difensore), ho ricevuto, nella giornata del 19 aprile 2023 ed ancora in assenza delle motivazioni della sentenza, la notifica del mandato di carcerazione. L’esecuzione della condanna a 12 mesi di reclusione, inflitta in primo grado (diffamazione di persona scomparsa) e confermata in Corte d’Appello, rimane sospesa per 30 giorni, durante i quali ho la facoltà di presentare domanda per le “misure alternative” alla detenzione; resta comunque a discrezione del Giudice di sorveglianza decidere se accogliere o meno la richiesta, il che significa che potrei dover scontare la pena in carcere. In ogni caso, anche se dovessero essere concessi i benefici di legge con la “detenzione domiciliare”, dovrò osservare le prescrizioni del Giudice.
Ciò significa che, a breve, non mi leggerete più: non mi sarà consentito l’accesso ad Internet né ai Social. Non mi sarà possibile intrattenere conversazioni private, per iscritto o telefoniche, né ricevere visite. Il canale canale Telegram ed il blog tankerenemy.com saranno ancora gestiti dagli usuali amministratori, che hanno sino ad ora svolto un lavoro encomiabile. Li ringrazio per la loro fattiva collaborazione.

E’ più che mai necessario, in questo momento, un sostegno economico, indispensabile per far fronte alle spese per la richiesta delle “misure alternative” e per pagare le parcelle relative agli altri procedimenti penali attualmente in corso. Donazione con IBAN: IT91S36772223000EM001811077 – Swift (BIC): HYEEIT22XXX – Banca Hype. Maggiori dettagli qui.

Il video qui sotto risale al 2015. Con esso esortavo gli inquirenti ad indagare su alcune contraddizioni relative ai fatti del Bataclan.

Fonte: Tankerenemy

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

ANALISI DI UN DELITTO

In questo articolo inserisco un importantissimo contributo video realizzato da Rosario Marcianò, Presidente del Comitato Tankeremy di Sanremo in Liguria che da anni studia il fenomeno delle scie chimiche. Il Quirinale ammette l’esistenza dell’operazione di sperimentazione climatica tramite deliberata diffusione di aerosol nei nostri cieli, attraverso aerei civili e militari impegnati in attività di Geoingegneria clandestina.

Fonte: Tankeremy Sanremo

Autore: Rosario Marcianò

http://www.tankerenemy.com/2010/04/il-quirinale-ammette-lesistenza.html

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila

NEOPLASIE E RIPETITORI DI TELEFONIA MOBILE

Un Glioblastoma, un tumore del cervello provocato dalla eccessiva esposizioni a campi elettromagnetici generati dai ripetitori di telefonia mobile che si rinvengono sempre più numerosi nelle città
http://www.tankerenemy.com/2023/01/neoplasie-e-ripetitori-di-telefonia.html

L’esposizione alle radiazioni dei “ripetitori” (più correttamente Stazioni radio base) può essere responsabile di oltre 7.000 decessi a causa di tumori? Secondo una ricerca che arriva dal Brasile, i fatti parlano da soli. Lo studio ha dimostrato l’esistenza di un collegamento diretto tra i decessi per cancro e le reti mobili cellulari nella zona di Belo Horizonte, la terza città del Brasile.

Da che cosa deriva questo collegamento diretto?

Oltre l’80% di coloro che sono deceduti a causa di determinati tipi di tumori risiedevano a circa 500 metri fra le centinaia di ripetitori di telefonia cellulare che popolano la città.

I tumori oggetto della ricerca (prostata, seno, polmoni, reni, fegato, encefalo) sono quelli associati all’esposizione ai campi elettromagnetici. Si tratta di una questione molto scottante e riguarda in primis chi usa i cellulari e persino chi non li adopera. Coloro che evitano la tecnologia mobile o che si premurano di indossare gli auricolari per proteggersi dalle radiazioni dannose, sono comunque soggetti ai campi elettromagnetici dei ripetitori.

Lo studio brasiliano è isolato?

Studi relativi ai ripetitori per reti mobili, ricerche che hanno valutato la relazione tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche e le neoplasie, sono state condotte anche nella città di San Francisco, oltre che in Austria, Germania ed Israele. Tutte le indagini sono giunte alla medesima conclusione: vivere in prossimità di apparati radiobase aumenta il rischio di cancro da 2 a 121 volte, a seconda del tipo di patologia diagnosticata.

Adilza Condessa Dode, uno degli ingegneri e coordinatrice dello studio brasiliano, si rivolge a coloro che sono preoccupati dalle radiazioni dei ripetitori e spiega che il Brasile non è di certo il solo paese a trovarsi in questa situazione: “I livelli di radiazione sono alti e pericolosi per la salute umana. Più vicini si vive ad un’antenna, maggiore sarà l’esposizione al campo elettromagnetico”.

Lo studio si è concentrato solo su una città del Brasile, ma ciò vale universalmente: l’Italia stessa ha visto negli anni recenti un proliferare di apparati in rapporto alla sempre maggiore diffusione di cellulari ed alla necessità di maggiore copertura di rete.

La prova schiacciante

Un numero sempre maggiore di ricerche avvalora i risultati dello studio brasiliano. Persino l’Organizzazione Internazionale per la Ricerca sul Cancro (International Association for Research on Cancer, IARC), dopo avere esaminato diversi dossiers, ha concluso e sottolineato che le onde elettromagnetiche, incluse le radiazioni emesse dalle stazioni radio-base, hanno possibili effetti oncogeni.

Perché i ripetitori delle reti mobili sono così pericolosi?

Il rischio dipende dalla costante attività delle stazioni: emettono campi da radiofrequenza pulsata. Innumerevoli studi indipendenti hanno dimostrato che le emissioni a radiofrequenza causano un danno biologico irreparabile all’organismo degli esseri viventi. Ancora, oltre al cancro, possono essere annoverate altre conseguenze relative all’esposizione: mutazioni genetiche, disturbi della memoria, ostacoli all’apprendimento, insonnia, sindrome da deficit di attenzione, sbalzi ormonali, disturbi cerebrali, sterilità, demenza, complicazioni cardiache etc.

NOTA: Lo studio che vi abbiamo riportato risale al 2013. L’articolo di origine, appparso sulla stampa brasiliana, fece a suo tempo scalpore, sollevando un mare di polemiche, laddove immediatamente si attivarono i negazionisti di mestiere. Alla fine il rapportoo scientifico, su pressione delle lobbies della telefonia mobile, fu rimosso dalla rete. Comunque un aggiornamento, risalente al 2021, è ancora reperibile qui. Ad ogni modo e per precauzione abbiamo archiviato il materiale sui nostri server.

Autore: Rosario Marcianò

Fonte: Tankeremy Sanremo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila