Francia rivoluzionaria

FRANCIA NEL CAOS: QUARTA NOTTE DI SCONTRI. LIONE E NANTERRE A FERRO E FUOCO: OLTRE 1300 ARRESTI

Salta la decisione sullo stato d’emergenza. Darmanin chiede lo stop a bus e tram dalle 21. Oggi pomeriggio i funerali di Nahel, che dovrebbero svolgersi in un clima di “discrezione”

Scontri in Francia, uno stabilimento danneggiato dopo una notte di saccheggi e disordini a Montreuil, vicino a Parigi
https://www.rainews.it/maratona/2023/07/francia-nel-caos-quarta-notte-di-scontri-lione-e-nanterre-a-ferro-e-fuoco-471-arresti-11c9d3ac-6b5d-43b9-a102-a6d256eb2d36.html

13:25 01 Luglio 2023

Iniziati a Nanterre i funerali del 17enne Nahel

Le esequie del 17enne Nahel M. sono iniziate questa mattina presso la camera ardente di Nanterre in un clima molto teso, alla presenza di tante persone accorse per rendere omaggio al ragazzo ucciso martedì, durante un posto di blocco, da un agente di polizia. Molte persone si sono radunate fuori dall’edificio per la cerimonia, che la famiglia ha voluto fosse il più intima possibile, lontano dalle telecamere.

“Pace all’anima sua, che sia fatta giustizia. Sono venuta a sostenere sua madre, aveva solo lui, poverina”, ha spiegato alla France Presse una donna di Nantes, che non ha voluto rivelare il suo nome, mentre lasciava la camera ardente. Il carro funebre ha lasciato l’impresa di pompe funebri intorno alle 12. Una cerimonia funebre è prevista nel primo pomeriggio alla moschea Ibn Badis di Nanterre. La sepoltura avverrà poi nel cimitero di Mont Valerien.

Appassionato di rap e motociclismo, Nahel è stato cresciuto da solo dalla madre a Nanterre e ha vissuto in un condominio nella tenuta Pablo-Picasso, ai piedi de La De’fense. Finita la scuola ha lavorato come fattorino e aveva avviato un “corso di inserimento” nell’associazione Ovale Citoyen https://ovalecitoyen.fr che accompagna i giovani attraverso lo sport

La sua uccisione ha scatenato disordini e violenze urbane in Francia, da quattro notti consecutive in preda al caos. Il poliziotto responsabile della sua morte, per il quale è stata disposta la custodia cautelare, ha invocato la legittima difesa.

Fonte: Rai News

Francia. La polizia uccide un ragazzo, scontri a Nanterre

di Redazione Contropiano

https://contropiano.org/news/malapolizia-news/2023/06/28/francia-la-polizia-uccide-un-ragazzo-scontri-a-nanterre-0161938

Lutto e rabbia. Nella tarda serata di martedì 27 giugno e per tutta la notte sono scoppiati incidenti tra gli abitanti di diversi quartieri di Nanterre e la polizia, a poche ore dalla morte di Naël M., colpito a bruciapelo da un poliziotto in motocicletta della Divisione Ordine Pubblico e Traffico della Prefettura di Polizia di Parigi quando si è rifiutato di obbedire.

Incendi di pallet, baracche da cantiere e veicoli dati alle fiamme nel quartiere Vieux-Pont, da cui proveniva la vittima, e venti persone arrestate: gli appelli alla calma del sindaco della città, Patrick Jarry, non sono bastati a evitare gli scoppi che erano prevedibili date le circostanze della morte del giovane, che sono stati ripresi dallo smartphone di un passante intorno alle 8.15 di martedì mattina nel quartiere della prefettura di Hauts-de-Seine.

Il filmato di cinquanta secondi, diventato virale sui social network, ha letteralmente spazzato via il linguaggio inizialmente usato dalle autorità, che parlavano di un veicolo che sfrecciava verso due agenti di polizia con l’intenzione di investirli.

Le immagini mostrano i due motociclisti della polizia appoggiati alla portiera del lato guida di una Mercedes AMG gialla. Nella colonna sonora, sovrapposta al frastuono del traffico, si sentono frammenti di un’accesa conversazione. “Ti spareranno in testa”, grida un poliziotto, con la pistola a pochi centimetri dal conducente del veicolo.

L’auto era appena ripartita e si muoveva ancora a passo di lumaca quando è partito un colpo. Colpita al cuore, la vittima ha perso il controllo del veicolo, che è andato a sbattere contro un cartello di Place Nelson-Mandela, a una cinquantina di metri di distanza. Il giovane è morto alcune decine di minuti dopo, nonostante il tentativo di rianimazione da parte dell’ambulanza. Un passeggero, anch’egli minorenne, è stato arrestato, mentre un terzo individuo, ancora latitante, era ancora attivamente ricercato martedì sera.

I fatti sono stati riferiti alla Procura di Nanterre, che ha aperto due inchieste: la prima per resistenza all’arresto e tentato omicidio nei confronti della polizia; la seconda, per omicidio volontario, nei confronti del poliziotto che ha usato l’arma. I tre avvocati che rappresentano la famiglia della vittima ritengono che questa decisione della Procura di Nanterre metta in dubbio l’imparzialità dell’inchiesta.

“Rifiutarsi di obbedire non dà la licenza di uccidere”.

In un comunicato stampa, hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro l’agente di polizia che ha sparato. “Non c’è dubbio che avesse intenzione di causare la morte”, hanno sottolineato, aggiungendo che “la denuncia riguarderà anche il suo collega per complicità in omicidio volontario”. È stata anche presentata una richiesta di trasferimento del caso ai tribunali. Inoltre”, sostiene uno degli avvocati, Yassine Bouzrou, “non solo la morte del giovane significa che il processo pubblico contro di lui è finito, ma dal momento in cui il video è stato rivelato, è chiaro che l’accusa di tentato omicidio non è più valida e che dovrebbe essere abbandonata”.

I due agenti in questione sono stati interrogati dall’Ispettorato nazionale di polizia prima che l’uomo armato venisse preso in custodia per spiegare come sia arrivato ad aprire il fuoco contro il giovane automobilista quando, come mostra il video, non c’era alcun rischio che venisse colpito o ferito dall’auto.

Riferendosi alle circostanze in cui sono intervenuti gli agenti di polizia, il prefetto della polizia di Parigi, Laurent Nuñez, ha spiegato a BFM-TV che i due agenti avevano “individuato un veicolo che aveva commesso una serie di infrazioni, che inizialmente hanno cercato di controllare. Questo veicolo non si è fermato (…), si è inizialmente rifiutato di rispettare le regole e poi è rimasto bloccato nel flusso del traffico, dove è stato fatto un tentativo di controllarlo a quel punto”.

Durante il question time del governo all’Assemblea nazionale, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, pur ribadendo il suo impegno per il “principio della presunzione di innocenza degli agenti di polizia”, ha definito le immagini pubblicate sui social network “estremamente scioccanti”. Tuttavia, non hanno indignato nessuno al di là della sinistra, per la maggior parte.

Olivier Faure, primo segretario del Partito socialista, ha twittato che “rifiutarsi di obbedire non dà licenza di uccidere”, mentre Clémentine Autain, deputata (La France insoumise) di Seine-Saint-Denis, ha condannato una “esecuzione sommaria”.

* Da Le Monde

28 Giugno 2023 – Ultima modifica: 28 Giugno 2023, ore 8:28

Fonte: Contropiano

“La notte sarà lunga”: la Francia in collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/29/la-notte-sara-lunga-la-francia-in-collera-0161963

L’uccisione da parte della polizia a Nanterre del giovane 17enne Nahel M. durante un normale controllo stradale delle ‘forze dell’ordine’ ha suscitato una vasta reazione che non sembra placarsi.

Un video divenuto subito virale – di cui è stata appurata l’autenticità dall’agenzia stampa AFP e dal quotidiano Le Monde ha radicalmente rovesciato la versione delle fonti poliziesche.

É stato lo stesso presidente Macron a definirlo un dramma “inesplicabile e non scusabile, cui hanno fatto eco parole simili del capo dell’esecutivo, Elisabeth Borne.

Macron ha ovviamente invitato alla calma finché venga fatta giustizia, ma gli animi non si sono affatto placati.

Per questo oggi è stata convocata una marche blanche alle 2 del pomeriggio, di fronte alla Prefettura a Nanterre, nel comune della periferia nord-occidentale della metropoli parigina, a poca distanza da dove è avvenuta l’uccisione. Ma numerose sono le iniziative di solidarietà che dal tardo pomeriggio di mercoledì – Lille, Nantes, Tolosa, per non citarne che alcune – si sono svolte in tutto l’Esagono.

É bene ricordare che l’Assemblea Nazionale – il Parlamento francese – ha osservato un “minuto di silenzio”  per la morte del giovane, nella giornata di mercoledì.

Contro le parole di Macron e Borne si sono scagliati i sindacati della polizia AllianceUnite SGP PoliceSinergie officiers e Alternative police-CFDT che hanno messo l’accento sulla «presunzione d’innocenza» di cui devono beneficiare i propri colleghi, ancora in stato di fermo, nonostante le immagini mostrino una vera e propria esecuzione del 17enne senza che possa essere riscontrabile alcun pericolo per gli agenti, come previsto dalle fattispecie previste per l’uso di armi da parte della polizia in quei contesti.

Le critiche indirizzate a Macron sono proprie sostanzialmente dalla leader del RN, Marine Le Pen, così come dei gollisti di LR, pronti a prendere la difesa a spada tratta delle forze dell’ordine.

La figlia del fondatore del Front Nationale – di cui RN è l’erede – ai microfoni di BFM-TV ha dichiarato: «la polizia non ha più, in un certo numero di quartieri, la minima autorità e questo mette delle vite in pericolo», affermando che il rifiuto di ottemperare agli ordini della polizia «mette delle vite dei poliziotti in pericolo, ma questo mette, lo si vede anche, le vite di altri in pericolo. Io sono per la presunzione di legittima difesa per le forze dell’ordine».

Di fatto si vorrebbe garantire l’impunità degli agenti anche in caso di una vera e propria esecuzione, come è accaduto mercoledì nella capitale francese.

Da quando la legge è stata cambiata – su pressione degli stessi sindacati di polizia, nel 2017 – le morti sono aumentate e l’anno scorso ben 13 persone sono state uccise dalla polizia mentre erano al volante.

Come scrive il sito d’informazione Mediapart: «in assenza di video incontestabili o di testimoni particolarmente convincenti, è la versione degli agenti che prevale».

Ma la coscienza della necessità del monitoraggio delle forze dell’ordine e la denuncia del loro operato è qualcosa che si è radicato nella coscienza di una parte importante del popolo francese, che ne ha fatto le spese dalle mobilitazioni contro la Lois Travaille in poi, come dimostrano il bellissimo film I Miserabili di Lady ly, il documentario del giornalista d’inchiesta David Dufresne, – The Monopoly of violence che mostra la brutalità durante il movimento dei Gilets Jaunes (2018-2020) – ed un numero piuttosto cospicuo di saggi purtroppo non tradotti in italiano.

Il nuovo articolo 435-1 del codice di sicurezza dà un’ampia discrezionalità agli agenti, prevedendo 5 circostanze in cui è legittimo ricorrere all’uso delle armi.

Le statistiche parlano di una impennata nel loro uso nell’anno dell’approvazione – 202 casi secondo quanto riporta il Ministro dell’Interno – per poi assestarsi ad un livello leggermente inferiore ma comunque in aumento rispetto all’approvazione della legge, senza che peraltro possa essere stabilita una correlazione diretta con l’aumento del “rifiuto” di ottemperare alle disposizioni poliziesche.

Come fa notare l’organo di informazione indipendente Basta – il solo che ha costituto un archivio consultabile di dati indipendenti – dall’approvazione della legge sono morte 26 persone nel tentativo di sfuggire ad un controllo, a differenza delle 17 uccise tra il 2002 ed il 2017.

Come sintetizza il ricercatore universitario Sebastian Roché, autore di differenti testi di studio sulla polizia: «il poliziotto può fare uso della sua arma per qualche problema… che non si è prodotto».

Questo in un contesto in cui il rilievo penale, e la relativa ammenda pecuniaria per il reato di “non ottemperanza”, si sono inasprite.

In pratica si è legittimato un uso preventivo delle armi abbastanza discrezionale che ha prodotto effetti deleteri in termini di aumento delle morti, mentre l’opera di lobbyng delle potenti associazioni di categoria cerca di garantire di fatto l’impunità.

Yassine Bouzrou, uno degli avvocati della famiglia Nahel, ha precisato al sito di informazione indipendente Brut che i suoi clienti hanno depositato una denuncia per «omicidio volontario» contro il poliziotto autore della sparatoria e per complicità contro il suo collega, ma anche per «falso in trascrizione in atti d’ufficio».

La prima versione, ripresa da alcuni media, evocava un inesistente tentativo di forzare il blocco degli agenti con l’intenzione di investirli, poi clamorosamente smentita dai filmati.

Sono molti i personaggi in vista dello sport e dello spettacolo, insieme alla sinistra radicale della NUPES che non si sono limitati ad esprimere il proprio cordoglio ed il proprio sostegno alla famiglia del giovane ucciso, ma hanno messo in discussione le narrazioni tossiche che si accompagnano spesso rispetto alle vittime di questi episodi.

Nomi conosciuti al grande pubblico anche italiano per i propri successi sportivi come Kylian Mbappé, capitano della squadra francese di calcio, o l’altro nazionale Jules Koundé, il rapper Niska o Medine, o Kameto, lo streamer da un milione di followers su Twitter, o l’attore Omar Sy.

Un segnale di come l’omertà di fronte a tali episodi non è la norma.

Lo stesso sindaco progressista di Nanterre, Patrick Jarry, spiega a Le Monde la rabbia che è esplosa già da martedì sera: «in alcuni quartieri, c’è un sentimento condiviso secondo cui non c’è la stessa giustizia per tutti, così come non c’è la stessa istruzione per tutti, lo stesso diritto al lavoro per tutti. É tutto questo che alimenta questa questa frustrazione che si è espressa durante la notte».

É questo che teme l’establishment politico francese.

29 Giugno 2023 – Ultima modifica: 29 Giugno 2023, ore 7:53

Fonte: Contropiano

Francia: le ragioni della collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/francia-le-ragioni-della-collera-0161980

“È il nostro modo di essere perché ci hanno levato tutto”. Non si placa la reazione popolare in seguito alla morte di Nahel M., il 17enne ucciso la mattina di martedì del 27 luglio a Nanterre, nella periferia parigina nord-occidentale, da un agente di polizia che gli ha sparato “a bruciapelo” durante un controllo poliziesco.

Il quotidiano Le Figaro ha rivelato che l’agente in questione – ora in detenzione provvisoria – era stato premiato più volte nella sua carriera, l’ultima delle quali (nel 2020) per il “coraggio” dimostrato durante le mobilitazioni dei Gilets Jaunes.

Il Ministro dell’Interno Darmanin ha mobilitato per la notte di giovedì ben 40 mila agenti su tutto il territorio nazionale, di cui 5 mila nella sola Parigi, senza che per ora sia stato dichiarato “l’etat d’urgence”, come richiesto a gran voce tra l’altro dal leader dei gollisti di LR, E. Ciotti, e dall’estrema destra di Zemmour.

Valérie Pécresse, presidente della regione di L’Ile-de-France (di fatto l’area metropolitana parigina) ha dichiarato che tram e bus resteranno fermi dalle 21 in poi, circolerà solo la RER e la metro.

Lo “stato d’urgenza” era stato promulgato nel 2005 quando a seguito della morte di due ragazzi – Zeyd Benna e Bouna Traoré – a Clichy-sous-Bois, sempre nell’hinterland della capitale francese, in seguito ad un inseguimento poliziesco due ragazzi rimasero folgorati per avere cercato riparo in un edificio adibito a centrale elettrica.

L’Esagono conobbe alcune settimane caratterizzate da continui scontri notturni nelle periferie di diverse città. Un avvenimento che ha marcato profondamente la coscienza degli abitanti dei quartieri popolari, facendo emergere una profonda spaccatura fin qui non ricomposta con l’establishment politico, e che dopo questi quasi due decenni hanno visto peggiorare le proprie condizioni di esistenza.

L’estensione e l’intensità della reazione, già dalla seconda notte, fanno presagire uno scenario simile a quello del 2005 ma in un contesto diverso, perché il corpo sociale (non solo gli abitanti delle periferie) ha conosciuto sulla propria pelle la repressione nei vari movimenti di lotta che si sono succeduti, almeno dalla fine del quinquennio Hollande in poi.

Il processo di delegittimazione del potere politico e delle istituzioni della V Repubblica è ulteriormente avanzato a causa delle blindature che le élites continentali “con passaporto francese” hanno imposto sulle scelte strategiche che hanno impattato ed impatteranno pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione.

Ossial’ennesima riforma pensionistica, il precedente stravolgimento dell’istituto dell’assurance-chomage, e recentemente, una legge che mina in profondità il diritto all’abitare stabilendo pene carcerarie e pecuniarie esorbitanti per chi occupa un alloggio, o semplicemente agita l’occupazione come strumento di lotta.

Non ultimo, siamo in un contesto di guerra sia sul fronte esterno – in Ucraina ma non solo – ed interno, dove i margini di azione politica vengono annichiliti a colpi di provvedimenti dell’esecutivo, come dimostra lo scioglimento del collettivo ecologista Les soulèvements de la terre.

L’inflazione in Francia, proprio come in Italia, continua a mordere ed è attorno alle due cifre, senza che a questa sia corrisposto un adeguamento salariale consistente. Una situazione in cui anche lo SMIC, ossia il salario minimo intercategoriale, se basso, può poco per ciò che riguarda l’impoverimento crescente di una fetta sempre più ampia della popolazione.

In questo contesto assistiamo sempre più ad una polarizzazione netta del campo politico con i conservatori che vanno a braccetto con l’estrema destra, influenzando in profondità la Macronie.

Il neofascismo prende sempre più spazio, banalmente comprandosi testate giornalistiche di rilievo, come è accaduto con il quotidiano sportivo Paris-Match e quello domenicale JDD, acquistati dal gruppo Vivendi, di proprietà di Bolloré, il magnate che ha di fatto creato il fenomeno Zemmour, cometa neo-fascista riapparsa nei cieli della politica dopo le elezioni presidenziali proprio in questi giorni.

Dall’altra parte abbiamo il campo della sinistra radicale della NUPES che, nonostante le differenze al suo interno ed alcuni posizionamenti “ballerini” sulla politica internazionale – comunque la LFI rimane per l’uscita dalla NATO della Francia e critica l’operato della UE “da sinistra” – sa da che parte stare.

Ovvero nei picchetti degli operai in sciopero sgomberati dalla polizia durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni, nei commissariati quando vengono arrestati gli attivisti nel corso delle manifestazioni, al fianco dei manifestanti anche quando si mettono in campo pratiche di azione diretta come per esempio a Sainte-Soline contro il progetto di megabacini idrici, nella marche blanche lanciata dalla madre del 17-enne ucciso, e così via, oltre a fare una opposizione reale e non di facciata in Parlamento.

E’ sempre bene ricordarlo: la Nupes ha fatto incetta di voti proprio nelle periferie, tra i giovani e la “knowledge class”, senza però riuscire ad arginare l’astensionismo.

Insomma niente a cui spartire sul piano della pratica, qui in Italia, con l’inconsistenza della dirigenza del M5S o dell’Alleanza Verdi-Sinistra.

Ciò che colpisce in questi giorni, nelle varie interviste uscite sui diversi organi di informazione che fanno “inchiesta” tra gli abitanti di Nanterre, è il livello di coscienza che fa emergere quanto la Francia in alcune suoi territori sia di fatto uno “Stato Fallito” non più in grado di assicurare un granché ai suoi cittadini.

Non esiste più un’istruzione di qualità, non più un impiego, non più un alloggio dignitoso, e nemmeno il diritto alla vita.

Una Francia dove l’ascensore sociale si è rotto da tempo e nessuno vuole o sa ripararlo, con un razzismo strutturale dove la linea del colore determina se in caso di mancato stop ad un controllo di polizia vieni “freddato” o meno, oltre ad essere ancora uno stigma come una “colonia interna”.

Una Francia dove sta riemergendo uno zoccolo duro reazionario – chiamiamolo “fascismo plurale” – non relegato ai margini della politica, ma che ha una sorta di potere di veto sulle scelte di fondo dell’esecutivo, comunque ascrivibili motu proprio ad una versione molto autoritaria del neo-liberalismo e del “neo-colonialismo interno”.

L’imponente marcia a Nanterre – più di 6mila secondo le sottostimate cifre ufficiali – svoltasi ieri pomeriggio precede una notte di sommosse che è l’unico linguaggio che rende visibili gli esclusi.

Come ha affermato un ragazzo di Nanterre intervistato da Mediapart: “I media hanno cercato di infangare la memoria di Nahel cercando di accollargli dei precedenti giudiziari inesistenti. Senza il video registrato da un testimone, la versione dei poliziotti che hanno affermato di essere stati investiti dall’auto, avrebbe avuto la meglio.

E così, perché delle celebrità come Omar Sy hanno preso la sua difesa, che è “buono” venire a farne il suo ritratto.

Voi cercate tutti di fare degli scoop su di un morto. Giocate ad avere un’ informazione che un altro non avrà. Forse si sarebbe dovuti venire a vedere prima a capire come è cresciuto, come lo Stato ci ha trattato nelle nostre cités, come la polizia ci maltratta“.

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 7:11

Fonte: Contropiano

La marcia bianca, poi la notte buia

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/la-marcia-bianca-poi-la-notte-buia-0161990

A corroborare il nostro articolo più analitico, vi proponiamo qui la cronaca delle battaglie notturne avvenute un po’ in tutta la Francia, secondo il “rispettabile” quotidiano Le Monde.

Ci si può comunque fare un’idea piuttosto precisa della situazione…

*****

A Nanterre, la notte è iniziata presto giovedì 29 giugno: alle 16.30, non appena si è conclusa la manifestazione in memoria di Nahel M., ucciso martedì da un poliziotto, un denso fumo ha oscurato il cielo in seguito ai primi incendi.

Alcuni speravano che la marcia bianca avrebbe calmato gli animi, ma non ha avuto alcun effetto calmante sulle decine e decine di giovani che hanno sottoposto la prefettura di Hauts-de-Seine a una terza notte di disordini e distruzioni, che si sono estesi alle province e hanno provocato centinaia di arresti in tutto il Paese.

Sono stati distrutti bancomat, demoliti ristoranti, farmacie e parrucchieri, messi a soqquadro i centri finanziari pubblici, saccheggiati tabaccai e distributori di benzina, per non parlare degli innumerevoli incendi di auto nel cuore del quartiere Pablo-Picasso, epicentro della rabbia di Nanterre, dove alle 3 del mattino si sono visti residenti in preda al panico che si affannavano a tirare fuori i loro veicoli da un parcheggio in cui un’auto incendiata minacciava di propagarsi ai vicini e agli alberi circostanti.

La stazione di polizia e la prefettura, particolarmente protette, sono state risparmiate.

I muri della città chiedevano “giustizia per Nahel”, “rivolta per Nahel”, “vendetta per Nahel”. Diversi residenti, sia giovani che anziani, hanno promesso una serata ancora più brutale della precedente.

“Ho passato la giornata a parlare con i giovani, ma sono fuori controllo”, ha spiegato Karim, 47 anni, che ha trascorso 35 anni in una delle torri delle nuvole nel quartiere Pablo-Picasso. “Lì hai innescato qualcosa che non si fermerà mai”.

All’inizio della giornata, lui e gli altri residenti del suo grattacielo erano stati invitati con un SMS dal condominio ad andare a dormire altrove, se possibile.

“Vedrete stasera, sarà un’altra cosa”.

Un agente del CRS di stanza in Place Nelson-Mandela, dove l’auto di Nahel ha terminato la sua corsa fatale, ha raccontato che due giovani che erano passati accanto alla sua compagnia al termine di una marcia bianca che si era conclusa con una certa, ma ancora misurata, agitazione, avevano detto loro: “Vedrete stasera, sarà qualcosa di diverso”.

“Siamo rimasti indietro durante la marcia bianca perché sappiamo che la vista di un’uniforme può creare tensione (…)”, spiega il poliziotto. “I nostri superiori ci hanno detto: ‘Nessun arresto durante la marcia’”, continua il CRS. Ma poi abbiamo visto che erano arrivati il BRI e il BRAV-M, quindi credo che stasera la festa sia finita e ci saranno degli arresti”.

Morte di Nahel M.: più di 400 persone arrestate dopo un’altra notte di violenze

Secondo gli ultimi dati disponibili, almeno 421 persone sono state arrestate dalla polizia in tutto il Paese, quasi tre volte la cifra registrata alla fine della notte di mercoledì, già segnata da scoppi di violenza. Di fronte alla conflagrazione e alle scene di disordini, scontri con la polizia, saccheggi diffusi e incendi dolosi, attacchi a edifici pubblici e stazioni di polizia, sembra che le misure adottate abbiano fatto il loro tempo.

Sempre a Nanterre, all’inizio della serata, un incendio in una filiale del Crédit Mutuel, vicino alla stazione RER di Nanterre-Préfecture, ha rischiato di avvolgere l’intero edificio, che alla fine è stato salvato dalle fiamme dai vigili del fuoco applauditi dalla folla.

“Clotilde, una donna di cinquant’anni che vive a Nanterre da dieci anni, ha commentato: “Ciò che è sorprendente è che questo non è nemmeno un quartiere a luci rosse! I rivoltosi hanno messo in atto il loro piano in modo scrupoloso, incendiando persino la leggendaria giostra del parco André-Malraux, su cui tutti i bambini del quartiere sono saliti”. Clotilde: “Hanno dato fuoco alla giostra del loro fratellino. È così triste.

La morte di Nahel M. a Nanterre vista dalla stampa estera: “l’incendio”, “la fiammata”, “la vergogna”…

Nanterre è rimasta calma per qualche ora, prima di essere svegliata bruscamente intorno alle 23.30 da due grandi esplosioni, l’inizio delle vere e proprie ostilità.

Granate lacrimogene sparate in risposta a mortai pirotecnici; movimenti ultrarapidi su scooter e motorini, il ronzio degli elicotteri; ingressi dei complessi residenziali sbarrati a tutti i visitatori, compresi i giornalisti, da individui con sagome dissuasive; barricate in fiamme che apparivano a caso da una prospettiva e, a volte, polizia che si ritirava da alcune strade sotto l’assalto dei giovani.

A Nanterre, per proteggere la direzione regionale di pubblica sicurezza dell’Hauts-de-Seine ed effettuare arresti in una situazione di forte degrado, la Brigade de recherche et d’intervention (BRI) ha dispiegato le sue forze, preceduta da imponenti veicoli blindati utilizzati in particolare per sgomberare le barricate.

In altre zone del Paese, come Lille e Marsiglia, immagini identiche di poliziotti del RAID incappucciati e incappucciati, a piedi o su 4×4 nere, hanno dato ieri sera l’impressione di un Paese in preda alla guerriglia urbana.

Alcuni saccheggiatori hanno utilizzato carrelli della spesa

Ancor più del giorno precedente, i disordini si sono estesi a diverse città della regione parigina e delle province, in un’identica ondata di violenza e saccheggi.

A Noisy-le-Sec (Seine-Saint-Denis) è stato saccheggiato il supermercato Carrefour, con la sua tenda di ferro e la vetrina sfondata. Il bottino: prodotti di uso quotidiano, alimentari, carta igienica e prodotti per la casa.

Più lungimiranti di altri, alcuni dei saccheggiatori si sono muniti di carrelli della spesa, approfittando dell’oscurità in cui era piombata la città per dileguarsi, con tutta l’illuminazione stradale spenta e la polizia e i vigili del fuoco in gran parte invisibili.

Morte di Nahel M.: “Ora siamo in una situazione in cui prevale l’equilibrio dei poteri e lo spettro del 2005 incombe”.

In confronto, la zona industriale di Bas-Pays, a Romainville, è apparsa stranamente calma: “Abbiamo più persone di ieri, quindi è un po’ più tranquillo.

Ma c’erano ancora sessanta persone che volevano attaccare la stazione di polizia municipale verso le due del mattino”, ha osservato il sindaco, François Dechy. Ma all’altro capo della RN3, le forze di polizia hanno bloccato il quartiere Hoche di Pantin mentre una compagnia di CRS entrava in azione. Interrogato, un poliziotto ha descritto la situazione come “più tesa” del giorno precedente e si è chiesto “quando finirà tutto questo”.

In molte altre località, mentre la serata era stata relativamente tranquilla, gli eventi hanno preso una piega improvvisa a partire dalla mezzanotte, come a Saint-Denis, dove sono stati incendiati alcuni cassonetti della spazzatura sulla strada e sono state rotte delle bottiglie nel quartiere della Basilique, seguiti da incendi di auto in tutta la città, in particolare nel complesso residenziale Joliot-Curie.

Durante la notte si sono verificati diversi scontri con la polizia e sui social network circolano immagini di un arresto particolarmente violento. Come a Noisy-le-Sec, il negozio Carrefour del centro è stato saccheggiato, con la sezione biciclette presa di mira in particolare dai giovani.

Almeno altre due scene di rapina sono avvenute nel centro di Parigi, nel quartiere Les Halles, dove è stato saccheggiato in particolare il negozio Nike, e il negozio Zara in rue de Rivoli (1° arrondissement), vicino a place du Châtelet.

Nella stessa zona sono stati incendiati anche alcuni cassonetti, nonostante la massiccia presenza della polizia, che è stata bersagliata con proiettili. Il CRS ha risposto con gas lacrimogeni, ma la situazione non è sfociata in uno scontro diretto. A pochi metri di distanza, in questo quartiere molto vivace e costellato di bar, turisti e parigini continuavano a sorseggiare i loro drink.

Incendi  a Roubaix e Tourcoing, roccaforte di Gérald Darmanin

Una parte del quartiere 3000 di Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), una città duramente colpita dalla violenza urbana nelle due notti successive alla morte di Nahel, è stata immersa nel buio dai rivoltosi. In rue Delacroix, un’arteria principale che attraversa il quartiere residenziale, alcuni veicoli sono stati posti di traverso sulla strada e poi incendiati.

A mezzanotte, più di cinquanta giovani incappucciati hanno iniziato a bloccare la strada con delle barricate e poi si sono aggirati in questa zona del quartiere, causando ingenti danni. Il giorno prima, un camion era stato rubato e poi dato alle fiamme. Il giorno prima, un autobus era stato dirottato e portato nel complesso residenziale per essere bruciato.

Morte di Nahel M.: a Montreuil, la seconda notte di violenza si è concentrata sul centro della città e sui suoi negozi.

Infine, nel centro di Montreuil (Seine-Saint-Denis), dove centinaia di giovani si sono radunati intorno al municipio, si è ripetuto lo stesso scenario delle altre città: sono stati incendiati i cassonetti della spazzatura e sono state poste barriere sulle strade per impedire il passaggio delle auto. Barriere metalliche sono state erette anche all’inizio dei viali principali che portano al municipio.

A ondate e a gruppi, centinaia di persone, alcune incappucciate, mascherate o con bastoni, hanno cercato di convergere verso la stazione di polizia, accendendo fuochi.

Nel nord del Paese, dove sono scoppiati gravi disordini durante la seconda notte di sommosse, ci sono stati numerosi tafferugli a Roubaix e a Tourcoing, roccaforte familiare ed elettorale del ministro dell’Interno Gérald Darmanin.

Con cassonetti strappati e rovesciati in mezzo alla strada e alcuni dati alle fiamme, un gruppo di circa cinquanta persone ha scatenato il caos nel quartiere di Phalempins, avvicinandosi gradualmente al centro della città mentre un elicottero della Gendarmeria sorvolava la città, teatro di sporadici scontri tra rivoltosi e polizia.

Nella vicina Roubaix, la stessa tensione è stata palpabile non appena è scesa la notte. Il quartiere di Epeule è stato teatro di scontri intorno al teatro Colisée, protetto dalla polizia che sparava mortai a salve.

Nel quartiere Pile, il centro sociale è stato avvolto dalle fiamme e sono state erette barricate, poi incendiate, nella zona dell’Alma, che aveva già vissuto una notte molto movimentata il giorno precedente.

Diversi edifici sono stati incendiati, in particolare nella zona della stazione dove, secondo i testimoni, una trentina di rivoltosi hanno saccheggiato il minimarket Proxy al piano terra dell’hotel B & B prima di darlo alle fiamme. Del negozio non rimane nulla.

Kamel, un residente della zona, ha raccontato che “i vigili del fuoco hanno impiegato molto tempo ad arrivare”. Va detto che i vigili del fuoco sono totalmente sovraccarichi a Roubaix. “Hanno smesso di rispondere al telefono”, hanno detto alcuni residenti. Non ci sono state vittime nell’hotel.

A soli 200 metri di distanza, all’ingresso del quartiere Alma, un enorme edificio industriale ex Redoute, la cui facciata è crollata in un incendio, ha distrutto tutto. Da un anno e mezzo ospitava Prochèque, una società del gruppo Tessi che fornisce servizi a grandi aziende regionali. Vi lavoravano circa 500 persone.

A Tolosa, i temporali interrompono gli scontri

A Tolosa, i temporali che si sono abbattuti sulla città intorno alle 22.00 hanno certamente interrotto una notte che si preannunciava molto calda. Alle 20.30, nel quartiere Mirail della Reynerie, sono scoppiati violenti scontri tra la polizia e un centinaio di giovani in Place Abbal, cuore del quartiere.

I colpi di mortaio e i gas lacrimogeni sono proseguiti per oltre un’ora, mentre piccoli gruppi di giovani si formavano nel labirinto di edifici. Contemporaneamente, a poca distanza, la stazione di polizia locale di Bellefontaine è stata attaccata con pietre, bottiglie e fuochi d’artificio, mentre auto e mobili hanno iniziato a bruciare.

Altri quartieri sono andati in fiamme nello stesso momento: a Empalot e Les Izards, nel nord della città, gli scontri sono iniziati prima che scoppiasse la tempesta.

La metropolitana che serviva i quartieri popolari è stata interrotta alle 21.30. Intorno alle 23, la prefettura ha dichiarato che “la violenza urbana è stata contenuta” nei quartieri interessati, grazie soprattutto “al supporto del RAID e del GIGN, che hanno effettuato undici arresti”.

La sezione locale dell’unità di polizia d’élite è stata coinvolta anche a Marsiglia, dove circa 400 persone, per la maggior parte giovani o addirittura giovanissimi, si sono radunate davanti alla prefettura prima di passeggiare selvaggiamente per il centro della città in modo altamente disorganizzato.

Il prefetto ha messo in campo una grande forza, comprese diverse unità mobili, per disperderli. La polizia ha sparato e un agente è stato ferito e portato in ospedale. Cinquantasei persone sono state arrestate.

“Non bruciate le auto”

La tensione non si è placata, invece, nella zona di Lione, dove la situazione è esplosa poco dopo le 22 nel quartiere Mas-du-Taureau di Vaulx-en-Velin. Per alcuni lunghi minuti, i mortai hanno esploso fuochi d’artificio davanti alla biblioteca multimediale Léonard-de-Vinci.

“È la guerra!” ha gridato un giovane con il velo. “Non bruciate le auto”, ha gridato un altro, per dissuadere i gruppi dal prendere di mira i veicoli dei residenti.

Dalle loro finestre, gli abitanti della zona hanno assistito agli scontri con la polizia intorno alla piazza centrale di questo quartiere emblematico dei quartieri residenziali di Lione, dove è stata inviata una colonna del RAID, dotata di un veicolo blindato.

Sono stati lanciati proiettili e sparati mortai contro gas lacrimogeni e granate sonore: scene di disordini estremamente violente e pericolose. Un giovane del posto è stato ferito e portato in un’ambulanza dei vigili del fuoco sotto la protezione della polizia. Il temporale e le forti piogge sembrano aver calmato le ostilità a Vaulx-en-Velin, mentre altre forme di violenza si sono diffuse alla periferia di Lione.

Gruppi di rivoltosi mobili hanno appiccato incendi e causato danni a Bron, Saint-Priest, Villeurbanne e persino nel 3° arrondissement di Lione, dove un autobus è stato distrutto dalle fiamme in avenue George-Pompidou, non lontano dalla stazione di Part-Dieu.

Intorno alla sua carcassa fumante, i residenti della zona hanno filmato i danni. I video degli incendi appiccati a due tram, a Vénissieux e a Saint-Priest, sono circolati a rotta di collo. Poco distante, in rue de la Gaîté, sono state incendiate due auto e un’esposizione immobiliare, tra il ginnasio e il collegio Bellecombe. La prefettura ha annunciato sette arresti nella notte.

Morte di Nahel M.: il governo resiste alle richieste di stato di emergenza

Le autorità si aspettano una violenza “diffusa” nelle “prossime notti”, secondo una nota dell’intelligence citata da una fonte della polizia. La nota, trapelata da diversi media, è datata giovedì, il giorno dopo una seconda notte di disordini in molte città. Si parla di “prossime notti” che “vedranno la violenza urbana con la tendenza a diventare diffusa” e di “azioni mirate alle forze dell’ordine e ai simboli dello Stato o dell’autorità pubblica”.

Henri Seckel, Franck Johannès, Philippe Gagnebet (Tolosa, corrispondente), Florence Traullé (Lille, corrispondente), Richard Schittly (Lione, corrispondente), Rémi Barroux, Gilles Rof (Marsiglia, corrispondente), Laurent Telo, Luc Bronner e Antoine Albertini

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 9:06

Fonte: Contropiano

“La morte di Nahel è la scintilla”: i motivi della rabbia

di Jade Bourgery – Caroline Coq-Chodorge – Lucie Delaporte – Mathilde Goanec – Pauline Graulle – Cécile Hautefeuille – Dan Israel

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/01/la-morte-di-nahel-e-la-scintilla-motivi-della-rabbia-0161993

Ultim’ora. Il quadro dei disordini notturni ricostruito dal quotidiano Le Monde.

Aggiornamento delle 5 del mattino

Nuove scene di saccheggio e violenza sporadica hanno scosso diverse città francesi, tra cui Lione, Grenoble, Saint-Etienne e Marsiglia, nella notte tra venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, ma sono state segnate da una violenza di “intensità molto minore” rispetto alle precedenti, secondo il Ministero dell’Interno, quattro giorni dopo la morte di Nahel, ucciso da colpi di pistola della polizia durante un controllo stradale a Nanterre.

In visita a Mantes-la-Jolie (Yvelines), Gérald Darmanin ha annunciato intorno alle 2:30 del mattino che 471 persone sono state arrestate in tutto il Paese, tra cui 120 a Parigi, secondo quanto comunicato dalla Préfecture de police alle 2 del mattino.

Intervistato da BFM-TV, il ministro dell’Interno ha dichiarato che “sarà la Repubblica a vincere, non i rivoltosi“, denunciando “violenze inaccettabili a Lione e Marsiglia“.

In un lungo messaggio rilanciato su Twitter dal capitano dei Les Bleus Kylian Mbappé, i giocatori della squadra di calcio francese hanno invitato a “placarsi” di fronte a quello che hanno definito “un vero e proprio processo di autodistruzione“.

La violenza non risolve nulla, soprattutto quando si rivolge inevitabilmente e inesorabilmente contro coloro che la esprimono, le loro famiglie, i loro cari e i loro vicini“, hanno sottolineato, esprimendo al contempo il loro “shock per la morte brutale di Nahel“.

All’inizio di venerdì, diversi centri commerciali nella regione di Parigi sono stati vandalizzati, con diversi negozi danneggiati e saccheggiati. Tra gli obiettivi c’erano Rosny 2, in Seine-Saint-Denis, e Créteil Soleil, in Val-de-Marne. Negozi sono stati attaccati anche nel centro di Strasburgo.

Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva annunciato nel pomeriggio, al termine di un secondo comitato di crisi interministeriale in due giorni, la mobilitazione “eccezionale” di 45.000 poliziotti e gendarmi e di unità d’élite come il GIGN.

Emmanuel Macron ha invitato “tutti i genitori ad assumersi le proprie responsabilità” venerdì pomeriggio al termine della riunione di crisi del governo. “Non è compito della Repubblica sostituirsi a loro“, ha dichiarato, dopo aver condannato “con la massima fermezza tutti coloro che sfruttano questa situazione e questo momento per cercare di creare disordine e attaccare le nostre istituzioni“.

In una circolare diramata venerdì, il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, ha definito la risposta penale “rapida, ferma e sistematica” che vorrebbe fosse applicata agli autori della violenza urbana, compresi i minori e i loro genitori.

Il Ministero dell’Interno ha ordinato ai prefetti di sospendere i servizi di autobus e tram in tutto il Paese ogni sera a partire dalle 21.00, al fine di limitare la diffusione dei disordini, che stanno prendendo di mira anche le infrastrutture di trasporto.

Alle 23.40 circa di giovedì, un abitante di Cayenne, nella Guyana francese, è morto dopo essere stato colpito da un proiettile vagante mentre si trovava sul balcone al piano terra del suo palazzo, hanno osservato sul posto due giornalisti dell’emittente televisiva Guyane La Première.

Questa informazione è stata confermata a Le Monde da una fonte della polizia. Secondo il direttore territoriale della polizia nazionale, il colpo è stato sparato “indiscutibilmente” dai rivoltosi.

Il sindaco di Nanterre, Patrick Jarry, ha confermato che i funerali di Nahel M. si terranno sabato. In una breve dichiarazione alla stampa al termine del Consiglio interministeriale sulle città, il sindaco ha sottolineato “l’urgente necessità di trovare le parole per spezzare il ciclo della violenza“.

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Dal dispaccio dell’Agenzia  Agi.

Sporadiche violenze e saccheggi hanno colpito diverse città in tutta la Francia nella quarta notte di proteste dopo l’uccisione da parte della polizia di un adolescente.

Nonostante la presenza della sicurezza, venerdì notte sono avvenuti saccheggi nelle città di Lione, Marsiglia e Grenoble, con bande di rivoltosi spesso incappucciati che hanno saccheggiato i negozi

I manifestanti hanno anche dato fuoco ad auto e bidoni della spazzatura. Ma durante una visita a Mantes-la-Jolie, a ovest di Parigi, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha dichiarato sabato mattina presto che la violenza della notte è stata “di intensità molto minore”, con 471 arresti a livello nazionale e sacche di tensione a Marsiglia e Lione in particolare.

Darmanin aveva annunciato una mobilitazione “eccezionale” di polizia e gendarmi per evitare una quarta notte consecutiva di disordini per la morte di Nahel, che sarà sepolto sabato nel sobborgo parigino di Nanterre dove viveva ed è stato ucciso.

Gli avvocati della famiglia hanno chiesto ai giornalisti di stare alla larga, dicendo che era “un giorno di riflessione” per i parenti di Nahel.

Il presidente francese è pronto ad adattare il dispositivo di mantenimento dell’ordine “senza tabù” (di fatto: “senza limiti nell’esercizio delle violenza“) e ha fatto appello ai genitori perché “tengano i figli a casa“. Dispiegati 45mila agenti in tutto il territorio nazionale. Uno armamentario da guerra civile che fa a cazzotti con la pretesa di rappresentare un esempio di democrazia liberale…

Macron ha parlato al termine dell’unità di crisi interministeriale. “In questo contesto, chiediamo a tutti i genitori di assumersi la responsabilità: il contesto che stiamo vivendo è frutto di gruppi organizzati e attrezzati ma anche di tanti giovani. Un terzo degli arrestati sono giovani o molto giovani“, ha insistito il capo dello Stato.

È responsabilità dei genitori tenerli a casa. Faccio appello al senso di responsabilità delle famiglie“. Ammettendo così, implicitamente, di governare uno Stato assassino che è un pericolo per i giovani.

Le piattaforme e le reti svolgono ruoli molto importanti“, ha aggiunto, citando TikTok e Snapchat. “Saranno fatte richieste per avere l’identità di coloro che usano i social network per chiamare al disordine“. “Prenderemo diverse misure nelle prossime ore“, ha detto.

In pratica, si avvia una schedatura di massa su centinaia di migliaia di persone pretendendo che le piattaforme consegnino i dati in loro possesso.

L’introduzione dello stato di emergenza e del coprifuoco è stata richiesta da diversi responsabili politici dopo la terza notte di violenze che ha portato a centinaia di arresti, danni a edifici istituzionali e feriti fra le forze dell’ordine.

È morto un giovane, nel pomeriggio di ieri, che nella notte – secondo la polizia –  era caduto dal tetto di un negozio a Petit-Quevilly (Seine-Maritime), a margine dei disordini seguiti alla morte di Nahel. Lo hanno riferito fonti della polizia.

Il giovane, che aveva circa vent’anni, è morto cadendo dal tetto di un supermercato “nel corso di un saccheggio“, ha riferito una fonte della polizia. L’ufficio del procuratore di Rouen ha invece chiarito che il supermercato non era stato teatro “di un attacco da parte dei contestatori“. Come si vede, la polizia continua a mentire come “regola di servizio”…

Intanto l’agente che ha sparato a Nahel – figlio unico di madre single, un’educazione scolastica caotica, una vita senza aver mai conosciuto il padre – si è scusato con la famiglia: è stato accusato di omicidio volontario e il suo avvocato ha raccontato che è “devastato”.

Una mano pietosa ha lasciato un biglietto struggente sul luogo dove il ragazzino è stato ucciso: “Pace a Nahel, che la terra ti sia lieve“. 

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Quelli che seguono sono alcuni articoli apparsi su Mediapart, decisamente più addentro ai movimenti di questi giorni.

Scene degne di un film dove non ci sono “niente più regole, niente più leggi”, un supermercato saccheggiato, una stazione di polizia attaccata a mezzanotte da una cinquantina di rivoltosi, auto incendiate, giovani che si scatenano in una terra senza poliziotti…

La notte da mercoledì 28 giugno a giovedì 29 giugno a Trappes (Yvelines), come ha vissuto – e raccontato – Ali Rabeh, il sindaco (Generation s) del paese, è stato terribile.

«E alla fine ce la stiamo cavando abbastanza bene, perché nessuna attrezzatura pubblica comunale è stata attaccata», sussurra l’assessore comunale. Ricorderà a lungo lo sguardo “determinato” di questi giovani incappucciati, umiliati quotidianamente dalla polizia, oggi traboccanti di rabbia.

Ma anche quella degli abitanti, entrambi traumatizzati dall’assassinio di Nahel, da parte di un poliziotto il 27 giugno a Nanterre, e “disgustati” per aver visto i colpi di mortaio radere al suolo le loro finestre.

All’altro capo della periferia parigina, a Seine-Saint-Denis, l’Île-Saint-Denis non è stata risparmiata: il suo municipio è stato bruciato nella stessa notte. “Da allora, è stata una cellula di crisi dopo l’altra”, descrive Marie Anquez, la prima deputata della città.

I primi tafferugli sono avvenuti poco dopo la mezzanotte, mentre gli eletti si trovavano nelle aule del consiglio comunale. Bidoni della spazzatura bruciati sul ponte che collega la cittadina (situata su un’isola della Senna) a Saint-Denis, petardi, colpi di mortaio. “Un residente ha urlato contro i giovani, poi è arrivata la polizia, finalmente la situazione s’è calmata.»

Tre ore dopo, il municipio ha preso fuoco. La polizia ha trovato bombolette di azoto sulla scena in mattinata. “Tutto il pianterreno è andato a fuoco, tutto il nostro sportello per il pubblico: è il servizio per le nascite, le morti, per le permanenze nei campi estivi… È la vita locale di ogni abitante che è andato all’inferno. Fumo, fa molto effetto, “dice l’eletto.

Prudente sulle motivazioni dei piromani, Marie Anquez descrive sia i tanti segni di sostegno da parte degli abitanti dopo l’incendio sia la loro rabbia, “giustamente”, dopo la morte del giovane di Nanterre. “

Questo dolore, le persone qui lo condividono. Non sono solo i giovani che si perdono, sono tutti quelli che sono preoccupati per un sistema che è diventato fallimentare! Nell’Île-Saint-Denis, siamo in battaglia contro lo Stato dopo l’adozione di un desiderio nel consiglio municipale contro la violenza della polizia, abbiamo anche attaccato lo Stato per violazione dell’uguaglianza territoriale sui servizi pubblici.»

A Seine-Saint-Denis, venti città sono state afflitte da una notte agitata. “C’è stata molta violenza, danni alle strutture pubbliche, autobus bruciati, negozi saccheggiati”, testimonia il presidente del consiglio dipartimentale, il socialista Stéphane Troussel, che descrive “scene di guerriglia urbana, con piccoli gruppi molto mobili“.

È iniziato più velocemente e più forte che nel 2005”, quando i quartieri popolari della Francia erano stati attraversati da rivolte urbane, che avevano portato al decreto dello stato di emergenza, dopo la morte a Clichy-sous-Bois di due adolescenti, Zyed Benna e Bouna Traoré, folgorato durante un inseguimento con la polizia.

A Romainville, il municipio è stato “lapidato tra le 2 e le 3 del mattino, le finestre sono state rotte”, dice Flavien Kaid, capo dello staff del sindaco François Dechy, al termine di una riunione di crisi. Dentro c’erano “il sindaco, i deputati, il direttore generale dei servizi e la polizia municipale”.

A Bagnolet è stato il commissariato – in realtà una semplice dependance del commissariato di Lilas – ad essere parzialmente bruciato. Secondo una fonte locale, le due società CRS mobilitate per l’intera Seine-Saint-Denis erano state occupate molto presto a Bobigny, prefettura del dipartimento.

Ma questo dipartimento emblematico è ben lungi dall’essere l’unico ad essere stato colpito dalla violenza. “La particolarità di questa volta è che i quartieri a bassa tensione sono intervenuti, come a Sceaux e Clamart [Hauts-de-Seine] o Nandy [Seine-et-Marne]”, osserva Philippe Rio, sindaco comunista di Grigny ( Hauts-de-Seine), preoccupato per questo insolito contagio.

Territori abbandonati

Perché gli edifici pubblici vengono presi di mira in questo modo? In che modo i funzionari sul campo interpretano la violenza che attraversa la loro comune? Per Flavien Kaid, gli autori di queste violenze vogliono “attirare la polizia, andare allo scontro”: “Cercano vendetta. Il funzionario comunale chiama in causa “decisioni politiche nazionali”, di fronte alle quali “ci troviamo in prima linea mentre cerchiamo di agire per contrastarle”. “La morte di Nahel è l’ultima goccia”, dice.

A Tourcoing (Nord), Sourida Delaval-Hammoudi, direttrice dell’AAPI, associazione per l’animazione di quartiere e l’integrazione professionale, usa quasi la stessa parola: “Abbiamo avvertito a lungo, abbiamo detto che stava per esplodere, Nahel è la scintilla. »

“Qui, abbiamo richieste locali”, dice. Ma l’elenco che stila riguarda in realtà un lungo elenco di territori che si sentono trascurati: “La mancanza di attrezzature, di occupazione, l’impressione di non essere riconosciuta come cittadina. E poi ci sono tutti i controlli imposti ai giovani, le multe della polizia che non basterà un lavoro per rimborsare…”

Parte della notte, poi tutta la mattinata, in giro per la sua città per capire e misurare l’entità dei danni, il sindaco ambientalista di Colombes (Hauts-de-Seine), Patrick Chaimovitch, è visibilmente stanco. E commosso. Il suo comune è stato molto colpito dagli eventi della notte. L’assessore comunale descrive una salita al potere dopo i primi scontri di mercoledì sera.

“Abbiamo visto tanti giovani, giovanissimi, 14, 17 anni, alcuni un po’ alcolizzati, che bruciavano tutto quello che capitava sotto mano. E il saccheggio, abbiamo avuto difficoltà a seguire quello che stava succedendo.»

Da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

Patrick Chaimovitch, sindaco di Colombes

Gli eventi, “eccezionali” per la loro intensità in questa città operaia, avevano chiaramente Nanterre “come detonatore”, ha detto. “Ma da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

“Precarietà, condizioni abitative precarie, “la vita è concretamente sempre più difficile”, spiega l’eletto. Lo Stato è “presente”, ammette, ma servirebbero “miliardi” in più per risolvere la situazione in una città come Colombes.

A Grigny, il sindaco Philippe Rio teme i giorni successivi, soprattutto perché condivide l’osservazione: “Siamo tutti molto mobilitati, siamo tornati alla modalità 2005. Ma dal 2005 le cose sono peggiorate: sono apparsi i social network, le popolazioni si sono impoveriti, il rapporto con lo Stato si è deteriorato…

Senza contare che con l’aumento delle rette al Grande Borne quest’anno la gente dovrà pagare una tredicesima mensilità che non può permettersi. Nel comune, metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Scrittore, regista, fine conoscitore dei quartieri popolari in cui vive e lavora, Mehdi Lallaoui riferisce che nella sua città di Argenteuil molte famiglie cercano di temperare i giovani più bellicosi.

Ci dicono che quello che sta accadendo è autodifesa, perché non hanno diritto ai media, né alla rappresentanza politica, né all’ascolto, né al rispetto. Spieghiamo loro che ciò che stanno bruciando dipende da noi, che i signori e le signore al potere, stanno al caldo, nei loro bei quartieri, nelle loro scuole private. Ma fanno fatica a sentirlo.»

Mehdi Lallaoui riconosce il carattere “insopportabile” del ripetersi di eventi che colpiscono i giovani dei quartieri. “È una morte, una di troppo”, insiste.

Vedo giovani che attaccano se stessi. Sembra autolesionismo”, aggiunge Nourdine Bara, autrice di romanzi e opere teatrali. Vivendo nel quartiere popolare di La Paillade, a nord di Montpellier, organizza da quindici anni agorà ed eventi, per favorire lo scambio attraverso la cultura.

L’artista sviluppa un’idea paradossale: “Di fronte a questa gioventù nasce un’idea: sarebbe nichilista, distaccata da ogni progetto sociale. Tuttavia, ciò che vedo nel caos e nella furia è proprio l’espressione di un rifiuto della violenza, controintuitivamente. Attraverso questa violenza, la gioventù rifiuta la violenza più devastante: quella del disprezzo e dell’indifferenza

Insiste: “Ciò che ci manca gravemente sono precedenti che ci ricordino che giustizia opera nel nostro Paese” rispetto alla violenza della polizia.

Mehdi Lallaoui dice la stessa cosa. “Questi crimini vanno avanti da quarant’anni e le condanne per chi li commette sono ancora inferiori a quelle che dovrebbero essere“.

Cita la storia di Foued, detenuto ingiustamente nell’affare Viry-Châtillon, e per il quale lo Stato fa il pignolo con indennità compensative. “Tutto questo si sa, se ne discute nei quartieri, la gente è indignata per quella che percepisce come una società a due velocità.»

Riformare la politica della città

Anche intorno a Lione la notte era dura. Incendi e danni hanno avuto luogo a Vénissieux, Villeurbanne, Décines e Vaulx-en-Velin, l’epicentro delle rivolte urbane del 1990. A Décines, anche il municipio è stato gravemente danneggiato da un incendio.

A Villeurbanne, “l’evento più grave è stato l’incendio in un appartamento di rue Balzac, provocato da colpi di mortaio [giochi d’artificio]”, riferisce il sindaco Cédric Van Styvendael.

Abbiamo dovuto trasferire urgentemente dodici famiglie. Grazie alla solidarietà degli abitanti, che in particolare hanno contribuito a far evacuare una persona con disabilità, si è evitata una tragedia”, confida sollevato il sindaco. Qui, tutti hanno in mente l’incendio che ha causato la morte di dieci persone, tra cui quattro bambini, a Vaulx-en-Velin a dicembre.

Come molti eletti locali, il vicepresidente della metropoli di Lione è infastidito dal ritardo nella firma con lo Stato di “contratti di città”, che dovrebbero consentire la distribuzione di mezzi finanziari.

Per Renaud Payre, vicepresidente della metropoli di Lione, responsabile delle politiche cittadine, “la violenza che si esprime oggi è il risultato di un indebolimento dei corpi intermedi dei quartieri: le strutture associative o i centri che sono stati estremamente indeboliti negli ultimi anni”.

Secondo lui, gli eventi devono portare l’esecutivo ad accelerare sulla revisione della politica cittadina: “Abbiamo perso abbastanza tempo. E diciamolo subito, la politica della città non passerà per tutta la sicurezza. Questa è una risposta a brevissimo termine

Come molti eletti locali, è infastidito dal ritardo nella firma dei “contratti di città” con lo Stato, che dovrebbero consentire la distribuzione delle risorse finanziarie, ma che non entreranno in vigore prima del 2024.

Nei nostri quartieri prioritari la povertà è 3,3 volte superiore alla media metropolitana. Sappiamo dove agire: dove la legge comune non si applica

Un residente di Saint-Fons, ai margini di Vénissieux, attivista associativo nel quartiere Clochettes, lamenta anche la scomparsa di assistenti sociali e mediatori che un tempo attraversavano i locali. “Non li vediamo più, e i giovani sono lasciati a se stessi, fanno di tutto, lei si lascia trasportare. Bruciare le auto dei poveri, non capisco, molti non hanno nemmeno l’assicurazione

Testimonia la notte agitata nel suo quartiere – colpi di mortaio, qualche fuoco di rifiuti, rumore fino alle tre del mattino – e la sua preoccupazione.

Ho chiuso la porta, ho tenuto i miei figli e non ho messo piede fuori. Ho troppa paura che succeda loro qualcosa e che si trovino nel posto sbagliato al momento sbagliato… Già, in tempi normali, i poliziotti sono aggressivi contro i nostri figli.»

La polizia accusata da tutti

Infatti, tutti gli eletti, tutti gli attivisti dell’associazione contattati da Mediapart stigmatizzano una “dottrina poliziesca alzo zero che va rivista, altrimenti sarà mancato soccorso a chi è in pericolo”, per riprendere le parole del sindaco di Grigny Filippo Rio.

Stiamo arrivando alla fine di un ciclo che è stato aperto da Sarkozy e dalla sua menzogna Kärcher, che si è concluso con l’eliminazione di 10.000 posti di agenti di polizia (di quartiere) e lo smantellamento dell’intelligence generale”.

Secondo Hamza Aarab di Montpellier, il giovane che “si trascina da anni” ha in primo luogo rapporti conflittuali con la polizia. “I loro controlli, il modo in cui si comportano. La loro arroganza di impunità …”, cita.

Se non avessimo avuto il filmato [nel caso di Nahel], avremmo detto: ‘È un delinquente che si è imbattuto nella polizia.’» (nel filmato si vede e si sente il poliziotto che grida a Nahel “ti ficcherò una pallottola in testa e gli punta la pistola sulla guancia – video visto da tutti anche nelle tv e che ha costretto persino Macron e Darmanin a dire che forse non si erano comportati secondo le regole).

Nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, Stéphane Troussel ricorda da parte sua “i quindici anni di degrado dei rapporti con la polizia, della familiarità, del controllo di facies (somatici) e, più in generale, di un discorso ambientale di estrema destra”.

Di fronte a questa china, “non possiamo continuare così”, lancia il leader politico: “La Repubblica francese si occupa prima di tutto dei servizi pubblici, e un tale livello di risentimento nei confronti della polizia, non è sostenibile.»

Quando tornerà la calma, è ovvio che non saremo in grado di salvare un buon lavoro sui rapporti polizia-popolazione“, afferma anche Cédric Van Styvendael, sindaco di Décines. “Il commissario di Villeurbanne ha sperimentato certe cose nel rapporto con gli abitanti, è un cantiere da aprire.»

Discorso simile per Ali Rabeh, a Trappes, che dieci anni fa ha visto la sua stazione di polizia a tempo pieno sostituita da una semplice antenna, cronicamente a corto di personale. Oggi il sindaco si dice molto pessimista per il futuro. Cambiare il carattere?

È più facile mettere milioni sul rinnovamento urbano, torcere il braccio dei sindaci per costruire case popolari, chiedere ai prefetti di concedere concessioni edilizie… Ci vorranno vent’anni per ricostruire una polizia repubblicana”, ansima.

Le uccisioni a colpi di arma da fuoco di bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, sono diventate qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno.

Salim Gramsi, attivista comunitario di Marsiglia, da cui è appena andato via il presidente della Repubblica, anche Mohamed Bensaada, attivista LFI dei quartieri popolari della città, ritiene che “questa questione del rapporto tra la popolazione e la polizia sta diventando molto preoccupante”.

E il modo in cui Macron è venuto a trovarci qui, fingendo di credere che si possa combattere la droga con i terminali delle carte di credito, è ridicolo”, denuncia.

Nella sua città si guarda con “tristezza” agli avvenimenti di ieri sera, ma senza che la rivolta si propaghi. Come nel 2005. Perché? Osa una nota positiva, rilevando che il fitto tessuto associativo, che svolge molto lavoro sul campo nei distretti settentrionali, funziona. Altri sono molto meno ottimisti.

«Qui da tanto tempo si va oltre ogni immaginazione», si lamenta Salim Gramsi, capo dell’associazione Le Sel de la vie, che riunisce la pletora di associazioni che hanno lavorato intorno all’avventura della requisizione di McDonald’s Saint-Barthélemy nel 14° arrondissement della città.

La sparatoria sui bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, è diventata qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno”, sottolinea. “Vorremmo una reazione identica quando muoiono i nostri giovani. Nessuno però si sta ribellando per Marsiglia, mentre le madri qui, sono come la madre di Nahel, subiscono il martirio”, dice Salim Gramsi.

Chi diffida della “concorrenza delle vittime” nota tuttavia una forma di “fatalismo, di rassegnazione” nella popolazione che lo circonda: “A volte abbiamo cinque o sei morti contemporaneamente, bambini che a volte non hanno solo passeggiate, e non succede niente

Alla marcia bianca per Nahel, un grido di rivolta piuttosto che un minuto di silenzio

di Berenice Gabriel e Khedidja Zerouali

A Nanterre, diverse migliaia di persone si sono unite questo giovedì 29 giugno per rendere omaggio al giovane Nahel, ucciso dalla polizia due giorni prima. Più che una lunga marcia silenziosa, i manifestanti hanno gridato la loro rabbia, quella di aver visto morire di nuovo uno di loro per mano di un poliziotto.

La famiglia del giovane Nahel M. voleva una silenziosa marcia bianca, aveva una rumorosa marea umana, un gran grido del cuore. “Ormai sono finiti i minuti di silenzio, e per chiedere gentilmente, non è più il momento per quello”, lancia un giovane frettoloso tra la folla.

Questo giovedì 29 giugno, a Nanterre, non lontano dal luogo in cui Nahel M. è stato ucciso da un poliziotto due giorni prima, diverse migliaia di persone si sono radunate per gridare la loro rabbia. Erano 6.200 secondo la questura, 20.000 secondo gli organizzatori della marcia bianca.

In mezzo alla folla intere famiglie, attivisti, funzionari eletti, rapper tra cui Dinos o Rohff, casalinghe che aprono la strada ai loro passeggini, anziani che cercano di tenere il passo, giovani che scattano tutto e quelli che non dicono niente, ancora troppo commossi, abbracciati, soffocando qualche lacrima.

Ma, soprattutto, sono tanti i giovani, anche giovanissimi, che si sono mobilitati: la maggior parte sono razzializzati e provengono dai quartieri popolari dell’Île-de-France, dai “sette-sette”, dai “nove -tre”, “nove-quattro”.

Dì a te stesso che anche a Caen si sono mobilitati quando beh è un grande villaggio cosa…”, lancia una giovane donna di Argenteuil. Lì, non c’è Nanterre, non c’è Nanterre, siamo tutti insieme contro questa violenza della polizia, tutti i distretti, ovunque in Francia.

E tutti loro hanno una storia di violenza della polizia da raccontare. I ragazzi raccontano in prima persona, le ragazze raccontano quello che succede così spesso ai loro fratelli.

Questo giovedì, 29 giugno, il silenzio è durato poco. C’era il ruggito dei motociclisti che venivano in bande. I nomi di Zyed e Bouna, Adama, Théo, tutti vittime della violenza della polizia, sono stati cantati molte volte da quando “quando marciamo per uno, marciamo per tutti”.

C’erano anche gli slogan nei megafoni, quelli che dicevano che “tutti odiano la polizia” o che la polizia è “ovunque” ma che la giustizia è “da nessuna parte”. Ci sono state anche richieste di dimissioni del Ministro dell’Interno o del Presidente della Repubblica.

Criminalizzare le vittime per scagionare i colpevoli

All’arrivo, una delle zie di Nahel si stava rimettendo il velo dopo aver urlato sul camion, rattristata dal fatto che né lei né nessuno dei membri della famiglia fosse in grado di parlare alla fine della marcia.

A pochi metri dal punto in cui si è schiantata l’auto guidata dal giovane Nahel, la polizia ha usato gas lacrimogeni all’arrivo del camion degli organizzatori. La famiglia non ha potuto esprimersi, secondo loro restituita al silenzio dall’istituzione che ha appena tolto loro un figlio.

Ho rabbia, ecco cosa provo, rabbia”, ripete Djema, una ragazzina di Nanterre, amica di Nahel. Con Mediapart è preoccupata per la violenza della polizia, e per lei non ci sono dubbi: il suo amico è stato ucciso perché era un giovane arabo dei quartieri popolari.

Nelle discussioni il nome di Nahel finisce presto per mescolarsi a quello di altre vittime della violenza della polizia. Secondo i manifestanti, lo schema è sempre lo stesso nel processo di criminalizzazione delle vittime: la polizia violenta, a volte uccidendo, e molto rapidamente, i leader politici, a volte accompagnati da giornalisti ed editorialisti, indagano sul passato delle vittime.

Per vedere se non c’è motivo di renderli colpevoli. E se non c’è abbastanza materiale per loro, allora arrivano a riesumare le menzioni del trattamento dei casellari giudiziari (TAJ), un fascicolo di polizia che elenca fatti per i quali le persone sono state implicate ma non necessariamente condannate in seguito.

Così, il passato del giovane è stato sviscerato per ore su alcuni canali televisivi e radiofonici. I giornalisti hanno così fantasticato su cosa avrebbe potuto o non potuto fare la 17enne…

Al punto che, su France Inter, la stessa portavoce del ministero dell’Interno ha deciso di ricordare alla giornalista Léa Salamé che questo “non è oggetto del dibattito. Indipendentemente dal fatto che fosse noto o meno alla polizia, quello che è successo, questa tragedia, non è accettabile“.

Nella marcia bianca, Cédric, autista di ambulanze di Nanterre, abbonda: “Niente giustifica l’uccisione. Era disgustato nel sentire, a poco a poco, Nahel passare dallo stato di vittima a quello di sospettato. Per lui si tratta di scagionare la polizia usare il passato del ragazzino in pubblico.

E vuole dirlo: la storia di Nahel è anche la sua e quella di tanti altri uomini razzializzati che vivono nei quartieri popolari. Come altri nel corteo, ha molte storie di brutalità della polizia da raccontare. “Posso raccontarvele tutte, ma resteremmo qui fino a domani”, scherza.

Le vittime razzializzate

Come Djema, ricorda che gli uomini razzializzati hanno maggiori probabilità di subire la violenza della polizia e fa persino paragoni dolorosi. Nel maggio 2023, il figlio di Éric Zemmour è stato causa di un grave incidente in stato di ebbrezza, è stato incriminato.

Lo stesso mese, il figlio di Nadine Morano è stato arrestato dopo un mordi e fuggi, risultando positivo alla cocaina dopo l’arresto. Infine, cita Pierre Palmade, anch’egli risultato positivo alla cocaina dopo un incidente stradale avvenuto nel febbraio 2023 e che ha provocato la morte di tre persone.

Tutti loro sono bianchi, sono stati assicurati alla giustizia ma sono ancora vivi, a differenza del giovane Nahel che ha dovuto affrontare “polizie arbitrarie”.

Per Benjamin, allenatore di educatori sportivi e attivista dei quartieri popolari, ciò che è accaduto nei drammi precedenti si ripete in questo dramma.

Ricorda di essere stato in strada nel 2005 dopo la morte dei giovani Zyed e Bouna ed è ancora lì oggi, con le stesse richieste: giustizia per le vittime e le loro famiglie, una revisione del sistema di polizia e il ritorno dei servizi pubblici nei quartieri, “da oggi l’unico servizio pubblico che rimane qui è l’istituto di polizia”. Per lui, la criminalizzazione delle vittime non è estranea alla loro razzializzazione.

Ai margini del corteo che si sta dirigendo verso la prefettura di Nanterre, la polizia è accorsa in gran numero. Sono debitamente fischiati, anche i manifestanti più anziani danno loro il dito medio.

Il momento non è quindi per la pacificazione ma per la chiara espressione della rabbia. “È esattamente quello che sta succedendo lì che ci serve, se potesse durare diversi mesi sarebbe un bene”, assicura Cédric, il paramedico di Nanterre.

Delle dieci persone che abbiamo intervistato, nessuna ha condannato le violenze perpetrate durante le rivolte di ieri sera. Li capiscono e li supportano. Nessun fischio quando banche e aziende vengono attaccate con mazze e pietre.

Abbiamo cercato di esprimerci in modo diverso. Sui social, sui media, non cambia nulla, spiega Mehdi, studente marocchino di 23 anni che vive in Francia da quattro anni. Ora, dobbiamo cambiare le cose con ogni mezzo. So che continueranno a parlare di arabi e neri che bruciano macchine, ma questa violenza è dovuta a quello che sta succedendo. La rivolta è normale, non staremo a guardare mentre i nostri fratellini e le nostre sorelline vengono uccisi.”

Dopo la morte di Nahel, il potere intrappolato nella sua cecità

di Ilyes Ramdani

Le notti di rabbia nei quartieri popolari hanno riportato il tema della violenza della polizia nell’agenda dell’esecutivo. In assenza di risposte valide, il governo si accontenta per il momento di mostrare la sua compassione e mostrare la sua fermezza.

L’esecutivo ha cambiato piede. A due giorni dalla morte del giovane Nahel a Nanterre (Hauts-de-Seine), il ministro dell’Interno intende reprimere severamente la rivolta che si esprime in diverse città del Paese.

Abbiamo effettuato un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine per questa sera e questa notte”, ha indicato giovedì pomeriggio Gérald Darmanin ai prefetti, riferendosi alla mobilitazione di quarantamila persone, comprese quelle delle forze speciali di intervento come il Raid, il GIGN e il BRI.

Nello stesso messaggio, il numero 3 del governo raccomanda “arresti dall’inizio degli scontri” e una “presenza davanti ai luoghi di pubblico servizio”, come municipi e scuole.

L’ordine pubblico deve essere fermamente ripristinato”, conclude. Il giorno prima e il giorno prima, le forze di polizia e gendarmeria sul campo erano state istruite a non scontrarsi con i giovani.

L’evoluzione delle istruzioni di Place Beauvau (il Viminale francese) non è solo una questione di mantenimento dell’ordine. Riflette il movimento politico del potere, che vuole a tutti i costi evitare la conflagrazione del 2005.

Stiamo tornando su una linea di fermezza perché è l’unico modo per ritrovare la calma”, traduce una fonte di governo. Olivier Véran, portavoce del governo, ha denunciato giovedì mattina su BFMTV “attacchi contro la Repubblica”.

Ed ecco di nuovo Gérald Darmanin nel suo consueto corridoio: la mattina denuncia di violenze, il pomeriggio visita a un commissariato, la sera istruzioni per la repressione.

Giovedì, Matignon ha incaricato i ministri di annullare tutti i viaggi che era possibile annullare. Invece il primo ministro, Élisabeth Borne, e quattro suoi ministri (Gérald Darmanin, dunque, ma anche Éric Dupond-Moretti per la giustizia, Pap Ndiaye per l’istruzione, Olivier Klein per la città) sono andati a constatare sul campo i danni della notte precedente.

Non possiamo ignorare le violenze che abbiamo visto, giustifica un consigliere ministeriale. Non si incendia una scuola in Francia, che si sia legittimamente arrabbiati o meno. Per ora, la nostra risposta può essere solo una sequenza d’ordine.”

Come durante i “gilet gialli” o il movimento contro le pensioni, il campo presidenziale si aggrappa al desiderio di ordine che il suo elettorato manifesterebbe, secondo lui. “La gente è sbalordita dalla morte di Nahel ma ha buon senso, vuole credere a un dirigente di maggioranza. Trovano anche inaccettabile bruciare un municipio o una scuola

Il secondo fine non è privo di significato tattico, nella mente di un ministro e di una maggioranza che hanno fatto dell’”ordine repubblicano” uno dei loro principali indicatori politici. Ma è anche puramente sicurezza: mostrando la sua fermezza, il potere spera di evitare un ancoraggio e una propagazione della rivolta.

Un consigliere ministeriale conferma di “monitorare attentamente” la situazione e prevede: “Fino ad allora le cose non si surriscalderanno ovunque allo stesso modo. Se il 93 si sveglia, siamo fregati

La violenza della polizia assente nel discorso di Macron

Dal punto di vista dell’esecutivo, la morte di Nahel non avviene in un qualsiasi momento. Il Presidente della Repubblica aveva deciso di dedicare la sua settimana ai quartieri popolari. Dopo un viaggio di tre giorni a Marsiglia (Bouches-du-Rhône), dal lunedì al mercoledì, Emmanuel Macron ha lasciato che Elisabeth Borne presentasse venerdì i dettagli del suo piano “Quartieri 2030”.

È stato da Marsiglia che Emmanuel Macron ha saputo della morte di Nahel martedì. Una concomitanza che spiega, vuole credere uno del suo entourage, perché non abbia esitato a qualificare la morte dell’adolescente come “imperdonabile” e “inspiegabile”.

Aveva ragione in questa realtà sul campo, con la parte del suo governo e del suo gabinetto più sensibile a questi temi, sottolinea questa fonte. Ha sicuramente giocato.»

Nel processo, lo stesso Gérald Darmanin ha denunciato “immagini estremamente scioccanti” e ha promesso sanzioni contro “un agente di polizia che chiaramente non ha agito in conformità con la legge o l’etica”.

Un tono che ha sorpreso, per bocca di un ministro piuttosto avvezzo alla difesa incondizionata delle forze dell’ordine. “Non aveva scelta”, suggerisce un influente esponente della maggioranza. “Il Ministero dell’Interno non contraddirà il Presidente della Repubblica! Doveva seguirlo

Nel campo presidenziale non tutti hanno creduto al successo dei “cento giorni di pacificazione” decretati ad aprile da Emmanuel Macron. Gli eventi di ieri sera hanno finito di inondare le speranze dei più schietti. Appena uscito dalla crisi delle rivolte contro la riforma delle pensioni, l’esecutivo si trova impantanato in una nuova crisi sociale e politica.

E il soggetto è tanto più difficile da cogliere per il potere che ha finora ostinato a nasconderlo. Ultimo esempio fino ad oggi, forse il più clamoroso: lunedì sera, quando ha trascorso tre ore in una palestra di Marsiglia per presentare la sua ambizione per i quartieri popolari, Emmanuel Macron non ha avuto una sola parola, un solo provvedimento sulla violenza della polizia.

Eppure, al centro delle richieste degli attori e delle attrici in campo, il rapporto polizia-popolazione è progressivamente scomparso dal software politico.

Le rivolte della settimana la fanno rientrare dalla finestra. Sorprendentemente, il governo spera ancora di farla franca senza rispondere. Mentre già emergono rivendicazioni politiche e critiche alla legge del 2017 sull’uso delle armi, i macronisti rimandano la discussione a domani.

Non rispondiamo nel tunnel dell’emozione,” supplica Maud Bregeon, deputata di Hauts-de-Seine e portavoce di Renaissance. “I soggetti dovrebbero essere posti in posa con tempo calmo. Nessuno ha la testa abbastanza fredda per ragionare con calma su questo oggi.»

Borne mantiene il suo piano di quartiere, contro ogni previsione

Nel governo si impegna il consigliere di un ministro di spicco. “Non facciamo una legge su un fatto isolato, non è così che funziona”, dice. Quale sarebbe l’altezza della vita di un giovane? Per il momento il potere istituzionale riconosce la colpa e la condanna, lascia l’espressione di questa commozione ma ricorda che c’è un quadro per la convivenza. Solo allora arriveremo al tempo delle risposte e della soluzione da trovare.»

Contro ogni aspettativa, venerdì il presidente del Consiglio ha deciso di mantenere il Consiglio interministeriale delle città (CIV). Alla fine, non si svolgerà a Chanteloup-les-Vignes (Yvelines), e per una buona ragione: i sindaci, i parlamentari e lo stato locale hanno fatto una campagna con una sola voce per convincere Elisabeth Borne a non venire. “Sarebbe percepita come una provocazione”, gli è stato detto in sostanza.

Tuttavia, il capo del governo intende essere in prima linea sulla sequenza. Giovedì ha convocato le sue squadre per organizzare per lei un viaggio nei quartieri popolari. “Non vuole che si dica che ha paura di andare nei quartieri o che non può entrarci”, decifra un assistente. Lei è mamma, questa storia l’ha toccata molto, vuole stare con gli abitanti dei quartieri. “Venerdì, quindi, il CIV si svolgerà… ma a Matignon, lontano dai quartieri popolari.

All’inizio della serata, Elisabeth Borne ha inviato tre consiglieri, tra cui il suo capo di gabinetto Aurélien Rousseau, per spiegare ai giornalisti la sua decisione. “Vogliamo dimostrare che abbiamo un forte impegno da parte del governo e non solo una reazione agli eventi”, ha affermato l’entourage del primo ministro. Su Le Figaro, lo stesso entourage ha promesso “annunci forti”. Nessuna, tuttavia, sembra riguardare la questione della violenza della polizia.

Qualcosa da rabbrividire all’interno del campo presidenziale. “O è in grado di annunciare qualcosa che risponda davvero alle preoccupazioni del momento, o risulterà impercettibile”, sintetizza un esponente della maggioranza.

Il consigliere ministeriale sopra citato si impegna: “Non farà che rafforzare l’impressione di disconnessione. Annunciare cose su Anru (Agence Nationale pour la Rénovation Urbaine) è bello, è carino ma insomma … I giovani più arrabbiati diranno “Guarda questi bastardi, si stanno divertendo con noi e non hanno ancora capito niente”. Lei corre un rischio reale.»

 Perché gli edifici e servizi pubblici locali sono prese di mira

di Joseph Confavreux

Mediateche, scuole o centri sociali sono stati presi di mira nella notte tra il 28 e il 29 giugno in varie città della Francia. All’eterna domanda del perché, le scienze sociali hanno fornito risposte sempre più precise dai disordini del 2005.

A ogni scontro tra polizia e giovani dei quartieri popolari, dopo ogni notte di sommossa urbana, sorge una domanda tra gli osservatori ma anche tra i residenti: perché attaccare strutture pubbliche che ancora offrono alcuni servizi in zone spesso disagiate di questa zona?

Dietro questa domanda si cela anche una domanda più sotterranea: cosa c’è nella mente dei giovani che affrontano la polizia, appiccano incendi o spaccano finestre? Le scienze sociali hanno lavorato molto sulla questione, in particolare a partire dai disordini del 2005, e mostrano che è impossibile vedere in questi gesti il semplice nichilismo, persino il banditismo a cui alcune voci vorrebbero ridurli.

Una prima risposta alla domanda richiede di partire dal vagliare cosa significano “servizi” o “strutture” pubbliche in un contesto di rivolte e tensioni urbane.

Attaccare una stazione di polizia il giorno dopo l’omicidio di un adolescente da parte di un agente di polizia, o anche un municipio che ha autorità su una parte della polizia, non ha necessariamente lo stesso significato di attaccare una scuola, un CCAS (centro municipale di azione sociale), un municipio o una biblioteca…

Una seconda premessa ci obbliga anche a rimanere cauti, anche al di là della natura delle istituzioni prese di mira, su ciò che esse possono rappresentare, e il cui significato può rimanere opaco o confuso.

Uno dei giovani che ha partecipato ai laboratori di scrittura organizzati dallo scrittore ed educatore Joseph Ponthus in un complesso residenziale di Nanterre ha detto, a proposito delle rivolte del 2005: “Abbiamo iniziato discutendo su cosa non bruciare. Non le macchine della gente, non la scuola, non il centro commerciale. Volevamo attaccare lo stato. Sintomaticamente, pur affermandosi la volontà di attaccare lo Stato, la scuola, comunque l’istituzione pubblica che ingrana l’intero territorio, viene messa da parte…

Detto questo, e sebbene sia ancora troppo presto per misurare la portata dell’attuale rivolta e per elencare o mappare con precisione ciò che sta attaccando, sembra che le strutture pubbliche siano particolarmente prese di mira.

I ricercatori di scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – concordano sul fatto che si tratta di un gesto eminentemente politico.

Denis Merklen, sociologo

Il solo ministero dell’Educazione nazionale ha così contato giovedì “una cinquantina di strutture scolastiche colpite in varia misura” dagli incidenti avvenuti dopo la morte di Nahel, che ha portato alla chiusura di una “diecina”, principalmente nelle accademie di Versailles, Créteil e Lille.

Per il sociologo Sebastian Roché ci sarebbe addirittura da fare una distinzione su questo tema tra oggi e l’autunno 2005. Interpellato su France Info giovedì 29 giugno, ha giudicato infatti che la rivolta in corso “era molto più orientata verso le istituzioni pubbliche”, mentre i disordini del 2005 avrebbero preso di mira “molte più auto”, anche se allora si erano verificati attacchi contro istituzioni pubbliche – palestre, asili, biblioteche.

Probabilmente il libro più preciso sull’argomento è stato pubblicato dalle Presses de l’Enssib nel 2013 dal sociologo Denis Merklen e si intitola Pourquoi brûle-t-on des bibliothèques? (vedi l’intervista che Mediapart gli ha rilasciato sull’argomento in occasione del decennale dei moti del 2005). Il ricercatore ha dimostrato che circa 70 biblioteche sono state bruciate in Francia tra il 1996 e il 2013 e che il 2005 non è stato uno scenario senza precedenti o inaugurale.

Tuttavia, ha sottolineato Denis Merklen a proposito di questi attacchi alle istituzioni pubbliche, “la loro interpretazione è cambiata dopo i disordini avvenuti in Francia quell’anno, sicuramente come conseguenza dell’ampiezza della mobilitazione.

Prima erano percepiti come atti irrazionali, nichilisti, poi si è parlato di “violenza urbana” e non ancora di rivolte. Perché attaccare un asilo o una palestra? Perché i beneficiari hanno distrutto ciò che era loro destinato? Non era comprensibile. La maggior parte delle letture ne faceva la manifestazione di un deficit, o addirittura di un’assenza di socializzazione politica

Questa interpretazione “nichilista” rimane attiva in alcuni settori della società e in campo politico. È specifico di un modo di guardare ai margini del centro cittadino come un’area popolata da popolazioni “selvagge”, incapaci di rispettare il bene comune o addirittura di distinguere il proprio interesse.

Il sociologo e antropologo Jérôme Beauchez, professore all’Università di Strasburgo, ha recentemente ripercorso la lunga storia di questo sguardo negativo in un libro intitolato Les Sauvages de la civilisation. Regards sur la Zone, d’hier à aujourd’hui, pubblicato dalle edizioni di Amsterdam lo scorso anno.

Tuttavia, anche quando non si canta il ritornello del necessario riordino di un mondo presumibilmente decivilizzato attraverso rinforzi di polizia, coprifuoco o stati di emergenza, la dimensione politica degli attacchi contro le istituzioni politiche rimane talvolta negata.

Quando le istituzioni pubbliche prese di mira sono scuole o centri di azione sociale, ma anche quando chi le prende di mira non appartiene ad organizzazioni referenziate ed è peraltro il più delle volte incappucciato e razzializzato.

Al contrario, quando il movimento poujadista ha attaccato gli uffici delle imposte, quando i militanti della FNSEA hanno attaccato le prefetture manu militari o quando i pescatori-marinai hanno appiccato il fuoco al Parlamento regionale della Bretagna nel febbraio 1994, la dimensione politica del gesto è stata immediatamente letta come tale. Non è quindi la violenza in sé che distinguerebbe il grano politico dalla pula tumultuosa e dall’ubriachezza.

Per Denis Merklen, il prendere di mira le istituzioni pubbliche durante gli episodi di rivolte urbane è davvero di natura politica, e anche in un certo senso squadrato.

Oggi, dice, i ricercatori delle scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – sono concordi nel vedere in questo, invece, un gesto eminentemente politico. Perché questo? Perché le persone che vivono nei quartieri popolari, più di altre, sono in costante contatto con le istituzioni pubbliche per risolvere i problemi della loro vita quotidiana.

Attaccarli è un modo per significare questo faccia a faccia. Non è un deficit di politicizzazione, ma un cambiamento della politica popolare – cioè del modo di fare politica per categorie popolari – attraverso la territorializzazione dei conflitti sociali

Per il sociologo, i rivoltosi manifestano così “il conflitto in cui sono coinvolti quotidianamente. Negli sportelli amministrativi, luogo principale di interazione, esclusioni e difficoltà di accesso, si concretizzano in un disprezzo fortemente sentito.”

L’antropologo Alain Bertho, professore emerito all’Università di Parigi VIII, ha dedicato gran parte del suo lavoro alle rivolte urbane, in Francia e all’estero, per comprendere la globalizzazione di questo vocabolario della protesta e identificarne le forme nazionali o locali. Ne ha tratto due libri, Le Temps des émeutes, pubblicato da Bayard nel 2009, poi Les Enfants du caos, pubblicato su La Découverte nel 2016.

In questi due lavori il ricercatore insiste anche nel tenere conto della dimensione politica delle rivolte, proprio quando questa è talvolta oscurata dal fatto che queste rivolte non prendono le strade della politica istituzionale, né quelle del gesto rivoluzionario che prende di mira luoghi incarnando il potere nella maestà, e non una palestra o l’antenna di un centro di previdenza sociale.

C’è stato un dibattito nel 2005, ci ha spiegato Alain Bertho all’epoca della rivolta dei “gilet gialli”, “sulla questione se queste rivolte fossero un movimento politico, proto-politico o apolitico. Mi è rimasta scolpita in testa la risposta datami da chi poi aveva bruciato le auto: “No, non è politica, ma volevamo dire qualcosa allo Stato.

Come dire più chiaramente che la politica di partito e parlamentare, ai loro occhi, era inutile per dire qualcosa allo Stato?”.

In questa stessa intervista, Alain Bertho ha anche insistito sulla necessità di essere “attenti al repertorio d’azione che è il linguaggio della sommossa”, distinguendo in particolare tra sommosse con e senza saccheggio.

In questo repertorio d’azione in realtà plurale della rivolta, a volte mascherato dalle immagini ripetitive di fumo e scontri, gli attacchi contro le strutture pubbliche occupano un posto specifico e paradossale.

Una specificità delle rivolte urbane in Francia è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, in parte perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

Il paradosso, però, probabilmente non è solo quello che si sta già formulando su larga scala, nei micro-marciapiedi che si chiedono perché alcuni giovani attacchino istituzioni che dovrebbero servirli e servire, o addirittura in bocca a ricercatori, come Sebastian Roché giudica, sempre su France Info, che in questo momento stiamo assistendo a una “disperazione che le popolazioni rivolgono contro se stesse”.

Sta anche in quanto sottolinea Denis Merklen, ovvero che, per le persone che vivono nei quartieri popolari, “i servizi pubblici sono l’unica risorsa per i loro bisogni più elementari, legati all’istruzione, alla salute, ai trasporti, all’alloggio, all’energia e alla cultura.

Quasi tutti gli aspetti della loro vita quotidiana sono nelle mani delle istituzioni pubbliche. È una situazione paradossale, perché dovuta anche alla solidità e alla penetrazione del nostro Stato sociale che assicura, come meglio può, solide reti di sicurezza”.

Queste reti di sicurezza oggi sono certamente meno numerose e solide rispetto a dieci anni fa, a causa della disgregazione dei servizi pubblici, ma resta il fatto che una specificità delle rivolte urbane in Francia, rispetto ad altri Paesi, è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, anche perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

In ogni caso, questo è quanto emerge dal lavoro co-curato dai sociologi Hugues Lagrange e Marco Oberti l’anno successivo ai disordini del 2005, intitolato Émeutes urbaines et protestations pubblicato da Presses de Sciences Po.

Il libro collettivo ha offerto in particolare un confronto tra la situazione italiana e britannica, ricordando che la società francese è “caratterizzata da uno Stato centralizzato, servizi pubblici potenti, un forte richiamo alla laicità, antiche immigrazioni legate a una dolorosa storia coloniale e alla decolonizzazione”.

Per i curatori di questo libro, il confronto internazionale delle proteste urbane ha portato a uno “strano paradosso. La maggiore efficienza della società francese nel combattere le disuguaglianze sociali e nel garantire contemporaneamente una migliore protezione sociale produce un forte sentimento di esclusione, soprattutto nei quartieri più segregati della classe operaia e degli immigrati.”

Tanto più che leggendo Hugues Lagrange e Marco Oberti, i francesi, a differenza degli inglesi, erano «dotati di occhiali costruiti per non vedere questa segregazione etnica».

Una situazione in gran parte legata ad un pensiero della Repubblica e ad un’organizzazione territoriale dei suoi servizi pubblici che, a furia di voler essere “daltonici”, si rivelano ciechi alle discriminazioni etnorazziali che le loro stesse istituzioni pubbliche possono tuttavia riprodurre.

Questo è ovviamente il caso di questa particolare istituzione, la polizia, come aveva già mostrato il sociologo Didier Fassin nel suo libro La Force de l’ordre, che esplorava il razzismo presente all’interno di alcune unità del BAC in particolare e la crescente distanza tra la polizia e più in generale gli abitanti dei quartieri popolari.

Ma vale anche per le istituzioni che, al contrario, hanno cercato di ridurre la distanza tra le istituzioni e le popolazioni a cui si rivolgono. Riguardo al caso particolare delle biblioteche, Denis Merklen ha osservato che esse “hanno svolto un’immensa quantità di riflessione autocritica. Hanno rinnovato i loro approcci; hanno aperto”.

Ma, ha proseguito, non possono, come qualsiasi servizio pubblico preso isolatamente, “risolvere i problemi economici e sociali che sorgono in questi quartieri”, a causa “della situazione catastrofica del mercato del lavoro” che fa sì che “molti abitanti possano non contano più sullo stipendio” e hanno solo i servizi pubblici – e non più i datori di lavoro – come interlocutori della loro situazione sociale. Il che può portare alla distruzione di un municipio piuttosto che al rapimento di un padrone …

NB: l’interpretazione delle scienze sociali degli obiettivi colpiti dalle rivolte dimentica un aspetto cruciale: i giovani avvertono perfettamente di essere considerati “posterità inopportuna” (mentre sino a prima della controrivoluzione capitalista liberista globalizzata erano trattati come futura manodopera da “educare e quindi disciplinare” per la prosperità della Francia per la quale i genitori furono fatti immigrare.

I quartieri popolari “ideali” dal punto di vista dominante erano strutturati per forgiare la posterità utile alla prosperità … ma dopo gli anni ’80 e ’90 questi quartieri sono diventati luoghi di reclusione di una popolazione giovanile indesiderabile, inopportuna, superflua, quindi oggetto di criminalizzazione razzista … i servizi sociali sono diventati organismi di controllo, di angherie, di discriminazioni quotidiane …

E’ alquanto singolare che si pretenda capire le rivolte senza conoscere qual è concretamente la vita quotidiana nelle banlieues, cosa succede negli edifici pubblici comprese le scuole oltre che nei centri per disoccupati ecc. (Vedi in particolare “Una posterità inopportuna”, in Mobilità umane, p. 146-153)

Nahel: per i servizi segreti il pericolo arriva dall’estrema sinistra e da Mbappé

di Sarah Brethes e Matthieu Suc 

In una nota dedicata alle reazioni nei “quartieri sensibili” dopo l’assassinio di Nahel, l’Intelligence Territoriale sottolinea i presunti rischi generati da semplici inviti a manifestare. Vengono citati anche i commenti pubblici di Omar Sy e dell’attaccante del Psg Kylian ‘Mbappé.

In un’intervista pubblicata mercoledì da Le Point, Bernard Émié, capo della Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE), ha ricordato lo scopo di un servizio di intelligence: “illuminare” i politici, per permettere loro di “vedere il lato inferiore delle mappe”.

Viene da chiedersi cosa avranno pensato quello stesso giorno gli uomini e le donne che, all’Eliseo, a Matignon ea Place Beauvau, al Ministero dell’Interno, hanno letto la nota firmata dal Servizio Centrale di Intelligence Territoriale (SCRT, vecchi GR).

Datata questo mercoledì, è intitolata “Reazioni nei quartieri sensibili dopo la morte di Naël a Nanterre” e aveva lo scopo di informare i decisori politici sui rischi di una protesta violenta.

La nota deriva dal “D3” e dal “D4”, vale a dire le divisioni delle derive urbane (D3) e della documentazione e vigilanza tecnica (D4) dell’Intelligenza Territoriale. I suoi autori riproducono su nove pagine un catalogo di negativi. Con, a corredo, una rassegna stampa dei social network, la cui rilevanza può lasciare alcuni perplessi.

Leggere la copertina, che riassume il tutto, non trarre in inganno sulla natura del pericolo corso dalla Repubblica dopo l’uccisione di un adolescente di 17 anni da parte della polizia. “La presenza di attivisti di estrema sinistra nelle varie manifestazioni rischia di generare incidenti.

L’attività dei social network su questo tema evidenzia la volontà dei gruppi di estrema sinistra di “convergere le lotte” con il comune denominatore “violenza poliziesca”. E come intende fare l’estrema sinistra per generare incidenti? Trasmettendo “gli appelli alla mobilitazione, venerdì sera alle 20 davanti ai municipi”. Quindi per dimostrare.

Se sette righe sono dedicate all’estrema destra che “si posiziona a favore della polizia” e i cui commenti “evocano una sparatoria ritenuta legittima contro “la feccia”, al “movimento di protesta di estrema sinistra” si consacra una pagina intera.

Perché così tanto? Senza dubbio perché le parole che questo movimento reggerebbe sono di una virulenza rara. Beh no. La nota dettaglia il contenuto della pagina Twitter del collettivo Cerveaux non disponibles, la cui colpa sembra aver trasmesso il messaggio “Giustizia per Naël”.

I cervelli non disponibili stanno aggravando il loro caso, secondo il servizio di intelligence, rilasciando foto dell’adolescente ucciso da un agente di polizia, oltre a illustrazioni di incendi di rifiuti. “Queste immagini generano discorsi anti-polizia come ‘i nostri figli non sono un gioco per i poliziotti’”, preoccupa la SCRT.

Altrettanto allarmante, secondo loro: sulla sua pagina Twitter, l’offensiva antifascista di Bordeaux “parla di un elenco di vittime della polizia che torna a crescere”. Infine, non sfugge agli investigatori dell’Intelligence Territoriale che Attac France abbia ritwittato un messaggio di un suo portavoce che denunciava il fatto che si potrebbe “morire per un controllo stradale” e che la “polizia sta mentendo”. Difficile, così com’è, vedere i semi di una protesta violenta.

Citati i messaggi di Kylian Mbappé e Omar Sy

Gli autori della nota notano inoltre che il termine “Nanterre” è utilizzato in più di 80.000 tweet. “E 400.000 retweet”, insistono gli ufficiali dell’intelligence. Principalmente a causa, secondo loro, “del movimento di protesta di estrema sinistra, della protesta ambientalista e delle organizzazioni delle scuole superiori”. Ma non solo.

Si parla anche di “personalità popolari in quartieri sensibili”. Così, sottolinea la nota di RT, “Kylian Mbappé e Omar Sy hanno postato messaggi in omaggio alla vittima, denunciando anche “una situazione inaccettabile””.

Non contenti dell’estrema sinistra e degli ultracelebri personaggi, gli ufficiali dell’intelligence dedicano due terzi di pagina a una categoria la cui esistenza fino ad allora era stata ignorata nei reportage dei servizi interessati: gli “influencer islamisti”.

Infatti, secondo gli RT, alcuni influencer e attivisti di questo movimento propagherebbero l’idea di “islamofobia di Stato” e di “razzismo ricorrente nelle forze di polizia”. Diverse pubblicazioni in tal senso sono state rilevate sui social network.

E per citare la giornalista Feïza Ben Mohamed, che lavora nell’ufficio francese dell’Agenzia Anadolu, l’agenzia di stampa del governo turco. Quella che sul suo profilo Twitter afferma di essere una “specialista in questioni di islamofobia” consigliava sul suo account: “Filmate la polizia. Sempre. Ovunque. Soprattutto quando si avvicina ai neri o agli arabi “…

Il secondo ad essere seguito dalla SCRT è un altro giornalista militante: Sihame Assbague. E perché ha attirato l’attenzione dei servizi segreti? Perché Sihame Assbague “rilancia l’hashtag “#PoliceKill” e dichiara che spesso sono le stesse categorie socio-professionali, cioè “nordafricani, neri, classi lavoratrici” ad essere vittime durante le “violenze” e gli “assassini” commessi dalla Polizia”.

Citata anche l’associazione Prospettive musulmane. Ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha affermato che “i musulmani e le persone di colore sono un bersaglio gratuito in questo paese” e ha evidenziato “una legge di ispirazione islamofoba” per stabilire una nuova licenza di uccidere. .

Il periodo pre-estivo con, inoltre, tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi.

Intelligenza territoriale

Solo l’esempio di un convertito diventato predicatore salafita che si accende sul suo canale Telegram per accusare in particolare la polizia di essere «una mafia che uccide a freddo» sembra rientrare nell’opera di monitoraggio di un servizio di intelligence.

Senza alcun collegamento con quanto sopra, la SCRT sottolinea inoltre che “nessuna comunità straniera ha commentato questo evento [l’assassinio de Nahel – ndlr], né ha chiesto una marcia bianca”.

La nota si spinge fino a tracciare un parallelo con “la comunità guineana di Angoulême” che, “di fronte alla morte di uno dei suoi membri durante un controllo di polizia il 14 giugno”, non ha rilasciato alcun commento. Se abbiamo capito bene, tra le comunità che piangono la morte di uno di loro ucciso da un agente di polizia, i più encomiabili sarebbero quelli che non reagiscono.

Occorre attendere l’ultima pagina e il commento proprio degli autori della nota per ottenere una parvenza di analisi: “l’emozione e la rabbia suscitate da questo evento […] rischiano di innescare turbe dell’ordine pubblico”.

E leggete quelle che potrebbero sembrare informazioni sul presunto oggetto della nota: “Alcuni giovani di quartieri prioritari, come Hem (59), hanno già annunciato il ripetersi della violenza urbana e, a Mantes-la-Jolie, è stato lanciato un appello lanciati per raggiungere Nanterre questa sera e questa notte in convogli.»

E poi le ultime due frasi richiamano il contenuto dell’insieme. “Il periodo pre-estivo con peraltro tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi. Sono quindi da attendersi incidenti su tutto il territorio”.

Il caldo ecciterebbe i giovani, più della morte di un adolescente, a sua volta giudicata “imperdonabile” da Emmanuel Macron.”

Gli autori della nota non sono noti; non è firmato. Ma nei servizi di intelligence, la procedura implica che le note debbano essere rilette in teoria, o addirittura modificate dalla catena gerarchica prima di essere distribuite all’Eliseo, a Matignon e ai ministeri interessati. A fortiori quando il soggetto è sensibile.

articoli presi da mediapart.fr – traduzione a cura di Salvatore Palidda per Osservatorio Repressione

Fonte: Contropiano

Francia: quando brucia “il giardino di casa”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/03/francia-quando-brucia-il-giardino-di-casa-0162037

La morte di Nahel M. – il giovane 17enne ucciso dalla polizia a Nanterre la mattina di martedì 27 luglio – ha scatenato una reazione inedita per intensità e continuità degli ultimi vent’anni rispetto ad episodi analoghi avvenuti ai danni degli abitanti delle periferie.

In ciò che gli organi di informazione hanno universalmente definito “una notte più calma delle precedenti” – tra sabato e domenica – sono state fermate 719 persone, 45 tra poliziotti e gendarmes sono rimasti feriti, 577 veicoli e 74 edifici sono stati incendiati, ma sono stati contabilizzati ben 871 incendi – secondo il Ministro dell’Interno – nella pubblica via.

Non proprio un “ritorno alla normalità”.

Se lo Stato non è ricorso all’“etat d’urgence” – come fece nel 2005 dopo dodici notti di émeutes – le misure intraprese non sono certo state meno drastiche: il dispiegamento di più di 45mila effettivi delle forze dell’ordine, mobilitando i blindati della Gendarmeria (come al livello più alto del movimento dei Gilets Juanes nel dicembre 2018), delle unità specializzate del RAID, del GIGN e della BRI e degli elicotteri che hanno trasformato le tre principali città francesi come Parigi, Lione e Marsiglia in zone di occupazione militare a tutti gli effetti.

Non solo le maggiori metropoli dell’Esagono hanno conosciuto “notti di fuoco”, ma anche quasi tutte le città di media grandezza, oltre ai Territori d’Oltre-Mare (DOM-TOM); segno di una estensione della rivolta che non si è fermata alla periferia parigina ma la Francia urbana nel suo complesso.

Di fatto, nei giorni scorsi, tutti gli eventi ‘mondani’ e scolastici sono stati cancellati preventivamente, i mezzi di trasporto locale come bus e tram hanno cessato di funzionare alle nove di sera, ci sono stati differenti divieti prefettizi per manifestazioni e l’imposizione di numerosi coprifuoco.

Il soldato francese dei reparti speciali, di guardia al “giardino”, incredibilmente è armato con un fucile d’assalto Vepr-12 di fabbricazione russa

Macron ha fatto sapere, venerdì mattina, che era pronto ad ogni evenienza “senza tabù”, scegliendo di mostrare i muscoli – come invocato da conservatori ed estrema destra – piuttosto che cercare di calmare gli animi.

Il governo non è ricorso quindi ad una legge approvata nel 1955 – nel contesto della lotta di liberazione algerina (1954-1962) – com’è stato dopo quasi due settimane di scontri notturni in seguito alla morte a Clichy-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) di Zyed Benna e Bouna Traoré -, anche se il tuo utilizzo è stato comunque fortemente caldeggiato dai gollisti di LR e al neo-fascista Éric Zemmour.

E’ stata però imposta una notevole militarizzazione, con un numero decisamente elevato di fermi che, nella notte tra venerdì e sabato, hanno superato il migliaio, e poco più di 700 nella notte successiva.

La strategie giudiziaria è stata subito quella della tolleranza zero nei confronti dei fermati e delle loro famiglie, considerando che per esempio nella notte tra giovedì e venerdì un terzo dei 900 fermati, erano minori e quindi con una età compresa tra i 14 e 18 anni.

Il Presidente e l’esecutivo, invece che mettere in discussione il processo di fascistizzazione crescente tra le forze dell’ordine – con il comunicato del maggiore sindacato di polizia Alliance, insieme alla branca di categoria dell’UNSA che venerdì ha affermato espressamente di “essere in guerra contro orde selvagge” – ha spostato il baricentro dell’attenzione sulla responsabilità delle famiglie dei ceti popolari, inasprendo quel processo di colpevolizzazione delle classi subalterne che è uno dei tratti dei suoi due mandati di Macron.

Sono di fatto cadute nel vuoto le parole di Ravina Shamdasani, porta-voce dell’Alto Commissariato dell’ONU ai diritti dell’uomo: «è il momento per il paese di affrontare seriamente i profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine».

Una conferma del “doppio standard” che l’Occidente applica riguardo al rispetto dei diritti dell’uomo: strumentalmente agitati quando si tratta di attaccare un avversario, ma ignorati quando vengono calpestati in quello che Josep Borell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha di recente definito “il giardino” contrapponendolo alla presunta “jungla”, che sarebbe il resto del mondo.

Il Ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, ha insistito nel dire che «non è lo Stato che educa i figli», rincarando la dose rispetto a ciò che aveva affermato Macron, e facendo appello ai genitori affinché di fatto impedissero loro di uscire di casa, per accettare invece passivamente quest’ennesimo sviluppo della torsione autoritaria.

L’altra “crociata” lanciata dall’esecutivo è stata quella contro le reti sociali come Snapchat e TikTok, ampiamente usate come strumento di comunicazione e di organizzazione di questi giorni.

Alla faccia della “libertà di informazione”, Dupont-Moretti vuole procedere di fatto ad un processo di identificazione di massa di coloro che hanno usato queste applicazioni durante le rivolte, ricorrendo a tipologie di reato comunemente utilizzate per associazioni criminali.

Macron non ha perso tempo nel denunciare “l’inaccettabile strumentalizzazione” di una parte de La France Insoumise di ciò che stava avvenendo. Gli ha subito risposto jean-Luc Mélanchon dicendo che «le elucubrazioni contro la LFI non coprono le responsabilità di coloro che hanno creato questa situazione».

E non sembra che da questo impasse politico il Presidente e l’Esecutivo vogliano uscire con una soluzione che non sia il “pugno di ferro”, attaccando tutti i coloro che stanno mettendo in evidenza le storture di un modello di sviluppo in cui precarietà lavorativa, segregazione urbana, e razzismo istituzionale sistematico sono la condizione esistenziale per milioni di persone dei ceti subalterni che vivono nei quartieri popolari.

É chiaro che la settimana appena conclusa ha fatto emergere un elemento ben spiegato da Erwan Ruty, responsabile associativo e autore di Une histoire des banlieus française – mai tradotto in italiano – al quotidiano Le Monde:

«il movimento sindacale, associativo, politico riusciva ad inquadrare fino agli anni 2000 la rabbia delle banlieue. Oggi l’ estrema destra la rinfocola, e l’estrema sinistra non riesce ad occuparsene. E due mondi si squadrano in cagnesco uno di fronte all’altro: i giovani e la polizia».

La crisi politica in Francia è talmente grave che, in tempi differenti, diverse porzioni sociali si sono mobilitate con modalità comunque radicali contro il ‘Presidente dei Ricchi’ ed i suoi governi durante questi due mandati: il movimento dei gilets jaunes, il primo e poi il secondo movimento contro la riforma pensionistica, le mobilitazioni contro la gestione della pandemia e, non ultimo, la legittima rabbia dei giovani delle periferie, oltre alle lotte ecologiste e quella di singoli comparti della classe lavoratrice.

Ora, “il giardino” ha preso fuoco, e non è chiaro quando verrà domato l’incendio.

La  legittima rabbia che ha scatenato l’assassinio poliziesco a sangue freddo di un 17enne incensurato è frutto di una crisi sistemica (economico, istituzionale e politica) che non sembra avere altra soluzione, per le élite, se non la fascistizzazione strisciante dei suoi apparati.

Qui ormai liberisti, conservatori ed estrema destra vanno avanti a braccetto, svolgendo solo pro forma ognuno una parte differente.

É una sfida, a cui la sinistra di classe, non solo in Francia, è chiamata a dare una risposta all’altezza perché, dopo la pandemia ed in tempi di guerra, dalle ceneri della governance neoliberista sta sorgendo una filosofia di governo tesa a sbriciolare le residuali garanzie democratiche e lo Stato di Diritto.

Per fare la guerra ai poveri.

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 2 Luglio 2023, ore 16:34

Fonte: Contropiano

La repressione “senza tabù”

di Franco Astengo

La tirannia deve esistere
ma non per questo il tiranno merita scuse”
John Milton, The lost paradise, XII vv 95 – 96)
https://contropiano.org/interventi/2023/07/03/la-repressione-senza-tabu-0162041

Come si può definire una democrazia come quella francese strutturata in una forma del tutto sbilanciata verso il “governo” in luogo della “rappresentanza” e nella quale un Presidente eletto direttamente proclama una “repressione senza tabù” verso moti di popolo alimentati da disuguaglianze soffocanti, imperante razzismo, periferie abbandonate a un degrado economico,morale, culturale, politica esercitata attraverso vuoti populismi?

La migliore definizione di tirannide, da ritenersi facilmente valida anche per l’attualità si trova nella Repubblica di Platone:

La tirannide nasce da una trasformazione della democrazia. La transizione della democrazia in tirannide è dovuta, come nel caso dell’oligarchia, proprio al bene dominante che è perseguito in quel regime”.

L’esito della democrazia è, per Platone, la violenza della tirannide, perché la democrazia stessa non si fonda su nessuna forma e idea comune, ma privatizza a un tempo la ragione pratica e la ragione teoretica, riconducendola interamente agli arbitrii individuali.

In una simile prospettiva, la tesi platonica potrebbe essere resa più comprensibile al lettore contemporaneo in questi termini: la tirannide è l’esito di un processo di privatizzazione radicale del potere che s’innesca quando i regimi democratici non sanno o non vogliono mantenere una regola pubblica e comune.

Oggi in un quadro generale di arretramento complessivo delle forme di democrazia liberale la guida delle grandi potenze è sempre più facilmente affidata a una spiccata dimensione del potere personale.

Un potere personale improntato a forme giudicabili come di vera e propria tirannia pur suffragata da più o meno regolari plebisciti (ed è questo il nodo del presidenzialismo/premierato italiano).

Il quadro generale è quello di una degenerazione complessiva delle forme di democrazia liberale

La dottrina cattolica distingue tra il “tiranno per usurpazione” (tyrannus in titula, cioè che ha preso il potere illegalmente) e il “tiranno per oppressione” (tyrannus in regimine, cioè che abusa del potere che ha ricevuto legalmente).

 In una società complessa, di capitalismo avanzato, si pensava a una “spersonalizzazione” del potere, invece ci troviamo in una fase che potremmo davvero definire di “arretramento storico”.

Così non si può dimenticare il titolo maoista “Ribellarsi è giusto”. 

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 3 Luglio 2023, ore 7:42

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus