Parigi

L’EUROPA A 30 ALL’ORA: DOVE E’ GIA’ IN VIGORE IL LIMITE

EUROPE AT 30 KM/H: WHERE IT’S LIMIT IN FORCE

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/infografica/l-europa-a-30-all-ora-dove-e-gia-in-vigore-il-limite_76067510-202402k.shtml

La forza del limite di velocità a 30 km/h

https://fiabitalia.it/limite-velocita-30/

Anche FIAB entra nella lista delle tante organizzazioni europee che aderiscono all’iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h. Fiab comuque sostiene questa campagna da tempo, poichè la Federazione Europea di cui fa parte, la ECF (European Cyclist Federation) vi ha aderito sin dall’inizio.

L’adesione diretta di FIAB per rinforzare anche in Italia una campagna importante non solo per i ciclisti ma per tutti gli utenti della strada e per la qualità della vita dei cittadini. Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti.

E’ dimostrato che i 30 km/h funzionano in teoria e in pratica. Facciamo sì che i limiti di velocità nelle nostre città diventino una priorità a livello europeo.  La ECF (European Cyclist Federation) ha sostenuto e continuerà a sostenere l’ iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h.  L’iniziativa vuole impegnare la Commissione Europea a verificare la possibilità di istituire il limite di 30 km/h come velocità standard nelle aree urbane.

Sono molte le ragioni per cui stiamo facendo ciò, sostenendo questo progetto insieme a molte altre organizzazioni in Europa.

Attualmente in genere i limiti di velocità stabiliti nelle aree urbane europee sono di 50 km/h, nonostante in molti casi i limiti siano inferiori. Da una recente analisi sugli incidenti mortali di ciclisti a Londra risulta che praticamente tutti gli incidenti mortali si sono verificati su strade con un limite di velocità di 48 km/h (30 miglie all’ora) o maggiore. La velocità eccessiva costituisce una causa diretta in un quinto circa di tutti gli incidenti ed è uno dei principali fattori che contribuiscono ad un terzo di tutti i morti sulla strada.

E’ stata calcolata la probabilità di incidente mortale se si viene investiti da un’auto a velocità differenti:

  • Se è investito a 40 miglie all’ora (64,4 km/h), il 90 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 30 miglie all’ora, (48,3 km/h), il 20 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 20 miglie all’ora, (32 km/h), il 3 per cento dei pedoni viene ucciso

I 30 km/h funzionano

Uno studio norvegese ha dimostrato che una riduzione del 10% della velocità media del traffico produce una riduzione del 37,8% del numero delle vittime di incidente.

Secondo il British Medical Journal l’introduzione di zone a 20 miglie all’ora (32 km/h) su un periodo di vent’anni (1986 – 2006) ha migliorato in modo significativo la sicurezza stradale per tutti gli utenti di tutte le modalità di trasporto ed età. In particolare, per quanto riguarda i bambini, il dato è che il numero di bambini sotto i 15 anni rimasto ucciso o ferito gravemente si è ridotto della metà nelle aree in cui il limite di velocità è ridotto a 20 miglie all’ora (32 km/h).

Se guardiamo all’esperienza di una città, Graz ne è l’esempio perfetto.  Graz è stata la prima città in Europa ad introdurre una zona 30 a km/h per tutta l’area urbana. E’ stato moderato il traffico per circa 800 km su un totale di 1000 km di strade urbane. Con quali risultati? Dopo i primi 6 mesi c’è stata una riduzione del 24% degli incidenti gravi.

Ma è interessante anche il fatto che in città si sia verificato un incremento della mobilità ciclabile e delle altre forme di trasporto attivo.

L’attuazione convinta del limite di 30 km/h è stata importante per far funzionare il progetto, e sembra aver prodotto risultati positivi senza dover ricorrere a infrastrutture costose. Se le strade sono libere da un traffico veloce, ciò incoraggia più ciclisti a inforcare la propria bici, e allo stesso tempo produce un ambiente più sicuro. La percezione del rischio si è ridotta quanto il rischio stesso: tutti e due sono elementi essenziali per la promozione della mobilità ciclabile.

Sarà sempre più importante trovare modi nuovi e migliori per offrire ai cittadini città più vivibili e sostenibili e ambienti vitali. I nostri sistemi di trasporto giocano e giocheranno un ruolo chiave. Proprio i nostri sistemi di trasporto costituiscono la principale minaccia alle nostre vite nelle aree urbane. Più del crimine o degli incendi o degli incidenti industriali, eppure è dai nostri sistemi di trasporto che dipendiamo per la vita quotidiana.

I 30 km/h possono essere uno strumento utile per affrontare il traffico motorizzato nelle aree urbane e residenziali. Non abbiamo bisogno di andare più veloci di 30 km/h, e dobbiamo valorizzare le forme attive di mobilità per combattere i problemi di salute, le questioni di sicurezza stradale, la congestione e rendere più piacevoli e vivibili i luoghi in cui si cresce e si vive.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Italiani favorevoli al limite dei 30 km/h in città. Appello di FIAB a Governo e maggioranza: ve lo chiedono i cittadini

https://fiabitalia.it/italiani-favorevoli-al-limite-dei-30-km-h-in-citta-appello-di-fiab-a-governo-e-maggioranza-ve-lo-chiedono-i-cittadini/

Un italiano su due è favorevole all’introduzione del limite a 30 km/h sulle strade urbane. Un dato più che incoraggiante per FIAB che su questa proposta politica sta svolgendo un costante lavoro di advocacy nelle istituzioni, a tutti i livelli. Secondo una recente rilevazione Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 51% di un campione rappresentativo della popolazione italiana è a favore di una misura costitutiva delle città 30: ridurre il limite massimo di velocità. La Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta ribadisce che le politiche di moderazione del traffico sommate agli incentivi alla mobilità attiva (più ciclabili e trasporto pubblico locale potenziato) sono strumenti per ridurre drasticamente il numero di collisioni letali e di decessi che purtroppo rappresentano ancora un’emergenza nazionale.

Il sondaggio

Il sondaggio in questione pubblicato da Sky TG24 ha toccato numerose tematiche di transizione ecologica e di mobilità. Una delle città portate ad esempio e che promette di fare scuola in Italia è Bologna, divenuta da pochi giorni città 30 sul modello di altre realtà europee come Parigi. Il sondaggio evidenzia che, tra coloro che si sono espressi a favore, ci sono cittadine e cittadini di ogni orientamento politico, mostrando dunque che l’Italia è pronta a un cambio di passo concreto per aumentare la sicurezza stradale nelle nostre città. La città 30 non è un tema ideologico o divisivo, ma rappresenta un miglioramento della qualità della vita sotto tutti i punti di vista. L’Italia, lo ricordiamo, detiene il primato in Europa per numero di morti in ambito urbano, dove avviene il 70% degli incidenti.

L’appello di FIAB al governo

«Le statistiche dimostrano chiaramente che la prima causa della strage stradale è la velocità in ambito urbano e questo sondaggio certifica che gli italiani lo hanno compreso.  La vita è un diritto, la velocità no, e le cittadine e i cittadini ne sono finalmente consapevoli – afferma Alessandro Tursi, presidente di FIAB Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta che aggiunge -. Ci appelliamo al Governo, alla premier Meloni e al ministro Salvini, oltre che alla maggioranza tutta, affinché ne prendano atto e agiscano per portare a 30 km/h il limite di velocità in città, tutelando così il diritto alla vita e alla salute delle persone».

FIAB ricorda alle istituzioni come la “moderazione della velocità” sia la grande assente dal disegno di legge Salvini di modifica del Codice della Strada. Aggiunge il presidente Tursi: «Rinnoviamo la richiesta di stralciare i dieci punti che colpiscono la mobilità sostenibile, tra cui le limitazioni alle corsie ciclabili, alle ZTL e all’impiego degli autovelox, tutte misure che aggraverebbero la strage stradale anziché contrastarla. In questa direzione FIAB mette come sempre a disposizione del Paese e delle istituzioni, in maniera costruttiva e collaborativa, la propria esperienza e competenza».

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km all’ora, calmare il traffico, calmare il clima

https://fiabitalia.it/30-km-calmare-traffico/

ECF, la Federazione Europea dei Ciclisti alla quale FIAB aderisce, durante la settimana della mobilità sostenibile rilancia la campagna “velocità 30”, e sarà presente il 18 con uno stand di fronte il Parlamento Europeo. FIAB chiede agli italiani di firmare, con un proprio volantino.

Un limite di 30 chilometri all’ora renderebbe le nostre città molto più sicure, riducendo anche le emissioni di carbonio. E di certo non ti farebbe arrivare in ritardo al lavoro.

Essere investiti da un’auto che viaggia a 50 chilometri all’ora corrisponde alla caduta dal terzo piano di un edificio: solo il 50% di probabilità di sopravvivere all’impatto. Invece, se investiti da una che corre a 30 km, le probabilità di sopravvivenza sono del 95%. Eppure i 50 km/h sono il limite di velocità generale nelle città europee, con solo alcune zone o strade che fanno eccezione.

Inutile dire che tu, se devi saltare, scegli il primo piano.

Questa potrebbe essere una ragione sufficiente per ridurre il limite di velocità generale in città a 30 chilometri all’ora, ma c’è di più. In realtà, andando a basse velocità si potrebbe anche contribuire al risparmio di CO2 e di altre emissioni.

Un gruppo di ricercatori della “Rete Globale delle Scienze e Tecnologie Ambientali”, guidati da a Jesus Casanova, ha scoperto che, la riduzione del limite di velocità a 30 km/h sulle strade urbane, non solo non ha alcun impatto sul tempo necessario per completare un viaggio in auto, ma riduce anche le emissioni nocive delle auto, perché meno di carburante viene bruciato.

I ricercatori concludono che la riduzione del limite di velocità non è solo un modo efficiente per rendere più sicuri i pedoni, ma anche per aiutare l’ambiente.

Il limite di 30 km/h è una delle misure promosse dalla campagna Settimana europea della mobilità, con il motto “L’aria pulita: è la tua mossa”. Per ridurre le emissioni e aumentare il numero di persone in bicicletta, quindi meno in auto, l’opzione 30Km/h sembra quasi un trucco di magia.

ECF ha condotto una lunga campagna per i limiti di velocità più bassi in città e sostiene la campagna europea  per 30 chilometri all’ora come limite di velocità in città. Una modifica del limite di velocità “di default” è molto più conveniente per le città di attuare zone 30, in quanto non necessita di alcuna infrastruttura, lavori e segnaletica .

Nel corso della settimana della mobilità (16-22 Settembre), ECF farà altre iniziative per convincere i cittadini a firmare la petizione e promuovere il limite di velocità a 30 km/h.

Uno stand di fronte al Parlamento europeo a Bruxelles, in occasione della manifestazione Sustainable 2Wheels il 18 settembre – per portare le nostre istanze ai  politici giusto davanti al loro posto di lavoro.

Articolo tratto dal sito ECF

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Perchè sosteniamo il limite di velocità di 30 km/h

La European Cyclists Federation, di cui FIAB onlus fa parte, sostiene attivamente l’introduzione del limite di velocità di 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti. In tal modo si può migliorare  il flusso del traffico e diminuire la congestione nelle città, dando ai cittadini la possibilità di sentirsi più sicuri negli spostamenti.

ECF vuole ottenere questi benefici per tutta l’Europa. 30 km/h dovrebbero diventare lo standard della velocità nei villaggi, nelle cittadine e nelle grandi città, con la possibilità per le autorità locali di decidere sulle eventuali esenzioni.

Per questa ragione ECF chiederà alla Commissione Europea di mettere all’ordine del giorno la proposta di introduzione dei limiti 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

ECF sostiene la European Citizen’s Initiative (Iniziativa dei Cittadini Europei o ICE), un’affascinante strumento innovativo previsto dal Trattato di Lisbona. Verrà fatto  ogni sforzo per raccogliere il milione e più di firme necessarie entro un anno provenienti da  almeno sette stati membri della EU.

Perchè sostenere questa iniziativa dei 30 km/h ?

Rod King, ciclista inglese convinto e attivista nella campagna per la sicurezza stradale propone alcune considerazioni a favore dei limiti 30.

Ho iniziato a fare compagna per i limiti 20 e 30 km/h dopo una gita in bicicletta a Hilden, una città tedesca nel Nord-Reno-Westfalia. Lì, grazie all’introduzione nel 1991 del limite 30 su quasi tutte le strade della città sono riusciti ad ottenere che il 23% degli spostamenti avvenissero in bicicletta.

Diminuire la velocità relativa tra automobili e biciclette fu ritenuto come il modo migliore per rendere più sicuro e più attraente l’uso della bici. Per un ciclista che procede a 22 km/h la differenza di velocità tra i 40km/h di un auto è di 18 km/h, che scende a 8 km/h se l’auto procede a 30 km/h. Ciò significa più del doppio del tempo e della distanza per evitarsi l’un l’altro.

Strade Vivibili

Ci sono però ben altre ragioni per cui la velocità 30 km/h in strade urbane e residenziali è così importante. Una tale misura ha effetti benefici, infatti, sia sui pedoni che sugli automobilisti oltre che sui ciclisti. E’ una misura che si riflette in maniera positiva sulla maggior parte della popolazione e non solo su una minoranza di ciclisti. E’ una misura che può migliorare la vivibilità delle strade con benefici in particolare per i bambini e gli anziani, che magari non hanno la prontezza mentale o l’agilità per giudicare la velocità dei veicoli e quindi per evitarli.

E’ anche una misura che fa riflettere sul modo di concepire le strade, sulla condivisione degli spazi pubblici per il bene di tutta la comunità. Pone la questione dei vantaggi di una velocità di 40 km/h+ in strade residenziali e urbane, contrapponendoli a quelli che ne derivano diminuendo tale velocità con la possibilità di camminare e di pedalare con un rischio minore e di avere strade meno rumorose, meno inquinate e una qualità di vita molto migliore.

Benefici per tutti

Naturalmente ridurre la velocità dei veicoli richiede un cambiamento di comportamento e questo può accadere solo quando porta dei vantaggi a coloro che devono operare questo cambiamento.

Il conducente è anche il padre del bambino che vuole andare a scuola a piedi o in bici o è la figlia della persona anziana che vuole poter continuare a recarsi a piedi nei negozi che è abituato a visitare. Si tratta di vedere il conducente come un cittadino che crea una società migliore, avendo capito quali sono i vantaggi che guidare più piano porta all’intera comunità.

Ancora più importante è il fatto che concentrarsi su un’unica, ampiamente benefica iniziativa, unisce ciclisti, pedoni, bambini, anziani, disabili e gruppi che lavorano per il benessere della comunità, tutti insieme, a sostegno di un cambiamento di comportamento. Diventa il catalizzatore per un fondamentale riesame di come condividere lo spazio pubblico. Naturalmente questo non esclude il bisogno di strutture adeguate per la bici, ma fornisce un fondamento per politiche di trasporto più sicure ed eque nelle nostre città.

Ma i benefici universali del limite 30 km/h e il desiderio di cambiare vanno al di là di quelli del singolo paese e possono essere allargati ad un intero continente. Questo è lo scopo della European Cicitizen’s Initiative, che vuole raccogliere e mostrare il sostegno di tutta l’Europa. I ciclisti possono contribuire a fare la differenza non solo per se stessi, ma anche per tutta la società aderendo a questa importante iniziativa.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km/h- Alcuni esempi in Italia e in Europa

CHAMBERY, ALTA SAVOIA FRANCIA – La palma di prima città europea ad avere introdotto zone 30 va alla città francese di Chambery, comune francese di circa 60.000 abitanti nella regione del Rodano-Alpi. Le prime zone 30, poste inizialmente in una parte molto ristretta della città, risalgono al 1979. Sono state gradualmente estese e ricoprono oggi gran parte del territorio urbano. I risultati, dal punto di vista della sicurezza stradale, sono veramente entusiasmanti: se nel 1979 vi erano 453 incidenti all’anno, nel 2006 questa cifra era scesa a 32.

GRAZ, AUSTRIA Graz è una città di 250.000 abitanti, capoluogo della regione della Stiria in Austria. Quando si parla di città 30, viene spesso nominata: è stata infatti la prima a introdurre questa misura di rallentamento del traffico in tutta la superficie urbana, con l’eccezione delle strade di scorrimento. Nel 1992 si cominciò a parlare a Graz di “mobilità dolce” (sanfte Mobilität), fra i cui principi vi è una distribuzione equilibrata dei mezzi di trasporto, compatibilmente con le esigenze della società e dell’ambiente e una pianificazione dell’infrastruttura urbana con la partecipazione dei cittadini.

LONDRA, REGNO UNITO – Fra le grandi città europee che stanno introducendo misure di moderazione del traffico, Londra è una delle più attive. Negli ultimi anni, con una grande impennata a partire dal 2000, sono state introdotte più di 400 zone 30 (20 mph), coprendo ormai l’11% della rete stradale. Esse sono presenti soprattutto in strade di quartiere che presentavano una pericolosità maggiore della media. Si è scelto quasi sempre di usare l’approccio più costoso, ma più efficace, quello che prevede una totale riprogettazione della viabilità nelle zone 30, con dossi, chicane, e altre misure che impongono agli automobilisti velocità più basse.

PARIGI, FRANCIA – Data la storica competizione fra Francia e Inghilterra, Parigi non vuole essere da meno rispetto a Londra. Anche qui infatti le zone 30 sono ai primi posti nell’agenda dell’amministrazione locale. Coprono ormai il 20% del territorio cittadino e nel luglio 2013 è stato deciso di estenderle con l’annuncio di una grande espansione delle zone 30 e la creazione di 21 nuove “zone 20″, oltre alle 15 già esistenti. Le “zone 20″, dette anche “Zone di incontro”, si trovano principalmente nei dintorni delle scuole: qui pedoni e ciclisti hanno sempre la precedenza e i primi non sono obbligati a camminare solo sul marciapiede. Dopo il successo dell’esperimento compiuto nel decimo arrondissement, in cui dall’aprile 2012 alle bici è permesso girare a destra anche a semaforo rosso, questa misura è stata introdotta nel resto delle zone 30. Le zone a velocità ridotta nella capitale francese interessano 560 km di strade urbane, cifra che si traduce in ben il 37% del territorio.

BERLINO, GERMANIA – Anche a Berlino le zone 30 sono diffuse in tutta la città. Qui l’impulso sembra venire principalmente dalle preoccupazioni relative all’inquinamento ambientale: la città infatti va spesso oltre i limiti di inquinamento posti dall’Unione Europea, in particolare quello secondo il quale, facendo una media annuale delle misurazioni, in un metro cubo d’aria non ci devono essere più di 40 microgrammi di diossido d’azoto (NO2). Ma le zone 30 a Berlino non sono una novità. Esse sono state introdotte inizialmente nei dintorni di scuole e asili, e nelle zone in cui erano più frequenti gli incidenti. Oggi coprono circa l’80% delle strade secondarie, e coinvolgono in parte persino le strade principali.

AMBURGO, GERMANIA – L’esperimento che Berlino ha iniziato nel 2007, quando si è deciso di ridurre, durante le ore notturne, la velocità a 30 km/h anche in alcune strade principali, viene ripreso anche da Amburgo: nel luglio 2013 la città anseatica ha avviato la sperimentazione su una sola strada nell’ambito di un progetto che include 100 strade colpite dal problema e candidate a diventare Zone 30 notturne. In generale comunque le zone 30 sono presenti ad Amburgo fin dal 1983. Nel 2011 sono state create 50 nuove zone 30, e oggi dei 4000 chilometri di strade urbane solo in 500 si può andare a 50 km/h.

GRENOBLE, FRANCIA – A metà del 2016 nella maggior parte delle strade nella zona di Grenoble la velocità dei mezzi a
motore sarà limitata a 30 km/h. Lo hanno deciso i sindaci dei 42 comuni membri dell’area Grenoble-AlpesMétropole – in sintesi la “Metro” – impegnandosi a invertire la logica che oggi prevale nelle aree urbane, come ha sottolineato l’ecologista Yann Mongaburu, vicepresidente della “Metro”: “Il limite di 30 km/h sarà la regola, quello di 50 km/h l’eccezione”. Lo riporta il sito del quotidiano francese Le Monde.

CASERTA – Con un’ordinanza dedicata, il sindaco di Caserta, Pio del Gaudio, ha annunciato nel luglio 2013
l’immediata istituzione del limite di 30 km/h in tutte le strade urbane del capoluogo campano.

VICENZA – Mezzi a motore più lenti, bici e pedoni più sicuri. Nel centro storico di Vicenza è entrato in
vigore il limite di velocità di 30 chilometri all’ora: una “zona 30” che era stata annunciata già da qualche
tempo e che – con la posa dei segnali stradali – è diventata operativa il 30 luglio 2015.

AREZZO – Anche Arezzo rallenta: nel pieno dell’inchiesta Bikeitalia sulle città 30 e la loro importanza per la sicurezza stradale e per la promozione della mobilità ciclistica, anche l’amministrazione del Comune
toscano, dopo Caserta, ha reso noto nel luglio 2013 l’introduzione del limite di velocità a 30 km/h
all’interno della zona racchiusa dalle mura. L’obiettivo è quello di favorire la mobilità alternativa
all’automobile ed in particolare gli spostamenti in bicicletta.

TREVISO – Dopo Arezzo e Caserta, il Comune di Treviso è il terzo nel giro di pochi mesi a introdurre il limite di velocità a 30 km/h all’interno del centro urbano. Durante la presentazione del piano (nel settembre 2013), il vicesindaco Roberto Grigoletto ho sottolineato come l’estensione della zona 30 e le nuove piste ciclabili dimostrino la considerazione dell’amministrazione verso ciclisti e pedoni e che questo è solo il primo passo verso la definitiva pedonalizzazione del centro storico.

Informazioni aggiuntive, dati statistici e documenti sul tema 30km/h anche ai seguenti link:

http://fiab-onlus.it/download/04_CaseHistory_30kmh.pdf

30 km/h: 10 motivi per essere favorevoli

L’incidentalità stradale in Italia è la prima causa di morte per i giovani al di sotto dei 25 anni. In un paese a
crescita zero, la tutela dei più giovani dovrebbe essere un dovere morale imprescindibile.
Proprio il senso di pericolo che la strada ci trasmette si traduce in una forma di iper-protezione nei
confronti dei bambini che finiscono per vivere come sotto scorta e perdere ogni forma di indipendenza:
nella mobilità, nel gioco, nella fruizione degli spazi pubblici.
Ridurre la pericolosità delle strade è una condizione necessaria per fare in modo che i nostri bambini
possano tornare a fruire dello spazio pubblico muovendosi e giocando in libertà.
La riduzione della velocità nelle aree urbane non avrebbe la sola funzione di tutelare i più piccoli: portare il limite di velocità a 30 km/h può avere dei grandi vantaggi anche per tutti: ragazzi, adulti, anziani.
Ecco perché:

  1. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità significa meno incidenti
    stradali.

    Mediamente lo spazio di frenata per un’auto che procede a 50 km/h è di 30 metri. Lo spazio di frenata per un’auto che procede a 30 km/h è di soli 15 metri. Per rendersi conto di quanto questa differenza sia effettiva, basta andare a Torino nel quartiere Mirafiori Nord: qui la realizzazione di una zona 30 ha ridotto l’incidentalità del 74% e ha provocato zero incidenti gravi invece della media di 15 all’anno del periodo precedente l’introduzione del limite di 30 km/h.
  2. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità comporta impatti meno
    violenti.

    Un impatto tra un’auto e un pedone a 50 km/h equivale a una caduta da 9 metri di altezza, come dal 3° piano di un palazzo, con una probabilità di morte pari al 55%. Un impatto a 30 km/h equivale, invece, a una caduta da 3,6 metri di altezza che può essere fatale “solamente” nel 5% dei casi.
  3. 30 km/h significa maggiore visuale sulla strada. “Non l’ho visto” è il commento che più spesso gli automobilisti coinvolti in incidenti stradali pronunciano. Non si tratta di una scusa o di una ricerca di un’attenuante, ma è davvero così perché la velocità tende a restringere il campo visivo: ridurre la velocità significa rendere gli automobilisti maggiormente reattivi ai piccoli inconvenienti che avvengono nelle vicinanze del veicolo.
  4. 30 km/h significa meno rumore.
    L’introduzione del limite di 30 km/h in diverse aree della città di Amburgo ha comportato una
    diminuzione del rumore, con picchi anche di 7 dbA; la diminuzione del rumore nelle zone 30 dipende sia dalla riduzione di volume (esclusione del traffico di transito) sia dalla guida calma (diminuzione del limite di velocità).
  5. 30 km/h significa meno inquinanti
    Il cambio dello stile di guida, prima fatto di rapide accelerazioni e brusche frenate, sostituito poi da una guida più calma, con minori picchi di velocità ma più fluida, ha effetti benefici sia sull’ambiente che sul traffico. Le rilevazioni effettuate ad Amburgo hanno dimostrato che la velocità ridotta (meno frenate e accelerazioni) riduce l’inquinamento dell’aria: – 30% di ossidi di azoto, -20% di monossido di carbonio, – 10% di idrocarburi. A beneficiarne sono anche le tasche degli automobilisti poiché anche i consumi di carburante sono diminuiti del 12%.
  6. A 30 km/h, la capacità delle strade è superiore.
    Velocità elevate richiedono distanze di sicurezza maggiori, non solo longitudinali, ma anche latitudinali.
    Diminuendo la velocità, il bisogno di spazio è minore: per esempio, due mezzi pesanti che si incrociano a una velocità di 50 Km/h hanno bisogno di una carreggiata di 6,25 metri. A 40 Km/h è sufficiente una carreggiata di 5,50 metri.
  7. A 30 km/h aumentano i parcheggi, gli spazi pedonali e il verde.
    Poiché una minore velocità richiede spazi minori, lo spazio rimanente può essere utilizzato per creare
    parcheggi, spazi per chi si sposta a piedi oppure piantare alberi.
  8. 30 km/h è una soluzione a minimo costo.
    Modificare la segnaletica stradale ha un costo minimo, soprattutto se pensiamo a quanto costerebbe
    mettere in sicurezza gli altri utenti della strada attraverso interventi infrastrutturali come la costruzione di marciapiedi e piste ciclabili separate. Oltre a questo c’è un vantaggio economico: si stima che nel solo quartiere Mirafiori di Torino, l’introduzione del limite di 30 km/h faccia risparmiare ogni anno 965 mila euro in spese mediche grazie alla riduzione dell’incidentalità.
  9. 30 km/h significa maggiori introiti per il commercio locale.
    La riduzione della velocità fa aumentare la sicurezza in strada e questo aumenta il numero di persone che si muovo a piedi e ciclisti. Come dimostrano diversi casi in giro per il mondo, pedoni e ciclisti spendono più denaro degli automobilisti nei negozi di prossimità (fino al 15% in più), a tutto vantaggio delle economie locali.
  10. 30 km/h significa città più piacevoli da vivere.
    Non si tratta di un giudizio arbitrario o ideologico, ma il risultato di un sondaggio realizzato a Mirafiori Nord dopo la creazione della zona 30: i giudizi negativi sul quartiere sono passati dal 17% al 9%.

Per maggiori informazioni: www.30elode.org

Il tweet di Salvini contro i tweet di Bologna. E le fake news sulle Città30 da smontare

Da Michele Bernelli – 23 Gennaio 2024 

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha un indubbio – per quanto involontario – merito: le sue esternazioni hanno l’effetto di portare all’attenzione dell’italiano medio argomenti prima confinati a pochi ben informati e agli addetti ai lavori. Così è stato, nei giorni scorsi, per il tema delle “Città30”, quelle città dove nella gran parte delle strade il limite di velocità è portato a 30 all’ora. Parlando di Bologna, il ministro si è espresso con questo tweetUn tweet (di Salvini) contro i tweet (degli uccellini), e potremmo finirla qui. Oppure ironizzare sul fatto che l’intervento del ministro arriva all’indomani del giorno in cui, mesi dopo l’annuncio e il via alla ‘transizione’ di Bologna Città30, sono arrivate le prime multe per eccesso di velocità causato dai nuovi limiti: da sempre multe e tasse sono vessazioni che tolgono il sonno al nostro e all’Italia che rappresenta.

Ma finalmente, grazie al ministro, il percorso di Bologna verso la Città30, familiare a chi frequenta il nostro sito e ai lettori di BC, è sulle prime pagine dei media, ‘trend topic’, argomento da bar. E allora prima di tutto invitiamo a leggere e diffondere (come si diceva una volta) questo vademecum Città 30 promosso da un ventaglio di associazioni ambientaliste, Fiab e Legambiente in testa. Lo hanno curato Edoardo Galatola, reponsabile sicurezza Fiab, e Andrea Colombo, esperto di mobilità sostenibile della Fondazione innovazione urbana (consulente di Bologna Città30). E poi proviamo a confutare alcune delle grossolane fake news sulle Città30 messe in circolo in questi giorni.

Lasciamo lavorare chi deve lavorare, dice il ministro (sottinteso: invece di farlo rallentare con il limite di 30 all’ora). Ignorando il fatto che la velocità media delle auto in città oscilla già (rilevazioni 2022) tra le 17 km/ora di Milano, i 19 di Roma, i 20 di Torino. E più ancora ignorando, commenta Galatola, “che vari studi condotti in Città30 come Bologna danno su un percorso di 5 km un incremento di tempo variabile tra i 10 secondi, in ora di punta, e i 2 minuti, in situazione di traffico scorrevole.” Farò lavorare il mio ministero a una direttiva, aggiunge, che circoscriva i casi concreti in cui sarà ammesso abbassare il limite standard dei 50 all’ora. Ignorando il fatto – sottolineato dall’assessora alla mobilità di Bologna Valentina Orioli – che il ministero di cui parla è lo stesso che ha collaborato con il comune di Bologna alla definizione delle zone 30. È un limite ideologico, un’imposizione tipica della sinistra, lamenta. Ma in tutta Europa le Città30 si diffondono con amministrazioni di ogni tendenza politica, da Bruxelles a Bordeaux, da Amsterdam a Madrid, da Zurigo a Parigi. E di centrodestra sono le giunte di città italiane che hanno messo in pratica i 30 all’ora come Olbia e Treviso, e che ora sono solidali con la “rossa” Bologna.

Tra i più rapidi alla controffensiva, il Codacons si è detto ieri pronto a denunciare il ministro Salvini e annuncia il ricorso al Tar per annullare i suoi (per ora solo annunciati) provvedimenti. Chiederemo al ministero, ha dichiarato, un risarcimento danni di 500mila euro da versare al fondo vittime della strada. Anche facendo tara a una dichiarazione che alza il volume per portarla al livello dell’interlocutore, anche il Codacons – come già Fiab e tutte le altre associazioni – ha il merito di riportare il discorso sul più urgente dei motivi che rendono necessarie le Città30. Ha ricordato il verde Angelo Bonelli che in un anno circa 1400 persone lasciano la vita nelle strade dei nostri centri urbani. Oltre 5 morti ogni 100mila abitanti. In maggioranza si tratta di soggetti deboli, ciclisti, pedoni, anziani. Viaggiando a 30 all’ora si riduce il tempo di frenata, aumenta il campo visivo di chi guida. E cambiano radicalmente anche le conseguenze di un’eventuale collisione. Si calcola che essere investiti da un’auto che viaggia a 30 all’ora equivale a cadere dal primo piano, ci si salva nove volte su dieci; se la stessa auto corre a 50 all’ora l’impatto è quello di chi precipita dal terzo piano: fatale otto volte su dieci. Prima ancora che una misura di civiltà, la città 30 è un salvavita.

Fonte: Rivista BC

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Come smontare le bufale del ministro Salvini contro le Città 30

23 Gennaio 2024 

Il limite di velocità generalizzato di 30 km/h in ambito urbano, in un paese normale, non farebbe neanche notizia. Ma in Italia il tema delle “Città 30” viene considerato da molti – in primis dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini – come un limite vessatorio per chi guida un’auto. Quindi, secondo costoro, sì a qualche sporadica “Zona 30” vicino a scuole e asili; ma assolutamente no a estendere i 30 km/h a tutte le strade cittadine, ad eccezione di pochi assi di scorrimento a 50 km/h.

Zone 30 nelle città italiane, un provvedimento che sta prendendo sempre più piede nei maggiori Paesi europei, e in Italia?
https://www.bikeitalia.it/2024/01/23/come-smontare-le-bufale-del-ministro-salvini-contro-le-citta-30/

È una questione politica…

La questione – già divisiva di suo in un paese con uno tra i tassi di motorizzazione più alti al mondo (681 auto ogni 1000 abitanti, dati Isfort 2023) – è diventata squisitamente politica in queste settimane, esattamente dal 16 gennaio 2024 e cioè da quando Bologna ha cominciato a fare controlli (e multe) ad hoc per far rispettare il nuovo limite di velocità di 30 km/h voluto dal sindaco Matteo Lepore. Il primo a scagliarsi veementemente contro questo nuovo corso bolognese è stato proprio il ministro Salvini. Sì, proprio da lui che come primo atto da ministro aveva tolto la “sostenibilità” dal nome del suo dicastero.

Le bufale contro le Città 30

Le motivazioni addotte per contestare le Città 30 sono sempre le stesse e pescano tutte nel calderone delle chiacchiere da bar, delle sparate sui social e delle cose per sentito dire: “così aumentano i tempi di percorrenza”“è un limite impossibile da rispettare”, “così le auto consumano di più”“si crea più traffico”“le autoambulanze non riusciranno più a circolare”… e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

Si tratta di obiezioni che non trovano un riscontro oggettivo nella realtà dei fatti e nelle decine di studi scientifici sul tema: d’altra parte il limite di 30 km/h – oltreché in tutte le città della Spagna – è già presente a Bruxelles, Parigi, Amsterdam e in numerose altre città del mondo; e nessuna tornerebbe indietro ai 50 km/h perché i vantaggi – sia in termini di vivibilità delle strade sia per quanto riguarda la sicurezza stradale – sono enormi.

Il fact checking di Legambiente e Altroconsumo

Legambiente ha raccolto in un articolo di debunking tutte le fake news contro le Città 30, smontandole una per una riportando dati oggettivi e fonti ufficiali. Anche la rivista Altroconsumo ha creato un contenuto analogo intitolato Quante bufale sulla “Città 30”. Per quanti non avessero la pazienza di andare a leggere – cosa che comunque consigliamo di fare – pubblichiamo qui di seguito due infografiche autosplicative.

1. Il cono visivo di una persona alla guida di un’auto a 30 km/h (in verde) e a 50 km/h (in rosso)

2. Le probabilità di sopravvivenza di una persona investita a 30, 50, 70 km/h

Basterebbero queste due semplici infografiche a far comprendere a chi è contrario alle Città 30 per partito preso perché l’estensione generalizzata di questo limite di velocità in ambito urbano sia una misura da sostenere e replicare ovunque.

Salvare vite umane non dovrebbe essere LA priorità per chi governa, in un paese civile?

Leggi anche: Salvini contro Bologna Città 30 km/h, in arrivo direttiva ministeriale

Fonte: Bike Italia

Il limite di 30 km all’ora, ecco il dossier: «Meno vittime, meno smog, più sani»

di Alessandro Fulloni

Gli effetti delle sperimentazioni. Olbia: «Non siamo pentiti». Le altre città italiane che hanno introdotte parzialmente le norme e come si stanno regolando in Europa: il caso Parigi, Helsinki e la Spagna. E per il traffico nelle metropoli non si va oltre i 20 km/h

https://www.corriere.it/cronache/24_gennaio_21/30-km-ora-dossier-5887316a-b7d7-11ee-85fb-9c1176b99ad5.shtml

«Adesso la cittadinanza è più sana e felice. E poi certo, siamo anche molto orgogliosi che Olbia, con il limite di velocità dei 30 chilometri orari in vigore già dal 2021, sia un esempio a livello nazionale e speriamo che la nostra esperienza possa aiutare a portare avanti l’iniziativa in altri comuni o, meglio ancora, la legge nazionale». Settimo Nizzi, 67 anni, sindaco della cittadina in Gallura — poco più di 60mila abitanti — affacciata sul turchese del Tirreno, parla anche come medico. Fama di decisionista, ex campione di judo, specializzazione in ortopedia, di Forza Italia e un lungo rapporto «di fraterna amicizia cominciata nel 1982 con Silvio Berlusconi», racconta di quando, primo in Italia e anticipando quanto accaduto a Bologna, nel giugno di tre anni fa sorprese tutti annunciando «il limite dei trenta all’ora su ogni strada di competenza comunale, a eccezione degli assi principali dove è rimasto il divieto di superare i 50 orari. Nel primo periodo fummo elastici, ci fu un anno di accompagnamento».

«I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti»

E poi? «I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti: prima erano causati soprattutto dalla velocità, adesso avvengono soprattutto per distrazione oppure per mancato rispetto della precedenza. Lo dico da medico, anzi da ortopedico: a 50 all’ora si muore. A trenta no. Come mi venne l’idea? Girando altri Paesi, la Spagna viaggia a 30 all’ora dal giugno 2021, come Olbia. Non c’è paragone tra la qualità della vita in quelle città in cui si cammina, si chiacchiera sul marciapiede, si va in bici, si guardano le vetrine dei negozi in tranquillità e quelle in cui si corre in auto. Noi abbiamo meno smog, meno caos, più tranquillità». Curiosità inevitabile: ma del limite a 30 all’ora ne parlò anche con Berlusconi? «Certo! Silvio mi disse, testuale: “Bravo sindaco, hai fatto bene”. Amava l’ambiente, si sa».

Le strade d’Italia restano pericolose

Se Olbia è slow ovunque, altre città, chi prima e chi dopo, hanno introdotto i limiti nei quartieri. Parliamo di Cagliari, Reggio Emilia, Parma, Vicenza, Treviso, Verona, Arezzo, Firenze, Genova, Caserta, Bergamo, Cuneo. Per tutti l’obiettivo è lo stesso: e a delinearlo sono i dati dell’Istat e dell’Aci: ogni giorno i morti in incidenti stradali sono 8,65. È la media quotidiana nel 2022 (noi siamo nella parte alta della classifica europea), anno in cui le vittime sono state 3.159. Un trend in crescita. Quanto alle cause dei sinistri, la più diffusa resta la distrazione (15%). Al secondo posto (13%) c’è il mancato rispetto della precedenza, del semaforo, dello stop. Ed ecco al terzo la velocità troppo elevata che riguarda il 9,3% dell’analisi. Nel complesso, l’Europa pensa che ridurre i limiti in città equivalga a ridurre il pericolo. Dalla Spagna alla Finlandia in tanti si muovono, senza ripensamenti, entro i 30 all’ora già da un po’: Graz sin dal 1992, poi Helsinki dal 2019, Bruxelles e Parigi dal 2021 ma in Francia, va detto, le località slow sono molte, da Lille a Nantes, e Oltralpe affermano che i morti in certi posti siano scesi del 70%.

Da Nord a Sud, quanto si «corre» in città

Ma dentro le città italiane ora a che velocità si va? Un’idea arriva dalle cifre del 2023 inserite nel TomTom Traffic Index, statistica elaborata dalla società dei navigatori satellitare. A ben vedere dalla classifica condotta su 387 città in 55 Paesi — elaborata tenendo conto di numerose variabili tra cui consumi di benzina, emissioni, tempi di percorrenza ed effettivi chilometri percorsi — emerge che la velocità media, nelle ore di punta, da Nord a Sud, è quasi per tutti sempre sotto i 50 all’ora. Nella lista Milano vede spostamenti attorno ai 17 chilometri orari e per percorrere 10 chilometri dentro le circonvallazioni ci vogliono 28 minuti. Siamo lì con Londra, la più «lenta» nel Vecchio continente con 14 km/h. Nel «range» europeo, Roma è al 12° posto (19 chilometri orari). Poi a scendere Torino, diciottesima con 20, Messina con 21, e Firenze, sessantesima con i suoi 23 all’ora. Le ultime italiane? Modena (320° posto) viaggia a 43 km/h di media. Taranto a 53 all’ora.

https://www.cremonaoggi.it/2024/01/30/bertolotti-fab-piu-che-zone-30-si-lavori-per-una-citta-30/
https://comunicatistampa.comune.bologna.it/2024/bologna-citta-30-nelle-prime-due-settimane-gli-incidenti-sono-calati-del-21
https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2024/01/30/citta-30-a-bologna-in-due-settimane-21-degli-incidenti-_ef52650b-330b-4b69-8c70-d82f91e9b76c.html
https://www.zazoom.it/2024-01-30/bologna-citta-30-il-limite-di-velocita-salva-vite-21-di-incidenti/14184716/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/30/bologna-citta-30-dati-incidenti-calati-due-settimane/7427641/
https://www.bikeitalia.it/2024/01/25/i-sindaci-rivendicano-la-competenza-su-citta-30-e-sicurezza-stradale/
https://fiabitalia.it/citta-30-e-disinformazione-solo-i-numeri-ci-possono-salvare/
https://fiabitalia.it/direttiva-citta-30-una-proposta-inapplicabile-in-contrasto-con-il-codice-della-strada-e-le-indicazioni-dellue/

Bologna Città 30: ecco chi sono i vip favorevoli e contrari

Bologna Città 30 è un tema che divide l’opinione pubblica: da un lato i sostenitori del provvedimento che ha abbassato la velocità a 30 km/h sul 70% delle strade urbane, fortemente voluto dal sindaco Matteo Lepore; dall’altro i detrattori che non perdono occasione per manifestare il proprio disappunto. Per i cittadini il Comune di Bologna, in collaborazione con la Fondazione Innovazione Urbana, ha creato una lista delle domande con i dubbi più frequenti e le relative risposte puntuali da parte dei tecnici esperti della materia.

Rielaborazione grafica 30 km/h e Matteo Salvini © scrisman e TiTi Lee tramite Canva.com
https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

Bologna Città 30: il tema del momento

Ma la questione Bologna Città 30, soprattutto da quando il Ministro Salvini l’ha presa di petto emanando una direttiva che di fatto mette dei paletti all’abbassamento generalizzato dei limiti di velocità in città, è diventata un “tema del momento” su cui hanno detto la loro personaggi famosi, giornalisti, e “vip” la cui opinione “fa notizia”. Vediamo, in una rapida carrellata che non ha la pretesa di essere esaustiva, quali sono le posizione emerse nei confronti di Bologna Città 30 elencando i favorevoli e i contrari.

I favorevoli a Bologna Città 30

Milena Gabanelli: “Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Milena Gabanelli

La giornalista Milena Gabanelli, volto storico di Report oggi penna del Corriere della Sera e autrice della videorubrica Dataroom su La7, vive a Bologna ed è favorevole al provvedimento: “Abito a Bologna e non c’è nessun caos. Si va a 30 km/h a Londra, Bruxelles, Helsinki, Barcellona, Zurigo, Madrid, Graz… dove hanno pensato che la vita di un bambino, un pedone, un ciclista valgono più dei 5 minuti persi a rallentare. Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Mario Tozzi: “Velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”

Mario Tozzi

Tra i sostenitori dell’abbassamento del limite di velocità di 30 km/h a Bologna anche il geologo Mario Tozzi, primo ricercatore del CNR e divulgatore scientifico oltreché autore e conduttore di numerosi programmi televisivi su scienza e natura, che sui social scrive: “In città niente autovetture private, questa dovrebbe essere la regola, che, peraltro, consentirebbe maggiore puntualità e frequenza dei mezzi pubblici di superficie. Ma, se ancora le dobbiamo sopportare, almeno facciano meno danni e vittime possibili: velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”.

Stefano Boeri promuove la Città 30

Stefano Boeri

L’architetto Stefano Boeri, progettista dell’iconico Bosco Verticale di Milano e tra i professionisti italiani più famosi, è uno dei 130 tecnici esperti di mobilità che ha sottoscritto la lettera aperta indirizzata al Ministro Salvini per chiedere di ritirare la direttiva contro le Città 30. Una missiva in cui si sottolineano – dati alla mano – i vantaggi indiscutibili dei 30 km/h in ambito urbano per la sicurezza stradale: “L’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone”.

I contrari a Bologna Città 30

Matteo Salvini prende di mira Bologna

Matteo Salvini

Il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini ormai da settimane ha preso di mira il provvedimento di Bologna: “Nel dispositivo del Comune di Bologna ho letto che grazie alla riduzione di 20 chilometri orari del limite massimo, si sentirà meglio il canto degli uccellini. Penso che il diritto al canto degli uccellini e all’udibilità del loro canto debba essere contemperato con il diritto al lavoro di centinaia di migliaia di persone, perché multare chi va a 36 chilometri allora non vuol dire tutela dell’ambiente”.

Poi ha emanato una direttiva per mettere i paletti alle Città 30, secondo la quale le amministrazioni devono giustificare strada per strade la motivazione per cui abbassano il limite di velocità da 50 a 30 km/h. E non perde occasione per ribadire in ogni occasione che le “Zone 30” limitate a strade vicino a scuole e asili vanno bene, le “Città 30” dove il limite è generalizzato a suo avviso no.

Giuseppe Cruciani vuole alzare i limiti di velocità in città

Giuseppe Cruciani

Il conduttore radiofonico della trasmissione “La Zanzara” su Radio24 Giuseppe Cruciani fin da subito si è schierato contro Bologna Città 30, chiedendo di alzare (e non di abbassare) i limiti di velocità in città: “Allora ragazzi, qui è la voce dell’opposizione alla giunta rossa di Bologna che ha imposto i trenta all’ora in larghe parti della città. Qui siamo a favore di una cosa: alzate i limiti di velocità in città anche a 70-80km/h. E se qualcuno li infrange? Sequestro della macchina. Niente multe, sequestro. Ma alzate i limiti di velocità che non serve un ca**o andare più piano. Non si salvano vite umane e non si evitano gli incidenti”.

Nel corso della sua trasmissione Cruciani ha contattato telefonicamente il primo multato per aver superato il limite di 30 km/h (il pensionato Sergio Baldazzi, che andava a 39 km/h, ndr) e si è offerto di pagargli la multa: “Voglio pagare la multa, voglio risarcirlo: farò un bonifico personale a questo signore”, ha detto Cruciani.

Mario Giordano: “Se vai a 35 o36 zac e ti arriva già la multa”

Mario Giordano

Il giornalista e conduttore della trasmissione “Fuori dal coro” di Rete4 Mario Giordano in una puntata ha attaccato il limite di 30 km/h in ambito urbano, partendo dal caso di Bologna: “Non si può più andare veloce. Bisogna andare piano per essere verdi, per essere green. per essere giusti bisogna andare a 30 all’ora. Il green ce lo chiede e in tutta la città di Bologna entra in vigore il limite dei 30 all’ora. Se vai a 35 o 36 zac e ti arriva già la multa”.

E, ancora: “Troppo veloce perché il Comune di Bologna dice che ridurre la velocità delle auto consente di dare più spazio ad altri suoni come il canto degli uccellini. In questi giorni a Bologna si siano sentite più le imprecazioni e le parolacce che non il canto degli uccellini. Ma i green niente. I fan del green vanno avanti perché dicono che così si riducono gli incidenti. Ma sarà vero che si riducono gli incidenti?”.

Per dare le risposte alle domande con i dubbi più frequenti il Comune di Bologna ha aggiornato la sezione faq del portale dedicato al nuovo limite di velocità in città

Intanto proprio oggi davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma si è tenuto il presidio delle associazioni aderenti alla Piattaforma #Città30subito “A 30 km/h non si muore” per chiedere a Salvini di ritirare la direttiva e di inserire il tema della moderazione della velocità nella Riforma del Codice della Strada ormai in dirittura d’arrivo in primavera.

Fonte: Bike Italia

https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

130 tecnici contro Salvini: è scontro totale sulla Città 30

1 Febbraio 2024

Architetti, ingegneri, urbanisti, economisti che lavorano nelle città, in aziende di consulenza, nelle università non ci stanno alla repressione della Città 30 da parte di Matteo Salvini e fanno sentire la propria voce attraverso una lettera aperta che pubblichiamo di seguito integralmente.

Tra i nomi più noti a firmare l’appello: Stefano BoeriMarco Ponti e tutto lo staff tecnico della Città Metropolitana di Bologna.

Ecco qui di seguito il testo integrale (con tutte le firme in calce, in ordine alfabetico).

Lettera aperta al Ministro dei Trasporti Matteo Salvini

Come gruppo di esperti e tecnici impegnati nel settore della pianificazione e progettazione della mobilità e del traffico stiamo assistendo a una dura presa di posizione da parte del Ministro dei Trasporti avversa alle politiche di moderazione delle velocità dei veicoli nelle aree urbane.

Con l’emanazione della “Direttiva sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano ai sensi dell’art.142 del Nuovo Codice della Strada” il Ministro si è infatti opposto in modo esplicito all’iniziativa assunta dal Comune di Bologna di applicare su un’ampia parte (70%) delle strade comunali il limite di velocità di 30 km/h (Città 30).

Si tratta di una posizione poco comprensibile, non basata su alcuna evidenza tecnica o sperimentale, che si pone in netto contrasto con quanto viene suggerito dai massimi istituti sovranazionali come l’OMS e il Parlamento Europeo, oltre che dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale dello stesso MIT, e che ignora quanto è da tempo ampiamente praticato con risultati innegabilmente positivi in molte altre città nel mondo.

Contemporaneamente il MIT si è fatto portatore delle modifiche al Codice della Strada attualmente in discussione in Commissione Trasporti, in particolare per le parti destinate a depotenziare le norme sulla ciclabilità introdotte dalla legge 120/2020, comprese le strade ciclabili, le corsie ciclabili, gli attestamenti avanzati e il doppio senso ciclabile. Anche in questo caso si tratta di una posizione priva di qualunque giustificazione tecnica, che non tiene conto dell’esperienza di moltissime realtà estere e che dimentica che, da quando sono stati introdotti, questi dispositivi hanno consentito al nostro paese di compiere significativi progressi verso il recupero della ciclabilità come modo di trasporto alternativo.

È inoltre opportuno sottolineare come gli interventi citati, in diversi casi, sono stati in tutto o parzialmente finanziati con fondi del PNRR per la Missione 2-Rivoluzione verde e transizione ecologica- in capo allo stesso MIT; ne consegue che le ventilate modifiche alla normativa vigente comporterebbero una ridefinizione dei progetti in atto e delle risorse, pena la mancata erogazione dei finanziamenti da parte del Programma NEXT Generation EU.

Come tecnici ed esperti da anni impegnati sui temi della pianificazione e della progettazione della mobilità e dei trasporti con specifica attenzione alle aree urbane esprimiamo dunque la nostra profonda preoccupazione per l’involuzione che il nostro paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte attuate da tutti i paesi dell’Unione Europea e dalla comunità internazionale.

È al proposito necessario ricordare l’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati sia dagli organismi internazionali a cui l’Italia aderisce (ONU, OMS) che dagli strumenti di politica dei trasporti dell’Unione Europea e Nazionale (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale), in particolare la riduzione del 50% degli incidenti al 2030. Tale obiettivo non può essere raggiunto senza poter intervenire con efficacia nell’ambito urbano, dove in Italia si registrano i tre quarti degli incidenti stradali, con un tasso di mortalità che si mantiene costante ormai da un decennio ovvero (pari a 1,1 morti ogni 100 incidenti) e un costo economico che supera i 13 miliardi di euro all’anno.

In questo ambito, dove si concentrano elevati flussi di mobilità motorizzata e non motorizzata, un’alta densità di immissioni e intersezioni e diffuse “interferenze” con altri usi della strada, la velocità rappresenta quasi sempre causa, concausa o aggravante dell’incidentalità: da essa infatti dipendono le distanze di arresto, le energie di impatto, la possibilità di effettuare manovre di emergenza e il restringimento del cono visuale dei guidatori.

Peraltro l’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone.

Sono questi gli elementi di cui come tecnici siamo chiamati a tenere in conto quando nell’ambito delle attività di redazione dei piani di settore (Piani Urbano del Traffico e Piani Urbani della Mobilità Sostenibile) identifichiamo le misure atte a conseguire gli obiettivi e i target riconosciuti e sottoscritti in ambito nazionale e internazionale.

Il Ministro e il suo Ministero dovrebbero dire come pensano altrimenti di conseguire gli obiettivi indicati dallo stesso Decreto Ministeriale 396 del 28 agosto 2019 con riferimento alla redazione dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile e, soprattutto, l’obbligo sancito dallo stesso Codice della Strada che all’art.1 pone la sicurezza delle persone tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.

Sempre nella logica dei PUMS è inoltre essenziale che sia riconosciuto agli abitanti delle singole città, attraverso le istituzioni che li rappresentano, il diritto di decidere all’interno delle proprie politiche di governo della mobilità i tempi e i modi di tali interventi, ricordando che ai sindaci è attribuito il compito di tutela della incolumità pubblica e la sicurezza urbana, che è “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.

Chiediamo pertanto:

  • che il Ministero non solo non contrasti, ma agevoli l’iniziativa di Bologna e delle altre città che intendono adottare il modello di Città 30, che possono costituire un importante esperimento sulla cui base formulare norme e indirizzi in modo più corretto e informato;
  • che non si approvino le modifiche del Codice della Strada avverse alle norme introdotte dalla L.120/2020 sulla ciclabilità, norme che finalmente ci allineano alle modalità adottate negli altri paesi europei;
  • che non si riduca ma anzi si ampli la possibilità di utilizzare sistemi avanzati di telecontrollo delle infrazioni, compreso il limite dei 30 km/h in ambito urbano;
  • che si emani una normativa nazionale sui dispositivi di moderazione del traffico, sulla base di quanto sperimentato dai paesi che presentano tassi di incidentalità e mortalità stradale ben inferiori a quello italiano.

31/01/2024

Promuovono l’appello:

1Maria SilviaAgrestaarchitettourbanista – Milano
2Francesco Albertiarchitettoprofessore associato di Urbanistica – Università degli Studi di Firenze
3Franco Apràurbanistalibero professionista – Milano
4Francesco AvesaniIngegnerelibero professionista – Verona
5Mauro Baioniurbanistalibero professionista – Venezia
6Alessandra Baldidott.arch.collaboratrice In.Co.Set e referente del Centro Urbano per la Transizione Energetica – Cava dè Tirreni
7Dario Balottaanalista dei trasportipresidente Osservatorio Trasporti ONLIT
8Valter Baruzzipedagogistaesperto in educazione alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile – Imola/Bologna
9Silvia Basenghitecnico esperto in mobilità sostenibileservizio Pianificazione della Mobilità – Città metropolitana di Bologna
10Stefano Battaiottoingegnerelibero professionista – Milano
11Luigi Benevoloingegnerepianificatore urbanista – Brescia
12Maria  Berriniarchitettoex Amministratore Unico Agenzia Mobilità Ambiente Territorio Comune Milano
13Sivia Bertoniingegnerepianificazione della mobilità sostenibile ed attuazione PUMS 
14Paolo Bertozziingegnerelibero professionista Parma
15LorenzoBertuccioingegnereassociazione Euromobility
16Guia Biscaroarchitettolibera professionista
17Daniela Bittiniingegnerereferente Ufficio Mobilità e Mobility Manager – Imola
18Francesca Boeriingegnereresponsabile Settore Ambiente – Centro Studi PIM  Milano
19Stefano Boeriarchitetto e urbanistaprofessore ordinario presso il Politecnico di Milano
20Andrea Boitanieconomistaprofessore ordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano
21Gabriele Bolliniurbanistapresidente Associazione Analisti Ambientali
22FilippoBonaliingegnerelibero professionista – Fiab Cremona
23Tommaso Boninoingegneredirigente SRM — Agenzia mobilità Bologna
24Carlottta   Bonviciniarchitetto pianificatorelibera professionista – Reggio Emilia
25Mauro Borioniingegnerefunzionario pubblica amministrazione 
26Patrizia BottaroarchitettoPCAint PICA CIAMARRA ASSOCIATI SRL
27Bianca Bozziingegnerelibera professionista – Milano
28Andrea Bruschidott.arch.pianificatore trasporti e mobilità – Metropolitana Milanese Spa
29Tatiana Bruscoingegneretecnico esperto in mobilità sostenibile – Città Metropolitana di Bologna
30Sandro CapraingegnereMetropolitana Milanese Spa
31Giovanni Cardinaleingegnerelibero professionista , consulente di Confindustria Toscana Sud per le infrastrutture strategiche 
32Teresa Cardonaarchitettolibera professionista – Milano
33Tiziano Carducciingegnerelibero professionista – Chieri (TO)
34Stefano CaseriniingegnereProfessore Cambiamenti Climatici Università di Parma
35Francesco Castelnuovoingegnerelibero professionista – Milano
36PaolaCavalliniarchitettoCittà studio associato – Parma
37Angela Ceresoliarchitettapresidente Agenzia TPL Bergamo
38Enrico Chiariniingegnerelibero professionista – Brescia
39CosimoChiffieconomista dei trasportiTRT Trasporti e Territorio – Milano
40Andrea Colomboconsulente legaleesperto in sicurezza stradale – Bologna
41Simone Conteeconomista ambientaleproject manager ambiente, mobilità, territorio
42Cristiana CristianiarchitettoEdilizia Pubblica – Comune di Pisa
43Alberto Croceingegnereex Direttore Settore Traffico e Trasporti in Comune di Bologna e Agenzia TPL Brescia, ex Presidente AIIT Lombardia 
44Fiorenza Dal Zottoarchitettoresponsabile settore pianificazione e tutela del territorio Comune di Spinea
45Marco De MitriingegnereTrafficlab – Alba (CN)
46Andrea DebernardiingegnereMETA srl – Monza
47Lorenza dell’ErbaarchitettaIstruttore Tecnico Servizio Pianificazione della Mobilità Area Pianificazione Territoriale e Mobilità Sostenibile – Città Metropolitana Bologna
48Raffaele Di Marcelloarchitettopresidente sezione Abruzzo UNITEL – Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali 
49Matteo Dondèarchitettolibero professionista – Milano
50Mauro Donzelliingegnerelibero professionista – Bologna
51Alfredo Drufucaingegnerelibero professionista – Milano
52Marco Engelarchitettourbanista pianificatore – Milano
53Roberto Farinaingegnereurbanista – Bologna
54Edoardo Fenocchhioingegnerestudio Progectolab
55Emanuele Ferraraurbanistalibero professionista – Milano
56Carla Ferrariarchitettoarchitetto pianificatore – Modena
57GiorgioFiorilloingegnereresponsabile funzioni di Agenzia presso la SRM  l’Agenzia per la mobilità ed il trasporto pubblico locale del Comune di Bologna e della Città metropolitana di Bologna.
58LuigiFregoniarchitettodirettore area pianificazione territoriale Comune di Rho
59Georg Frischarchitettourbanista pianificatore
60Giorgio Gagliardiarchitettoprogettista di mobilità ciclistica – Verona
61Edoardo Galatolaingegnereesperto di rischi industriali e del trasporto, responsabile sicurezza stradale FIAB 
62Paolo Gandolfiarchitettodirettore Area Sviluppo territoriale – Dirigente Servizio di Mobilità Urbana comune di Reggio Emilia
63Caterina Gfellerarchitettoesperta in comunicazione – Milano
64Elena Granataarchitettodocente urbanistica Politecnico Milano
65Emilio Grassiingegnereex direttore Agenzia TPL Bergamo
66Chiara Gruppourbanistapianificatrice dei trasporti – Brugherio (MI)
67Emilio Guastamacchiaarchitettourbanista pianificatore – Milano
68LorenzoFabianarchitettodocente Urbanistica – IUAV Venezia
69GiuseppeInturriprofessore Associato di TrasportiUniversità degli studi di Catania
70Marco La Violaingegnerelibero professionista – Saronno
71Eliot Laniadoingegnerecoordinatore scientifico Poliedra – Politecnico di Milano
72Arturo SergioLanzaniarchitettoprofessore di Tecnica e Pianificazione Urbanistica – Politecnico Milano
73Salvatore Leonardiprofessoreprofessore associato di Ingegneria delle infrastrutture viarie e dei trasporti presso l’Università degli Studi di Catania
74AntonioLoccigeometralibero professionista – Treviso
75Giovanna Longhiarchitettopaesaggista, progettista di opere pubbliche
76Fabio Lopez Nunesarchitettoex direttore ciclabilità del Comune di Milano
77Giampiero Lupatellieconomista territorialeVice Presidente CAIRE Consorzio 
78Robert Maddalenaarchitettolibero professionista – Thiene (VI) 
79Alessandro Madernadott.agr.Specialista progettazione e consulenza ambientale,  autorizzazioni e permitting
80Patrizia MalgieriarchitettoTRT Trasporti e Territorio – Milano
81Giorgia Mancinelliingegnerefunzionario tecnico del Comune di Rimini
82Giovanni Mandelliarchitettoservizio Mobilità Sostenibile – Comune di Reggio Emilia
83Paolo Maneourbanista libero professionista 
84Andrea MarellaingegnereTrafficlab – Alba (CN)
85Alberto MarescottiarchitettoComune di Padova
86Giulia Maroniarchitettotecnico esperto in mobilità sostenibile – Città metropolitana di Bologna
87Italo RobertoMaroniarchitettourbanista
88Angelo Martino ingegnereTRT Trasporti e Territorio – Milano
89SilviaMazzageografaesperta mobilità sostenibile
90FrancescoMazzaingegnereAIRIS Srl – Ingegneria per l’ambiente – Modena
91Eduardo Missonimedicodocente salute globale e sviluppo SDA Bocconi e Un.Milano Bicocca
92Valerio Montieriarchitettolibero professionista – Milano
93Massimo G. Morodottore in giurisprudenzacoordinatore Centro Studi FIAB 
94Danilo Odettoarchitettolibero professionista – Torino
95Jacopo OgnibenearchitettoNET Engineering
96Lorenzo Paglianofisicoprofessore associato di Fisica dell’Edificio – Politecnico Milano
97Federico ParolottoarchitettoCeo MIC-Mobility In Chain
98Marco PassigatoingegnereCoordinatore didattico  corso EPMC – Esperto Promotore della Mobilità Ciclistica di UniVr
99Carla PoloniatoingegnereFunzionario Settore mobilità – Comune di Vicenza
100Marco Pontiarchitetto economistaResponsabile di BRT onlus (Bridges Research Trust)
101Davide Prandiniarchitettofunzionario tecnico pubblica amministrazione – Maranello (MO)
102Edoardo Pregerarchitettourbanista – Cesena
103Chiara Quinziiarchitetto urbanistalibera professionista – Milano
104Lucia Rattiarchitettoex funzionario Direzione Trasorti e Mobilità Sostenibile – Regione Lombardia
105Andrea Remotogeometralibero professionista  – Avigliana (TO)
106Giulio RigottiarchitettoCoop.Arch G1 – Novara
107Riccardo Roccoarchitettolibero professionista. Presidente Commissione Paesaggio Comune di Sesto San Giovanni
108Gianni Rondinellaurbanistaprofessore di Pianificazione della mobilità, Università Europea di Madrid
109Guido RossiIngegnereDottore di ricerca in ingegneria dei trasporti e libero professionista – Verona
110Paolo Ruffinourbanista, economistaConsulente politiche di mobilità, trasporti e sviluppo territoriale
111Nicola SaccoprofessoreOrdinario di Trasporti presso l’Università degli Studi di Genova
112Ivan Saraccaingegnerelibero professionista – Busseto (PR)
113Stefano Sbardellaingegneredirigente Comune di Brescia
114Joerg Schweizeringegnerericercatore e docente in Transport System Design and Planning presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna.
115Francesco SeneciIngegnereCEO e Direttore Tecnico NetMobilitty srl
116Giancarlo Sgubbiingegneredirigente Unità intermedia Rete tram e piani e progetti per la mobilità sostenibile – Comune di Bologna
117Marco Stagniingegnerelibero professionista – Bologna
118Claudia Stanzaniarchitettopianificazione Territoriale e Urbanistica – Comune di Castelfranco Emilia
119Chiara TaiariolingegnereMETA srl – Monza
120DavideTessarolloingegnerelibero professionista Milano
121Samuel Tolentinodottore in ingegneriaMETA srl – Monza
122Luigi Torrianimatematicoanalista dei trasporti
123Alessandro Trevisanarchitettolibero professionista – Voghera
124Claudio Troisiingegneredocente a contratto di Pianificazione dei Trasporti presso l’Università Telematica “Giustino Fortunato” 
125Stefano Vaudagnaingegnerelibero professionista – Ciriè (TO) 
126Luca VeloarchitettoRicercatore in Urbanistica IUAV Venezia
127Lorenzo Vignonoingegnereesperto mobilità ciclabile SERTEC – Lorenzè (TO)
128Mario Zambriniesperto ambientaledirettore Ambiente Italia – Milano
129Federico Zanfiarchitettoprofessore associato DAStU – Politecnico Milano
130Giulio ZilliPianificatore territorialelibero professionista – Milano
131AlessioBrancacciotecnico ambientaleUniversità degli Studi di L’Aquila

Bologna Città 30: nelle prime quattro settimane calano gli incidenti stradali

Bologna Città 30: i dati confermano il trend in atto sul calo di incidenti stradali, da quando sono entrati in vigore i controlli per far rispettare il limite generalizzato di 30 km/h in ambito urbano. Nelle prime quattro settimane di Città 30 (15 gennaio – 11 febbraio 2024), sulle strade urbane di Bologna si sono verificati in totale 186 incidenti, di cui 1 mortale, 122 incidenti con feriti (che hanno provocato 144 persone ferite), nessuno con feriti in prognosi riservata e 63 incidenti senza feriti.

https://www.bikeitalia.it/2024/02/16/bologna-citta-30-nelle-prime-quattro-settimane-calano-gli-incidenti-stradali/

Bologna Città 30: calano gli incidenti stradali

Nelle stesse settimane dell’anno scorso (16 gennaio – 12 febbraio 2023) gli incidenti erano stati in totale 221, di cui 3 mortali, 139 incidenti con feriti (che avevano provocato 178 persone ferite), 1 con ferito in prognosi riservata e 78 senza feriti. Lo riporta una nota del Comune Bologna.

Pedoni coinvolti ridotti di un quarto

In termini percentuali si tratta quindi di un calo del 15,8% degli incidenti totali, -12,2% di incidenti con feriti, -19,1% persone ferite, -19,2% di incidenti senza feriti, due incidenti mortali in meno (1 nel 2024 mentre erano 3 nel 2023) e un incidente con ferito in prognosi riservata in meno (0 nel 2024, 1 nel 2023). Da sottolineare inoltre il calo di pedoni coinvolti in incidenti che è del 25,6% (39 erano quelli coinvolti nel 2023, 29 nel 2024).

Il commento dell’assessora alla Mobilità

L’assessora alla Mobilità di Bologna Valentina Orioli commenta così i dati: “I numeri rilevati dalla Polizia locale in queste prime 4 settimane ci confermano che il trend continua ad essere positivo. Quello che appare chiaro è il calo degli incidenti più gravi e il calo delle persone ferite, che è più rilevante di quello di incidenti con feriti, a conferma del fatto che gli incidenti sono tendenzialmente meno gravi”.

E, prosegue: “Altro aspetto da sottolineare è la diminuzione di pedoni coinvolti, come del resto si è già verificato in tutte le città europee che hanno adottato questo provvedimento prima di noi. Per questo è importante continuare a rispettare i limiti e mantenere alta la guardia. Vorrei rivolgere un ringraziamento alla Polizia Locale, che sta facendo un ottimo lavoro di sensibilizzazione su questo, e a tutti i cittadini bolognesi, che stanno dimostrando ancora una volta senso civico e grande collaborazione. Un impegno fondamentale per salvare vite sulle strade”.

Fonte: Bike Italia

English translate

Bologna Città 30: road accidents drop in the first four weeks

Bologna Città 30: the data confirm the ongoing trend in the decline in road accidents since the controls to enforce the general limit of 30 km/h in urban areas came into force. In the first four weeks of Città 30 (15 January – 11 February 2024), a total of 186 accidents occurred on the urban roads of Bologna, of which 1 was fatal, 122 accidents with injuries (which caused 144 people to be injured), none with injuries with a reserved prognosis and 63 accidents without injuries.

Bologna Città 30: road accidents decrease

In the same weeks last year (16 January – 12 February 2023) there were a total of 221 accidents, of which 3 were fatal, 139 accidents with injuries (which had caused 178 injured people), 1 with an injured person with a guarded prognosis and 78 without wounded. This was reported in a note from the Bologna Municipality.

Pedestrians involved reduced by a quarter

In percentage terms, this is therefore a 15.8% drop in total accidents, -12.2% in accidents with injuries, -19.1% people injured, -19.2% in accidents without injuries, two fatal accidents in fewer (1 in 2024 while there were 3 in 2023) and one fewer accident with an injured person with a reserved prognosis (0 in 2024, 1 in 2023). Also worth highlighting is the drop in pedestrians involved in accidents which is 25.6% (39 were involved in 2023, 29 in 2024).

The comment of the Mobility councilor

Bologna’s Mobility Councilor Valentina Orioli comments on the data as follows: “The numbers recorded by the local police in these first 4 weeks confirm that the trend continues to be positive. What appears clear is the drop in the most serious accidents and the drop in injured people, which is more significant than that in accidents with injured people, confirming the fact that accidents tend to be less serious”.

And he continues: “Another aspect to underline is the decrease in pedestrians involved, as has already occurred in all European cities that have adopted this measure before us. This is why it is important to continue to respect limits and keep your guard up. I would like to thank the Local Police, who are doing an excellent job of raising awareness on this, and to all the citizens of Bologna, who are once again demonstrating civic sense and great collaboration. A fundamental commitment to saving lives on the roads.”

Source: Bike Italia

https://corrieredibologna.corriere.it/notizie/cronaca/24_febbraio_28/citta-30-il-sindaco-di-parma-abbiamo-abbassato-il-limite-solo-in-alcune-strade-bologna-ha-dimostrato-coraggio-bdd00451-9cbe-4b12-92b3-901d79da7xlk.shtml?cmpid=tbd_39834460bi
https://fiabitalia.it/lappello-dei-familiari-delle-vittime-sulla-strada/
https://fiabitalia.it/bologna-citta-30-primo-bilancio-positivo-dopo-4-settimane-in-calo-gli-incidenti/
https://fiabitalia.it/doppio-senso-ciclabile-italia-fanalino-di-coda/
https://fiabitalia.it/il-poco-invidiabile-primato-dellitalia-il-paese-con-piu-auto-nellunione-europea/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/17/citta-30-la-velocita-ridotta-migliora-la-fluidita-del-traffico-focus-svi-associazione-svizzera-ingegneri-e-esperti-del-traffico/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/01/22/documentazione-studi-ricerche-e-fonti-raccolte-per-argomenti/
https://ilmanifesto.it/citta-30-pedoni-e-bici-si-riprendono-lo-spazio-pubblico
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/21/perche-e-cosi-diverso-andare-a-30-o-andare-a-50-e-andare-a-50-e-molto-piu-pericoloso/
https://www.rivistabc.com/bologna-citta-30-il-confronto-tra-2023-e-2024-da-ragione-al-comune-calano-incidenti-e-feriti/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

IN ITALIA ARIA PIU’ INQUINATA IN CASA CHE ALL’APERTO PER 6 MESI L’ANNO. LA RICERCA

16 Gennaio 2024 – 14:39

Milano maglia nera a livello mondiale. A rivelarlo è il primo progetto globale Air Quality Connected Data di Dyson che ha esaminato i dati relativi alla qualità dell’aria indoor provenienti da oltre 2,5 milioni di purificatori d’aria connessi

Dyson ha recentemente presentato i risultati del suo progetto globale Air Quality Connected Data, che ha analizzato le informazioni relative alla qualità dell’aria indoor raccolte da oltre 2,5 milioni di purificatori d’aria Dyson tra il 2022 e il 2023, per delineare un quadro dettagliato della qualità dell’aria nelle abitazioni in tutto il mondo. Tutti i Paesi esaminati (ad esclusione di quattro) hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori a quelli outdoor per sei mesi o più, inclusa l’Italia dove i valori medi mensili interni di PM2,5 hanno superato quelli esterni per sette mesi nel 2022, la Cina, l’Australia, la Francia, l’Austria, il Canada e la Spagna, le cui abitazioni hanno sperimentato una qualità dell’aria peggiore rispetto a quella outdoor per ogni singolo mese dell’anno. Solo nelle case di India, Norvegia, Polonia e Finlandia i livelli di PM2,5 sono stati generalmente inferiori rispetto a quelli esterni, superandoli per meno di sei mesi nel corso del 2022.

Milano maglia nera

Dal punto di vista delle singole città, il confronto tra l’inquinamento da PM2,5 outdoor e indoor è stato particolarmente negativo a Milano, che ha registrato il peggiore risultato globale: i livelli medi annui di PM2,5 indoor nel 2022 sono stati di 2,63 volte superiori rispetto a quelli outdoor, una discrepanza maggiore rispetto a qualsiasi altra città studiata, con picchi nei mesi di dicembre (3,46) e gennaio (3,48), fino al record di 4,17 volte oltre i valori outdoor a marzo. Dopo Milano, altri record negativi sono stati quelli di Shenzhen (con livelli annui di PM2,5 indoor superiori del 97% rispetto all’outdoor), Amsterdam (76%), Seoul (53%), Madrid (50%), Melbourne (40%), Vienna (37%), Singapore (36%) e New York (35%). 21 città (su 35 esaminate) hanno registrato livelli medi annui di PM2,5 negli ambienti chiusi superiori rispetto a quelli all’aperto. Analizzando i dati mensili, sono otto le città che hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori rispetto all’outdoor per ogni singolo mese dell’anno: Shenzhen, New York, Melbourne, Milano, Roma, Seoul, Vienna e Amsterdam.

La situazione nel mondo

Se si prendono in considerazione i dati provenienti dai purificatori connessi Dyson a livello globale e relativi a tutto il 2022, stilando una classifica dei Paesi in base al loro livello medio di PM2,5, i risultati sono sorprendenti. Mentre India e Cina occupano i primi due posti, probabilmente a causa della relazione tra la qualità dell’aria interna ed esterna, la Romania si è classificata al sesto posto, l’Italia all’ottavo, la Polonia al nono e l’Austria al decimo. Il Regno Unito (22°) ha superato gli Stati Uniti (26°), il Canada (27°) e l’Australia (28°), ma la Germania e la Francia si sono classificate ancora più in alto, rispettivamente al 17° e al 19° posto. I valori medi annui indoor hanno superato le linee guida annuali dell’OMS per il PM2,5 (5 µg/m3) in tutti i Paesi coinvolti nello studio: in India il valore è stato di 11 volte superiore a quello raccomandato, in Cina di 6 volte, in Turchia e negli Emirati Arabi Uniti di 4 volte e in Corea del Sud, Romania, Messico e Italia di 3 volte. L’Italia è tra i primi 10 Paesi (8° posto) per livello medio annuo di PM2,5, insieme a India, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Corea del Sud, Romania, Messico, Polonia e Austria; tutti mercati che nella classifica superano Paesi più “tipicamente” inquinati come Thailandia, Malesia, Filippine, Germania.

Valori medi annui di COV (Composti Organici Volatili o VOC Volatil Organic Compounds)

A differenza di quanto rilevato per il PM2,5, secondo i purificatori connessi Dyson sono i Paesi europei a registrare i livelli annui di COV (Composti Organici Volatili) più alti. I 10 Paesi con valori più elevati sono infatti Austria, Romania, Germania, Svizzera, Polonia, Turchia, India, Italia, Cina e Irlanda. Roma si colloca anche tra le 10 città più inquinate dai COV al mondo, insieme a Monaco, Pechino, Colonia, Berlino, Vienna, Delhi, Istanbul, Shanghai e Città del Messico. Vale la pena sottolineare che Dublino, Parigi e Milano (quest’ultima, in questo caso, con livelli inferiori alla media nazionale) hanno comunque superato in classifica megacittà come Tokyo e Seoul, oltre a tutte le città degli Stati Uniti e persino Londra.

L’impatto di meteo e orario

Nella maggior parte dei Paesi presi in esame da Dyson, i livelli di PM2,5 negli ambienti interni erano più elevati durante le ore serali e notturne, in coincidenza con il tempo che la maggior parte delle persone trascorre in casa, anziché al lavoro, a scuola o altrove. I dati suggeriscono quindi che questo lasso di tempo più lungo e con maggiore inquinamento potrebbe essere responsabile di una maggiore esposizione al PM2,5 nelle abitazioni. Le ore di picco a livello globale sono state tra le 18:00 e le 24:00 nella maggior parte delle aree geografiche, mentre in Italia le ore più inquinate sono quelle tra le 20:00 e le 24:00, in cui vengono superate le linee guida giornaliere dell’OMS sul PM2,5 (15 µg/m3) con un minimo di 15,43 e un massimo di 17,32 µg/m3. Tuttavia, guardando al lato positivo, l’Italia è tra le aree geografiche che hanno superato i livelli raccomandati per meno del 50% della giornata, insieme a Berlino, Austria, Israele, Polonia, Spagna (tutte le città, inclusa la media nazionale) e Romania. Analogamente a quanto accade per le diverse ore della giornata, anche le stagioni corrispondono a periodi in cui trascorriamo più o meno tempo al chiuso. Durante l’anno, fino al 90% del nostro tempo totale viene trascorso indoor, che sia a casa, al lavoro, o per svolgere attività di svago. I dati provenienti dai purificatori connessi Dyson hanno evidenziato che nel 2022 il periodo invernale è stato la stagione più inquinata a livello globale. Una delle ragioni dietro i livelli più elevati di PM2,5 all’interno quando il clima è più freddo è il fatto che si tendano a “sigillare” maggiormente le abitazioni, tenendo le finestre chiuse e possibilmente utilizzando fonti di riscaldamento a combustione, come il riscaldamento a gas, stufe a legna o anche l’accensione di candele.

Fonte: Sky TG 24

English translate

IN ITALY THE AIR IS MORE POLLUTED IN HOMES THAN OUTDOORS FOR 6 MONTHS A YEAR. RESEARCH

Milan black jersey at world level. This was revealed by Dyson's first global Air Quality Connected Data project which examined indoor air quality data from over 2.5 million connected air purifiers

Dyson recently presented the results of its global Air Quality Connected Data project, which analyzed indoor air quality information collected from more than 2.5 million Dyson air purifiers between 2022 and 2023, to outline a detailed picture of air quality in homes around the world. All but four of the countries examined recorded indoor PM2.5 levels higher than outdoor ones for six months or more, including Italy - where average monthly indoor PM2.5 values ​​exceeded outdoor ones for seven months in 2022, China, Australia, France, Austria, Canada and Spain, whose homes experienced worse air quality than outdoors for every single month of the year. Only in homes in India, Norway, Poland and Finland were PM2.5 levels generally lower than outside, exceeding them for less than six months during 2022.

Milan black jersey

From the point of view of individual cities, the comparison between outdoor and indoor PM2.5 pollution was particularly negative in Milan, which recorded the worst overall result: the average annual indoor PM2.5 levels in 2022 were 2.63 times higher than those outdoors, a greater discrepancy than any other city studied, with peaks in the months of December (3.46) and January (3.48), up to the record of 4.17 times higher than the values outdoors in March. After Milan, other negative records were those of Shenzhen (with annual indoor PM2.5 levels 97% higher than outdoors), Amsterdam (76%), Seoul (53%), Madrid (50%), Melbourne (40%), Vienna (37%), Singapore (36%) and New York (35%). 21 cities (out of 35 examined) recorded average annual levels of PM2.5 indoors that were higher than outdoors. Analyzing the monthly data, there are eight cities that recorded indoor PM2.5 levels higher than outdoors for every single month of the year: Shenzhen, New York, Melbourne, Milan, Rome, Seoul, Vienna and Amsterdam.

World situation

If you take into consideration the data from Dyson connected purifiers globally for the whole of 2022, ranking countries based on their average PM2.5 level, the results are surprising. While India and China occupy the top two places, probably due to the relationship between indoor and outdoor air quality, Romania ranked sixth, Italy eighth, Poland ninth and Austria tenth. The UK (22nd) overtook the US (26th), Canada (27th) and Australia (28th), but Germany and France ranked even higher, at 17th respectively and in 19th place. The average annual indoor values ​​exceeded the annual WHO guidelines for PM2.5 (5 µg/m3) in all countries involved in the study: in India the value was 11 times higher than the recommended one, in China by 6 times, in Turkey and the United Arab Emirates by 4 times and in South Korea, Romania, Mexico and Italy by 3 times. Italy is among the top 10 countries (8th place) for average annual level of PM2.5, together with India, China, Turkey, United Arab Emirates, South Korea, Romania, Mexico, Poland and Austria; all markets that in the ranking surpass more "typically" polluted countries such as Thailand, Malaysia, the Philippines and Germany.

Average annual values ​​of VOC (Volatile Organic Compounds or VOC Volatil Organic Compounds)

Unlike what was found for PM2.5, according to Dyson connected purifiers, European countries record the highest annual levels of VOCs (Volatile Organic Compounds). The 10 countries with the highest values ​​are in fact Austria, Romania, Germany, Switzerland, Poland, Turkey, India, Italy, China and Ireland. Rome also ranks among the 10 most polluted cities by VOCs in the world, together with Munich, Beijing, Cologne, Berlin, Vienna, Delhi, Istanbul, Shanghai and Mexico City. It's worth highlighting that Dublin, Paris and Milan (the latter, in this case, with levels lower than the national average) still outranked megacities such as Tokyo and Seoul, as well as all US cities and even London.

The impact of weather and time

In most countries surveyed by Dyson, indoor PM2.5 levels were highest during the evening and night hours, coinciding with the time most people spend at home, rather than at work, at school or elsewhere. The data therefore suggests that this longer, more polluted time frame could be responsible for greater exposure to PM2.5 in homes. The peak hours globally were between 6:00 PM and midnight in most geographical areas, while in Italy the most polluted hours are those between 8:00 pm and midnight, in which they are exceeded the WHO daily guidelines on PM2.5 (15 µg/m3) with a minimum of 15.43 and a maximum of 17.32 µg/m3. However, looking on the bright side, Italy is among the geographical areas that exceeded the recommended levels for less than 50% of the day, together with Berlin, Austria, Israel, Poland, Spain (all cities, including the national average) and Romania. Similarly to what happens with the different hours of the day, the seasons also correspond to periods in which we spend more or less time indoors. During the year, up to 90% of our total time is spent indoors, whether at home, at work, or carrying out leisure activities. Data from Dyson connected purifiers highlighted that in 2022 the winter period was the most polluted season globally. One of the reasons behind the higher levels of PM2.5 indoors in colder weather is the fact that we tend to “seal” homes more, keeping windows closed and possibly using combustion heating sources, such as gas heating, wood stoves or even the lighting of candles.

Source: SkyTG24



https://tg24.sky.it/ambiente/2024/01/16/inquinamento-italia-qualita-aria

Aria malsana nel Lazio: cittadini sempre più insofferenti. Cresce interesse verso azione collettiva Consulcesi

Il 2024 inizia con un boom di interesse verso l’azione collettiva di Consulcesi: +14% nell’ultimo mese. Tortorella: “Blocco auto e ‘stare a casa’ non sono soluzioni. Cittadini stanchi chiedono azioni più concrete”

https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=119531


17 GENNAIO 2024 

Aumenta l’inquinamento e di pari passo il malessere dei cittadini laziali. Nella regione l’azione collettiva targata Consulcesi registra un aumento del +14%, passando da circa 20mila ad oltre 23.300 solo negli ultimi 30 giorni, tra dicembre 2023 e le prime due settimane del nuovo anno. La mobilitazione diventa un grido pressante per il riconoscimento del diritto fondamentale a respirare aria salubre, con un numero sempre maggiore di cittadini che manifestano interesse per l’iniziativa collettiva Aria Pulita.

“Sarà per la stanchezza di fronte ai bollettini sempre più critici delle centraline di monitoraggio, per le restrizioni del traffico che complicano una mobilitazione già difficile, o per le crescenti evidenze sugli impatti devastanti sulla salute fisica e mentale, ma dal Lazio arriva un segnale chiaro: la popolazione è preoccupata e chiede azioni più incisive per migliorare la qualità dell’aria”, commenta Massimo Tortorella, Presidente Consulcesi.

“Che quanto è stato fatto finora per salvaguardare la salute dei cittadini non sia abbastanza è purtroppo cosa certa ormai, – aggiunge Tortorella – lo confermano i dati sulla riduzione degli inquinanti e lo ribadisce ancora una volta la Commissione Europea, tornata ad esprimersi sugli sforamenti dei limiti nella Valle del Sacco, registrati in questi giorni”.

La popolazione della zona, infatti, da anni respira aria malsana, ha più volte accertato e condannato la stessa Commissione, che recentemente si è detta preoccupata per i nuovi sforamenti di polveri sottili registrati nella Valle, con concentrazioni pari a 133 microgrammi per metro cubo, contro una soglia massima di 10 µg/m³.

Non solo la Valle del Sacco però, è soffocata dall’inquinamento. Secondo gli ultimi dati Legambiente contenuti nei due report 2023 “Mal’Aria di Città” ed “Ecosistema Urbano”, Frosinone con i suoi 17 microgrammi/m3 di PM2.5 si classifica tra le città con una qualità dell’aria considerata “insufficiente”, mostrandosi in miglioramento negli ultimi dieci anni, ma ben lontana dalla riduzione del 41% necessaria per rientrare nei nuovi limiti UE, da raggiungere quanto prima e non oltre il 2030.

Male, anzi malissimo, la situazione di Roma se si guarda al biossido di azoto (NO2). Per questo inquinante, la città mostra un tasso medio annuo di decrescita pari al -6%, mentre con una concentrazione media annua pari a 33 microgrammi/metro cubo, deve puntare a una riduzione del 39% entro il 2030. All’attuale trend di riduzione, la Capitale impiegherebbe 11 anni, circa il doppio del tempo dettato in sede UE.

Come concludono anche le analisi di Legambiente, i miglioramenti ci sono ma sono troppo piccoli: di questo passo raggiungere i nuovi obiettivi fissati dall’Unione Europea per i livelli di inquinanti atmosferici entro il 2030 risulta irrealizzabile per le città italiane, molto di più si può e si deve fare.

Il Lazio è tra le regioni italiane che ospita più cittadini candidabili all’azione collettiva Aria Pulita. Sono infatti oltre cinque milioni e mezzo i laziali eleggibili per l’iniziativa legale tra i 3.384 comuni e città italiane individuate dal team di Consulcesi tra quelli per i quali la Corte di Giustizia Europea ha multato l’Italia per violazione del superamento dei valori soglia di polveri sottili (PM10) e biossido d’azoto (NO2). In totale sono oltre 110 i comuni laziali in cui la popolazione è stata costretta a respirare aria cattiva e potenzialmente dannosa per la loro salute e che, per questo, possono richiedere un risarcimento alla Stato, aderendo all’azione collettiva Aria Pulita di Consulcesi.

Per partecipare all’azione collettiva, è sufficiente dimostrare, attraverso un certificato storico di residenza, di aver risieduto tra il 2008 e il 2018 in uno o più dei territori coinvolti. Per informazioni su come aderire, Consulcesi mette a disposizione il sito di Aria Pulitawww.aria-pulita.it.

17 Gennaio 2024

Fonte: Quotidiano Sanità

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Unhealthy air in Lazio: increasingly impatient citizens. Interest is growing in Consulcesi collective action

2024 begins with a boom in interest in Consulcesi's collective action: +14% in the last month. Tortorella: “Car lock and 'staying at home' are not solutions. Tired citizens ask for more concrete actions".

Pollution increases and at the same time the discomfort of Lazio citizens. In the region, the collective action by Consulcesi recorded an increase of +14%, going from around 20 thousand to over 23,300 in the last 30 days alone, between December 2023 and the first two weeks of the new year. The mobilization becomes a pressing cry for the recognition of the fundamental right to breathe healthy air, with an ever-increasing number of citizens showing interest in the collective initiative Aria Pulita.

"It may be due to tiredness in the face of increasingly critical bulletins from monitoring stations, due to traffic restrictions that complicate an already difficult mobilisation, or due to the growing evidence on the devastating impacts on physical and mental health, but a clear signal is coming from Lazio region: the population is worried and asks for more incisive actions to improve air quality", comments Massimo Tortorella, President of Consulcesi.

“Unfortunately, it is now certain that what has been done so far to safeguard the health of citizens is not enough,” adds Tortorella. limits in the Sacco Valley, recorded in recent days".

The population of the area, in fact, has been breathing unhealthy air for years, as the Commission itself has repeatedly ascertained and condemned, which recently said it was concerned about the new exceedances of fine particles recorded in the Valley, with concentrations equal to 133 micrograms per cubic meter, against a maximum threshold of 10 µg/m³.

However, not only the Sacco Valley is suffocated by pollution. According to the latest Legambiente data contained in the two 2023 reports "Mal'Aria di Città" and "Ecosistema Urbano", Frosinone with its 17 micrograms/m3 of PM2.5 ranks among the cities with an air quality considered "insufficient", showing improvement over the last ten years, but far from the 41% reduction needed to fall within the new EU limits, to be achieved as soon as possible and no later than 2030 (in line with Agenda 2030 objectives).

The situation in Rome is bad, or rather very bad, if you look at nitrogen dioxide (NO2). For this pollutant, the city shows an average annual rate of decrease of -6%, while with an average annual concentration of 33 micrograms/cubic meter, it must aim for a reduction of 39% by 2030. At the current trend of reduction, the Capital would take 11 years, approximately double the time dictated by the EU.

As Legambiente's analyzes also conclude, there are improvements but they are too small: at this rate, reaching the new objectives set by the European Union for the levels of air pollutants by 2030 is unachievable for Italian cities, much more is possible and it must be done.

Lazio is among the Italian regions that hosts the most citizens eligible for the collective action Aria Pulita. In fact, over five and a half million people from Lazio are eligible for the legal initiative among the 3,384 municipalities and Italian cities identified by the Consulcesi team among those for which the European Court of Justice has fined Italy for violating the threshold values ​​of fine particles (PM10) and nitrogen dioxide (NO2). In total there are over 110 municipalities in Lazio where the population has been forced to breathe bad air that is potentially harmful to their health and which, for this reason, can request compensation from the State by joining the collective action Aria Pulita of Consulcesi.

To participate in the collective action, it is sufficient to demonstrate, through a historical certificate of residence, that you have resided between 2008 and 2018 in one or more of the territories involved. For information on how to join, Consulcesi makes the Aria Pulita website available: www.aria-pulita.it

Source: Quotidiano Sanità


Da smog a salute mentale, i nemici 3.0 del cuore e come difendersi

18 Gennaio 2024 | 13.19 Redazione Adnkronos

Un’ampia review coordinata dal Gemelli Roma: “Il 15% degli infartuati non presenta fattori di rischio noti”

Lo smog in una città

I nemici del cuore e delle coronarie sono tanti e vanno ben al di là di quelli tradizionali, i cosiddetti fattori di rischio modificabili o ‘Smurfs’ (colesterolo, diabete, ipertensione, fumo). Se di certo i ‘grandi classici’ non sono da trascurare, va considerato che almeno il 15% degli infartuati non presenta alcun fattore di rischio noto. E’ dunque necessario allargare la visuale e far luce sui nuovi pericoli dai quali proteggersi. E’ quanto ha cercato di fare una review pubblicata sull”European Heart Journal’, coordinata da ricercatori di Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs-Università Cattolica di Roma, in collaborazione con prestigiosi esperti americani (Deepak Bhatt del Mount Sinai di New York e Sanjay Rajagopalan della Case Western Reserve University di Cleveland).

I risultati dello studio

Lo studio riassume i principali ‘nuovi’ rischi per il cuore nel nome-ombrello di ‘esposoma’. Tra le ‘new entry’ vanno considerati l’inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, esposizione a sostanze chimiche), fattori socio-economici e psicologici (stress, depressione, isolamento sociale), ma anche malattie infettive come l’influenza e il Covid-19, con le quali facciamo pesantemente i conti ogni inverno.

“Sebbene negli anni i trattamenti contro i fattori di rischio tradizionali siano diventati sempre più efficaci e abbiano contribuito non poco a ridurre incidenza e conseguenze della cardiopatia ischemica – sottolinea Rocco Montone, cardiologo presso la UOC Cardiologia intensiva del Gemelli – questa resta la principale causa di morte nel mondo. Per questo l’attenzione si sta allargando dai fattori di rischio tradizionale a tutto ciò che ci circonda, al mondo del quale siamo immersi, fatto di inquinamento, virus, problemi economici e psicologici che, a loro volta, possono contribuire in maniera sostanziale a determinare e perpetuare il problema ‘cardiopatia ischemica’”.

“Questi fattori di rischio – prosegue Montone – interagiscono in modo imprevedibile, spesso potenziandosi tra loro. Ecco perché è necessario considerarli nella loro totalità, includendoli in questo nuovo paradigma dell’esposoma. La nostra review fa dunque il punto su come l’esposizione a lungo termine all’esposoma possa contribuire alla comparsa di cardiopatia ischemica e suggerisce quali potenziali strategie di mitigazione del rischio andrebbero messe in atto”.

Il ruolo dell’inquinamento

Primo fattore analizzato dagli esperti: l’inquinamento ambientale. L’inquinamento atmosferico (soprattutto da Pm2.5 o particolato fine) da solo può ridurre l’aspettativa di vita di 2,9 anni (il fumo di tabacco la riduce di 2,2 anni). Lo studio Global Burden of Disease (Gbd) ha stimato che nel 2019 fossero direttamente riconducibili all’inquinamento nel mondo 7 milioni di decessi (4,1 da inquinamento ambientale e 2,3 da inquinamento domestico). “Questi decessi da inquinamento – spiega Montone – sono causati soprattutto da malattie cardiovascolari (arresto cardiaco, scompenso, aritmie, ictus ischemico e soprattutto infarti) e agiscono su vari meccanismi. L’esposizione all’aria inquinata ad esempio ‘ossida’ il colesterolo cattivo (Ldl), rendendolo più pericoloso, e altera la funzionalità del colesterolo ‘buono’ (Hdl), rendendo così meno efficaci anche le statine. L’esposizione acuta a Pm2.5 proveniente dagli scappamenti dei veicoli diesel può determinare un rialzo improvviso della pressione. Gli inquinanti atmosferici inoltre possono alterare la sensibilità all’insulina e promuovere la comparsa di diabete, attraverso stress ossidativo e infiammazione cronica; secondo il Gbd, fino al 22% dei casi di diabete di tipo 2 potrebbero essere imputati all’inquinamento”.

Pesa anche lo stress sociale

Altri problemi vengono dall’inquinamento acustico, da quello luminoso e dallo stress sociale, che alterando gli ormoni dello stress e i ritmi circadiani (con la deprivazione o frammentazione del sonno) possono peggiorare lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, portando a disfunzione endoteliale, ad una maggior aggregabilità delle piastrine e promuovendo così la comparsa di cardiopatia ischemica.

L’inquinamento del suolo infine, come quello da metalli pesanti (cadmio, piombo e arsenico), pesticidi o particelle di plastica, può contaminare l’acqua e il cibo che mangiamo, contribuendo anch’esso alla comparsa di eventi cardiaci avversi. Anche i cambiamenti climatici, che sono strettamente correlati all’inquinamento, hanno un impatto importante sulla salute del cuore. “Le ondate di caldo – ricorda Montone – sono sempre più frequenti; una prolungata esposizione al caldo è stata di recente correlata ad aumentato rischio di mortalità cardiovascolare”.

Cuore e cervello legati a doppio filo

Da non sottovalutare poi la salute mentale, legata a doppio filo a quella del cuore. Stress cronico, depressione, isolamento sociale e solitudine possono dare un importante contributo alle malattie cardiovascolari. Lo stress determina una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico che può portare a ipertensione arteriosa, mentre l’aumentata produzione di cortisolo dai surreni può promuovere insulino-resistenza e favorire la comparsa di obesità viscerale.

Lo stress infine si associa spesso ad alterate abitudini di vita (dieta poco sana, sedentarietà, fumo) che potenziano i fattori di rischio cardio-vascolari tradizionali. C’è poi il capitolo malattie infettive. Molte infezioni respiratorie come l’influenza e il Covid-19, ma anche le parodontiti e le infezioni da Helicobacter pylori e Chlamydia, sono correlate ad un aumento rischio cardiovascolare; aumentano l’infiammazione sistemica, lo stress ossidativo, l’attivazione piastrinica e possono danneggiare direttamente le cellule del cuore (miociti), evidenzia lo studio.

“Trattare l’esposoma per proteggere il cuore – osservano gli esperti – di certo non è facile come assumere pillola contro il colesterolo o la pressione. E se la responsabilità individuale ha comunque uno spazio importante, sono necessarie anche azioni di politica ambientale e di mitigazione più alte. E’ importante tuttavia essere consapevoli dei rischi e contribuire, ognuno per la nostra parte, alla riduzione di questi fattori di rischio che impattano non solo sul singolo ma su tutta la collettività”.

“Sul fronte dell’inquinamento ambientale – suggerisce Montone – sarebbe opportuno velocizzare la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, mettere in atto politiche per la riduzione del traffico nei centri cittadini e promuovere i trasporti con veicoli a basse o a zero emissioni. Importante anche ripensare le città, evitando la commistione di aree industriali e residenziali.

Se l’esercizio fisico all’aperto è sempre raccomandabile, è importante che venga fatto in aree verdi, lontane dal traffico. Nelle giornate a maggior tasso di inquinamento, potrebbe essere opportuno indossare una mascherina quando si esce o restare in casa con le finestre chiuse, usando dei purificatori d’aria. L’inquinamento acustico si riduce adottando tecnologie per ridurre il rumore dei trasporti, regolamentando il traffico, incoraggiando l’uso di veicoli elettrici, disegnando edifici a prova di rumore, creando aree verdi che fanno da ‘tampone’ naturale dei rumori. L’inquinamento luminoso si combattere a livello pubblico e personale; oltre a ricordarci di spegnere le luci, per favorire l’igiene del sonno, è bene ricordarsi di serrare le tapparelle o di indossare una mascherina sugli occhi”. A livello internazionale sta crescendo il movimento di sensibilizzazione al problema che celebrerà la settimana internazionale ‘DarkSky’, dal 2 all’8 aprile.

L’importanza dell’alimentazione

Anche a tavola bisogna ricordarsi di adottare una dieta da fonti sostenibili, come la dieta mediterranea; ridurre il consumo di carne rossa fa bene alla salute personale e a quella dell’ambiente. Mentre “sul fronte della protezione dalle malattie infettive che mettono a rischio il cuore”, per Montone “è importante insistere nelle campagne vaccinali autunnali contro influenza e Covid-19, promuovere misure l’igiene delle mani, la sanificazione delle superfici e degli ambienti, indossare una mascherina facciale nei luoghi chiusi e affollati”.

“Sebbene la consapevolezza sociale del problema sia in aumento e le principali linee guida cardiovascolari stiano ora prendendo in considerazione l’importanza di ridurre l’esposizione a questi nuovi fattori di rischio cardiovascolare – commenta Filippo Crea, Editor-in-Chief dell’European Heart Journal, direttore del Centro di eccellenza di Scienze cardiovascolari ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola, già ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica – c’è ancora molta strada da fare per implementare strategie preventive e di gestione. In questo contesto, gli operatori sanitari e le organizzazioni pubbliche in generale dovrebbero essere consapevoli della necessità di affrontare questo cambio di paradigma”.

“Infine – conclude Crea – sarà fondamentale promuovere ulteriori ricerche per studiare il modo in cui questi fattori di rischio emergenti, da soli e in combinazione, influiscono sull’integrità del sistema cardiovascolare. E’ importante iniziare a esplorare in profondità il ‘lato nascosto della luna’ in quanto, come dimostrato in un recente lavoro epidemiologico pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, i fattori di rischio noti (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e fumo) spiegano solo metà delle malattie cardiovascolari”.

Fonte: Adnkronos

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From smog to mental health, the 3.0 enemies of the heart and how to defend yourself

An extensive review coordinated by Gemelli Rome: "15% of heart attack patients have no known risk factors"

The enemies of the heart and coronary arteries are many and go far beyond the traditional ones, the so-called modifiable risk factors or 'Smurfs' (cholesterol, diabetes, hypertension, smoking). While the 'great classics' are certainly not to be overlooked, it should be considered that at least 15% of heart attack victims do not present any known risk factor. It is therefore necessary to broaden the view and shed light on the new dangers from which to protect ourselves. This is what a review published in the 'European Heart Journal', coordinated by researchers from Fondazione Policlinico Universitario Gemelli Irccs-Catholic University of Rome, attempted to do, in collaboration with prestigious American experts (Deepak Bhatt of Mount Sinai in New York and Sanjay Rajagopalan of Case Western Reserve University in Cleveland).

The results of the study

The study summarizes the main 'new' risks for the heart under the umbrella name of 'exposome'. Among the 'new entries' we must consider pollution (of air, soil, water, exposure to chemical substances), socio-economic and psychological factors (stress, depression, social isolation), but also infectious diseases such as flu and Covid-19, which we deal with heavily every winter.

"Although over the years the treatments against traditional risk factors have become increasingly effective and have contributed significantly to reducing the incidence and consequences of ischemic heart disease - underlines Rocco Montone, cardiologist at the Gemelli Intensive Cardiology Unit - this remains the main cause of death in the world. For this reason, attention is broadening from traditional risk factors to everything that surrounds us, to the world in which we are immersed, made up of pollution, viruses, economic and psychological problems which, in turn, can contribute in substantial way to determine and perpetuate the problem of 'ischemic heart disease'".

"These risk factors - continues Montone - interact in an unpredictable way, often enhancing each other. This is why it is necessary to consider them in their entirety, including them in this new paradigm of the exposome. Our review therefore takes stock of how exposure to long-term exposure to the exposome may contribute to the onset of ischemic heart disease and suggests which potential risk mitigation strategies should be implemented".

The role of pollution

First factor analyzed by experts: environmental pollution. Air pollution (especially PM2.5 or fine particulate matter) alone can reduce life expectancy by 2.9 years (tobacco smoking reduces it by 2.2 years). The Global Burden of Disease (GBD) study estimated that in 2019, 7 million deaths in the world were directly attributable to pollution (4.1 from environmental pollution and 2.3 from domestic pollution). "These deaths from pollution - explains Montone - are caused above all by cardiovascular diseases (cardiac arrest, heart failure, arrhythmias, ischemic strokes and above all heart attacks) and act on various mechanisms. Exposure to polluted air, for example, 'oxidizes' bad cholesterol (LDL), making it more dangerous, and alters the functionality of 'good' cholesterol (HDL), thus making even statins less effective. Acute exposure to PM2.5 coming from diesel vehicle exhausts can cause a sudden rise in blood pressure Atmospheric pollutants can also alter insulin sensitivity and promote the onset of diabetes, through oxidative stress and chronic inflammation; according to the Gbd, up to 22% of cases of type 2 diabetes could be attributed to pollution".

Social stress also weighs heavily

Other problems come from noise pollution, light pollution and social stress, which by altering stress hormones and circadian rhythms (with sleep deprivation or fragmentation) can worsen oxidative stress and the inflammatory response, leading to endothelial dysfunction, greater aggregability of platelets and thus promoting the appearance of ischemic heart disease.

Finally, soil pollution, such as that from heavy metals (cadmium, lead and arsenic), pesticides or plastic particles, can contaminate the water and food we eat, also contributing to the onset of adverse cardiac events. Climate change, which is closely related to pollution, also has a major impact on heart health. "Heat waves - recalls Montone - are increasingly frequent; prolonged exposure to heat has recently been correlated with an increased risk of cardiovascular mortality".

Heart and brain closely linked

Mental health should not be underestimated, as it is closely linked to that of the heart. Chronic stress, depression, social isolation and loneliness can be major contributors to cardiovascular disease. Stress causes hyper-activation of the sympathetic nervous system which can lead to arterial hypertension, while the increased production of cortisol from the adrenals can promote insulin resistance and favor the onset of visceral obesity.

Finally, stress is often associated with altered lifestyle habits (unhealthy diet, sedentary lifestyle, smoking) which enhance traditional cardiovascular risk factors. Then there is the chapter on infectious diseases. Many respiratory infections such as influenza and Covid-19, but also periodontitis and Helicobacter pylori and Chlamydia infections, are related to an increased cardiovascular risk; they increase systemic inflammation, oxidative stress, platelet activation and can directly damage heart cells (myocytes), the study highlights.

"Treating the exposome to protect the heart - the experts observe - is certainly not as easy as taking pills against cholesterol or blood pressure. And if individual responsibility still has an important place, environmental policy and mitigation actions are also necessary higher. However, it is important to be aware of the risks and contribute, each of us for our part, to the reduction of these risk factors which impact not only on the individual but on the entire community".

"On the environmental pollution front - suggests Montone - it would be appropriate to speed up the transition from fossil fuels to renewable energy, implement policies to reduce traffic in city centers and promote transport with low or zero emission vehicles. It is also important to rethink cities, avoiding the mixing of industrial and residential areas.

While outdoor physical exercise is always recommended, it is important that it is done in green areas, away from traffic. On days with higher levels of pollution, it may be appropriate to wear a mask when going out or stay indoors with the windows closed, using air purifiers. Noise pollution is reduced by adopting technologies to reduce transport noise, regulating traffic, encouraging the use of electric vehicles, designing noise-proof buildings, creating green areas that act as a natural 'buffer' against noise. Light pollution must be fought on a public and personal level; in addition to reminding us to turn off the lights, to promote sleep hygiene, it is good to remember to close the shutters or wear an eye mask". At an international level, the movement to raise awareness of the problem is growing and will celebrate the international 'DarkSky' week ', from 2 to 8 April.

The importance of nutrition

Even at the table we must remember to adopt a diet from sustainable sources, such as the Mediterranean diet; Reducing the consumption of red meat is good for personal health and that of the environment. While "on the front of protection from infectious diseases that put the heart at risk", for Montone "it is important to insist on autumn vaccination campaigns against influenza and Covid-19, promote hand hygiene measures, the sanitisation of surfaces and environments, wear a face mask in closed and crowded places".

"Although social awareness of the problem is increasing and major cardiovascular guidelines are now taking into consideration the importance of reducing exposure to these new cardiovascular risk factors - comments Filippo Crea, Editor-in-Chief of the European Heart Journal, director of the Center of Excellence for Cardiovascular Sciences at the Isola Tiberina-Gemelli Isola hospital, former full professor of Cardiology at the Catholic University - there is still a long way to go to implement preventive and management strategies. In this context, health workers and public organizations in general should be aware of the need to address this paradigm shift."

"Finally - concludes Crea - it will be essential to promote further research to study the way in which these emerging risk factors, alone and in combination, influence the integrity of the cardiovascular system. It is important to begin to explore in depth the 'hidden side of moon' because, as demonstrated in a recent epidemiological work published in the 'New England Journal of Medicine', the known risk factors (hypertension, diabetes, hypercholesterolemia and smoking) explain only half of cardiovascular diseases".

Source: Adnkronos

Altro che deumidificatore, per purificare l’aria in casa ti basterà mettere questa pianta: è ‘magica’

15 Gennaio 2024 di Manuela La Martire

Una pianta con grandi effetti purificanti: ecco cosa devi avere in casa a tutti i costi per un’aria più respirabile.

Non servirà più acquistare un deumidificatore o un purificatore per respirare un’aria migliore nella propria abitazione. Basterà una piantina, anche molto bella esteticamente, che ti aiuterà a vivere meglio in casa. Ecco qual è.

https://ascoli.cityrumors.it/lifestyle/altro-che-deumidificatore-per-purificare-laria-in-casa-ti-bastera-mettere-questa-pianta-e-magica.html

Si tratta di una pianta che non occupa molto spazio, si adatta ad un vaso piccolo, ma può crescere in lunghezza a dismisura. Ecco perché è meglio posizionarla in un punto alto, per permetterle di crescere senza ostacoli. E’ da sempre utilizzata come pianta ornamentale, ma negli ultimi anni sempre più persone stanno apprezzando le sue proprietà.

Stiamo parlando del Pothos, chiamato anche “Ivy del Diavolo”, è capace anche di assorbire sostanze tossiche tra cui il benzene (C6H6) e la formaldeide (CH2O). Si adatta a qualsiasi condizione di luce, qualsiasi luogo ed è anche facile da accudire.

E’ anche un ottimo alleato per coloro che soffrono di allergie respiratorie, soprattutto perché mantiene bassi i livelli di umidità nell’aria. Permette anche di creare un ambiente rilassante e confortevole, riportando al contatto con la natura. Ma come ci si prende cura di questa pianta?

Come prendersi cura di un Pothos

Prendersi cura di questa pianta è davvero semplice, anche per coloro che non hanno il pollice verde. Bisogna solo rispettare alcuni piccoli accorgimenti per permettere al tuo Pothos di crescere rigoglioso e aiutarti nella quotidianità.

Il Pothos o “Ivi del Diavolo” è la pianta che sarà tua complice in casa – Ascoli.CityRumors.it

E’ importante posizionare il Pothos in un punto illuminato ma da luce indiretta, come un ripiano esposto a nord, perché la luce solare diretta potrebbe bruciare le sue foglie. Inoltre, prima di poter procedere con una nuova irrigazione con acqua a temperatura ambiente, è fondamentale aspettare che il terreno si sia completamente asciugato.

E’ essenziale anche procedere con una potatura regolare, che permette alla piantina di sviluppare nuove foglie, oltre a mantenere una dimensione contenuta. Non necessita di concimi particolari, anche se si può fertilizzare il Pothos con un concime liquido bilanciato in primavera ed estate. In inverno non è necessario, perché cresce più lentamente. E’ importante a questo punto controllare la piantina dall’eventuale infestazione da acari o cocciniglie.

Accogliere un Pothos nella tua abitazione non solo ti permetterà di avere una casa decorata in modo naturale ed accogliente, ma ti permetterà di dire addio agli elettrodomestici che controllano la qualità dell’aria, a prescindere se tu sia pratico con le piante o un neofita. Prova per credere, il tuo organismo ti ringrazierà.

Fonte: Ascoli Cityrumors

Other than a dehumidifier, to purify the air in your home you just need to place this plant: it's 'magic'

A plant with great purifying effects: here's what you must have in your home at all costs for more breathable air.

You will no longer need to buy a dehumidifier or purifier to breathe better air in your home. A plan will be enough, even a very aesthetically beautiful one, which will help you live better at home. Here's what it is.

It is a plant that does not take up much space, it fits in a small pot, but can grow enormously in length. This is why it is better to place it in a high point, to allow it to grow without obstacles. It has always been used as an ornamental plant, but in recent years more and more people are appreciating its properties.

We are talking about the Pothos, also called "Devil's Ivy", it is also capable of absorbing toxic substances including benzene (C6H6) and formaldehyde (CH2O). It adapts to any light condition, any location and is also easy to look after.

It's also an excellent ally for those who suffer from respiratory allergies, especially because it keeps humidity levels in the air low. It also allows you to create a relaxing and comfortable environment, bringing you back into contact with nature. But how do you take care of this plant?

How to Care for a Pothos

Taking care of this plant is really simple, even for those who don't have a green thumb. You just need to respect a few small precautions to allow your Pothos to grow lush and help you in everyday life.

It's important to place the Pothos in a spot that is illuminated but provides indirect light, such as a shelf facing north, because direct sunlight could burn its leaves. Furthermore, before proceeding with a new irrigation with water at room temperature, it is essential to wait until the soil has completely dried.

It's also essential to proceed with regular pruning, which allows the plant to develop new leaves, as well as maintaining a contained size. It does not require special fertilizers, although Pothos can be fertilized with a balanced liquid fertilizer in spring and summer. In winter it is not necessary, because it grows more slowly. At this point it is important to check the seedling for any infestation by mites or scale insects.

Welcoming a Pothos into your home will not only allow you to have a home decorated in a natural and welcoming way, but will allow you to say goodbye to appliances that control the quality of the air, regardless of whether you are familiar with plants or a novice. Try it for yourself, your body will thank you.

Source: Ascoli Cityrumors

Tieni queste piante in casa per purificare l’aria: ecco quali coltivare

https://www.travelglobe.it/tieni-queste-piante-in-casa-per-purificare-laria-ecco-quali-coltivare/

18/01/2024 di Vincenzo Galletta

Il ruolo delle nostre amate piante, anche quelle non da appartamento come gli alberi, oltre a quelle da tenere in casa è conosciuto da svariati secoli, in quanto è essenziale per trasformare l’anidride carbonica in ossigeno puro da respirare e più in grande questo importante ruolo è divenuto sempre più importante anche nella sensibilità corale. Ma anche nel nostro “piccolo” alcune piante risultano essere particolarmente importanti da avere in casa, e per purificare l’aria.

Non tutte infatti sono dotate delle medesime capacità di purificazione dell’aria, e diversi esperti botanici ne hanno evidenziate alcune in particolare.

E non si tratta di una forma di “vezzo” o quant’altro ma una questione che viene anche utilizzata nella sua conoscenza ad esempio per coloro che per condizioni lavorative sono costretti a lavorare lontano dal verde.

Quali sono le piante più efficaci per purificare l’aria infatti è qualcosa di assolutamente utile da capire: addirittura alcuni studi della NASA hanno selezionato alcune tipologie di verde da selezionare per le stazioni spaziali e per la vita nello spazio dove ovviamente si è lontani dal pianeta.

Quasi sempre anche le piante da appartamento che possono anche replicate sia con la semina ma anche con la tecnica della talea hanno enormi capacità di “purificazione” dell’aria a partire dalla tradizionale felce, che riesce a “ripulire” l’ossigeno da tracce di componenti sintetici come formaldeide e xilene. In questo senso la felce, che esiste in centinaia di tipologie maggiormente presenta foglie grandi e più riesce a regolarizzare l’umidità del luogo dove si trova.

Anche la tradizionale Dracena, conosciuta anche volgarmente come il tronchetto della felicità può rivelarsi eccellente per capacità anche in spazi ampi come possono esere quelli di un salotto, di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno ed anche fornire la capacità di eliminare il tricloroetilene che viene utilizzato per la pulizia, nei solventi, della casa specie per i metalli.

In tal senso anche il tradizionale ficus ha un ruolo importante, in quanto può essere impiegato per elimianare oltre il già menzionato tricloroetilene  anche il benzene, considerato un elemento da tempo potenzialmente cancerogeno.

Molto interessante anche la capacità di “purificazione” dell’aria della lingua di suocera, nome comune della pianta conosciuta in realtà come Dracaena trifasciata, dalle caratteristiche foglie che vanno verso l’alto: è in grado di eliminare facilmente le tipiche sostanze artificiali contenute nelle varie profumazioni ed è perfetta anche da mantenere in bagno visto che non ha bisogno di tantissima luce ma soprattutto di umidità.

Fonte: Travelglobe

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Keep these plants at home to purify the air: here's which ones to grow

The role of our beloved plants, even non-indoor plants such as trees, as well as those to be kept indoors, has been known for several centuries, as it is essential for transforming carbon dioxide into pure oxygen to breathe and, more importantly, this important role has also become increasingly important in choral sensitivity. But even in our "small" world, some plants are particularly important to have at home, and to purify the air.

In fact, not all of them have the same air purification capabilities, and several botanical experts have highlighted some of them in particular.

And it is not a form of "habit" or anything else but an issue that is also used in its knowledge, for example for those who, due to working conditions, are forced to work away from the greenery.

In fact, which plants are the most effective for purifying the air is something absolutely useful to understand: some NASA studies have even selected some types of greenery to select for space stations and for life in space where obviously we are far from the planet .

Almost always even house plants which can also be replicated both with sowing but also with the cutting technique have enormous "purification" capabilities of the air starting from the traditional fern, which manages to "clean" the oxygen from traces of synthetic components such as formaldehyde and xylene. In this sense, the fern, which exists in hundreds of types, has larger leaves and is more able to regulate the humidity of the place where it is found.

Even the traditional Dracena, also commonly known as the log of happiness, can prove to be excellent for its ability even in large spaces such as those of a living room, to transform carbon dioxide into oxygen and also provide the ability to eliminate the trichlorethylene which is used for cleaning the house, in solvents, especially for metals.

In this sense, the traditional ficus also has an important role, as it can be used to eliminate not only the aforementioned trichlorethylene but also benzene, which has long been considered a potentially carcinogenic element.

Also very interesting is the ability of "mother-in-law's tongue" to "purify" the air, the common name of the plant actually known as Dracaena trifasciata, with the characteristic leaves that go upwards: it is able to easily eliminate the typical artificial substances contained in various fragrances and is also perfect to keep in the bathroom since it doesn't need a lot of light but above all humidity.

Source: Travelglobe

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

AUMENTANO LE PISTE CICLABILI IN MOLTE CITTA’ DEL MONDO COME “ANTIDOTO” AL CORONAVIRUS

Laura De Rosa Pubblicato il 17 Maggio 2020

Aumentano le piste ciclabili in moltissime città del mondo come “antidoto” al coronavirus e al problema dell’inquinamento.

https://www.greenme.it/mobilita/bici/piste-ciclabili-antidoto-coronavirus/

L’emergenza coronavirus ha spinto molte persone, residenti in città particolarmente affollate, a preferire la bicicletta ai mezzi pubblici, considerati più a rischio, per raggiungere il posto di lavoro o semplicemente il supermercato. Ma questo aumento del ciclismo “per necessità” ha messo in luce la scarsità di piste ciclabili.

Tant’è che numerose città, durante il lockdown, sono corse ai ripari: basti pensare a Bogotà che, secondo quanto riporta la BBC, ha introdotto circa 80 Km di piste ciclabili temporanee proprio per incentivare gli spostamenti su due ruote e ha chiuso temporaneamente 117 km di strade per le auto al fine di facilitare il ciclismo e le passeggiate.

O a Città del Messico, che è intenzionata a quadruplicare le piste ciclabili, e a Parigi, che sta costruendo 650 chilometri di nuove piste ciclabili destinate a diventare permanenti. Il motivo? Incentivare le persone a preferire la bici alle auto, visto che i mezzi pubblici probabilmente verranno evitati per paura del contagio.

Anche a Budapest sono state aperte nuove piste ciclabili temporanee e l’intenzione è di mantenerle anche dopo l’emergenza.

Secondo l’articolo della BBC, “a marzo l’uso dei sistemi di bike sharing è aumentato di circa il 150% a Pechino e del 67% a New York, dove il ciclismo sulle strade principali è aumentato del 52%.”  Finanziamenti per piste ciclabili sono stati concessi ai governi della Nuova Zelanda e della Scozia, a Bruxelles si è deciso di trasformare l’intero nucleo cittadino in una zona prioritaria per ciclisti e pedoni, e in varie città come Brighton, Bogotá, Colonia, Vancouver e Sydney si è optato per la chiusura temporanea delle auto.

In Italia non siamo da meno, per fortuna: Roma ha approvato la costruzione di 150 chilometri di percorsi ciclabili temporanei e permanenti sulle strade principali della città e lungo altri percorsi chiave, a Milano sono in arrivo 23 km di nuove piste ciclabili, a Bologna si sta lavorando alla realizzazione della cosiddetta Bicipolitana, una metropolitana in bicicletta, a Torino ci saranno zone aperte solo alle bici e sono previsti, per la fase 2, gli incentivi per l’acquisto di bici e monopattini.

L’accademica statunitense Anne Lusk, sul British Medical Journal, ha sottolineato l’importanza delle infrastrutture ciclistiche, che rappresentano un vero e proprio investimento per il futuro del Pianeta, dell’economia e delle persone, anche dal punto di vista sanitario.

Preferire la bici all’auto è infatti un modo per contrastare l’inquinamento che tanti danni continua a fare, e che forse un ruolo chiave ce l’ha anche in materia coronavirus, come dimostrato da una ricerca di Harvard secondo la quale la letalità del COVID-19 aumenta dove l’aria è più inquinata.

Senza contare che camminare e andare in bicicletta sono considerate le modalità di spostamento più sicure per ridurre l’esposizione a COVID-19.

Insomma, la pandemia potrebbe essere l’occasione per cambiare rotta e iniziare, davvero, a privilegiare mezzi di trasporto più sostenibili come la bicicletta.

FONTI: BBC/Designing better cycling infrastructure – BMJ

Greenme

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

FRANCIA NEL CAOS: QUARTA NOTTE DI SCONTRI. LIONE E NANTERRE A FERRO E FUOCO: OLTRE 1300 ARRESTI

Salta la decisione sullo stato d’emergenza. Darmanin chiede lo stop a bus e tram dalle 21. Oggi pomeriggio i funerali di Nahel, che dovrebbero svolgersi in un clima di “discrezione”

Scontri in Francia, uno stabilimento danneggiato dopo una notte di saccheggi e disordini a Montreuil, vicino a Parigi
https://www.rainews.it/maratona/2023/07/francia-nel-caos-quarta-notte-di-scontri-lione-e-nanterre-a-ferro-e-fuoco-471-arresti-11c9d3ac-6b5d-43b9-a102-a6d256eb2d36.html

13:25 01 Luglio 2023

Iniziati a Nanterre i funerali del 17enne Nahel

Le esequie del 17enne Nahel M. sono iniziate questa mattina presso la camera ardente di Nanterre in un clima molto teso, alla presenza di tante persone accorse per rendere omaggio al ragazzo ucciso martedì, durante un posto di blocco, da un agente di polizia. Molte persone si sono radunate fuori dall’edificio per la cerimonia, che la famiglia ha voluto fosse il più intima possibile, lontano dalle telecamere.

“Pace all’anima sua, che sia fatta giustizia. Sono venuta a sostenere sua madre, aveva solo lui, poverina”, ha spiegato alla France Presse una donna di Nantes, che non ha voluto rivelare il suo nome, mentre lasciava la camera ardente. Il carro funebre ha lasciato l’impresa di pompe funebri intorno alle 12. Una cerimonia funebre è prevista nel primo pomeriggio alla moschea Ibn Badis di Nanterre. La sepoltura avverrà poi nel cimitero di Mont Valerien.

Appassionato di rap e motociclismo, Nahel è stato cresciuto da solo dalla madre a Nanterre e ha vissuto in un condominio nella tenuta Pablo-Picasso, ai piedi de La De’fense. Finita la scuola ha lavorato come fattorino e aveva avviato un “corso di inserimento” nell’associazione Ovale Citoyen https://ovalecitoyen.fr che accompagna i giovani attraverso lo sport

La sua uccisione ha scatenato disordini e violenze urbane in Francia, da quattro notti consecutive in preda al caos. Il poliziotto responsabile della sua morte, per il quale è stata disposta la custodia cautelare, ha invocato la legittima difesa.

Fonte: Rai News

Francia. La polizia uccide un ragazzo, scontri a Nanterre

di Redazione Contropiano

https://contropiano.org/news/malapolizia-news/2023/06/28/francia-la-polizia-uccide-un-ragazzo-scontri-a-nanterre-0161938

Lutto e rabbia. Nella tarda serata di martedì 27 giugno e per tutta la notte sono scoppiati incidenti tra gli abitanti di diversi quartieri di Nanterre e la polizia, a poche ore dalla morte di Naël M., colpito a bruciapelo da un poliziotto in motocicletta della Divisione Ordine Pubblico e Traffico della Prefettura di Polizia di Parigi quando si è rifiutato di obbedire.

Incendi di pallet, baracche da cantiere e veicoli dati alle fiamme nel quartiere Vieux-Pont, da cui proveniva la vittima, e venti persone arrestate: gli appelli alla calma del sindaco della città, Patrick Jarry, non sono bastati a evitare gli scoppi che erano prevedibili date le circostanze della morte del giovane, che sono stati ripresi dallo smartphone di un passante intorno alle 8.15 di martedì mattina nel quartiere della prefettura di Hauts-de-Seine.

Il filmato di cinquanta secondi, diventato virale sui social network, ha letteralmente spazzato via il linguaggio inizialmente usato dalle autorità, che parlavano di un veicolo che sfrecciava verso due agenti di polizia con l’intenzione di investirli.

Le immagini mostrano i due motociclisti della polizia appoggiati alla portiera del lato guida di una Mercedes AMG gialla. Nella colonna sonora, sovrapposta al frastuono del traffico, si sentono frammenti di un’accesa conversazione. “Ti spareranno in testa”, grida un poliziotto, con la pistola a pochi centimetri dal conducente del veicolo.

L’auto era appena ripartita e si muoveva ancora a passo di lumaca quando è partito un colpo. Colpita al cuore, la vittima ha perso il controllo del veicolo, che è andato a sbattere contro un cartello di Place Nelson-Mandela, a una cinquantina di metri di distanza. Il giovane è morto alcune decine di minuti dopo, nonostante il tentativo di rianimazione da parte dell’ambulanza. Un passeggero, anch’egli minorenne, è stato arrestato, mentre un terzo individuo, ancora latitante, era ancora attivamente ricercato martedì sera.

I fatti sono stati riferiti alla Procura di Nanterre, che ha aperto due inchieste: la prima per resistenza all’arresto e tentato omicidio nei confronti della polizia; la seconda, per omicidio volontario, nei confronti del poliziotto che ha usato l’arma. I tre avvocati che rappresentano la famiglia della vittima ritengono che questa decisione della Procura di Nanterre metta in dubbio l’imparzialità dell’inchiesta.

“Rifiutarsi di obbedire non dà la licenza di uccidere”.

In un comunicato stampa, hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro l’agente di polizia che ha sparato. “Non c’è dubbio che avesse intenzione di causare la morte”, hanno sottolineato, aggiungendo che “la denuncia riguarderà anche il suo collega per complicità in omicidio volontario”. È stata anche presentata una richiesta di trasferimento del caso ai tribunali. Inoltre”, sostiene uno degli avvocati, Yassine Bouzrou, “non solo la morte del giovane significa che il processo pubblico contro di lui è finito, ma dal momento in cui il video è stato rivelato, è chiaro che l’accusa di tentato omicidio non è più valida e che dovrebbe essere abbandonata”.

I due agenti in questione sono stati interrogati dall’Ispettorato nazionale di polizia prima che l’uomo armato venisse preso in custodia per spiegare come sia arrivato ad aprire il fuoco contro il giovane automobilista quando, come mostra il video, non c’era alcun rischio che venisse colpito o ferito dall’auto.

Riferendosi alle circostanze in cui sono intervenuti gli agenti di polizia, il prefetto della polizia di Parigi, Laurent Nuñez, ha spiegato a BFM-TV che i due agenti avevano “individuato un veicolo che aveva commesso una serie di infrazioni, che inizialmente hanno cercato di controllare. Questo veicolo non si è fermato (…), si è inizialmente rifiutato di rispettare le regole e poi è rimasto bloccato nel flusso del traffico, dove è stato fatto un tentativo di controllarlo a quel punto”.

Durante il question time del governo all’Assemblea nazionale, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, pur ribadendo il suo impegno per il “principio della presunzione di innocenza degli agenti di polizia”, ha definito le immagini pubblicate sui social network “estremamente scioccanti”. Tuttavia, non hanno indignato nessuno al di là della sinistra, per la maggior parte.

Olivier Faure, primo segretario del Partito socialista, ha twittato che “rifiutarsi di obbedire non dà licenza di uccidere”, mentre Clémentine Autain, deputata (La France insoumise) di Seine-Saint-Denis, ha condannato una “esecuzione sommaria”.

* Da Le Monde

28 Giugno 2023 – Ultima modifica: 28 Giugno 2023, ore 8:28

Fonte: Contropiano

“La notte sarà lunga”: la Francia in collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/29/la-notte-sara-lunga-la-francia-in-collera-0161963

L’uccisione da parte della polizia a Nanterre del giovane 17enne Nahel M. durante un normale controllo stradale delle ‘forze dell’ordine’ ha suscitato una vasta reazione che non sembra placarsi.

Un video divenuto subito virale – di cui è stata appurata l’autenticità dall’agenzia stampa AFP e dal quotidiano Le Monde ha radicalmente rovesciato la versione delle fonti poliziesche.

É stato lo stesso presidente Macron a definirlo un dramma “inesplicabile e non scusabile, cui hanno fatto eco parole simili del capo dell’esecutivo, Elisabeth Borne.

Macron ha ovviamente invitato alla calma finché venga fatta giustizia, ma gli animi non si sono affatto placati.

Per questo oggi è stata convocata una marche blanche alle 2 del pomeriggio, di fronte alla Prefettura a Nanterre, nel comune della periferia nord-occidentale della metropoli parigina, a poca distanza da dove è avvenuta l’uccisione. Ma numerose sono le iniziative di solidarietà che dal tardo pomeriggio di mercoledì – Lille, Nantes, Tolosa, per non citarne che alcune – si sono svolte in tutto l’Esagono.

É bene ricordare che l’Assemblea Nazionale – il Parlamento francese – ha osservato un “minuto di silenzio”  per la morte del giovane, nella giornata di mercoledì.

Contro le parole di Macron e Borne si sono scagliati i sindacati della polizia AllianceUnite SGP PoliceSinergie officiers e Alternative police-CFDT che hanno messo l’accento sulla «presunzione d’innocenza» di cui devono beneficiare i propri colleghi, ancora in stato di fermo, nonostante le immagini mostrino una vera e propria esecuzione del 17enne senza che possa essere riscontrabile alcun pericolo per gli agenti, come previsto dalle fattispecie previste per l’uso di armi da parte della polizia in quei contesti.

Le critiche indirizzate a Macron sono proprie sostanzialmente dalla leader del RN, Marine Le Pen, così come dei gollisti di LR, pronti a prendere la difesa a spada tratta delle forze dell’ordine.

La figlia del fondatore del Front Nationale – di cui RN è l’erede – ai microfoni di BFM-TV ha dichiarato: «la polizia non ha più, in un certo numero di quartieri, la minima autorità e questo mette delle vite in pericolo», affermando che il rifiuto di ottemperare agli ordini della polizia «mette delle vite dei poliziotti in pericolo, ma questo mette, lo si vede anche, le vite di altri in pericolo. Io sono per la presunzione di legittima difesa per le forze dell’ordine».

Di fatto si vorrebbe garantire l’impunità degli agenti anche in caso di una vera e propria esecuzione, come è accaduto mercoledì nella capitale francese.

Da quando la legge è stata cambiata – su pressione degli stessi sindacati di polizia, nel 2017 – le morti sono aumentate e l’anno scorso ben 13 persone sono state uccise dalla polizia mentre erano al volante.

Come scrive il sito d’informazione Mediapart: «in assenza di video incontestabili o di testimoni particolarmente convincenti, è la versione degli agenti che prevale».

Ma la coscienza della necessità del monitoraggio delle forze dell’ordine e la denuncia del loro operato è qualcosa che si è radicato nella coscienza di una parte importante del popolo francese, che ne ha fatto le spese dalle mobilitazioni contro la Lois Travaille in poi, come dimostrano il bellissimo film I Miserabili di Lady ly, il documentario del giornalista d’inchiesta David Dufresne, – The Monopoly of violence che mostra la brutalità durante il movimento dei Gilets Jaunes (2018-2020) – ed un numero piuttosto cospicuo di saggi purtroppo non tradotti in italiano.

Il nuovo articolo 435-1 del codice di sicurezza dà un’ampia discrezionalità agli agenti, prevedendo 5 circostanze in cui è legittimo ricorrere all’uso delle armi.

Le statistiche parlano di una impennata nel loro uso nell’anno dell’approvazione – 202 casi secondo quanto riporta il Ministro dell’Interno – per poi assestarsi ad un livello leggermente inferiore ma comunque in aumento rispetto all’approvazione della legge, senza che peraltro possa essere stabilita una correlazione diretta con l’aumento del “rifiuto” di ottemperare alle disposizioni poliziesche.

Come fa notare l’organo di informazione indipendente Basta – il solo che ha costituto un archivio consultabile di dati indipendenti – dall’approvazione della legge sono morte 26 persone nel tentativo di sfuggire ad un controllo, a differenza delle 17 uccise tra il 2002 ed il 2017.

Come sintetizza il ricercatore universitario Sebastian Roché, autore di differenti testi di studio sulla polizia: «il poliziotto può fare uso della sua arma per qualche problema… che non si è prodotto».

Questo in un contesto in cui il rilievo penale, e la relativa ammenda pecuniaria per il reato di “non ottemperanza”, si sono inasprite.

In pratica si è legittimato un uso preventivo delle armi abbastanza discrezionale che ha prodotto effetti deleteri in termini di aumento delle morti, mentre l’opera di lobbyng delle potenti associazioni di categoria cerca di garantire di fatto l’impunità.

Yassine Bouzrou, uno degli avvocati della famiglia Nahel, ha precisato al sito di informazione indipendente Brut che i suoi clienti hanno depositato una denuncia per «omicidio volontario» contro il poliziotto autore della sparatoria e per complicità contro il suo collega, ma anche per «falso in trascrizione in atti d’ufficio».

La prima versione, ripresa da alcuni media, evocava un inesistente tentativo di forzare il blocco degli agenti con l’intenzione di investirli, poi clamorosamente smentita dai filmati.

Sono molti i personaggi in vista dello sport e dello spettacolo, insieme alla sinistra radicale della NUPES che non si sono limitati ad esprimere il proprio cordoglio ed il proprio sostegno alla famiglia del giovane ucciso, ma hanno messo in discussione le narrazioni tossiche che si accompagnano spesso rispetto alle vittime di questi episodi.

Nomi conosciuti al grande pubblico anche italiano per i propri successi sportivi come Kylian Mbappé, capitano della squadra francese di calcio, o l’altro nazionale Jules Koundé, il rapper Niska o Medine, o Kameto, lo streamer da un milione di followers su Twitter, o l’attore Omar Sy.

Un segnale di come l’omertà di fronte a tali episodi non è la norma.

Lo stesso sindaco progressista di Nanterre, Patrick Jarry, spiega a Le Monde la rabbia che è esplosa già da martedì sera: «in alcuni quartieri, c’è un sentimento condiviso secondo cui non c’è la stessa giustizia per tutti, così come non c’è la stessa istruzione per tutti, lo stesso diritto al lavoro per tutti. É tutto questo che alimenta questa questa frustrazione che si è espressa durante la notte».

É questo che teme l’establishment politico francese.

29 Giugno 2023 – Ultima modifica: 29 Giugno 2023, ore 7:53

Fonte: Contropiano

Francia: le ragioni della collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/francia-le-ragioni-della-collera-0161980

“È il nostro modo di essere perché ci hanno levato tutto”. Non si placa la reazione popolare in seguito alla morte di Nahel M., il 17enne ucciso la mattina di martedì del 27 luglio a Nanterre, nella periferia parigina nord-occidentale, da un agente di polizia che gli ha sparato “a bruciapelo” durante un controllo poliziesco.

Il quotidiano Le Figaro ha rivelato che l’agente in questione – ora in detenzione provvisoria – era stato premiato più volte nella sua carriera, l’ultima delle quali (nel 2020) per il “coraggio” dimostrato durante le mobilitazioni dei Gilets Jaunes.

Il Ministro dell’Interno Darmanin ha mobilitato per la notte di giovedì ben 40 mila agenti su tutto il territorio nazionale, di cui 5 mila nella sola Parigi, senza che per ora sia stato dichiarato “l’etat d’urgence”, come richiesto a gran voce tra l’altro dal leader dei gollisti di LR, E. Ciotti, e dall’estrema destra di Zemmour.

Valérie Pécresse, presidente della regione di L’Ile-de-France (di fatto l’area metropolitana parigina) ha dichiarato che tram e bus resteranno fermi dalle 21 in poi, circolerà solo la RER e la metro.

Lo “stato d’urgenza” era stato promulgato nel 2005 quando a seguito della morte di due ragazzi – Zeyd Benna e Bouna Traoré – a Clichy-sous-Bois, sempre nell’hinterland della capitale francese, in seguito ad un inseguimento poliziesco due ragazzi rimasero folgorati per avere cercato riparo in un edificio adibito a centrale elettrica.

L’Esagono conobbe alcune settimane caratterizzate da continui scontri notturni nelle periferie di diverse città. Un avvenimento che ha marcato profondamente la coscienza degli abitanti dei quartieri popolari, facendo emergere una profonda spaccatura fin qui non ricomposta con l’establishment politico, e che dopo questi quasi due decenni hanno visto peggiorare le proprie condizioni di esistenza.

L’estensione e l’intensità della reazione, già dalla seconda notte, fanno presagire uno scenario simile a quello del 2005 ma in un contesto diverso, perché il corpo sociale (non solo gli abitanti delle periferie) ha conosciuto sulla propria pelle la repressione nei vari movimenti di lotta che si sono succeduti, almeno dalla fine del quinquennio Hollande in poi.

Il processo di delegittimazione del potere politico e delle istituzioni della V Repubblica è ulteriormente avanzato a causa delle blindature che le élites continentali “con passaporto francese” hanno imposto sulle scelte strategiche che hanno impattato ed impatteranno pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione.

Ossial’ennesima riforma pensionistica, il precedente stravolgimento dell’istituto dell’assurance-chomage, e recentemente, una legge che mina in profondità il diritto all’abitare stabilendo pene carcerarie e pecuniarie esorbitanti per chi occupa un alloggio, o semplicemente agita l’occupazione come strumento di lotta.

Non ultimo, siamo in un contesto di guerra sia sul fronte esterno – in Ucraina ma non solo – ed interno, dove i margini di azione politica vengono annichiliti a colpi di provvedimenti dell’esecutivo, come dimostra lo scioglimento del collettivo ecologista Les soulèvements de la terre.

L’inflazione in Francia, proprio come in Italia, continua a mordere ed è attorno alle due cifre, senza che a questa sia corrisposto un adeguamento salariale consistente. Una situazione in cui anche lo SMIC, ossia il salario minimo intercategoriale, se basso, può poco per ciò che riguarda l’impoverimento crescente di una fetta sempre più ampia della popolazione.

In questo contesto assistiamo sempre più ad una polarizzazione netta del campo politico con i conservatori che vanno a braccetto con l’estrema destra, influenzando in profondità la Macronie.

Il neofascismo prende sempre più spazio, banalmente comprandosi testate giornalistiche di rilievo, come è accaduto con il quotidiano sportivo Paris-Match e quello domenicale JDD, acquistati dal gruppo Vivendi, di proprietà di Bolloré, il magnate che ha di fatto creato il fenomeno Zemmour, cometa neo-fascista riapparsa nei cieli della politica dopo le elezioni presidenziali proprio in questi giorni.

Dall’altra parte abbiamo il campo della sinistra radicale della NUPES che, nonostante le differenze al suo interno ed alcuni posizionamenti “ballerini” sulla politica internazionale – comunque la LFI rimane per l’uscita dalla NATO della Francia e critica l’operato della UE “da sinistra” – sa da che parte stare.

Ovvero nei picchetti degli operai in sciopero sgomberati dalla polizia durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni, nei commissariati quando vengono arrestati gli attivisti nel corso delle manifestazioni, al fianco dei manifestanti anche quando si mettono in campo pratiche di azione diretta come per esempio a Sainte-Soline contro il progetto di megabacini idrici, nella marche blanche lanciata dalla madre del 17-enne ucciso, e così via, oltre a fare una opposizione reale e non di facciata in Parlamento.

E’ sempre bene ricordarlo: la Nupes ha fatto incetta di voti proprio nelle periferie, tra i giovani e la “knowledge class”, senza però riuscire ad arginare l’astensionismo.

Insomma niente a cui spartire sul piano della pratica, qui in Italia, con l’inconsistenza della dirigenza del M5S o dell’Alleanza Verdi-Sinistra.

Ciò che colpisce in questi giorni, nelle varie interviste uscite sui diversi organi di informazione che fanno “inchiesta” tra gli abitanti di Nanterre, è il livello di coscienza che fa emergere quanto la Francia in alcune suoi territori sia di fatto uno “Stato Fallito” non più in grado di assicurare un granché ai suoi cittadini.

Non esiste più un’istruzione di qualità, non più un impiego, non più un alloggio dignitoso, e nemmeno il diritto alla vita.

Una Francia dove l’ascensore sociale si è rotto da tempo e nessuno vuole o sa ripararlo, con un razzismo strutturale dove la linea del colore determina se in caso di mancato stop ad un controllo di polizia vieni “freddato” o meno, oltre ad essere ancora uno stigma come una “colonia interna”.

Una Francia dove sta riemergendo uno zoccolo duro reazionario – chiamiamolo “fascismo plurale” – non relegato ai margini della politica, ma che ha una sorta di potere di veto sulle scelte di fondo dell’esecutivo, comunque ascrivibili motu proprio ad una versione molto autoritaria del neo-liberalismo e del “neo-colonialismo interno”.

L’imponente marcia a Nanterre – più di 6mila secondo le sottostimate cifre ufficiali – svoltasi ieri pomeriggio precede una notte di sommosse che è l’unico linguaggio che rende visibili gli esclusi.

Come ha affermato un ragazzo di Nanterre intervistato da Mediapart: “I media hanno cercato di infangare la memoria di Nahel cercando di accollargli dei precedenti giudiziari inesistenti. Senza il video registrato da un testimone, la versione dei poliziotti che hanno affermato di essere stati investiti dall’auto, avrebbe avuto la meglio.

E così, perché delle celebrità come Omar Sy hanno preso la sua difesa, che è “buono” venire a farne il suo ritratto.

Voi cercate tutti di fare degli scoop su di un morto. Giocate ad avere un’ informazione che un altro non avrà. Forse si sarebbe dovuti venire a vedere prima a capire come è cresciuto, come lo Stato ci ha trattato nelle nostre cités, come la polizia ci maltratta“.

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 7:11

Fonte: Contropiano

La marcia bianca, poi la notte buia

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/la-marcia-bianca-poi-la-notte-buia-0161990

A corroborare il nostro articolo più analitico, vi proponiamo qui la cronaca delle battaglie notturne avvenute un po’ in tutta la Francia, secondo il “rispettabile” quotidiano Le Monde.

Ci si può comunque fare un’idea piuttosto precisa della situazione…

*****

A Nanterre, la notte è iniziata presto giovedì 29 giugno: alle 16.30, non appena si è conclusa la manifestazione in memoria di Nahel M., ucciso martedì da un poliziotto, un denso fumo ha oscurato il cielo in seguito ai primi incendi.

Alcuni speravano che la marcia bianca avrebbe calmato gli animi, ma non ha avuto alcun effetto calmante sulle decine e decine di giovani che hanno sottoposto la prefettura di Hauts-de-Seine a una terza notte di disordini e distruzioni, che si sono estesi alle province e hanno provocato centinaia di arresti in tutto il Paese.

Sono stati distrutti bancomat, demoliti ristoranti, farmacie e parrucchieri, messi a soqquadro i centri finanziari pubblici, saccheggiati tabaccai e distributori di benzina, per non parlare degli innumerevoli incendi di auto nel cuore del quartiere Pablo-Picasso, epicentro della rabbia di Nanterre, dove alle 3 del mattino si sono visti residenti in preda al panico che si affannavano a tirare fuori i loro veicoli da un parcheggio in cui un’auto incendiata minacciava di propagarsi ai vicini e agli alberi circostanti.

La stazione di polizia e la prefettura, particolarmente protette, sono state risparmiate.

I muri della città chiedevano “giustizia per Nahel”, “rivolta per Nahel”, “vendetta per Nahel”. Diversi residenti, sia giovani che anziani, hanno promesso una serata ancora più brutale della precedente.

“Ho passato la giornata a parlare con i giovani, ma sono fuori controllo”, ha spiegato Karim, 47 anni, che ha trascorso 35 anni in una delle torri delle nuvole nel quartiere Pablo-Picasso. “Lì hai innescato qualcosa che non si fermerà mai”.

All’inizio della giornata, lui e gli altri residenti del suo grattacielo erano stati invitati con un SMS dal condominio ad andare a dormire altrove, se possibile.

“Vedrete stasera, sarà un’altra cosa”.

Un agente del CRS di stanza in Place Nelson-Mandela, dove l’auto di Nahel ha terminato la sua corsa fatale, ha raccontato che due giovani che erano passati accanto alla sua compagnia al termine di una marcia bianca che si era conclusa con una certa, ma ancora misurata, agitazione, avevano detto loro: “Vedrete stasera, sarà qualcosa di diverso”.

“Siamo rimasti indietro durante la marcia bianca perché sappiamo che la vista di un’uniforme può creare tensione (…)”, spiega il poliziotto. “I nostri superiori ci hanno detto: ‘Nessun arresto durante la marcia’”, continua il CRS. Ma poi abbiamo visto che erano arrivati il BRI e il BRAV-M, quindi credo che stasera la festa sia finita e ci saranno degli arresti”.

Morte di Nahel M.: più di 400 persone arrestate dopo un’altra notte di violenze

Secondo gli ultimi dati disponibili, almeno 421 persone sono state arrestate dalla polizia in tutto il Paese, quasi tre volte la cifra registrata alla fine della notte di mercoledì, già segnata da scoppi di violenza. Di fronte alla conflagrazione e alle scene di disordini, scontri con la polizia, saccheggi diffusi e incendi dolosi, attacchi a edifici pubblici e stazioni di polizia, sembra che le misure adottate abbiano fatto il loro tempo.

Sempre a Nanterre, all’inizio della serata, un incendio in una filiale del Crédit Mutuel, vicino alla stazione RER di Nanterre-Préfecture, ha rischiato di avvolgere l’intero edificio, che alla fine è stato salvato dalle fiamme dai vigili del fuoco applauditi dalla folla.

“Clotilde, una donna di cinquant’anni che vive a Nanterre da dieci anni, ha commentato: “Ciò che è sorprendente è che questo non è nemmeno un quartiere a luci rosse! I rivoltosi hanno messo in atto il loro piano in modo scrupoloso, incendiando persino la leggendaria giostra del parco André-Malraux, su cui tutti i bambini del quartiere sono saliti”. Clotilde: “Hanno dato fuoco alla giostra del loro fratellino. È così triste.

La morte di Nahel M. a Nanterre vista dalla stampa estera: “l’incendio”, “la fiammata”, “la vergogna”…

Nanterre è rimasta calma per qualche ora, prima di essere svegliata bruscamente intorno alle 23.30 da due grandi esplosioni, l’inizio delle vere e proprie ostilità.

Granate lacrimogene sparate in risposta a mortai pirotecnici; movimenti ultrarapidi su scooter e motorini, il ronzio degli elicotteri; ingressi dei complessi residenziali sbarrati a tutti i visitatori, compresi i giornalisti, da individui con sagome dissuasive; barricate in fiamme che apparivano a caso da una prospettiva e, a volte, polizia che si ritirava da alcune strade sotto l’assalto dei giovani.

A Nanterre, per proteggere la direzione regionale di pubblica sicurezza dell’Hauts-de-Seine ed effettuare arresti in una situazione di forte degrado, la Brigade de recherche et d’intervention (BRI) ha dispiegato le sue forze, preceduta da imponenti veicoli blindati utilizzati in particolare per sgomberare le barricate.

In altre zone del Paese, come Lille e Marsiglia, immagini identiche di poliziotti del RAID incappucciati e incappucciati, a piedi o su 4×4 nere, hanno dato ieri sera l’impressione di un Paese in preda alla guerriglia urbana.

Alcuni saccheggiatori hanno utilizzato carrelli della spesa

Ancor più del giorno precedente, i disordini si sono estesi a diverse città della regione parigina e delle province, in un’identica ondata di violenza e saccheggi.

A Noisy-le-Sec (Seine-Saint-Denis) è stato saccheggiato il supermercato Carrefour, con la sua tenda di ferro e la vetrina sfondata. Il bottino: prodotti di uso quotidiano, alimentari, carta igienica e prodotti per la casa.

Più lungimiranti di altri, alcuni dei saccheggiatori si sono muniti di carrelli della spesa, approfittando dell’oscurità in cui era piombata la città per dileguarsi, con tutta l’illuminazione stradale spenta e la polizia e i vigili del fuoco in gran parte invisibili.

Morte di Nahel M.: “Ora siamo in una situazione in cui prevale l’equilibrio dei poteri e lo spettro del 2005 incombe”.

In confronto, la zona industriale di Bas-Pays, a Romainville, è apparsa stranamente calma: “Abbiamo più persone di ieri, quindi è un po’ più tranquillo.

Ma c’erano ancora sessanta persone che volevano attaccare la stazione di polizia municipale verso le due del mattino”, ha osservato il sindaco, François Dechy. Ma all’altro capo della RN3, le forze di polizia hanno bloccato il quartiere Hoche di Pantin mentre una compagnia di CRS entrava in azione. Interrogato, un poliziotto ha descritto la situazione come “più tesa” del giorno precedente e si è chiesto “quando finirà tutto questo”.

In molte altre località, mentre la serata era stata relativamente tranquilla, gli eventi hanno preso una piega improvvisa a partire dalla mezzanotte, come a Saint-Denis, dove sono stati incendiati alcuni cassonetti della spazzatura sulla strada e sono state rotte delle bottiglie nel quartiere della Basilique, seguiti da incendi di auto in tutta la città, in particolare nel complesso residenziale Joliot-Curie.

Durante la notte si sono verificati diversi scontri con la polizia e sui social network circolano immagini di un arresto particolarmente violento. Come a Noisy-le-Sec, il negozio Carrefour del centro è stato saccheggiato, con la sezione biciclette presa di mira in particolare dai giovani.

Almeno altre due scene di rapina sono avvenute nel centro di Parigi, nel quartiere Les Halles, dove è stato saccheggiato in particolare il negozio Nike, e il negozio Zara in rue de Rivoli (1° arrondissement), vicino a place du Châtelet.

Nella stessa zona sono stati incendiati anche alcuni cassonetti, nonostante la massiccia presenza della polizia, che è stata bersagliata con proiettili. Il CRS ha risposto con gas lacrimogeni, ma la situazione non è sfociata in uno scontro diretto. A pochi metri di distanza, in questo quartiere molto vivace e costellato di bar, turisti e parigini continuavano a sorseggiare i loro drink.

Incendi  a Roubaix e Tourcoing, roccaforte di Gérald Darmanin

Una parte del quartiere 3000 di Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), una città duramente colpita dalla violenza urbana nelle due notti successive alla morte di Nahel, è stata immersa nel buio dai rivoltosi. In rue Delacroix, un’arteria principale che attraversa il quartiere residenziale, alcuni veicoli sono stati posti di traverso sulla strada e poi incendiati.

A mezzanotte, più di cinquanta giovani incappucciati hanno iniziato a bloccare la strada con delle barricate e poi si sono aggirati in questa zona del quartiere, causando ingenti danni. Il giorno prima, un camion era stato rubato e poi dato alle fiamme. Il giorno prima, un autobus era stato dirottato e portato nel complesso residenziale per essere bruciato.

Morte di Nahel M.: a Montreuil, la seconda notte di violenza si è concentrata sul centro della città e sui suoi negozi.

Infine, nel centro di Montreuil (Seine-Saint-Denis), dove centinaia di giovani si sono radunati intorno al municipio, si è ripetuto lo stesso scenario delle altre città: sono stati incendiati i cassonetti della spazzatura e sono state poste barriere sulle strade per impedire il passaggio delle auto. Barriere metalliche sono state erette anche all’inizio dei viali principali che portano al municipio.

A ondate e a gruppi, centinaia di persone, alcune incappucciate, mascherate o con bastoni, hanno cercato di convergere verso la stazione di polizia, accendendo fuochi.

Nel nord del Paese, dove sono scoppiati gravi disordini durante la seconda notte di sommosse, ci sono stati numerosi tafferugli a Roubaix e a Tourcoing, roccaforte familiare ed elettorale del ministro dell’Interno Gérald Darmanin.

Con cassonetti strappati e rovesciati in mezzo alla strada e alcuni dati alle fiamme, un gruppo di circa cinquanta persone ha scatenato il caos nel quartiere di Phalempins, avvicinandosi gradualmente al centro della città mentre un elicottero della Gendarmeria sorvolava la città, teatro di sporadici scontri tra rivoltosi e polizia.

Nella vicina Roubaix, la stessa tensione è stata palpabile non appena è scesa la notte. Il quartiere di Epeule è stato teatro di scontri intorno al teatro Colisée, protetto dalla polizia che sparava mortai a salve.

Nel quartiere Pile, il centro sociale è stato avvolto dalle fiamme e sono state erette barricate, poi incendiate, nella zona dell’Alma, che aveva già vissuto una notte molto movimentata il giorno precedente.

Diversi edifici sono stati incendiati, in particolare nella zona della stazione dove, secondo i testimoni, una trentina di rivoltosi hanno saccheggiato il minimarket Proxy al piano terra dell’hotel B & B prima di darlo alle fiamme. Del negozio non rimane nulla.

Kamel, un residente della zona, ha raccontato che “i vigili del fuoco hanno impiegato molto tempo ad arrivare”. Va detto che i vigili del fuoco sono totalmente sovraccarichi a Roubaix. “Hanno smesso di rispondere al telefono”, hanno detto alcuni residenti. Non ci sono state vittime nell’hotel.

A soli 200 metri di distanza, all’ingresso del quartiere Alma, un enorme edificio industriale ex Redoute, la cui facciata è crollata in un incendio, ha distrutto tutto. Da un anno e mezzo ospitava Prochèque, una società del gruppo Tessi che fornisce servizi a grandi aziende regionali. Vi lavoravano circa 500 persone.

A Tolosa, i temporali interrompono gli scontri

A Tolosa, i temporali che si sono abbattuti sulla città intorno alle 22.00 hanno certamente interrotto una notte che si preannunciava molto calda. Alle 20.30, nel quartiere Mirail della Reynerie, sono scoppiati violenti scontri tra la polizia e un centinaio di giovani in Place Abbal, cuore del quartiere.

I colpi di mortaio e i gas lacrimogeni sono proseguiti per oltre un’ora, mentre piccoli gruppi di giovani si formavano nel labirinto di edifici. Contemporaneamente, a poca distanza, la stazione di polizia locale di Bellefontaine è stata attaccata con pietre, bottiglie e fuochi d’artificio, mentre auto e mobili hanno iniziato a bruciare.

Altri quartieri sono andati in fiamme nello stesso momento: a Empalot e Les Izards, nel nord della città, gli scontri sono iniziati prima che scoppiasse la tempesta.

La metropolitana che serviva i quartieri popolari è stata interrotta alle 21.30. Intorno alle 23, la prefettura ha dichiarato che “la violenza urbana è stata contenuta” nei quartieri interessati, grazie soprattutto “al supporto del RAID e del GIGN, che hanno effettuato undici arresti”.

La sezione locale dell’unità di polizia d’élite è stata coinvolta anche a Marsiglia, dove circa 400 persone, per la maggior parte giovani o addirittura giovanissimi, si sono radunate davanti alla prefettura prima di passeggiare selvaggiamente per il centro della città in modo altamente disorganizzato.

Il prefetto ha messo in campo una grande forza, comprese diverse unità mobili, per disperderli. La polizia ha sparato e un agente è stato ferito e portato in ospedale. Cinquantasei persone sono state arrestate.

“Non bruciate le auto”

La tensione non si è placata, invece, nella zona di Lione, dove la situazione è esplosa poco dopo le 22 nel quartiere Mas-du-Taureau di Vaulx-en-Velin. Per alcuni lunghi minuti, i mortai hanno esploso fuochi d’artificio davanti alla biblioteca multimediale Léonard-de-Vinci.

“È la guerra!” ha gridato un giovane con il velo. “Non bruciate le auto”, ha gridato un altro, per dissuadere i gruppi dal prendere di mira i veicoli dei residenti.

Dalle loro finestre, gli abitanti della zona hanno assistito agli scontri con la polizia intorno alla piazza centrale di questo quartiere emblematico dei quartieri residenziali di Lione, dove è stata inviata una colonna del RAID, dotata di un veicolo blindato.

Sono stati lanciati proiettili e sparati mortai contro gas lacrimogeni e granate sonore: scene di disordini estremamente violente e pericolose. Un giovane del posto è stato ferito e portato in un’ambulanza dei vigili del fuoco sotto la protezione della polizia. Il temporale e le forti piogge sembrano aver calmato le ostilità a Vaulx-en-Velin, mentre altre forme di violenza si sono diffuse alla periferia di Lione.

Gruppi di rivoltosi mobili hanno appiccato incendi e causato danni a Bron, Saint-Priest, Villeurbanne e persino nel 3° arrondissement di Lione, dove un autobus è stato distrutto dalle fiamme in avenue George-Pompidou, non lontano dalla stazione di Part-Dieu.

Intorno alla sua carcassa fumante, i residenti della zona hanno filmato i danni. I video degli incendi appiccati a due tram, a Vénissieux e a Saint-Priest, sono circolati a rotta di collo. Poco distante, in rue de la Gaîté, sono state incendiate due auto e un’esposizione immobiliare, tra il ginnasio e il collegio Bellecombe. La prefettura ha annunciato sette arresti nella notte.

Morte di Nahel M.: il governo resiste alle richieste di stato di emergenza

Le autorità si aspettano una violenza “diffusa” nelle “prossime notti”, secondo una nota dell’intelligence citata da una fonte della polizia. La nota, trapelata da diversi media, è datata giovedì, il giorno dopo una seconda notte di disordini in molte città. Si parla di “prossime notti” che “vedranno la violenza urbana con la tendenza a diventare diffusa” e di “azioni mirate alle forze dell’ordine e ai simboli dello Stato o dell’autorità pubblica”.

Henri Seckel, Franck Johannès, Philippe Gagnebet (Tolosa, corrispondente), Florence Traullé (Lille, corrispondente), Richard Schittly (Lione, corrispondente), Rémi Barroux, Gilles Rof (Marsiglia, corrispondente), Laurent Telo, Luc Bronner e Antoine Albertini

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 9:06

Fonte: Contropiano

“La morte di Nahel è la scintilla”: i motivi della rabbia

di Jade Bourgery – Caroline Coq-Chodorge – Lucie Delaporte – Mathilde Goanec – Pauline Graulle – Cécile Hautefeuille – Dan Israel

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/01/la-morte-di-nahel-e-la-scintilla-motivi-della-rabbia-0161993

Ultim’ora. Il quadro dei disordini notturni ricostruito dal quotidiano Le Monde.

Aggiornamento delle 5 del mattino

Nuove scene di saccheggio e violenza sporadica hanno scosso diverse città francesi, tra cui Lione, Grenoble, Saint-Etienne e Marsiglia, nella notte tra venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, ma sono state segnate da una violenza di “intensità molto minore” rispetto alle precedenti, secondo il Ministero dell’Interno, quattro giorni dopo la morte di Nahel, ucciso da colpi di pistola della polizia durante un controllo stradale a Nanterre.

In visita a Mantes-la-Jolie (Yvelines), Gérald Darmanin ha annunciato intorno alle 2:30 del mattino che 471 persone sono state arrestate in tutto il Paese, tra cui 120 a Parigi, secondo quanto comunicato dalla Préfecture de police alle 2 del mattino.

Intervistato da BFM-TV, il ministro dell’Interno ha dichiarato che “sarà la Repubblica a vincere, non i rivoltosi“, denunciando “violenze inaccettabili a Lione e Marsiglia“.

In un lungo messaggio rilanciato su Twitter dal capitano dei Les Bleus Kylian Mbappé, i giocatori della squadra di calcio francese hanno invitato a “placarsi” di fronte a quello che hanno definito “un vero e proprio processo di autodistruzione“.

La violenza non risolve nulla, soprattutto quando si rivolge inevitabilmente e inesorabilmente contro coloro che la esprimono, le loro famiglie, i loro cari e i loro vicini“, hanno sottolineato, esprimendo al contempo il loro “shock per la morte brutale di Nahel“.

All’inizio di venerdì, diversi centri commerciali nella regione di Parigi sono stati vandalizzati, con diversi negozi danneggiati e saccheggiati. Tra gli obiettivi c’erano Rosny 2, in Seine-Saint-Denis, e Créteil Soleil, in Val-de-Marne. Negozi sono stati attaccati anche nel centro di Strasburgo.

Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva annunciato nel pomeriggio, al termine di un secondo comitato di crisi interministeriale in due giorni, la mobilitazione “eccezionale” di 45.000 poliziotti e gendarmi e di unità d’élite come il GIGN.

Emmanuel Macron ha invitato “tutti i genitori ad assumersi le proprie responsabilità” venerdì pomeriggio al termine della riunione di crisi del governo. “Non è compito della Repubblica sostituirsi a loro“, ha dichiarato, dopo aver condannato “con la massima fermezza tutti coloro che sfruttano questa situazione e questo momento per cercare di creare disordine e attaccare le nostre istituzioni“.

In una circolare diramata venerdì, il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, ha definito la risposta penale “rapida, ferma e sistematica” che vorrebbe fosse applicata agli autori della violenza urbana, compresi i minori e i loro genitori.

Il Ministero dell’Interno ha ordinato ai prefetti di sospendere i servizi di autobus e tram in tutto il Paese ogni sera a partire dalle 21.00, al fine di limitare la diffusione dei disordini, che stanno prendendo di mira anche le infrastrutture di trasporto.

Alle 23.40 circa di giovedì, un abitante di Cayenne, nella Guyana francese, è morto dopo essere stato colpito da un proiettile vagante mentre si trovava sul balcone al piano terra del suo palazzo, hanno osservato sul posto due giornalisti dell’emittente televisiva Guyane La Première.

Questa informazione è stata confermata a Le Monde da una fonte della polizia. Secondo il direttore territoriale della polizia nazionale, il colpo è stato sparato “indiscutibilmente” dai rivoltosi.

Il sindaco di Nanterre, Patrick Jarry, ha confermato che i funerali di Nahel M. si terranno sabato. In una breve dichiarazione alla stampa al termine del Consiglio interministeriale sulle città, il sindaco ha sottolineato “l’urgente necessità di trovare le parole per spezzare il ciclo della violenza“.

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Dal dispaccio dell’Agenzia  Agi.

Sporadiche violenze e saccheggi hanno colpito diverse città in tutta la Francia nella quarta notte di proteste dopo l’uccisione da parte della polizia di un adolescente.

Nonostante la presenza della sicurezza, venerdì notte sono avvenuti saccheggi nelle città di Lione, Marsiglia e Grenoble, con bande di rivoltosi spesso incappucciati che hanno saccheggiato i negozi

I manifestanti hanno anche dato fuoco ad auto e bidoni della spazzatura. Ma durante una visita a Mantes-la-Jolie, a ovest di Parigi, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha dichiarato sabato mattina presto che la violenza della notte è stata “di intensità molto minore”, con 471 arresti a livello nazionale e sacche di tensione a Marsiglia e Lione in particolare.

Darmanin aveva annunciato una mobilitazione “eccezionale” di polizia e gendarmi per evitare una quarta notte consecutiva di disordini per la morte di Nahel, che sarà sepolto sabato nel sobborgo parigino di Nanterre dove viveva ed è stato ucciso.

Gli avvocati della famiglia hanno chiesto ai giornalisti di stare alla larga, dicendo che era “un giorno di riflessione” per i parenti di Nahel.

Il presidente francese è pronto ad adattare il dispositivo di mantenimento dell’ordine “senza tabù” (di fatto: “senza limiti nell’esercizio delle violenza“) e ha fatto appello ai genitori perché “tengano i figli a casa“. Dispiegati 45mila agenti in tutto il territorio nazionale. Uno armamentario da guerra civile che fa a cazzotti con la pretesa di rappresentare un esempio di democrazia liberale…

Macron ha parlato al termine dell’unità di crisi interministeriale. “In questo contesto, chiediamo a tutti i genitori di assumersi la responsabilità: il contesto che stiamo vivendo è frutto di gruppi organizzati e attrezzati ma anche di tanti giovani. Un terzo degli arrestati sono giovani o molto giovani“, ha insistito il capo dello Stato.

È responsabilità dei genitori tenerli a casa. Faccio appello al senso di responsabilità delle famiglie“. Ammettendo così, implicitamente, di governare uno Stato assassino che è un pericolo per i giovani.

Le piattaforme e le reti svolgono ruoli molto importanti“, ha aggiunto, citando TikTok e Snapchat. “Saranno fatte richieste per avere l’identità di coloro che usano i social network per chiamare al disordine“. “Prenderemo diverse misure nelle prossime ore“, ha detto.

In pratica, si avvia una schedatura di massa su centinaia di migliaia di persone pretendendo che le piattaforme consegnino i dati in loro possesso.

L’introduzione dello stato di emergenza e del coprifuoco è stata richiesta da diversi responsabili politici dopo la terza notte di violenze che ha portato a centinaia di arresti, danni a edifici istituzionali e feriti fra le forze dell’ordine.

È morto un giovane, nel pomeriggio di ieri, che nella notte – secondo la polizia –  era caduto dal tetto di un negozio a Petit-Quevilly (Seine-Maritime), a margine dei disordini seguiti alla morte di Nahel. Lo hanno riferito fonti della polizia.

Il giovane, che aveva circa vent’anni, è morto cadendo dal tetto di un supermercato “nel corso di un saccheggio“, ha riferito una fonte della polizia. L’ufficio del procuratore di Rouen ha invece chiarito che il supermercato non era stato teatro “di un attacco da parte dei contestatori“. Come si vede, la polizia continua a mentire come “regola di servizio”…

Intanto l’agente che ha sparato a Nahel – figlio unico di madre single, un’educazione scolastica caotica, una vita senza aver mai conosciuto il padre – si è scusato con la famiglia: è stato accusato di omicidio volontario e il suo avvocato ha raccontato che è “devastato”.

Una mano pietosa ha lasciato un biglietto struggente sul luogo dove il ragazzino è stato ucciso: “Pace a Nahel, che la terra ti sia lieve“. 

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Quelli che seguono sono alcuni articoli apparsi su Mediapart, decisamente più addentro ai movimenti di questi giorni.

Scene degne di un film dove non ci sono “niente più regole, niente più leggi”, un supermercato saccheggiato, una stazione di polizia attaccata a mezzanotte da una cinquantina di rivoltosi, auto incendiate, giovani che si scatenano in una terra senza poliziotti…

La notte da mercoledì 28 giugno a giovedì 29 giugno a Trappes (Yvelines), come ha vissuto – e raccontato – Ali Rabeh, il sindaco (Generation s) del paese, è stato terribile.

«E alla fine ce la stiamo cavando abbastanza bene, perché nessuna attrezzatura pubblica comunale è stata attaccata», sussurra l’assessore comunale. Ricorderà a lungo lo sguardo “determinato” di questi giovani incappucciati, umiliati quotidianamente dalla polizia, oggi traboccanti di rabbia.

Ma anche quella degli abitanti, entrambi traumatizzati dall’assassinio di Nahel, da parte di un poliziotto il 27 giugno a Nanterre, e “disgustati” per aver visto i colpi di mortaio radere al suolo le loro finestre.

All’altro capo della periferia parigina, a Seine-Saint-Denis, l’Île-Saint-Denis non è stata risparmiata: il suo municipio è stato bruciato nella stessa notte. “Da allora, è stata una cellula di crisi dopo l’altra”, descrive Marie Anquez, la prima deputata della città.

I primi tafferugli sono avvenuti poco dopo la mezzanotte, mentre gli eletti si trovavano nelle aule del consiglio comunale. Bidoni della spazzatura bruciati sul ponte che collega la cittadina (situata su un’isola della Senna) a Saint-Denis, petardi, colpi di mortaio. “Un residente ha urlato contro i giovani, poi è arrivata la polizia, finalmente la situazione s’è calmata.»

Tre ore dopo, il municipio ha preso fuoco. La polizia ha trovato bombolette di azoto sulla scena in mattinata. “Tutto il pianterreno è andato a fuoco, tutto il nostro sportello per il pubblico: è il servizio per le nascite, le morti, per le permanenze nei campi estivi… È la vita locale di ogni abitante che è andato all’inferno. Fumo, fa molto effetto, “dice l’eletto.

Prudente sulle motivazioni dei piromani, Marie Anquez descrive sia i tanti segni di sostegno da parte degli abitanti dopo l’incendio sia la loro rabbia, “giustamente”, dopo la morte del giovane di Nanterre. “

Questo dolore, le persone qui lo condividono. Non sono solo i giovani che si perdono, sono tutti quelli che sono preoccupati per un sistema che è diventato fallimentare! Nell’Île-Saint-Denis, siamo in battaglia contro lo Stato dopo l’adozione di un desiderio nel consiglio municipale contro la violenza della polizia, abbiamo anche attaccato lo Stato per violazione dell’uguaglianza territoriale sui servizi pubblici.»

A Seine-Saint-Denis, venti città sono state afflitte da una notte agitata. “C’è stata molta violenza, danni alle strutture pubbliche, autobus bruciati, negozi saccheggiati”, testimonia il presidente del consiglio dipartimentale, il socialista Stéphane Troussel, che descrive “scene di guerriglia urbana, con piccoli gruppi molto mobili“.

È iniziato più velocemente e più forte che nel 2005”, quando i quartieri popolari della Francia erano stati attraversati da rivolte urbane, che avevano portato al decreto dello stato di emergenza, dopo la morte a Clichy-sous-Bois di due adolescenti, Zyed Benna e Bouna Traoré, folgorato durante un inseguimento con la polizia.

A Romainville, il municipio è stato “lapidato tra le 2 e le 3 del mattino, le finestre sono state rotte”, dice Flavien Kaid, capo dello staff del sindaco François Dechy, al termine di una riunione di crisi. Dentro c’erano “il sindaco, i deputati, il direttore generale dei servizi e la polizia municipale”.

A Bagnolet è stato il commissariato – in realtà una semplice dependance del commissariato di Lilas – ad essere parzialmente bruciato. Secondo una fonte locale, le due società CRS mobilitate per l’intera Seine-Saint-Denis erano state occupate molto presto a Bobigny, prefettura del dipartimento.

Ma questo dipartimento emblematico è ben lungi dall’essere l’unico ad essere stato colpito dalla violenza. “La particolarità di questa volta è che i quartieri a bassa tensione sono intervenuti, come a Sceaux e Clamart [Hauts-de-Seine] o Nandy [Seine-et-Marne]”, osserva Philippe Rio, sindaco comunista di Grigny ( Hauts-de-Seine), preoccupato per questo insolito contagio.

Territori abbandonati

Perché gli edifici pubblici vengono presi di mira in questo modo? In che modo i funzionari sul campo interpretano la violenza che attraversa la loro comune? Per Flavien Kaid, gli autori di queste violenze vogliono “attirare la polizia, andare allo scontro”: “Cercano vendetta. Il funzionario comunale chiama in causa “decisioni politiche nazionali”, di fronte alle quali “ci troviamo in prima linea mentre cerchiamo di agire per contrastarle”. “La morte di Nahel è l’ultima goccia”, dice.

A Tourcoing (Nord), Sourida Delaval-Hammoudi, direttrice dell’AAPI, associazione per l’animazione di quartiere e l’integrazione professionale, usa quasi la stessa parola: “Abbiamo avvertito a lungo, abbiamo detto che stava per esplodere, Nahel è la scintilla. »

“Qui, abbiamo richieste locali”, dice. Ma l’elenco che stila riguarda in realtà un lungo elenco di territori che si sentono trascurati: “La mancanza di attrezzature, di occupazione, l’impressione di non essere riconosciuta come cittadina. E poi ci sono tutti i controlli imposti ai giovani, le multe della polizia che non basterà un lavoro per rimborsare…”

Parte della notte, poi tutta la mattinata, in giro per la sua città per capire e misurare l’entità dei danni, il sindaco ambientalista di Colombes (Hauts-de-Seine), Patrick Chaimovitch, è visibilmente stanco. E commosso. Il suo comune è stato molto colpito dagli eventi della notte. L’assessore comunale descrive una salita al potere dopo i primi scontri di mercoledì sera.

“Abbiamo visto tanti giovani, giovanissimi, 14, 17 anni, alcuni un po’ alcolizzati, che bruciavano tutto quello che capitava sotto mano. E il saccheggio, abbiamo avuto difficoltà a seguire quello che stava succedendo.»

Da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

Patrick Chaimovitch, sindaco di Colombes

Gli eventi, “eccezionali” per la loro intensità in questa città operaia, avevano chiaramente Nanterre “come detonatore”, ha detto. “Ma da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

“Precarietà, condizioni abitative precarie, “la vita è concretamente sempre più difficile”, spiega l’eletto. Lo Stato è “presente”, ammette, ma servirebbero “miliardi” in più per risolvere la situazione in una città come Colombes.

A Grigny, il sindaco Philippe Rio teme i giorni successivi, soprattutto perché condivide l’osservazione: “Siamo tutti molto mobilitati, siamo tornati alla modalità 2005. Ma dal 2005 le cose sono peggiorate: sono apparsi i social network, le popolazioni si sono impoveriti, il rapporto con lo Stato si è deteriorato…

Senza contare che con l’aumento delle rette al Grande Borne quest’anno la gente dovrà pagare una tredicesima mensilità che non può permettersi. Nel comune, metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Scrittore, regista, fine conoscitore dei quartieri popolari in cui vive e lavora, Mehdi Lallaoui riferisce che nella sua città di Argenteuil molte famiglie cercano di temperare i giovani più bellicosi.

Ci dicono che quello che sta accadendo è autodifesa, perché non hanno diritto ai media, né alla rappresentanza politica, né all’ascolto, né al rispetto. Spieghiamo loro che ciò che stanno bruciando dipende da noi, che i signori e le signore al potere, stanno al caldo, nei loro bei quartieri, nelle loro scuole private. Ma fanno fatica a sentirlo.»

Mehdi Lallaoui riconosce il carattere “insopportabile” del ripetersi di eventi che colpiscono i giovani dei quartieri. “È una morte, una di troppo”, insiste.

Vedo giovani che attaccano se stessi. Sembra autolesionismo”, aggiunge Nourdine Bara, autrice di romanzi e opere teatrali. Vivendo nel quartiere popolare di La Paillade, a nord di Montpellier, organizza da quindici anni agorà ed eventi, per favorire lo scambio attraverso la cultura.

L’artista sviluppa un’idea paradossale: “Di fronte a questa gioventù nasce un’idea: sarebbe nichilista, distaccata da ogni progetto sociale. Tuttavia, ciò che vedo nel caos e nella furia è proprio l’espressione di un rifiuto della violenza, controintuitivamente. Attraverso questa violenza, la gioventù rifiuta la violenza più devastante: quella del disprezzo e dell’indifferenza

Insiste: “Ciò che ci manca gravemente sono precedenti che ci ricordino che giustizia opera nel nostro Paese” rispetto alla violenza della polizia.

Mehdi Lallaoui dice la stessa cosa. “Questi crimini vanno avanti da quarant’anni e le condanne per chi li commette sono ancora inferiori a quelle che dovrebbero essere“.

Cita la storia di Foued, detenuto ingiustamente nell’affare Viry-Châtillon, e per il quale lo Stato fa il pignolo con indennità compensative. “Tutto questo si sa, se ne discute nei quartieri, la gente è indignata per quella che percepisce come una società a due velocità.»

Riformare la politica della città

Anche intorno a Lione la notte era dura. Incendi e danni hanno avuto luogo a Vénissieux, Villeurbanne, Décines e Vaulx-en-Velin, l’epicentro delle rivolte urbane del 1990. A Décines, anche il municipio è stato gravemente danneggiato da un incendio.

A Villeurbanne, “l’evento più grave è stato l’incendio in un appartamento di rue Balzac, provocato da colpi di mortaio [giochi d’artificio]”, riferisce il sindaco Cédric Van Styvendael.

Abbiamo dovuto trasferire urgentemente dodici famiglie. Grazie alla solidarietà degli abitanti, che in particolare hanno contribuito a far evacuare una persona con disabilità, si è evitata una tragedia”, confida sollevato il sindaco. Qui, tutti hanno in mente l’incendio che ha causato la morte di dieci persone, tra cui quattro bambini, a Vaulx-en-Velin a dicembre.

Come molti eletti locali, il vicepresidente della metropoli di Lione è infastidito dal ritardo nella firma con lo Stato di “contratti di città”, che dovrebbero consentire la distribuzione di mezzi finanziari.

Per Renaud Payre, vicepresidente della metropoli di Lione, responsabile delle politiche cittadine, “la violenza che si esprime oggi è il risultato di un indebolimento dei corpi intermedi dei quartieri: le strutture associative o i centri che sono stati estremamente indeboliti negli ultimi anni”.

Secondo lui, gli eventi devono portare l’esecutivo ad accelerare sulla revisione della politica cittadina: “Abbiamo perso abbastanza tempo. E diciamolo subito, la politica della città non passerà per tutta la sicurezza. Questa è una risposta a brevissimo termine

Come molti eletti locali, è infastidito dal ritardo nella firma dei “contratti di città” con lo Stato, che dovrebbero consentire la distribuzione delle risorse finanziarie, ma che non entreranno in vigore prima del 2024.

Nei nostri quartieri prioritari la povertà è 3,3 volte superiore alla media metropolitana. Sappiamo dove agire: dove la legge comune non si applica

Un residente di Saint-Fons, ai margini di Vénissieux, attivista associativo nel quartiere Clochettes, lamenta anche la scomparsa di assistenti sociali e mediatori che un tempo attraversavano i locali. “Non li vediamo più, e i giovani sono lasciati a se stessi, fanno di tutto, lei si lascia trasportare. Bruciare le auto dei poveri, non capisco, molti non hanno nemmeno l’assicurazione

Testimonia la notte agitata nel suo quartiere – colpi di mortaio, qualche fuoco di rifiuti, rumore fino alle tre del mattino – e la sua preoccupazione.

Ho chiuso la porta, ho tenuto i miei figli e non ho messo piede fuori. Ho troppa paura che succeda loro qualcosa e che si trovino nel posto sbagliato al momento sbagliato… Già, in tempi normali, i poliziotti sono aggressivi contro i nostri figli.»

La polizia accusata da tutti

Infatti, tutti gli eletti, tutti gli attivisti dell’associazione contattati da Mediapart stigmatizzano una “dottrina poliziesca alzo zero che va rivista, altrimenti sarà mancato soccorso a chi è in pericolo”, per riprendere le parole del sindaco di Grigny Filippo Rio.

Stiamo arrivando alla fine di un ciclo che è stato aperto da Sarkozy e dalla sua menzogna Kärcher, che si è concluso con l’eliminazione di 10.000 posti di agenti di polizia (di quartiere) e lo smantellamento dell’intelligence generale”.

Secondo Hamza Aarab di Montpellier, il giovane che “si trascina da anni” ha in primo luogo rapporti conflittuali con la polizia. “I loro controlli, il modo in cui si comportano. La loro arroganza di impunità …”, cita.

Se non avessimo avuto il filmato [nel caso di Nahel], avremmo detto: ‘È un delinquente che si è imbattuto nella polizia.’» (nel filmato si vede e si sente il poliziotto che grida a Nahel “ti ficcherò una pallottola in testa e gli punta la pistola sulla guancia – video visto da tutti anche nelle tv e che ha costretto persino Macron e Darmanin a dire che forse non si erano comportati secondo le regole).

Nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, Stéphane Troussel ricorda da parte sua “i quindici anni di degrado dei rapporti con la polizia, della familiarità, del controllo di facies (somatici) e, più in generale, di un discorso ambientale di estrema destra”.

Di fronte a questa china, “non possiamo continuare così”, lancia il leader politico: “La Repubblica francese si occupa prima di tutto dei servizi pubblici, e un tale livello di risentimento nei confronti della polizia, non è sostenibile.»

Quando tornerà la calma, è ovvio che non saremo in grado di salvare un buon lavoro sui rapporti polizia-popolazione“, afferma anche Cédric Van Styvendael, sindaco di Décines. “Il commissario di Villeurbanne ha sperimentato certe cose nel rapporto con gli abitanti, è un cantiere da aprire.»

Discorso simile per Ali Rabeh, a Trappes, che dieci anni fa ha visto la sua stazione di polizia a tempo pieno sostituita da una semplice antenna, cronicamente a corto di personale. Oggi il sindaco si dice molto pessimista per il futuro. Cambiare il carattere?

È più facile mettere milioni sul rinnovamento urbano, torcere il braccio dei sindaci per costruire case popolari, chiedere ai prefetti di concedere concessioni edilizie… Ci vorranno vent’anni per ricostruire una polizia repubblicana”, ansima.

Le uccisioni a colpi di arma da fuoco di bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, sono diventate qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno.

Salim Gramsi, attivista comunitario di Marsiglia, da cui è appena andato via il presidente della Repubblica, anche Mohamed Bensaada, attivista LFI dei quartieri popolari della città, ritiene che “questa questione del rapporto tra la popolazione e la polizia sta diventando molto preoccupante”.

E il modo in cui Macron è venuto a trovarci qui, fingendo di credere che si possa combattere la droga con i terminali delle carte di credito, è ridicolo”, denuncia.

Nella sua città si guarda con “tristezza” agli avvenimenti di ieri sera, ma senza che la rivolta si propaghi. Come nel 2005. Perché? Osa una nota positiva, rilevando che il fitto tessuto associativo, che svolge molto lavoro sul campo nei distretti settentrionali, funziona. Altri sono molto meno ottimisti.

«Qui da tanto tempo si va oltre ogni immaginazione», si lamenta Salim Gramsi, capo dell’associazione Le Sel de la vie, che riunisce la pletora di associazioni che hanno lavorato intorno all’avventura della requisizione di McDonald’s Saint-Barthélemy nel 14° arrondissement della città.

La sparatoria sui bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, è diventata qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno”, sottolinea. “Vorremmo una reazione identica quando muoiono i nostri giovani. Nessuno però si sta ribellando per Marsiglia, mentre le madri qui, sono come la madre di Nahel, subiscono il martirio”, dice Salim Gramsi.

Chi diffida della “concorrenza delle vittime” nota tuttavia una forma di “fatalismo, di rassegnazione” nella popolazione che lo circonda: “A volte abbiamo cinque o sei morti contemporaneamente, bambini che a volte non hanno solo passeggiate, e non succede niente

Alla marcia bianca per Nahel, un grido di rivolta piuttosto che un minuto di silenzio

di Berenice Gabriel e Khedidja Zerouali

A Nanterre, diverse migliaia di persone si sono unite questo giovedì 29 giugno per rendere omaggio al giovane Nahel, ucciso dalla polizia due giorni prima. Più che una lunga marcia silenziosa, i manifestanti hanno gridato la loro rabbia, quella di aver visto morire di nuovo uno di loro per mano di un poliziotto.

La famiglia del giovane Nahel M. voleva una silenziosa marcia bianca, aveva una rumorosa marea umana, un gran grido del cuore. “Ormai sono finiti i minuti di silenzio, e per chiedere gentilmente, non è più il momento per quello”, lancia un giovane frettoloso tra la folla.

Questo giovedì 29 giugno, a Nanterre, non lontano dal luogo in cui Nahel M. è stato ucciso da un poliziotto due giorni prima, diverse migliaia di persone si sono radunate per gridare la loro rabbia. Erano 6.200 secondo la questura, 20.000 secondo gli organizzatori della marcia bianca.

In mezzo alla folla intere famiglie, attivisti, funzionari eletti, rapper tra cui Dinos o Rohff, casalinghe che aprono la strada ai loro passeggini, anziani che cercano di tenere il passo, giovani che scattano tutto e quelli che non dicono niente, ancora troppo commossi, abbracciati, soffocando qualche lacrima.

Ma, soprattutto, sono tanti i giovani, anche giovanissimi, che si sono mobilitati: la maggior parte sono razzializzati e provengono dai quartieri popolari dell’Île-de-France, dai “sette-sette”, dai “nove -tre”, “nove-quattro”.

Dì a te stesso che anche a Caen si sono mobilitati quando beh è un grande villaggio cosa…”, lancia una giovane donna di Argenteuil. Lì, non c’è Nanterre, non c’è Nanterre, siamo tutti insieme contro questa violenza della polizia, tutti i distretti, ovunque in Francia.

E tutti loro hanno una storia di violenza della polizia da raccontare. I ragazzi raccontano in prima persona, le ragazze raccontano quello che succede così spesso ai loro fratelli.

Questo giovedì, 29 giugno, il silenzio è durato poco. C’era il ruggito dei motociclisti che venivano in bande. I nomi di Zyed e Bouna, Adama, Théo, tutti vittime della violenza della polizia, sono stati cantati molte volte da quando “quando marciamo per uno, marciamo per tutti”.

C’erano anche gli slogan nei megafoni, quelli che dicevano che “tutti odiano la polizia” o che la polizia è “ovunque” ma che la giustizia è “da nessuna parte”. Ci sono state anche richieste di dimissioni del Ministro dell’Interno o del Presidente della Repubblica.

Criminalizzare le vittime per scagionare i colpevoli

All’arrivo, una delle zie di Nahel si stava rimettendo il velo dopo aver urlato sul camion, rattristata dal fatto che né lei né nessuno dei membri della famiglia fosse in grado di parlare alla fine della marcia.

A pochi metri dal punto in cui si è schiantata l’auto guidata dal giovane Nahel, la polizia ha usato gas lacrimogeni all’arrivo del camion degli organizzatori. La famiglia non ha potuto esprimersi, secondo loro restituita al silenzio dall’istituzione che ha appena tolto loro un figlio.

Ho rabbia, ecco cosa provo, rabbia”, ripete Djema, una ragazzina di Nanterre, amica di Nahel. Con Mediapart è preoccupata per la violenza della polizia, e per lei non ci sono dubbi: il suo amico è stato ucciso perché era un giovane arabo dei quartieri popolari.

Nelle discussioni il nome di Nahel finisce presto per mescolarsi a quello di altre vittime della violenza della polizia. Secondo i manifestanti, lo schema è sempre lo stesso nel processo di criminalizzazione delle vittime: la polizia violenta, a volte uccidendo, e molto rapidamente, i leader politici, a volte accompagnati da giornalisti ed editorialisti, indagano sul passato delle vittime.

Per vedere se non c’è motivo di renderli colpevoli. E se non c’è abbastanza materiale per loro, allora arrivano a riesumare le menzioni del trattamento dei casellari giudiziari (TAJ), un fascicolo di polizia che elenca fatti per i quali le persone sono state implicate ma non necessariamente condannate in seguito.

Così, il passato del giovane è stato sviscerato per ore su alcuni canali televisivi e radiofonici. I giornalisti hanno così fantasticato su cosa avrebbe potuto o non potuto fare la 17enne…

Al punto che, su France Inter, la stessa portavoce del ministero dell’Interno ha deciso di ricordare alla giornalista Léa Salamé che questo “non è oggetto del dibattito. Indipendentemente dal fatto che fosse noto o meno alla polizia, quello che è successo, questa tragedia, non è accettabile“.

Nella marcia bianca, Cédric, autista di ambulanze di Nanterre, abbonda: “Niente giustifica l’uccisione. Era disgustato nel sentire, a poco a poco, Nahel passare dallo stato di vittima a quello di sospettato. Per lui si tratta di scagionare la polizia usare il passato del ragazzino in pubblico.

E vuole dirlo: la storia di Nahel è anche la sua e quella di tanti altri uomini razzializzati che vivono nei quartieri popolari. Come altri nel corteo, ha molte storie di brutalità della polizia da raccontare. “Posso raccontarvele tutte, ma resteremmo qui fino a domani”, scherza.

Le vittime razzializzate

Come Djema, ricorda che gli uomini razzializzati hanno maggiori probabilità di subire la violenza della polizia e fa persino paragoni dolorosi. Nel maggio 2023, il figlio di Éric Zemmour è stato causa di un grave incidente in stato di ebbrezza, è stato incriminato.

Lo stesso mese, il figlio di Nadine Morano è stato arrestato dopo un mordi e fuggi, risultando positivo alla cocaina dopo l’arresto. Infine, cita Pierre Palmade, anch’egli risultato positivo alla cocaina dopo un incidente stradale avvenuto nel febbraio 2023 e che ha provocato la morte di tre persone.

Tutti loro sono bianchi, sono stati assicurati alla giustizia ma sono ancora vivi, a differenza del giovane Nahel che ha dovuto affrontare “polizie arbitrarie”.

Per Benjamin, allenatore di educatori sportivi e attivista dei quartieri popolari, ciò che è accaduto nei drammi precedenti si ripete in questo dramma.

Ricorda di essere stato in strada nel 2005 dopo la morte dei giovani Zyed e Bouna ed è ancora lì oggi, con le stesse richieste: giustizia per le vittime e le loro famiglie, una revisione del sistema di polizia e il ritorno dei servizi pubblici nei quartieri, “da oggi l’unico servizio pubblico che rimane qui è l’istituto di polizia”. Per lui, la criminalizzazione delle vittime non è estranea alla loro razzializzazione.

Ai margini del corteo che si sta dirigendo verso la prefettura di Nanterre, la polizia è accorsa in gran numero. Sono debitamente fischiati, anche i manifestanti più anziani danno loro il dito medio.

Il momento non è quindi per la pacificazione ma per la chiara espressione della rabbia. “È esattamente quello che sta succedendo lì che ci serve, se potesse durare diversi mesi sarebbe un bene”, assicura Cédric, il paramedico di Nanterre.

Delle dieci persone che abbiamo intervistato, nessuna ha condannato le violenze perpetrate durante le rivolte di ieri sera. Li capiscono e li supportano. Nessun fischio quando banche e aziende vengono attaccate con mazze e pietre.

Abbiamo cercato di esprimerci in modo diverso. Sui social, sui media, non cambia nulla, spiega Mehdi, studente marocchino di 23 anni che vive in Francia da quattro anni. Ora, dobbiamo cambiare le cose con ogni mezzo. So che continueranno a parlare di arabi e neri che bruciano macchine, ma questa violenza è dovuta a quello che sta succedendo. La rivolta è normale, non staremo a guardare mentre i nostri fratellini e le nostre sorelline vengono uccisi.”

Dopo la morte di Nahel, il potere intrappolato nella sua cecità

di Ilyes Ramdani

Le notti di rabbia nei quartieri popolari hanno riportato il tema della violenza della polizia nell’agenda dell’esecutivo. In assenza di risposte valide, il governo si accontenta per il momento di mostrare la sua compassione e mostrare la sua fermezza.

L’esecutivo ha cambiato piede. A due giorni dalla morte del giovane Nahel a Nanterre (Hauts-de-Seine), il ministro dell’Interno intende reprimere severamente la rivolta che si esprime in diverse città del Paese.

Abbiamo effettuato un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine per questa sera e questa notte”, ha indicato giovedì pomeriggio Gérald Darmanin ai prefetti, riferendosi alla mobilitazione di quarantamila persone, comprese quelle delle forze speciali di intervento come il Raid, il GIGN e il BRI.

Nello stesso messaggio, il numero 3 del governo raccomanda “arresti dall’inizio degli scontri” e una “presenza davanti ai luoghi di pubblico servizio”, come municipi e scuole.

L’ordine pubblico deve essere fermamente ripristinato”, conclude. Il giorno prima e il giorno prima, le forze di polizia e gendarmeria sul campo erano state istruite a non scontrarsi con i giovani.

L’evoluzione delle istruzioni di Place Beauvau (il Viminale francese) non è solo una questione di mantenimento dell’ordine. Riflette il movimento politico del potere, che vuole a tutti i costi evitare la conflagrazione del 2005.

Stiamo tornando su una linea di fermezza perché è l’unico modo per ritrovare la calma”, traduce una fonte di governo. Olivier Véran, portavoce del governo, ha denunciato giovedì mattina su BFMTV “attacchi contro la Repubblica”.

Ed ecco di nuovo Gérald Darmanin nel suo consueto corridoio: la mattina denuncia di violenze, il pomeriggio visita a un commissariato, la sera istruzioni per la repressione.

Giovedì, Matignon ha incaricato i ministri di annullare tutti i viaggi che era possibile annullare. Invece il primo ministro, Élisabeth Borne, e quattro suoi ministri (Gérald Darmanin, dunque, ma anche Éric Dupond-Moretti per la giustizia, Pap Ndiaye per l’istruzione, Olivier Klein per la città) sono andati a constatare sul campo i danni della notte precedente.

Non possiamo ignorare le violenze che abbiamo visto, giustifica un consigliere ministeriale. Non si incendia una scuola in Francia, che si sia legittimamente arrabbiati o meno. Per ora, la nostra risposta può essere solo una sequenza d’ordine.”

Come durante i “gilet gialli” o il movimento contro le pensioni, il campo presidenziale si aggrappa al desiderio di ordine che il suo elettorato manifesterebbe, secondo lui. “La gente è sbalordita dalla morte di Nahel ma ha buon senso, vuole credere a un dirigente di maggioranza. Trovano anche inaccettabile bruciare un municipio o una scuola

Il secondo fine non è privo di significato tattico, nella mente di un ministro e di una maggioranza che hanno fatto dell’”ordine repubblicano” uno dei loro principali indicatori politici. Ma è anche puramente sicurezza: mostrando la sua fermezza, il potere spera di evitare un ancoraggio e una propagazione della rivolta.

Un consigliere ministeriale conferma di “monitorare attentamente” la situazione e prevede: “Fino ad allora le cose non si surriscalderanno ovunque allo stesso modo. Se il 93 si sveglia, siamo fregati

La violenza della polizia assente nel discorso di Macron

Dal punto di vista dell’esecutivo, la morte di Nahel non avviene in un qualsiasi momento. Il Presidente della Repubblica aveva deciso di dedicare la sua settimana ai quartieri popolari. Dopo un viaggio di tre giorni a Marsiglia (Bouches-du-Rhône), dal lunedì al mercoledì, Emmanuel Macron ha lasciato che Elisabeth Borne presentasse venerdì i dettagli del suo piano “Quartieri 2030”.

È stato da Marsiglia che Emmanuel Macron ha saputo della morte di Nahel martedì. Una concomitanza che spiega, vuole credere uno del suo entourage, perché non abbia esitato a qualificare la morte dell’adolescente come “imperdonabile” e “inspiegabile”.

Aveva ragione in questa realtà sul campo, con la parte del suo governo e del suo gabinetto più sensibile a questi temi, sottolinea questa fonte. Ha sicuramente giocato.»

Nel processo, lo stesso Gérald Darmanin ha denunciato “immagini estremamente scioccanti” e ha promesso sanzioni contro “un agente di polizia che chiaramente non ha agito in conformità con la legge o l’etica”.

Un tono che ha sorpreso, per bocca di un ministro piuttosto avvezzo alla difesa incondizionata delle forze dell’ordine. “Non aveva scelta”, suggerisce un influente esponente della maggioranza. “Il Ministero dell’Interno non contraddirà il Presidente della Repubblica! Doveva seguirlo

Nel campo presidenziale non tutti hanno creduto al successo dei “cento giorni di pacificazione” decretati ad aprile da Emmanuel Macron. Gli eventi di ieri sera hanno finito di inondare le speranze dei più schietti. Appena uscito dalla crisi delle rivolte contro la riforma delle pensioni, l’esecutivo si trova impantanato in una nuova crisi sociale e politica.

E il soggetto è tanto più difficile da cogliere per il potere che ha finora ostinato a nasconderlo. Ultimo esempio fino ad oggi, forse il più clamoroso: lunedì sera, quando ha trascorso tre ore in una palestra di Marsiglia per presentare la sua ambizione per i quartieri popolari, Emmanuel Macron non ha avuto una sola parola, un solo provvedimento sulla violenza della polizia.

Eppure, al centro delle richieste degli attori e delle attrici in campo, il rapporto polizia-popolazione è progressivamente scomparso dal software politico.

Le rivolte della settimana la fanno rientrare dalla finestra. Sorprendentemente, il governo spera ancora di farla franca senza rispondere. Mentre già emergono rivendicazioni politiche e critiche alla legge del 2017 sull’uso delle armi, i macronisti rimandano la discussione a domani.

Non rispondiamo nel tunnel dell’emozione,” supplica Maud Bregeon, deputata di Hauts-de-Seine e portavoce di Renaissance. “I soggetti dovrebbero essere posti in posa con tempo calmo. Nessuno ha la testa abbastanza fredda per ragionare con calma su questo oggi.»

Borne mantiene il suo piano di quartiere, contro ogni previsione

Nel governo si impegna il consigliere di un ministro di spicco. “Non facciamo una legge su un fatto isolato, non è così che funziona”, dice. Quale sarebbe l’altezza della vita di un giovane? Per il momento il potere istituzionale riconosce la colpa e la condanna, lascia l’espressione di questa commozione ma ricorda che c’è un quadro per la convivenza. Solo allora arriveremo al tempo delle risposte e della soluzione da trovare.»

Contro ogni aspettativa, venerdì il presidente del Consiglio ha deciso di mantenere il Consiglio interministeriale delle città (CIV). Alla fine, non si svolgerà a Chanteloup-les-Vignes (Yvelines), e per una buona ragione: i sindaci, i parlamentari e lo stato locale hanno fatto una campagna con una sola voce per convincere Elisabeth Borne a non venire. “Sarebbe percepita come una provocazione”, gli è stato detto in sostanza.

Tuttavia, il capo del governo intende essere in prima linea sulla sequenza. Giovedì ha convocato le sue squadre per organizzare per lei un viaggio nei quartieri popolari. “Non vuole che si dica che ha paura di andare nei quartieri o che non può entrarci”, decifra un assistente. Lei è mamma, questa storia l’ha toccata molto, vuole stare con gli abitanti dei quartieri. “Venerdì, quindi, il CIV si svolgerà… ma a Matignon, lontano dai quartieri popolari.

All’inizio della serata, Elisabeth Borne ha inviato tre consiglieri, tra cui il suo capo di gabinetto Aurélien Rousseau, per spiegare ai giornalisti la sua decisione. “Vogliamo dimostrare che abbiamo un forte impegno da parte del governo e non solo una reazione agli eventi”, ha affermato l’entourage del primo ministro. Su Le Figaro, lo stesso entourage ha promesso “annunci forti”. Nessuna, tuttavia, sembra riguardare la questione della violenza della polizia.

Qualcosa da rabbrividire all’interno del campo presidenziale. “O è in grado di annunciare qualcosa che risponda davvero alle preoccupazioni del momento, o risulterà impercettibile”, sintetizza un esponente della maggioranza.

Il consigliere ministeriale sopra citato si impegna: “Non farà che rafforzare l’impressione di disconnessione. Annunciare cose su Anru (Agence Nationale pour la Rénovation Urbaine) è bello, è carino ma insomma … I giovani più arrabbiati diranno “Guarda questi bastardi, si stanno divertendo con noi e non hanno ancora capito niente”. Lei corre un rischio reale.»

 Perché gli edifici e servizi pubblici locali sono prese di mira

di Joseph Confavreux

Mediateche, scuole o centri sociali sono stati presi di mira nella notte tra il 28 e il 29 giugno in varie città della Francia. All’eterna domanda del perché, le scienze sociali hanno fornito risposte sempre più precise dai disordini del 2005.

A ogni scontro tra polizia e giovani dei quartieri popolari, dopo ogni notte di sommossa urbana, sorge una domanda tra gli osservatori ma anche tra i residenti: perché attaccare strutture pubbliche che ancora offrono alcuni servizi in zone spesso disagiate di questa zona?

Dietro questa domanda si cela anche una domanda più sotterranea: cosa c’è nella mente dei giovani che affrontano la polizia, appiccano incendi o spaccano finestre? Le scienze sociali hanno lavorato molto sulla questione, in particolare a partire dai disordini del 2005, e mostrano che è impossibile vedere in questi gesti il semplice nichilismo, persino il banditismo a cui alcune voci vorrebbero ridurli.

Una prima risposta alla domanda richiede di partire dal vagliare cosa significano “servizi” o “strutture” pubbliche in un contesto di rivolte e tensioni urbane.

Attaccare una stazione di polizia il giorno dopo l’omicidio di un adolescente da parte di un agente di polizia, o anche un municipio che ha autorità su una parte della polizia, non ha necessariamente lo stesso significato di attaccare una scuola, un CCAS (centro municipale di azione sociale), un municipio o una biblioteca…

Una seconda premessa ci obbliga anche a rimanere cauti, anche al di là della natura delle istituzioni prese di mira, su ciò che esse possono rappresentare, e il cui significato può rimanere opaco o confuso.

Uno dei giovani che ha partecipato ai laboratori di scrittura organizzati dallo scrittore ed educatore Joseph Ponthus in un complesso residenziale di Nanterre ha detto, a proposito delle rivolte del 2005: “Abbiamo iniziato discutendo su cosa non bruciare. Non le macchine della gente, non la scuola, non il centro commerciale. Volevamo attaccare lo stato. Sintomaticamente, pur affermandosi la volontà di attaccare lo Stato, la scuola, comunque l’istituzione pubblica che ingrana l’intero territorio, viene messa da parte…

Detto questo, e sebbene sia ancora troppo presto per misurare la portata dell’attuale rivolta e per elencare o mappare con precisione ciò che sta attaccando, sembra che le strutture pubbliche siano particolarmente prese di mira.

I ricercatori di scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – concordano sul fatto che si tratta di un gesto eminentemente politico.

Denis Merklen, sociologo

Il solo ministero dell’Educazione nazionale ha così contato giovedì “una cinquantina di strutture scolastiche colpite in varia misura” dagli incidenti avvenuti dopo la morte di Nahel, che ha portato alla chiusura di una “diecina”, principalmente nelle accademie di Versailles, Créteil e Lille.

Per il sociologo Sebastian Roché ci sarebbe addirittura da fare una distinzione su questo tema tra oggi e l’autunno 2005. Interpellato su France Info giovedì 29 giugno, ha giudicato infatti che la rivolta in corso “era molto più orientata verso le istituzioni pubbliche”, mentre i disordini del 2005 avrebbero preso di mira “molte più auto”, anche se allora si erano verificati attacchi contro istituzioni pubbliche – palestre, asili, biblioteche.

Probabilmente il libro più preciso sull’argomento è stato pubblicato dalle Presses de l’Enssib nel 2013 dal sociologo Denis Merklen e si intitola Pourquoi brûle-t-on des bibliothèques? (vedi l’intervista che Mediapart gli ha rilasciato sull’argomento in occasione del decennale dei moti del 2005). Il ricercatore ha dimostrato che circa 70 biblioteche sono state bruciate in Francia tra il 1996 e il 2013 e che il 2005 non è stato uno scenario senza precedenti o inaugurale.

Tuttavia, ha sottolineato Denis Merklen a proposito di questi attacchi alle istituzioni pubbliche, “la loro interpretazione è cambiata dopo i disordini avvenuti in Francia quell’anno, sicuramente come conseguenza dell’ampiezza della mobilitazione.

Prima erano percepiti come atti irrazionali, nichilisti, poi si è parlato di “violenza urbana” e non ancora di rivolte. Perché attaccare un asilo o una palestra? Perché i beneficiari hanno distrutto ciò che era loro destinato? Non era comprensibile. La maggior parte delle letture ne faceva la manifestazione di un deficit, o addirittura di un’assenza di socializzazione politica

Questa interpretazione “nichilista” rimane attiva in alcuni settori della società e in campo politico. È specifico di un modo di guardare ai margini del centro cittadino come un’area popolata da popolazioni “selvagge”, incapaci di rispettare il bene comune o addirittura di distinguere il proprio interesse.

Il sociologo e antropologo Jérôme Beauchez, professore all’Università di Strasburgo, ha recentemente ripercorso la lunga storia di questo sguardo negativo in un libro intitolato Les Sauvages de la civilisation. Regards sur la Zone, d’hier à aujourd’hui, pubblicato dalle edizioni di Amsterdam lo scorso anno.

Tuttavia, anche quando non si canta il ritornello del necessario riordino di un mondo presumibilmente decivilizzato attraverso rinforzi di polizia, coprifuoco o stati di emergenza, la dimensione politica degli attacchi contro le istituzioni politiche rimane talvolta negata.

Quando le istituzioni pubbliche prese di mira sono scuole o centri di azione sociale, ma anche quando chi le prende di mira non appartiene ad organizzazioni referenziate ed è peraltro il più delle volte incappucciato e razzializzato.

Al contrario, quando il movimento poujadista ha attaccato gli uffici delle imposte, quando i militanti della FNSEA hanno attaccato le prefetture manu militari o quando i pescatori-marinai hanno appiccato il fuoco al Parlamento regionale della Bretagna nel febbraio 1994, la dimensione politica del gesto è stata immediatamente letta come tale. Non è quindi la violenza in sé che distinguerebbe il grano politico dalla pula tumultuosa e dall’ubriachezza.

Per Denis Merklen, il prendere di mira le istituzioni pubbliche durante gli episodi di rivolte urbane è davvero di natura politica, e anche in un certo senso squadrato.

Oggi, dice, i ricercatori delle scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – sono concordi nel vedere in questo, invece, un gesto eminentemente politico. Perché questo? Perché le persone che vivono nei quartieri popolari, più di altre, sono in costante contatto con le istituzioni pubbliche per risolvere i problemi della loro vita quotidiana.

Attaccarli è un modo per significare questo faccia a faccia. Non è un deficit di politicizzazione, ma un cambiamento della politica popolare – cioè del modo di fare politica per categorie popolari – attraverso la territorializzazione dei conflitti sociali

Per il sociologo, i rivoltosi manifestano così “il conflitto in cui sono coinvolti quotidianamente. Negli sportelli amministrativi, luogo principale di interazione, esclusioni e difficoltà di accesso, si concretizzano in un disprezzo fortemente sentito.”

L’antropologo Alain Bertho, professore emerito all’Università di Parigi VIII, ha dedicato gran parte del suo lavoro alle rivolte urbane, in Francia e all’estero, per comprendere la globalizzazione di questo vocabolario della protesta e identificarne le forme nazionali o locali. Ne ha tratto due libri, Le Temps des émeutes, pubblicato da Bayard nel 2009, poi Les Enfants du caos, pubblicato su La Découverte nel 2016.

In questi due lavori il ricercatore insiste anche nel tenere conto della dimensione politica delle rivolte, proprio quando questa è talvolta oscurata dal fatto che queste rivolte non prendono le strade della politica istituzionale, né quelle del gesto rivoluzionario che prende di mira luoghi incarnando il potere nella maestà, e non una palestra o l’antenna di un centro di previdenza sociale.

C’è stato un dibattito nel 2005, ci ha spiegato Alain Bertho all’epoca della rivolta dei “gilet gialli”, “sulla questione se queste rivolte fossero un movimento politico, proto-politico o apolitico. Mi è rimasta scolpita in testa la risposta datami da chi poi aveva bruciato le auto: “No, non è politica, ma volevamo dire qualcosa allo Stato.

Come dire più chiaramente che la politica di partito e parlamentare, ai loro occhi, era inutile per dire qualcosa allo Stato?”.

In questa stessa intervista, Alain Bertho ha anche insistito sulla necessità di essere “attenti al repertorio d’azione che è il linguaggio della sommossa”, distinguendo in particolare tra sommosse con e senza saccheggio.

In questo repertorio d’azione in realtà plurale della rivolta, a volte mascherato dalle immagini ripetitive di fumo e scontri, gli attacchi contro le strutture pubbliche occupano un posto specifico e paradossale.

Una specificità delle rivolte urbane in Francia è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, in parte perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

Il paradosso, però, probabilmente non è solo quello che si sta già formulando su larga scala, nei micro-marciapiedi che si chiedono perché alcuni giovani attacchino istituzioni che dovrebbero servirli e servire, o addirittura in bocca a ricercatori, come Sebastian Roché giudica, sempre su France Info, che in questo momento stiamo assistendo a una “disperazione che le popolazioni rivolgono contro se stesse”.

Sta anche in quanto sottolinea Denis Merklen, ovvero che, per le persone che vivono nei quartieri popolari, “i servizi pubblici sono l’unica risorsa per i loro bisogni più elementari, legati all’istruzione, alla salute, ai trasporti, all’alloggio, all’energia e alla cultura.

Quasi tutti gli aspetti della loro vita quotidiana sono nelle mani delle istituzioni pubbliche. È una situazione paradossale, perché dovuta anche alla solidità e alla penetrazione del nostro Stato sociale che assicura, come meglio può, solide reti di sicurezza”.

Queste reti di sicurezza oggi sono certamente meno numerose e solide rispetto a dieci anni fa, a causa della disgregazione dei servizi pubblici, ma resta il fatto che una specificità delle rivolte urbane in Francia, rispetto ad altri Paesi, è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, anche perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

In ogni caso, questo è quanto emerge dal lavoro co-curato dai sociologi Hugues Lagrange e Marco Oberti l’anno successivo ai disordini del 2005, intitolato Émeutes urbaines et protestations pubblicato da Presses de Sciences Po.

Il libro collettivo ha offerto in particolare un confronto tra la situazione italiana e britannica, ricordando che la società francese è “caratterizzata da uno Stato centralizzato, servizi pubblici potenti, un forte richiamo alla laicità, antiche immigrazioni legate a una dolorosa storia coloniale e alla decolonizzazione”.

Per i curatori di questo libro, il confronto internazionale delle proteste urbane ha portato a uno “strano paradosso. La maggiore efficienza della società francese nel combattere le disuguaglianze sociali e nel garantire contemporaneamente una migliore protezione sociale produce un forte sentimento di esclusione, soprattutto nei quartieri più segregati della classe operaia e degli immigrati.”

Tanto più che leggendo Hugues Lagrange e Marco Oberti, i francesi, a differenza degli inglesi, erano «dotati di occhiali costruiti per non vedere questa segregazione etnica».

Una situazione in gran parte legata ad un pensiero della Repubblica e ad un’organizzazione territoriale dei suoi servizi pubblici che, a furia di voler essere “daltonici”, si rivelano ciechi alle discriminazioni etnorazziali che le loro stesse istituzioni pubbliche possono tuttavia riprodurre.

Questo è ovviamente il caso di questa particolare istituzione, la polizia, come aveva già mostrato il sociologo Didier Fassin nel suo libro La Force de l’ordre, che esplorava il razzismo presente all’interno di alcune unità del BAC in particolare e la crescente distanza tra la polizia e più in generale gli abitanti dei quartieri popolari.

Ma vale anche per le istituzioni che, al contrario, hanno cercato di ridurre la distanza tra le istituzioni e le popolazioni a cui si rivolgono. Riguardo al caso particolare delle biblioteche, Denis Merklen ha osservato che esse “hanno svolto un’immensa quantità di riflessione autocritica. Hanno rinnovato i loro approcci; hanno aperto”.

Ma, ha proseguito, non possono, come qualsiasi servizio pubblico preso isolatamente, “risolvere i problemi economici e sociali che sorgono in questi quartieri”, a causa “della situazione catastrofica del mercato del lavoro” che fa sì che “molti abitanti possano non contano più sullo stipendio” e hanno solo i servizi pubblici – e non più i datori di lavoro – come interlocutori della loro situazione sociale. Il che può portare alla distruzione di un municipio piuttosto che al rapimento di un padrone …

NB: l’interpretazione delle scienze sociali degli obiettivi colpiti dalle rivolte dimentica un aspetto cruciale: i giovani avvertono perfettamente di essere considerati “posterità inopportuna” (mentre sino a prima della controrivoluzione capitalista liberista globalizzata erano trattati come futura manodopera da “educare e quindi disciplinare” per la prosperità della Francia per la quale i genitori furono fatti immigrare.

I quartieri popolari “ideali” dal punto di vista dominante erano strutturati per forgiare la posterità utile alla prosperità … ma dopo gli anni ’80 e ’90 questi quartieri sono diventati luoghi di reclusione di una popolazione giovanile indesiderabile, inopportuna, superflua, quindi oggetto di criminalizzazione razzista … i servizi sociali sono diventati organismi di controllo, di angherie, di discriminazioni quotidiane …

E’ alquanto singolare che si pretenda capire le rivolte senza conoscere qual è concretamente la vita quotidiana nelle banlieues, cosa succede negli edifici pubblici comprese le scuole oltre che nei centri per disoccupati ecc. (Vedi in particolare “Una posterità inopportuna”, in Mobilità umane, p. 146-153)

Nahel: per i servizi segreti il pericolo arriva dall’estrema sinistra e da Mbappé

di Sarah Brethes e Matthieu Suc 

In una nota dedicata alle reazioni nei “quartieri sensibili” dopo l’assassinio di Nahel, l’Intelligence Territoriale sottolinea i presunti rischi generati da semplici inviti a manifestare. Vengono citati anche i commenti pubblici di Omar Sy e dell’attaccante del Psg Kylian ‘Mbappé.

In un’intervista pubblicata mercoledì da Le Point, Bernard Émié, capo della Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE), ha ricordato lo scopo di un servizio di intelligence: “illuminare” i politici, per permettere loro di “vedere il lato inferiore delle mappe”.

Viene da chiedersi cosa avranno pensato quello stesso giorno gli uomini e le donne che, all’Eliseo, a Matignon ea Place Beauvau, al Ministero dell’Interno, hanno letto la nota firmata dal Servizio Centrale di Intelligence Territoriale (SCRT, vecchi GR).

Datata questo mercoledì, è intitolata “Reazioni nei quartieri sensibili dopo la morte di Naël a Nanterre” e aveva lo scopo di informare i decisori politici sui rischi di una protesta violenta.

La nota deriva dal “D3” e dal “D4”, vale a dire le divisioni delle derive urbane (D3) e della documentazione e vigilanza tecnica (D4) dell’Intelligenza Territoriale. I suoi autori riproducono su nove pagine un catalogo di negativi. Con, a corredo, una rassegna stampa dei social network, la cui rilevanza può lasciare alcuni perplessi.

Leggere la copertina, che riassume il tutto, non trarre in inganno sulla natura del pericolo corso dalla Repubblica dopo l’uccisione di un adolescente di 17 anni da parte della polizia. “La presenza di attivisti di estrema sinistra nelle varie manifestazioni rischia di generare incidenti.

L’attività dei social network su questo tema evidenzia la volontà dei gruppi di estrema sinistra di “convergere le lotte” con il comune denominatore “violenza poliziesca”. E come intende fare l’estrema sinistra per generare incidenti? Trasmettendo “gli appelli alla mobilitazione, venerdì sera alle 20 davanti ai municipi”. Quindi per dimostrare.

Se sette righe sono dedicate all’estrema destra che “si posiziona a favore della polizia” e i cui commenti “evocano una sparatoria ritenuta legittima contro “la feccia”, al “movimento di protesta di estrema sinistra” si consacra una pagina intera.

Perché così tanto? Senza dubbio perché le parole che questo movimento reggerebbe sono di una virulenza rara. Beh no. La nota dettaglia il contenuto della pagina Twitter del collettivo Cerveaux non disponibles, la cui colpa sembra aver trasmesso il messaggio “Giustizia per Naël”.

I cervelli non disponibili stanno aggravando il loro caso, secondo il servizio di intelligence, rilasciando foto dell’adolescente ucciso da un agente di polizia, oltre a illustrazioni di incendi di rifiuti. “Queste immagini generano discorsi anti-polizia come ‘i nostri figli non sono un gioco per i poliziotti’”, preoccupa la SCRT.

Altrettanto allarmante, secondo loro: sulla sua pagina Twitter, l’offensiva antifascista di Bordeaux “parla di un elenco di vittime della polizia che torna a crescere”. Infine, non sfugge agli investigatori dell’Intelligence Territoriale che Attac France abbia ritwittato un messaggio di un suo portavoce che denunciava il fatto che si potrebbe “morire per un controllo stradale” e che la “polizia sta mentendo”. Difficile, così com’è, vedere i semi di una protesta violenta.

Citati i messaggi di Kylian Mbappé e Omar Sy

Gli autori della nota notano inoltre che il termine “Nanterre” è utilizzato in più di 80.000 tweet. “E 400.000 retweet”, insistono gli ufficiali dell’intelligence. Principalmente a causa, secondo loro, “del movimento di protesta di estrema sinistra, della protesta ambientalista e delle organizzazioni delle scuole superiori”. Ma non solo.

Si parla anche di “personalità popolari in quartieri sensibili”. Così, sottolinea la nota di RT, “Kylian Mbappé e Omar Sy hanno postato messaggi in omaggio alla vittima, denunciando anche “una situazione inaccettabile””.

Non contenti dell’estrema sinistra e degli ultracelebri personaggi, gli ufficiali dell’intelligence dedicano due terzi di pagina a una categoria la cui esistenza fino ad allora era stata ignorata nei reportage dei servizi interessati: gli “influencer islamisti”.

Infatti, secondo gli RT, alcuni influencer e attivisti di questo movimento propagherebbero l’idea di “islamofobia di Stato” e di “razzismo ricorrente nelle forze di polizia”. Diverse pubblicazioni in tal senso sono state rilevate sui social network.

E per citare la giornalista Feïza Ben Mohamed, che lavora nell’ufficio francese dell’Agenzia Anadolu, l’agenzia di stampa del governo turco. Quella che sul suo profilo Twitter afferma di essere una “specialista in questioni di islamofobia” consigliava sul suo account: “Filmate la polizia. Sempre. Ovunque. Soprattutto quando si avvicina ai neri o agli arabi “…

Il secondo ad essere seguito dalla SCRT è un altro giornalista militante: Sihame Assbague. E perché ha attirato l’attenzione dei servizi segreti? Perché Sihame Assbague “rilancia l’hashtag “#PoliceKill” e dichiara che spesso sono le stesse categorie socio-professionali, cioè “nordafricani, neri, classi lavoratrici” ad essere vittime durante le “violenze” e gli “assassini” commessi dalla Polizia”.

Citata anche l’associazione Prospettive musulmane. Ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha affermato che “i musulmani e le persone di colore sono un bersaglio gratuito in questo paese” e ha evidenziato “una legge di ispirazione islamofoba” per stabilire una nuova licenza di uccidere. .

Il periodo pre-estivo con, inoltre, tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi.

Intelligenza territoriale

Solo l’esempio di un convertito diventato predicatore salafita che si accende sul suo canale Telegram per accusare in particolare la polizia di essere «una mafia che uccide a freddo» sembra rientrare nell’opera di monitoraggio di un servizio di intelligence.

Senza alcun collegamento con quanto sopra, la SCRT sottolinea inoltre che “nessuna comunità straniera ha commentato questo evento [l’assassinio de Nahel – ndlr], né ha chiesto una marcia bianca”.

La nota si spinge fino a tracciare un parallelo con “la comunità guineana di Angoulême” che, “di fronte alla morte di uno dei suoi membri durante un controllo di polizia il 14 giugno”, non ha rilasciato alcun commento. Se abbiamo capito bene, tra le comunità che piangono la morte di uno di loro ucciso da un agente di polizia, i più encomiabili sarebbero quelli che non reagiscono.

Occorre attendere l’ultima pagina e il commento proprio degli autori della nota per ottenere una parvenza di analisi: “l’emozione e la rabbia suscitate da questo evento […] rischiano di innescare turbe dell’ordine pubblico”.

E leggete quelle che potrebbero sembrare informazioni sul presunto oggetto della nota: “Alcuni giovani di quartieri prioritari, come Hem (59), hanno già annunciato il ripetersi della violenza urbana e, a Mantes-la-Jolie, è stato lanciato un appello lanciati per raggiungere Nanterre questa sera e questa notte in convogli.»

E poi le ultime due frasi richiamano il contenuto dell’insieme. “Il periodo pre-estivo con peraltro tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi. Sono quindi da attendersi incidenti su tutto il territorio”.

Il caldo ecciterebbe i giovani, più della morte di un adolescente, a sua volta giudicata “imperdonabile” da Emmanuel Macron.”

Gli autori della nota non sono noti; non è firmato. Ma nei servizi di intelligence, la procedura implica che le note debbano essere rilette in teoria, o addirittura modificate dalla catena gerarchica prima di essere distribuite all’Eliseo, a Matignon e ai ministeri interessati. A fortiori quando il soggetto è sensibile.

articoli presi da mediapart.fr – traduzione a cura di Salvatore Palidda per Osservatorio Repressione

Fonte: Contropiano

Francia: quando brucia “il giardino di casa”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/03/francia-quando-brucia-il-giardino-di-casa-0162037

La morte di Nahel M. – il giovane 17enne ucciso dalla polizia a Nanterre la mattina di martedì 27 luglio – ha scatenato una reazione inedita per intensità e continuità degli ultimi vent’anni rispetto ad episodi analoghi avvenuti ai danni degli abitanti delle periferie.

In ciò che gli organi di informazione hanno universalmente definito “una notte più calma delle precedenti” – tra sabato e domenica – sono state fermate 719 persone, 45 tra poliziotti e gendarmes sono rimasti feriti, 577 veicoli e 74 edifici sono stati incendiati, ma sono stati contabilizzati ben 871 incendi – secondo il Ministro dell’Interno – nella pubblica via.

Non proprio un “ritorno alla normalità”.

Se lo Stato non è ricorso all’“etat d’urgence” – come fece nel 2005 dopo dodici notti di émeutes – le misure intraprese non sono certo state meno drastiche: il dispiegamento di più di 45mila effettivi delle forze dell’ordine, mobilitando i blindati della Gendarmeria (come al livello più alto del movimento dei Gilets Juanes nel dicembre 2018), delle unità specializzate del RAID, del GIGN e della BRI e degli elicotteri che hanno trasformato le tre principali città francesi come Parigi, Lione e Marsiglia in zone di occupazione militare a tutti gli effetti.

Non solo le maggiori metropoli dell’Esagono hanno conosciuto “notti di fuoco”, ma anche quasi tutte le città di media grandezza, oltre ai Territori d’Oltre-Mare (DOM-TOM); segno di una estensione della rivolta che non si è fermata alla periferia parigina ma la Francia urbana nel suo complesso.

Di fatto, nei giorni scorsi, tutti gli eventi ‘mondani’ e scolastici sono stati cancellati preventivamente, i mezzi di trasporto locale come bus e tram hanno cessato di funzionare alle nove di sera, ci sono stati differenti divieti prefettizi per manifestazioni e l’imposizione di numerosi coprifuoco.

Il soldato francese dei reparti speciali, di guardia al “giardino”, incredibilmente è armato con un fucile d’assalto Vepr-12 di fabbricazione russa

Macron ha fatto sapere, venerdì mattina, che era pronto ad ogni evenienza “senza tabù”, scegliendo di mostrare i muscoli – come invocato da conservatori ed estrema destra – piuttosto che cercare di calmare gli animi.

Il governo non è ricorso quindi ad una legge approvata nel 1955 – nel contesto della lotta di liberazione algerina (1954-1962) – com’è stato dopo quasi due settimane di scontri notturni in seguito alla morte a Clichy-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) di Zyed Benna e Bouna Traoré -, anche se il tuo utilizzo è stato comunque fortemente caldeggiato dai gollisti di LR e al neo-fascista Éric Zemmour.

E’ stata però imposta una notevole militarizzazione, con un numero decisamente elevato di fermi che, nella notte tra venerdì e sabato, hanno superato il migliaio, e poco più di 700 nella notte successiva.

La strategie giudiziaria è stata subito quella della tolleranza zero nei confronti dei fermati e delle loro famiglie, considerando che per esempio nella notte tra giovedì e venerdì un terzo dei 900 fermati, erano minori e quindi con una età compresa tra i 14 e 18 anni.

Il Presidente e l’esecutivo, invece che mettere in discussione il processo di fascistizzazione crescente tra le forze dell’ordine – con il comunicato del maggiore sindacato di polizia Alliance, insieme alla branca di categoria dell’UNSA che venerdì ha affermato espressamente di “essere in guerra contro orde selvagge” – ha spostato il baricentro dell’attenzione sulla responsabilità delle famiglie dei ceti popolari, inasprendo quel processo di colpevolizzazione delle classi subalterne che è uno dei tratti dei suoi due mandati di Macron.

Sono di fatto cadute nel vuoto le parole di Ravina Shamdasani, porta-voce dell’Alto Commissariato dell’ONU ai diritti dell’uomo: «è il momento per il paese di affrontare seriamente i profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine».

Una conferma del “doppio standard” che l’Occidente applica riguardo al rispetto dei diritti dell’uomo: strumentalmente agitati quando si tratta di attaccare un avversario, ma ignorati quando vengono calpestati in quello che Josep Borell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha di recente definito “il giardino” contrapponendolo alla presunta “jungla”, che sarebbe il resto del mondo.

Il Ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, ha insistito nel dire che «non è lo Stato che educa i figli», rincarando la dose rispetto a ciò che aveva affermato Macron, e facendo appello ai genitori affinché di fatto impedissero loro di uscire di casa, per accettare invece passivamente quest’ennesimo sviluppo della torsione autoritaria.

L’altra “crociata” lanciata dall’esecutivo è stata quella contro le reti sociali come Snapchat e TikTok, ampiamente usate come strumento di comunicazione e di organizzazione di questi giorni.

Alla faccia della “libertà di informazione”, Dupont-Moretti vuole procedere di fatto ad un processo di identificazione di massa di coloro che hanno usato queste applicazioni durante le rivolte, ricorrendo a tipologie di reato comunemente utilizzate per associazioni criminali.

Macron non ha perso tempo nel denunciare “l’inaccettabile strumentalizzazione” di una parte de La France Insoumise di ciò che stava avvenendo. Gli ha subito risposto jean-Luc Mélanchon dicendo che «le elucubrazioni contro la LFI non coprono le responsabilità di coloro che hanno creato questa situazione».

E non sembra che da questo impasse politico il Presidente e l’Esecutivo vogliano uscire con una soluzione che non sia il “pugno di ferro”, attaccando tutti i coloro che stanno mettendo in evidenza le storture di un modello di sviluppo in cui precarietà lavorativa, segregazione urbana, e razzismo istituzionale sistematico sono la condizione esistenziale per milioni di persone dei ceti subalterni che vivono nei quartieri popolari.

É chiaro che la settimana appena conclusa ha fatto emergere un elemento ben spiegato da Erwan Ruty, responsabile associativo e autore di Une histoire des banlieus française – mai tradotto in italiano – al quotidiano Le Monde:

«il movimento sindacale, associativo, politico riusciva ad inquadrare fino agli anni 2000 la rabbia delle banlieue. Oggi l’ estrema destra la rinfocola, e l’estrema sinistra non riesce ad occuparsene. E due mondi si squadrano in cagnesco uno di fronte all’altro: i giovani e la polizia».

La crisi politica in Francia è talmente grave che, in tempi differenti, diverse porzioni sociali si sono mobilitate con modalità comunque radicali contro il ‘Presidente dei Ricchi’ ed i suoi governi durante questi due mandati: il movimento dei gilets jaunes, il primo e poi il secondo movimento contro la riforma pensionistica, le mobilitazioni contro la gestione della pandemia e, non ultimo, la legittima rabbia dei giovani delle periferie, oltre alle lotte ecologiste e quella di singoli comparti della classe lavoratrice.

Ora, “il giardino” ha preso fuoco, e non è chiaro quando verrà domato l’incendio.

La  legittima rabbia che ha scatenato l’assassinio poliziesco a sangue freddo di un 17enne incensurato è frutto di una crisi sistemica (economico, istituzionale e politica) che non sembra avere altra soluzione, per le élite, se non la fascistizzazione strisciante dei suoi apparati.

Qui ormai liberisti, conservatori ed estrema destra vanno avanti a braccetto, svolgendo solo pro forma ognuno una parte differente.

É una sfida, a cui la sinistra di classe, non solo in Francia, è chiamata a dare una risposta all’altezza perché, dopo la pandemia ed in tempi di guerra, dalle ceneri della governance neoliberista sta sorgendo una filosofia di governo tesa a sbriciolare le residuali garanzie democratiche e lo Stato di Diritto.

Per fare la guerra ai poveri.

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 2 Luglio 2023, ore 16:34

Fonte: Contropiano

La repressione “senza tabù”

di Franco Astengo

La tirannia deve esistere
ma non per questo il tiranno merita scuse”
John Milton, The lost paradise, XII vv 95 – 96)
https://contropiano.org/interventi/2023/07/03/la-repressione-senza-tabu-0162041

Come si può definire una democrazia come quella francese strutturata in una forma del tutto sbilanciata verso il “governo” in luogo della “rappresentanza” e nella quale un Presidente eletto direttamente proclama una “repressione senza tabù” verso moti di popolo alimentati da disuguaglianze soffocanti, imperante razzismo, periferie abbandonate a un degrado economico,morale, culturale, politica esercitata attraverso vuoti populismi?

La migliore definizione di tirannide, da ritenersi facilmente valida anche per l’attualità si trova nella Repubblica di Platone:

La tirannide nasce da una trasformazione della democrazia. La transizione della democrazia in tirannide è dovuta, come nel caso dell’oligarchia, proprio al bene dominante che è perseguito in quel regime”.

L’esito della democrazia è, per Platone, la violenza della tirannide, perché la democrazia stessa non si fonda su nessuna forma e idea comune, ma privatizza a un tempo la ragione pratica e la ragione teoretica, riconducendola interamente agli arbitrii individuali.

In una simile prospettiva, la tesi platonica potrebbe essere resa più comprensibile al lettore contemporaneo in questi termini: la tirannide è l’esito di un processo di privatizzazione radicale del potere che s’innesca quando i regimi democratici non sanno o non vogliono mantenere una regola pubblica e comune.

Oggi in un quadro generale di arretramento complessivo delle forme di democrazia liberale la guida delle grandi potenze è sempre più facilmente affidata a una spiccata dimensione del potere personale.

Un potere personale improntato a forme giudicabili come di vera e propria tirannia pur suffragata da più o meno regolari plebisciti (ed è questo il nodo del presidenzialismo/premierato italiano).

Il quadro generale è quello di una degenerazione complessiva delle forme di democrazia liberale

La dottrina cattolica distingue tra il “tiranno per usurpazione” (tyrannus in titula, cioè che ha preso il potere illegalmente) e il “tiranno per oppressione” (tyrannus in regimine, cioè che abusa del potere che ha ricevuto legalmente).

 In una società complessa, di capitalismo avanzato, si pensava a una “spersonalizzazione” del potere, invece ci troviamo in una fase che potremmo davvero definire di “arretramento storico”.

Così non si può dimenticare il titolo maoista “Ribellarsi è giusto”. 

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 3 Luglio 2023, ore 7:42

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

VALERIA SORESIN – ROSARIO MARCIANO’ CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER LE “TEORIE DI COMPLOTTO” AI DANNI DELLA FAMIGLIA

Vi comunico che, a seguito di sentenza definitiva in Corte di Cassazione – Procedimento “Solesin” – dopo che è stato stato rigettato il ricorso per “violazione del Codice di procedura penale” (interrogatorio di garanzia avvenuto in assenza del difensore), ho ricevuto, nella giornata del 19 aprile 2023 ed ancora in assenza delle motivazioni della sentenza, la notifica del mandato di carcerazione. L’esecuzione della condanna a 12 mesi di reclusione, inflitta in primo grado (diffamazione di persona scomparsa) e confermata in Corte d’Appello, rimane sospesa per 30 giorni, durante i quali ho la facoltà di presentare domanda per le “misure alternative” alla detenzione; resta comunque a discrezione del Giudice di sorveglianza decidere se accogliere o meno la richiesta, il che significa che potrei dover scontare la pena in carcere. In ogni caso, anche se dovessero essere concessi i benefici di legge con la “detenzione domiciliare”, dovrò osservare le prescrizioni del Giudice.
Ciò significa che, a breve, non mi leggerete più: non mi sarà consentito l’accesso ad Internet né ai Social. Non mi sarà possibile intrattenere conversazioni private, per iscritto o telefoniche, né ricevere visite. Il canale canale Telegram ed il blog tankerenemy.com saranno ancora gestiti dagli usuali amministratori, che hanno sino ad ora svolto un lavoro encomiabile. Li ringrazio per la loro fattiva collaborazione.

E’ più che mai necessario, in questo momento, un sostegno economico, indispensabile per far fronte alle spese per la richiesta delle “misure alternative” e per pagare le parcelle relative agli altri procedimenti penali attualmente in corso. Donazione con IBAN: IT91S36772223000EM001811077 – Swift (BIC): HYEEIT22XXX – Banca Hype. Maggiori dettagli qui.

Il video qui sotto risale al 2015. Con esso esortavo gli inquirenti ad indagare su alcune contraddizioni relative ai fatti del Bataclan.

Fonte: Tankerenemy

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

FRANCIA OK DELLA COSTITUZIONE FRANCESE ALLA RIFORMA DELLE PENSIONI. PROTESTE CONTRO MACRON E SCONTRI

dalla nostra corrispondente Anais Ginori

Tra gli elementi approvati dal consiglio dei saggi c’è la controversa misura dell’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni. Respinta la richiesta di referendum presentata dalla sinistra. Il presidente intende promulgare la legge nelle prossime 48 ore ma i sindacati chiedono di non farlo e invitano alla mobilitazione

14 APRILE 2023 AGGIORNATO ALLE 20:45

PARIGI – La Corte costituzionale francese approva l’innalzamento dell’età della pensione a 64 anni, cuore della riforma voluta dal presidente Emmanuel Macron. I nove Saggi della Consulta hanno respinto sei delle disposizioni della legge, oltre al referendum abrogativo chiesto dall’opposizione di sinistra. Da metà marzo, quando il governo di Elisabeth Borne ha deciso di utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare la contestata riforma e poi dal 20 marzo, e dopo che il governo ha superato la prova della fiducia parlamentare con appena 9 voti, la politica francese era sospesa a questo ultimo passaggio costituzionale.

https://www.repubblica.it/esteri/2023/04/14/news/corte_costituzionale_approva_riforma_pensioni_francia-396189678/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

PARIGI VOTA CONTRO I MONOPATTINI ELETTRICI: VIETATI

Di Euronews  •  ultimo aggiornamento: 03/04/2023 – 10:17

Monopattini schierati in strada   –  Diritti d’autore  Thomas SAMSON/AFP
https://it.euronews.com/2023/04/03/parigi-vota-contro-i-monopattini-elettrici-vietati#:~:text=Monopattini%20elettrici%20a%20noleggio%20vietati,andato%20alle%20urne%20per%20ilreferendum

Troppi incidenti, troppi rischi. Monopattini elettrici a noleggio vietati: i parigini hanno votato, dando un duro colpo agli operatori del settore e schierandosi apertamente con i sostenitori della sicurezza stradale.  A favore del divieto il 90 per cento degli elettori , mentre l’8 per cento non è andato alle urne per il referendum. Risultato: la capitale francese, un tempo pioniera delle due mini-ruote, è ora destinata a diventare l’unica grande metropoli europea pronta  a mettere al bando i mezzi prenotati tramite le app.

Fonte: Euronews

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus

CICLABILI OLIMPICHE, PARIGI PREPARA IL 2024: 10 MILA PARCHEGGI E 60 KM DI NUOVE PISTE CICLABILI

Da Alessandro Di Stefano – 17 Febbraio 2023

Ciclabili olimpiche: Parigi prepara il 2024
https://www.rivistabc.com/ciclabili-olimpiche-parigi-prepara-il-2024-10mila-parcheggi-e-60-km-di-nuove-piste/

Il Comune di Parigi si prepara a modo suo ad accogliere i prossimi Giochi Olimpici, in calendario dal 26 luglio all’11 agosto 2024. La sindaca Anne Hidalgo, una delle politiche più attive sul fronte bike friendly, ha annunciato un piano per potenziare ancora di più i servizi per i tifosi e turisti che visiteranno la capitale francese: tanto per cominciare, tutti gli stadi saranno raggiungibili in sella grazie a una rete di 60 km di nuove “piste ciclabili olimpiche” realizzate apposta per il grande evento. I dettagli del piano sono già online da qualche giorno su questa pagina di paris.fr il sito ufficiale della municipalità.

Sono anni che su BC raccontiamo le transizione green in corso a Parigi, dove Anne Hidalgo è al suo secondo mandato. Al pari del suo omologo londinese Sadiq Kahn, Hidalgo è una sostenitrice della mobilità dolce, al punto che ha trasformato la capitale in una città 30. Su buona parte delle strade urbane non si può infatti superare il limite di 30 km/h. In più numerose piazze sono state pedonalizzate per restituire spazio pubblico agli utenti attivi come pedoni e ciclisti.

Le Olimpiadi sono da sempre un palcoscenico prestigioso per le città, che investono su infrastrutture utili non soltanto ad accogliere il flusso di turisti, ma anche preziose per il post evento. Oltre alle nuove piste, Parigi acquisterà nuove bici da inserire nella flotta dello sharing cittadino, aumentandone il numero di 3mila unità (toccando così i 15mila mezzi).

Chi visiterà Parigi durante le Olimpiadi potrà raggiungere lo Stade de France, a nord della capitale, comodamente in bicicletta; lo stesso si potrà fare pedalando dal centro fino al Parco dei Principi. I 10mila parcheggi a disposizione saranno temporanei e posizionati in punti strategici, vicino ai luoghi delle competizioni.

In queste settimane in Italia si discute di città 30, soprattutto alla luce del voto del consiglio comunale di Milano, dove un ordine del giorno ha chiesto alla Giunta di impegnarsi a introdurre il limite su buona parte delle strade. A Parigi questo è già realtà. La prossima sfida? Pedonalizzare gli Champs-Élysées entro il 2030.

Fonte: Rivista BC

Dott. Alessio Brancaccio, Università degli Studi di L’Aquila