rivoluzione

“APRI LA PORTA O LA BUTTO GIU’!”

“APRI LA PORTA O LA BUTTO GIÙ”
Con queste parole la polizia stamattina alle 7.00 ha bussato alle porte di Fede, Emma, Ismaela, Tania e Davide a Padova. 
Il motivo?  
Per il PM risultano persone pericolose da quando, pochi giorni fa, erano state fermate “armate di gessetti e cartelloni”.

https://api.whatsapp.com/send?text=5+PERQUISIZIONI+PER+DEI+GESSETTI+La+polizia+a+Padova+ha+appena+fatto+irruzione+nelle+case+di+Fede,+Emma,+Ismaela,+Tania+e+Davide,+perquisendole+e+sequestrando+loro+cellulari,+computer+e+altro+materiale.+++Le+cinque+cittadine+erano+“sospettate”+perché+poche+settimane+fa+sono+state+fermate,+all’ingresso+di+un+museo,+“armate+di+gessetti+e+cartelloni”.++Non+è+uno+scherzo.+E’+molto+grave:++🤝Condividi+e+sostieni+come+puoi+la+raccolta+fondi++Insieme+possiamo+resistere+https://l.ultima-generazione.it/dona-aiuto-cittadine-perquisite-padova&link_id=2&can_id=8caae82a526bb9278d901f10abbffcb0&source=email-apri-la-porta-o-la-butto-giu-3&email_referrer=email_2305321&email_subject=apri-la-porta-o-la-butto-gi_

Invece del classico “ blitz” di Ultima Generazione, questa mattina c’è stato un vero blitz della polizia. Dall’altra parte del telefono, abbiamo sentito grida e un continuo mettere giù il telefono. Durante l’irruzione la digos ha impedito a Ismaela di fare chiamate o video, anche quando ricordato al telefono dall’avvocato che fosse suo diritto.

La Digos è passata a casa di tutte le persone coinvolte e ha sequestrato telefoni e computer. 

Abbiamo saputo che la perquisizione e il sequestro sono stati ordinati dallo stesso PM che pochi mesi fa voleva processare Ultima Generazione per associazione per delinquere.

Le cinque cittadine erano “sospettate” perché poche settimane fa sono state fermate, all’ingresso di un museo, “armate di gessetti e cartelloni”. Chiaramente questi gessetti sono prova delle loro pericolose intenzioni… 

Fede, Emma, Tania, Ismaela e Davide sono persone comuni:

Ismaela ed Emma sono studentesse dell’università di Padova. Davide è un ricercatore in chimica, mentre Tania sta facendo un dottorato in psicologia.

Fede ha appena 17 anni.

E’ ingiusto che questo venga fatto a persone comuni che stanno semplicemente chiedendo un futuro dignitoso per sé e per tutti, protestando in modo pacifico e nonviolento.

Aiutaci a diffondere la notizia e la raccolta fondi!

Clicca qui per condividere via Whatsapp

Clicca qui per condividere via Facebook

Grazie davvero per essere sempre al nostro fianco 🧡

Vuoi partecipare alla mobilitazione a Roma? Entra nella community 

👇

Con amore e determinazione,

Ultima Generazione 🧡

English translate

“OPEN THE DOOR OR I’LL THROW IT DOWN!”

“OPEN THE DOOR OR I’LL THROW IT DOWN”
With these words the police knocked on the doors of Fede, Emma, ​​Ismaela, Tania and Davide in Padua this morning at 7.00.
The reason?
According to the PM, they appear to be dangerous people since, a few days ago, they were stopped “armed with chalk and placards”.

https://api.whatsapp.com/send?text=5+PERQUISIZIONI+PER+DEI+GESSETTI+La+polizia+a+Padova+ha+appena+fatto+irruzione+nelle+case+di+Fede,+Emma,+Ismaela,+Tania+e+Davide,+perquisendole+e+sequestrando+loro+cellulari,+computer+e+altro+materiale.+++Le+cinque+cittadine+erano+“sospettate”+perché+poche+settimane+fa+sono+state+fermate,+all’ingresso+di+un+museo,+“armate+di+gessetti+e+cartelloni”.++Non+è+uno+scherzo.+E’+molto+grave:++🤝Condividi+e+sostieni+come+puoi+la+raccolta+fondi++Insieme+possiamo+resistere+https://l.ultima-generazione.it/dona-aiuto-cittadine-perquisite-padova&link_id=2&can_id=8caae82a526bb9278d901f10abbffcb0&source=email-apri-la-porta-o-la-butto-giu-3&email_referrer=email_2305321&email_subject=apri-la-porta-o-la-butto-gi_

Instead of the classic Ultima Generation “blitz”, this morning there was a real police blitz. On the other end of the phone, we heard shouting and constant putting down the phone. During the raid, the digos prevented Ismaela from making calls or videos, even when reminded on the phone by the lawyer that it was her right.

Digos went to the homes of all the people involved and seized phones and computers.

We learned that the search and seizure were ordered by the same prosecutor who a few months ago wanted to try Ultima Generazione for criminal conspiracy.

The five citizens were “suspected” because a few weeks ago they were stopped at the entrance to a museum, “armed with chalk and posters”. Clearly these chalks are proof of their dangerous intentions…

Fede, Emma, ​​Tania, Ismaela and Davide are ordinary people:

Ismaela and Emma are students at the University of Padua. Davide is a researcher in chemistry, while Tania is doing a doctorate in psychology.

Fede is just 17 years old.

It is unfair that this is done to ordinary people who are simply asking for a dignified future for themselves and for all, protesting in a peaceful and nonviolent way.

Help us spread the word and raise funds!

Click here to share via Whatsapp

Click here to share via Facebook

Thank you so much for always being by our side 🧡

Do you want to participate in the mobilization in Rome? Join the community

With love and determination,

Ultima Generazione 🧡

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente dalla Geoingegneria Solare SRM

GUARDA IL VIDEO DELLA RIVOLUZIONE CHE VOGLIAMO

Ecco come ci riprendiamo il potere

Ciao Alessio, hai letto gli ultimi dati? 

L’Italia di Meloni continua ad avere il primato europeo per finanziamenti pubblici alle fonti fossili, quando proprio lo scorso anno la crisi climatica ha causato oltre 11 miliardi di euro di danni. Ci stanno portando a tutto gas verso il collasso, sostenendo le energie fossili 10 volte di più delle rinnovabili.  

Stanno conducendo il Paese al tracollo e continuano a rifiutare qualsiasi responsabilità. Ora sta alle cittadine e ai cittadini comuni fare un passo avanti e difendere la propria terra, le proprie famiglie, il proprio futuro. Questo è il momento per organizzarsi e pretendere democrazia.

Abbiamo un piano. Assieme a te, questo Maggio a Roma possiamo fare la storia. “La storia siamo noi”. Non c’è alternativa. 

Vuoi vedere un’anteprima di quello che ti aspetta?
Guarda questo video, metti mi piace e condividilo con i tuoi conoscenti, in modo da raggiungere ancora più persone!

Con amore e determinazione,

Ultima Generazione 🧡

NOTA DAL DOTT. ALESSIO BRANCACCIO DA VASTO, ABRUZZO ITALIA

Io Alessio Brancaccio, che sono stato da sempre fedele alle battaglie comunitarie in merito allo sviluppo ed alla diffusione della mobilità sostenibile ad Avezzano in provincia di L’Aquila, ero abituato a stare sempre in mezzo alla gente, ma nel Marzo 2020 le cose sono cambiate, è arrivata una pandemia che mi ha presentato il conto in termini di salute nel Febbraio del 2022 e dai postumi al sistema nervoso centrale ed al muscolo del diaframma, che per un immenso e carismatico sportivo come me è fondamentale che sia integro ma ancora non lo è a due anni dalla mia guarigione con postumi di natura respiratoria, muscolare ed osteoarticolare durati per un anno e mezzo, sono perfettamente consapevole che fino a che imperverserà in giro il COVID19 in attesa della prossima malattia X che sarà persino peggiore di questa che abbiamo vissuto e dalla quale non siamo ancora usciti, potrà veicolare le rivoluzioni soltanto da dietro un PC, esattamente come fanno i piloti di droni militari quando sono in guerra, il Mondo intero sta entrando in guerra ed io non faccio eccezione e per quanti tentativi faremo di impedire lo scoppio della Terza Guerra Mondiale, non riusciremo comunque ad impedire che scoppi, per cui io già mi sto preparando mentalmente e fisicamente all’inevitabile ulteriore peggioramento dei tempi che ci attenderanno nel prossimo futuro. Nonostante tutto sono fiero di far parte del movimento di Ultima Generazione nel quale sono entrato a fine 2022 ed ora anc’io veicolerò questi ragazzi e ragazze immensi e coraggiosi al conseguimento della vittoria finale contro un Governo Italiano dittatoriale autarchico e libertario che ci vuole tutti schiavi ed asserviti al loro volere.
Viva la democrazia, viva la libertà!

English translate

WATCH THE VIDEO OF THE REVOLUTION WE WANT

This is how we take back the power

Hi Alessio, have you read the latest data?

Meloni’s Italy continues to have the European record for public financing of fossil fuels, when just last year the climate crisis caused over 11 billion euros in damage. They are driving us full throttle towards collapse, supporting fossil energy 10 times more than renewables.

They are leading the country to collapse and continue to refuse any responsibility. Now it’s up to ordinary citizens to step forward and defend their land, their families, their future. This is the time to organize and demand democracy.

We have a plan. Together with you, this May in Rome we can make history. “History is us”. There is no alternative.

Want to see a preview of what awaits you?
Watch this video, like it and share it with your acquaintances, so you can reach even more people!

NOTE FROM DR. ALESSIO BRANCACCIO FROM VASTO, ABRUZZO REGION ITALY

I, Alessio Brancaccio, who have always been faithful to community battles regarding the development and diffusion of sustainable mobility in Avezzano in the province of L’Aquila, was used to always being among people, but in March 2020 things changed , a pandemic arrived that presented me with the toll in terms of health in February 2022 and the after-effects of the central nervous system and the diaphragm muscle, which for an immense and charismatic athlete like me it is essential that it be intact but not yet It’s two years after my recovery with respiratory, muscular and osteoarticular after-effects that lasted for a year and a half, I’m perfectly aware that as long as COVID19 rages around we’ll be waiting for the next disease X which will be even worse than the one we’ve experienced and from which we have not yet emerged, will be able to convey revolutions only from behind a PC, exactly like military drone pilots do when they are at war, the whole world is going to war and I am no exception and no matter how many attempts we make to prevent the outbreak of the Third World War, we will not be able to prevent it from breaking out, so I am already mentally and physically preparing for the inevitable further worsening of the times that await us in the near future. Despite everything, I am proud to be part of the Last Generation movement which I joined at the end of 2022 and now I too will lead these immense and courageous boys and girls to achieve the final victory against an autarchic and libertarian dictatorial Italian Government that wants us all to be slaves and subservient to their will.
Long live democracy, long live freedom!

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

NEWSLETTER PARTITO DEI CARC (COMITATI DI APPOGGIO PER LA RESISTENZA DEL COMUNISMO) MARZO 2024

Lettera aperta a Potere al Popolo e agli altri aderenti a Unione Popolare

di Teresa Noce Marzo 20, 2024

Rompere gli indugi e presentare alle elezioni europee una lista chiaramente schierata a sostegno alla resistenza palestinese, contro la guerra, la NATO e tutti i loro sostenitori e complici, contro il governo di ultradestra di Giorgia Meloni e le sue politiche

Nel comunicato Unione Popolare, che fare? diffuso il 6 Marzo, Potere al Popolo illustra i motivi della mancata confluenza di Unione Popolare con la lista “Pace Terra Dignità” promossa da Michele Santoro e Raniero La Valle (“il disaccordo sulla necessità di sostenere in ogni modo la resistenza palestinese contro lo Stato sionista israeliano e nel chiamare genocidio la strage israeliana a Gaza. Quello sulla necessità di considerare la NATO la prima responsabile di ogni guerra nel mondo e di chiederne la fine senza se e senza ma. La mancanza di una chiara scelta politica economica e sociale dal lato della maggioranza della popolazione, e non dalla parte di una minoranza di soliti noti, che, come durante la Pandemia, anche con la guerra sta continuando ad arricchirsi. Una non chiara collocazione alternativa nei confronti del centrosinistra in Italia ed in Europa”), spiega che questo ha aperto una crisi nel progetto di UP fino alla decisione dei vertici del PRC di abbandonare UP e confluire nella lista Terra Pace Dignità, cosa che ha influito anche sulla decisione di Luigi De Magistris di dimettersi da portavoce nazionale di UP, e conclude ribadendo l’importanza della presenza di una lista nettamente schierata: “con un genocidio in corso, la solidarietà con la lotta di liberazione del popolo palestinese deve essere pienamente rappresentata alle elezioni europee anche nel nostro Paese. Su posizioni chiare, che non riproducano una inesistente equidistanza tra oppressi e oppressori, e ribadiscano il diritto alla resistenza. L’Italia, che si sta riconfigurando come fedelissimo vassallo degli USA, ha maledettamente bisogno di una voce che metta al centro la solidarietà e la cooperazione tra i popoli e combatta concretamente l’imperialismo a partire dal nostro”.

È vero, alle elezioni europee c’è “maledettamente bisogno” di una lista
– che ha un programma come quello delineato da Potere al Popolo nel suo comunicato: “sostegno alla resistenza palestinese, contro la guerra, la NATO e tutti i loro sostenitori e complici, contro il governo di ultradestra di Giorgia Meloni e le sue politiche che chiedono a noi di stringere la cinghia mentre strizzano l’occhio a imprenditori ed evasori”,
– che su questo programma promuove, rafforza ed estende mobilitazione, organizzazione e coordinamento nelle fabbriche, nei porti, nei magazzini della logistica, nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nei quartieri e nei territori,
– che coalizza, come indicato sempre nello stesso comunicato, “tutte le forze politiche, sociali e sindacali che si oppongono con forza al governo Meloni e che non accettano le politiche guerrafondaie del cosiddetto “campo largo” né le posizioni ambigue verso il PD e soci su cui si sta costruendo la lista Santoro”.

Per i temi che agita e per le modalità con cui conduce la campagna elettorale, una lista con queste caratteristiche rompe “il campo della politica delimitato dai vincoli della UE e della NATO. Non solo nei palazzi, ma prima di tutto nel paese”, per dirla con le parole di Giorgio Cremaschi, autorevole esponente di Potere al Popolo.

Una lista di questo genere sposta a sinistra l’asse della campagna elettorale non solo alle europee, ma anche alle elezioni regionali e comunali che si tengono in contemporanea, smaschera le manovre elettorali delle liste al carro del polo PD e di quelle “antisistema” che sono al carro della destra reazionaria, apre contraddizione negli aderenti alla lista Santoro, rafforza la sinistra anche nelle organizzazioni di massa legate al PD, in particolare CGIL e ANPI.

Per questo diciamo ai dirigenti e ai militanti di Potere al Popolo: rompete ogni indugio e passate all’azione per presentare la lista Unione Popolare (o altro eventuale nome)!
Non è facile, è vero, bisogna superare gli ostacoli frapposti (numero firme, soglie di sbarramento, chiusura degli spazi di propaganda nella Rai pagata da tutti i cittadini e nelle reti private) dalla borghesia e dal suo sistema di potere, a partire dalla raccolta firme: anche dimezzate da 150 mila a 75 mila, sono molte. Ma è possibile: nell’estate del 2022, in molto meno tempo e in un periodo meno favorevole, Unione Popolare e altre liste anti Larghe Intese sono riuscite a raccoglierle. È vero anche che, con un colpo di mano, il governo Meloni ha cambiato in corsa le regole per presentare le liste. Ma proprio per questo anziché affidarsi a San Mattarella come fa il segretario del PRC, bisogna fare appello a tutti agli organismi popolari mobilitati in sostegno della resistenza palestinese e contro il genocidio sionista, contro la guerra, la NATO, il carovita, l’economia di guerra, ecc., ai partiti e alle organizzazioni del movimento comunista, a tutti quelli che nel PRC non sono d’accordo con la confluenza nella lista Santoro, che in definitiva fa da una spalla del PD (quindi delle Larghe Intese), ai fuoriusciti del M5S, a tutte le persone e gli organismi sinceramente contro le Larghe Intese di guerra, miseria e devastazione dell’ambiente.
In questo modo, già la raccolta firme mette in moto un percorso di convergenza delle forze politiche, sociali e sindacali che si oppongono al governo Meloni, avvia una campagna elettorale non solo di propaganda di programmi radicali, ma anche di azioni radicali: di mobilitazioni contro la guerra e l’economia di guerra, contro la sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA-NATO (a partire dalla giornata contro la NATO del prossimo 4 aprile), la complicità con i sionisti, i diktat dell’UE.

Il P.CARC è pronto a collaborare con il Coordinamento Nazionale di PaP per raccogliere le firme necessarie a presentare una lista di questo genere, a mobilitare organismi popolari, esponenti sindacali, sinceri democratici, compagni della base rossa, ecc. perché facciano altrettanto e si impegna a partecipare con tutte le sue forze affinché l’operazione abbia successo.
Per noi la cosa importante è che si costruisca una lista anti Larghe Intese che rafforza il fronte delle masse popolari e la lotta per cacciare il governo Meloni e ogni altro governo espressione della borghesia imperialista e della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, sionisti ed europei e di fatto contribuisce a creare le condizioni necessarie per costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Open letter to Potere al Popolo and other members of Unione Popolare

Breaking the deadlock and presenting to the European elections a list clearly aligned in support of the Palestinian resistance, against the war, NATO and all their supporters and accomplices, against the ultra-right government of Giorgia Meloni and its policies

In the Popular Union communiqué, what to do? released on March 6, Potere al Popolo illustrates the reasons for the lack of confluence of Unione Popolare with the “Pace Terra Dignità” list promoted by Michele Santoro and Raniero La Valle (“the disagreement on the need to support in every way the Palestinian resistance against the State Zionist and in calling the Israeli massacre in Gaza a genocide. The one on the need to consider NATO primarily responsible for every war in the world and to ask for its end without ifs or buts. The lack of a clear political, economic and social choice on the of the majority of the population, and not on the side of a minority of usual suspects, who, as during the Pandemic, are continuing to enrich themselves even with the war. An unclear alternative position towards the center-left in Italy and Europe”, he explains that this opened a crisis in the UP project until the decision of the Partito della Rifondazione Comunista leaders to abandon UP and join the Terra Pace Dignità list, which also influenced Luigi De Magistris’ decision to resign as UP’s national spokesperson, and concludes by reiterating the importance of the presence of a clearly aligned list: “with an ongoing genocide, solidarity with the liberation struggle of the Palestinian people must be fully represented in the European elections in our country too. On clear positions, which do not reproduce a non-existent equidistance between oppressed and oppressors, and reaffirm the right to resistance. Italy, which is reconfiguring itself as a most loyal vassal of the USA, desperately needs a voice that puts solidarity and cooperation between peoples at the center and concretely fights imperialism, starting with our own.”

It’s true, in the European elections there is a “damn need” for a list
– which has a program like the one outlined by Potere al Popolo in its statement: “support for the Palestinian resistance, against the war, NATO and all their supporters and accomplices, against the ultra-right government of Giorgia Meloni and its policies that demand us to tighten our belts while they wink at entrepreneurs and tax evaders”,
– which on this program promotes, strengthens and extends mobilization, organization and coordination in factories, ports, logistics warehouses, schools, offices, hospitals, neighborhoods and territories,
– which brings together, as indicated in the same press release, “all the political, social and trade union forces that strongly oppose the Meloni government and that do not accept the warmongering policies of the so-called “wide field” nor the ambiguous positions towards the PD and its associates on which the Santoro list is being built”.

Due to the issues it raises and the ways in which it conducts the electoral campaign, a list with these characteristics breaks “the field of politics delimited by the constraints of the EU and NATO. Not only in the buildings, but first of all in the country”, to put it in the words of Giorgio Cremaschi, authoritative exponent of Potere al Popolo.

A list of this kind shifts the axis of the electoral campaign to the left not only in the European elections, but also in the regional and municipal elections which are held at the same time, it unmasks the electoral maneuvers of the lists supported by the PD pole and of the “anti-system” ones which they are on the bandwagon of the reactionary right, it opens up contradiction among the members of the Santoro list, it strengthens the left also in the mass organizations linked to the PD, in particular CGIL and ANPI.

This is why we say to the leaders and militants of Potere al Popolo: break all hesitation and take action to present the Unione Popolare list (or any other possible name)!
It’s not easy, it’s true, we must overcome the obstacles placed in the way (number of signatures, thresholds, closure of propaganda spaces in the RAI paid for by all citizens and in private networks) by the bourgeoisie and its system of power, starting from the collection signatures: even halved from 150 thousand to 75 thousand, that’s a lot. But it is possible: in the summer of 2022, in much less time and in a less favorable period, Unione Popolare and other anti-Larghe Intese lists managed to collect them. It is also true that, with a coup, the Meloni government changed the rules for presenting the lists on the fly. But precisely for this reason, instead of relying on San Mattarella as the secretary of the PRC does, we must appeal to everyone to the popular organizations mobilized in support of the Palestinian resistance and against the Zionist genocide, against the war, NATO, the high cost of living, the war, etc., to the parties and organizations of the communist movement, to all those in the PRC who do not agree with the confluence of the Santoro list, which ultimately acts as a supporter of the PD (therefore of the Broad Ententes), to the exiles of the M5S, to all people and organizations sincerely against the Broad Agreements of war, misery and devastation of the environment.
In this way, the collection of signatures already sets in motion a path of convergence of the political, social and trade union forces that oppose the Meloni government, it starts an electoral campaign not only of propaganda of radical programs, but also of radical actions: of mobilizations against war and the war economy, against the submission of our country to the US-NATO imperialists (starting from the anti-NATO day on April 4th), complicity with the Zionists, the EU diktats.

The P.CARC is ready to collaborate with the National Coordination of PaP to collect the signatures necessary to present a list of this kind, to mobilize popular bodies, trade union representatives, sincere democrats, comrades of the red base, etc. to do the same and undertakes to participate with all its strength so that the operation is successful.
For us the important thing is that an anti-Broad Agreements list is built which strengthens the front of the popular masses and the fight to oust the Meloni government and any other government expression of the imperialist bourgeoisie and of the International Community of US, Zionist and European imperialist groups and in fact it contributes to creating the conditions necessary to establish an emergency government of the organized popular masses.

Source: Partito dei CARC

Il governo Meloni e le armi a Israele

Il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ed il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu
https://www.carc.it/2024/03/21/il-governo-meloni-e-le-armi-a-israele/

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa – Marzo 21, 2024

Altreconomia ha smascherato, attraverso un’inchiesta, una delle balle raccontate del governo Meloni. L’Italia sta proseguendo l’esportazione di armi verso Israele. Questo sta avvenendo nonostante il ministro della difesa, Guido Crosetto, ne avesse assicurato la sospensione stante gli scriteriati attacchi israeliani contro i palestinesi. Ma erano tutte balle. A dicembre, nel pieno dei bombardamenti israeliani di Gaza, l’export italiano di armi ha toccato quota 1.3 milioni di euro. Di questa cifra, un milione di euro riguarda armi e munizioni a uso militare. Per chi volesse approfondire riportiamo in appendice alcuni dati e fonti.

La notizia è stata seguita da una pietosa rincorsa alla smentita da parte del governo. Crosetto ha giurato che la vendita delle armi fosse sospesa dal 7 ottobre. Tajani, ministro degli esteri, ha rassicurato: “l’Italia ha interrotto l’invio di armi a Israele dall’inizio delle guerra di Gaza”. Una volta smentito da Altreconomia, Tajani, ha rettificato dicendo che i numeri dell’Istat citati nell’inchiesta si riferiscono ad accordi e licenze precedenti. Quegli accordi e licenze “ancora in essere” che il 12 febbraio lo stesso ministro aveva dichiarato di aver sospeso, come ricordato in un articolo de il Fatto Quotidiano.

L’apparenza inganna

Il governo Meloni, sotto la malriuscita facciata pacifista e umanitaria, prosegue la sua politica di guerra al servizio dei gruppi imperialisti Usa, dei sionisti e della Ue. Questo è il dato che Altreconomia ha mostrato. Ma non sono soli. Anche il teatrino messo in piedi da PD e M5S per la cessazione dell’invio delle armi non è altro che propaganda di facciata. Conte e Schlein hanno firmato tutti gli invii di armi, le missioni militari e le leggi guerrafondaie degli ultimi due anni. Gli interessi che legano tutti i partiti delle Larghe intese allo stato sionista d’Israele, del resto, sono profondi e strutturati (vedi ad esempio Sul ruolo dei sionisti in Italia).

Questo è un altro campo in cui va in scena il teatrino della Repubblica Pontificia. Pubblicamente Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, PD e M5S si fanno la guerra ma alla prova dei fatti portano avanti gli stessi interessi e votano le stesse misure (come per l’intervento nel Mar Rosso).

In questa società non dirige la maggioranza ma chi detiene il capitale ed è a questi che obbediscono partiti e istituzioni della borghesia. Però la maggioranza, le masse popolari, hanno un peso che non può essere eliminato. Ed è per questo che, a fronte delle lotte e ribellioni diffuse contro la guerra, i partiti di regime cercano il sostegno delle masse camuffandosi pacifisti.

L’indecente stretta di mano tra la Prima Ministra italiana romana sguaiata della Garbatella Giorgia Meloni ed il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Far cessare il fuoco a Gaza vuol dire far cessare il governo Meloni!

Per sostenere davvero la resistenza palestinese sono le masse popolari organizzate del nostro paese a doversi imporre! L’obiettivo unitario di tutti gli organismi e dei singoli che oggi si mobilitano in mille forme in sostegno alla Palestina deve diventare quello di cacciare il governo Meloni e la cricca delle Larghe intese. Così e solo così cesseranno anche le politiche di guerra del governo italiano in appoggio a imperialisti americani e sionisti.

Su questo obiettivo i comitati, i collettivi, le associazioni possono incanalare e far convergere iniziative di denuncia e di boicottaggio nelle aziende produttrici di armi o legate a Israele, al traffico di armi, nelle università, nelle scuole, nei dintorni delle basi militari ecc. Far convergere forze, esperienze, energie e inventiva di ognuno degli organismi in mobilitazione per rendere il paese ingovernabile. Occasione importante saranno le prossime mobilitazioni del 4 aprile, in occasione dell’anniversario di fondazione della NATO.

Per la pace. Per attuare il ripudio della guerra come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla Costituzione. Per impedire il genocidio. È necessario alimentare la mobilitazione per la cacciata del governo e di tutti i guerrafondai attraverso l’organizzazione, la mobilitazione e la proposta di un modo alternativo di dirigere il paese. È questo il contributo migliore e più importante al cessate il fuoco su Gaza.

Quali sono le maggiori aziende da cui partono le armi per Israele?

Il report dell’Istat – riportato dall’inchiesta di Altreconomia – mostra le province e le aziende da cui sono partite le maggiori esportazioni. La prima provincia italiana è Lecco, dove ha sede la fabbrica Fiocchi munizioni, con 1.011.510 euro, seguita da Brescia, territorio della Fabbrica d’armi Beretta (ma non solo), con 749.277, e poi da Roma (sede di numerose aziende) con 351.426 euro, e infine da Genova, con 14.313 euro.

Nella categoria merceologica ‘Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi da ottobre a dicembre 2023 risultano esportati a Israele 14.800.221 euro di materiali, di cui 8.795.408 euro, oltre la metà, da Varese. Provincia nella quale ha sede Alenia Aermacchi del gruppo Leonardo, azienda produttrice dei 30 aerei addestratori militari M-346, selezionati dal ministero della Difesa di Israele nel febbraio del 2012 e poi acquistati ed esportati per addestrare i piloti della Israeli Air Force. Quella che sta attualmente bombardando la Striscia di Gaza”.

Il sito The Weapon Watch (l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei) con una propria inchiesta ha inoltre smentito le dichiarazioni della dirigenza della Leonardo SpA (partecipata dello Stato italiano) che diceva “in tutti i teatri di guerra in corso, a partire dall’Ucraina e dal Medio Oriente, non c’è nessun sistema offensivo di nostra produzione”. L’osservatorio fa infatti sapere che “nella guerra di Israele contro la popolazione palestinese non solo sono presenti armi di Leonardo, ma queste sono state impiegate in azioni di bombardamento indiscriminate su aree urbane densamente abitate”. A supporto di questa affermazione, l’Osservatorio ha pubblicato sul proprio sito internet tutta una serie di foto e la descrizione dei prodotti di questa azienda nelle mani dell’esercito israeliano che, da ottobre 2023, bombarda e occupa la Striscia di Gaza.

Fonti

Dal sito Altreconomia:

Armi italiane a Israele dopo il 7 ottobre il governo non è trasparente

L’Italia continua a esportare armi a Israele, il caso delle forniture per i caccia

 L’Italia ha esportato armi e munizioni verso Israele dopo il 7 ottobre 

Da Il Fatto Quotidiano

Il Fatto Quotidiano del 14 marzo 2024 Armi a Israele dopo il 7 ottobre. Ma Crosetto diceva: “Stop invii”

Il Fatto Quotidiano del 19 marzo 2024  Armi a Tel Aviv anche Tajani mente mentre l’Uama non risponde

Dal sito Atlanteguerre

Armi della Leonardo spa “impiegate nei bombardamenti a Gaza”

English translate

Meloni’s government and weapons to Israel

Italian Foreign Minister Antonio Tajani and Isral Prime Minister Benjamin Netanyahu

Altreconomia has exposed, through an investigation, one of the lies told by the Meloni government. Italy is continuing to export arms to Israel. This is happening despite the defense minister, Guido Crosetto, having ensured its suspension given the reckless Israeli attacks against the Palestinians. But it was all bullshit. In December, at the height of the Israeli bombing of Gaza, Italian arms exports reached 1.3 million euros. Of this figure, one million euros concerns weapons and ammunition for military use. For those wishing to find out more, we provide some data and sources in the appendix.

The news was followed by a pitiful denial by the government. Crosetto vowed that gun sales would be suspended from October 7. Tajani, foreign minister, reassured: “Italy has stopped sending weapons to Israel since the beginning of the Gaza war”. Once denied by Altreconomia, Tajani corrected it by saying that the Istat numbers cited in the investigation refer to previous agreements and licenses. Those agreements and licenses “still in existence” which on 12 February the minister himself declared he had suspended, as recalled in an article of il Fatto Quotidiano.

Appearances are deceiving

The Meloni government, under the unsuccessful pacifist and humanitarian façade, continues its war policy at the service of US imperialist groups, Zionists and the EU. This is the data that Altreconomia has shown. But they are not alone. Even the little theater put up by PD and M5S for the cessation of the sending of weapons is nothing more than facade propaganda. Conte and Schlein signed all shipments of weapons, military missions and warmongering laws of the last two years. The interests that bind all the parties of the Broad Agreements to the Zionist state of Israel, moreover, are deep and structured (see for example On the role of the Zionists in Italy).

This is another field in which the little theater of the Papal Republic is staged. Publicly the Brothers of Italy, Lega, Forza Italia, PD and M5S wage war on each other but, as proven by facts, they pursue the same interests and vote for the same measures (as for the intervention in the Red Sea).

In this society it is not the majority that rules but those who hold the capital and it is these who are obeyed by the parties and institutions of the bourgeoisie. But the majority, the popular masses, have a weight that cannot be eliminated. And this is why, in the face of widespread struggles and rebellions against the war, the regime parties seek the support of the masses by disguising themselves as pacifists.

The indecent waving between Italian Prime Minister Giorgia Meloni and Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu

Ending the fire in Gaza means ending the Meloni government!

To truly support the Palestinian resistance, the organized popular masses of our country must impose themselves! The unitary objective of all the organizations and individuals who today mobilize in a thousand ways in support of Palestine must become that of expelling the Meloni government and the Broad Understandings clique. Thus and only in this way will the war policies of the Italian government in support of American imperialists and Zionists cease.

With this objective in mind, committees, collectives and associations can channel and converge denunciation and boycott initiatives in companies producing weapons or linked to Israel, in arms trafficking, in universities, in schools, around military bases, etc. Bring together the forces, experiences, energies and inventiveness of each of the organizations mobilizing to make the country ungovernable. An important occasion will be the next mobilizations on April 4th, on the occasion of the anniversary of the founding of NATO.

For peace. To implement the repudiation of war as an “instrument of offense against the freedom of other peoples and as a means of resolving international disputes” enshrined in the Constitution. To prevent genocide. It is necessary to fuel the mobilization for the expulsion of the government and all the warmongers through organisation, mobilization and the proposal of an alternative way of running the country. This is the best and most important contribution to the ceasefire on Gaza.

What are the major companies that ship weapons to Israel?

The Istat report – reported by the Altreconomia investigation – shows the provinces and companies from which the largest exports originated. The first Italian province is Lecco, where the Fiocchi ammunition factory is based, with 1,011,510 euros, followed by Brescia, territory of the Beretta arms factory (but not only), with 749,277, and then by Rome (home to numerous companies ) with 351,426 euros, and finally from Genoa, with 14,313 euros.

In the product category ‘Aircraft, space vehicles and related devices, from October to December 2023, 14,800,221 euros of materials were exported to Israel, of which 8,795,408 euros, more than half, from Varese. Province in which Alenia Aermacchi of the Leonardo group is based, the company producing the 30 M-346 military trainer aircraft, selected by the Israeli Ministry of Defense in February 2012 and then purchased and exported to train the pilots of the Israeli Air Force. The one that is currently bombing the Gaza Strip.”

The website The Weapon Watch (the Observatory on weapons in European and Mediterranean ports) with its own investigation also denied the declarations of the management of Leonardo spa (owned by the Italian State) which said “in all the theaters of ongoing war, a starting from Ukraine and the Middle East, there is no offensive system of our own production.” The observatory in fact makes it known that “in Israel’s war against the Palestinian population not only are Leonardo’s weapons present, but these were used in indiscriminate bombing actions on densely populated urban areas”. To support this statement, the Observatory has published on its website a whole series of photos and the description of the products of this company in the hands of the Israeli army which, since October 2023, has been bombing and occupying the Gaza Strip.

Source: Partito dei CARC

Mobilitazione contro la NATO in occasione del 75° anniversario dalla sua fondazione

https://www.carc.it/2024/03/21/mobilitazione-contro-la-nato-in-occasione-del-75-anniversario-dalla-sua-fondazione/

Riceviamo e pubblichiamo l’appello per una mobilitazione contro la Nato in vista del 4 aprile, data del 75° anniversario della sua fondazione. Il P.Carc si mobilita per allargare la partecipazione e si attiva nei territori in cui è presente.

***

Si è svolto il 10 marzo il primo incontro online finalizzato a coordinare attività, iniziative e mobilitazioni comuni il 4 aprile, in concomitanza con il 75° anniversario della fondazione della Nato.

Considerando che anche in passato molte realtà si sono mobilitate in autonomia per questa scadenza, l’idea di fondo è valorizzare ogni iniziativa già programmata (e incoraggiare a organizzarne) nel quadro di un coordinamento, in modo che ognuna rafforzi le altre e tutte vadano a combinarsi con la mobilitazione internazionale che si svolgerà in vari altri paesi fra cui Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Usa, Federazione Russa, Bielorussia, Grecia, Turchia.

Al netto di alcuni importanti e interessanti spunti di analisi e di dibattito – che non sono stati sviluppati, ma che testimoniano la volontà e la spinta di alimentare il confronto e un percorso comune – l’incontro è stato interamente dedicato a raccogliere intenzioni e disponibilità alla mobilitazione e si sono assunte le seguenti decisioni:

  • al momento, il percorso si concentra sull’obiettivo di allargare a quante più realtà possibili l’appello a mobilitarsi in occasione dell’anniversario della fondazione della Nato sulla base di una sola parola d’ordine unificante “chiudiamo le basi Usa-Nato”. Ogni realtà territoriale può liberamente aggiungere altre parole d’ordine che qualificano la propria attività e sensibilità;
  • ogni realtà che deciderà di attivarsi è libera di scegliere le modalità che ritiene più opportune e i luoghi che ritiene più adatti per mobilitarsi;
  • considerando che il 4 aprile cade di giovedì, ai fini della riuscita delle iniziative è utile estendere la mobilitazione anche ai giorni successivi, fino al 7 Aprile.

Un nuovo incontro di coordinamento si svolgerà domenica 24 marzo, sempre on line (https://meet.jit.si/NoNato2024) e sempre dalle 14:30 alle 16:30

Alcune precisazioni, soprattutto per gli interessati che non hanno potuto partecipare all’incontro.

In questa fase insistiamo sull’unità d’azione e sulla convergenza delle mobilitazioni sul 4 aprile perché riteniamo necessario dare un segnale chiaro, pratico e concreto. Un segnale di protesta (contro la Nato), ma che è valido anche per tutte la popolazione: è falso che non esiste opposizione alla cricca di criminali che sta portando il nostro paese e il mondo in guerra; è falso che non esiste un’alternativa, è falso che possiamo solo subire e obbedire.

Fra realtà, reti e movimenti emerge in mille modi l’esigenza e la volontà di fare qualcosa di più. Ebbene consideriamo questo percorso di coordinamento attorno alla data del 4 Aprile come un’occasione, un primo passo per creare condizioni più favorevoli per sviluppare relazioni più strette, di conoscenza reciproca, di sostegno, di solidarietà e di collaborazione.

In questo senso ogni proposta e ogni spunto alla discussione e all’approfondimento sono benvenuti, sono accolti e pensiamo che debbano essere sviluppati a tempo debito e a debite condizioni.

Ciò che proponiamo oggi è un passo, piccolo ma concreto, nella direzione del coordinamento dell’iniziativa pratica da promuovere con le forze che si hanno a disposizione. È un passo che possono fare tutti, di cui c’è necessità e urgenza. Per questo motivo chiediamo di dare ampia diffusione a questo resoconto e all’invito alla prossima riunione online a realtà ritenete possano essere interessate.

Hanno partecipato alla riunione e sono intervenuti:
Emanuele Lepore – Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito; Beppe Corioni – CS 28 maggio; Crasta Nadia – free Assange Napoli; Stefano Tenenti – No Guerra No Nato Ancona; Antonella – No Muos Sicilia; Mario Sanguinetti – Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università – Roma; Roberta Leoni – Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università Viterbo; Marcella – Tavola della pace Bergamo; Alessandro Orsetti – No Comando Nato Firenze; Sandra – Comitato Fermiamo la Guerra Firenze; Alessandro Capuzzo – Trieste; Rolando Giai Levra – Movimento per la Rinascita Comunista Milano

CHIUDIAMO LE BASI NATO-USA!
75 ANNI DI NATO SONO ABBASTANZA!

Dichiariamo il 4 Aprile Giornata contro la NATO e la guerra
Secondo incontro di confronto per coordinarci
Domenica 24 marzo 2024 – dalle 14:30 alle 16:30

In vista del 75° anniversario della fondazione della Nato invitiamo movimenti, organismi e reti a un primo incontro per ragionare sulle possibilità di organizzare in TUTTI i territori che riusciamo a raggiungere manifestazioni nelle modalità e forme definite nei territori stessi. L’obiettivo è dare un forte segnale, dalla Lombardia alla Sicilia: vi invitiamo a partecipare all’incontro on line che si svolge il 24 marzo dalle 14:30 alle 16:30 al seguente link https://meet.jit.si/NoNato2024.

Fai circolare l’invito a realtà che pensi possano essere interessate.

Se siete interessati, ma non potete partecipare, rispondete a questo messaggio e scrivete alla mail danteali_2021@libero.it lasciando un vostro recapito. Sarà preparato un breve resoconto dell’incontro per aggiornarvi e tenerci in contatto.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Mobilization against NATO on the occasion of the 75th anniversary of its foundation

We receive and publish the appeal for a mobilization against NATO in view of April 4, the date of the 75th anniversary of its foundation. P.Carc is mobilizing to broaden participation and is active in the territories in which it is present.


The first online meeting aimed at coordinating joint activities, initiatives and mobilizations on 4 April, coinciding with the 75th anniversary of the founding of NATO, took place on 10 March.

Considering that in the past many entities have also mobilized independently for this deadline, the basic idea is to enhance each initiative already planned (and encourage the organization of them) within the framework of coordination, so that each one strengthens the others and all contribute to combine with the international mobilization that will take place in various other countries including Belgium, Austria, Switzerland, Germany, USA, Russian Federation, Belarus, Greece, Turkey.

Apart from some important and interesting points of analysis and debate – which were not developed, but which demonstrate the desire and drive to fuel discussion and a common path – the meeting was entirely dedicated to gathering intentions and willingness to mobilization and the following decisions were taken:

  • at the moment, the path is focused on the objective of extending to as many realities as possible the call to mobilize on the occasion of the anniversary of the foundation of NATO on the basis of a single unifying slogan “let’s close the US-NATO bases” . Each territorial entity can freely add other buzzwords that qualify its own activity and sensitivity;
  • each entity that decides to take action is free to choose the methods it deems most appropriate and the places it deems most suitable to mobilize;
  • considering that April 4th falls on a Thursday, for the success of the initiatives it is useful to extend the mobilization to the following days, until April 7th.

A new coordination meeting will take place on Sunday 24 March, again online (https://meet.jit.si/NoNato2024) and again from 2.30pm to 4.30pm

Some clarifications, especially for those interested who were unable to attend the meeting.

At this stage we insist on unity of action and the convergence of mobilizations on April 4 because we believe it is necessary to give a clear, practical and concrete signal. A sign of protest (against NATO), but which is also valid for all the population: it is false that there is no opposition to the clique of criminals who are leading our country and the world into war; it is false that there is no alternative, it is false that we can only submit and obey.

Between realities, networks and movements, the need and desire to do something more emerges in a thousand ways. Well, we consider this coordination process around the date of April 4th as an opportunity, a first step to create more favorable conditions for developing closer relationships, mutual knowledge, support, solidarity and collaboration.

In this sense, every proposal and every starting point for discussion and in-depth analysis are welcome, they are welcomed and we think that they should be developed in due time and under due conditions.

What we propose today is a small but concrete step in the direction of coordinating the practical initiative to be promoted with the forces available. It is a step that everyone can take, which is necessary and urgent. For this reason we ask that this report and the invitation to the next online meeting be widely disseminated to organizations you believe may be interested.

The following attended the meeting and spoke:
Emanuele Lepore – National Association of Depleted Uranium Victims; Beppe Corioni – CS 28 May; Crasta Nadia – free Assange Napoli; Stefano Tenenti – No War No Nato Ancona; Antonella – No Muos Sicily; Mario Sanguinetti – Observatory against the militarization of schools and universities – Rome; Roberta Leoni – Observatory against the militarization of schools and universities in Viterbo; Marcella – Peace Table Bergamo; Alessandro Orsetti – No Nato Command Florence; Sandra – Let’s Stop the War Florence Committee; Alessandro Capuzzo – Trieste; Rolando Giai Levra – Movement for Communist Rebirth Milan

LET’S CLOSE THE NATO-US BASES!
75 YEARS OF BORN IS ENOUGH!

We declare April 4th Anti-NATO and War Day
Second discussion meeting to coordinate
Sunday 24 March 2024 – from 2.30pm to 4.30pm

In view of the 75th anniversary of the founding of NATO, we invite movements, organizations and networks to a first meeting to discuss the possibilities of organizing demonstrations in ALL the territories that we can reach in the ways and forms defined in the territories themselves. The objective is to give a strong signal, from Lombardy to Sicily: we invite you to participate in the online meeting taking place on March 24th from 2.30pm to 4.30pm at the following link https://meet.jit.si/NoBorn2024.

Circulate the invitation to organizations you think might be interested.

If you are interested, but cannot participate, reply to this message and write to the email danteali_2021@libero.it leaving your contact details. A short report of the meeting will be prepared to update you and keep us in touch.

Adesione del Partito dei CARC alla mobilitazione del Fronte della Gioventù Comunista del 22 Marzo

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa -Marzo 21, 2024

Il Partito dei CARC aderisce e partecipa alla mobilitazione nazionale lanciata dal Fronte della Gioventù Comunista per venerdì 22 Marzo.

Negli ultimi mesi gli studenti hanno assunto un ruolo da protagonisti nella lotta in solidarietà al popolo palestinese. La mobilitazione studentesca del 17 novembre scorso, le lotte condotte dagli studenti universitari dei principali atenei d’Italia per ottenere la revoca degli accordi delle università con le istituzioni israeliane, il contributo che studenti medi e universitari hanno dato alla riuscita dello sciopero e della manifestazione nazionale di Milano del 23 e 24 febbraio hanno dato un segnale forte, gli studenti stanno con la Palestina.

Ma c’è di più. Quella di “stare con la Palestina” non è solo una presa di posizione ideologica. Si sta facendo strada, nella parte più avanzata del movimento studentesco, la consapevolezza che esiste un nesso profondo fra la lotta per la solidarietà al popolo palestinese e la lotta contro il Ministro Valditara e la sua Riforma, contro la militarizzazione delle scuole, contro la collaborazione del governo italiano con quello sionista d’Israele. Il contributo migliore che gli studenti possono dare alla vittoria del popolo palestinese è lavorare per indebolire qui e adesso, a partire dalle scuole e le università, il potere dei sionisti e dei guerrafondai che governano il nostro paese complici del genocidio che si sta consumando a Gaza.

Gli studenti che si mettono su questa strada fanno paura al governo Meloni, che infatti risponde con la repressione. Fioccano le manganellate sugli studenti sedicenni e fioccano anche i viscidi attestati di solidarietà da parte del Partito Democratico. Evidentemente Schlein, Giani e Nardella non si ricordano delle democraticissime manganellate che ha dato il loro partito quando era al governo solo poco tempo fa. Se le ricordano invece gli studenti feriti dalla polizia a Torino durante il Governo Draghi, mentre manifestavano per la morte di Lorenzo Parelli durante uno stage.

Ebbene, le manganellate sono state un passo falso per il Governo Meloni, perché dalla repressione il movimento studentesco ha tratto nuova linfa. A niente è valso il tentativo del PD e del centrosinistra di spostare l’attenzione sulla violenza poliziesca (come se fosse una novità!) pur di non pronunciarsi nel merito dei veri motivi per i quali c’è stata quella violenza, cioè la lotta contro il genocidio in Palestina.

Gli studenti non hanno fatto un passo indietro, anzi, hanno saputo rilanciare la lotta e approfittare delle crepe che l’attacco repressivo ha aperto all’interno delle istituzioni. A Pisa il Senato Accademico del 14 marzo è stato costretto ad accogliere quattro delle sette mozioni presentate dagli Studenti per la Palestina, a Torino l’Ateneo ha deciso di sospendere la collaborazione con le realtà accademiche israeliane.

Sottoscriviamo, quindi, la dichiarazione del FGC e facciamo appello ai collettivi studenteschi medi e universitari, ai singoli studenti, ai collettivi ambientalisti, a scendere in piazza venerdì 22 marzo, per dare un forte segnale contro la repressione degli studenti, per respingere al mittente la Riforma Valditara e impedire la sua approvazione, per fermare il genocidio in atto in Palestina. In definitiva, per fare della giornata del 22 marzo una giornata di lotta contro il Governo Meloni, un governo che, come scrive FGC, va fermato.

Noi diciamo che, oltre che fermarlo, gli studenti hanno il compito di cacciarlo. Il Governo Meloni – così come nessun altro governo espressione delle Larghe Intese – potrà mai attuare o anche solo venire a compromessi con le rivendicazioni degli studenti. Deve essere mandato a casa e a sostituirlo, questa volta, non devono esserci i paladini dell’antifascismo padronale del PD, ma esponenti di fiducia dei collettivi studenteschi e delle organizzazioni dei lavoratori, che, sostenuti e incalzati dal basso, inizino ad attuare le misure più urgenti per mettere mano alla crisi.

Fonte: Partito dei CARC

Membership of the CARC Party in the mobilization of the Communist Youth Front on 22 March

The CARC Party joins and participates in the national mobilization launched by the Communist Youth Front for Friday 22 March.

In recent months, students have taken on a leading role in the fight in solidarity with the Palestinian people. The student mobilization of last November 17, the struggles conducted by university students from the main Italian universities to obtain the revocation of the universities’ agreements with Israeli institutions, the contribution that middle school and university students gave to the success of the strike and the national demonstration of Milan on 23 and 24 February gave a strong signal, the students are with Palestine.

But there’s more. That of “staying with Palestine” is not just an ideological position. The awareness is gaining ground in the most advanced part of the student movement that there is a profound connection between the fight for solidarity with the Palestinian people and the fight against Minister Valditara and his Reform, against the militarization of schools, against collaboration of the Italian government with the Zionist government of Israel. The best contribution that students can make to the victory of the Palestinian people is to work to weaken here and now, starting from schools and universities, the power of the Zionists and warmongers who govern our country, complicit in the genocide that is taking place in Gaza.

The students who take this path scare the Meloni government, which in fact responds with repression. The beatings of sixteen-year-old students are pouring in and the slimy certificates of solidarity from the Democratic Party are also pouring in. Evidently Schlein, Giani and Nardella do not remember the very democratic beatings that their party gave when it was in government only a short time ago. Instead, they are remembered by the students injured by the police in Turin during the Draghi government, while demonstrating for the death of Lorenzo Parelli during an internship.

Well, the beatings were a misstep for the Meloni Government, because the student movement drew new life from the repression. The attempt by the PD and the centre-left to shift attention to police violence (as if it were new!) was of no avail in order not to comment on the true reasons why that violence occurred, i.e. the fight against the genocide in Palestine.

The students did not take a step back, on the contrary, they were able to relaunch the fight and take advantage of the cracks that the repressive attack opened within the institutions. In Pisa the Academic Senate on March 14 was forced to accept four of the seven motions presented by Students for Palestine, in Turin the University decided to suspend collaboration with Israeli academic institutions.

We therefore subscribe to the FGC’s declaration and appeal to middle and university student collectives, individual students, environmentalist collectives, to take to the streets on Friday 22 March, to give a strong signal against the repression of students, to reject the sender’s Reform Valditara and prevent its approval, to stop the genocide taking place in Palestine. Ultimately, to make March 22nd a day of struggle against the Meloni Government, a government which, as FGC writes, must be stopped.

We say that, in addition to stopping him, the students have the task of chasing him away. The Meloni Government – just like no other government expressing the Broad Understandings – will ever be able to implement or even compromise with the students’ demands. He must be sent home and to replace him, this time, there must not be the champions of the PD’s employers’ anti-fascism, but trusted representatives of the student collectives and workers’ organizations, who, supported and urged from below, begin to implement the most urgent to address the crisis.

Source: Partito dei CARC

Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici!

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa -Marzo 19, 2024

https://www.carc.it/2024/03/19/costruiamo-la-riscossa-delle-donne-lavoratrici/

Pubblichiamo la lettera che una nostra compagna ci ha scritto in cui riporta alcune considerazioni suscitatele dalla partecipazione all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici organizzata dalla sezione Milano Nord-est del Partito dei CARC, di cui rilanciamo il video.

La lettera è utile non solo perché mostra alcuni esempi di lotte condotte sui luoghi di lavoro dalle compagne che hanno partecipato al dibattito ma anche perché mostra nella pratica in cosa si traduca agire da lavoratrice comunista sul proprio posto di lavoro.

La compagna, infatti, spiega come partire dalle lavoratrici, dalle necessità oggettive e dalle forme di oppressione che in questo sistema vivono sul posto di lavoro, elaborarle insieme a loro e trasformarle in azioni, mobilitazioni e organizzazione, è uno degli aspetti decisivi per avanzare nella lotta per cacciare il governo Meloni e imporre un nuovo governo del paese. Un governo che sia espressione di chi per vivere deve lavorare e che su spinta e incalzo delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati trasformi in leggi e decreti quanto deciso da loro. Buona visione e buona lettura.

Il video dell’iniziativa del 10 marzo 2024 svolto al Circolo famigliare di unità proletaria di Milano sulla condizione di lavoro delle lavoratrici nelle aziende.

Care compagne e compagni dell’Agenzia Stampa Staffetta Rossa,

sono una compagna del Partito dei CARC e domenica 10 marzo ho partecipato all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici, organizzata dalla sezione Milano Nord-est.

L’iniziativa si è svolta a conclusione di una settimana di lotta e mobilitazione per le donne delle messe popolari, che venerdì 8 marzo hanno aderito allo sciopero nazionale promosso da Non Una di Meno e proclamato da alcuni sindacati di base che ne hanno raccolto l’appello. Appello che incalzava le donne lavoratrici a costruire lo sciopero all’interno del proprio posto di lavoro e ad organizzarsi per partecipare in massa alla mobilitazione.

All’iniziativa hanno partecipato diverse donne lavoratrici: Margherita Napoletano, CUB sanità; Tania Giusto, Coordinamento per le RSA Sol Cobas; Emilia Piccolo, ADL Cobas scuola; Elena Bocci, iscritta FILT CGIL logistica e Giovanna Baracchi, Democrazia Atea.

Quando si cerca di mettere insieme sindacati diversi spesso a prevalere è la concorrenza tra questi. Gli interventi che hanno fatto le compagne relatrici invece mi hanno mostrato qualcosa di diverso. Ognuna, per il suo ruolo e per il suo settore di lavoro, ha messo al centro del proprio ragionamento il fatto di essere una donna comunista e cosa questo implichi rispetto al compito che una compagna deve assumere all’interno del proprio posto di lavoro, innanzitutto promuovere organizzazione tra le lavoratrici, a prescindere dalla tessera sindacale di appartenenza.

L’esperienza raccontata da Tania è stata quella dalla quale ho raccolto immediatamente alcuni insegnamenti. La compagna ha parlato infatti di come sia riuscita a organizzare le sue colleghe contro condizioni di lavoro per niente dignitose, sia contro la gestione degli ospiti delle Rsa esclusivamente incentrata sul profitto imposto dai padroni, spalleggiati anche dalla regione Lombardia. Tania ha quindi spiegato che fare rete attorno alle problematiche presenti sul proprio posto di lavoro è il solo modo per migliorare le proprie condizioni e quelle degli ospiti delle strutture.

Dal suo intervento ho compreso meglio l’importanza che ha, per una lavoratrice, fare un’esperienza pratica di organizzazione e lotta collettiva per emanciparsi dal padrone. E ho compreso meglio che partire dai problemi oggettivi e contingenti contro cui ogni lavoratrice si trova a combattere ogni giorno è la principale spinta da cui deve partire chi si pone l’obiettivo di costruire organizzazione delle donne all’interno di un posto di lavoro.

Un esempio di come partire da un problema specifico per sviluppare discussione, informazione e mobilitazione l’ha fornito Elena quando ha raccontato della discriminazione subita dai part time nel settore logistica per quel che riguarda la retribuzione delle ore di straordinario. La compagna ha riportato infatti alcuni dati che mostrano come circa la metà delle donne impiegate in Italia abbia un contratto part time, spesso involontario.

Questa esperienza mi ha fatto molto riflettere sul fatto che spesso anche noi comuniste abbiamo difficoltà nel trovare spunti e questioni attorno alle quali aggregare e organizzare le donne lavoratrici, ma in realtà è parlando con loro, è semplicemente confrontando le buste paga, è studiando collettivamente i nostri diritti che possiamo renderci conto dei 10, 100, 1000 appigli che abbiamo per costruire organizzazione non solo l’8 marzo, ma tutto l’anno.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Let’s build the recovery of working women!

We are publishing the letter that one of our comrades wrote to us in which she reports some considerations raised by her participation in the initiative Let’s build the recovery of working women organized by the Milan North-East section of the CARC Party, of which we are relaunching the video.

The letter is useful not only because it shows some examples of struggles conducted in the workplace by the comrades who participated in the debate but also because it shows in practice what acting like a communist worker in one’s workplace translates into.

The comrade, in fact, explains how starting from the workers, from the objective needs and forms of oppression that in this system live in the workplace, processing them together with them and transforming them into actions, mobilizations and organisation, is one of the decisive aspects for advancing in the fights to oust the Meloni government and impose a new government in the country. A government that is the expression of those who must work to live and which, at the push and urging of organized workers, transforms what they decide into laws and decrees. Happy viewing and happy reading.

Dear comrades of the Staffetta Rossa Press Agency,

I am a comrade of the CARC Party and on Sunday 10 March I participated in the initiative Let’s build the recovery of working women, organized by the Milan North-East section.

The initiative took place at the end of a week of struggle and mobilization for the women of the popular masses, who on Friday 8 March joined the national strike promoted by Non Una di Meno and proclaimed by some grassroots unions who took up the appeal. An appeal that urged working women to build the strike within their own workplace and to organize themselves to participate en masse in the mobilization.

Several working women participated in the initiative: Margherita Napoletano, CUB healthcare; Tania Giusto, Coordination for the Sol Cobas RSA; Emilia Piccolo, ADL Cobas school; Elena Bocci, FILT CGIL logistics member and Giovanna Baracchi, Atean Democracy.

When trying to bring together different unions, competition between them often prevails. The interventions that the fellow speakers made, however, showed me something different. Each one, for her role and for her sector of work, has put at the center of her reasoning the fact of being a communist woman and what this implies with respect to the task that a companion must take on within her own workplace, first and foremost promote organization among female workers, regardless of their union card.

The experience recounted by Tania was the one from which I immediately learned some lessons. In fact, the partner spoke about how she managed to organize her colleagues against working conditions that were not at all dignified, and against the management of the residents of the RSAs exclusively focused on the profit imposed by the bosses, also supported by the Lombardy region. Tania then explained that networking around the problems present in one’s workplace is the only way to improve one’s own conditions and those of the guests of the facilities.

From his speech I better understood the importance of having a practical experience of organization and collective struggle for a worker to emancipate herself from the boss. And I understood better that starting from the objective and contingent problems that every worker finds herself fighting against every day is the main thrust from which those who set themselves the goal of building women’s organization within a workplace must start.

Elena provided an example of how to start from a specific problem to develop discussion, information and mobilization when she spoke about the discrimination suffered by part-time workers in the logistics sector regarding the pay for overtime hours. In fact, the partner reported some data showing how approximately half of the women employed in Italy have a part-time contract, often involuntary.

This experience made me reflect a lot on the fact that often we communists also have difficulty in finding ideas and issues around which to aggregate and organize working women, but in reality it is by talking to them, it is simply by comparing pay slips, it is by collectively studying the our rights that we can realize the 10, 100, 1000 handles we have to build organization not only on March 8, but all year round.

Source: Partito dei CARC

[Domodossola] Solidarietà ai compagni Patrizio e Danilo: la riscossa operaia fa paura ai padroni!

di Federazione Lombardia – Piemonte -Marzo 21, 2024

https://www.carc.it/2024/03/21/domodossola-solidarieta-ai-compagni-patrizio-e-danilo-la-riscossa-operaia-fa-paura-ai-padroni/

Il presidio VCO del P.CARC denuncia pubblicamente l’atto repressivo e intimidatorio da parte delle forze dell’ordine ed esprime solidarietà verso i due compagni che sabato 16 marzo hanno svolto, in orario di apertura, un volantinaggio davanti al Tigotà di Domodossola. Il volantinaggio è stato organizzato in solidarietà alla vertenza sindacale degli operai Tigotà di Broni (PV) del SI Cobas, in lotta per il riconoscimento dei diritti contrattuali e contro la chiusura del deposito, che comporterebbe circa 200 licenziamenti.

Evidentemente tale azione, tutelata dalla Costituzione, ha fatto paura alla dirigenza del negozio… così tanto da tardare l’apertura per più di mezz’ora (con buona pace dei clienti in attesa, giustamente spazientiti!) e addirittura chiamare i Carabinieri a identificare i (pericolosissimi!) compagni.

Malgrado l’atto repressivo i compagni non si sono fatti intimorire nè distrarre e hanno portato avanti il volantinaggio.

Alle legittime proteste dei due compagni le forze dell’ordine hanno risposto che, in fin dei conti “non facevano null’altro che il loro lavoro” e che l’azienda evidentemente li ha chiamati “in base a qualche circolare loro interna”. In un certo senso avevano ragione, facevano il loro lavoro…ovvero reprimere chi dissente e si mobilita contro l’oppressione e lo sfruttamento dei padroni di turno!

In effetti, la filiale Tigotà di Domodossola ha deciso di applicare l’informativa diramata a tutte le filiali del Nord Italia in cui si chiede, al manifestarsi di eventuali azioni sindacali dentro e fuori gli spazi dell’azienda, di far intervenire le forze dell’ordine. I paladini della sicurezza, evidentemente, non avendo altre faccende più importanti da sbrigare, non solo sono intervenuti ma hanno identificato i compagni. Niente di nuovo, è una procedura applicata alla SEVEL di Atessa (CH) con il nostro compagno Lino Parra, identificato e pure denunciato durante un volantinaggio per promuovere la lotta per il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro, a poche settimane dall’assassinio sul lavoro di Luana D’Orazio. E proprio in Verbano-Cusio-Ossola le forze dell’ordine hanno identificato e multato la compagna Gaia Zotta per uno stencil sulla riscossa delle donne che copriva un simbolo fascista a Gravellona Toce, in via Liberazione angolo p.zza Resistenza.

Sottoscrivi con un versamento sul Conto Corrente Bancario intestato a Gemmi Renzo
IBAN: IT79 M030 6909 5511 0000 0003 018
 oppure usando il modulo qui sotto:

Causale: Spese legali Lino e Gaia

Alla faccia della “sicurezza” e dell’individuazione dei pericoli per la comunità di cui tanto si sta parlando in questi giorni nel teatrino della politica domese!

Ci domandiamo se le forze dell’ordine siano così lige al loro lavoro o si limitino ad applicare direttive aziendali palesemente anti-sindacali per conto di qualche padroncino, a controllare che sui posti di lavoro le norme sulla sicurezza vengano rispettate, oppure che i cantieri delle cave di marmo, tra cui quelle di Enzo sono il caso più eclatante, siano in regola e rispettino l’ambiente e la salute di chi intorno ci vive.

Questo e altri fatti dimostrano che la classe padronale e le sue istituzioni sono tigri di carta. Il ricorso all’intimidazione e alla repressione è un segno di debolezza dei padroni: mostrano il vero volto antidemocratico della classe dominante e dei suoi governi. Dalle intimidazioni a chi esprime solidarietà a una lotta operaia condotta con un azioni di rottura (come quella in corso dei lavoratori del magazzino Tigotà di Broni come successo a Patrizio e Danilo; ai manganelli contro gli studenti di Pisa, Firenze e Catania che manifestavano la loro solidarietà alla Palestina; fino ai processi contro i sindacalisti del SI Cobas e USB di Piacenza e le perquisizioni nei confronti di tre sindaclisti del SCobas a Verona per la vertenza Maxidì.

Con questo comunicato facciamo appello ai compagni del VCO, ai nostri simpatizzanti, alle forze comuniste e sindacali di far sentire la propria solidarietà ai compagni Patrizio Caretti e Danilo Moro, per appoggiare la lotta dei lavoratori Tigotà anche con volantinaggi e azioni davanti le sedi di questa catena commerciale.

Il Partito dei CARC invita i lavoratori del VCO a mettersi in contatto per denunciare la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro o altre problematiche nella propria azienda e a rilasciare testimonianze anche anonime per le Corrispondenze operaie del mensile Resistenza.

Non un passo indietro: 10, 100, 1000 volantinaggi davanti alle aziende per promuovere l’organizzazione e la solidarietà di classe!

Vi aspettiamo venerdì 22 marzo, h. 16.30 alla proiezione del film “7 minuti” al Circolo Operaio Ferraris di Omegna.

Partito dei CARC VCO – Presidio “Anna Maria Princigalli”

Fb: Partito dei Carc VCO – Tel. 3518637171 – sito: www.carc.it

Fonte: Partito dei CARC

English translate

[Domodossola] Solidarity with comrades Patrizio and Danilo: the workers’ revolt scares the bosses!

The VCO garrison of P.CARC publicly denounces the repressive and intimidating act by the police and expresses solidarity towards the two comrades who on Saturday 16 March carried out a leaflet distribution in front of the Tigotà in Domodossola during opening hours. The leaflet distribution was organized in solidarity with the trade union dispute of the Tigotà workers from Broni (PV) of SI Cobas, fighting for the recognition of contractual rights and against the closure of the warehouse, which would lead to around 200 layoffs.

Evidently this action, protected by the Constitution, frightened the management of the shop… so much so that they delayed the opening for more than half an hour (with all due respect to the customers waiting, who were rightly impatient!) and even called the Carabinieri to identify the (very dangerous!) comrades.

Despite the repressive act, the comrades did not allow themselves to be intimidated or distracted and continued with the leafleting.

To the legitimate protests of the two companions, the police responded that, after all, “they were doing nothing other than their job” and that the company had evidently called them “on the basis of some internal circular”. In a certain sense they were right, they were doing their job… that is, repressing those who dissent and mobilize against the oppression and exploitation of the bosses in question!

In fact, the Tigotà branch of Domodossola has decided to apply the information issued to all the branches in Northern Italy in which it is requested, in the event of any trade union action inside and outside the company premises, to have the forces of the order. The champions of security, evidently, having no other more important matters to attend to, not only intervened but identified their comrades. Nothing new, it is a procedure applied to the SEVEL of Atessa (Chieti) with our comrade Lino Parra, identified and also denounced during a leafleting to promote the fight for compliance with workplace safety regulations, a few weeks after the murder on the work by Luana D’Orazio. And precisely in Verbano-Cusio-Ossola the police identified and fined her comrade Gaia Zotta for a stencil on the women’s struggle which covered a fascist symbol in Gravellona Toce, in Via Liberazione on the corner of Piazza Resistenza.

Subscribe with a deposit into the bank account in the name of Gemmi Renzo
IBAN: IT79 M030 6909 5511 0000 0003 018 or using the form below:

Reason: Lino and Gaia legal expenses

So much for “safety” and the identification of dangers for the community that are being talked about so much these days in the theater of Domese politics!

We wonder if the police are so dutiful in their work or do they limit themselves to applying clearly anti-union company directives on behalf of some boss, to checking that safety regulations are respected in the workplace, or that the construction sites of marble quarries, of which Enzo’s are the most striking case, are in order and respect the environment and the health of those who live around them.

This and other facts demonstrate that the ruling class and its institutions are paper tigers. The use of intimidation and repression is a sign of weakness of the bosses: they show the true anti-democratic face of the ruling class and its governments. From intimidation to those who express solidarity to a workers’ struggle conducted with disruptive actions (such as the ongoing one of the workers of the Tigotà warehouse in Broni as happened to Patrizio and Danilo; to the truncheons against the students of Pisa, Florence and Catania who demonstrated their solidarity with Palestine; up to the trials against the trade unionists of SI Cobas and USB of Piacenza and the searches of three trade unionists of SI Cobas in Verona for the Maxidì dispute.

With this statement we appeal to the comrades of the VCO, to our sympathizers, to the communist and trade union forces to make their solidarity felt with the comrades Patrizio Caretti and Danilo Moro, to support the struggle of the Tigotà workers also with leaflets and actions in front of the headquarters of this commercial chain.

The CARC Party invites VCO workers to get in touch to report the lack of safety in the workplace or other problems in their company and to give testimonies, even anonymously, for the workers’ correspondence of the monthly magazine Resistenza.

Not a step backwards: 10, 100, 1000 leaflets in front of companies to promote organization and class solidarity!

We look forward to seeing you on Friday 22 March, h. 4.30pm at the screening of the film “7 minutes” at the Circolo Operaio Ferraris in Omegna.

CARC VCO Party – “Anna Maria Princigalli” Presidium

Fb: Carc VCO Party – Tel. 3518637171 – website: www.carc.it

Source: Partito dei CARC

[Firenze] Un esempio di cosa vuol dire fare una campagna elettorale di rottura contro la censura e la manipolazione mediatica

https://www.carc.it/2024/03/19/firenze-un-esempio-di-cosa-vuol-dire-fare-una-campagna-elettorale-di-rottura-contro-la-censura-e-la-manipolazione-mediatica/

di Federazione Toscana – Marzo 19, 2024

Come Federazione Toscana del Partito dei CARC esprimiamo piena solidarietà alla lista Firenze Rinasce per il grave atto intimidatorio portato dalle forze dell’ordine sfruttando la provocazione orchestrata da un giornalista di Fanpage durante la proiezione del film Il Testimone che si è svolta al Circolo La Pietra il 13 marzo scorso.

Durante l’introduzione alla serata (come denunciato nell’articolo di Firenze Today riportato in calce) il giornalista, tale Riccardo Amati (uno dei tanti fautori della propaganda russofoba come si evince dagli articoli a sua firma che si trovano online) si è lanciato in provocatorie e strumentali invettive contro i “filo putiniani” e la propaganda di guerra con tanto di telecamera accesa…Per documentare la presunta aggressione? E allora perché non ha reso pubblico il filmato? Forse perché l’aggressione non c’è stata?

Dopo essere stato allontanato dalla sala, il giornalista è andato dalle forze dell’ordine che erano presenti all’esterno del circolo per chiedere di arrestare gli “aggressori”. Intanto, c’è da chiedersi cosa ci facevano ben tre pattuglie della polizia fuori da un circolo in cui si stava tenendo la proiezione di un film, tra l’altro la stessa sera in cui è stato accoltellato un ragazzo di diciannove anni nei pressi della Stazione di Santa Maria Novella. Forse i 200 agenti rivendicati da Nardella servono proprio a questo: a controllare, reprimere e sanzionare le voci che dissentono con la propaganda guerrafondaia. La polizia ha risposto “prontamente” chiedendo la lista dei presenti ma non gli è stata fornita.

Ebbene, la prima considerazione è che ci sembra di essere davanti a un’operazione proprio orchestrata a tavolino (e che fa il paio con quella messa in scena da una sionista nella piazza dell’8 marzo promossa da Non Una Di Meno e su cui abbiamo già scritto), probabile che la Questura avesse bisogno di un pretesto per avere i nominativi dei partecipanti e il giornalista di Fanpage gliel’ha dato provando a buttarla in rissa, tra l’altro con estrema scorrettezza poiché Amati era stato invitato proprio dagli organizzatori con lo spirito di un confronto costruttivo. Alla faccia della deontologia del mestiere del giornalista, quella che dovrebbe presupporre onestà intellettuale di investigare, di conoscere e di raccontare la realtà per com’è e non per come fa comodo ai guerrafondai amici della NATO (che, intanto, nella città di Firenze stanno tramando per imporre un comando nel bel mezzo di un quartiere popolare). Comunque, la risposta degli organizzatori è stata esemplare perchè non solo non hanno ceduto alle provocazioni ma hanno anche respinto i tentativi intimidatori rifiutandosi di fornire la lista. Questo è un buon esempio di resistenza alla repressione.

Provocazioni orchestrate ad arte, propaganda di guerra e attacchi repressivi sono sintomo del tentativo della classe dominante di contenere la crescente risposta popolare alla linea criminale che attua quotidianamente. Nel caso di specie, c’è poi l’evidente tentativo di silenziare una proposta elettorale, come quella di Firenze Rinasce che si è assunta la responsabilità di dare battaglia al clima di crescente censura in città, di cui il PD è artefice.

La realizzazione della proiezione del film Il Testimone è un risultato importante della lista e dei suoi sostenitori ed è un piccolo ma significativo esempio di cosa significa fare una campagna elettorale di rottura: non farsi legare le mani e i piedi dai diktat delle autorità, sfidare le misure liberticide e arbitrarie per realizzare gli interessi delle masse popolari, in questo caso tutelare diritti costituzionalmente sanciti come la libertà di espressione e l’agibilità politica e culturale per alzare una voce alternativa alla propaganda di guerra propinata dai media di regime a reti unificate.

Firenze Rinasce si è assunta questa responsabilità, nonostante la repressione che Sindaco e Questore hanno provato a scagliargli contro negli ultimi mesi (a partire dal primo tentativo di proiezione del film).

La lotta contro la censura mediatica e la repressione sono una parte estremamente importante della lotta di classe e la solidarietà è un’arma per vincerla, quindi invitiamo le altre forze politiche, le organizzazioni operaie e popolari, i collettivi studenteschi e i sindacati conflittuali e alternativi a quelli di regime a portare la propria a Firenze Rinasce e ai partecipanti alla proiezione che hanno deciso di non piegarsi a questo grave e odioso sopruso.

Federazione Toscana del Partito dei CARC

Il “tentativo di schedatura” alla proiezione del film russo ‘Il Testimone’ (il lungometraggio sull’invasione dell’Ucraina da parte delle forze di Putin) proiettato mercoledì sera al circolo La Pietra in via di Montughi, con i posti in sala esauriti. A denunciarlo la lista civica Firenze Rinasce, con il candidato sindaco per Palazzo Vecchio Alessandro De Giuli che chiama in causa proprio l’attuale amministrazione e parla di: “clima di intolleranza scatenato dalla furia censoria della giunta Nardella. Per cui, mentre nelle stesse ore un diciannovenne veniva accoltellato a morte in largo Alinari, il questore ha ritenuto di dovere inviare e piazzare in bella vista tre vetture delle forze dell’ordine davanti all’entrata del circolo”. Ma soprattutto, aggiunge, “ancora più grave il fatto che un agente abbia richiesto ad un addetto del circolo l’elenco dei prenotati e dei presenti”, foglio che spiega, “non è stato comunque consegnato”. “Il comportamento degli agenti si è dimostrato impeccabile e professionale ma la scelta securitaria della questura poteva meglio essere indirizzata in altri luoghi della città sicuramente maggiormente a rischio. Di quale sicurezza si parla da Firenze? Quella del Palazzo che non vuole critiche e mette in pratica censure, o intimidazioni? O quella dei cittadini che chiedono di poter vivere in una città tranquilla e che ancora una volta domani saranno in piazza per far sentire la propria voce? Nei prossimi giorni illustreremo al prefetto di Firenze le difficoltà che il clima cittadino obiettivamente comporta per la campagna elettorale che di certo non può svolgersi serenamente se predomina la censure politica e il controllo poliziesco”. Secondo quanto però appreso dalla questura e riportato dall’agenzia Ansa, l’agente è intervenuto richiedendo l’elenco dei presenti dopo che un giornalista, presente tra il pubblico, è stato allontanato dalla sala, sembra anche con spintoni, secondo quanto raccontato dallo stesso cronista. E sulla pagina Facebook di Firenze Rinasce è ancora De Giuli a dare la propria versione con un video: “Una cosa che ci è spiaciuta è che il giornalista di Fanpage Riccardo Amati, che conoscevamo e avevamo invitato a partecipare e dibattere con noi, si è presentato e ha iniziato, in maniera molto scorretta, a contestare ciò che stava dicendo l’altro nostro ospite il giornalista italiano in Donbass Vincenzo Lorusso. La contestazione di Amati è stata del tutto sgradevole. Però è il segno dei tempi – conclude – non si vuole che di questa guerra se ne parli in contraddittorio”. La pellicola è stata proiettata dopo il tentativo andato a vuoto un mese e mezzo fa al Teatro dell’Affratellamento con retromarcia e corollario di polemiche e nei giorni scorsi è stato annunciato anche un bis, questa volta alla libreria Salvemini.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

[Florence] An example of what it means to run a breakthrough electoral campaign against censorship and media manipulation

As the Tuscan Federation of the CARC Party we express full solidarity with the Firenze Rinasce list for the serious intimidating act carried out by the police exploiting the provocation orchestrated by a Fanpage journalist during the screening of the film Il Testimone which took place at the Circolo La Pietra on Last March 13th.

During the introduction to the evening (as reported in the Firenze Today article reported below) the journalist, a certain Riccardo Amati (one of the many supporters of Russophobic propaganda as can be seen from the articles signed by him which are found online) launched into provocative and instrumental invectives against the “pro-Putinian” and war propaganda complete with a camera on…To document the alleged aggression? So why didn’t he make the footage public? Maybe because the attack didn’t happen?

After being removed from the room, the journalist went to the police who were present outside the club to ask them to arrest the “attackers”. Meanwhile, one wonders what three police patrols were doing outside a club where a film was being shown, among other things on the same evening in which a nineteen-year-old boy was stabbed near the Santa Maria Novella station. Perhaps the 200 agents claimed by Nardella serve precisely this: to control, repress and sanction voices that disagree with the warmongering propaganda. The police responded “promptly” asking for the list of those present but it was not provided.

Well, the first consideration is that we seem to be faced with an operation precisely orchestrated on the table (and which goes hand in hand with the one staged by a Zionist in the square of 8 March promoted by Non Una Di Meno and on which we have already written), it is probable that the Police Headquarters needed a pretext to have the names of the participants and the Fanpage journalist gave it to them by trying to throw her into a fight, among other things with extreme incorrectness since Amati had been invited by the organizers with the spirit of constructive discussion. In spite of the ethics of the journalist’s profession, which should presuppose the intellectual honesty of investigating, knowing and reporting reality as it is and not as it suits the warmongering friends of NATO (who, meanwhile, in the city of Florence are plotting to impose a command in the middle of a working-class neighborhood). However, the response of the organizers was exemplary because not only did they not give in to the provocations but they also rejected the intimidating attempts by refusing to provide the list. This is a good example of resistance to repression.

Artfully orchestrated provocations, war propaganda and repressive attacks are a symptom of the ruling class’s attempt to contain the growing popular response to the criminal line it implements on a daily basis. In the present case, there is then the evident attempt to silence an electoral proposal, such as that of Firenze Rinasce which has taken on the responsibility of combating the climate of growing censorship in the city, of which the PD is the creator.

The holding of the screening of the film The Witness is an important result of the list and its supporters and is a small but significant example of what it means to carry out a breaking electoral campaign: not having your hands and feet tied by the diktats of the authorities, challenging the measures liberticidal and arbitrary to achieve the interests of the popular masses, in this case protecting constitutionally sanctioned rights such as freedom of expression and political and cultural viability to raise an alternative voice to the war propaganda spread by the regime media to unified networks.

Firenze Rinasce has taken on this responsibility, despite the repression that the Mayor and Police Commissioner have tried to hurl against it in recent months (starting from the first attempt to screen the film).

The fight against media censorship and repression is an extremely important part of the class struggle and solidarity is a weapon to win it, therefore we invite other political forces, workers’ and popular organisations, student collectives and conflictual and alternative trade unions to those of the regime to bring theirs to Florence Rinasce and to the participants in the screening who decided not to submit to this serious and hateful abuse.

Tuscan Federation of the CARC Party

The “filing attempt” at the screening of the Russian film ‘Il Testimone’ (the feature film on the invasion of Ukraine by Putin’s forces) screened on Wednesday evening at the La Pietra club in via di Montughi, with seats in the theater sold out. This was denounced by the Firenze Rinasce civic list, with the mayoral candidate for Palazzo Vecchio Alessandro De Giuli calling into question the current administration and speaking of: “climate of intolerance unleashed by the censorious fury of the Nardella council. Therefore, while in the same hours a nineteen-year-old was stabbed to death in Largo Alinari, the police commissioner felt he had to send and place three police vehicles in plain sight in front of the entrance to the club”. But above all, he adds, “even more serious is the fact that an agent asked a club employee for the list of those booked and those present”, a sheet which he explains, “was not delivered in any case”. “The behavior of the officers proved to be impeccable and professional but the security choice of the police station could have better been directed to other places in the city that were certainly more at risk. What security are we talking about from Florence? The one from the Palace that doesn’t want criticism and puts into practice censorship or intimidation? Or that of the citizens who ask to be able to live in a quiet city and who will once again be in the streets tomorrow to make their voices heard? In the next few days we will illustrate to the prefect of Florence the difficulties that the city climate objectively entails for the electoral campaign which certainly cannot take place peacefully if political censorship and police control predominates”. However, according to what was learned by the police headquarters and reported by the Ansa agency, the agent intervened requesting the list of those present after a journalist, present in the audience, was removed from the room, apparently even with pushes, according to what he said reporter. And on the Firenze Rinasce Facebook page, De Giuli once again gives his version with a video: “One thing that displeased us is that the Fanpage journalist Riccardo Amati, who we knew and had invited to participate and debate with us, decided to presented and began, in a very incorrect manner, to dispute what our other guest, the Italian journalist in Donbass Vincenzo Lorusso, was saying. Amati’s protest was completely unpleasant. But it’s a sign of the times – he concludes – we don’t want this war to be discussed in an adversarial manner”. The film was screened after the unsuccessful attempt a month and a half ago at the Teatro dell’Afffratellamento with a reverse and a corollary of controversy and in recent days an encore was also announced, this time at the Salvemini bookshop.

Source: Partito dei CARC

Solidarietà ad Antudo: giù le mani da chi lotta contro la guerra!

Rispondiamo compatti alla repressione per rispedirla al mittente

https://www.carc.it/2024/03/21/palermo-solidarieta-ad-antudo-giu-le-mani-da-chi-lotta-contro-la-guerra/

di Agenzia Stampa – Marzo 21, 2024

Mentre in Palestina è in corso un genocidio, in Italia viene arrestato chi si oppone alla militarizzazione dei territori.

Siamo solidali e complici con i militanti di Antudo che il 21 marzo sono stati colpiti da misure cautelari e arresti in seguito al sanzionamento dei guerrafondai della Leonardo SPA. Dopo le perquisizioni dello scorso luglio, la DIGOS di Palermo e la DIA hanno messo a punto un disegno repressivo che sfocia in accuse deliranti di istigazione a delinquere e atto terroristico. Visto che i compagni in questione non sono in prima linea nella produzione delle armi che vengono usate nel genocidio del popolo palestinese, le accuse hanno il destinatario sbagliato. Ma è inutile cercare la logica in questo processo: le azioni contestate sono solo il pretesto per attuare un’ulteriore mossa nel solco di quell’attacco che il governo Meloni muove contro quanti, oggi, si mobilitano e si organizzano per far valere gli interessi delle masse popolari autonomamente dalle autorità della classe dominante, mafia e padroni, i loro servi e le loro polizie che, invece, le vorrebbero docili e obbedienti.

Per queste ragioni, portiamo la nostra solidarietà di classe a chi si è mobilitato e si mobilita contro i guerrafondai che, approfittando della sottomissione del governo Meloni agli imperialisti USA/NATO, UE e sionisti, rendono il nostro paese complice e connivente delle loro scorribande in giro per il mondo.
Per queste ragioni, bisogna fare della lotta contro la repressione una questione politica, cioè una questione che alimenti mobilitazione, indignazione, organizzazione delle masse popolari: in definitiva, che diventi un problema di ordine pubblico per ritorcere la repressione contro i mittenti! Questo significa che bisogna portare in tutte le piazze, in tutte le iniziative in programma nelle prossime settimane – indipendentemente dai promotori – la solidarietà ad Antudo. Perciò facciamo appello a tutte le forze sociali e politiche della città a formare un ampio fronte di solidarietà per i compagni e le compagne colpite quest’oggi. Ben vengano presidi, assemblee e iniziative al fine di imporre la scarcerazione immediata e il ritiro di altre misure cautelari; inoltre già le prossime manifestazioni cittadine, come quella del 30 marzo in solidarietà al popolo palestinese, sono momenti importanti di cui approfittare per portare un messaggio di solidarietà popolare per Luigi e gli/le altri/e militanti che sono sotto attacco dal governo Meloni.

Libertà immediata per Luigi e gli/le altri/e militanti
Solidarietà incondizionata ad Antudo

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Solidarity with Antudo: hands off those who fight against the war!

We respond unitedly to the repression to send it back to the sender

While a genocide is underway in Palestine, in Italy those who oppose the militarization of the territories are arrested.

We stand in solidarity and complicity with the Antudo militants who on March 21st were hit by precautionary measures and arrests following the sanctioning of the warmongers of Leonardo SPA. After the searches last July, the DIGOS of Palermo and the DIA have developed a repressive plan that results in delusional accusations of incitement to crime and terrorist act. Since the comrades in question are not at the forefront of producing the weapons that are used in the genocide of the Palestinian people, the accusations are aimed at the wrong audience. But it is useless to look for logic in this process: the contested actions are only the pretext to implement a further move in the wake of that attack that the Meloni government makes against those who, today, are mobilizing and organizing themselves to assert the interests of popular masses independently from the authorities of the ruling class, mafia and masters, their servants and their police who, instead, would like them docile and obedient.

For these reasons, we bring our class solidarity to those who have mobilized and are mobilizing against the warmongers who, taking advantage of the submission of the Meloni government to the US/NATO, EU and Zionist imperialists, make our country complicit and conniving in their raids in around the world.
For these reasons, we need to make the fight against repression a political issue, that is, an issue that fuels mobilization, indignation, organization of the popular masses: ultimately, that it becomes a problem of public order to turn the repression against the senders! This means that we need to bring solidarity with Antudo to all the streets, to all the initiatives planned in the coming weeks – regardless of the promoters. We therefore appeal to all the social and political forces of the city to form a broad front of solidarity for the comrades affected today. Provisions, assemblies and initiatives aimed at imposing immediate release and the withdrawal of other precautionary measures are welcome; Furthermore, the upcoming city demonstrations, such as the one on March 30th in solidarity with the Palestinian people, are already important moments to take advantage of to bring a message of popular solidarity for Luigi and the other militants who are under attack by the Meloni government.

Immediate freedom for Luigi and the other militants
Unconditional solidarity with Antudo

Source: Partito dei CARC

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

ULTIMA GENERAZIONE: “MENO DUE MESI ALLA RIVOLUZIONE!”

Ciao Alessio,

Fra due mesi inizia la più grande mobilitazione di massa che abbiamo mai organizzato. Sarà a Roma e culminerà in queste due date: sabato 11 e 25 maggio.

Noi crediamo che sia rivoluzionario agire con determinazione, in modo collettivo e nonviolento, per proteggere la nostra terra e la nostra democrazia.

Se sarà veramente rivoluzionario, dipende da te: solo se saremo veramente migliaia riusciremo a scuotere questo sistema miope e violento.

Pochi mesi fa abbiamo fatto un primo esperimento ed è stato straordinario.

Poco più di 100 persone occuparono pacificamente il viale adiacente piazza Vittorio Emanuele, sedendosi sulla strada per tenere un’assemblea popolare e vivere un’esperienza democratica diretta. Non ci furono né multe né denunce. Perché? Perché il popolo quando è unito è protezione di sé stesso. 

Quello è stato un primo esperimento, un po’ improvvisato, molto simbolico. Immagina se fossimo in 1000, 5000 e oltre a occupare le strade della Capitale. 

Alessio abbiamo l’opportunità di smettere di collaborare con questa classe politica che ci vuole rubare la nostra libertà e il nostro futuro, e iniziare a costruire qualcosa di nuovo. Ce lo chiede la nostra coscienza, ce lo chiedono le prossime generazioni. 

Questa opportunità è anche la tua!

Non esitare.

Con amore e determinazione, Ultima Generazione 🧡

ULTIMA GENERAZIONE: “LESS TWO MONTHS TO THE REVOLUTION!”

Hello Alessio,

In two months, the largest mass mobilization we have ever organized begins. It will be in Rome and will culminate in these two dates: Saturday 11th and 25th May.

We believe that it is revolutionary to act decisively, collectively and nonviolently, to protect our land and our democracy.

Whether it will be truly revolutionary is up to you: only if there are truly thousands of us will we be able to shake up this short-sighted and violent system.

A few months ago we did a first experiment and it was extraordinary.

Just over 100 people peacefully occupied the avenue adjacent to Piazza Vittorio Emanuele, sitting on the street to hold a popular assembly and live a direct democratic experience. There were no fines or complaints. Why? Because when the people are united they are their own protection.

That was a first experiment, a bit improvised, very symbolic. Imagine if there were 1000, 5000 or more of us occupying the streets of the capital.

Alessio we have the opportunity to stop collaborating with this political class that wants to steal our freedom and our future, and start building something new. Our conscience asks us, the next generations ask us.

This opportunity is yours too!

Do not hesitate.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

FRANCIA NEL CAOS: QUARTA NOTTE DI SCONTRI. LIONE E NANTERRE A FERRO E FUOCO: OLTRE 1300 ARRESTI

Salta la decisione sullo stato d’emergenza. Darmanin chiede lo stop a bus e tram dalle 21. Oggi pomeriggio i funerali di Nahel, che dovrebbero svolgersi in un clima di “discrezione”

Scontri in Francia, uno stabilimento danneggiato dopo una notte di saccheggi e disordini a Montreuil, vicino a Parigi
https://www.rainews.it/maratona/2023/07/francia-nel-caos-quarta-notte-di-scontri-lione-e-nanterre-a-ferro-e-fuoco-471-arresti-11c9d3ac-6b5d-43b9-a102-a6d256eb2d36.html

13:25 01 Luglio 2023

Iniziati a Nanterre i funerali del 17enne Nahel

Le esequie del 17enne Nahel M. sono iniziate questa mattina presso la camera ardente di Nanterre in un clima molto teso, alla presenza di tante persone accorse per rendere omaggio al ragazzo ucciso martedì, durante un posto di blocco, da un agente di polizia. Molte persone si sono radunate fuori dall’edificio per la cerimonia, che la famiglia ha voluto fosse il più intima possibile, lontano dalle telecamere.

“Pace all’anima sua, che sia fatta giustizia. Sono venuta a sostenere sua madre, aveva solo lui, poverina”, ha spiegato alla France Presse una donna di Nantes, che non ha voluto rivelare il suo nome, mentre lasciava la camera ardente. Il carro funebre ha lasciato l’impresa di pompe funebri intorno alle 12. Una cerimonia funebre è prevista nel primo pomeriggio alla moschea Ibn Badis di Nanterre. La sepoltura avverrà poi nel cimitero di Mont Valerien.

Appassionato di rap e motociclismo, Nahel è stato cresciuto da solo dalla madre a Nanterre e ha vissuto in un condominio nella tenuta Pablo-Picasso, ai piedi de La De’fense. Finita la scuola ha lavorato come fattorino e aveva avviato un “corso di inserimento” nell’associazione Ovale Citoyen https://ovalecitoyen.fr che accompagna i giovani attraverso lo sport

La sua uccisione ha scatenato disordini e violenze urbane in Francia, da quattro notti consecutive in preda al caos. Il poliziotto responsabile della sua morte, per il quale è stata disposta la custodia cautelare, ha invocato la legittima difesa.

Fonte: Rai News

Francia. La polizia uccide un ragazzo, scontri a Nanterre

di Redazione Contropiano

https://contropiano.org/news/malapolizia-news/2023/06/28/francia-la-polizia-uccide-un-ragazzo-scontri-a-nanterre-0161938

Lutto e rabbia. Nella tarda serata di martedì 27 giugno e per tutta la notte sono scoppiati incidenti tra gli abitanti di diversi quartieri di Nanterre e la polizia, a poche ore dalla morte di Naël M., colpito a bruciapelo da un poliziotto in motocicletta della Divisione Ordine Pubblico e Traffico della Prefettura di Polizia di Parigi quando si è rifiutato di obbedire.

Incendi di pallet, baracche da cantiere e veicoli dati alle fiamme nel quartiere Vieux-Pont, da cui proveniva la vittima, e venti persone arrestate: gli appelli alla calma del sindaco della città, Patrick Jarry, non sono bastati a evitare gli scoppi che erano prevedibili date le circostanze della morte del giovane, che sono stati ripresi dallo smartphone di un passante intorno alle 8.15 di martedì mattina nel quartiere della prefettura di Hauts-de-Seine.

Il filmato di cinquanta secondi, diventato virale sui social network, ha letteralmente spazzato via il linguaggio inizialmente usato dalle autorità, che parlavano di un veicolo che sfrecciava verso due agenti di polizia con l’intenzione di investirli.

Le immagini mostrano i due motociclisti della polizia appoggiati alla portiera del lato guida di una Mercedes AMG gialla. Nella colonna sonora, sovrapposta al frastuono del traffico, si sentono frammenti di un’accesa conversazione. “Ti spareranno in testa”, grida un poliziotto, con la pistola a pochi centimetri dal conducente del veicolo.

L’auto era appena ripartita e si muoveva ancora a passo di lumaca quando è partito un colpo. Colpita al cuore, la vittima ha perso il controllo del veicolo, che è andato a sbattere contro un cartello di Place Nelson-Mandela, a una cinquantina di metri di distanza. Il giovane è morto alcune decine di minuti dopo, nonostante il tentativo di rianimazione da parte dell’ambulanza. Un passeggero, anch’egli minorenne, è stato arrestato, mentre un terzo individuo, ancora latitante, era ancora attivamente ricercato martedì sera.

I fatti sono stati riferiti alla Procura di Nanterre, che ha aperto due inchieste: la prima per resistenza all’arresto e tentato omicidio nei confronti della polizia; la seconda, per omicidio volontario, nei confronti del poliziotto che ha usato l’arma. I tre avvocati che rappresentano la famiglia della vittima ritengono che questa decisione della Procura di Nanterre metta in dubbio l’imparzialità dell’inchiesta.

“Rifiutarsi di obbedire non dà la licenza di uccidere”.

In un comunicato stampa, hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro l’agente di polizia che ha sparato. “Non c’è dubbio che avesse intenzione di causare la morte”, hanno sottolineato, aggiungendo che “la denuncia riguarderà anche il suo collega per complicità in omicidio volontario”. È stata anche presentata una richiesta di trasferimento del caso ai tribunali. Inoltre”, sostiene uno degli avvocati, Yassine Bouzrou, “non solo la morte del giovane significa che il processo pubblico contro di lui è finito, ma dal momento in cui il video è stato rivelato, è chiaro che l’accusa di tentato omicidio non è più valida e che dovrebbe essere abbandonata”.

I due agenti in questione sono stati interrogati dall’Ispettorato nazionale di polizia prima che l’uomo armato venisse preso in custodia per spiegare come sia arrivato ad aprire il fuoco contro il giovane automobilista quando, come mostra il video, non c’era alcun rischio che venisse colpito o ferito dall’auto.

Riferendosi alle circostanze in cui sono intervenuti gli agenti di polizia, il prefetto della polizia di Parigi, Laurent Nuñez, ha spiegato a BFM-TV che i due agenti avevano “individuato un veicolo che aveva commesso una serie di infrazioni, che inizialmente hanno cercato di controllare. Questo veicolo non si è fermato (…), si è inizialmente rifiutato di rispettare le regole e poi è rimasto bloccato nel flusso del traffico, dove è stato fatto un tentativo di controllarlo a quel punto”.

Durante il question time del governo all’Assemblea nazionale, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, pur ribadendo il suo impegno per il “principio della presunzione di innocenza degli agenti di polizia”, ha definito le immagini pubblicate sui social network “estremamente scioccanti”. Tuttavia, non hanno indignato nessuno al di là della sinistra, per la maggior parte.

Olivier Faure, primo segretario del Partito socialista, ha twittato che “rifiutarsi di obbedire non dà licenza di uccidere”, mentre Clémentine Autain, deputata (La France insoumise) di Seine-Saint-Denis, ha condannato una “esecuzione sommaria”.

* Da Le Monde

28 Giugno 2023 – Ultima modifica: 28 Giugno 2023, ore 8:28

Fonte: Contropiano

“La notte sarà lunga”: la Francia in collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/29/la-notte-sara-lunga-la-francia-in-collera-0161963

L’uccisione da parte della polizia a Nanterre del giovane 17enne Nahel M. durante un normale controllo stradale delle ‘forze dell’ordine’ ha suscitato una vasta reazione che non sembra placarsi.

Un video divenuto subito virale – di cui è stata appurata l’autenticità dall’agenzia stampa AFP e dal quotidiano Le Monde ha radicalmente rovesciato la versione delle fonti poliziesche.

É stato lo stesso presidente Macron a definirlo un dramma “inesplicabile e non scusabile, cui hanno fatto eco parole simili del capo dell’esecutivo, Elisabeth Borne.

Macron ha ovviamente invitato alla calma finché venga fatta giustizia, ma gli animi non si sono affatto placati.

Per questo oggi è stata convocata una marche blanche alle 2 del pomeriggio, di fronte alla Prefettura a Nanterre, nel comune della periferia nord-occidentale della metropoli parigina, a poca distanza da dove è avvenuta l’uccisione. Ma numerose sono le iniziative di solidarietà che dal tardo pomeriggio di mercoledì – Lille, Nantes, Tolosa, per non citarne che alcune – si sono svolte in tutto l’Esagono.

É bene ricordare che l’Assemblea Nazionale – il Parlamento francese – ha osservato un “minuto di silenzio”  per la morte del giovane, nella giornata di mercoledì.

Contro le parole di Macron e Borne si sono scagliati i sindacati della polizia AllianceUnite SGP PoliceSinergie officiers e Alternative police-CFDT che hanno messo l’accento sulla «presunzione d’innocenza» di cui devono beneficiare i propri colleghi, ancora in stato di fermo, nonostante le immagini mostrino una vera e propria esecuzione del 17enne senza che possa essere riscontrabile alcun pericolo per gli agenti, come previsto dalle fattispecie previste per l’uso di armi da parte della polizia in quei contesti.

Le critiche indirizzate a Macron sono proprie sostanzialmente dalla leader del RN, Marine Le Pen, così come dei gollisti di LR, pronti a prendere la difesa a spada tratta delle forze dell’ordine.

La figlia del fondatore del Front Nationale – di cui RN è l’erede – ai microfoni di BFM-TV ha dichiarato: «la polizia non ha più, in un certo numero di quartieri, la minima autorità e questo mette delle vite in pericolo», affermando che il rifiuto di ottemperare agli ordini della polizia «mette delle vite dei poliziotti in pericolo, ma questo mette, lo si vede anche, le vite di altri in pericolo. Io sono per la presunzione di legittima difesa per le forze dell’ordine».

Di fatto si vorrebbe garantire l’impunità degli agenti anche in caso di una vera e propria esecuzione, come è accaduto mercoledì nella capitale francese.

Da quando la legge è stata cambiata – su pressione degli stessi sindacati di polizia, nel 2017 – le morti sono aumentate e l’anno scorso ben 13 persone sono state uccise dalla polizia mentre erano al volante.

Come scrive il sito d’informazione Mediapart: «in assenza di video incontestabili o di testimoni particolarmente convincenti, è la versione degli agenti che prevale».

Ma la coscienza della necessità del monitoraggio delle forze dell’ordine e la denuncia del loro operato è qualcosa che si è radicato nella coscienza di una parte importante del popolo francese, che ne ha fatto le spese dalle mobilitazioni contro la Lois Travaille in poi, come dimostrano il bellissimo film I Miserabili di Lady ly, il documentario del giornalista d’inchiesta David Dufresne, – The Monopoly of violence che mostra la brutalità durante il movimento dei Gilets Jaunes (2018-2020) – ed un numero piuttosto cospicuo di saggi purtroppo non tradotti in italiano.

Il nuovo articolo 435-1 del codice di sicurezza dà un’ampia discrezionalità agli agenti, prevedendo 5 circostanze in cui è legittimo ricorrere all’uso delle armi.

Le statistiche parlano di una impennata nel loro uso nell’anno dell’approvazione – 202 casi secondo quanto riporta il Ministro dell’Interno – per poi assestarsi ad un livello leggermente inferiore ma comunque in aumento rispetto all’approvazione della legge, senza che peraltro possa essere stabilita una correlazione diretta con l’aumento del “rifiuto” di ottemperare alle disposizioni poliziesche.

Come fa notare l’organo di informazione indipendente Basta – il solo che ha costituto un archivio consultabile di dati indipendenti – dall’approvazione della legge sono morte 26 persone nel tentativo di sfuggire ad un controllo, a differenza delle 17 uccise tra il 2002 ed il 2017.

Come sintetizza il ricercatore universitario Sebastian Roché, autore di differenti testi di studio sulla polizia: «il poliziotto può fare uso della sua arma per qualche problema… che non si è prodotto».

Questo in un contesto in cui il rilievo penale, e la relativa ammenda pecuniaria per il reato di “non ottemperanza”, si sono inasprite.

In pratica si è legittimato un uso preventivo delle armi abbastanza discrezionale che ha prodotto effetti deleteri in termini di aumento delle morti, mentre l’opera di lobbyng delle potenti associazioni di categoria cerca di garantire di fatto l’impunità.

Yassine Bouzrou, uno degli avvocati della famiglia Nahel, ha precisato al sito di informazione indipendente Brut che i suoi clienti hanno depositato una denuncia per «omicidio volontario» contro il poliziotto autore della sparatoria e per complicità contro il suo collega, ma anche per «falso in trascrizione in atti d’ufficio».

La prima versione, ripresa da alcuni media, evocava un inesistente tentativo di forzare il blocco degli agenti con l’intenzione di investirli, poi clamorosamente smentita dai filmati.

Sono molti i personaggi in vista dello sport e dello spettacolo, insieme alla sinistra radicale della NUPES che non si sono limitati ad esprimere il proprio cordoglio ed il proprio sostegno alla famiglia del giovane ucciso, ma hanno messo in discussione le narrazioni tossiche che si accompagnano spesso rispetto alle vittime di questi episodi.

Nomi conosciuti al grande pubblico anche italiano per i propri successi sportivi come Kylian Mbappé, capitano della squadra francese di calcio, o l’altro nazionale Jules Koundé, il rapper Niska o Medine, o Kameto, lo streamer da un milione di followers su Twitter, o l’attore Omar Sy.

Un segnale di come l’omertà di fronte a tali episodi non è la norma.

Lo stesso sindaco progressista di Nanterre, Patrick Jarry, spiega a Le Monde la rabbia che è esplosa già da martedì sera: «in alcuni quartieri, c’è un sentimento condiviso secondo cui non c’è la stessa giustizia per tutti, così come non c’è la stessa istruzione per tutti, lo stesso diritto al lavoro per tutti. É tutto questo che alimenta questa questa frustrazione che si è espressa durante la notte».

É questo che teme l’establishment politico francese.

29 Giugno 2023 – Ultima modifica: 29 Giugno 2023, ore 7:53

Fonte: Contropiano

Francia: le ragioni della collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/francia-le-ragioni-della-collera-0161980

“È il nostro modo di essere perché ci hanno levato tutto”. Non si placa la reazione popolare in seguito alla morte di Nahel M., il 17enne ucciso la mattina di martedì del 27 luglio a Nanterre, nella periferia parigina nord-occidentale, da un agente di polizia che gli ha sparato “a bruciapelo” durante un controllo poliziesco.

Il quotidiano Le Figaro ha rivelato che l’agente in questione – ora in detenzione provvisoria – era stato premiato più volte nella sua carriera, l’ultima delle quali (nel 2020) per il “coraggio” dimostrato durante le mobilitazioni dei Gilets Jaunes.

Il Ministro dell’Interno Darmanin ha mobilitato per la notte di giovedì ben 40 mila agenti su tutto il territorio nazionale, di cui 5 mila nella sola Parigi, senza che per ora sia stato dichiarato “l’etat d’urgence”, come richiesto a gran voce tra l’altro dal leader dei gollisti di LR, E. Ciotti, e dall’estrema destra di Zemmour.

Valérie Pécresse, presidente della regione di L’Ile-de-France (di fatto l’area metropolitana parigina) ha dichiarato che tram e bus resteranno fermi dalle 21 in poi, circolerà solo la RER e la metro.

Lo “stato d’urgenza” era stato promulgato nel 2005 quando a seguito della morte di due ragazzi – Zeyd Benna e Bouna Traoré – a Clichy-sous-Bois, sempre nell’hinterland della capitale francese, in seguito ad un inseguimento poliziesco due ragazzi rimasero folgorati per avere cercato riparo in un edificio adibito a centrale elettrica.

L’Esagono conobbe alcune settimane caratterizzate da continui scontri notturni nelle periferie di diverse città. Un avvenimento che ha marcato profondamente la coscienza degli abitanti dei quartieri popolari, facendo emergere una profonda spaccatura fin qui non ricomposta con l’establishment politico, e che dopo questi quasi due decenni hanno visto peggiorare le proprie condizioni di esistenza.

L’estensione e l’intensità della reazione, già dalla seconda notte, fanno presagire uno scenario simile a quello del 2005 ma in un contesto diverso, perché il corpo sociale (non solo gli abitanti delle periferie) ha conosciuto sulla propria pelle la repressione nei vari movimenti di lotta che si sono succeduti, almeno dalla fine del quinquennio Hollande in poi.

Il processo di delegittimazione del potere politico e delle istituzioni della V Repubblica è ulteriormente avanzato a causa delle blindature che le élites continentali “con passaporto francese” hanno imposto sulle scelte strategiche che hanno impattato ed impatteranno pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione.

Ossial’ennesima riforma pensionistica, il precedente stravolgimento dell’istituto dell’assurance-chomage, e recentemente, una legge che mina in profondità il diritto all’abitare stabilendo pene carcerarie e pecuniarie esorbitanti per chi occupa un alloggio, o semplicemente agita l’occupazione come strumento di lotta.

Non ultimo, siamo in un contesto di guerra sia sul fronte esterno – in Ucraina ma non solo – ed interno, dove i margini di azione politica vengono annichiliti a colpi di provvedimenti dell’esecutivo, come dimostra lo scioglimento del collettivo ecologista Les soulèvements de la terre.

L’inflazione in Francia, proprio come in Italia, continua a mordere ed è attorno alle due cifre, senza che a questa sia corrisposto un adeguamento salariale consistente. Una situazione in cui anche lo SMIC, ossia il salario minimo intercategoriale, se basso, può poco per ciò che riguarda l’impoverimento crescente di una fetta sempre più ampia della popolazione.

In questo contesto assistiamo sempre più ad una polarizzazione netta del campo politico con i conservatori che vanno a braccetto con l’estrema destra, influenzando in profondità la Macronie.

Il neofascismo prende sempre più spazio, banalmente comprandosi testate giornalistiche di rilievo, come è accaduto con il quotidiano sportivo Paris-Match e quello domenicale JDD, acquistati dal gruppo Vivendi, di proprietà di Bolloré, il magnate che ha di fatto creato il fenomeno Zemmour, cometa neo-fascista riapparsa nei cieli della politica dopo le elezioni presidenziali proprio in questi giorni.

Dall’altra parte abbiamo il campo della sinistra radicale della NUPES che, nonostante le differenze al suo interno ed alcuni posizionamenti “ballerini” sulla politica internazionale – comunque la LFI rimane per l’uscita dalla NATO della Francia e critica l’operato della UE “da sinistra” – sa da che parte stare.

Ovvero nei picchetti degli operai in sciopero sgomberati dalla polizia durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni, nei commissariati quando vengono arrestati gli attivisti nel corso delle manifestazioni, al fianco dei manifestanti anche quando si mettono in campo pratiche di azione diretta come per esempio a Sainte-Soline contro il progetto di megabacini idrici, nella marche blanche lanciata dalla madre del 17-enne ucciso, e così via, oltre a fare una opposizione reale e non di facciata in Parlamento.

E’ sempre bene ricordarlo: la Nupes ha fatto incetta di voti proprio nelle periferie, tra i giovani e la “knowledge class”, senza però riuscire ad arginare l’astensionismo.

Insomma niente a cui spartire sul piano della pratica, qui in Italia, con l’inconsistenza della dirigenza del M5S o dell’Alleanza Verdi-Sinistra.

Ciò che colpisce in questi giorni, nelle varie interviste uscite sui diversi organi di informazione che fanno “inchiesta” tra gli abitanti di Nanterre, è il livello di coscienza che fa emergere quanto la Francia in alcune suoi territori sia di fatto uno “Stato Fallito” non più in grado di assicurare un granché ai suoi cittadini.

Non esiste più un’istruzione di qualità, non più un impiego, non più un alloggio dignitoso, e nemmeno il diritto alla vita.

Una Francia dove l’ascensore sociale si è rotto da tempo e nessuno vuole o sa ripararlo, con un razzismo strutturale dove la linea del colore determina se in caso di mancato stop ad un controllo di polizia vieni “freddato” o meno, oltre ad essere ancora uno stigma come una “colonia interna”.

Una Francia dove sta riemergendo uno zoccolo duro reazionario – chiamiamolo “fascismo plurale” – non relegato ai margini della politica, ma che ha una sorta di potere di veto sulle scelte di fondo dell’esecutivo, comunque ascrivibili motu proprio ad una versione molto autoritaria del neo-liberalismo e del “neo-colonialismo interno”.

L’imponente marcia a Nanterre – più di 6mila secondo le sottostimate cifre ufficiali – svoltasi ieri pomeriggio precede una notte di sommosse che è l’unico linguaggio che rende visibili gli esclusi.

Come ha affermato un ragazzo di Nanterre intervistato da Mediapart: “I media hanno cercato di infangare la memoria di Nahel cercando di accollargli dei precedenti giudiziari inesistenti. Senza il video registrato da un testimone, la versione dei poliziotti che hanno affermato di essere stati investiti dall’auto, avrebbe avuto la meglio.

E così, perché delle celebrità come Omar Sy hanno preso la sua difesa, che è “buono” venire a farne il suo ritratto.

Voi cercate tutti di fare degli scoop su di un morto. Giocate ad avere un’ informazione che un altro non avrà. Forse si sarebbe dovuti venire a vedere prima a capire come è cresciuto, come lo Stato ci ha trattato nelle nostre cités, come la polizia ci maltratta“.

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 7:11

Fonte: Contropiano

La marcia bianca, poi la notte buia

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/la-marcia-bianca-poi-la-notte-buia-0161990

A corroborare il nostro articolo più analitico, vi proponiamo qui la cronaca delle battaglie notturne avvenute un po’ in tutta la Francia, secondo il “rispettabile” quotidiano Le Monde.

Ci si può comunque fare un’idea piuttosto precisa della situazione…

*****

A Nanterre, la notte è iniziata presto giovedì 29 giugno: alle 16.30, non appena si è conclusa la manifestazione in memoria di Nahel M., ucciso martedì da un poliziotto, un denso fumo ha oscurato il cielo in seguito ai primi incendi.

Alcuni speravano che la marcia bianca avrebbe calmato gli animi, ma non ha avuto alcun effetto calmante sulle decine e decine di giovani che hanno sottoposto la prefettura di Hauts-de-Seine a una terza notte di disordini e distruzioni, che si sono estesi alle province e hanno provocato centinaia di arresti in tutto il Paese.

Sono stati distrutti bancomat, demoliti ristoranti, farmacie e parrucchieri, messi a soqquadro i centri finanziari pubblici, saccheggiati tabaccai e distributori di benzina, per non parlare degli innumerevoli incendi di auto nel cuore del quartiere Pablo-Picasso, epicentro della rabbia di Nanterre, dove alle 3 del mattino si sono visti residenti in preda al panico che si affannavano a tirare fuori i loro veicoli da un parcheggio in cui un’auto incendiata minacciava di propagarsi ai vicini e agli alberi circostanti.

La stazione di polizia e la prefettura, particolarmente protette, sono state risparmiate.

I muri della città chiedevano “giustizia per Nahel”, “rivolta per Nahel”, “vendetta per Nahel”. Diversi residenti, sia giovani che anziani, hanno promesso una serata ancora più brutale della precedente.

“Ho passato la giornata a parlare con i giovani, ma sono fuori controllo”, ha spiegato Karim, 47 anni, che ha trascorso 35 anni in una delle torri delle nuvole nel quartiere Pablo-Picasso. “Lì hai innescato qualcosa che non si fermerà mai”.

All’inizio della giornata, lui e gli altri residenti del suo grattacielo erano stati invitati con un SMS dal condominio ad andare a dormire altrove, se possibile.

“Vedrete stasera, sarà un’altra cosa”.

Un agente del CRS di stanza in Place Nelson-Mandela, dove l’auto di Nahel ha terminato la sua corsa fatale, ha raccontato che due giovani che erano passati accanto alla sua compagnia al termine di una marcia bianca che si era conclusa con una certa, ma ancora misurata, agitazione, avevano detto loro: “Vedrete stasera, sarà qualcosa di diverso”.

“Siamo rimasti indietro durante la marcia bianca perché sappiamo che la vista di un’uniforme può creare tensione (…)”, spiega il poliziotto. “I nostri superiori ci hanno detto: ‘Nessun arresto durante la marcia’”, continua il CRS. Ma poi abbiamo visto che erano arrivati il BRI e il BRAV-M, quindi credo che stasera la festa sia finita e ci saranno degli arresti”.

Morte di Nahel M.: più di 400 persone arrestate dopo un’altra notte di violenze

Secondo gli ultimi dati disponibili, almeno 421 persone sono state arrestate dalla polizia in tutto il Paese, quasi tre volte la cifra registrata alla fine della notte di mercoledì, già segnata da scoppi di violenza. Di fronte alla conflagrazione e alle scene di disordini, scontri con la polizia, saccheggi diffusi e incendi dolosi, attacchi a edifici pubblici e stazioni di polizia, sembra che le misure adottate abbiano fatto il loro tempo.

Sempre a Nanterre, all’inizio della serata, un incendio in una filiale del Crédit Mutuel, vicino alla stazione RER di Nanterre-Préfecture, ha rischiato di avvolgere l’intero edificio, che alla fine è stato salvato dalle fiamme dai vigili del fuoco applauditi dalla folla.

“Clotilde, una donna di cinquant’anni che vive a Nanterre da dieci anni, ha commentato: “Ciò che è sorprendente è che questo non è nemmeno un quartiere a luci rosse! I rivoltosi hanno messo in atto il loro piano in modo scrupoloso, incendiando persino la leggendaria giostra del parco André-Malraux, su cui tutti i bambini del quartiere sono saliti”. Clotilde: “Hanno dato fuoco alla giostra del loro fratellino. È così triste.

La morte di Nahel M. a Nanterre vista dalla stampa estera: “l’incendio”, “la fiammata”, “la vergogna”…

Nanterre è rimasta calma per qualche ora, prima di essere svegliata bruscamente intorno alle 23.30 da due grandi esplosioni, l’inizio delle vere e proprie ostilità.

Granate lacrimogene sparate in risposta a mortai pirotecnici; movimenti ultrarapidi su scooter e motorini, il ronzio degli elicotteri; ingressi dei complessi residenziali sbarrati a tutti i visitatori, compresi i giornalisti, da individui con sagome dissuasive; barricate in fiamme che apparivano a caso da una prospettiva e, a volte, polizia che si ritirava da alcune strade sotto l’assalto dei giovani.

A Nanterre, per proteggere la direzione regionale di pubblica sicurezza dell’Hauts-de-Seine ed effettuare arresti in una situazione di forte degrado, la Brigade de recherche et d’intervention (BRI) ha dispiegato le sue forze, preceduta da imponenti veicoli blindati utilizzati in particolare per sgomberare le barricate.

In altre zone del Paese, come Lille e Marsiglia, immagini identiche di poliziotti del RAID incappucciati e incappucciati, a piedi o su 4×4 nere, hanno dato ieri sera l’impressione di un Paese in preda alla guerriglia urbana.

Alcuni saccheggiatori hanno utilizzato carrelli della spesa

Ancor più del giorno precedente, i disordini si sono estesi a diverse città della regione parigina e delle province, in un’identica ondata di violenza e saccheggi.

A Noisy-le-Sec (Seine-Saint-Denis) è stato saccheggiato il supermercato Carrefour, con la sua tenda di ferro e la vetrina sfondata. Il bottino: prodotti di uso quotidiano, alimentari, carta igienica e prodotti per la casa.

Più lungimiranti di altri, alcuni dei saccheggiatori si sono muniti di carrelli della spesa, approfittando dell’oscurità in cui era piombata la città per dileguarsi, con tutta l’illuminazione stradale spenta e la polizia e i vigili del fuoco in gran parte invisibili.

Morte di Nahel M.: “Ora siamo in una situazione in cui prevale l’equilibrio dei poteri e lo spettro del 2005 incombe”.

In confronto, la zona industriale di Bas-Pays, a Romainville, è apparsa stranamente calma: “Abbiamo più persone di ieri, quindi è un po’ più tranquillo.

Ma c’erano ancora sessanta persone che volevano attaccare la stazione di polizia municipale verso le due del mattino”, ha osservato il sindaco, François Dechy. Ma all’altro capo della RN3, le forze di polizia hanno bloccato il quartiere Hoche di Pantin mentre una compagnia di CRS entrava in azione. Interrogato, un poliziotto ha descritto la situazione come “più tesa” del giorno precedente e si è chiesto “quando finirà tutto questo”.

In molte altre località, mentre la serata era stata relativamente tranquilla, gli eventi hanno preso una piega improvvisa a partire dalla mezzanotte, come a Saint-Denis, dove sono stati incendiati alcuni cassonetti della spazzatura sulla strada e sono state rotte delle bottiglie nel quartiere della Basilique, seguiti da incendi di auto in tutta la città, in particolare nel complesso residenziale Joliot-Curie.

Durante la notte si sono verificati diversi scontri con la polizia e sui social network circolano immagini di un arresto particolarmente violento. Come a Noisy-le-Sec, il negozio Carrefour del centro è stato saccheggiato, con la sezione biciclette presa di mira in particolare dai giovani.

Almeno altre due scene di rapina sono avvenute nel centro di Parigi, nel quartiere Les Halles, dove è stato saccheggiato in particolare il negozio Nike, e il negozio Zara in rue de Rivoli (1° arrondissement), vicino a place du Châtelet.

Nella stessa zona sono stati incendiati anche alcuni cassonetti, nonostante la massiccia presenza della polizia, che è stata bersagliata con proiettili. Il CRS ha risposto con gas lacrimogeni, ma la situazione non è sfociata in uno scontro diretto. A pochi metri di distanza, in questo quartiere molto vivace e costellato di bar, turisti e parigini continuavano a sorseggiare i loro drink.

Incendi  a Roubaix e Tourcoing, roccaforte di Gérald Darmanin

Una parte del quartiere 3000 di Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), una città duramente colpita dalla violenza urbana nelle due notti successive alla morte di Nahel, è stata immersa nel buio dai rivoltosi. In rue Delacroix, un’arteria principale che attraversa il quartiere residenziale, alcuni veicoli sono stati posti di traverso sulla strada e poi incendiati.

A mezzanotte, più di cinquanta giovani incappucciati hanno iniziato a bloccare la strada con delle barricate e poi si sono aggirati in questa zona del quartiere, causando ingenti danni. Il giorno prima, un camion era stato rubato e poi dato alle fiamme. Il giorno prima, un autobus era stato dirottato e portato nel complesso residenziale per essere bruciato.

Morte di Nahel M.: a Montreuil, la seconda notte di violenza si è concentrata sul centro della città e sui suoi negozi.

Infine, nel centro di Montreuil (Seine-Saint-Denis), dove centinaia di giovani si sono radunati intorno al municipio, si è ripetuto lo stesso scenario delle altre città: sono stati incendiati i cassonetti della spazzatura e sono state poste barriere sulle strade per impedire il passaggio delle auto. Barriere metalliche sono state erette anche all’inizio dei viali principali che portano al municipio.

A ondate e a gruppi, centinaia di persone, alcune incappucciate, mascherate o con bastoni, hanno cercato di convergere verso la stazione di polizia, accendendo fuochi.

Nel nord del Paese, dove sono scoppiati gravi disordini durante la seconda notte di sommosse, ci sono stati numerosi tafferugli a Roubaix e a Tourcoing, roccaforte familiare ed elettorale del ministro dell’Interno Gérald Darmanin.

Con cassonetti strappati e rovesciati in mezzo alla strada e alcuni dati alle fiamme, un gruppo di circa cinquanta persone ha scatenato il caos nel quartiere di Phalempins, avvicinandosi gradualmente al centro della città mentre un elicottero della Gendarmeria sorvolava la città, teatro di sporadici scontri tra rivoltosi e polizia.

Nella vicina Roubaix, la stessa tensione è stata palpabile non appena è scesa la notte. Il quartiere di Epeule è stato teatro di scontri intorno al teatro Colisée, protetto dalla polizia che sparava mortai a salve.

Nel quartiere Pile, il centro sociale è stato avvolto dalle fiamme e sono state erette barricate, poi incendiate, nella zona dell’Alma, che aveva già vissuto una notte molto movimentata il giorno precedente.

Diversi edifici sono stati incendiati, in particolare nella zona della stazione dove, secondo i testimoni, una trentina di rivoltosi hanno saccheggiato il minimarket Proxy al piano terra dell’hotel B & B prima di darlo alle fiamme. Del negozio non rimane nulla.

Kamel, un residente della zona, ha raccontato che “i vigili del fuoco hanno impiegato molto tempo ad arrivare”. Va detto che i vigili del fuoco sono totalmente sovraccarichi a Roubaix. “Hanno smesso di rispondere al telefono”, hanno detto alcuni residenti. Non ci sono state vittime nell’hotel.

A soli 200 metri di distanza, all’ingresso del quartiere Alma, un enorme edificio industriale ex Redoute, la cui facciata è crollata in un incendio, ha distrutto tutto. Da un anno e mezzo ospitava Prochèque, una società del gruppo Tessi che fornisce servizi a grandi aziende regionali. Vi lavoravano circa 500 persone.

A Tolosa, i temporali interrompono gli scontri

A Tolosa, i temporali che si sono abbattuti sulla città intorno alle 22.00 hanno certamente interrotto una notte che si preannunciava molto calda. Alle 20.30, nel quartiere Mirail della Reynerie, sono scoppiati violenti scontri tra la polizia e un centinaio di giovani in Place Abbal, cuore del quartiere.

I colpi di mortaio e i gas lacrimogeni sono proseguiti per oltre un’ora, mentre piccoli gruppi di giovani si formavano nel labirinto di edifici. Contemporaneamente, a poca distanza, la stazione di polizia locale di Bellefontaine è stata attaccata con pietre, bottiglie e fuochi d’artificio, mentre auto e mobili hanno iniziato a bruciare.

Altri quartieri sono andati in fiamme nello stesso momento: a Empalot e Les Izards, nel nord della città, gli scontri sono iniziati prima che scoppiasse la tempesta.

La metropolitana che serviva i quartieri popolari è stata interrotta alle 21.30. Intorno alle 23, la prefettura ha dichiarato che “la violenza urbana è stata contenuta” nei quartieri interessati, grazie soprattutto “al supporto del RAID e del GIGN, che hanno effettuato undici arresti”.

La sezione locale dell’unità di polizia d’élite è stata coinvolta anche a Marsiglia, dove circa 400 persone, per la maggior parte giovani o addirittura giovanissimi, si sono radunate davanti alla prefettura prima di passeggiare selvaggiamente per il centro della città in modo altamente disorganizzato.

Il prefetto ha messo in campo una grande forza, comprese diverse unità mobili, per disperderli. La polizia ha sparato e un agente è stato ferito e portato in ospedale. Cinquantasei persone sono state arrestate.

“Non bruciate le auto”

La tensione non si è placata, invece, nella zona di Lione, dove la situazione è esplosa poco dopo le 22 nel quartiere Mas-du-Taureau di Vaulx-en-Velin. Per alcuni lunghi minuti, i mortai hanno esploso fuochi d’artificio davanti alla biblioteca multimediale Léonard-de-Vinci.

“È la guerra!” ha gridato un giovane con il velo. “Non bruciate le auto”, ha gridato un altro, per dissuadere i gruppi dal prendere di mira i veicoli dei residenti.

Dalle loro finestre, gli abitanti della zona hanno assistito agli scontri con la polizia intorno alla piazza centrale di questo quartiere emblematico dei quartieri residenziali di Lione, dove è stata inviata una colonna del RAID, dotata di un veicolo blindato.

Sono stati lanciati proiettili e sparati mortai contro gas lacrimogeni e granate sonore: scene di disordini estremamente violente e pericolose. Un giovane del posto è stato ferito e portato in un’ambulanza dei vigili del fuoco sotto la protezione della polizia. Il temporale e le forti piogge sembrano aver calmato le ostilità a Vaulx-en-Velin, mentre altre forme di violenza si sono diffuse alla periferia di Lione.

Gruppi di rivoltosi mobili hanno appiccato incendi e causato danni a Bron, Saint-Priest, Villeurbanne e persino nel 3° arrondissement di Lione, dove un autobus è stato distrutto dalle fiamme in avenue George-Pompidou, non lontano dalla stazione di Part-Dieu.

Intorno alla sua carcassa fumante, i residenti della zona hanno filmato i danni. I video degli incendi appiccati a due tram, a Vénissieux e a Saint-Priest, sono circolati a rotta di collo. Poco distante, in rue de la Gaîté, sono state incendiate due auto e un’esposizione immobiliare, tra il ginnasio e il collegio Bellecombe. La prefettura ha annunciato sette arresti nella notte.

Morte di Nahel M.: il governo resiste alle richieste di stato di emergenza

Le autorità si aspettano una violenza “diffusa” nelle “prossime notti”, secondo una nota dell’intelligence citata da una fonte della polizia. La nota, trapelata da diversi media, è datata giovedì, il giorno dopo una seconda notte di disordini in molte città. Si parla di “prossime notti” che “vedranno la violenza urbana con la tendenza a diventare diffusa” e di “azioni mirate alle forze dell’ordine e ai simboli dello Stato o dell’autorità pubblica”.

Henri Seckel, Franck Johannès, Philippe Gagnebet (Tolosa, corrispondente), Florence Traullé (Lille, corrispondente), Richard Schittly (Lione, corrispondente), Rémi Barroux, Gilles Rof (Marsiglia, corrispondente), Laurent Telo, Luc Bronner e Antoine Albertini

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 9:06

Fonte: Contropiano

“La morte di Nahel è la scintilla”: i motivi della rabbia

di Jade Bourgery – Caroline Coq-Chodorge – Lucie Delaporte – Mathilde Goanec – Pauline Graulle – Cécile Hautefeuille – Dan Israel

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/01/la-morte-di-nahel-e-la-scintilla-motivi-della-rabbia-0161993

Ultim’ora. Il quadro dei disordini notturni ricostruito dal quotidiano Le Monde.

Aggiornamento delle 5 del mattino

Nuove scene di saccheggio e violenza sporadica hanno scosso diverse città francesi, tra cui Lione, Grenoble, Saint-Etienne e Marsiglia, nella notte tra venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, ma sono state segnate da una violenza di “intensità molto minore” rispetto alle precedenti, secondo il Ministero dell’Interno, quattro giorni dopo la morte di Nahel, ucciso da colpi di pistola della polizia durante un controllo stradale a Nanterre.

In visita a Mantes-la-Jolie (Yvelines), Gérald Darmanin ha annunciato intorno alle 2:30 del mattino che 471 persone sono state arrestate in tutto il Paese, tra cui 120 a Parigi, secondo quanto comunicato dalla Préfecture de police alle 2 del mattino.

Intervistato da BFM-TV, il ministro dell’Interno ha dichiarato che “sarà la Repubblica a vincere, non i rivoltosi“, denunciando “violenze inaccettabili a Lione e Marsiglia“.

In un lungo messaggio rilanciato su Twitter dal capitano dei Les Bleus Kylian Mbappé, i giocatori della squadra di calcio francese hanno invitato a “placarsi” di fronte a quello che hanno definito “un vero e proprio processo di autodistruzione“.

La violenza non risolve nulla, soprattutto quando si rivolge inevitabilmente e inesorabilmente contro coloro che la esprimono, le loro famiglie, i loro cari e i loro vicini“, hanno sottolineato, esprimendo al contempo il loro “shock per la morte brutale di Nahel“.

All’inizio di venerdì, diversi centri commerciali nella regione di Parigi sono stati vandalizzati, con diversi negozi danneggiati e saccheggiati. Tra gli obiettivi c’erano Rosny 2, in Seine-Saint-Denis, e Créteil Soleil, in Val-de-Marne. Negozi sono stati attaccati anche nel centro di Strasburgo.

Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva annunciato nel pomeriggio, al termine di un secondo comitato di crisi interministeriale in due giorni, la mobilitazione “eccezionale” di 45.000 poliziotti e gendarmi e di unità d’élite come il GIGN.

Emmanuel Macron ha invitato “tutti i genitori ad assumersi le proprie responsabilità” venerdì pomeriggio al termine della riunione di crisi del governo. “Non è compito della Repubblica sostituirsi a loro“, ha dichiarato, dopo aver condannato “con la massima fermezza tutti coloro che sfruttano questa situazione e questo momento per cercare di creare disordine e attaccare le nostre istituzioni“.

In una circolare diramata venerdì, il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, ha definito la risposta penale “rapida, ferma e sistematica” che vorrebbe fosse applicata agli autori della violenza urbana, compresi i minori e i loro genitori.

Il Ministero dell’Interno ha ordinato ai prefetti di sospendere i servizi di autobus e tram in tutto il Paese ogni sera a partire dalle 21.00, al fine di limitare la diffusione dei disordini, che stanno prendendo di mira anche le infrastrutture di trasporto.

Alle 23.40 circa di giovedì, un abitante di Cayenne, nella Guyana francese, è morto dopo essere stato colpito da un proiettile vagante mentre si trovava sul balcone al piano terra del suo palazzo, hanno osservato sul posto due giornalisti dell’emittente televisiva Guyane La Première.

Questa informazione è stata confermata a Le Monde da una fonte della polizia. Secondo il direttore territoriale della polizia nazionale, il colpo è stato sparato “indiscutibilmente” dai rivoltosi.

Il sindaco di Nanterre, Patrick Jarry, ha confermato che i funerali di Nahel M. si terranno sabato. In una breve dichiarazione alla stampa al termine del Consiglio interministeriale sulle città, il sindaco ha sottolineato “l’urgente necessità di trovare le parole per spezzare il ciclo della violenza“.

*****

Dal dispaccio dell’Agenzia  Agi.

Sporadiche violenze e saccheggi hanno colpito diverse città in tutta la Francia nella quarta notte di proteste dopo l’uccisione da parte della polizia di un adolescente.

Nonostante la presenza della sicurezza, venerdì notte sono avvenuti saccheggi nelle città di Lione, Marsiglia e Grenoble, con bande di rivoltosi spesso incappucciati che hanno saccheggiato i negozi

I manifestanti hanno anche dato fuoco ad auto e bidoni della spazzatura. Ma durante una visita a Mantes-la-Jolie, a ovest di Parigi, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha dichiarato sabato mattina presto che la violenza della notte è stata “di intensità molto minore”, con 471 arresti a livello nazionale e sacche di tensione a Marsiglia e Lione in particolare.

Darmanin aveva annunciato una mobilitazione “eccezionale” di polizia e gendarmi per evitare una quarta notte consecutiva di disordini per la morte di Nahel, che sarà sepolto sabato nel sobborgo parigino di Nanterre dove viveva ed è stato ucciso.

Gli avvocati della famiglia hanno chiesto ai giornalisti di stare alla larga, dicendo che era “un giorno di riflessione” per i parenti di Nahel.

Il presidente francese è pronto ad adattare il dispositivo di mantenimento dell’ordine “senza tabù” (di fatto: “senza limiti nell’esercizio delle violenza“) e ha fatto appello ai genitori perché “tengano i figli a casa“. Dispiegati 45mila agenti in tutto il territorio nazionale. Uno armamentario da guerra civile che fa a cazzotti con la pretesa di rappresentare un esempio di democrazia liberale…

Macron ha parlato al termine dell’unità di crisi interministeriale. “In questo contesto, chiediamo a tutti i genitori di assumersi la responsabilità: il contesto che stiamo vivendo è frutto di gruppi organizzati e attrezzati ma anche di tanti giovani. Un terzo degli arrestati sono giovani o molto giovani“, ha insistito il capo dello Stato.

È responsabilità dei genitori tenerli a casa. Faccio appello al senso di responsabilità delle famiglie“. Ammettendo così, implicitamente, di governare uno Stato assassino che è un pericolo per i giovani.

Le piattaforme e le reti svolgono ruoli molto importanti“, ha aggiunto, citando TikTok e Snapchat. “Saranno fatte richieste per avere l’identità di coloro che usano i social network per chiamare al disordine“. “Prenderemo diverse misure nelle prossime ore“, ha detto.

In pratica, si avvia una schedatura di massa su centinaia di migliaia di persone pretendendo che le piattaforme consegnino i dati in loro possesso.

L’introduzione dello stato di emergenza e del coprifuoco è stata richiesta da diversi responsabili politici dopo la terza notte di violenze che ha portato a centinaia di arresti, danni a edifici istituzionali e feriti fra le forze dell’ordine.

È morto un giovane, nel pomeriggio di ieri, che nella notte – secondo la polizia –  era caduto dal tetto di un negozio a Petit-Quevilly (Seine-Maritime), a margine dei disordini seguiti alla morte di Nahel. Lo hanno riferito fonti della polizia.

Il giovane, che aveva circa vent’anni, è morto cadendo dal tetto di un supermercato “nel corso di un saccheggio“, ha riferito una fonte della polizia. L’ufficio del procuratore di Rouen ha invece chiarito che il supermercato non era stato teatro “di un attacco da parte dei contestatori“. Come si vede, la polizia continua a mentire come “regola di servizio”…

Intanto l’agente che ha sparato a Nahel – figlio unico di madre single, un’educazione scolastica caotica, una vita senza aver mai conosciuto il padre – si è scusato con la famiglia: è stato accusato di omicidio volontario e il suo avvocato ha raccontato che è “devastato”.

Una mano pietosa ha lasciato un biglietto struggente sul luogo dove il ragazzino è stato ucciso: “Pace a Nahel, che la terra ti sia lieve“. 

*****

Quelli che seguono sono alcuni articoli apparsi su Mediapart, decisamente più addentro ai movimenti di questi giorni.

Scene degne di un film dove non ci sono “niente più regole, niente più leggi”, un supermercato saccheggiato, una stazione di polizia attaccata a mezzanotte da una cinquantina di rivoltosi, auto incendiate, giovani che si scatenano in una terra senza poliziotti…

La notte da mercoledì 28 giugno a giovedì 29 giugno a Trappes (Yvelines), come ha vissuto – e raccontato – Ali Rabeh, il sindaco (Generation s) del paese, è stato terribile.

«E alla fine ce la stiamo cavando abbastanza bene, perché nessuna attrezzatura pubblica comunale è stata attaccata», sussurra l’assessore comunale. Ricorderà a lungo lo sguardo “determinato” di questi giovani incappucciati, umiliati quotidianamente dalla polizia, oggi traboccanti di rabbia.

Ma anche quella degli abitanti, entrambi traumatizzati dall’assassinio di Nahel, da parte di un poliziotto il 27 giugno a Nanterre, e “disgustati” per aver visto i colpi di mortaio radere al suolo le loro finestre.

All’altro capo della periferia parigina, a Seine-Saint-Denis, l’Île-Saint-Denis non è stata risparmiata: il suo municipio è stato bruciato nella stessa notte. “Da allora, è stata una cellula di crisi dopo l’altra”, descrive Marie Anquez, la prima deputata della città.

I primi tafferugli sono avvenuti poco dopo la mezzanotte, mentre gli eletti si trovavano nelle aule del consiglio comunale. Bidoni della spazzatura bruciati sul ponte che collega la cittadina (situata su un’isola della Senna) a Saint-Denis, petardi, colpi di mortaio. “Un residente ha urlato contro i giovani, poi è arrivata la polizia, finalmente la situazione s’è calmata.»

Tre ore dopo, il municipio ha preso fuoco. La polizia ha trovato bombolette di azoto sulla scena in mattinata. “Tutto il pianterreno è andato a fuoco, tutto il nostro sportello per il pubblico: è il servizio per le nascite, le morti, per le permanenze nei campi estivi… È la vita locale di ogni abitante che è andato all’inferno. Fumo, fa molto effetto, “dice l’eletto.

Prudente sulle motivazioni dei piromani, Marie Anquez descrive sia i tanti segni di sostegno da parte degli abitanti dopo l’incendio sia la loro rabbia, “giustamente”, dopo la morte del giovane di Nanterre. “

Questo dolore, le persone qui lo condividono. Non sono solo i giovani che si perdono, sono tutti quelli che sono preoccupati per un sistema che è diventato fallimentare! Nell’Île-Saint-Denis, siamo in battaglia contro lo Stato dopo l’adozione di un desiderio nel consiglio municipale contro la violenza della polizia, abbiamo anche attaccato lo Stato per violazione dell’uguaglianza territoriale sui servizi pubblici.»

A Seine-Saint-Denis, venti città sono state afflitte da una notte agitata. “C’è stata molta violenza, danni alle strutture pubbliche, autobus bruciati, negozi saccheggiati”, testimonia il presidente del consiglio dipartimentale, il socialista Stéphane Troussel, che descrive “scene di guerriglia urbana, con piccoli gruppi molto mobili“.

È iniziato più velocemente e più forte che nel 2005”, quando i quartieri popolari della Francia erano stati attraversati da rivolte urbane, che avevano portato al decreto dello stato di emergenza, dopo la morte a Clichy-sous-Bois di due adolescenti, Zyed Benna e Bouna Traoré, folgorato durante un inseguimento con la polizia.

A Romainville, il municipio è stato “lapidato tra le 2 e le 3 del mattino, le finestre sono state rotte”, dice Flavien Kaid, capo dello staff del sindaco François Dechy, al termine di una riunione di crisi. Dentro c’erano “il sindaco, i deputati, il direttore generale dei servizi e la polizia municipale”.

A Bagnolet è stato il commissariato – in realtà una semplice dependance del commissariato di Lilas – ad essere parzialmente bruciato. Secondo una fonte locale, le due società CRS mobilitate per l’intera Seine-Saint-Denis erano state occupate molto presto a Bobigny, prefettura del dipartimento.

Ma questo dipartimento emblematico è ben lungi dall’essere l’unico ad essere stato colpito dalla violenza. “La particolarità di questa volta è che i quartieri a bassa tensione sono intervenuti, come a Sceaux e Clamart [Hauts-de-Seine] o Nandy [Seine-et-Marne]”, osserva Philippe Rio, sindaco comunista di Grigny ( Hauts-de-Seine), preoccupato per questo insolito contagio.

Territori abbandonati

Perché gli edifici pubblici vengono presi di mira in questo modo? In che modo i funzionari sul campo interpretano la violenza che attraversa la loro comune? Per Flavien Kaid, gli autori di queste violenze vogliono “attirare la polizia, andare allo scontro”: “Cercano vendetta. Il funzionario comunale chiama in causa “decisioni politiche nazionali”, di fronte alle quali “ci troviamo in prima linea mentre cerchiamo di agire per contrastarle”. “La morte di Nahel è l’ultima goccia”, dice.

A Tourcoing (Nord), Sourida Delaval-Hammoudi, direttrice dell’AAPI, associazione per l’animazione di quartiere e l’integrazione professionale, usa quasi la stessa parola: “Abbiamo avvertito a lungo, abbiamo detto che stava per esplodere, Nahel è la scintilla. »

“Qui, abbiamo richieste locali”, dice. Ma l’elenco che stila riguarda in realtà un lungo elenco di territori che si sentono trascurati: “La mancanza di attrezzature, di occupazione, l’impressione di non essere riconosciuta come cittadina. E poi ci sono tutti i controlli imposti ai giovani, le multe della polizia che non basterà un lavoro per rimborsare…”

Parte della notte, poi tutta la mattinata, in giro per la sua città per capire e misurare l’entità dei danni, il sindaco ambientalista di Colombes (Hauts-de-Seine), Patrick Chaimovitch, è visibilmente stanco. E commosso. Il suo comune è stato molto colpito dagli eventi della notte. L’assessore comunale descrive una salita al potere dopo i primi scontri di mercoledì sera.

“Abbiamo visto tanti giovani, giovanissimi, 14, 17 anni, alcuni un po’ alcolizzati, che bruciavano tutto quello che capitava sotto mano. E il saccheggio, abbiamo avuto difficoltà a seguire quello che stava succedendo.»

Da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

Patrick Chaimovitch, sindaco di Colombes

Gli eventi, “eccezionali” per la loro intensità in questa città operaia, avevano chiaramente Nanterre “come detonatore”, ha detto. “Ma da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

“Precarietà, condizioni abitative precarie, “la vita è concretamente sempre più difficile”, spiega l’eletto. Lo Stato è “presente”, ammette, ma servirebbero “miliardi” in più per risolvere la situazione in una città come Colombes.

A Grigny, il sindaco Philippe Rio teme i giorni successivi, soprattutto perché condivide l’osservazione: “Siamo tutti molto mobilitati, siamo tornati alla modalità 2005. Ma dal 2005 le cose sono peggiorate: sono apparsi i social network, le popolazioni si sono impoveriti, il rapporto con lo Stato si è deteriorato…

Senza contare che con l’aumento delle rette al Grande Borne quest’anno la gente dovrà pagare una tredicesima mensilità che non può permettersi. Nel comune, metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Scrittore, regista, fine conoscitore dei quartieri popolari in cui vive e lavora, Mehdi Lallaoui riferisce che nella sua città di Argenteuil molte famiglie cercano di temperare i giovani più bellicosi.

Ci dicono che quello che sta accadendo è autodifesa, perché non hanno diritto ai media, né alla rappresentanza politica, né all’ascolto, né al rispetto. Spieghiamo loro che ciò che stanno bruciando dipende da noi, che i signori e le signore al potere, stanno al caldo, nei loro bei quartieri, nelle loro scuole private. Ma fanno fatica a sentirlo.»

Mehdi Lallaoui riconosce il carattere “insopportabile” del ripetersi di eventi che colpiscono i giovani dei quartieri. “È una morte, una di troppo”, insiste.

Vedo giovani che attaccano se stessi. Sembra autolesionismo”, aggiunge Nourdine Bara, autrice di romanzi e opere teatrali. Vivendo nel quartiere popolare di La Paillade, a nord di Montpellier, organizza da quindici anni agorà ed eventi, per favorire lo scambio attraverso la cultura.

L’artista sviluppa un’idea paradossale: “Di fronte a questa gioventù nasce un’idea: sarebbe nichilista, distaccata da ogni progetto sociale. Tuttavia, ciò che vedo nel caos e nella furia è proprio l’espressione di un rifiuto della violenza, controintuitivamente. Attraverso questa violenza, la gioventù rifiuta la violenza più devastante: quella del disprezzo e dell’indifferenza

Insiste: “Ciò che ci manca gravemente sono precedenti che ci ricordino che giustizia opera nel nostro Paese” rispetto alla violenza della polizia.

Mehdi Lallaoui dice la stessa cosa. “Questi crimini vanno avanti da quarant’anni e le condanne per chi li commette sono ancora inferiori a quelle che dovrebbero essere“.

Cita la storia di Foued, detenuto ingiustamente nell’affare Viry-Châtillon, e per il quale lo Stato fa il pignolo con indennità compensative. “Tutto questo si sa, se ne discute nei quartieri, la gente è indignata per quella che percepisce come una società a due velocità.»

Riformare la politica della città

Anche intorno a Lione la notte era dura. Incendi e danni hanno avuto luogo a Vénissieux, Villeurbanne, Décines e Vaulx-en-Velin, l’epicentro delle rivolte urbane del 1990. A Décines, anche il municipio è stato gravemente danneggiato da un incendio.

A Villeurbanne, “l’evento più grave è stato l’incendio in un appartamento di rue Balzac, provocato da colpi di mortaio [giochi d’artificio]”, riferisce il sindaco Cédric Van Styvendael.

Abbiamo dovuto trasferire urgentemente dodici famiglie. Grazie alla solidarietà degli abitanti, che in particolare hanno contribuito a far evacuare una persona con disabilità, si è evitata una tragedia”, confida sollevato il sindaco. Qui, tutti hanno in mente l’incendio che ha causato la morte di dieci persone, tra cui quattro bambini, a Vaulx-en-Velin a dicembre.

Come molti eletti locali, il vicepresidente della metropoli di Lione è infastidito dal ritardo nella firma con lo Stato di “contratti di città”, che dovrebbero consentire la distribuzione di mezzi finanziari.

Per Renaud Payre, vicepresidente della metropoli di Lione, responsabile delle politiche cittadine, “la violenza che si esprime oggi è il risultato di un indebolimento dei corpi intermedi dei quartieri: le strutture associative o i centri che sono stati estremamente indeboliti negli ultimi anni”.

Secondo lui, gli eventi devono portare l’esecutivo ad accelerare sulla revisione della politica cittadina: “Abbiamo perso abbastanza tempo. E diciamolo subito, la politica della città non passerà per tutta la sicurezza. Questa è una risposta a brevissimo termine

Come molti eletti locali, è infastidito dal ritardo nella firma dei “contratti di città” con lo Stato, che dovrebbero consentire la distribuzione delle risorse finanziarie, ma che non entreranno in vigore prima del 2024.

Nei nostri quartieri prioritari la povertà è 3,3 volte superiore alla media metropolitana. Sappiamo dove agire: dove la legge comune non si applica

Un residente di Saint-Fons, ai margini di Vénissieux, attivista associativo nel quartiere Clochettes, lamenta anche la scomparsa di assistenti sociali e mediatori che un tempo attraversavano i locali. “Non li vediamo più, e i giovani sono lasciati a se stessi, fanno di tutto, lei si lascia trasportare. Bruciare le auto dei poveri, non capisco, molti non hanno nemmeno l’assicurazione

Testimonia la notte agitata nel suo quartiere – colpi di mortaio, qualche fuoco di rifiuti, rumore fino alle tre del mattino – e la sua preoccupazione.

Ho chiuso la porta, ho tenuto i miei figli e non ho messo piede fuori. Ho troppa paura che succeda loro qualcosa e che si trovino nel posto sbagliato al momento sbagliato… Già, in tempi normali, i poliziotti sono aggressivi contro i nostri figli.»

La polizia accusata da tutti

Infatti, tutti gli eletti, tutti gli attivisti dell’associazione contattati da Mediapart stigmatizzano una “dottrina poliziesca alzo zero che va rivista, altrimenti sarà mancato soccorso a chi è in pericolo”, per riprendere le parole del sindaco di Grigny Filippo Rio.

Stiamo arrivando alla fine di un ciclo che è stato aperto da Sarkozy e dalla sua menzogna Kärcher, che si è concluso con l’eliminazione di 10.000 posti di agenti di polizia (di quartiere) e lo smantellamento dell’intelligence generale”.

Secondo Hamza Aarab di Montpellier, il giovane che “si trascina da anni” ha in primo luogo rapporti conflittuali con la polizia. “I loro controlli, il modo in cui si comportano. La loro arroganza di impunità …”, cita.

Se non avessimo avuto il filmato [nel caso di Nahel], avremmo detto: ‘È un delinquente che si è imbattuto nella polizia.’» (nel filmato si vede e si sente il poliziotto che grida a Nahel “ti ficcherò una pallottola in testa e gli punta la pistola sulla guancia – video visto da tutti anche nelle tv e che ha costretto persino Macron e Darmanin a dire che forse non si erano comportati secondo le regole).

Nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, Stéphane Troussel ricorda da parte sua “i quindici anni di degrado dei rapporti con la polizia, della familiarità, del controllo di facies (somatici) e, più in generale, di un discorso ambientale di estrema destra”.

Di fronte a questa china, “non possiamo continuare così”, lancia il leader politico: “La Repubblica francese si occupa prima di tutto dei servizi pubblici, e un tale livello di risentimento nei confronti della polizia, non è sostenibile.»

Quando tornerà la calma, è ovvio che non saremo in grado di salvare un buon lavoro sui rapporti polizia-popolazione“, afferma anche Cédric Van Styvendael, sindaco di Décines. “Il commissario di Villeurbanne ha sperimentato certe cose nel rapporto con gli abitanti, è un cantiere da aprire.»

Discorso simile per Ali Rabeh, a Trappes, che dieci anni fa ha visto la sua stazione di polizia a tempo pieno sostituita da una semplice antenna, cronicamente a corto di personale. Oggi il sindaco si dice molto pessimista per il futuro. Cambiare il carattere?

È più facile mettere milioni sul rinnovamento urbano, torcere il braccio dei sindaci per costruire case popolari, chiedere ai prefetti di concedere concessioni edilizie… Ci vorranno vent’anni per ricostruire una polizia repubblicana”, ansima.

Le uccisioni a colpi di arma da fuoco di bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, sono diventate qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno.

Salim Gramsi, attivista comunitario di Marsiglia, da cui è appena andato via il presidente della Repubblica, anche Mohamed Bensaada, attivista LFI dei quartieri popolari della città, ritiene che “questa questione del rapporto tra la popolazione e la polizia sta diventando molto preoccupante”.

E il modo in cui Macron è venuto a trovarci qui, fingendo di credere che si possa combattere la droga con i terminali delle carte di credito, è ridicolo”, denuncia.

Nella sua città si guarda con “tristezza” agli avvenimenti di ieri sera, ma senza che la rivolta si propaghi. Come nel 2005. Perché? Osa una nota positiva, rilevando che il fitto tessuto associativo, che svolge molto lavoro sul campo nei distretti settentrionali, funziona. Altri sono molto meno ottimisti.

«Qui da tanto tempo si va oltre ogni immaginazione», si lamenta Salim Gramsi, capo dell’associazione Le Sel de la vie, che riunisce la pletora di associazioni che hanno lavorato intorno all’avventura della requisizione di McDonald’s Saint-Barthélemy nel 14° arrondissement della città.

La sparatoria sui bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, è diventata qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno”, sottolinea. “Vorremmo una reazione identica quando muoiono i nostri giovani. Nessuno però si sta ribellando per Marsiglia, mentre le madri qui, sono come la madre di Nahel, subiscono il martirio”, dice Salim Gramsi.

Chi diffida della “concorrenza delle vittime” nota tuttavia una forma di “fatalismo, di rassegnazione” nella popolazione che lo circonda: “A volte abbiamo cinque o sei morti contemporaneamente, bambini che a volte non hanno solo passeggiate, e non succede niente

Alla marcia bianca per Nahel, un grido di rivolta piuttosto che un minuto di silenzio

di Berenice Gabriel e Khedidja Zerouali

A Nanterre, diverse migliaia di persone si sono unite questo giovedì 29 giugno per rendere omaggio al giovane Nahel, ucciso dalla polizia due giorni prima. Più che una lunga marcia silenziosa, i manifestanti hanno gridato la loro rabbia, quella di aver visto morire di nuovo uno di loro per mano di un poliziotto.

La famiglia del giovane Nahel M. voleva una silenziosa marcia bianca, aveva una rumorosa marea umana, un gran grido del cuore. “Ormai sono finiti i minuti di silenzio, e per chiedere gentilmente, non è più il momento per quello”, lancia un giovane frettoloso tra la folla.

Questo giovedì 29 giugno, a Nanterre, non lontano dal luogo in cui Nahel M. è stato ucciso da un poliziotto due giorni prima, diverse migliaia di persone si sono radunate per gridare la loro rabbia. Erano 6.200 secondo la questura, 20.000 secondo gli organizzatori della marcia bianca.

In mezzo alla folla intere famiglie, attivisti, funzionari eletti, rapper tra cui Dinos o Rohff, casalinghe che aprono la strada ai loro passeggini, anziani che cercano di tenere il passo, giovani che scattano tutto e quelli che non dicono niente, ancora troppo commossi, abbracciati, soffocando qualche lacrima.

Ma, soprattutto, sono tanti i giovani, anche giovanissimi, che si sono mobilitati: la maggior parte sono razzializzati e provengono dai quartieri popolari dell’Île-de-France, dai “sette-sette”, dai “nove -tre”, “nove-quattro”.

Dì a te stesso che anche a Caen si sono mobilitati quando beh è un grande villaggio cosa…”, lancia una giovane donna di Argenteuil. Lì, non c’è Nanterre, non c’è Nanterre, siamo tutti insieme contro questa violenza della polizia, tutti i distretti, ovunque in Francia.

E tutti loro hanno una storia di violenza della polizia da raccontare. I ragazzi raccontano in prima persona, le ragazze raccontano quello che succede così spesso ai loro fratelli.

Questo giovedì, 29 giugno, il silenzio è durato poco. C’era il ruggito dei motociclisti che venivano in bande. I nomi di Zyed e Bouna, Adama, Théo, tutti vittime della violenza della polizia, sono stati cantati molte volte da quando “quando marciamo per uno, marciamo per tutti”.

C’erano anche gli slogan nei megafoni, quelli che dicevano che “tutti odiano la polizia” o che la polizia è “ovunque” ma che la giustizia è “da nessuna parte”. Ci sono state anche richieste di dimissioni del Ministro dell’Interno o del Presidente della Repubblica.

Criminalizzare le vittime per scagionare i colpevoli

All’arrivo, una delle zie di Nahel si stava rimettendo il velo dopo aver urlato sul camion, rattristata dal fatto che né lei né nessuno dei membri della famiglia fosse in grado di parlare alla fine della marcia.

A pochi metri dal punto in cui si è schiantata l’auto guidata dal giovane Nahel, la polizia ha usato gas lacrimogeni all’arrivo del camion degli organizzatori. La famiglia non ha potuto esprimersi, secondo loro restituita al silenzio dall’istituzione che ha appena tolto loro un figlio.

Ho rabbia, ecco cosa provo, rabbia”, ripete Djema, una ragazzina di Nanterre, amica di Nahel. Con Mediapart è preoccupata per la violenza della polizia, e per lei non ci sono dubbi: il suo amico è stato ucciso perché era un giovane arabo dei quartieri popolari.

Nelle discussioni il nome di Nahel finisce presto per mescolarsi a quello di altre vittime della violenza della polizia. Secondo i manifestanti, lo schema è sempre lo stesso nel processo di criminalizzazione delle vittime: la polizia violenta, a volte uccidendo, e molto rapidamente, i leader politici, a volte accompagnati da giornalisti ed editorialisti, indagano sul passato delle vittime.

Per vedere se non c’è motivo di renderli colpevoli. E se non c’è abbastanza materiale per loro, allora arrivano a riesumare le menzioni del trattamento dei casellari giudiziari (TAJ), un fascicolo di polizia che elenca fatti per i quali le persone sono state implicate ma non necessariamente condannate in seguito.

Così, il passato del giovane è stato sviscerato per ore su alcuni canali televisivi e radiofonici. I giornalisti hanno così fantasticato su cosa avrebbe potuto o non potuto fare la 17enne…

Al punto che, su France Inter, la stessa portavoce del ministero dell’Interno ha deciso di ricordare alla giornalista Léa Salamé che questo “non è oggetto del dibattito. Indipendentemente dal fatto che fosse noto o meno alla polizia, quello che è successo, questa tragedia, non è accettabile“.

Nella marcia bianca, Cédric, autista di ambulanze di Nanterre, abbonda: “Niente giustifica l’uccisione. Era disgustato nel sentire, a poco a poco, Nahel passare dallo stato di vittima a quello di sospettato. Per lui si tratta di scagionare la polizia usare il passato del ragazzino in pubblico.

E vuole dirlo: la storia di Nahel è anche la sua e quella di tanti altri uomini razzializzati che vivono nei quartieri popolari. Come altri nel corteo, ha molte storie di brutalità della polizia da raccontare. “Posso raccontarvele tutte, ma resteremmo qui fino a domani”, scherza.

Le vittime razzializzate

Come Djema, ricorda che gli uomini razzializzati hanno maggiori probabilità di subire la violenza della polizia e fa persino paragoni dolorosi. Nel maggio 2023, il figlio di Éric Zemmour è stato causa di un grave incidente in stato di ebbrezza, è stato incriminato.

Lo stesso mese, il figlio di Nadine Morano è stato arrestato dopo un mordi e fuggi, risultando positivo alla cocaina dopo l’arresto. Infine, cita Pierre Palmade, anch’egli risultato positivo alla cocaina dopo un incidente stradale avvenuto nel febbraio 2023 e che ha provocato la morte di tre persone.

Tutti loro sono bianchi, sono stati assicurati alla giustizia ma sono ancora vivi, a differenza del giovane Nahel che ha dovuto affrontare “polizie arbitrarie”.

Per Benjamin, allenatore di educatori sportivi e attivista dei quartieri popolari, ciò che è accaduto nei drammi precedenti si ripete in questo dramma.

Ricorda di essere stato in strada nel 2005 dopo la morte dei giovani Zyed e Bouna ed è ancora lì oggi, con le stesse richieste: giustizia per le vittime e le loro famiglie, una revisione del sistema di polizia e il ritorno dei servizi pubblici nei quartieri, “da oggi l’unico servizio pubblico che rimane qui è l’istituto di polizia”. Per lui, la criminalizzazione delle vittime non è estranea alla loro razzializzazione.

Ai margini del corteo che si sta dirigendo verso la prefettura di Nanterre, la polizia è accorsa in gran numero. Sono debitamente fischiati, anche i manifestanti più anziani danno loro il dito medio.

Il momento non è quindi per la pacificazione ma per la chiara espressione della rabbia. “È esattamente quello che sta succedendo lì che ci serve, se potesse durare diversi mesi sarebbe un bene”, assicura Cédric, il paramedico di Nanterre.

Delle dieci persone che abbiamo intervistato, nessuna ha condannato le violenze perpetrate durante le rivolte di ieri sera. Li capiscono e li supportano. Nessun fischio quando banche e aziende vengono attaccate con mazze e pietre.

Abbiamo cercato di esprimerci in modo diverso. Sui social, sui media, non cambia nulla, spiega Mehdi, studente marocchino di 23 anni che vive in Francia da quattro anni. Ora, dobbiamo cambiare le cose con ogni mezzo. So che continueranno a parlare di arabi e neri che bruciano macchine, ma questa violenza è dovuta a quello che sta succedendo. La rivolta è normale, non staremo a guardare mentre i nostri fratellini e le nostre sorelline vengono uccisi.”

Dopo la morte di Nahel, il potere intrappolato nella sua cecità

di Ilyes Ramdani

Le notti di rabbia nei quartieri popolari hanno riportato il tema della violenza della polizia nell’agenda dell’esecutivo. In assenza di risposte valide, il governo si accontenta per il momento di mostrare la sua compassione e mostrare la sua fermezza.

L’esecutivo ha cambiato piede. A due giorni dalla morte del giovane Nahel a Nanterre (Hauts-de-Seine), il ministro dell’Interno intende reprimere severamente la rivolta che si esprime in diverse città del Paese.

Abbiamo effettuato un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine per questa sera e questa notte”, ha indicato giovedì pomeriggio Gérald Darmanin ai prefetti, riferendosi alla mobilitazione di quarantamila persone, comprese quelle delle forze speciali di intervento come il Raid, il GIGN e il BRI.

Nello stesso messaggio, il numero 3 del governo raccomanda “arresti dall’inizio degli scontri” e una “presenza davanti ai luoghi di pubblico servizio”, come municipi e scuole.

L’ordine pubblico deve essere fermamente ripristinato”, conclude. Il giorno prima e il giorno prima, le forze di polizia e gendarmeria sul campo erano state istruite a non scontrarsi con i giovani.

L’evoluzione delle istruzioni di Place Beauvau (il Viminale francese) non è solo una questione di mantenimento dell’ordine. Riflette il movimento politico del potere, che vuole a tutti i costi evitare la conflagrazione del 2005.

Stiamo tornando su una linea di fermezza perché è l’unico modo per ritrovare la calma”, traduce una fonte di governo. Olivier Véran, portavoce del governo, ha denunciato giovedì mattina su BFMTV “attacchi contro la Repubblica”.

Ed ecco di nuovo Gérald Darmanin nel suo consueto corridoio: la mattina denuncia di violenze, il pomeriggio visita a un commissariato, la sera istruzioni per la repressione.

Giovedì, Matignon ha incaricato i ministri di annullare tutti i viaggi che era possibile annullare. Invece il primo ministro, Élisabeth Borne, e quattro suoi ministri (Gérald Darmanin, dunque, ma anche Éric Dupond-Moretti per la giustizia, Pap Ndiaye per l’istruzione, Olivier Klein per la città) sono andati a constatare sul campo i danni della notte precedente.

Non possiamo ignorare le violenze che abbiamo visto, giustifica un consigliere ministeriale. Non si incendia una scuola in Francia, che si sia legittimamente arrabbiati o meno. Per ora, la nostra risposta può essere solo una sequenza d’ordine.”

Come durante i “gilet gialli” o il movimento contro le pensioni, il campo presidenziale si aggrappa al desiderio di ordine che il suo elettorato manifesterebbe, secondo lui. “La gente è sbalordita dalla morte di Nahel ma ha buon senso, vuole credere a un dirigente di maggioranza. Trovano anche inaccettabile bruciare un municipio o una scuola

Il secondo fine non è privo di significato tattico, nella mente di un ministro e di una maggioranza che hanno fatto dell’”ordine repubblicano” uno dei loro principali indicatori politici. Ma è anche puramente sicurezza: mostrando la sua fermezza, il potere spera di evitare un ancoraggio e una propagazione della rivolta.

Un consigliere ministeriale conferma di “monitorare attentamente” la situazione e prevede: “Fino ad allora le cose non si surriscalderanno ovunque allo stesso modo. Se il 93 si sveglia, siamo fregati

La violenza della polizia assente nel discorso di Macron

Dal punto di vista dell’esecutivo, la morte di Nahel non avviene in un qualsiasi momento. Il Presidente della Repubblica aveva deciso di dedicare la sua settimana ai quartieri popolari. Dopo un viaggio di tre giorni a Marsiglia (Bouches-du-Rhône), dal lunedì al mercoledì, Emmanuel Macron ha lasciato che Elisabeth Borne presentasse venerdì i dettagli del suo piano “Quartieri 2030”.

È stato da Marsiglia che Emmanuel Macron ha saputo della morte di Nahel martedì. Una concomitanza che spiega, vuole credere uno del suo entourage, perché non abbia esitato a qualificare la morte dell’adolescente come “imperdonabile” e “inspiegabile”.

Aveva ragione in questa realtà sul campo, con la parte del suo governo e del suo gabinetto più sensibile a questi temi, sottolinea questa fonte. Ha sicuramente giocato.»

Nel processo, lo stesso Gérald Darmanin ha denunciato “immagini estremamente scioccanti” e ha promesso sanzioni contro “un agente di polizia che chiaramente non ha agito in conformità con la legge o l’etica”.

Un tono che ha sorpreso, per bocca di un ministro piuttosto avvezzo alla difesa incondizionata delle forze dell’ordine. “Non aveva scelta”, suggerisce un influente esponente della maggioranza. “Il Ministero dell’Interno non contraddirà il Presidente della Repubblica! Doveva seguirlo

Nel campo presidenziale non tutti hanno creduto al successo dei “cento giorni di pacificazione” decretati ad aprile da Emmanuel Macron. Gli eventi di ieri sera hanno finito di inondare le speranze dei più schietti. Appena uscito dalla crisi delle rivolte contro la riforma delle pensioni, l’esecutivo si trova impantanato in una nuova crisi sociale e politica.

E il soggetto è tanto più difficile da cogliere per il potere che ha finora ostinato a nasconderlo. Ultimo esempio fino ad oggi, forse il più clamoroso: lunedì sera, quando ha trascorso tre ore in una palestra di Marsiglia per presentare la sua ambizione per i quartieri popolari, Emmanuel Macron non ha avuto una sola parola, un solo provvedimento sulla violenza della polizia.

Eppure, al centro delle richieste degli attori e delle attrici in campo, il rapporto polizia-popolazione è progressivamente scomparso dal software politico.

Le rivolte della settimana la fanno rientrare dalla finestra. Sorprendentemente, il governo spera ancora di farla franca senza rispondere. Mentre già emergono rivendicazioni politiche e critiche alla legge del 2017 sull’uso delle armi, i macronisti rimandano la discussione a domani.

Non rispondiamo nel tunnel dell’emozione,” supplica Maud Bregeon, deputata di Hauts-de-Seine e portavoce di Renaissance. “I soggetti dovrebbero essere posti in posa con tempo calmo. Nessuno ha la testa abbastanza fredda per ragionare con calma su questo oggi.»

Borne mantiene il suo piano di quartiere, contro ogni previsione

Nel governo si impegna il consigliere di un ministro di spicco. “Non facciamo una legge su un fatto isolato, non è così che funziona”, dice. Quale sarebbe l’altezza della vita di un giovane? Per il momento il potere istituzionale riconosce la colpa e la condanna, lascia l’espressione di questa commozione ma ricorda che c’è un quadro per la convivenza. Solo allora arriveremo al tempo delle risposte e della soluzione da trovare.»

Contro ogni aspettativa, venerdì il presidente del Consiglio ha deciso di mantenere il Consiglio interministeriale delle città (CIV). Alla fine, non si svolgerà a Chanteloup-les-Vignes (Yvelines), e per una buona ragione: i sindaci, i parlamentari e lo stato locale hanno fatto una campagna con una sola voce per convincere Elisabeth Borne a non venire. “Sarebbe percepita come una provocazione”, gli è stato detto in sostanza.

Tuttavia, il capo del governo intende essere in prima linea sulla sequenza. Giovedì ha convocato le sue squadre per organizzare per lei un viaggio nei quartieri popolari. “Non vuole che si dica che ha paura di andare nei quartieri o che non può entrarci”, decifra un assistente. Lei è mamma, questa storia l’ha toccata molto, vuole stare con gli abitanti dei quartieri. “Venerdì, quindi, il CIV si svolgerà… ma a Matignon, lontano dai quartieri popolari.

All’inizio della serata, Elisabeth Borne ha inviato tre consiglieri, tra cui il suo capo di gabinetto Aurélien Rousseau, per spiegare ai giornalisti la sua decisione. “Vogliamo dimostrare che abbiamo un forte impegno da parte del governo e non solo una reazione agli eventi”, ha affermato l’entourage del primo ministro. Su Le Figaro, lo stesso entourage ha promesso “annunci forti”. Nessuna, tuttavia, sembra riguardare la questione della violenza della polizia.

Qualcosa da rabbrividire all’interno del campo presidenziale. “O è in grado di annunciare qualcosa che risponda davvero alle preoccupazioni del momento, o risulterà impercettibile”, sintetizza un esponente della maggioranza.

Il consigliere ministeriale sopra citato si impegna: “Non farà che rafforzare l’impressione di disconnessione. Annunciare cose su Anru (Agence Nationale pour la Rénovation Urbaine) è bello, è carino ma insomma … I giovani più arrabbiati diranno “Guarda questi bastardi, si stanno divertendo con noi e non hanno ancora capito niente”. Lei corre un rischio reale.»

 Perché gli edifici e servizi pubblici locali sono prese di mira

di Joseph Confavreux

Mediateche, scuole o centri sociali sono stati presi di mira nella notte tra il 28 e il 29 giugno in varie città della Francia. All’eterna domanda del perché, le scienze sociali hanno fornito risposte sempre più precise dai disordini del 2005.

A ogni scontro tra polizia e giovani dei quartieri popolari, dopo ogni notte di sommossa urbana, sorge una domanda tra gli osservatori ma anche tra i residenti: perché attaccare strutture pubbliche che ancora offrono alcuni servizi in zone spesso disagiate di questa zona?

Dietro questa domanda si cela anche una domanda più sotterranea: cosa c’è nella mente dei giovani che affrontano la polizia, appiccano incendi o spaccano finestre? Le scienze sociali hanno lavorato molto sulla questione, in particolare a partire dai disordini del 2005, e mostrano che è impossibile vedere in questi gesti il semplice nichilismo, persino il banditismo a cui alcune voci vorrebbero ridurli.

Una prima risposta alla domanda richiede di partire dal vagliare cosa significano “servizi” o “strutture” pubbliche in un contesto di rivolte e tensioni urbane.

Attaccare una stazione di polizia il giorno dopo l’omicidio di un adolescente da parte di un agente di polizia, o anche un municipio che ha autorità su una parte della polizia, non ha necessariamente lo stesso significato di attaccare una scuola, un CCAS (centro municipale di azione sociale), un municipio o una biblioteca…

Una seconda premessa ci obbliga anche a rimanere cauti, anche al di là della natura delle istituzioni prese di mira, su ciò che esse possono rappresentare, e il cui significato può rimanere opaco o confuso.

Uno dei giovani che ha partecipato ai laboratori di scrittura organizzati dallo scrittore ed educatore Joseph Ponthus in un complesso residenziale di Nanterre ha detto, a proposito delle rivolte del 2005: “Abbiamo iniziato discutendo su cosa non bruciare. Non le macchine della gente, non la scuola, non il centro commerciale. Volevamo attaccare lo stato. Sintomaticamente, pur affermandosi la volontà di attaccare lo Stato, la scuola, comunque l’istituzione pubblica che ingrana l’intero territorio, viene messa da parte…

Detto questo, e sebbene sia ancora troppo presto per misurare la portata dell’attuale rivolta e per elencare o mappare con precisione ciò che sta attaccando, sembra che le strutture pubbliche siano particolarmente prese di mira.

I ricercatori di scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – concordano sul fatto che si tratta di un gesto eminentemente politico.

Denis Merklen, sociologo

Il solo ministero dell’Educazione nazionale ha così contato giovedì “una cinquantina di strutture scolastiche colpite in varia misura” dagli incidenti avvenuti dopo la morte di Nahel, che ha portato alla chiusura di una “diecina”, principalmente nelle accademie di Versailles, Créteil e Lille.

Per il sociologo Sebastian Roché ci sarebbe addirittura da fare una distinzione su questo tema tra oggi e l’autunno 2005. Interpellato su France Info giovedì 29 giugno, ha giudicato infatti che la rivolta in corso “era molto più orientata verso le istituzioni pubbliche”, mentre i disordini del 2005 avrebbero preso di mira “molte più auto”, anche se allora si erano verificati attacchi contro istituzioni pubbliche – palestre, asili, biblioteche.

Probabilmente il libro più preciso sull’argomento è stato pubblicato dalle Presses de l’Enssib nel 2013 dal sociologo Denis Merklen e si intitola Pourquoi brûle-t-on des bibliothèques? (vedi l’intervista che Mediapart gli ha rilasciato sull’argomento in occasione del decennale dei moti del 2005). Il ricercatore ha dimostrato che circa 70 biblioteche sono state bruciate in Francia tra il 1996 e il 2013 e che il 2005 non è stato uno scenario senza precedenti o inaugurale.

Tuttavia, ha sottolineato Denis Merklen a proposito di questi attacchi alle istituzioni pubbliche, “la loro interpretazione è cambiata dopo i disordini avvenuti in Francia quell’anno, sicuramente come conseguenza dell’ampiezza della mobilitazione.

Prima erano percepiti come atti irrazionali, nichilisti, poi si è parlato di “violenza urbana” e non ancora di rivolte. Perché attaccare un asilo o una palestra? Perché i beneficiari hanno distrutto ciò che era loro destinato? Non era comprensibile. La maggior parte delle letture ne faceva la manifestazione di un deficit, o addirittura di un’assenza di socializzazione politica

Questa interpretazione “nichilista” rimane attiva in alcuni settori della società e in campo politico. È specifico di un modo di guardare ai margini del centro cittadino come un’area popolata da popolazioni “selvagge”, incapaci di rispettare il bene comune o addirittura di distinguere il proprio interesse.

Il sociologo e antropologo Jérôme Beauchez, professore all’Università di Strasburgo, ha recentemente ripercorso la lunga storia di questo sguardo negativo in un libro intitolato Les Sauvages de la civilisation. Regards sur la Zone, d’hier à aujourd’hui, pubblicato dalle edizioni di Amsterdam lo scorso anno.

Tuttavia, anche quando non si canta il ritornello del necessario riordino di un mondo presumibilmente decivilizzato attraverso rinforzi di polizia, coprifuoco o stati di emergenza, la dimensione politica degli attacchi contro le istituzioni politiche rimane talvolta negata.

Quando le istituzioni pubbliche prese di mira sono scuole o centri di azione sociale, ma anche quando chi le prende di mira non appartiene ad organizzazioni referenziate ed è peraltro il più delle volte incappucciato e razzializzato.

Al contrario, quando il movimento poujadista ha attaccato gli uffici delle imposte, quando i militanti della FNSEA hanno attaccato le prefetture manu militari o quando i pescatori-marinai hanno appiccato il fuoco al Parlamento regionale della Bretagna nel febbraio 1994, la dimensione politica del gesto è stata immediatamente letta come tale. Non è quindi la violenza in sé che distinguerebbe il grano politico dalla pula tumultuosa e dall’ubriachezza.

Per Denis Merklen, il prendere di mira le istituzioni pubbliche durante gli episodi di rivolte urbane è davvero di natura politica, e anche in un certo senso squadrato.

Oggi, dice, i ricercatori delle scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – sono concordi nel vedere in questo, invece, un gesto eminentemente politico. Perché questo? Perché le persone che vivono nei quartieri popolari, più di altre, sono in costante contatto con le istituzioni pubbliche per risolvere i problemi della loro vita quotidiana.

Attaccarli è un modo per significare questo faccia a faccia. Non è un deficit di politicizzazione, ma un cambiamento della politica popolare – cioè del modo di fare politica per categorie popolari – attraverso la territorializzazione dei conflitti sociali

Per il sociologo, i rivoltosi manifestano così “il conflitto in cui sono coinvolti quotidianamente. Negli sportelli amministrativi, luogo principale di interazione, esclusioni e difficoltà di accesso, si concretizzano in un disprezzo fortemente sentito.”

L’antropologo Alain Bertho, professore emerito all’Università di Parigi VIII, ha dedicato gran parte del suo lavoro alle rivolte urbane, in Francia e all’estero, per comprendere la globalizzazione di questo vocabolario della protesta e identificarne le forme nazionali o locali. Ne ha tratto due libri, Le Temps des émeutes, pubblicato da Bayard nel 2009, poi Les Enfants du caos, pubblicato su La Découverte nel 2016.

In questi due lavori il ricercatore insiste anche nel tenere conto della dimensione politica delle rivolte, proprio quando questa è talvolta oscurata dal fatto che queste rivolte non prendono le strade della politica istituzionale, né quelle del gesto rivoluzionario che prende di mira luoghi incarnando il potere nella maestà, e non una palestra o l’antenna di un centro di previdenza sociale.

C’è stato un dibattito nel 2005, ci ha spiegato Alain Bertho all’epoca della rivolta dei “gilet gialli”, “sulla questione se queste rivolte fossero un movimento politico, proto-politico o apolitico. Mi è rimasta scolpita in testa la risposta datami da chi poi aveva bruciato le auto: “No, non è politica, ma volevamo dire qualcosa allo Stato.

Come dire più chiaramente che la politica di partito e parlamentare, ai loro occhi, era inutile per dire qualcosa allo Stato?”.

In questa stessa intervista, Alain Bertho ha anche insistito sulla necessità di essere “attenti al repertorio d’azione che è il linguaggio della sommossa”, distinguendo in particolare tra sommosse con e senza saccheggio.

In questo repertorio d’azione in realtà plurale della rivolta, a volte mascherato dalle immagini ripetitive di fumo e scontri, gli attacchi contro le strutture pubbliche occupano un posto specifico e paradossale.

Una specificità delle rivolte urbane in Francia è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, in parte perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

Il paradosso, però, probabilmente non è solo quello che si sta già formulando su larga scala, nei micro-marciapiedi che si chiedono perché alcuni giovani attacchino istituzioni che dovrebbero servirli e servire, o addirittura in bocca a ricercatori, come Sebastian Roché giudica, sempre su France Info, che in questo momento stiamo assistendo a una “disperazione che le popolazioni rivolgono contro se stesse”.

Sta anche in quanto sottolinea Denis Merklen, ovvero che, per le persone che vivono nei quartieri popolari, “i servizi pubblici sono l’unica risorsa per i loro bisogni più elementari, legati all’istruzione, alla salute, ai trasporti, all’alloggio, all’energia e alla cultura.

Quasi tutti gli aspetti della loro vita quotidiana sono nelle mani delle istituzioni pubbliche. È una situazione paradossale, perché dovuta anche alla solidità e alla penetrazione del nostro Stato sociale che assicura, come meglio può, solide reti di sicurezza”.

Queste reti di sicurezza oggi sono certamente meno numerose e solide rispetto a dieci anni fa, a causa della disgregazione dei servizi pubblici, ma resta il fatto che una specificità delle rivolte urbane in Francia, rispetto ad altri Paesi, è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, anche perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

In ogni caso, questo è quanto emerge dal lavoro co-curato dai sociologi Hugues Lagrange e Marco Oberti l’anno successivo ai disordini del 2005, intitolato Émeutes urbaines et protestations pubblicato da Presses de Sciences Po.

Il libro collettivo ha offerto in particolare un confronto tra la situazione italiana e britannica, ricordando che la società francese è “caratterizzata da uno Stato centralizzato, servizi pubblici potenti, un forte richiamo alla laicità, antiche immigrazioni legate a una dolorosa storia coloniale e alla decolonizzazione”.

Per i curatori di questo libro, il confronto internazionale delle proteste urbane ha portato a uno “strano paradosso. La maggiore efficienza della società francese nel combattere le disuguaglianze sociali e nel garantire contemporaneamente una migliore protezione sociale produce un forte sentimento di esclusione, soprattutto nei quartieri più segregati della classe operaia e degli immigrati.”

Tanto più che leggendo Hugues Lagrange e Marco Oberti, i francesi, a differenza degli inglesi, erano «dotati di occhiali costruiti per non vedere questa segregazione etnica».

Una situazione in gran parte legata ad un pensiero della Repubblica e ad un’organizzazione territoriale dei suoi servizi pubblici che, a furia di voler essere “daltonici”, si rivelano ciechi alle discriminazioni etnorazziali che le loro stesse istituzioni pubbliche possono tuttavia riprodurre.

Questo è ovviamente il caso di questa particolare istituzione, la polizia, come aveva già mostrato il sociologo Didier Fassin nel suo libro La Force de l’ordre, che esplorava il razzismo presente all’interno di alcune unità del BAC in particolare e la crescente distanza tra la polizia e più in generale gli abitanti dei quartieri popolari.

Ma vale anche per le istituzioni che, al contrario, hanno cercato di ridurre la distanza tra le istituzioni e le popolazioni a cui si rivolgono. Riguardo al caso particolare delle biblioteche, Denis Merklen ha osservato che esse “hanno svolto un’immensa quantità di riflessione autocritica. Hanno rinnovato i loro approcci; hanno aperto”.

Ma, ha proseguito, non possono, come qualsiasi servizio pubblico preso isolatamente, “risolvere i problemi economici e sociali che sorgono in questi quartieri”, a causa “della situazione catastrofica del mercato del lavoro” che fa sì che “molti abitanti possano non contano più sullo stipendio” e hanno solo i servizi pubblici – e non più i datori di lavoro – come interlocutori della loro situazione sociale. Il che può portare alla distruzione di un municipio piuttosto che al rapimento di un padrone …

NB: l’interpretazione delle scienze sociali degli obiettivi colpiti dalle rivolte dimentica un aspetto cruciale: i giovani avvertono perfettamente di essere considerati “posterità inopportuna” (mentre sino a prima della controrivoluzione capitalista liberista globalizzata erano trattati come futura manodopera da “educare e quindi disciplinare” per la prosperità della Francia per la quale i genitori furono fatti immigrare.

I quartieri popolari “ideali” dal punto di vista dominante erano strutturati per forgiare la posterità utile alla prosperità … ma dopo gli anni ’80 e ’90 questi quartieri sono diventati luoghi di reclusione di una popolazione giovanile indesiderabile, inopportuna, superflua, quindi oggetto di criminalizzazione razzista … i servizi sociali sono diventati organismi di controllo, di angherie, di discriminazioni quotidiane …

E’ alquanto singolare che si pretenda capire le rivolte senza conoscere qual è concretamente la vita quotidiana nelle banlieues, cosa succede negli edifici pubblici comprese le scuole oltre che nei centri per disoccupati ecc. (Vedi in particolare “Una posterità inopportuna”, in Mobilità umane, p. 146-153)

Nahel: per i servizi segreti il pericolo arriva dall’estrema sinistra e da Mbappé

di Sarah Brethes e Matthieu Suc 

In una nota dedicata alle reazioni nei “quartieri sensibili” dopo l’assassinio di Nahel, l’Intelligence Territoriale sottolinea i presunti rischi generati da semplici inviti a manifestare. Vengono citati anche i commenti pubblici di Omar Sy e dell’attaccante del Psg Kylian ‘Mbappé.

In un’intervista pubblicata mercoledì da Le Point, Bernard Émié, capo della Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE), ha ricordato lo scopo di un servizio di intelligence: “illuminare” i politici, per permettere loro di “vedere il lato inferiore delle mappe”.

Viene da chiedersi cosa avranno pensato quello stesso giorno gli uomini e le donne che, all’Eliseo, a Matignon ea Place Beauvau, al Ministero dell’Interno, hanno letto la nota firmata dal Servizio Centrale di Intelligence Territoriale (SCRT, vecchi GR).

Datata questo mercoledì, è intitolata “Reazioni nei quartieri sensibili dopo la morte di Naël a Nanterre” e aveva lo scopo di informare i decisori politici sui rischi di una protesta violenta.

La nota deriva dal “D3” e dal “D4”, vale a dire le divisioni delle derive urbane (D3) e della documentazione e vigilanza tecnica (D4) dell’Intelligenza Territoriale. I suoi autori riproducono su nove pagine un catalogo di negativi. Con, a corredo, una rassegna stampa dei social network, la cui rilevanza può lasciare alcuni perplessi.

Leggere la copertina, che riassume il tutto, non trarre in inganno sulla natura del pericolo corso dalla Repubblica dopo l’uccisione di un adolescente di 17 anni da parte della polizia. “La presenza di attivisti di estrema sinistra nelle varie manifestazioni rischia di generare incidenti.

L’attività dei social network su questo tema evidenzia la volontà dei gruppi di estrema sinistra di “convergere le lotte” con il comune denominatore “violenza poliziesca”. E come intende fare l’estrema sinistra per generare incidenti? Trasmettendo “gli appelli alla mobilitazione, venerdì sera alle 20 davanti ai municipi”. Quindi per dimostrare.

Se sette righe sono dedicate all’estrema destra che “si posiziona a favore della polizia” e i cui commenti “evocano una sparatoria ritenuta legittima contro “la feccia”, al “movimento di protesta di estrema sinistra” si consacra una pagina intera.

Perché così tanto? Senza dubbio perché le parole che questo movimento reggerebbe sono di una virulenza rara. Beh no. La nota dettaglia il contenuto della pagina Twitter del collettivo Cerveaux non disponibles, la cui colpa sembra aver trasmesso il messaggio “Giustizia per Naël”.

I cervelli non disponibili stanno aggravando il loro caso, secondo il servizio di intelligence, rilasciando foto dell’adolescente ucciso da un agente di polizia, oltre a illustrazioni di incendi di rifiuti. “Queste immagini generano discorsi anti-polizia come ‘i nostri figli non sono un gioco per i poliziotti’”, preoccupa la SCRT.

Altrettanto allarmante, secondo loro: sulla sua pagina Twitter, l’offensiva antifascista di Bordeaux “parla di un elenco di vittime della polizia che torna a crescere”. Infine, non sfugge agli investigatori dell’Intelligence Territoriale che Attac France abbia ritwittato un messaggio di un suo portavoce che denunciava il fatto che si potrebbe “morire per un controllo stradale” e che la “polizia sta mentendo”. Difficile, così com’è, vedere i semi di una protesta violenta.

Citati i messaggi di Kylian Mbappé e Omar Sy

Gli autori della nota notano inoltre che il termine “Nanterre” è utilizzato in più di 80.000 tweet. “E 400.000 retweet”, insistono gli ufficiali dell’intelligence. Principalmente a causa, secondo loro, “del movimento di protesta di estrema sinistra, della protesta ambientalista e delle organizzazioni delle scuole superiori”. Ma non solo.

Si parla anche di “personalità popolari in quartieri sensibili”. Così, sottolinea la nota di RT, “Kylian Mbappé e Omar Sy hanno postato messaggi in omaggio alla vittima, denunciando anche “una situazione inaccettabile””.

Non contenti dell’estrema sinistra e degli ultracelebri personaggi, gli ufficiali dell’intelligence dedicano due terzi di pagina a una categoria la cui esistenza fino ad allora era stata ignorata nei reportage dei servizi interessati: gli “influencer islamisti”.

Infatti, secondo gli RT, alcuni influencer e attivisti di questo movimento propagherebbero l’idea di “islamofobia di Stato” e di “razzismo ricorrente nelle forze di polizia”. Diverse pubblicazioni in tal senso sono state rilevate sui social network.

E per citare la giornalista Feïza Ben Mohamed, che lavora nell’ufficio francese dell’Agenzia Anadolu, l’agenzia di stampa del governo turco. Quella che sul suo profilo Twitter afferma di essere una “specialista in questioni di islamofobia” consigliava sul suo account: “Filmate la polizia. Sempre. Ovunque. Soprattutto quando si avvicina ai neri o agli arabi “…

Il secondo ad essere seguito dalla SCRT è un altro giornalista militante: Sihame Assbague. E perché ha attirato l’attenzione dei servizi segreti? Perché Sihame Assbague “rilancia l’hashtag “#PoliceKill” e dichiara che spesso sono le stesse categorie socio-professionali, cioè “nordafricani, neri, classi lavoratrici” ad essere vittime durante le “violenze” e gli “assassini” commessi dalla Polizia”.

Citata anche l’associazione Prospettive musulmane. Ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha affermato che “i musulmani e le persone di colore sono un bersaglio gratuito in questo paese” e ha evidenziato “una legge di ispirazione islamofoba” per stabilire una nuova licenza di uccidere. .

Il periodo pre-estivo con, inoltre, tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi.

Intelligenza territoriale

Solo l’esempio di un convertito diventato predicatore salafita che si accende sul suo canale Telegram per accusare in particolare la polizia di essere «una mafia che uccide a freddo» sembra rientrare nell’opera di monitoraggio di un servizio di intelligence.

Senza alcun collegamento con quanto sopra, la SCRT sottolinea inoltre che “nessuna comunità straniera ha commentato questo evento [l’assassinio de Nahel – ndlr], né ha chiesto una marcia bianca”.

La nota si spinge fino a tracciare un parallelo con “la comunità guineana di Angoulême” che, “di fronte alla morte di uno dei suoi membri durante un controllo di polizia il 14 giugno”, non ha rilasciato alcun commento. Se abbiamo capito bene, tra le comunità che piangono la morte di uno di loro ucciso da un agente di polizia, i più encomiabili sarebbero quelli che non reagiscono.

Occorre attendere l’ultima pagina e il commento proprio degli autori della nota per ottenere una parvenza di analisi: “l’emozione e la rabbia suscitate da questo evento […] rischiano di innescare turbe dell’ordine pubblico”.

E leggete quelle che potrebbero sembrare informazioni sul presunto oggetto della nota: “Alcuni giovani di quartieri prioritari, come Hem (59), hanno già annunciato il ripetersi della violenza urbana e, a Mantes-la-Jolie, è stato lanciato un appello lanciati per raggiungere Nanterre questa sera e questa notte in convogli.»

E poi le ultime due frasi richiamano il contenuto dell’insieme. “Il periodo pre-estivo con peraltro tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi. Sono quindi da attendersi incidenti su tutto il territorio”.

Il caldo ecciterebbe i giovani, più della morte di un adolescente, a sua volta giudicata “imperdonabile” da Emmanuel Macron.”

Gli autori della nota non sono noti; non è firmato. Ma nei servizi di intelligence, la procedura implica che le note debbano essere rilette in teoria, o addirittura modificate dalla catena gerarchica prima di essere distribuite all’Eliseo, a Matignon e ai ministeri interessati. A fortiori quando il soggetto è sensibile.

articoli presi da mediapart.fr – traduzione a cura di Salvatore Palidda per Osservatorio Repressione

Fonte: Contropiano

Francia: quando brucia “il giardino di casa”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/03/francia-quando-brucia-il-giardino-di-casa-0162037

La morte di Nahel M. – il giovane 17enne ucciso dalla polizia a Nanterre la mattina di martedì 27 luglio – ha scatenato una reazione inedita per intensità e continuità degli ultimi vent’anni rispetto ad episodi analoghi avvenuti ai danni degli abitanti delle periferie.

In ciò che gli organi di informazione hanno universalmente definito “una notte più calma delle precedenti” – tra sabato e domenica – sono state fermate 719 persone, 45 tra poliziotti e gendarmes sono rimasti feriti, 577 veicoli e 74 edifici sono stati incendiati, ma sono stati contabilizzati ben 871 incendi – secondo il Ministro dell’Interno – nella pubblica via.

Non proprio un “ritorno alla normalità”.

Se lo Stato non è ricorso all’“etat d’urgence” – come fece nel 2005 dopo dodici notti di émeutes – le misure intraprese non sono certo state meno drastiche: il dispiegamento di più di 45mila effettivi delle forze dell’ordine, mobilitando i blindati della Gendarmeria (come al livello più alto del movimento dei Gilets Juanes nel dicembre 2018), delle unità specializzate del RAID, del GIGN e della BRI e degli elicotteri che hanno trasformato le tre principali città francesi come Parigi, Lione e Marsiglia in zone di occupazione militare a tutti gli effetti.

Non solo le maggiori metropoli dell’Esagono hanno conosciuto “notti di fuoco”, ma anche quasi tutte le città di media grandezza, oltre ai Territori d’Oltre-Mare (DOM-TOM); segno di una estensione della rivolta che non si è fermata alla periferia parigina ma la Francia urbana nel suo complesso.

Di fatto, nei giorni scorsi, tutti gli eventi ‘mondani’ e scolastici sono stati cancellati preventivamente, i mezzi di trasporto locale come bus e tram hanno cessato di funzionare alle nove di sera, ci sono stati differenti divieti prefettizi per manifestazioni e l’imposizione di numerosi coprifuoco.

Il soldato francese dei reparti speciali, di guardia al “giardino”, incredibilmente è armato con un fucile d’assalto Vepr-12 di fabbricazione russa

Macron ha fatto sapere, venerdì mattina, che era pronto ad ogni evenienza “senza tabù”, scegliendo di mostrare i muscoli – come invocato da conservatori ed estrema destra – piuttosto che cercare di calmare gli animi.

Il governo non è ricorso quindi ad una legge approvata nel 1955 – nel contesto della lotta di liberazione algerina (1954-1962) – com’è stato dopo quasi due settimane di scontri notturni in seguito alla morte a Clichy-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) di Zyed Benna e Bouna Traoré -, anche se il tuo utilizzo è stato comunque fortemente caldeggiato dai gollisti di LR e al neo-fascista Éric Zemmour.

E’ stata però imposta una notevole militarizzazione, con un numero decisamente elevato di fermi che, nella notte tra venerdì e sabato, hanno superato il migliaio, e poco più di 700 nella notte successiva.

La strategie giudiziaria è stata subito quella della tolleranza zero nei confronti dei fermati e delle loro famiglie, considerando che per esempio nella notte tra giovedì e venerdì un terzo dei 900 fermati, erano minori e quindi con una età compresa tra i 14 e 18 anni.

Il Presidente e l’esecutivo, invece che mettere in discussione il processo di fascistizzazione crescente tra le forze dell’ordine – con il comunicato del maggiore sindacato di polizia Alliance, insieme alla branca di categoria dell’UNSA che venerdì ha affermato espressamente di “essere in guerra contro orde selvagge” – ha spostato il baricentro dell’attenzione sulla responsabilità delle famiglie dei ceti popolari, inasprendo quel processo di colpevolizzazione delle classi subalterne che è uno dei tratti dei suoi due mandati di Macron.

Sono di fatto cadute nel vuoto le parole di Ravina Shamdasani, porta-voce dell’Alto Commissariato dell’ONU ai diritti dell’uomo: «è il momento per il paese di affrontare seriamente i profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine».

Una conferma del “doppio standard” che l’Occidente applica riguardo al rispetto dei diritti dell’uomo: strumentalmente agitati quando si tratta di attaccare un avversario, ma ignorati quando vengono calpestati in quello che Josep Borell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha di recente definito “il giardino” contrapponendolo alla presunta “jungla”, che sarebbe il resto del mondo.

Il Ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, ha insistito nel dire che «non è lo Stato che educa i figli», rincarando la dose rispetto a ciò che aveva affermato Macron, e facendo appello ai genitori affinché di fatto impedissero loro di uscire di casa, per accettare invece passivamente quest’ennesimo sviluppo della torsione autoritaria.

L’altra “crociata” lanciata dall’esecutivo è stata quella contro le reti sociali come Snapchat e TikTok, ampiamente usate come strumento di comunicazione e di organizzazione di questi giorni.

Alla faccia della “libertà di informazione”, Dupont-Moretti vuole procedere di fatto ad un processo di identificazione di massa di coloro che hanno usato queste applicazioni durante le rivolte, ricorrendo a tipologie di reato comunemente utilizzate per associazioni criminali.

Macron non ha perso tempo nel denunciare “l’inaccettabile strumentalizzazione” di una parte de La France Insoumise di ciò che stava avvenendo. Gli ha subito risposto jean-Luc Mélanchon dicendo che «le elucubrazioni contro la LFI non coprono le responsabilità di coloro che hanno creato questa situazione».

E non sembra che da questo impasse politico il Presidente e l’Esecutivo vogliano uscire con una soluzione che non sia il “pugno di ferro”, attaccando tutti i coloro che stanno mettendo in evidenza le storture di un modello di sviluppo in cui precarietà lavorativa, segregazione urbana, e razzismo istituzionale sistematico sono la condizione esistenziale per milioni di persone dei ceti subalterni che vivono nei quartieri popolari.

É chiaro che la settimana appena conclusa ha fatto emergere un elemento ben spiegato da Erwan Ruty, responsabile associativo e autore di Une histoire des banlieus française – mai tradotto in italiano – al quotidiano Le Monde:

«il movimento sindacale, associativo, politico riusciva ad inquadrare fino agli anni 2000 la rabbia delle banlieue. Oggi l’ estrema destra la rinfocola, e l’estrema sinistra non riesce ad occuparsene. E due mondi si squadrano in cagnesco uno di fronte all’altro: i giovani e la polizia».

La crisi politica in Francia è talmente grave che, in tempi differenti, diverse porzioni sociali si sono mobilitate con modalità comunque radicali contro il ‘Presidente dei Ricchi’ ed i suoi governi durante questi due mandati: il movimento dei gilets jaunes, il primo e poi il secondo movimento contro la riforma pensionistica, le mobilitazioni contro la gestione della pandemia e, non ultimo, la legittima rabbia dei giovani delle periferie, oltre alle lotte ecologiste e quella di singoli comparti della classe lavoratrice.

Ora, “il giardino” ha preso fuoco, e non è chiaro quando verrà domato l’incendio.

La  legittima rabbia che ha scatenato l’assassinio poliziesco a sangue freddo di un 17enne incensurato è frutto di una crisi sistemica (economico, istituzionale e politica) che non sembra avere altra soluzione, per le élite, se non la fascistizzazione strisciante dei suoi apparati.

Qui ormai liberisti, conservatori ed estrema destra vanno avanti a braccetto, svolgendo solo pro forma ognuno una parte differente.

É una sfida, a cui la sinistra di classe, non solo in Francia, è chiamata a dare una risposta all’altezza perché, dopo la pandemia ed in tempi di guerra, dalle ceneri della governance neoliberista sta sorgendo una filosofia di governo tesa a sbriciolare le residuali garanzie democratiche e lo Stato di Diritto.

Per fare la guerra ai poveri.

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 2 Luglio 2023, ore 16:34

Fonte: Contropiano

La repressione “senza tabù”

di Franco Astengo

La tirannia deve esistere
ma non per questo il tiranno merita scuse”
John Milton, The lost paradise, XII vv 95 – 96)
https://contropiano.org/interventi/2023/07/03/la-repressione-senza-tabu-0162041

Come si può definire una democrazia come quella francese strutturata in una forma del tutto sbilanciata verso il “governo” in luogo della “rappresentanza” e nella quale un Presidente eletto direttamente proclama una “repressione senza tabù” verso moti di popolo alimentati da disuguaglianze soffocanti, imperante razzismo, periferie abbandonate a un degrado economico,morale, culturale, politica esercitata attraverso vuoti populismi?

La migliore definizione di tirannide, da ritenersi facilmente valida anche per l’attualità si trova nella Repubblica di Platone:

La tirannide nasce da una trasformazione della democrazia. La transizione della democrazia in tirannide è dovuta, come nel caso dell’oligarchia, proprio al bene dominante che è perseguito in quel regime”.

L’esito della democrazia è, per Platone, la violenza della tirannide, perché la democrazia stessa non si fonda su nessuna forma e idea comune, ma privatizza a un tempo la ragione pratica e la ragione teoretica, riconducendola interamente agli arbitrii individuali.

In una simile prospettiva, la tesi platonica potrebbe essere resa più comprensibile al lettore contemporaneo in questi termini: la tirannide è l’esito di un processo di privatizzazione radicale del potere che s’innesca quando i regimi democratici non sanno o non vogliono mantenere una regola pubblica e comune.

Oggi in un quadro generale di arretramento complessivo delle forme di democrazia liberale la guida delle grandi potenze è sempre più facilmente affidata a una spiccata dimensione del potere personale.

Un potere personale improntato a forme giudicabili come di vera e propria tirannia pur suffragata da più o meno regolari plebisciti (ed è questo il nodo del presidenzialismo/premierato italiano).

Il quadro generale è quello di una degenerazione complessiva delle forme di democrazia liberale

La dottrina cattolica distingue tra il “tiranno per usurpazione” (tyrannus in titula, cioè che ha preso il potere illegalmente) e il “tiranno per oppressione” (tyrannus in regimine, cioè che abusa del potere che ha ricevuto legalmente).

 In una società complessa, di capitalismo avanzato, si pensava a una “spersonalizzazione” del potere, invece ci troviamo in una fase che potremmo davvero definire di “arretramento storico”.

Così non si può dimenticare il titolo maoista “Ribellarsi è giusto”. 

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 3 Luglio 2023, ore 7:42

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

IL 18 NOVEMBRE GLI STUDENTI INSORGONO!

Studenti e operai contro l’ennesimo governo del pilota automatico

Il Partito dei CARC aderisce e partecipa alle mobilitazioni che si terranno in tutta Italia domani, venerdì 18 novembre, per la Giornata Internazionale degli Studenti.
La crisi del sistema capitalista (proprio quello che il nuovo Ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, indica come “il migliore dei mondi possibili” nella sua infame circolare alle scuole) ha, ormai da decenni, effetti nefasti sulla pelle degli studenti delle scuole superiori e università.

https://www.carc.it/2022/11/17/il-18-novembre-gli-studenti-insorgono/

Essere uno studente proletario oggi -in Italia e nel 2022- significa uscire di casa per andare a scuola senza sapere se si tornerà, dato che, dall’inizio del 2022, tre sono stati gli studenti uccisi sull’alternanza scuola-lavoro, mentre i feriti non si contano. Significa, di nuovo, rischiare tutti i giorni la pelle perché le aule sono abbandonate all’incuria e potrebbero cadere in testa, com’è successo a Cagliari col crollo dell’Aula Magna dell’Università. Significa dover sputare sangue per riuscire a mantenersi gli studi universitari, fare continui sacrifici per l’affitto di una stanza se si è fuorisede, mentre le città universitarie sempre di più pullulano di alberghi di lusso per i figli dei ricchi. Significa doversi adeguare ad un modello di istruzione che è ben lontano da quello che serve, perché è sempre più piegato agli interessi delle grandi aziende, che entrano a gamba tesa nelle collaborazioni con scuole e università, così come lo fanno Unione Europea, NATO e gruppi sionisti.

Gli studenti di tutta Italia, negli scorsi mesi, sono stati in grado di coordinarsi ed insorgere contro il Governo Draghi, il Governo del pilota automatico dell’UE e della NATO, un governo sostenuto dai “democratici” del PD che oggi si strappano le vesti per la repressione verso gli studenti della Sapienza, ma ieri non si facevano problemi a mandare la celere a picchiare gli studenti a Torino che gridavano vendetta per l’uccisione di due giovani sull’alternanza scuola-lavoro. Mille sono state le forme di protesta e mobilitazione, dalla lotta contro la misura criminale del Green Pass imposto per andare a studiare nelle università alle mobilitazioni per una riapertura totale e sicura delle scuole e università. La costante che le ha unite? Il grido di lotta “Insorgiamo!”, lanciato dal Collettivo di Fabbrica della GKN e raccolto dai collettivi studenteschi di tutto il paese.

Oggi, all’indomani della formazione del “nuovo” governo è ancora necessario gridare e dare contenuto alla parola d’ordine “Insorgiamo!”. Il Governo Meloni non è il governo più reazionario della storia (bisogna essere chiari, Meloni è fascista quanto Letta è comunista!), semmai è il governo che attua lo stesso programma del governo Draghi, con tutte le conseguenze che questo ha in termini di smantellamento dell’istruzione pubblica. L’abbiamo visto bene con la prosecuzione dei provvedimenti repressivi come quello “anti-rave”, con le manganellate sugli studenti della Sapienza, con la nomina di Valditara e Bernini (due nomi tristemente noti) come ministri rispettivamente dell’Istruzione e dell’Università.

Il marasma derivante dalla crisi generale del capitalismo crea una situazione di straordinaria stabilità, una situazione in cui ciò che è determinante non è quello che farà o non farà il Governo Meloni, ma quanto e come gli operai, gli studenti, le masse popolari organizzate si porranno come nuova classe dirigente. In sintesi, succederà quello che gli studenti e i lavoratori organizzati faranno succedere!

Di seguito le manifestazioni alle quali parteciperemo:
Milano, corteo “No Meloni day”, Largo Cairoli, ore 9:30.
Bologna, corteo studentesco, Piazza Verdi, ore 10.
Firenze, presidio studentesco e operaio “#Insorgiamo per il nostro futuro”, Piazza
Duomo (sede dalla Regione Toscana), ore 9:00.
Pisa, corteo studentesco, Pizza Vittorio Emanuele II, ore 9:40.
Napoli, corteo studentesco, Piazza Garibaldi, ore 9.30.

Partecipiamo, quindi, in massa, alle piazze del 18 novembre, facciamo vivere la parola d’ordine “operai e studenti uniti”! Cacciamo Giorgia Meloni e tutti gli altri servi della NATO, della UE e di Confindustria dal governo del paese! Imponiamo un governo d’emergenza popolare che attui le misure necessarie a rimettere in piedi il diritto all’istruzione!

Fonte: CARC – Comitato di Appoggio per la Resistenza del Comunismo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo

TIERRA Y LIBERTAD – FULVIO GRIMALDI IN O GREEN O VERDE

Fulvio Grimaldi e l’urlo “Tierra Y Libertad” di Emiliano Zapata, rivoluzionario del Messico

Il Messico, paese ricco di disgrazie, vittorie, fascinazioni, musiche, arti, con pochi paragoni, in America Latina e non solo. Negli ultimi 150 anni ne ha visto di tutti i colori: rivoluzione, restaurazione, dittatura, nuova rivoluzione vittoriosa, colonialismo e la sua sconfitta, neocolonialismo yankee, regimi collusi con il più forte narcotraffico del continente e, negli ultimissimi anni, un nuovo impegno di riscatto.

Per tutte queste vicende il popolo messicano si è riconosciuto nel grido di Emiliano Zapata, “Tierra y Libertad”. La terra liberata anche dalla catena di padroni e servi della gleba, con la terra abusata, negata, violentata, rubata. E con essa i diritti, la salute, la vita di chi sulla terra vive e ne campa. L’assalto alla terra, agli ecosistemi umani, animali e vegetali è stato particolarmente violento nello Stato al centro del Messico, Oaxaca, ed è lì che ha ricevuto la risposta più dura e vincente, anche oggi pronta a rinnovarsi.

E come abbiamo visto con l’incredibile forza delle donne nel contrasto al femminicidio e alla violenza dei poteri, legali o illegali, anche qui, in Oaxaca, il corpo e la testa della lotta sono  di donne. Fulvio Grimaldi vi ha incontrato un femminismo di altra natura.

Byoblu