Francia

L’ITALIA E’ IL PAESE EUROPEO CON PIU’ CASI DI DENGUE: COME RICONOSCERE I SINTOMI?

Una zanzara del genere Aedes responsabile della trasmissione del virus Dengue all’essere umano
A mosquito of the Aedes genus responsible for transmitting the Dengue virus to humans

La Dengue è tornata a far parlare di sé con un aumento di casi in diversi Paesi. Porto Rico è stata particolarmente colpita e nel marzo 2024 l’isola ha dichiarato la sua prima epidemia di Dengue dal 2012. In Europa ci sono tre Paesi in cui la Dengue è approdata e l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di casi.

Fortunatamente la Dengue non causa malattie gravi in tutte le persone che infetta, ma i sintomi possono essere spiacevoli e a volte richiedono un intervento medico.

Cliccate sulla galleria per imparare a conoscere i sintomi della Dengue.

Virus che nasce nelle zanzare

La febbre Dengue, altrimenti nota come Dengue, è un’infezione diffusa dalle zanzare. Tuttavia, non sempre provoca malattie gravi; infatti, solo una persona su quattro si ammala.

Dove è diffusa?

La Dengue è diffusa in alcune parti del mondo, tra cui alcune zone dell’Africa e dell’Asia, dell’America centrale e meridionale, dei Caraibi, delle isole del Pacifico e di alcune aree meridionali del Nord America.

È inoltre possibile contrarre la dengue in alcune zone dell’Europa meridionale in determinati periodi dell’anno (dalla primavera a Novembre).

Tra i Paesi in Europa in cui sono stati riscontrati casi di Dengue ci sono Croazia, Francia, Italia e Spagna. 

Porto Rico

Sebbene la febbre dengue non sia presente ovunque nel mondo, di recente è stata al centro delle cronache per l’aumento dei casi, in particolare a Porto Rico.

Numeri

In effetti, Porto Rico ha dichiarato almeno 549 casi già nel 2024, rispetto a un numero totale di 1.293 casi per l’anno 2023.

Epidemia

Secondo il dipartimento sanitario dell’isola, più di 340 persone sono state ricoverate in ospedale a causa del virus e il Paese ha dichiarato l’epidemia.

Rischio pandemico

È la prima volta che Porto Rico dichiara un’epidemia di Dengue dal 2012, e ciò avviene dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che la Dengue è un rischio pandemico nel Gennaio 2024.

Modello più ampio

In effetti, l’epidemia di Porto Rico fa parte di un modello più ampio che è emerso in tutte le Americhe fino ad ora nel 2024.

Altri Paesi

Paesi come Argentina, Brasile, Perù e Uruguay hanno riportato un numero significativo di casi di Dengue. 

Riconoscere i sintomi

Anche se l’infezione da Dengue non sempre provoca la malattia, è comunque una buona idea saper riconoscere i sintomi.

Viaggiare verso un Paese dove c’è la Dengue

Questo è particolarmente vero se si intende viaggiare in un Paese in cui il numero di casi di dengue è in aumento.

Quanto ci mettono i sintomi a manifestarsi?

Se i sintomi della Dengue si manifestano, di solito si sviluppano nei 4-10 giorni successivi alla puntura di una zanzara infetta.

Sintomi simili a quelli influenzali

La febbre Dengue può sembrare un’influenza e i sintomi sono simili. Essi comprendono una temperatura elevata, un forte mal di testa e dolore dietro gli occhi.

Altri sintomi

Altri sintomi includono dolori muscolari e articolari, sensazione di malessere, ghiandole gonfie e un’eruzione cutanea costituita da macchie piatte o leggermente rialzate.

Quando consultare un medico

In generale, le persone che sviluppano i sintomi della Dengue si sentono meglio dopo circa una settimana. Tuttavia, è importante rivolgersi a un medico se si è viaggiato di recente in un paese in cui è presente la Dengue e si manifestano i sintomi.

Casi di Dengue più gravi

Questo è importante perché alcune persone sviluppano un tipo di Dengue più grave pochi giorni dopo aver iniziato a sentirsi male. Si tratta di un’eventualità rara, ma non sconosciuta.

Popolazione a rischio

Chi ha già avuto la Dengue in passato ha maggiori probabilità di sviluppare una Dengue grave. È anche più comune nelle donne in gravidanza e nei neonati.

Sviluppare la Dengue con sintomi gravi

Le persone che sviluppano una Dengue grave possono iniziare a sentirsi meglio e vedere la loro temperatura tornare alla normalità, solo per sviluppare sintomi ancora più gravi 24-48 ore dopo.

Sintomi

I sintomi della Dengue grave comprendono forti dolori alla pancia, vomito ripetuto, respirazione accelerata, sanguinamento delle gengive o del naso, affaticamento, irrequietezza e vomito o feci sanguinolente.

Terapia ospedaliera

La dengue grave può diventare molto seria se non viene trattata adeguatamente in ospedale. È quindi importante rimanere vigili e rivolgersi a un medico quando necessario.

Trattamenti

Non esiste un trattamento specifico per la Dengue, ma è possibile alleviare i sintomi riposando, bevendo molti liquidi e assumendo paracetamolo.

Non assumere ibuprofene o aspirina

È importante, tuttavia, non assumere antidolorifici antinfiammatori, come l’ibuprofene o l’aspirina. Questi possono causare problemi di sanguinamento nelle persone affette da Dengue.

Evitare i viaggi

Se si appartiene a uno di questi gruppi, è consigliabile evitare di viaggiare nei Paesi in cui è presente questa infezione.

Evitare le punture di zanzara

Per le persone che viaggiano in Paesi in cui è presente la Dengue, il modo migliore per prevenire l’infezione è evitare di essere punti dalle zanzare.

Proteggersi con i vestiti

È buona norma indossare indumenti a maniche lunghe e pantaloni per coprire braccia e gambe, soprattutto nelle prime ore del mattino e della sera, quando le zanzare sono più numerose.

Repellente per insetti

Si può anche usare un repellente per insetti sulla pelle, preferibilmente uno che contenga DEET, e si dovrebbe cercare di chiudere le finestre e le persiane quando possibile.

Zanzariera

Infine, è buona norma dormire sotto una zanzariera trattata con insetticida, anche quando si dorme di giorno.

In sintesi

La febbre Dengue può essere fastidiosa e i casi sono in aumento. Anche se è raro ammalarsi di questa infezione, vale la pena di rimanere vigili e di essere consapevoli dei sintomi.

Fonti: (NHS) (CDC)

Febbre Dengue

Informazioni generali

Di origine virale, la dengue è causata da quattro virus molto simili (Den-1, Den-2, Den-3 e Den-4) ed è trasmessa agli esseri umani dalle punture di zanzare che hanno, a loro volta, punto una persona infetta. Non si ha quindi contagio diretto tra esseri umani, anche se l’uomo è il principale ospite del virus. Il virus circola nel sangue della persona infetta per 2-7 giorni, e in questo periodo la zanzara può prelevarlo e trasmetterlo ad altri.

Nell’emisfero occidentale il vettore principale è la zanzara Aedes aegypti, anche se si sono registrati casi trasmessi da Aedes albopictus. La dengue è conosciuta da oltre due secoli, ed è particolarmente presente durante e dopo la stagione delle piogge nelle zone tropicali e subtropicali di Africa, Sudest asiatico e Cina, India, Medioriente, America latina e centrale, Australia e diverse zone del Pacifico. Negli ultimi decenni, la diffusione della dengue è aumentata in molte regioni tropicali. Nei paesi dell’emisfero nord, in particolare in Europa, costituisce un pericolo in un’ottica di salute globale, dato che si manifesta soprattutto come malattia di importazione, il cui incremento è dovuto all’aumentata frequenza di spostamenti di merci e di persone.


Normalmente la malattia dà luogo a febbre nell’arco di 5-6 giorni dalla puntura di zanzara, con temperature anche molto elevate. La febbre è accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, irritazioni della pelle che possono apparire sulla maggior parte del corpo dopo 3-4 giorni dall’insorgenza della febbre. I sintomi tipici sono spesso assenti nei bambini.

Sintomi e diagnosi

La diagnosi è normalmente effettuata in base ai sintomi, ma può essere più accurata con la ricerca del virus o di anticorpi specifici in campioni di sangue.

Prevenzione e trattamento

La misura preventiva più efficace contro la dengue consiste nell’evitare di entrare in contatto con le zanzare vettore del virus. Diventano quindi prioritarie pratiche come l’uso di repellenti, vestiti adeguati e protettivi, zanzariere e tende. Dato che le zanzare sono più attive nelle prime ore del mattino, è particolarmente importante utilizzare le protezioni in questa parte della giornata.

Per ridurre il rischio di epidemie di Dengue, il mezzo più efficace è la lotta sistematica e continuativa alla zanzara che funge da vettore della malattia. Ciò significa eliminare tutti i ristagni d’acqua in prossimità delle zone abitate, ed effettuare vere e proprie campagne di disinfestazione che riducano la popolazione di Aedes.

A febbraio 2023, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato l’utilizzo e la commercializzazione di Qdenga (Takeda), un vaccino tetravalente vivo attenuato per la prevenzione della malattia da Dengue causata da uno qualsiasi dei quattro sierotipi del virus. Il vaccino ha ricevuto anche l’approvazione da parte dell’EMA (European Medicines Agency) a dicembre 2022. Un secondo vaccino il Dengvaxia (Sanofi Pasteur), non commercializzato in Italia, è indicato solo per persone residenti in aree endemiche e che abbiano avuto una precedente infezione da Dengue, confermata attraverso dei test di laboratorio.

Non esiste un trattamento specifico per la dengue, e nella maggior parte dei casi le persone guariscono completamente in due settimane. Le cure di supporto alla guarigione consistono in riposo assoluto, uso di farmaci per abbassare la febbre e somministrazione di liquidi al malato per combattere la disidratazione. In qualche caso, stanchezza e depressione possono permanere anche per alcune settimane.

La malattia può svilupparsi sotto forma di febbre emorragica con emorragie gravi da diverse parti del corpo che possono causare veri e propri collassi e, in casi rari, risultare fatali.

Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Italia https://www.epicentro.iss.it/febbre-dengue/

English translate

Dengue Fever

General informations

Of viral origin, dengue is caused by four very similar viruses (Den-1, Den-2, Den-3 and Den-4) and is transmitted to humans by mosquito bites which, in turn, bite a person infected. There is therefore no direct contagion between humans, even if humans are the main host of the virus. The virus circulates in the blood of the infected person for 2-7 days, and in this period the mosquito can pick it up and transmit it to others.

In the Western Hemisphere the main vector is the Aedes aegypti mosquito, although cases transmitted by Aedes albopictus have been recorded. Dengue has been known for over two centuries, and is particularly present during and after the rainy season in the tropical and subtropical areas of Africa, Southeast Asia and China, India, the Middle East, Latin and Central America, Australia and several areas of the Pacific. In recent decades, the spread of dengue has increased in many tropical regions. In the countries of the northern hemisphere, particularly in Europe, it constitutes a danger from a global health perspective, given that it manifests itself above all as an imported disease, the increase of which is due to the increased frequency of movement of goods and people.

Symptoms and diagnosis

Normally the disease gives rise to fever within 5-6 days of the mosquito bite, with even very high temperatures. Fever is accompanied by sharp headaches, pain around and behind the eyes, severe muscle and joint pain, nausea and vomiting, skin irritations that may appear on most of the body 3-4 days after the onset of fever. Typical symptoms are often absent in children.

Diagnosis is normally made based on symptoms, but can be more accurate by looking for the virus or specific antibodies in blood samples.

Prevention and treatment

The most effective preventive measure against dengue is to avoid coming into contact with the mosquitoes that carry the virus. Practices such as the use of repellents, adequate and protective clothing, mosquito nets and curtains therefore become priorities. Since mosquitoes are most active in the early hours of the morning, it is especially important to use protection during this part of the day.

To reduce the risk of dengue epidemics, the most effective means is the systematic and continuous fight against the mosquito that acts as a vector of the disease. This means eliminating all stagnant water near inhabited areas, and carrying out actual disinfestation campaigns that reduce the Aedes population.

In February 2023, the Italian Medicines Agency (AIFA) authorized the use and marketing of Qdenga (Takeda), a live attenuated tetravalent vaccine for the prevention of Dengue disease caused by any of the four serotypes of the virus. The vaccine also received approval from the EMA (European Medicines Agency) in December 2022. A second vaccine, Dengvaxia (Sanofi Pasteur), not marketed in Italy, is indicated only for people residing in endemic areas and who have had a previous Dengue infection, confirmed through laboratory tests.

There is no specific treatment for dengue, and in most cases people recover completely within two weeks. Treatments to support recovery consist of absolute rest, use of drugs to reduce fever and administration of fluids to the patient to combat dehydration. In some cases, tiredness and depression can persist for a few weeks.

The disease can develop in the form of hemorrhagic fever with severe bleeding from different parts of the body which can cause real collapse and, in rare cases, be fatal.

Source: Istituto Superiore della Sanità (ISS) Italia

https://www.ecdc.europa.eu/en/dengue

Dengue

Dengue fever is a viral disease transmitted by certain types of mosquitoes. It usually starts with flu-like symptoms such as:

  • fever
  • headache
  • muscle and joint pain
  • rash

Symptoms appear in humans 3-14 days after infection.

In some cases, the disease can become severe, leading to conditions like dengue hemorrhagic fever and dengue shock syndrome. When the disease is severe, the risk of mortality is higher. There are four types of viruses that cause dengue, and being immune to one type does not protect against the others

Key facts

Risk for people

Dengue outbreaks are sometimes seen in southern Europe and consequently it is closely monitored in the region..

Around the world, dengue is the most common viral disease transmitted by mosquitoes that affects people. Every year, there are tens of millions of cases are reported, and it causes about 20 000 to 25 000 deaths, with a higher impact on children.

How it spreads

Dengue is a disease caused by a virus that mainly spreads through mosquito bites. Mosquitoes get the virus by biting infected people and can transmit it to others when they bite again. 

Vaccination and treatment

There is no specific treatment for dengue. Early diagnosis is crucial to enable the provision of appropriate supportive care to patients and to apply disease control measures in the area.

The are two vaccines against dengue; both s are primarily designed for use in areas where dengue is very common (i.e. not mainland Europe). 

Protective measures

For individuals, protective measures include:

  • using mosquito repellent
  • the use of mosquito nets 
  • sleeping or in screened or air-conditioned rooms
  • wearing clothing that covers most of the body.

Preventative measures also focus on controlling the mosquitoes that spread the virus.

Some ways to reduce mosquito breeding sites include:

  • Regularly removing or treating open containers with stagnant water, like flower pots, tires, tree holes, and rock pools.
  • Ensuring water containers, barrels, wells, and storage tanks are well covered.

During outbreaks, aerial spraying of insecticides can be used to get rid of adult mosquitoes and mitigate the spread of the disease.

Aedes aegypti (Yellow Fever Mosquito) – Factsheet for experts

https://www.ecdc.europa.eu/en/disease-vectors/facts/mosquito-factsheets/aedes-aegypti

Species name/classificationAedes (Stegomyia) aegypti

Common name: Yellow fever mosquito

Synonyms and other name in useStegomyia aegypti

Aedes aegypti is a known vector of several viruses including yellow fever virus, dengue virus, chikungunya virus, and Zika virus.

Index:

Hazards associated with mosquito species

Geographical distribution

Entomology

Epidemiology and transmission of pathogens

Public health (control/interventions) 

Key areas of uncertainty 

Hazards associated with mosquito species

Current issues 

Invasive species

The invasive success of Ae. aegypti has largely been due to international travel and trade. Historically, Ae. aegypti has moved from continent to continent via ships and was previously established in southern Europe from the late 18th to the mid-20th century. Its disappearance from the Mediterranean, Black Sea and Macaronesian biogeographical region (Canary Islands, Madeira and the Azores) is not well understood [1,2]. It has since recolonised Madeira [3], reappeared in parts of southern Russia and Georgia (Krasnodar Krai and Abkhazia) [4], and reportedly been introduced into the Netherlands [5], Canary Islands [6,7] and Cyprus [8]. VectorNet field studies have shown the species to be widespread across extended areas of Georgia, including the capital city, Tbilisi, and it has also spread into north-eastern Türkiye [9]. Nowadays it is one of the most widespread mosquito species globally. If Ae. aegypti  is introduced into southern Europe, there are no climatic or environmental reasons as to why it could not survive [10,11]. Dispersal via shipping (ferries) from Madeira is still thought to represent the greatest risk for the introduction of this mosquito into Europe. Although its global establishment is currently restricted due to its intolerance to temperate winters [13], over the past 30 years there has been an increase in its distribution worldwide [14].

Ecological plasticity

Ae. aegypti  thrives in densely populated areas without reliable water supplies, waste management and sanitation [15]. It is suggested that Ae. aegypti evolved its domestic behaviour in West Africa, and its widespread colonisation and distribution across the tropics led to highly efficient inter-human transmission of viruses, such as dengue [16]. This domestic behaviour can provide protection from adverse environmental conditions (as it rests indoors) and offer numerous habitats suitable as oviposition sites, but also makes it vulnerable to (indoor) vector control measures [14].

Biting and disease risk 

Aedes aegypti is a known vector of several viruses including yellow fever virus, dengue virus chikungunya virus and Zika virus. In Europe, imported cases infected with these viruses are reported every year [17,18]. Therefore, the potential establishment of this mosquito in Europe raises concerns about autochthonous transmission of these arboviruses [1-3,9,12,19], particularly in southern Europe where climatic conditions are most suitable for the re-establishment of the species. In 2012, a large outbreak of dengue fever, associated with Ae. aegypti, occurred in the Portuguese Autonomous Region of Madeira (on the African tectonic plate) [20]. The epidemic started in October 2012 and by early January 2013 more than 2 200 cases of dengue fever had been reported, with an additional 78 cases reported among European travellers returning from the island [21].

Geographical distribution

Historically Ae. aegypti has been reported as established in:

  • all Mediterranean countries (Europe, Middle East and North Africa)
  • in the Caucasus (southern Russia, Georgia, Azerbaijan)
  • continental Portugal
  • both the Atlantic archipelagos (Canaries and Azores) [2,22].

It is currently distributed throughout the tropics, including Africa (from where it originates) and a number of sub-tropical regions such as:

  • south-eastern United States
  • the Middle East
  • South-East Asia
  • the Pacific and Indian Islands
  • northern Australia [23].

Although historically present in Europe, its current distribution is limited, but extending. The current known distribution of Ae. aegypti in Europe is displayed on the vector maps.

Brief history of spread and European distribution   

Pathways

Aedes aegypti was most probably transported into the Americas and the Mediterranean on ships sailing from Africa [1,16,24]. The northernmost documented occurrences in Europe (Bordeaux and Saint Nazaire, France; Swansea and Southampton, UK) clearly result from introductions via ships, and there is no evidence that the species has become established in these places [2]. In the past, the species has been sporadically reported in Europe, from the Portuguese Atlantic coast to the Black Sea [2], displaying a much larger distribution than at present. The same also applies to North America and Australia [14]. The reduction in distribution is possibly due to elimination programmes.

Initial importations and spread in Europe

Aedes aegypti disappeared from Europe during the first half of the twentieth century (the species was reported in Spain up to 1953 and in Portugal up to 1956). Despite a few subsequent sporadic recordings (northern Italy, 1972; Israel, 1974; Turkey, 1961, 1984, 1992, 1993, 2001), it is only more recently that reports of re-colonisation have come to light [2]. Colonisation on the island of Madeira was reported as having started in 2004, and there are concerns that Aedes aegypti could be transported to western Europe via air or sea traffic [3]. Similarly, there are concerns that the species could be introduced into other countries bordering the Black Sea from Russia and Georgia via sea or road traffic, as this has already been shown to be the case in north-eastern Türkiye [9]. From there, the species could easily spread via road traffic to other parts of Türkiye, including Istanbul, and on to neighbouring EU states. Furthermore, Ae. aegypti has been reported to have been found in the Netherlands at tyre yards, undoubtedly imported via shipments of tyres originating from Florida, USA [5,25]. However, the control measures that were immediately applied have successfully eliminated the species from these foci.  

Possible future expansion 

Unlike Ae. albopictus, the ability of Ae. aegypti to establish itself in more temperate regions is currently restricted, due to its intolerance of temperate winters and, in particular, the high mortality rate of eggs when exposed to frost [13,26]. However, there is no reason why it should not become re-established widely across the Mediterranean. Coastal regions of the Mediterranean, the Black Sea, and the Caspian Sea, and areas along large lowland rivers (Ebro, Garonne, Rhone, and Po) have been identified as suitable habitats for Ae. aegypti [10]. Moreover, this could change in the future, with global climate change resulting in the species’ ability to expand further to the north and south [16]. Back to Top  

Entomology

Species name/classificationAedes (Stegomyia) aegypti (Linnaeus, 1762) [27]
Common name: Yellow fever mosquito
Synonyms and other name in useStegomyia aegypti (sensu Reinert et al., 2004) [28]

Morphological characters and similar species

Adults of Ae. aegypti are relatively small and have a black and white pattern due to the presence of white/silver scale patches against a black background on the legs and other parts of the body. Some indigenous mosquitoes also show such contrasts (more brownish and yellowish) but these are less obvious. However, Ae. Aegypti could be confused with other invasive (Ae. AlbopictusAe. Japonicus) or indigenous species (Ae. Cretinus, restricted to Cyprus, Greece and Türkiye). The prevailing diagnostic character is the presence of silver scales in the shape of a lyre against a black background on the scutum (dorsal part of the thorax). The domestic form (Ae. Aegypti aegypti) is paler than its ancestor (Ae. Aegypti formosus) and has white scales on the first abdominal tergite. The latter is confined to Africa, south of the Sahara, and has been recorded as breeding in natural habitats in areas of forest or bush, away from places of human settlement [29].

Seasonal abundance

On the island of Madeira Ae. aegypti is active throughout the year, with a peak in abundance from August to October [30].

Voltinism (generations per season)

Multivoltine

Host preferences (e.g. birds, mammals, humans)

Aedes aegypti feeds on mammalian hosts [31], preferably humans, even in the presence of alternative hosts [32]. It also feeds multiple times during one gonotrophic cycle (feeding, egg-producing cycle) [14,16,33] which has implications for disease transmission.

Aquatic/terrestrial habitats

Historically, Ae. aegypti was found in forested areas, using tree holes as habitats [16]. As an adaptation to urban domestic habitats, nowadays it exploits a wide range of artificial containers such as vases, water tanks and tyres [14]. It also uses underground aquatic habitats, such as septic tanks [34], and can adapt to use both indoor and outdoor aquatic container habitats in the same area. Adaptation to breeding outdoors may result in increased population numbers and difficulty in implementing control methods [32]. A study in Brazil found high numbers of eggs in oviposition sites close to human populations [35]. Eggs which are laid on or near the water surface [14] are normally resistant to desiccation [36].

Biting/resting habits

The domestic form of Ae. aegypti is often found as close as 100 metres to human habitations [1] although some studies have shown that breeding habitats can also be found away from human dwellings [32]. Aedes aegypti prefer human habitations as they provide resting and host-seeking possibilities [16] and, as a result, they will readily enter buildings [1,14]. The activity of the species is both diurnal and crepuscular [14,31].

Environmental thresholds/constraints/development criteria

Aedes aegypti, unlike Ae. albopictus, is not able to undergo winter diapause as eggs, and this therefore limits its ability to exploit more northerly temperate regions (although some survival is possible during the summer following an importation). However, it may establish itself in regions of Europe with a humid sub-tropical climate (e.g. parts of the Mediterranean and countries around the Black Sea), such as the Sochi region where it has become re-established since 2001 [37]. Species competition has also been shown to affect distribution and abundance. A decrease in the distribution of Ae. aegypti has been associated with the invasion of Ae. albopictus, especially in south-eastern USA [14].

Aedes aegypti also has limited dispersal capability in its adult form [14], with a flight range estimated to be only 200 metres [31]. Rainfall may affect abundance and productivity of breeding sites but this species’ preference for artificial water containers means it does not have to rely on rainfall for the availability of larval development sites [14]. These aspects, coupled with its preference for feeding and resting indoors, make the species less susceptible to the effects of climatic factors, which could influence its distribution.

Epidemiology and transmission of pathogens

Known vector status

Aedes aegypti is known to transmit dengue virus, yellow fever virus, chikungunya virus, and Zika virus. It has been suggested as a potential vector of Venezuelan Equine Encephalitis virus [38] and vector competency* studies have shown that Ae. aegypti is capable of transmitting West Nile virus. West Nile virus has also been isolated from this mosquito species in the field [31].

Chikungunya

Aedes aegypti is the primary vector of chikungunya virus [39]. Transovarial transmission was demonstrated by Aitken et al. [40] under laboratory conditions and the virus has been detected in wild-caught male Ae. aegypti [41]. Transovarial transmission may help with the maintenance of the virus in nature [42]. Venereal transmission during mating has also been demonstrated under laboratory conditions, although it is thought to be less widespread than transovarial transmission [42].

Aedes aegypti has been involved in virtually all chikungunya epidemics in Africa, India and other countries in South-East Asia [42][43]. The species caused an outbreak of chikungunya in Kenya (2004) and the Comoros islands (2005), affecting 63% of the population in the latter case [44]. An entomological investigation following an outbreak of chikungunya virus in Yemen (2010/2011) revealed the presence of the virus in field-collected Ae. aegypti in the outbreak area [45]. More recently, Ae. aegypti was involved in large chikungunya outbreaks in the Pacific and the Caribbean [19,46,47]. As a consequence, Europe’s vulnerability to the virus has increased [17,19].

More information on the disease can be found on the fact sheet about chikungunya.

Dengue

Aedes aegypti is the primary vector of dengue [48]. All four dengue serotypes have been isolated from field-collected Ae. aegypti [49]. Vertical transmission of dengue virus types 2, 3 and 4 has been demonstrated [29] and although some suggest this is inefficient [49], others suggest that it plays a significant role in viral maintenance [50].

Aedes aegypti has long been recognised as a vector of dengue, causing major dengue fever epidemics in the Americas and South-East Asia. The global incidence of dengue has also increased over the past 25 years [14,51]. Historically, outbreaks have also been reported in Europe, with one of the largest outbreaks on record occurring in Athens and neighbouring areas of Greece during the period 1927–1928 [52] [2]. In 2012, a large outbreak of dengue fever occurred in the Portuguese Autonomous Region of Madeira [20] where Ae. aegypti is established.

More information on the disease can be found on the fact sheet about dengue.

Yellow fever

Yellow fever is maintained in a sylvatic cycle between monkeys and mosquitoes of Aedes or Haemagogus genera [29,53]. Aedes aegypti is the vector involved in urban transmission of yellow fever where only humans are the amplifying host. Aedes aegypti has been shown to transmit yellow fever virus transovarially to F1 progeny under laboratory conditions [40] and field collection studies have also confirmed this in nature [29].

Yellow fever transmission has been reported from countries across sub-Saharan Africa and in tropical areas across South and Central America, from Panama to the northern part of Argentina [54]. Autochthonous transmission of yellow fever has never been detected in Asia, although the Ae. aegypti vector is present in south and south-eastern areas of the continent [55].

More information on the disease can be found on the fact sheet about yellow fever.

Zika virus

Zika virus is maintained in a sylvatic cycle involving non-human primates and a wide variety of sylvatic and peri-domestic Aedes mosquitoes. Aedes aegypti is considered the most important vector for Zika virus transmission to humans. Aedes aegypti mosquitoes were found infected in the wild (reviewed in [56]). More recently, the species was found infected during the Zika virus outbreak in Brazil [57]. The mosquito has been shown to transmit the virus under laboratory conditions but differences in vector competence* between studies were reported [58-60].

More information on the disease can be found on the fact sheet Zika virus infection

Factors driving/impacting on transmission cycles

The spread of Ae. aegypti-borne diseases has been aided by the global spread of Ae. aegypti over the past 25 years [14]. Although currently limited in spread due to its intolerance to temperate winters, climate change could result in an increased distribution of Ae. aegypti.

As the human population grows, sites in which this mosquito can thrive will increase, providing further habitats. This fact, coupled with the close proximity of humans and the tendency of Ae. aegypti to feed on multiple hosts during one gonotrophic cycle [16][14][33], increases the risk of disease transmission in such areas. The movement of viraemic hosts can result in outbreaks from a number of arboviruses in non-endemic areas.

The re-establishment of Ae. aegypti in some areas has resulted in disease transmission. Inadequate control of this invasive species could lead to its re-establishment in Europe which is why surveillance and research on this mosquito is so important.

Public health (control/interventions) 

Vector surveillance

Methods for surveying Ae. aegypti are addressed in ECDC’s ‘Guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes in Europe’ [61].

ECDC and the European Food Safety Authority (EFSA) fund European-wide monitoring and mapping activities for invasive mosquito species and potential mosquito vectors (VectorNet).

Species specific control methods

Source reduction and adult control

Aedes aegypti thrives in urban environments which provide it with numerous oviposition sites to lay eggs. Therefore, the distribution of this species is largely driven by human activities (e.g. storage of water outside) and this should be the focus of control methods [14]. This is challenging because of the numerous sites in which Ae. aegypti lay eggs and in an urban setting, such sites are hard to access. For example, a study in Mexico used a combination of quadrat and transect sampling methods to identify the most important containers for pupal development in 600 houses. They found an association between Ae. aegypti pupae and large cement washbasins. Source reduction and targeted treatment of such sites could ensure that the use of insecticides is more successful in reducing mosquito numbers [62].

Historically, outbreaks of dengue and yellow fever have been controlled by Ae. aegypti eradication programmes but these have not always been successful and abandoning efforts led to the re-emergence of the diseases associated with this mosquito [63]. In the twentieth century, many eradication programmes were targeted at larval development sites in an attempt to eliminate yellow fever transmission. The use of DDT after the Second World War resulted in the eradication of the species from 22 countries in the Americas [1]. This effort was discontinued and Ae. aegypti quickly re-colonised nearly all of the neo-tropics and sub-tropics [16]. Since Ae. aegypti has become less accessible, due to the fact that the species spends more time indoors, outdoor insecticidal spraying has become less efficient [1]. Eradication programmes set up during the 1950–60s (initiated by the Pan American Health Organization) in the Americas saw the reduction and eradication of Ae. aegypti there, but relaxation of mosquito management after the 1970s resulted in the re-establishment of Ae. aegypti, followed by dengue outbreaks [14].

Some other methods used include the introduction of predators into the larval habitats of Ae. aegypti (e.g. copepods), the introduction of irradiated or genetically-modified mosquitoes (sterile male release) and the use of Wolbachia bacteria which can inhibit the replication of dengue virus within Ae. aegypti, thereby suppressing or eliminating dengue transmission [14]. Protective clothing and repellents are also advocated to reduce exposure to Ae. aegypti, as well as the spraying of indoor living spaces with pyrethrin [53]. Personal protective measures to reduce the risk of mosquito bites also include using mosquito bed nets (preferably insecticide-treated nets), and sleeping or resting in screened or air-conditioned rooms.

Integrated control programme

Implementation of an integrated control strategy against invasive mosquito species should take into account the target species, its ecology and the public health concern (i.e. nuisance and/or disease transmission). As a general rule, an integrated control strategy requires the coordinated involvement of local authorities, private partners, organised society and communities [64].

Traditional methods such as source reduction, public education and insecticide application are routinely implemented by municipalities to reduce Aedes populations, but with limited success, probably because of poor participation of communities, and a lack of coordination and synchronised implementation [64]. Innovative approaches, such as pyriproxyfen autodissemination and genetic or Wolbachia-based methods, still have to be developed to demonstrate their efficacy and sustainability, but could be considered in future integrated programmes.

It is suggested that mosquito control programmes should be more effective against Ae. aegypti (as opposed to Ae. albopictus) due to its strong urban presence and preference for feeding on humans [13]. Using a combination of control methods as opposed to one strategy is suggested to be most effective, and will reduce the chance of introducing selective pressures – e.g. on oviposition site selection [65]. However, following the discovery of Ae. aegypti in Madeira, using a combined control strategy of spraying insecticides, reducing potential breeding sites and increasing public health awareness did not prevent the species from re-establishing itself there [3].

Existing public health awareness and education materials

ECDC provides regularly-updated vector distribution maps and guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes [61].

The US Centers for Disease Prevention and Control (US CDC) provide advice for travellers on protection against mosquitoes, ticks and other arthropods: http://wwwnc.cdc.gov/travel/yellowbook/2010/chapter-2/protection-against-mosquitoes-ticks-insects-arthropods.aspx(link is external).

The National Travel Health Network and Centre provides information on how to avoid insect bites (including mosquito bites): http://www.nathnac.org/pro/factsheets/iba.htm(link is external).

At its 63rd session in September 2013 The Regional Committee for Europe endorsed a ‘Regional framework for surveillance and control of invasive mosquito vectors and re-emerging vector-borne diseases 2014–2020’ [report(link is external)] [resolution(link is external)].

Key areas of uncertainty 

It is clear that if Ae. aegypti re-establishes itself in the European regions it previously inhabited and spreads, it will have a significant impact on public health. The spread of Ae. aegypti needs to be monitored as this species is the primary vector of dengue, chikungunya, yellow fever and Zika viruses.

Footnote

*Vector competence is the physiological ability of a mosquito to become infected with and transmit a pathogen, and is typically assessed in laboratory studies. In nature, transmission of a pathogen by vectors is dependent not only on vector competence but also on factors describing the intensity of interaction between the vector, the pathogen and the host in the local environment. Therefore, vector and host densities, geographic distribution, longevity, dispersal and feeding preferences have to be considered to determine the vectorial capacity of a vector population and its role in transmission

Read more

Reverse identification key for mosquito species

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Source: European Centre Disease Control (ECDC)

Aedes albopictus (Tiger Mosquito) – Factsheet for experts

https://www.ecdc.europa.eu/en/disease-vectors/facts/mosquito-factsheets/aedes-albopictus
  • SPECIES NAME/CLASSIFICATION: Aedes (Stegomyia) albopictus (Skuse) [66]
  • COMMON NAME: Asian tiger mosquito, Forest day mosquito
  • SYNONYMS AND OTHER NAME IN USE: Stegomyia albopicta (sensu Reinert et al. [67]) 

This mosquito species is a known vector of chikungunya virus, dengue virus and dirofilariasis.

Hazard associated with mosquito species

Current issues

Invasive species/global dispersion

Aedes albopictus has undergone a dramatic global expansion facilitated by human activities, in particular the movement of used tyres and ‘lucky bamboo’ [1]. Together with passive transit via public and private transport, this has resulted in a widespread global distribution of Ae. albopictus. It is now listed as one of the top 100 invasive species by the Invasive Species Specialist Group [2].

Ecological plasticity

The success of the invasion of Ae. albopictus is due to a number of factors including: its ecological plasticity, strong competitive aptitude, globalization i.e. increase of trade and travel, lack of surveillance, and lack of efficient control [1]. Climate change predictions suggest Ae. albopictus will continue to be a successful invasive species that will spread beyond its current geographical boundaries [3-5]. This mosquito is already showing signs of adaptation to colder climates [1,6] which may result in disease transmission in new areas.

Biting and disease risk

Aedes albopictus feeds on a wide range of hosts. It is also known to be a significant biting nuisance, with the potential to become a serious health threat as a bridge vector of zoonotic pathogens to humans [7]. This mosquito species is a known vector of chikungunya virus, dengue virus and dirofilariasis. A number of other viruses affecting human health have also been isolated from field-collected Ae. albopictus in different countries. Moreover, its recent involvement in the localised transmission of chikungunya virus in Italy [8] and France [9,10] and dengue virus in France [11-13] and Croatia [14] highlights the importance of monitoring this invasive species.

Geographical distribution

Aedes albopictus has been reported in the following areas: [1,3,6,7,15-42].

  • Europe: Albania, Austria (not established to date), Belgium (not established to date), Bosnia & Herzegovina, Bulgaria, Croatia, Czech Republic (not established to date), France (including Corsica), Georgia, Germany, Greece, Hungary, Italy (including Sardinia, Sicily, Lampedusa, and other islands), Malta, Monaco, Montenegro, the Netherlands (not established to date), Romania, Russia, San Marino, Serbia (not established to date), Slovakia (not established to date), Slovenia, Spain, Switzerland, Turkey and Vatican City
  • Middle East: Israel, Lebanon, Saudi Arabia (to be confirmed), Syria, Yemen (to be confirmed)
  • Asia & Australasia: Australia (established only in the Torres Strait, the region that separates mainland Australia from Papua New Guinea), Japan, New Zealand (not established), numerous Pacific Ocean and Indian Ocean islands, southern Asia
  • North, Central America & Caribbean: Barbados (not established), Belize, Cayman Islands, Costa Rica, Cuba, Dominican Republic, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Mexico, Nicaragua, Panama, Trinidad (not established), USA
  • South America: Argentina, Bolivia (not confirmed), Brazil, Colombia, Paraguay, Uruguay, Venezuela
  • Africa: Algeria, Cameroon, Central African Republic, Equatorial Guinea, Gabon, Madagascar, Nigeria, Republic of Congo, South Africa (not established)

The current known distribution of Ae. albopictus in Europe in displayed on the vector maps

Brief history of spread and European distribution

Pathways

Having originated in tropical forests of South-East Asia, Ae. albopictus has spread globally. This geographical spread has mostly occurred during the past three decades [1] via passive transport of eggs in used tyres or lucky bamboo, the latter being the route of importation into Belgium, the Netherlands and California [16,43,44]. Public or private transport from heavily-infested areas has also resulted in the passive transportation of Ae. albopictus into new areas. Passive transport from heavily infested areas via ground vehicles is believed to be the route of introduction of Ae. albopictus into southern France, Germany, the Balkans, the Czech Republic, Spain and Switzerland [19,23,30,45].

Timeline of initial movements

Aedes albopictus was first reported in Europe in 1979 in Albania [46]. In 1985 it was reported in Texas, USA and has since spread northward and eastward, having now been reported in at least 32 US states including Hawaii [38]. This expansion was facilitated by the movement of used tyres along the interstate highways [18]. In Latin America it was first reported in Brazil in 1986 and later in Mexico in 1988 [19]. In Africa, it was first detected in 1990 in South Africa but establishment was only reported in 2000 from Cameroon [47,48].

Initial importation and spread in Europe

The first record of importation to Europe was in Albania in 1979 but it was suspected to be present from 1976. Although Ae. albopictus became established in Albania, there were no reports in any other European country until 1990, when it was found in Italy [49]. Since its importation into Italy through Genoa [23], Ae. albopictus has now become established in most areas of the country <600m above sea level and is abundant in many urban areas [3,50]. During the first 10 years of colonisation in the country, Ae. albopictus spread throughout 22 provinces, mainly in the north east of the country [51]. Italy is now the most heavily-infested country in Europe, with the highest incidence in the Veneto and Friuli-Venezia-Giulia regions, large parts of Lombardia and Emilia-Romagna and coastal areas of central Italy [3]. The mosquito was then reported in France in 1999 and Belgium in 2000. These initial importations were subsequently eradicated or died out, but spread has occurred to a number of countries in Europe since 2000, including southern France.

Having become established in Albania, Italy and on the Cote d’Azur in France, Ae. albopictus is also known to be spreading in Greece, Spain and the Balkan countries [23]. Aedes albopictus has also been reported in Ticino in Switzerland since 2003, suggesting sporadic introductions from Italy [52]. In 2004, it was reported near Barcelona in Spain, with some spread along the Mediterranean coast [19]. Furthermore, it has been repeatedly found in the Netherlands (2005, 2006 and 2007) at the premises of companies importing bamboo [43,53] and in Malta [26]. The Dutch populations, imported with lucky bamboo, have not established outside greenhouses, suggesting that they are tropical strains. Besides, populations are also imported from USA via used tyre trade, and control measures have so far avoided their establishment [54]. Aedes albopictus has been trapped on a number of occasions along motorways in southern Germany, suggesting introduction by vehicles from southern Europe [32,45,55]. In 2014, all developmental stages were found over extended periods of time in southern Germany indicating local reproduction [56].

Further specimens were collected at parking lots along motorways and at some other places in Austria [31], Czech Republic [30], and Slovakia [33], but subsequent surveys remained negative [38]. Finally, populations have been found established in Slovenia in 2007 [57,58], in Bulgaria in 2011 [59], Russia in 2011 [60,61], Turkey in 2011 [35] and Romania in 2012 [40]. 

Possible future expansion 

The ability for imported populations to establish is currently dependent on the origin of the mosquito and its strain and it is not always clear whether introductions into Europe will result in established populations. In this context, it is suggested that Portugal, the eastern Adriatic Coast, eastern Turkey and the Caspian Sea coast of Russia are the most likely places for Ae. albopictus to establish itself in Europe [7]. Risk mapping projections suggest that further expansion of this species will occur in the Mediterranean basin towards the east and the west, as well as in the coastal areas of Greece, Turkey and the Balkan countries. Incorporation of climate change projections suggests that over time most of Europe will become more suitable for Ae. albopictus establishment [3,62,63]. Especially Western Europe (Belgium, France, Luxembourg and the Netherlands) will provide favourable climatic conditions within the next decades. Climatic conditions will continue to be suitable in southern France as well as in most parts of Italy and Mediterranean coastal regions in south-eastern Europe [63]. It is predicted that future climate trends will increase the risk of establishment in northern Europe, e.g. parts of Germany and the southernmost parts of the UK, due to wetter and warmer conditions, and slightly decrease the risk across southern Europe because of hotter and drier summers [3,62,63]. Land use changes, particularly urbanisation, may continue to increase the competitive advantage of Ae. albopictus over resident mosquitoes through its exploitation of artificial container habitats; further aiding establishment in new areas [64]. Winter temperatures and mean annual temperatures appear to be the most significant limiting factors of Ae. albopictus expansion in Europe [65].

Entomology

  • SPECIES NAME/CLASSIFICATION: Aedes (Stegomyia) albopictus (Skuse) [66]
  • COMMON NAME: Asian tiger mosquito, Forest day mosquito
  • SYNONYMS AND OTHER NAME IN USE: Stegomyia albopicta (sensu Reinert et al. [67]) 

Morphological characters and similar species

Aedes albopictus adults are relatively small and show a black and white pattern due to the presence of white/silver scale patches against a black background on the legs and other parts of the body. Some indigenous mosquitoes also show such contrasts but these are less obvious (more brownish and yellowish). Aedes albopictus can, however, be confused with other invasive (Ae. aegypti, Ae. japonicus) or indigenous species (Ae. cretinus, restricted to Cyprus, Greece and Turkey), and the diagnostic character is the presence of a median silver-scale line against a black background on the scutum (dorsal part of the thorax). The differentiation with Ae. cretinus needs a detailed check of scale patches on the thorax.

Life history

Diapausing tendencies

Tropical and subtropical populations are active throughout the year with no diapausing phase [26]. Temperate populations are affected by seasonal temperature and photoperiodicity and, in response to these factors, can overwinter by producing eggs that undergo a winter diapause [68]. Eggs, laid during late summer or early autumn when daylight hours are reducing, enter facultative diapause, and hatching suppression occurs which is usually sufficient to outlast winter [68]. The species’ ability to induce photoperiodic egg diapause allows it to overwinter in temperate regions, which assists its establishment in more northern latitudes in Asia, North America and Europe. Diapausing eggs of European Ae. albopictus have been shown to be able to survive a cold spell of -10oC, whereas eggs of tropical Ae. albopictus could only survive -2oC. In addition, the hatching success and cold tolerance of European Ae. albopictus eggs were increased in diapausing eggs when compared to non-diapausing eggs [69]. Aedes albopictus populations in Italy are showing signs of cold-acclimation as adults and are thus remaining active throughout winter [70]. Some populations in North America are likely to be exposed to mean temperatures of -5˚C and will overwinter if females have deposited eggs in containers that are not exposed to these temperatures for prolonged periods ‒ e.g. artificial containers in peridomestic areas [64].

General life history

The drought-resistant eggs are laid above the water line. Larval/pupal development takes three to eight weeks and is continuous throughout the year in European southernmost regions (Malta [26]). Adult females can survive over three weeks [70]. They have been reported to overwinter in Rome [70] and even to lay eggs during winter time in Spain [71].

Seasonal abundance

Seasonal abundance is dependent on temperature and the availability of food and water in a particular geographical area. Higher temperatures speed up larval development, increasing the number of adult populations, the autumnal development of immatures and consequently the rates of egg overwintering [68]. A study in northern Italy showed an increased abundance of adult females during the period May-September, peaking in late July [72]. In Greece, Ae. albopictus is continuously active for over eight months of the year with the greatest abundance during summer and autumn, peaking in October. Oviposition takes place from mid-April to December, with the numbers of eggs highest from mid-July to the end of the autumn, and significantly increased during mild and rainy weather [73].

Voltinism (generations per season)

Multivoltine, 5-17 generations per year [26].

Host preferences

Aedes albopictus is an opportunistic feeder [74]. Blood hosts include humans, domestic and wild animals, reptiles, birds and amphibians [18]. Yet, laboratory studies and blood meal analysis have shown a preference for human blood meals [1]. A study in Italy found a preference for mammals as opposed to birds and found human blood meals were more frequent in urban areas than rural sites, suggesting that host availability and abundance has a direct impact on the feeding activities of Ae. albopictus [50].

Aquatic and terrestrial habitats

Aedes albopictus has the ability to breed in natural and artificial habitats, some of which include tyres, barrels, rainwater gulley catch basins and drinking troughs [26]. Natural habitats consist in phytotelms (water bodies held by terrestrial plants e.g. tree holes) and rock pools [75]. They are not known to breed in brackish or salt water [24]. In general, albeit in Europe, they have a preference for urban and suburban habitats [76]. Aedes albopictus is said to be superior in competing for food resources with Ae. triseriatus and Ae. japonicus [64].

Biting and resting habits

Aedes albopictus is currently considered a serious biting nuisance for humans in Italy [23,77], southern France [78] and Spain where it is significantly reducing the quality of life in infested areas [19]. Adult females bite aggressively, usually during the day and preferably outdoors. However, there are reports that Ae. albopictus is becoming partially endophilic [77], and is found to be biting indoors [79]. During a study in Rome, blood-fed females were mainly found indoors, indicating that local mosquito populations could spend time resting indoors after a blood meal [50]. Another study on Penang Island in Malaysia reported observations of Ae. albopictus females developing indoors within containers. Such containers included flower vases, empty paint cans and sinks. Most stages of larval populations were present over a five-month period, suggesting that this species may have adapted to indoor environments [80]. A laboratory study found that Ae. albopictus could survive for long periods indoors by obtaining sugars from lucky bamboo and other ornamental plants [81]. The mosquitoes’ survival time was long enough to complete a gonotrophic cycle, and to allow development of transmissible arboviruses within the vector [81].

Environmental thresholds/constraints/development criteria

Establishment thresholds

The extent to which Ae. albopictus has established itself in new geographic locations is thought to correspond to various climatic thresholds: a mean winter temperature of >0oC to permit egg overwintering, a mean annual temperature of >11oC required for adult survival and activity, and at least 500mm of annual rainfall; a pre-requisite for the maintenance of aquatic habitats. However, rainfall needs to be sufficient during summer months to maintain such sites [68,82]. Conversely, periods of high precipitation reduce short-term abundance of host-seeking females [72]. A summer temperature of 25‒30oC is required for optimum development [83]. However, there are reports of populations establishing in areas with lower mean temperatures (5‒28.5°C) and lower rainfall (290mm annually) than previously suspected [7,84].

Diapausing and reactivation cues

The length of the reproductive season is regulated by the increasing temperatures in spring and the onset of egg diapause in autumn. The critical photoperiodic threshold varies between geographical locations. In general, the production of diapausing eggs occurs below 13‒14 hours of daylight, however in some locations this threshold occurs at 11‒12 hours [68].

Hatching of diapausing eggs in spring is related to changes in photoperiod (i.e. length of day), food availability, temperature, and water availability. Furthermore, this mosquito may not survive through winter if environmental temperatures and humidity are not maintained above set thresholds, or if the diapause period exceeds six months [68].

There is generally little adult activity below 9oC, but adults do seek warmer microclimates indoors [72]. In parts of Italy, adult activity continues throughout winter [70].

Dispersal range

Flight range (and hence dispersal on the wing) is limited to ~200m [74]. The main dispersal route for this mosquito is via transport and movement of container habitat goods.

Epidemiology and transmission of pathogens

Known vector status

During the 2006-2007 chikungunya outbreak in Italy, the status of Ae. albopictus as vector of the chikungunya virus was clearly demonstrated [1]. This mosquito is also known to be able to transmit dengue virus [85,86] and dirofilarial worms [19,87]. All four dengue virus serotypes have been isolated from Ae. albopictus [88]. Infection studies of l Ae. albopictus suggest a possible contribution to Zika virus outbreaks [89,90].

Aedes albopictus is considered to be a competent* vector experimentally of at least 22 other arboviruses including yellow fever virus, Rift Valley fever virus, Japanese encephalitis virus, West Nile virus and Sindbis virus, all of which are relevant to Europe. Potosi virus, Cache Valley virus, La Crosse virus, Eastern equine encephalitis virus, Mayaro virus, Ross River virus, Western equine encephalitis virus, Venezuelan equine encephalitis virus, Oropouche virus, Jamestown Canyon virus, San Angelo virus and Trivittatus virus are other arboviruses that Ae. albopictus can transmit experimentally [38,91].

A number of these viruses have also been isolated from field-collected Ae. albopictus in different countries and laboratory transmission of such viruses by Ae. albopictus has been demonstrated [1]. These include Eastern equine encephalitis virus [92,93], La Crosse virus [94,95], Venezuelan equine encephalitis virus [96,97], West Nile virus [72,98,99] and Japanese encephalitis virus [1]. Usutu virus has been isolated from Ae. albopictus in Italy, but it is unknown whether the mosquito can transmit this pathogen [100]. Field isolation and experimental infection studies alone do not prove that this mosquito species is involved in the transmission of such viruses, but the mosquito’s biting habits, increasing global distribution and recent involvement in a chikungunya virus outbreak highlight the significance of Ae. albopictus to public health.

A high prevalence of the insect-infective Aedes flavivirus has been detected in Ae. albopictus in Italy and it has been suggested that its presence in these mosquitoes could influence the transmission dynamics of other human-pathogenic flaviviruses, such as West Nile virus and Usutu virus [101].

Not only does Ae. albopictus represent a disease risk but it can also cause a considerable amount of nuisance biting in areas where it is well-established, reducing the quality of life of individuals affected [102]. Prevalence of Ae. albopictus has also been linked to a reduction in children’s outdoor physical activity time, a factor contributing to childhood obesity [103].

Chikungunya

Aedes albopictus mosquitoes are able to transmit chikungunya virus within two days of ingesting a viraemic blood meal [104]. Some experts suggest that transovarial transmission is enough to maintain viral cycles but others disagree [23]. No evidence of transovarial transmission was found during an entomological investigation into the 2007 chikungunya outbreak in Italy [105] but the virus was detected in field-caught male Ae. albopictus following an outbreak in Thailand [106].

Chikungunya was first reported in Europe in 2007 following epidemics in the Indian Ocean (2005‒2007), which caused millions of cases and significant morbidity and burden on health resources. This was the first known local transmission of chikungunya in Europe and occurred in Emilia-Romagna province in Italy. An infected traveller returned home from India, spreading the disease to localised populations of Ae. albopictus mosquitoes. Following entomological investigations during the outbreak females of Ae. albopictus were found to be PCR positive and the virus was successfully isolated [105]. The adaptation of the virus to this new vector host (in addition to its principle vector Ae. aegypti) has resulted in improved virus replication and transmission efficiency of the virus by Ae. albopictus [5,107] [104]. Autochthonous chikungunya fever cases occurred in south eastern France in 2010 and 2014 [9,10]. Tilston et al considers that, based on temperature, the southern European countries are most at risk of chikungunya virus transmission [108].

Dengue

Although generally considered a secondary vector of dengue to Ae. aegyptiAe. albopictus has been associated with dengue virus transmission and this has been acknowledged since the mid-nineteenth century [1]. It was implicated as the vector responsible for outbreaks in Hawaii [85] Reunion Island and Mauritius [86,109] . It has also been associated with dengue virus transmission in China, Japan and Seychelles [88]. Dengue virus is transmitted transovarially so emergence of adults from imported infected eggs could lead to further spread of the disease [24]. Dengue virus can also be transmitted venereally in mosquitoes [88].

Autochthonous cases of dengue were reported in France during September 2010 [11] followed by others in Croatia at around the same time [14]. Further cases, linked to Ae. albopictus, were reported from France in 2013, 2014 and 2015 [12,13,110]. Although modelling predicts that most of Europe is currently unsuitable for dengue transmission, areas combining high human population density with suitable day- and night-time land surface temperatures are still at greater risk [4,111]. However, competent mosquito vectors must be present for transmission to occur. Climatically, areas predicted to be at risk from dengue include northern Italy, parts of Austria, Slovenia and Croatia, and west of the Alps in France [111]. The risk of transmission to humans is considered to be higher where there is a presence of Ae. aegypti than in areas with Ae. albopictus. This point is exemplified by the outbreak of dengue on Madeira associated with Ae. aegypti [112].

Zika

Aedes albopictus is considered a potential vector of Zika virus. Vector competence studies of local Ae. albopictus in Singapore with the African lineage of Zika virus showed the potential of this mosquito to transmit Zika virus [89]. Recent studies using different Ae. albopictus populations from the Americas and Europe revealed that this mosquito is susceptible to Zika virus infection, that the virus is disseminated and can reach the salivary glands but not very efficiently; Ae. albopictus has a lower vector competence compared to Aedes aegypti  [113] [114] [115]. The species has been found infected in wild caught mosquitoes [90].

Dirofilariasis

Aedes albopictus has a role in the transmission of Dirofilaria in Asia, North America and Europe [1]. Dirofilaria (filarial nematodes D. immitis and D. repens) is a parasite transmitted primarily between dogs (or other canids which act as reservoir hosts) and mosquitoes, but which can also affect humans. Recent evidence has shown transmission of the parasite by Italian Ae. albopictus populations [116-118], coupled with an increase in prevalence of human dirofilariasis in Italy [87].

Human infections are increasing in Europe and although it is unusual for the parasite to develop into the adult stage in humans, at least three cases of microfilaraemic zoonotic infections have been reported in Europe [77,119].

Factors driving/impacting on transmission cycles

A growth in dengue cases worldwide, increasing global travel and established populations of Ae. albopictus may have been the cause of the dengue outbreak in Mauritius in June 2009 [86]. The movement of viraemic hosts can result in outbreaks of chikungunya virus in non-endemic areas. Climate change could increase the distribution of Ae. albopictus beyond its current boundaries which could enhance the transmission potential of chikungunya virus and dengue virus in temperate regions [5,77,120]. Aedes albopictus mosquitoes tend to feed on multiple hosts which also increases the risk of zoonotic disease transmission [1]. The return of viraemic travellers from disease-epidemic areas to temperate regions has resulted in (and will potentially continue to result in) local mosquito populations sustaining disease transmission [83]. Therefore, the presence of Ae. albopictus in Europe and the increasing number of overseas travellers may increase the risk of dengue and chikungunya outbreaks in Europe [121].

Public health (control/interventions)

Vector surveillance

Methods for surveying Ae. albopictus are addressed in the ‘ECDC Guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes in Europe [122].

ECDC and EFSA fund European-wide monitoring and mapping activities for invasive mosquito species and potential mosquito vectors (VectorNet).

Species specific control methods

Source reduction and adult control

Control of Ae. albopictus is based on the reduction of larval development sites. Mosquito fogging and larviciding (insecticides targeting the mosquito larvae) were techniques used during an outbreak of dengue in Mauritius in June 2009 [86]. In 2006, use of insecticides in greenhouses that had been recently colonised by Ae. albopictus in the Netherlands may have contributed to the decline in numbers caught the following year [43]. Permethrin, Bacillus thuringiensis israeliensis ser. H14 and diflubenzuron (an insect growth regulator) were used to treat stagnant water after the detection of Ae. albopictus in Switzerland in 2003 [52]. Although resistance to insecticides is not currently a problem, it has been detected in a population in Thailand [123] and more recently in populations in La Reunion [124] and Malaysia [123,125]. In Pakistan, field-collected Ae. albopictus displayed moderate-high resistance to many agricultural insecticides, including pyrethroids [126].

Control of this species in newly-established areas has been difficult (e.g. USA, France and Italy) [1]. Although prevention of invasion was achieved after its first introduction into France in 1999, subsequent introductions (most likely by vehicles from Italy) have resulted in Ae. albopictus becoming a pest problem in southern France and Corsica. A study in Catalonia, Spain demonstrated the use of multiple intervention strategies (source reduction, larvicide and adulticide treatments and the cleaning of uncontrolled landfills) as successful in curbing an established population of Ae. albopictus (produced a marked reduction in egg numbers). The authors concluded that citizen cooperation was an essential component for successfully implementing these interventions [102].

Implementation of an integrated control strategy against invasive mosquito species should take into account the target species, its ecology and the public health concern, i.e. nuisance or disease transmission. As a general rule, an integrated Invasive Mosquito Species control strategy requires the coordinated involvement of local authorities, private partners, organised society and communities [127].

Decreasing human-vector contact and the use of public health material have been widely used in endemic areas in Europe, such as Italy. The use of irradiated or genetically modified mosquitoes which are still under development are methods that may be used in the future to complement conventional methods. Additional control methods which may be applied in the future include Wolbachia infection to block transmission of dengue virus and chikungunya virus, and the introduction of natural predators [34]. Personal protective measures to reduce the risk of mosquito bites include the use of mosquito bed nets (preferably insecticide-treated nets), sleeping or resting in screened or air-conditioned rooms, the wearing of clothes that cover most of the body, and the use of mosquito repellent in accordance with the instructions indicated on the product label.

Existing public health awareness and education materials

  • ECDC also provides information on dengue, chikungunya, yellow fever and Zika virus.
  • The ECDC provides updated vector distribution maps and step-by-step web guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes.
  • The CDC provides advice for travellers on protection against mosquitoes, ticks and other arthropods.
  • The National travel health network and centre provides information on how to avoid insect bites (including mosquito bites).
  • The Regional Committee for Europe has endorsed at his 63rd session, September 2013, a ‘Regional framework for surveillance and control of invasive mosquito vectors and re-emerging vector-borne diseases 2014–2020’ [report(link is external)] [resolution(link is external)

Key areas of uncertainty 

Although it is not clear how significant Ae. albopictus will be in disease transmission across Europe, the ability of Ae. albopictus to adapt to new environments, its predicted spread and establishment in Europe and its confirmed involvement in disease transmission cycles makes the surveillance and control of this species hugely important. 

Footnote

*Vector competence is the physiological ability of a mosquito to become infected with and transmit a pathogen, and is typically assessed in laboratory studies. In nature, transmission of a pathogen by vectors is dependent not only on vector competence but also on factors describing the intensity of interaction between the vector, the pathogen and the host in the local environment. Therefore, vector and host densities, geographic distribution, longevity, dispersal and feeding preferences have to be considered to determine the vectorial capacity of a vector population and its role in transmission

Read more

Reverse identification key for mosquito species

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Source: European Center Disease Control (ECDC)

Invasive mosquitoes colonising Europe – what can we do?

The Asian Tiger, Asian Bush and Yellow Fever mosquitos have made themselves at home in Europe throughout the last years, bringing with them some of the more exotic diseases, rarely seen in the EU before.

Are they a considerable threat to our health? What can we do to keep safe from the diseases they may spread?

Watch the animation:

The buzzing problem – invasive mosquitos colonising Europe

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Source: European Center Disease Control (ECDC)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

PIANO URSULA VON DER LEYEN: ORA CHE LA GUERRA IN UCRAINA E’ QUASI PERSA, SIAMO ARRIVATI AL DELIRIO PURO!

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/29/piano-ursula-ora-che-la-guerra-e-quasi-persa-siamo-arrivati-al-delirio-puro/7463818/

di Barbara Pettirossi

Ecco l’ultimo “piano Ursula” per la non pace in Europa, così come riportato nell’articolo del Fatto Quotidiano: “Ursula: Prepararsi alla guerra con più armi, come coi vaccini”. In sostanza bisogna fare come con i vaccini, unire le forze questa volta per armarsi, in un tempo che è già tardi, contro nemici in carne e ossa (leggasi “Russia”). Insomma, secondo la von der Leyen, da un lato dobbiamo produrre vaccini per salvare l’umanità da possibili pandemie, dall’altra dobbiamo mobilitarci per una guerra ipotetica in cui far scivolare l’umanità sopravvissuta al virus letale. Un giochetto perverso: ci curiamo per ucciderci meglio.

E’ il paradosso di quando le parole perdono il loro senso, o si vive così distanti dalla semplicità, o si è banalmente così ottenebrati dal potere di disporre, da confondere i piani di realtà come la salute e la malattia. E qui sta il nodo centrale: ritenere che la guerra sia uno strumento di salute pubblica e non un atto disperato da non evocare. Se mettere in conto le guerre equivale a rafforzare il proprio “sistema immunitario”, allora sono degli sciocchi quanti hanno ritenuto fino a oggi auspicabile, almeno in Europa, una pace duratura. Una leader di questo antico continente, terra che è stata anche inondata di sangue, profetizza che la pace non è permanente. Quindi, sollecitati da un simile pragmatismo, corriamo pure a produrre armi per nuovi conflitti che, pare, hanno tutti una gran voglia di combattere. Sono parole che veicolano un’idea ben precisa di mondo, in cui i popoli non dialogano, ma si minacciano e si sfidano e di tanto in tanto si lanciano qualche bomba. Tanto a morire sono i soldati, mica i capi di Stato.

L’innalzamento dei toni dei guerrafondai occidentali sono iniziati nel 2022, quando in preda allo slancio di generosità verso l’Ucraina, inviarono armi contribuendo al massacro per frenare le presunte mire espansionistiche della Russia (“fino a Lisbona” disse qualcuno). Ora che la guerra è quasi persa, siamo arrivati al delirio puro. Mentre, dai capi di questo mondo sconquassato ci si aspetterebbe l’uso sapiente della diplomazia, che non è l’arte di parlare a vanvera, ma “l’abilità di trattare questioni delicate”, la capacità di “intrattenere relazioni internazionali”, definizioni su cui si sarebbe dovuto riflettere, già dal 2014.

Possiamo affermare che la diplomazia europea ha gettato la spugna da subito e che i tentativi di Macron di dialogare con Putin sono stati evidentemente un fallimento totale. Gli “statisti” che decidono del nostro futuro non conoscono altri strumenti per governare se non quello a cui ricorrono le dittature: la forza. Quale sarà, infatti, il valore aggiunto apportato dalle democrazie quando ci trascineranno in un nuovo conflitto in cui vedremo i nostri figli morire? Il discorso di Ursula von der Leyen e l’ideona di Macron di inviare le truppe in Ucraina sono la testimonianza di quanto malandato sia il diplomatico e democratico Occidente.

Si può pensare, certo, a un esercito europeo che ci renda meno dipendenti dall’egemonia degli Stati Uniti e dalle sue dinamiche interne; conferendo all’Europa un’autonomia in tema di sicurezza rispetto al resto del mondo, così da poterci sottrarre ai ricatti dei trumpiani di turno. Ma il fatto che se ne parli ora, allo scoccare della mezzanotte, usando la pelle degli ucraini e l’incubo dell’espansionismo russo e delle dittature, dà un colpo ulteriore alla diplomazia, necessaria proprio per colloquiare con i governi autoritari e con quei paesi che vogliono ritagliarsi un ruolo nel panorama geopolitico. Invece di farsi promotrice di un mondo in cui c’è spazio per tutti (e per fare spazio bisogna indietreggiare un po’), sia pure senza cadere nell’ingenuità di rinunciare alla difesa, la von der Leyen alza il grido di guerra: “Armiamoci e partite”. Tutti contro tutti, l’umanità sprofonderà nel caos, ma questa volta è incerto se i libri di storia potranno parlare di quello che seguirà: il dopoguerra.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

English translate

URSULA VON DER LEYEN PLAN: NOW THAT THE WAR IN UKRAINE IS ALMOST LOST, WE HAVE ACHIEVED PURE DELIRIUM!

Author: Barbara Pettirossi

Here is the latest “Ursula plan” for non-peace in Europe, as reported in the Fatto Quotidiano article: “Ursula: Preparing for war with more weapons, like with vaccines”. In essence we need to do as with vaccines, join forces this time to arm ourselves, at a time that is already late, against enemies in the flesh (read “Russia”). In short, according to von der Leyen, on the one hand we must produce vaccines to save humanity from possible pandemics, on the other we must mobilize for a hypothetical war into which humanity that has survived the lethal virus will slip. A perverse game: we cure ourselves to kill ourselves better.

It is the paradox of when words lose their meaning, or we live so distant from simplicity, or we are banally so obscured by the power to dispose, that we confuse the planes of reality such as health and illness. And here lies the central issue: believing that war is an instrument of public health and not a desperate act that should not be evoked. If taking wars into account is equivalent to strengthening one’s own “immune system”, then those who have until now considered lasting peace desirable, at least in Europe, are fools. A leader of this ancient continent, a land that has also been flooded with blood, prophesies that peace is not permanent. So, urged by a similar pragmatism, we also rush to produce weapons for new conflicts that, it seems, everyone has a great desire to fight. They are words that convey a very specific idea of ​​the world, in which people do not dialogue, but threaten and challenge each other and every now and then they throw some bombs at each other. It’s the soldiers who die, not the heads of state.

The raising of the tone of the Western warmongers began in 2022, when in the throes of a surge of generosity towards Ukraine, they sent weapons contributing to the massacre to curb Russia’s alleged expansionist aims (“all the way to Lisbon” someone said). Now that the war is almost lost, we have reached pure delirium. While, from the leaders of this shattered world we would expect the wise use of diplomacy, which is not the art of talking nonsense, but “the ability to deal with delicate issues”, the ability to “entertain international relations”, definitions which should have been reflected on, as early as 2014.

We can say that European diplomacy immediately threw in the towel and that Macron’s attempts to dialogue with Putin were evidently a total failure. The “statesmen” who decide on our future do not know any other tools for governing other than the one used by dictatorships: force. In fact, what will be the added value brought by democracies when they drag us into a new conflict in which we will see our children die? Ursula von der Leyen’s speech and Macron’s idea of ​​sending troops to Ukraine are testimony to how shabby the diplomatic and democratic West is.

We can certainly think of a European army that makes us less dependent on the hegemony of the United States and its internal dynamics; giving Europe autonomy in terms of security compared to the rest of the world, so as to be able to escape the blackmail of the Trumpians on duty. But the fact that we are talking about it now, at the stroke of midnight, using the skin of the Ukrainians and the nightmare of Russian expansionism and dictatorships, deals a further blow to diplomacy, which is necessary precisely to communicate with authoritarian governments and with those countries who want to carve out a role for themselves in the geopolitical landscape. Instead of promoting a world in which there is room for everyone (and to make room you have to step back a little), albeit without falling into the naivety of giving up defense, von der Leyen raises the war cry: ” Let’s arm ourselves and leave.” All against all, humanity will descend into chaos, but this time it is uncertain whether the history books will be able to talk about what will follow: the post-war period.

Source: Il Fatto Quotidiano

https://x.com/bralex84/status/1763679554822918577

Lavrov risponde a Macron, ‘le truppe occidentali sono già in Ucraina’

Il Pentagono USA: se Kiev perde la guerra, la NATO dovrà combattere contro la Russia

Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, citato dalla Tass, risponde al presidente francese Macron su un eventuale invio di truppe Nato in Ucraina: le sue parole, afferma, sono “la conferma dell’intenzione dell’Occidente di mandare truppe in Ucraina. Anche se in modo non ufficiale, ci sono già”.

“L’Ucraina non sarebbe in grado di usare le cosiddette armi a lungo raggio contro le città russe senza questi istruttori” occidentali, ha spiegato Lavrov in un forum diplomatico ad Antalya, in Turchia. “Lo capiamo tutti perfettamente. Le prove sono abbondanti”, ha aggiunto, sostenendo che “alcuni attacchi ucraini agli aeroporti strategici della Russia non sarebbero avvenuti senza gli specialisti americani”.

Il capo del Pentagono, Lloyd Austin, afferma intanto che stanziare i fondi per l’Ucraina è cruciale e sottolinea che, se Kiev perde la guerra, i paesi Nato dovranno combattere contro la Russia. “Sappiamo che se Putin avrà successo non si fermerà. Continuerà a essere più aggressivo nella regione. E altri leader in tutto il mondo, altri autocrati guarderanno a questo. E saranno incoraggiati dal fatto che ciò è accaduto senza che noi siamo riusciti a sostenere uno stato democratico”, ha detto Austin in discorso alla Camera dei rappresentanti americana citato dai media ucraini. “Se sei un Paese baltico, sei molto preoccupato se sarai il prossimo: conoscono Putin, sanno di cosa è capace. E francamente, se l’Ucraina cade credo davvero che la Nato entrerà in guerra con la Russia”, ha aggiunto il capo del Pentagono.    

Vladimir Putin torna ad agitare lo spettro di un conflitto nucleare: una minaccia “reale”, ha affermato, a causa delle mosse dei Paesi della Nato nel conflitto in Ucraina. Ma i Paesi occidentali, ha avvertito, devono ricordare che anche Mosca possiede “armi capaci di raggiungere i loro territori”. Il monito è stato pronunciato dal presidente russo nel suo annuale discorso sullo stato della Nazione davanti alle Camere riunite, un appuntamento in cui Putin ha ostentato sicurezza per i successi ottenuti recentemente sul campo dalle sue truppe, a differenza di 12 mesi fa, quando le sorti sembravano volgere a favore di Kiev.

Putin, comunque, ha voluto ribadire ancora una volta che la Russia non ha intenzione di attaccare Paesi dell’Alleanza atlantica, definendo “sciocchezze” gli allarmi che si levano dall’Europa. Così come ha liquidato come “false” le accuse di Washington di voler dispiegare armi nucleari nello spazio. “Si tratta solo di uno stratagemma per trascinarci in negoziati alle loro condizioni, che beneficiano solo gli Usa”, ha affermato. Ma davanti al Gotha del potere russo – dal governo ai vertici militari, alla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina – il capo del Cremlino ha voluto rispondere personalmente al presidente francese Emmanuel Macron, che nei giorni scorsi aveva parlato della possibilità di inviare truppe occidentali in Ucraina. “Ricordiamo – ha detto Putin – il destino di coloro che in passato hanno inviato i loro contingenti nel territorio del nostro Paese. Ora le conseguenze per gli eventuali interventisti saranno molto più tragiche”.

“Tutto quello che l’Occidente sta escogitando porta veramente alla minaccia di un conflitto con armi nucleari e quindi di un annientamento della civiltà”, ha chiosato Putin. Il leader russo è tornato quindi ad accusare l’Occidente di volere infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia. Ma un tema ha brillato per la sua totale assenza nelle oltre due ore del suo discorso, interrotto da 80 applausi: la Transnistria, l’entità secessionista sul territorio moldavo le cui autorità avevano chiesto ieri l’aiuto di Mosca contro quelle che hanno denunciato come le “pressioni” economiche di Chisinau. Evidentemente non una “priorità” per il presidente, a differenza di quanto affermato ieri dal ministero degli Esteri.

Putin ha elogiato i successi delle sue forze in Ucraina, affermando che non faranno marcia indietro (“non si ritireranno, non falliranno, non tradiranno”, sono state le sue parole). Ma la maggior parte del suo discorso l’ha dedicato agli interventi nel settore economico, nel quadro di un programma strategico di sviluppo di sei anni che prevede profonde trasformazioni in campo industriale e sociale. La Russia, ha annunciato, deve puntare a diventare “una delle quattro più grandi economie al mondo”. I mezzi per arrivare a questo obiettivo comprendono il raddoppio degli investimenti per la ricerca scientifica, portandoli al 2% del Pil, l’incremento del 70% di quelli destinati alle industria chiave, il potenziamento della produzione dei beni di consumo e la crescita di due terzi delle esportazioni che non siano di risorse energetiche e materie prime.

Quando mancano ormai due settimane alle elezioni in cui si presenta per un quinto mandato, Putin ha avuto un occhio di riguardo per le classi popolari, promettendo di raddoppiare entro il 2030 il salario minimo (portandolo all’equivalente di 390 dollari) e sgravi fiscali. Il presidente ha infine annunciato un vasto piano sanitario con l’obiettivo di innalzare dagli attuali 73 a 78 anni l’aspettativa media di vita, per poi portarla “oltre gli 80”. Altri progetti presentati riguardano la riduzione del gap economico tra diverse regioni della Russia e interventi per la protezione dell’ambiente.

Fonte: ANSA

English translate

Lavrov responds to Macron, ‘Western troops are already in Ukraine’

US Pentagon: If Kiev loses the war, NATO will have to fight against Russia

Russian Foreign Minister Serghei Lavrov, quoted by Tass, responds to French President Macron on a possible sending of NATO troops to Ukraine: his words, he states, are “confirmation of the West’s intention to send troops to Ukraine. Also if unofficially, they are already there.”

“Ukraine would not be able to use so-called long-range weapons against Russian cities without these Western instructors,” Lavrov explained at a diplomatic forum in Antalya, Turkey. “We all understand this perfectly. The evidence is abundant,” he added, arguing that “some Ukrainian attacks on Russia’s strategic airfields would not have happened without American specialists.”

The head of the Pentagon, Lloyd Austin, says meanwhile that allocating funds for Ukraine is crucial and underlines that, if Kiev loses the war, NATO countries will have to fight against Russia. “We know that if Putin succeeds he will not stop. He will continue to be more aggressive in the region. And other leaders around the world, other autocrats will look at this. And they will be encouraged by the fact that this has happened without us being able to support one democratic state,” Austin said in a speech to the US House of Representatives quoted by Ukrainian media. “If you are a Baltic country, you are very worried whether you will be next: they know Putin, they know what he is capable of. And frankly, if Ukraine falls I really believe that NATO will go to war with Russia,” added the head of Pentagon.

Vladimir Putin is once again raising the specter of a nuclear conflict: a “real” threat, he said, due to the moves of NATO countries in the conflict in Ukraine. But Western countries, he warned, must remember that Moscow also possesses “weapons capable of reaching their territories”. The warning was pronounced by the Russian president in his annual speech on the state of the nation before the assembled Houses, an event in which Putin showed off confidence due to the successes recently achieved in the field by his troops, unlike 12 months ago, when the fate they seemed to turn in Kiev’s favor.

Putin, however, wanted to reiterate once again that Russia has no intention of attacking countries of the Atlantic Alliance, defining the alarms rising from Europe as “nonsense”. Just as he dismissed as “false” Washington’s accusations of wanting to deploy nuclear weapons in space. “This is just a ploy to drag us into negotiations on their terms, which only benefits the US,” he said. But in front of the elite of Russian power – from the government to the military leaders, to the governor of the Central Bank Elvira Nabiullina – the head of the Kremlin wanted to respond personally to the French president Emmanuel Macron, who in recent days had spoken of the possibility of sending Western troops to Ukraine . “We remember – said Putin – the fate of those who in the past sent their contingents to the territory of our country. Now the consequences for any interventionists will be much more tragic”.

“Everything the West is devising really leads to the threat of a conflict with nuclear weapons and therefore the annihilation of civilization,” Putin commented. The Russian leader then returned to accuse the West of wanting to inflict a “strategic defeat” on Russia. But one topic was conspicuous by its total absence in the more than two hours of his speech, interrupted by 80 rounds of applause: Transnistria, the secessionist entity on Moldovan territory whose authorities had yesterday asked for Moscow’s help against those they denounced as the economic “pressures” of Chisinau. Evidently not a “priority” for the president, unlike what the Foreign Ministry said yesterday.

Putin praised his forces’ successes in Ukraine, saying they will not back down (“they will not retreat, they will not fail, they will not betray”, were his words). But most of his speech was dedicated to interventions in the economic sector, within the framework of a six-year strategic development program which envisages profound transformations in the industrial and social fields. Russia, he announced, must aim to become “one of the four largest economies in the world”. The means to achieve this objective include doubling investments in scientific research, bringing them to 2% of GDP, increasing investments in key industries by 70%, strengthening the production of consumer goods and growing two thirds of exports other than energy resources and raw materials.

With two weeks to go before the elections in which he will stand for a fifth term, Putin has had an eye on the popular classes, promising to double the minimum wage by 2030 (bringing it to the equivalent of 390 dollars) and tax relief. Finally, the president announced a vast health plan with the aim of raising average life expectancy from the current 73 to 78 years, and then bringing it “over 80”. Other projects presented concern the reduction of the economic gap between different regions of Russia and interventions for environmental protection.

Source: ANSA

https://www.ansa.it/amp/sito/notizie/mondo/2024/03/01/lavrov-risponde-a-macron-le-truppe-occidentali-sono-gia-in-ucraina_6400a19c-3a08-4d4f-a224-c01f5f950750.html
Alessandro Orsini, Professor of Socciology of International Terrorism at LUISS Guido Carli University in Rome
Jens Stoltenerg Chief of NATO, the “Atlantic Threat” composed by all Western countries, Europe and USA that are defense through Article 5 of the Threat. Stoltenberg is the Chief of The “Evil Coalition” for all Muslims of the Arab League Countries

Morte Navalny, Orsini: “Nessuna prova che dietro ci sia Putin”

22 Febbraio 2024 | 00.01

“Posso solo pronunciare una condanna morale del regime detentivo, non altro”

https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/navalny-orsini-nessuna-prova-che-dietro-ci-sia-putin_5XtKWMs51gE6XMsdIAxsO3

“Non abbiamo i documenti per dire che Putin abbia ordinato l’omicidio”. E’ quanto ha detto oggi Alessandro Orsini in studio a Prima di Domani, il programma condotto da Bianca Berlinguer su Rete 4. “E’ possibile che questi documenti vengano fuori più avanti, ma allo stato attuale delle nostre conoscenze non ci sono” aggiunge il professore di sociologia del terrorismo internazionale alla Università LUISS Guido Carli di Roma, sottolineando come si possa pronunciare una “condanna morale” del “regime detentivo di Navalny, non altro”.

Fonte: Redazione Adnkronos

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Navalny’s death, Alessandro Orsini: “No proof that Putin is behind it.”

“I can only pronounce a moral condemnation of the prison regime, nothing else”

“We don’t have the documents to say that Putin ordered the murder.” This is what Alessandro Orsini said today in the studio on Prima di Domani, the program hosted by Bianca Berlinguer on Rete 4. “It’s possible that these documents will come out later, but in the current state of our knowledge they are not there” adds the professor of sociology of international terrorism at the LUISS Guido Carli University of Rome, underlining how a “moral condemnation” of “Navalny’s prison regime, nothing else” can be pronounced.

Source: Adnkronos

Prof. Mario Spallone (Lecce nei Marsi October 22nd 1917 – Rome May 15th 2013) was the historic personal doctor of Palmiro Togliatti, the politician National Secretary of Italian Communist Party (PCI) in 60’s. Spallone was Mayor of his Lecce nei Marsi for 20 years and Mayor of Avezzano, the most big city of Marsica District in Abruzzo region of Italy for 9 years (1993-2002). https://massimoemanuelli.com/2018/11/24/mario-spallone/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

LA PROTESTA DEGLI AGRICOLTORI IN ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, NELL’INTERA EUROPA CONTRO L’ATTACCO DIRETTO DELL’UNIONE EUROPEA ALL’AGRICOLTURA EUROPEA

Vasto (CH), lì 29 Gennaio 2024 ore 21.20

Buonasera a tutti e a tutte, sto seguendo con vivo interesse in queste ore la protesta di tutti gli agricoltori in Italia, Francia, Germania e nel resto d’Europa riguardo le politiche dell’Unione Europea che mirano ad incrementare i costi di produzione dei generi alimentari per tentare di arginare a loro modo gli allevamenti intensivi ed imporre subdolamente il consumo della carne sintetica di laboratorio e la farina di grilli che costa 80€ al kg a svantaggio dell’agricoltura certificata IGP IGT che produce cibo di qualità ed in questo settore l’Italia senza alcun dubbio rappresenta l’eccellenza in tutto il Mondo, basti citare alcune nostre specialità per cui siamo noti in tutto il Mondo: il grano della pasta Barilla di Parma, la pasta De Cecco ed il pastificio Del Verde di Fara San Martino in Abruzzo, la pasta trafilata al bronzo di Gragnano di Napoli, il pane di Vicovaro (Roma), i tortellini di Giovanni Rana, il prosciutto di Parma, il prosciutto San Daniele, il prosciutto di Norcia in Umbria, il lardo di Colonnata frazione del comune di Carrara in Toscana, il latte della Parmalat, i formaggi Galbani, le soppressate di salumi di Cappola di Popoli vicino Pescara in Abruzzo, la ‘Nduja della Calabria, i pomodori San Marzano, le olive della Saclà, il cioccolato fondente Perugina di Perugia in Umbria, il cioccolato di Novi di Novi Ligure in Liguria, solo per citare alcune delle eccellenze gastronomiche che tutto il Mondo invidia all’Italia.

Tutta la protesta degli agricoltori europei parte dalle assurde recenti prese di posizione dell’Unione Europea, rappresentata a Bruxelles da Ursula Von Der Leyen, che ha dapprima reintrodotto l’IRPEF, l‘Imposta sulle Persone Fisiche ai proprietari terrieri, tolto le agevolazioni in merito al gasolio agricolo previste dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC) 2014-2020 e con la quale io personalmente ho avuto il privilegio di lavorare nella sede della Coldiretti di Avezzano a Piazza Castello 12/B, innalzato i costi di produzione dei generi alimentari di prima necessità e ad introdurre nella filiera agroalimentare prodotti chimere artificiali frutto dell’ingegneria genetica generati da biolaboratori, come la carne sintetica stampata da apposite macchine in 3D e la farina di grilli, perversioni per borghesi che già cominciano ad essere disponibili nei supermercati europei al fine di porre un freno agli allevamenti intensivi di bovini, ovini e suini nati sia in Occidente negli USA che in Oriente Cina e Giappone per far fronte alle ingenti carestie che stanno colpendo anche queste nazioni a causa sia del cambiamento climatico indotto sia all’agricoltura stessa che non riesce più a soddisfare i fabbisogni delle persone, ma il sinistro fine è anche quello di distruggere tutte le specialità gastronomiche endemiche tipiche di uno specifico territorio e che si contraddistinguono per qualità da tutte le altre prodotte in altri luoghi e su questo aspetto, l’Italia rappresenta sicuramente l’eccellenza nel Mondo.

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THE PROTEST OF FARMERS IN ITALY, FRANCE, GERMANY, IN THE WHOLE OF EUROPE AGAINST THE DIRECT ATTACK OF THE EUROPEAN UNION ON EUROPEAN AGRICULTURE

Good evening everyone, I’m following with keen interest in these hours the protest of all farmers in Italy, France, Germany and the rest of Europe regarding the policies of the European Union which aim to increase the production costs of food to try to stem intensive farming in their own way and subtly impose the consumption of synthetic laboratory meat and cricket flour which costs €80 per kg to the detriment of IGP IGT certified agriculture which produces quality food and in this sector the Italy without any doubt represents excellence throughout the world, just mention some of our specialties for which we are known throughout the world: the wheat of Barilla pasta from Parma, De Cecco pasta and the Del Verde pasta factory from Fara San Martino in Abruzzo, bronze-drawn pasta from Gragnano in Naples, the bread from Vicovaro (Rome), the Giovanni Rana’s tortellini, Parma ham, San Daniele ham of Friuli Venezia Giulia, Norcia ham in Umbria, the Colonnata‘s lard, an hamlet of the municipality of Carrara in Tuscany, Parmalat‘s milk, Galbani cheeses, soppressata cured meats from Cappola in Popoli near Pescara in Abruzzo, ‘Nduja from Calabria, San Marzano tomatoes, olives from Saclà, Perugina dark chocolate from Perugia in Umbria, the Novi chocolate of Novi Ligure in Liguria, just to mention some of the gastronomic excellences that the whole world envies Italy.

The entire protest of European farmers starts from the absurd recent positions taken by the European Union, represented in Brussels by Ursula Von Der Leyen, who first reintroduced the IRPEF, the Personal Tax on landowners, removing access to the related benefits to agricultural diesel for farmers provided by the Community Agricultural Policy (CAP) 2014-2020, with which I personally had the privilege of working at Coldiretti headquaters in Avezzano in Piazza Castello 12/B, raised the production costs of basic food products and introduced artificial chimera products into the agri-food chain resulting from genetic engineering generated by biolaboratories, such as synthetic meat printed by special 3D machines and cricket flour, perversions for the bourgeois that are already starting to be available in European supermarkets in order to put a stop to the intensive farming of born cattle, sheep and pigs both in the West in the USA and in the East in China and Japan to deal with the huge famines that are also affecting these nations due both to induced climate change and to agriculture itself which is no longer able to satisfy people’s needs, but the sinister end it is also to destroy all the endemic gastronomic specialties typical of a specific territory and which are distinguished by quality from all the others produced in other places and in this aspect, Italy certainly represents excellence in the World.

Proteste degli agricoltori in Europa, cosa sta succedendo dalla Francia all’Italia

29 Gennaio 2024 – 14:59

In generale il dissenso del settore agroalimentare è partito da alcune misure pensate per rendere maggiormente “green” e sostenibile l’intera produzione di cibo. Ma anche contro le politiche agricole della Ue giudicate troppo restrittive e contro l’atteggiamento delle tradizionali organizzazioni del settore. Ecco, in particolare, dove si stanno svolgendo le principali proteste

Dalla Francia alla Germania, passando per Belgio, Olanda, Polonia, Romania ma anche Italia. Sono questi alcuni tra i Paesi europei interessati, nell’ultimo periodo, da un’ondata di proteste serrate da parte degli agricoltori. Quali i motivi principali? In generale il dissenso del settore agroalimentare è partito da alcune misure pensate per rendere maggiormente “green” e sostenibile l’intera produzione di cibo. Ma tra i motivi ci sono anche le regole che impongono la messa a riposo dei terreni per garantire la biodiversità o quelle che impongono il ripristino di una porzione dell’habitat. Senza dimenticare che il settore è destinatario di un’importante quantità di aiuti da parte dell’Unione Europea, come sottolinea il “Corriere della Sera”. Basti pensare che la Pac, ovvero la Politica Agricola Comunitaria, per il quinquennio 2023 -2027 è pari a 36 miliardi e mezzo di euro. Ma questi sussidi sono in diminuzione rispetto agli scorsi decenni e questo ha scatenato il malcontento, anche considerando l’avvicinarsi del voto per l’Europarlamento.

La protesta in Germania

Inizialmente la protesta degli agricoltori era esplosa in Germania, a dicembre scorso. Qui il governo tedesco aveva promesso di finanziare la transizione verso l’energia pulita ma pur volendo rispettare tali impegni, il governo locale aveva presentato una bozza di bilancio bocciata dalla Corte Suprema tedesca, secondo cui emergeva un buco di 60 miliardi nelle finanze del Paese. E così il cancelliere Scholz ha dovuto ridurre le spese ed effettuare tagli, che hanno colpito in particolar modo gli agricoltori che davanti all’aumento delle tasse e al taglio nei sussidi agricoli, con l’eliminazione di alcuni importanti privilegi fiscali, tra cui quello sul gasolio, hanno messo in atto le agitazioni. Altra minaccia, poi, è rappresentata dall’avvio del processo di adesione dell’Ucraina all’Ue. I tagli decisi dal governo tedesco sono legati anche al sostegno che Berlino vuole fornire a Kiev, ma ad impensierire le aziende agricole locali c’è il fatto che l’Ucraina, ritenuta una potenza agricola globale, possa incidere sulla ripartizione dei sussidi comunitari. Proprio in queste ore, stando alla cronaca, gli agricoltori tedeschi hanno bloccato le vie di traffico che portano a diversi porti tedeschi, tra cui quello di Amburgo, per protestare proprio contro la decisione del governo di abolire gradualmente, entro il 2026, i sussidi per l’acquisto del diesel a uso agricolo. Nella Bassa Sassonia, secondo la polizia, gli agricoltori hanno bloccato l’accesso al Jade-Weser-Port, un porto per container vicino alla città di Wilhelmshaven, con circa 40 trattori. Nel porto di Bremerhaven, un “raduno” di agricoltori su un asse stradale cruciale ha provocato un “notevole rallentamento” del traffico.

La situazione in Francia

Le proteste tedesche hanno attecchito anche in Francia dove si prospetta un lunedì “nero” a Parigi e nell’hinterland per l’assedio annunciato degli agricoltori scontenti per i provvedimenti del governo in risposta alla crisi. Migliaia di agricoltori, con trattori e altri mezzi di trasporto, si sono diretti verso la Capitale partendo da diverse regioni con l’obiettivo dichiarato di chiudere l’accesso a Parigi, con otto posti di blocco previsti. Il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha annunciato un traffico “estremamente difficile nell’Ile de France”, invitando i “francesi e i trasportatori a minimizzare al massimo gli spostamenti”. E ha annunciato che 15 mila agenti di polizia si mobiliteranno per impedire l’ingresso dei trattori a “Parigi e nelle grandi città” e i blocchi del mercato di Rungis e degli aeroporti dell’Ile-de-France. Qui la maxi-protesta è indetta dalla potente Federazione nazionale dei sindacati degli imprenditori agricoli (FNSEA) e dal sindacato Giovani Agricoltori (JA, Jeunes Agriculteurs), che hanno già dichiarato lo “stato di assedio” di Parigi. E gli annunci fatti finora dal premier Gabriel Attal, con un piano di semplificazione in diversi punti, non sono bastati a placare il malcontento.

I disagi in Belgio

In Belgio la protesta degli agricoltori sta causando notevoli disagi alla rete stradale nel sud del Paese, in particolare allo svincolo di Daussoulx e alla periferia di Bruxelles, secondo quanto riferito dalla polizia stradale federale. Anche alcune parti della tangenziale di Bruxelles sono chiuse al traffico. Una decina di trattori sono arrivati anche a De Meeûs, vicino a Place du Luxembourg, nel cuore della capitale belga, ha confermato la polizia di Bruxelles-Capitale/Ixelles. Tuttavia un portavoce della zona ha dichiarato che non ci sono stati disagi per il traffico.

La questione in Italia

Per quanto riguarda il nostro Paese, la protesta è rivolta contro le politiche agricole della Ue giudicate troppo restrittive ma anche contro l’atteggiamento delle tradizionali organizzazioni del settore. “Siamo apolitici, non siamo schierati con nessuno altrimenti fallisce tutto. La nostra è una battaglia agricola”. Lo ha detto Danilo Calvani che guida il Comitato Agricoltori Traditi (C.r.a.) che sta chiarendo la posizione di chi sta protestando. “Noi andiamo dove ci invitano e facciamo la nostra battaglia”, ha spiegato. E rivolto al mondo politico, ha proseguito: “Il Parlamento tutto ci convochi, si discuta tutti insieme delle nostre istanze, senatori e deputati, di maggioranza e di opposizione. Ci facciano vedere che sono vicini a noi, facciano qualcosa di urgente”, ha riferito ancora Calvani. “Non abbiamo più reddito, ci tassano anche i mezzi fermi dei nonni, macchine vecchie che non funzionano e non vengono utilizzate da anni”, sottolinea Calvani che conclude: “Ogni giorno saremo sempre di più, è in atto qualcosa di straordinario”. Nelle ultime ore si sono verificati momenti di tensione al casello di Orte sull’A1. Gli agricoltori in presidio hanno tentato di bloccare la circolazione ma le forze dell’ordine sono intervenute impedendo il blitz. Proteste si sono svolte anche, tra le altre città, a Foggia, Viterbo, Udine, Crotone oltre che in Sardegna.

Fonte: SkyTG24

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Good evening everyone, I am following with keen interest in these hours the protest of all farmers in Italy, France, Germany and the rest of Europe regarding the policies of the European Union which aim to increase the production costs of food to try to stem intensive farming in their own way and surreptitiously, subtly impose the consumption of synthetic laboratory meat to the detriment of quality agriculture which also produces quality food and in this sector Italy without any doubt represents excellence in all over the world, it is enough to mention some of our specialties for which we are known all over the world: the wheat from Barilla pasta in Parma, the pasta from De Cecco and the Del Verde pasta factory in Fara San Martino in Abruzzo, the bronze-drawn pasta from Gragnano in Naples, bread from Vicovaro (Rome), tortellini from Giovanni Rana, ham from Parma, ham from San Daniele, ham from Norcia in Umbria, lardo from Colonnata, a hamlet of the municipality of Carrara in Tuscany, milk from Parmalat, Galbani cheeses, soppressata cured meats from Cappola di Popoli near Pescara in Abruzzo, ‘Nduja from Calabria, San Marzano tomatoes, olives from Saclà, Perugina dark chocolate from Perugia in Umbria, Novi chocolate from Novi Ligure in Liguria, just to mention some of the gastronomic excellences that the whole world envies in Italy.

The entire protest of European farmers starts from the absurd recent positions taken by the European Union, represented in Brussels by Ursula Von Der Leyen, which aims to raise the production costs of basic foodstuffs and to introduce artificial chimera products generated into the agri-food chain from biolaboratories, such as synthetic meat printed by special 3D machines and cricket flour which is already starting to be available in European supermarkets in order to put a stop to intensive farming of cattle, sheep and pigs, but the sinister purpose is also that to destroy all the endemic gastronomic specialties typical of a specific territory and which are distinguished by quality from all the others produced in other places.

Farmer’s protests in Europe, what’s happening from France to Italy

In general, the dissent in the agri-food sector started from some measures designed to make the entire food production more “green” and sustainable. But also against the EU’s agricultural policies deemed too restrictive and against the attitude of the traditional organizations in the sector. Here, in particular, is where the main protests are taking place

From France to Germany, passing through Belgium, Holland, Poland, Romania but also Italy. These are some of the European countries affected, in the last period, by a wave of intense protests by farmers. What are the main reasons? In general, the dissent in the agri-food sector started from some measures designed to make the entire food production more “green” and sustainable. But among the reasons there are also the rules that require land to be set aside to guarantee biodiversity or those that require the restoration of a portion of the habitat. Without forgetting that the sector receives a significant amount of aid from the European Union, as underlined by the “Corriere della Sera”. Suffice it to say that the CAP, or Community Agricultural Policy, for the five-year period 2023 -2027 is equal to 36 and a half billion euros. But these subsidies are decreasing compared to previous decades and this has sparked discontent, also considering the approaching vote for the European Parliament.

The protest in Germany

The farmers’ protest initially exploded in Germany last December. Here the German government had promised to finance the transition to clean energy but despite wanting to respect these commitments, the local government had presented a draft budget rejected by the German Supreme Court, according to which a 60 billion hole in the country’s finances emerged. And so Chancellor Scholz had to reduce expenses and make cuts, which particularly affected farmers who, faced with tax increases and cuts in agricultural subsidies, with the elimination of some important fiscal privileges, including the one on diesel, they carried out the agitations. Another threat, then, is represented by the start of Ukraine’s accession process to the EU. The cuts decided by the German government are also linked to the support that Berlin wants to provide to Kiev, but what worries local agricultural companies is the fact that Ukraine, considered a global agricultural power, could affect the distribution of community subsidies. Precisely in these hours, according to the news, German farmers have blocked the traffic routes leading to several German ports, including that of Hamburg, to protest against the government’s decision to gradually abolish, by 2026, subsidies for the purchase of diesel for agricultural use. In Lower Saxony, farmers blocked access to the Jade-Weser-Port, a container port near the city of Wilhelmshaven, with around 40 tractors, according to police. In the port of Bremerhaven, a “gathering” of farmers on a crucial road axis caused a “significant slowdown” in traffic.

The situation in France

The German protests have also taken root in France where a “black” Monday is expected in Paris and in the hinterland due to the announced siege of farmers dissatisfied with the government’s measures in response to the crisis. Thousands of farmers, with tractors and other means of transport, headed towards the capital starting from different regions with the declared aim of closing access to Paris, with eight checkpoints planned. Interior Minister Gerald Darmanin announced “extremely difficult traffic in the Ile de France”, inviting the “French people and transporters to minimize travel as much as possible”. And he announced that 15,000 police officers will be mobilized to prevent tractors from entering “Paris and large cities” and blockades of the Rungis market and the Ile-de-France airports. Here the maxi-protest is called by the powerful National Federation of Agricultural Entrepreneurs’ Unions (FNSEA) and the Young Farmers union (JA, Jeunes Agriculteurs), who have already declared a “state of siege” in Paris. And the announcements made so far by Prime Minister Gabriel Attal, with a simplification plan in various points, have not been enough to calm the discontent.

The issue in Italy

As far as our country is concerned, the protest is aimed against the EU’s agricultural policies deemed too restrictive but also against the attitude of the traditional organizations in the sector. “We are apolitical, we don’t side with anyone otherwise everything fails. Ours is an agricultural battle”. This was said by Danilo Calvani who leads the Betrayed Farmers Committee (C.r.a.) which is clarifying the position of those who are protesting. “We go where they invite us and fight our battle”, he explained. And addressed to the political world, he continued: “Let the whole Parliament convene us, let us all discuss our requests together, senators and deputies, of the majority and of the opposition. Let us see that they are close to us, do something urgent”, said Calvani again. “We no longer have income, we are also taxed by our grandparents’ stationary vehicles, old cars that don’t work and haven’t been used for years”, underlines Calvani who concludes: “Every day there will be more and more of us, something extraordinary is taking place”. In the last few hours there have been moments of tension at the Orte toll booth on the A1. The farmers in the garrison attempted to block traffic but the police forces The order intervened to prevent the raid. Protests also took place, among other cities, in Foggia, Viterbo, Udine, Crotone as well as in Sardinia.

Source: SkyTG24

https://tg24.sky.it/mondo/2024/01/29/protesta-agricoltori-europa

Marcia dei trattori, continua la protesta italiana. Momenti di tensione al casello di Orte sull’A1

Gli agricoltori in presidio a Orte hanno tentato di bloccare la circolazione ma le forze dell’ordine sono intervenute impedendo il blitz. A Ravenna e Foggia i trattori invadono la città. Una bara per la protesta dei trattori nell’Avellinese

La protesta di agricoltori e imprenditori agricoli dell’Irpinia
https://www.rainews.it/articoli/2024/01/marcia-dei-trattori-continua-la-protesta-italiana-68c7f773-1d3a-43c8-9336-d22de38de301.html

Continua ad oltranza la protesta degli agricoltori della Tuscia. Momenti di tensione al casello di Orte sull’A1. Gli agricoltori in presidio hanno tentato di bloccare la circolazione ma le forze dell’ordine sono intervenute impedendo il blitz. Una nuova protesta si stava svolgendo da questa mattina, nei pressi del casello autostradale di Orte, provincia di Viterbo, sull’A1. I manifestanti, con alcuni trattori e mezzi agricoli si sono radunati sulla rotatoria antistante in casello. Sul posto sono presenti le forze di polizia che hanno segnalato la possibilità di disagi alla viabilità, in entrata e in uscita dal casello. Secondo quanto riferito dagli organizzatori, alla protesta hanno partecipato anche diversi agricoltori provenienti dall’Umbria.

Dopo il blocco del casello autostradale di Orte, questa mattina una quarantina di mezzi agricoli hanno paralizzato il traffico della cassia nord in prossimità di Porta Fiorentina, una delle porte principali di accesso a Viterbo. Poco prima del solito raduno sulla Cassia accanto al cimitero, alcuni manifestanti si sono fermati di fronte alla sede della Coldiretti Viterbo, dove hanno strappato le bandiere che erano sulla porta. Le bandiere sono poi state bruciate in segno di protesta.  Alle 11 il corteo di trattori, partito dal punto di ritrovo, ha percorso via della Palazzina, Piazzale Gramsci e via Garbini paralizzando il traffico.

Infine il presidio di agricoltori al casello è stato spostato, ma Felice Antonio Monfeli, portavoce dei manifestanti, ha spiegato che “resteremo qui e protesteremo sempre legalmente e pacificamente”. Monfeli ha sottolineato: “ci dissociamo dal gesto di alcuni agricoltori che stamani hanno bruciato le bandiere della Coldiretti“.

Protesta trattori a Orte, occupata rotatoria fuori dal casello

Il Ministro all’Agricoltura del Governo Meloni Lollobrigida: “Istanze agricoltori valide ma no a violenza”

“Rispetto ogni manifestazione democratica, in particolare quella di lavoratori che, nel tempo, hanno visto calare il proprio reddito per scelte che certamente non hanno né tutelato l’ambiente né valorizzato la sovranità alimentare del nostro continente”, ma “considero sbagliato e ingiustificato ogni atto di violenza, compreso bruciare le bandiere delle associazioni agricole come accaduto oggi a Viterbo”. Così in una nota il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida. “In Italia, sin dal suo insediamento il nostro Governo ha restituito centralità all’agricoltura e si è schierato nel contesto dell’UE a difesa del comparto, senza paura di portare avanti battaglie giuste in difesa di agricoltura, allevamento e pesca. C’è bisogno – è l’appello del ministro – di un fronte comune tra istituzioni e sistema produttivo italiano per valorizzare le nostre potenzialità e rafforzare l’Unione Europea, diversa da quella attuale, in linea con quanto intendevano coloro che la fondarono”. A Coldiretti, la cui bandiera è stata bruciata a Viterbo in segno di protesta, “si deve la battaglia contro il cibo sintetico che l’Italia sta guidando anche in Europa con risultati eccezionali. Non ha alcun senso – aggiunge Lollobrigida – che il fronte degli agricoltori diventi quello di combattere altri agricoltori che si sentono rappresentati dalle associazioni. Ed è per questo che, consapevole della validità delle istanze promosse da questo mondo, esprimo la solidarietà alla Coldiretti, auspicando che nessun uomo e donna, nessun imprenditore agricolo svilisca il proprio impegno per difendere il lavoro, la terra, la produzione, con azioni che nulla hanno a che fare con i principi di rispetto, libertà e democrazia che mai devono mancare e dei quali, proprio gli agricoltori, sono il simbolo più rilevante”, conclude il ministro.

Giornata campale anche in Calabria. Presidi su molte strade principali e due riunioni in programma in Regione nel tentativo di trovare una mediazione: quella di oggi è una giornata fondamentale sul fronte della protesta degli agricoltori in Calabria. I presidi più importanti sono in corso nel Catanzarese e nel Crotonese. Lunghe file a Botricello e Cropani Marina, sulla strada statale 106. Proprio i sindaci dei due comuni del Catanzarese, Saverio Simone Puccio e Raffaele Mercurio, dopo le interlocuzioni con il prefetto di Catanzaro Enrico Ricci, hanno ottenuto un tavolo tecnico che si terrà in mattinata in Regione e a cui seguirà una seconda riunione con gli agricoltori del Crotonese. Molti i disagi alla circolazione stradale.

In Emilia Romagna questa mattina la partenza del corteo di protesta a bordo dei loro trattori è in movimento dal comune di Russi (RA) verso Ravenna. 

A Foggia, con i trattori invadono città

Oltre 400 trattori, ma il numero potrebbe essere superiore, hanno invaso la città di Foggia questa mattina da tutta la provincia. Partiti da una stazione di servizio Green park lungo la statale 16 nel tratto che unisce Foggia a San Severo hanno marciato su Foggia entrando nella città e portandosi fino al centro cittadino in piazza Cavour a suon di clacson. Una protesta pacifica e autorizzata che ha visto la partecipazione degli agricoltori di tutta la provincia, dai Monti Dauni , al Gargano passando per la piana del tavoliere.  

Da alcuni giorni gli agricoltori della provincia di Foggia con i loro trattori stanno attuando presidi lungo aree di sosta e piazzole in molti punti della Capitanata. Alcuni giorni fa anche l’incontro con il prefetto di Foggia Maurizio Valiante e i parlamentari del territorio per fare il punto della situazione e cercare eventuali soluzioni. Tavolo che potrebbe tornare a riunirsi anche nei prossimi giorni. Una protesta che – garantiscono gli agricoltori – continuerà fino a quando non otterranno risposte.

Protesta agricoltori con trattori a Foggia

Una bara per la protesta dei trattori nell’Avellinese

È cominciata nella tarda mattinata la seconda giornata di protesta, dopo quella di ieri mattina ad Avellino, di agricoltori e imprenditori agricoli dell’Irpinia. Oltre cento trattori si sono concentrati nell’area industriale di Flumeri e da qui raggiungeranno il centro di Grottaminarda in corteo che si concluderà nei pressi del casello autostradale dell’A16 Napoli-Canosa. Numerosi sindaci e amministratori locali che sostengono la protesta dalla quale sono state bandite le bandiere sindacali ed i simboli dei partiti. Una bara, simbolo del Made in Italy, è stata collocato su un trattore, su un altro automezzo è stato mostrato un manichino, di colore verde, impiccato a simboleggiare le criticità delle aziende agricole “vessate dalle politiche agricole dell’Ue, costrette a vendere sotto costo i prodotti, e alle prese con la tassazione sempre più elevata dei terreni”. Domani prevista una nuova protesta davanti alla sede di Avellino della Regione Campania.

Anche una bara per la protesta dei trattori nell’Avellinese 29 gennaio 2024

A Udine. È giunta nella città friulana la protesta degli agricoltori per protestare contro le politiche europee del settore e, in particolare, il mondo della politica, i sindacati e le istituzioni in genere, e per chiedere iniziative a favore dei giovani che operano nel comparto. Una settantina di trattorie di mezzi agricoli di vario tipo si sono radunati questa mattina nel parcheggio dello Stadio di Udine, proveniente da varie località del Friuli. I manifestanti si sono organizzati spontaneamente dandosi appuntamento e poi sono sfilati in corteo fino in piazza Primo Maggio. La manifestazione si è sciolta poco dopo e si è svolta senza alcun problema ma soltanto qualche disagio per la circolazione. Le forze dell’ordine presenti hanno controllato lo svolgimento dell’iniziativa.

La protesta di agricoltori e imprenditori agricoli dell’Irpinia

Fonte: Rainews

English translate

Tractors March, the Italian protest continues. Moments of tension at the Orte toll booth on the A1

The farmers in Orte attempted to block traffic but the police intervened and prevented the raid. In Ravenna and Foggia tractors invade the city. A coffin for the tractor protest in Avellino area

The protest of the farmers of Tuscia continues to the bitter end. Moments of tension at the Orte toll booth on the A1. The farmers in attendance attempted to block traffic but the police intervened and prevented the raid. A new protest was taking place this morning, near the Orte motorway toll booth, in the province of Viterbo, on the A1. The protesters, with some tractors and agricultural vehicles, gathered on the roundabout in front of the toll booth. The police forces are present on site and have reported the possibility of disruption to the road system, entering and exiting the toll booth. According to the organizers, several farmers from Umbria also participated in the protest.

After the blockade of the Orte motorway toll booth, this morning around forty agricultural vehicles paralyzed traffic on the northern Cassia near Porta Fiorentina, one of the main access gates to Viterbo. Shortly before the usual rally on the Cassia next to the cemetery, some protesters stopped in front of the headquarters of the Coldiretti Viterbo, where they tore down the flags that were on the door. The flags were then burned in protest. At 11 am the procession of tractors, starting from the meeting point, traveled along via della Palazzina, Piazzale Gramsci and via Garbini, paralyzing traffic.

Finally, the farmers’ garrison at the toll booth was moved, but Felice Antonio Monfeli, spokesperson for the protesters, explained that “we will remain here and will always protest legally and peacefully”. Monfeli underlined: “we dissociate ourselves from the gesture of some farmers who burned the Coldiretti flags this morning”.

The Agriculture Mininster of Meloni Government Lollobrigida: “Frmers requests valid but no violence”

“I respect every democratic demonstration, in particular that of workers who, over time, have seen their income drop due to choices that have certainly neither protected the environment nor enhanced the food sovereignty of our continent”, but “I consider every act of violence, including burning the flags of agricultural associations as happened today in Viterbo”. Thus in a note the Minister of Agriculture, Food Sovereignty and Forestry, Francesco Lollobrigida. “In Italy, since its inauguration, our Government has returned centrality to agriculture and has taken sides in the context of the EU in defense of the sector, without fear of carrying out fair battles in defense of agriculture, livestock and fishing. need – is the minister’s appeal – for a common front between institutions and the Italian production system to enhance our potential and strengthen the European Union, different from the current one, in line with what those who founded it intended”. Coldiretti, whose flag was burned in Viterbo as a sign of protest, “is responsible for the battle against synthetic food that Italy is also leading in Europe with exceptional results. It makes no sense – adds Lollobrigida – that the front of farmers becomes that of fighting other farmers who feel represented by the associations. And this is why, aware of the validity of the requests promoted by this world, I express solidarity with Coldiretti, hoping that no man or woman, no agricultural entrepreneur will devalue their commitment to defend work, land, production, with actions that have nothing to do with the principles of respect, freedom and democracy that must never be missing and of which, farmers themselves, are the most relevant symbol”, concludes the minister .

Field day also in Calabria. Garrisons on many main roads and two meetings scheduled in the Region in an attempt to find mediation: today is a fundamental day on the farmers’ protest front in Calabria. The most important measures are underway in the Catanzaro and Crotone areas. Long queues in Botricello and Cropani Marina, on state road 106. The mayors of the two municipalities in the Catanzaro area, Saverio Simone Puccio and Raffaele Mercurio, after discussions with the prefect of Catanzaro Enrico Ricci, have obtained a technical table that will be held in the morning in the Region and which will be followed by a second meeting with the farmers of the Crotone area. There are many inconveniences to road traffic.

In Emilia Romagna this morning the departure of the protest procession on board their tractors is moving from the municipality of Russi (RA) towards Ravenna.

In Foggia, tractors invaded city

Over 400 tractors, but the number could be higher, invaded the city of Foggia this morning from all over the province. Starting from a Green Park service station along state road 16 in the stretch that connects Foggia to San Severo, they marched on Foggia, entering the city and moving to the city center in Piazza Cavour to the sound of horns. A peaceful and authorized protest which saw the participation of farmers from across the province, from the Dauni Mountains to the Gargano passing through the Tavoliere plain.

For a few days, farmers in the province of Foggia with their tractors have been carrying out patrols along rest areas and pitches in many parts of the Capitanata area. A few days ago there was also a meeting with the prefect of Foggia Maurizio Valiante and the parliamentarians of the area to take stock of the situation and seek possible solutions. A table that could meet again in the next few days. A protest that – farmers guarantee – will continue until they get answers.

A coffin for the tractor protest in Avellino Area

The second day of protest began in the late morning, after yesterday morning in Avellino, by farmers and agricultural entrepreneurs from Irpinia. Over one hundred tractors have concentrated in the industrial area of ​​Flumeri and from here they will reach the center of Grottaminarda in a procession which will end near the A16 Napoli-Canosa motorway toll booth. Numerous mayors and local administrators supported the protest from which union flags and party symbols were banned. A coffin, symbol of Made in Italy, was placed on a tractor, on another vehicle a green mannequin was shown, hanged to symbolize the critical issues of agricultural companies “harassed by EU agricultural policies, forced to sell products below cost, and dealing with increasingly high land taxation”. A new protest is planned for tomorrow in front of the Avellino headquarters of the Campania Region.

In Udine. The farmers’ protest arrived in the Friulian city to protest against European policies in the sector and, in particular, the world of politics, trade unions and institutions in general, and to ask for initiatives in favor of young people who work in the sector. About seventy tractors of agricultural vehicles of various types gathered this morning in the parking lot of the Udine Stadium, coming from various locations in Friuli. The demonstrators organized themselves spontaneously by meeting and then marched in a procession to Piazza Primo Maggio. The demonstration broke up shortly after and took place without any problems but only some traffic inconveniences. The police forces present monitored the progress of the initiative.

Protesta dei trattori a Torino, bruciata la bandiera dell’Europa

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/01/28/protesta-dei-trattori-a-torino-bruciata-la-bandiera-delleuropa_bc5176c0-45c0-41dd-b1d3-b03fd6dafc39.html

Nuova protesta degli agricoltori, con i loro trattori, nei pressi del casello autostradale di Orte.

Secondo quanto risulta all’ANSA, la dimostrazione interessa in particolare il piazzale antistante, praticamente appena fuori l’A1, sul prato della rotatoria centrale. I trattori hanno attraversato le strade che portano al casello ed è previsto che resteranno un po’ nella zona. Al momento l’entrata autostradale non è bloccata.

Protesta a Torino, bruciata la bandiera dell’Europa. Protesta per ‘difendere l’agricoltura italiana’ nel centro di Torino. Montato un palco improvvisato in piazza Castello per una iniziativa firmata dalla ‘Variante torinese’ nata nel 2020 per opporsi alle restrizioni e ai vaccini contro il Covid e dal Comitato per i diritti umani Piemonte. Sul palco il leader della Variante Marco Liccione, che ha bruciato una bandiera dell’Unione Europea. ‘L’ho fatto perché la Ue ha fallito e vogliamo uscirne’, ha detto. Alla protesta hanno partecipato “centinaia di persone”, secondo gli organizzatori, molti i passanti che si sono fermati ad osservare. Su cartelli e striscioni i manifestanti hanno scritto, tra l’altro, “La nostra terra è la nostra vita”, “Difendiamo l’agricoltura italiana dagli interessi delle multinazionali e dalla nostra politica incapace di reagire”, “Salviamo la nostra agricoltura dagli abusi alimentari”.

“Stiamo paralizzando il Paese ed andremo a Roma. Tra ieri e oggi sono nate altre centinaia di comitati, siamo l’Italia buona e non molleremo mai”. Così, dal palco allestito in piazza Castello a Torino, Danilo Calvani, presidente del Comitato agricoltori traditi, alla manifestazione “a difesa dell’agricoltura italiana”, organizzata da Coordinamento Piemonte per i Diritti Umani’, Casa del Popolo, Comitati Riuniti Agricoli-Cittadini Italiani e La Variante Torinese. “Dal 22 gennaio – ha aggiunto Calvani – abbiamo iniziato una mobilitazione a oltranza, da nord a sud, del mondo agricolo, in rivolta contro la politica della Ue e dello Stato italiano che fa accordi con la Ue ma soprattutto contro Coldiretti, Cia e Confagricoltura: non ci rappresentano, anzi sono il cancro principale di noi agricoltori. La nostra – ha detto ancora il leader del Comitato agricoltori traditi – è una battaglia che appartiene a tutti i consumatori, contro i vergognosi diktat che stiamo subendo dalla Ue. Invito tutti gli italiani ad appoggiarci in una guerra che vinceremo”. Sul palco in piazza Castello si sono alternati al microfono anche attivisti provenienti dalla Francia, tra i quali Francois Marie Periér, fondatore del movimento GreLive a Grenoble, nato per “la libertà e la verità sul Covid”.

Protesta ad Alessandria. Raduno di protesta con 250 trattori, alla periferia di Alessandria, fino al 3 febbraio, promosso dal Coordinamento agricoltori autonomi di Alessandria e Asti. Il presidio, avviato ieri, in Viale Milite Ignoto, segna l’avvio di una serie di iniziative: oggi pomeriggio i promotori hanno organizzato la ‘Giornata didattica dell’agricoltura’ per “invitare famiglie e bambini a conoscere il mondo dell’agricoltura, spiegata direttamente dai produttori”. Domani pomeriggio gli agricoltori che hanno aderito al coordinamento andranno, a piedi, in corteo a piedi dal presidio fino a piazza della Libertà, dove terranno un comizio davanti a Palazzo Ghilini, sede della Prefettura. Mercoledì un altro corteo, questa volta di trattori, diretto verso la tangenziale e il casello di Alessandria Ovest della autostrada A21 Torino-Piacenza. La chiusura del presidio è prevista sabato 3 febbraio: per quella data gli Agricoltori Autonomi hanno invitato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio. “La nostra è una protesta apolitica, nel pieno rispetto della legalità – rimarcano Gabriele Ponzano e Gian Piero Ameglio, portavoce del Movimento – non contro qualcuno, ma per qualcuno: per il futuro delle nostre famiglie e aziende. E garantire cibo sano e italiano”.

Manifestazione nel Metapontino. Un documento in undici punti – presi da un Piano nazionale già pronto – è alla base delle assemblee che Cia-Agricoltori ha organizzato in Basilicata, a partire da domani, per mettere in primo piano la sofferenza del mondo agricolo. La situazione del comparto ha avuto una prima manifestazione oggi, nel Metapontino, con un corteo di trattori e altri mezzi che hanno percorso a velocità ridotta la statale Jonica. Da domani, le prime assemblea si svolgeranno nel Vulture-Alto Bradano: il documento è stato inviato ai sindaci, ai presidenti della Province di Potenza e Matera e ai capigruppo del consiglio regionale. Cia-Agricoltori ha elencato i punti “al centro” delle rivendicazioni del settore: reddito delle imprese agricole, valore lungo la filiera, centralità delle aree interne e dell’agricoltura familiare, stop al consumo di suolo, risorsa acqua, emergenza fauna selvatica, revisione della politica agricola comunitaria, crisi climatica, fitofarmaci, mercati internazionali e costi di produzione.

In piazza ad Avellino. Arriva anche in Irpinia la protesta di agricoltori e imprenditori agricoli contro le politiche europee, i tagli ai benefit su gasolio e il ripristino dell’aliquota Irpef alla soglia più alta: decine di trattori ed altri mezzi agricoli hanno occupato oggi Piazza Kennedy, nel centro di Avellino. Cartelli e striscioni sono stati esposti contro il caro-prezzi: “Siamo allo stremo – hanno detto gli agricoltori – per colpa di politiche che non tutelano il lavoro e la filiera agricola nazionale”. Domani, a Grottaminarda, nuova manifestazione con corteo che si concluderà nei pressi del casello autostradale dell’A16 Napoli-Canosa. Martedì, invece, è annunciato un presidio presso la sede di Avellino della Regione Campania nel centro direzionale di Collina Liguorini.

Fonte: ANSA

English translate

New protest by farmers, with their tractors, near the Orte motorway toll booth.

According to what ANSA understands, the demonstration particularly concerns the square in front, practically just outside the A1, on the lawn of the central roundabout. The tractors have crossed the roads leading to the toll booth and are expected to remain in the area for a while. At the moment the motorway entrance is not blocked.

Protest in Turin. The European flag burned. Protest to ‘defend Italian agriculture’ in the center of Turin. An improvised stage has been set up in Piazza Castello for an initiative signed by the ‘Turinese Variant’ born in 2020 to oppose the restrictions and vaccines against Covid and by the Piedmont Human Rights Committee. On stage the leader of the Variante Marco Liccione, who burned a European Union flag. ‘I did it because the EU has failed and we want to get out of it,’ he said. According to the organizers, “hundreds of people” participated in the protest, with many passers-by stopping to observe. On placards and banners the demonstrators wrote, among other things, “Our land is our life”, “We defend Italian agriculture from the interests of multinationals and from our politics incapable of reacting”, “Let’s save our agriculture from abuse food”.

“We are paralyzing the country and we will go to Rome. Between yesterday and today, hundreds more committees were born, we are the good Italy and we will never give up”. Thus, from the stage set up in Piazza Castello in Turin, Danilo Calvani, president of the Betrayed Farmers Committee, at the demonstration “in defense of Italian agriculture”, organized by the Piedmont Coordination for Human Rights, Casa del Popolo, Comitati Riuniti Agricoli-Cittadini Italians and the Turin Variation. “Since January 22 – added Calvani – we have begun an all-out mobilization, from north to south, of the agricultural world, in revolt against the policy of the EU and the Italian State which makes agreements with the EU but above all against Coldiretti, Cia and Confagricoltura : they do not represent us, in fact they are the main cancer of us farmers. Ours – the leader of the Betrayed Farmers Committee continued – is a battle that belongs to all consumers, against the shameful diktats that we are suffering from the EU. I invite all Italians to support us in a war that we will win”. On the stage in Piazza Castello, activists from France also took turns at the microphone, including Francois Marie Periér, founder of the GreLive movement in Grenoble, born for “freedom and the truth about Covid”.

Protest in Alessandria. Protest rally with 250 tractors, on the outskirts of Alessandria, until February 3, promoted by the Coordination of autonomous farmers of Alessandria and Asti. The demonstration, launched yesterday, in Viale Milite Ignoto, marks the start of a series of initiatives: this afternoon the promoters organized the ‘Agriculture Educational Day’ to “invite families and children to learn about the world of agriculture, explained directly from the producers”. Tomorrow afternoon the farmers who have joined the coordination will go, on foot, in a procession from the garrison to Piazza della Libertà, where they will hold a rally in front of Palazzo Ghilini, headquarters of the Prefecture. On Wednesday another procession, this time of tractors, headed towards the ring road and the Alessandria Ovest toll booth of the A21 Turin-Piacenza motorway. The closure of the garrison is scheduled for Saturday 3 February: for that date the Autonomous Farmers have invited the president of the Piedmont Region Alberto Cirio. “Ours is an apolitical protest, in full respect of legality – underline Gabriele Ponzano and Gian Piero Ameglio, spokesperson for the Movement – not against someone, but for someone: for the future of our families and companies. And to guarantee healthy, Italian food” .

Demonstration in the Metaponto area. An eleven-point document – taken from a ready national plan – is the basis of the assemblies that Cia-Agricoltori has organized in Basilicata, starting tomorrow, to highlight the suffering of the agricultural world. The situation in the sector had its first manifestation today, in the Metaponto area, with a procession of tractors and other vehicles that traveled along the Jonica state road at reduced speed. From tomorrow, the first meetings will take place in Vulture-Alto Bradano: the document has been sent to the mayors, the presidents of the Provinces of Potenza and Matera and the group leaders of the regional council. Cia-Agricoltori listed the points “at the centre” of the sector’s demands: income of agricultural businesses, value along the supply chain, centrality of internal areas and family farming, stop to land consumption, water resource, wildlife emergency, revision of community agricultural policy, climate crisis, pesticides, international markets and production costs.

In the square in Avellino. The protest of farmers and agricultural entrepreneurs against European policies, the cuts to diesel benefits and the restoration of the Irpef rate to the highest threshold also arrives in Irpinia: dozens of tractors and other agricultural vehicles occupied Piazza Kennedy today, in the center of Avellino. Signs and banners were displayed against the high prices: “We are exhausted – said the farmers – due to policies that do not protect work and the national agricultural supply chain”. Tomorrow, in Grottaminarda, a new demonstration with a procession that will end near the A16 Napoli-Canosa motorway toll booth. On Tuesday, however, a demonstration was announced at the Avellino headquarters of the Campania Region in the Collina Liguorini business center.

Source: ANSA

Il mio nonno materno Carmine Palermo, nato a Contrada Porcini nella campagna Ovest di Scurcola Marsicana il 25 Novembre 1930 e deceduto per cancro al fegato al Presidio Ospedaliero di Pescina il 30 Gennaio 2015 alle ore 1.20 AM
My grandfather Carmine Palermo born in Contrada porcini, in the countryside Ovest of Scurcola Marsicana on November 25th 1930 and died for a liver cancer in the Pescina Hospital facility on January 30th 2015 at 1.20 AM
http://www.infinitamemoria.it/cimiteri/abruzzo/l-aquila/scurcola-marsicana/cimitero-comunale-di-scurcola-marsicana/memorial/carmine-palermo

Bruxelles, mille trattori per le strade della città: blocchi e roghi | Lancio di bottiglie contro l’Europarlamento: abbattuta una statua | Quattro fermi

Gli agricoltori, arrivati da tutta Europa per protestare contro la Politica agricola comune (Pac) e il Green Deal, hanno bloccato e occupano da ore Place de Luxembourg

Almeno mille trattori hanno bloccato diverse strade di Bruxelles, in particolare in prossimità del quartiere europeo, dove sono presenti i leader Ue per il Consiglio europeo straordinario.

Gli agricoltori, arrivati da tutta Europa per protestare contro la Politica agricola comune (Pac) e il Green Deal, hanno bloccato Place de Luxembourg, davanti alla sede del Parlamento europeo, e hanno appiccato alcuni roghi con legna e pneumatici. Molte le esplosioni di petardi. Il sindaco di Bruxelles: “Fermate quattro persone”.

Bottiglie e uova contro l’Europarlamento, idranti sui manifestanti

Circa cento agricoltori hanno lanciato bottiglie e uova contro la sede del Parlamento europeo all’ingresso principale situato a Place de Luxembourg. La polizia, schierata in tenuta anti-sommossa dietro alle transenne posizionate lungo tutto il perimetro, ha azionato gli idranti. I manifestanti, presenti nelle vie adiacenti all’Eurocamera con centinaia di trattori, hanno fatto esplodere anche numerosi petardi al grido di “Senza agricoltori non c’è agricoltura”.

Il sindaco di Bruxelles: quattro fermi

Le autorità belghe hanno finora disposto quattro fermi amministrativi per l’assedio dei trattori, secondo quanto ha indicato il sindaco della capitale belga, Philippe Close, ai microfoni di Rtl. Gli agricoltori giunti in città, ha detto, “sono più del previsto: avevamo stimato 800 trattori e invece sono 1.300 con oltre 2mila persone. Siamo riusciti a concentrare i trattori nel distretto UE e allo stesso tempo si è potuto tenere il vertice La priorità è il dialogo, ma la polizia è pronta se la situazione dovesse degenerare”. 

Abbattuta una statua

Gli agricoltori hanno anche abbattuto una delle sculture storiche presenti a Place du Luxembourg, risalente al 1872, davanti alla sede del Parlamento europeo. La statua fa parte del complesso monumentale John Cockerill, in memoria del pioniere dell’industria siderurgica e della ferrovia in Belgio. La statua giace ora a terra sul prato al centro della piazza, circondata da nuovi roghi appiccati questa mattina dagli agricoltori e alimentanti con legna e pneumatici. Su un’altra statua del monumento è stato affisso il cartello: “People of Europe, say no to despotism” (“Popoli d’Europa, dite no al dispotismo”). 

Coldiretti: obiettivo che l’Ue non ci tolga altre risorse

Oggi al Consiglio europeo “si discute anche di bilancio” e “il primo obiettivo è fare in modo che non vengano tolte altre risorse all’agricoltura come è successo nei decenni passati. Questo potrebbe già essere un ulteriore segnale ai nostri imprenditori”, ha detto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, parlando a Place Luxembourg davanti al Parlamento europeo, dove è in corso la maxi-mobilitazione dei trattori provenienti da tutta Europa. “Al primo punto c’è la volontà di togliere tutti quelli che sono i vincoli che da Timmermans in poi hanno cercato di inserire con regole che penalizzano la capacità produttiva UE”, ha sottolineato.

Autostrade per Parigi sempre bloccate dai trattori

Intanto, la protesta degli agricoltori continua anche in Francia. Resta difficile raggiungere Parigi dalle 8 autostrade che conducono nella capitale e che sono tuttora bloccate dai trattori nell’Ile-de-France. Il prefetto ha rafforzato con 24 compagnie di celerini il dispositivo a protezione dei siti più cruciali per la distribuzione nella capitale, dove sugli scaffali dei supermercati si vedono gli effetti dei primi accaparramenti nel timore di una scarsità dei prodotti.

English translate

Brussels, a thousand tractors on the streets of the city: blockades and fires | Throwing bottles at the European Parliament: a statue torn down | Four arrested

Farmers, who arrived from all over Europe to protest against the Common Agricultural Policy (CAP) and the Green Deal, have blocked and occupied Place de Luxembourg for hours

At least a thousand tractors blocked several streets in Brussels, particularly near the European Quarter, where EU leaders are present for the extraordinary European Council.

The farmers, who arrived from all over Europe to protest against the Common Agricultural Policy (CAP) and the Green Deal, blocked Place de Luxembourg, in front of the European Parliament, and started some fires with wood and tyres. Many firecracker explosions. The mayor of Brussels: “Stop four people”.

Bottles and eggs against the European Parliament, water cannons on the demonstrators

Around one hundred farmers threw bottles and eggs at the European Parliament building at the main entrance located on Place de Luxembourg. The police, lined up in anti-riot gear behind the barriers positioned along the entire perimeter, activated the water cannons. The demonstrators, present in the streets adjacent to the European Chamber with hundreds of tractors, also set off numerous firecrackers shouting “Without farmers there is no agriculture”.

The mayor of Brussels: four arrested

The Belgian authorities have so far placed four administrative stops for the siege of the tractors, according to what the mayor of the Belgian capital, Philippe Close, told RTL. The farmers who arrived in the city, he said, “are more than expected: we had estimated 800 tractors and instead they are 1,300 with over 2 thousand people. We managed to concentrate the tractors in the EU district and at the same time the summit was able to be held. The priority is dialogue, but the police are ready if the situation escalates.”

A statue torn down

The farmers also knocked down one of the historic sculptures on Place du Luxembourg, dating back to 1872, in front of the European Parliament. The statue is part of the John Cockerill monumental complex, in memory of the pioneer of the steel industry and the railway in Belgium. The statue now lies on the ground on the lawn in the center of the square, surrounded by new fires set by farmers this morning and fueled with wood and tyres. On another statue of the monument the sign was posted: “People of Europe, say no to despotism” (“People of Europe, say no to despotism”).

Coldiretti: objective that the EU does not take away any more resources

Today at the European Council “we are also discussing the budget” and “the first objective is to ensure that further resources are not taken away from agriculture as has happened in past decades. This could already be a further signal to our entrepreneurs”, he said the president of Coldiretti, Ettore Prandini, speaking at Place Luxembourg in front of the European Parliament, where the maxi-mobilization of tractors from all over Europe is underway. “The first point is the desire to remove all the constraints that from Timmermans onwards they have tried to insert with rules that penalize EU production capacity”, he underlined.

Highways to Paris always blocked by tractors

Meanwhile, farmers’ protests also continue in France. It remains difficult to reach Paris from the 8 motorways that lead to the capital and which are still blocked by tractors in the Ile-de-France. The prefect has strengthened with 24 emergency response companies the device to protect the most crucial sites for distribution in the capital, where the effects of the first hoardings can be seen on the supermarket shelves in fear of a shortage of products.

Source: TGcom24

Milano, 250 trattori bloccano le strade: chiuse anche due uscite dell’autostrada (e non è finita)

La protesta degli agricoltori martedì ha creato disagi nel Sud Milano. E il presidio va avanti

Trattori in marcia. Martedì quasi 300 agricoltori, con il numero che è cresciuto nel corso delle ore, si sono ritrovati a Melegnano, accanto alla barriera di Milano sud, per protestare contro alcune misure contenute nella politica agricola comune europea, Pac, e nel Green deal, in cui sono presenti dei vincoli che li coinvolgono. Loro ne vogliono meno e chiedono più incentivi, oltre a un taglio delle tasse.

I manifestanti, provenienti in particolare dalle province di Milano, Pavia e Lodi, sono guidati dal coordinamento nazionale di ‘Riscatto Agrario’. Filippo Goglio, organizzatore del presidio, ha spiegato: “Andando avanti così rischiamo tutti, prima o poi, di chiudere. Non siamo contro il Governo: siamo per l’Italia. Ecco perché come simbolo della nostra battaglia abbiamo scelto la bandiera italiana con il trattore raffigurato”. Tra i motivi della mobilitazione anche il no alle carni sintetiche e la difesa del made in Italy. 

Se in mattinata gli agricoltori erano rimasti fermi in uno spazio verde nei pressi dei caselli, nel pomeriggio 250 mezzi si sono messi in marcia sulla provinciale Binasca e sulla via Emilia, bloccando di fatto le provinciali e un tratto di autostrada. 

Poco prima delle ore 16:30, infatti, “sulla A1 Milano-Napoli sono state temporaneamente chiuse la stazione di Melegnano, in entrata per chi è diretto verso Milano e in uscita per chi proviene da Milano e lo svincolo di Binasco, in uscita per chi proviene da Bologna, a causa di una manifestazione in corso sulla viabilità ordinaria”, ha fatto sapere Autostrade. La situazione è tornata alla normalità soltanto verso le 21, anche se i manifestanti sono rimasti in presidio anche di notte. 

Le manifestazioni, infatti, non sono terminate. Ancheo oggi, mercoledì 31 gennaio, e per i prossimi tre giorni, gli agricoltori protesteranno alla stessa maniera. E non è escluso che il numero dei partecipanti sia maggiore. 

Fonte: Milano Today

English translate

Milan, 250 tractors block the roads: two motorway exits also closed (and it’s not over)

The farmers’ protest on Tuesday created inconvenience in southern Milan. And the garrison continues

Tractors running. On Tuesday almost 300 farmers, with the number growing over the hours, met in Melegnano, next to the southern Milan barrier, to protest against some measures contained in the common European agricultural policy, CAP, and in the Green deal, in which there are constraints that involve them. They want less and ask for more incentives, as well as a tax cut.

The demonstrators, coming in particular from the provinces of Milan, Pavia and Lodi, are led by the national coordination of ‘Riscatto Agrario’. Filippo Goglio, organizer of the demonstration, explained: “By going on like this we all risk, sooner or later, closing down. We are not against the Government: we are for Italy. This is why as a symbol of our battle we have chosen the Italian flag with the tractor pictured”. Among the reasons for the mobilization also the no to synthetic meat and the defense of Made in Italy.

If in the morning the farmers had remained stationary in a green space near the toll booths, in the afternoon 250 vehicles set off on the Binasca provincial road and on the Via Emilia, effectively blocking the provincial roads and a stretch of the motorway.

Just before 4.30 pm, in fact, “on the A1 Milan-Naples the Melegnano station was temporarily closed, at the entrance for those heading towards Milan and at the exit for those coming from Milan and the Binasco junction, at the exit for those coming from Bologna, due to an ongoing demonstration on ordinary roads”, Autostrade said. The situation returned to normal only around 9pm, even though the demonstrators remained present even at night.

The demonstrations, in fact, are not over. Even today, Wednesday 31 January, and for the next three days, farmers will protest in the same way. And it is not excluded that the number of participants will be greater.

Source: Milano Today

La protesta degli agricoltori travolge anche le Madonie: 500 trattori in marcia

Partendo da Resuttano hanno attraversato Alimena, Buonpietro e Petralia Soprana: “Non riusciamo più a vivere del nostro lavoro, il presidente della Regione e l’assessore all’Agricoltura ci ascoltino e portino le nostre voci a Roma e in Europa”. L’assessore Sammartino: “Vicino ai lavoratori”

La protesta degli agricoltori nelle Madonie
https://www.palermotoday.it/cronaca/protesta-agricoltori-madonie-febbraio-2024.html

La protesta dei trattori arriva anche sulle Madonie. Questa mattina (primo febbraio) 500 mezzi agricoli e altrettanti lavoratori del comparto hanno infatti attraversato le principali strade dei comuni delle Alte Madonie, partendo dal ponte di Resuttano (in provincia di Caltanissetta) e passando per Alimena, Bompietro e Petralia Soprana, sulla provinciale 19 e la statale 290. 

“Non riusciamo più a vivere del nostro lavoro – spiega Aldo Mantegna, allevatore di Gangi – e ai rincari sulle materie prime e sul gasolio, che gravano sulle nostre tasche, non si sono accompagnate misure di sostegno né l’aumento del prezzo di vendita dei nostri prodotti. Così non possiamo andare avanti. Ci rivolgiamo al presidente della Regione, Renato Schifani, e all’assessore all’Agricoltura, vogliamo che prendano una posizione chiara rispetto alle proteste: sono dalla parte degli agricoltori, degli allevatori e dei consumatori siciliani? Se sì, chiediamo che intervengano sulle materie di loro competenza e che si facciano portavoce con il governo nazionale ed europeo”. 

I manifestanti inoltreranno un documento con alcune rivendicazioni più urgenti, con la richiesta di convocazione di un incontro a cui possano prendere parte rappresentanti del comitato madonita e i massimi rappresentanti della Regione e del comparto, entro una settimana. In assenza di riscontro, torneranno in piazza con iniziative più incisive. 

“Chiediamo la revisione della Pac, con particolare attenzione alla deroga del 2023 Bcaa 8, che introduce l’obbligo di lasciare il 4% delle aree seminative non produttivo – spiega Tiziana Albanese, a nome del Comitato spontaneo delle Madonie – abolizione definitiva dell’Irpef agricola e dell’Imu, l’adeguamento dei prezzi dei prodotti agricoli proporzionato all’aumento dei costi di produzione, la fissazione di un tetto massimo prezzo carburante agricolo, il pagamento immediato dei contributi Pac e Psr, l’immediato decreto di declaratoria di calamità naturale per l’annata agraria 2023/2024, l’aumento dei controlli sulle merci (sia le materie prime che i prodotti finiti) importate in Italia, che devono osservare gli stessi protocolli imposti sulla produzione locale”. 

“Aggiungiamo anche alcune richieste specifiche del nostro territorio – conclude Santa Gangi, portavoce del comitato – specialmente interventi di controllo e contenimento della fauna selvatica, interventi di manutenzione stradale per garantire il raggiungimento delle aziende del territorio da parte di auto, mezzi agricoli e mezzi per i rifornimenti e il trasporto dei prodotti. La Sicilia e le Madonie hanno una forte vocazione agricola, ma senza interventi urgenti a favore del comparto rischiamo di svendere i nostri terreni e allevamenti, frutto del sacrificio dei nostri padri e dei nostri nonni. Ne vale della possibilità di scegliere di restare qui e non emigrare”. 

L’assessore Sammartino: “Vicino ai lavoratori”

“Rinnovo la mia vicinanza ai lavoratori del comparto agricolo che in questi giorni manifestano contro le politiche dell’Unione europea, troppo spesso distanti dai bisogni reali dei territori”. Lo afferma l’assessore regionale all’Agricoltura, Luca Sammartino, manifestando solidarietà e sostegno agli agricoltori. “Incontrerò presto i loro rappresentanti per raccogliere proposte. L’ascolto è alla base del lavoro messo in campo in questi mesi, come gli aiuti economici alle imprese in ginocchio per i rincari del carburante e dell’energia e le battaglie che ho portato avanti in commissione Politiche agricole a tutela dei consumatori e dei prodotti della nostra terra, anche per l’utilizzo di etichette visibili negli alimenti contenenti farine derivate da insetti. Ieri  – conclude Sammartino – ho chiesto al presidente Schifani di dichiarare lo stato di calamità naturale per la siccità. La situazione del comparto è molto delicata e non faremo mancare il nostro sostegno”.

Fonte: Palermo Today

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The farmers’ protest also overwhelms the Madonie: 500 tractors marching

Starting from Resuttano they crossed Alimena, Buonpietro and Petralia Soprana: “We can no longer live from our work, the president of the Region and the councilor for Agriculture listen to us and bring our voices to Rome and Europe”. Councilor Sammartino: “Close to the workers”

The tractor protest also reaches the Madonie mountains. This morning (1st February) 500 agricultural vehicles and as many workers in the sector crossed the main roads of the municipalities of the Alte Madonie, starting from the Resuttano bridge (in the province of Caltanissetta) and passing through Alimena, Bompietro and Petralia Soprana, on provincial road 19 and state highway 290.

“We can no longer live off our work – explains Aldo Mantegna, a farmer from Gangi – and the increases in raw materials and diesel, which weigh on our pockets, have not been accompanied by support measures or an increase in the selling price of the our products. We cannot go on like this. We turn to the President of the Region, Renato Schifani, and the Councilor for Agriculture, we want them to take a clear position regarding the protests: are they on the side of Sicilian farmers, breeders and consumers? If so, we ask that they intervene on the matters within their competence and that they act as spokespersons with the national and European government”.

The protesters will forward a document with some more urgent demands, with the request to convene a meeting in which representatives of the Madonita committee and the highest representatives of the Region and the sector can take part, within a week. In the absence of feedback, they will return to the streets with more incisive initiatives.

“We ask for the review of the CAP, with particular attention to the 2023 BCAA 8 exemption, which introduces the obligation to leave 4% of the arable areas non-productive – explains Tiziana Albanese, on behalf of the Madonie Spontaneous Committee – definitive abolition of the Irpef agricultural and IMU, the adjustment of the prices of agricultural products proportionate to the increase in production costs, the setting of a maximum agricultural fuel price ceiling, the immediate payment of CAP and PSR contributions, the immediate decree declaring disasters natural for the 2023/2024 agricultural year, the increase in controls on goods (both raw materials and finished products) imported into Italy, which must observe the same protocols imposed on local production”.

“We also add some specific requests from our territory – concludes Santa Gangi, spokesperson of the committee – especially interventions for the control and containment of wild fauna, road maintenance interventions to ensure that cars, agricultural vehicles and vehicles can reach local companies. supplies and transport of products. Sicily and the Madonie have a strong agricultural vocation, but without urgent interventions in favor of the sector we risk selling off our land and livestock, the result of the sacrifice of our fathers and grandfathers. It is worth the possibility of choosing to stay here and not emigrate”.

Source: Palermo Today

Agricoltori riuniti a Vasto: «Non ci fermiamo, il 2 febbraio corteo da Fossacesia ad Atessa»

Vasto 1 febbraio 2024 in Economia E Lavoro

La data è il 2 febbraio. I trattori sfileranno da Fossacesia ad Atessa. La grande manifestazione degli agricoltori abruzzesi si farà: «Se ci fermiamo, non abbiamo vinto», scandisce Ignazio Barducci, portavoce del presidio Atessa-Val di Sangro, nell’incontro cui partecipano a Vasto più di cento agricoltori. La sera di mercoledì 31 gennaio è il giorno dell’assemblea nel salone parrocchiale della chiesa di San Paolo. Posti a sedere esauriti, c’è la voglia di non fermarsi al presidio della scorsa settimana di decine di trattori davanti ai due caselli di autostradali di Vasto.

Il 23 febbraio il corteo dei mezzi agricoli partirà da Fossacesia Marina e punterà verso Atessa, dove sarà allestito un presidio in piazza Abruzzo. Alle 15 i motori si riaccenderanno per salire in paese e ritrovarsi in piazza Garibaldi. Costo del gasolio, tasse e PAC (Politica Agricola Comunitaria): soprattutto contro questo torneranno a protestare gli agricoltori. «I nostri problemi sono causati dall’Unione europea», sostiene Nicolino Torricella, presidente della cooperativa Euro ortofrutticola del Trigno di San Salvo. «Perfino la grandezza delle zucchine viene decisa da Bruxelles».

Agricoltori ieri sera in assemblea a Vasto
https://chiaroquotidiano.it/2024/02/01/agricoltori-riuniti-a-vasto-la-protesta-prosegue-il-23-febbraio-corteo-da-fossacesia-ad-atessa/

«I prodotti italiani sono i migliori del mondo», tuona Nicola Giarrocco. «Noi vogliamo essere i principali attori del nostro destino», ma «ci sono le associazioni di categoria che dovrebbero rappresentarci e non lo fanno».

Michele Bosco, presidente dell’associazione Terre di Punta Aderci, coordina l’incontro e sollecita i presenti a dire quello che pensano. «Non siamo contrari al fotovoltaico e all’eolico, ma vanno messi dove la terra non è coltivabile», precisa sulla questione emersa in questi giorni.

Gli imprenditori agricoli vogliono organizzarsi: «Dobbiamo – propone Antonio Adami – costituire un’associazione per avere un punto di riferimento dove parlare delle problematiche ed esprimere le nostre necessità». Intanto la protesta non si ferma.

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Farmers gathered in Vasto: «We won’t stop, on February 2nd the procession from Fossacesia to Atessa»

The date is February 2nd. The tractors will parade from Fossacesia to Atessa. The great demonstration of Abruzzo farmers will take place: «If we stop, we haven’t won», says Ignazio Barducci, spokesperson for the Atessa-Val di Sangro garrison, in the meeting attended by more than one hundred farmers in Vasto. The evening of Wednesday 31 January is the day of the assembly in the parish hall of the church of San Paolo. Seats sold out, there is the desire not to stop at last week’s demonstration of dozens of tractors in front of the two motorway toll booths in Vasto.

On 23 February the procession of agricultural vehicles will start from Fossacesia Marina and head towards Atessa, where a garrison will be set up in Piazza Abruzzo. At 3pm the engines will restart to go up to the town and find themselves in Piazza Garibaldi. Cost of diesel, taxes and CAP (Community Agricultural Policy): above all, farmers will return to protest against this. «Our problems are caused by the European Union», claims Nicolino Torricella, president of the Euro fruit and vegetable cooperative of Trigno di San Salvo. “Even the size of the courgettes is decided by Brussels.”

«Italian products are the best in the world», thunders Nicola Giarrocco. «We want to be the main actors of our destiny», but «there are trade associations that should represent us and they don’t».

Michele Bosco, president of the Terre di Punta Aderci association, coordinates the meeting and urges those present to say what they think. «We are not against photovoltaic and wind power, but they should be placed where the land is not cultivable», he specifies on the issue that has emerged in recent days.

Agricultural entrepreneurs want to organize themselves: «We must – proposes Antonio Adami – set up an association to have a point of reference where we can talk about problems and express our needs». Meanwhile, the protest doesn’t stop.

Cos’è la Politica Agricola Comunitaria (PAC)?

La Politica Agricola Comune (PAC) rappresenta l’insieme delle regole che l’Unione europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri.

La PAC, ai sensi dell’articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, persegue i seguenti obiettivi:

  • incrementare la produttività dell’agricoltura;
  • assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola;
  • stabilizzare i mercati;
  • garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;
  • assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/287
https://agriculture.ec.europa.eu/common-agricultural-policy/cap-overview/cap-glance_it
https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/110/il-secondo-pilastro-della-pac-la-politica-di-sviluppo-rurale
https://temi.camera.it/leg19/temi/politiche-europee-e-dello-sviluppo-rurale.html
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/4277
https://www.openpolis.it/parole/cose-la-politica-agricola-comune/
https://temi.camera.it/leg18/temi/tl18_riforma_pac_2014__2020_d_d.html
https://agriculture.ec.europa.eu/common-agricultural-policy/cap-overview/cap-2023-27_it
https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it
https://www.consilium.europa.eu/it/policies/cap-introduction/cap-future-2020-common-agricultural-policy-2023-2027/
https://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2023/03/27/la-nuova-pac-in-sintesi-tutte-le-novita-da-sapere-spiegate-bene/78251
https://www.youtube.com/shorts/L0EMTZZDuCk

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ambientalista, anticapitalista, sportivissimo, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

CLIMATE ACTIVISTS THROW SOUP AT THE MONA LISA IN PARIS AMID FARM PROTESTS

In a video posted on social media, two women are seen throwing soup at the glass protecting Leonardo da Vinci’s piece.

This screen grab taken from footage shows the activists involved in the protest [David Cantiniaux/AFPTV via AFP]
https://www.aljazeera.com/news/2024/1/28/climate-activists-throw-soup-at-the-mona-lisa-in-paris-amid-farm-protests

28 January 2024

Two climate activists have thrown soup at the Mona Lisa at the Louvre Museum in Paris and shouted slogans advocating for a sustainable food system amid farmers’ protests demanding the government address low wages and other problems.

The 16th-century painting by the Italian artist Leonardo da Vinci was not damaged.

In a video posted on social media, two women with the words ‘Riposte Alimentaire’ (food response) written on their T-shirts can be seen throwing soup at the glass protecting one of the world’s most famous paintings and passing under a security barrier to get closer to the painting.

“What’s the most important thing?” they shouted. “Art, or right to a healthy and sustainable food?”

“Our farming system is sick. Our farmers are dying at work,” the added.

The Louvre employees could then be seen putting black panels in front of the Mona Lisa and asking visitors to evacuate the room.

This screen grab taken from footage shows the activists throwing soup [David Cantiniaux/AFPTV via AFP]

‘Civil resistance’

On its website, the “Food Riposte” group said the French government is breaking its climate commitments and called for the equivalent of France’s state-sponsored healthcare system to be put in place to give people better access to healthy food while providing farmers with a decent income.

In a statement sent to the AFP news agency, they said the soup throwing marked the “start of a campaign of civil resistance with the clear demand… of the social security of sustainable food”.

Angry French farmers have been using their tractors for days to set up road blockades and slow traffic across France to seek better remuneration for their produce, less red tape and protection against cheap imports.

On Friday, the government announced a series of measures they said do not fully address their demands. Some farmers threatened to converge on Paris, starting Monday, to block the main roads leading to the capital.

Close Up “The Last Generation”, italian environmentalist movement Ultima Generazione A22 Network

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

L’EUROPA A 30 ALL’ORA: DOVE E’ GIA’ IN VIGORE IL LIMITE

EUROPE AT 30 KM/H: WHERE IT’S LIMIT IN FORCE

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/infografica/l-europa-a-30-all-ora-dove-e-gia-in-vigore-il-limite_76067510-202402k.shtml

La forza del limite di velocità a 30 km/h

https://fiabitalia.it/limite-velocita-30/

Anche FIAB entra nella lista delle tante organizzazioni europee che aderiscono all’iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h. Fiab comuque sostiene questa campagna da tempo, poichè la Federazione Europea di cui fa parte, la ECF (European Cyclist Federation) vi ha aderito sin dall’inizio.

L’adesione diretta di FIAB per rinforzare anche in Italia una campagna importante non solo per i ciclisti ma per tutti gli utenti della strada e per la qualità della vita dei cittadini. Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti.

E’ dimostrato che i 30 km/h funzionano in teoria e in pratica. Facciamo sì che i limiti di velocità nelle nostre città diventino una priorità a livello europeo.  La ECF (European Cyclist Federation) ha sostenuto e continuerà a sostenere l’ iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h.  L’iniziativa vuole impegnare la Commissione Europea a verificare la possibilità di istituire il limite di 30 km/h come velocità standard nelle aree urbane.

Sono molte le ragioni per cui stiamo facendo ciò, sostenendo questo progetto insieme a molte altre organizzazioni in Europa.

Attualmente in genere i limiti di velocità stabiliti nelle aree urbane europee sono di 50 km/h, nonostante in molti casi i limiti siano inferiori. Da una recente analisi sugli incidenti mortali di ciclisti a Londra risulta che praticamente tutti gli incidenti mortali si sono verificati su strade con un limite di velocità di 48 km/h (30 miglie all’ora) o maggiore. La velocità eccessiva costituisce una causa diretta in un quinto circa di tutti gli incidenti ed è uno dei principali fattori che contribuiscono ad un terzo di tutti i morti sulla strada.

E’ stata calcolata la probabilità di incidente mortale se si viene investiti da un’auto a velocità differenti:

  • Se è investito a 40 miglie all’ora (64,4 km/h), il 90 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 30 miglie all’ora, (48,3 km/h), il 20 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 20 miglie all’ora, (32 km/h), il 3 per cento dei pedoni viene ucciso

I 30 km/h funzionano

Uno studio norvegese ha dimostrato che una riduzione del 10% della velocità media del traffico produce una riduzione del 37,8% del numero delle vittime di incidente.

Secondo il British Medical Journal l’introduzione di zone a 20 miglie all’ora (32 km/h) su un periodo di vent’anni (1986 – 2006) ha migliorato in modo significativo la sicurezza stradale per tutti gli utenti di tutte le modalità di trasporto ed età. In particolare, per quanto riguarda i bambini, il dato è che il numero di bambini sotto i 15 anni rimasto ucciso o ferito gravemente si è ridotto della metà nelle aree in cui il limite di velocità è ridotto a 20 miglie all’ora (32 km/h).

Se guardiamo all’esperienza di una città, Graz ne è l’esempio perfetto.  Graz è stata la prima città in Europa ad introdurre una zona 30 a km/h per tutta l’area urbana. E’ stato moderato il traffico per circa 800 km su un totale di 1000 km di strade urbane. Con quali risultati? Dopo i primi 6 mesi c’è stata una riduzione del 24% degli incidenti gravi.

Ma è interessante anche il fatto che in città si sia verificato un incremento della mobilità ciclabile e delle altre forme di trasporto attivo.

L’attuazione convinta del limite di 30 km/h è stata importante per far funzionare il progetto, e sembra aver prodotto risultati positivi senza dover ricorrere a infrastrutture costose. Se le strade sono libere da un traffico veloce, ciò incoraggia più ciclisti a inforcare la propria bici, e allo stesso tempo produce un ambiente più sicuro. La percezione del rischio si è ridotta quanto il rischio stesso: tutti e due sono elementi essenziali per la promozione della mobilità ciclabile.

Sarà sempre più importante trovare modi nuovi e migliori per offrire ai cittadini città più vivibili e sostenibili e ambienti vitali. I nostri sistemi di trasporto giocano e giocheranno un ruolo chiave. Proprio i nostri sistemi di trasporto costituiscono la principale minaccia alle nostre vite nelle aree urbane. Più del crimine o degli incendi o degli incidenti industriali, eppure è dai nostri sistemi di trasporto che dipendiamo per la vita quotidiana.

I 30 km/h possono essere uno strumento utile per affrontare il traffico motorizzato nelle aree urbane e residenziali. Non abbiamo bisogno di andare più veloci di 30 km/h, e dobbiamo valorizzare le forme attive di mobilità per combattere i problemi di salute, le questioni di sicurezza stradale, la congestione e rendere più piacevoli e vivibili i luoghi in cui si cresce e si vive.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Italiani favorevoli al limite dei 30 km/h in città. Appello di FIAB a Governo e maggioranza: ve lo chiedono i cittadini

https://fiabitalia.it/italiani-favorevoli-al-limite-dei-30-km-h-in-citta-appello-di-fiab-a-governo-e-maggioranza-ve-lo-chiedono-i-cittadini/

Un italiano su due è favorevole all’introduzione del limite a 30 km/h sulle strade urbane. Un dato più che incoraggiante per FIAB che su questa proposta politica sta svolgendo un costante lavoro di advocacy nelle istituzioni, a tutti i livelli. Secondo una recente rilevazione Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 51% di un campione rappresentativo della popolazione italiana è a favore di una misura costitutiva delle città 30: ridurre il limite massimo di velocità. La Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta ribadisce che le politiche di moderazione del traffico sommate agli incentivi alla mobilità attiva (più ciclabili e trasporto pubblico locale potenziato) sono strumenti per ridurre drasticamente il numero di collisioni letali e di decessi che purtroppo rappresentano ancora un’emergenza nazionale.

Il sondaggio

Il sondaggio in questione pubblicato da Sky TG24 ha toccato numerose tematiche di transizione ecologica e di mobilità. Una delle città portate ad esempio e che promette di fare scuola in Italia è Bologna, divenuta da pochi giorni città 30 sul modello di altre realtà europee come Parigi. Il sondaggio evidenzia che, tra coloro che si sono espressi a favore, ci sono cittadine e cittadini di ogni orientamento politico, mostrando dunque che l’Italia è pronta a un cambio di passo concreto per aumentare la sicurezza stradale nelle nostre città. La città 30 non è un tema ideologico o divisivo, ma rappresenta un miglioramento della qualità della vita sotto tutti i punti di vista. L’Italia, lo ricordiamo, detiene il primato in Europa per numero di morti in ambito urbano, dove avviene il 70% degli incidenti.

L’appello di FIAB al governo

«Le statistiche dimostrano chiaramente che la prima causa della strage stradale è la velocità in ambito urbano e questo sondaggio certifica che gli italiani lo hanno compreso.  La vita è un diritto, la velocità no, e le cittadine e i cittadini ne sono finalmente consapevoli – afferma Alessandro Tursi, presidente di FIAB Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta che aggiunge -. Ci appelliamo al Governo, alla premier Meloni e al ministro Salvini, oltre che alla maggioranza tutta, affinché ne prendano atto e agiscano per portare a 30 km/h il limite di velocità in città, tutelando così il diritto alla vita e alla salute delle persone».

FIAB ricorda alle istituzioni come la “moderazione della velocità” sia la grande assente dal disegno di legge Salvini di modifica del Codice della Strada. Aggiunge il presidente Tursi: «Rinnoviamo la richiesta di stralciare i dieci punti che colpiscono la mobilità sostenibile, tra cui le limitazioni alle corsie ciclabili, alle ZTL e all’impiego degli autovelox, tutte misure che aggraverebbero la strage stradale anziché contrastarla. In questa direzione FIAB mette come sempre a disposizione del Paese e delle istituzioni, in maniera costruttiva e collaborativa, la propria esperienza e competenza».

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km all’ora, calmare il traffico, calmare il clima

https://fiabitalia.it/30-km-calmare-traffico/

ECF, la Federazione Europea dei Ciclisti alla quale FIAB aderisce, durante la settimana della mobilità sostenibile rilancia la campagna “velocità 30”, e sarà presente il 18 con uno stand di fronte il Parlamento Europeo. FIAB chiede agli italiani di firmare, con un proprio volantino.

Un limite di 30 chilometri all’ora renderebbe le nostre città molto più sicure, riducendo anche le emissioni di carbonio. E di certo non ti farebbe arrivare in ritardo al lavoro.

Essere investiti da un’auto che viaggia a 50 chilometri all’ora corrisponde alla caduta dal terzo piano di un edificio: solo il 50% di probabilità di sopravvivere all’impatto. Invece, se investiti da una che corre a 30 km, le probabilità di sopravvivenza sono del 95%. Eppure i 50 km/h sono il limite di velocità generale nelle città europee, con solo alcune zone o strade che fanno eccezione.

Inutile dire che tu, se devi saltare, scegli il primo piano.

Questa potrebbe essere una ragione sufficiente per ridurre il limite di velocità generale in città a 30 chilometri all’ora, ma c’è di più. In realtà, andando a basse velocità si potrebbe anche contribuire al risparmio di CO2 e di altre emissioni.

Un gruppo di ricercatori della “Rete Globale delle Scienze e Tecnologie Ambientali”, guidati da a Jesus Casanova, ha scoperto che, la riduzione del limite di velocità a 30 km/h sulle strade urbane, non solo non ha alcun impatto sul tempo necessario per completare un viaggio in auto, ma riduce anche le emissioni nocive delle auto, perché meno di carburante viene bruciato.

I ricercatori concludono che la riduzione del limite di velocità non è solo un modo efficiente per rendere più sicuri i pedoni, ma anche per aiutare l’ambiente.

Il limite di 30 km/h è una delle misure promosse dalla campagna Settimana europea della mobilità, con il motto “L’aria pulita: è la tua mossa”. Per ridurre le emissioni e aumentare il numero di persone in bicicletta, quindi meno in auto, l’opzione 30Km/h sembra quasi un trucco di magia.

ECF ha condotto una lunga campagna per i limiti di velocità più bassi in città e sostiene la campagna europea  per 30 chilometri all’ora come limite di velocità in città. Una modifica del limite di velocità “di default” è molto più conveniente per le città di attuare zone 30, in quanto non necessita di alcuna infrastruttura, lavori e segnaletica .

Nel corso della settimana della mobilità (16-22 Settembre), ECF farà altre iniziative per convincere i cittadini a firmare la petizione e promuovere il limite di velocità a 30 km/h.

Uno stand di fronte al Parlamento europeo a Bruxelles, in occasione della manifestazione Sustainable 2Wheels il 18 settembre – per portare le nostre istanze ai  politici giusto davanti al loro posto di lavoro.

Articolo tratto dal sito ECF

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Perchè sosteniamo il limite di velocità di 30 km/h

La European Cyclists Federation, di cui FIAB onlus fa parte, sostiene attivamente l’introduzione del limite di velocità di 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti. In tal modo si può migliorare  il flusso del traffico e diminuire la congestione nelle città, dando ai cittadini la possibilità di sentirsi più sicuri negli spostamenti.

ECF vuole ottenere questi benefici per tutta l’Europa. 30 km/h dovrebbero diventare lo standard della velocità nei villaggi, nelle cittadine e nelle grandi città, con la possibilità per le autorità locali di decidere sulle eventuali esenzioni.

Per questa ragione ECF chiederà alla Commissione Europea di mettere all’ordine del giorno la proposta di introduzione dei limiti 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

ECF sostiene la European Citizen’s Initiative (Iniziativa dei Cittadini Europei o ICE), un’affascinante strumento innovativo previsto dal Trattato di Lisbona. Verrà fatto  ogni sforzo per raccogliere il milione e più di firme necessarie entro un anno provenienti da  almeno sette stati membri della EU.

Perchè sostenere questa iniziativa dei 30 km/h ?

Rod King, ciclista inglese convinto e attivista nella campagna per la sicurezza stradale propone alcune considerazioni a favore dei limiti 30.

Ho iniziato a fare compagna per i limiti 20 e 30 km/h dopo una gita in bicicletta a Hilden, una città tedesca nel Nord-Reno-Westfalia. Lì, grazie all’introduzione nel 1991 del limite 30 su quasi tutte le strade della città sono riusciti ad ottenere che il 23% degli spostamenti avvenissero in bicicletta.

Diminuire la velocità relativa tra automobili e biciclette fu ritenuto come il modo migliore per rendere più sicuro e più attraente l’uso della bici. Per un ciclista che procede a 22 km/h la differenza di velocità tra i 40km/h di un auto è di 18 km/h, che scende a 8 km/h se l’auto procede a 30 km/h. Ciò significa più del doppio del tempo e della distanza per evitarsi l’un l’altro.

Strade Vivibili

Ci sono però ben altre ragioni per cui la velocità 30 km/h in strade urbane e residenziali è così importante. Una tale misura ha effetti benefici, infatti, sia sui pedoni che sugli automobilisti oltre che sui ciclisti. E’ una misura che si riflette in maniera positiva sulla maggior parte della popolazione e non solo su una minoranza di ciclisti. E’ una misura che può migliorare la vivibilità delle strade con benefici in particolare per i bambini e gli anziani, che magari non hanno la prontezza mentale o l’agilità per giudicare la velocità dei veicoli e quindi per evitarli.

E’ anche una misura che fa riflettere sul modo di concepire le strade, sulla condivisione degli spazi pubblici per il bene di tutta la comunità. Pone la questione dei vantaggi di una velocità di 40 km/h+ in strade residenziali e urbane, contrapponendoli a quelli che ne derivano diminuendo tale velocità con la possibilità di camminare e di pedalare con un rischio minore e di avere strade meno rumorose, meno inquinate e una qualità di vita molto migliore.

Benefici per tutti

Naturalmente ridurre la velocità dei veicoli richiede un cambiamento di comportamento e questo può accadere solo quando porta dei vantaggi a coloro che devono operare questo cambiamento.

Il conducente è anche il padre del bambino che vuole andare a scuola a piedi o in bici o è la figlia della persona anziana che vuole poter continuare a recarsi a piedi nei negozi che è abituato a visitare. Si tratta di vedere il conducente come un cittadino che crea una società migliore, avendo capito quali sono i vantaggi che guidare più piano porta all’intera comunità.

Ancora più importante è il fatto che concentrarsi su un’unica, ampiamente benefica iniziativa, unisce ciclisti, pedoni, bambini, anziani, disabili e gruppi che lavorano per il benessere della comunità, tutti insieme, a sostegno di un cambiamento di comportamento. Diventa il catalizzatore per un fondamentale riesame di come condividere lo spazio pubblico. Naturalmente questo non esclude il bisogno di strutture adeguate per la bici, ma fornisce un fondamento per politiche di trasporto più sicure ed eque nelle nostre città.

Ma i benefici universali del limite 30 km/h e il desiderio di cambiare vanno al di là di quelli del singolo paese e possono essere allargati ad un intero continente. Questo è lo scopo della European Cicitizen’s Initiative, che vuole raccogliere e mostrare il sostegno di tutta l’Europa. I ciclisti possono contribuire a fare la differenza non solo per se stessi, ma anche per tutta la società aderendo a questa importante iniziativa.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km/h- Alcuni esempi in Italia e in Europa

CHAMBERY, ALTA SAVOIA FRANCIA – La palma di prima città europea ad avere introdotto zone 30 va alla città francese di Chambery, comune francese di circa 60.000 abitanti nella regione del Rodano-Alpi. Le prime zone 30, poste inizialmente in una parte molto ristretta della città, risalgono al 1979. Sono state gradualmente estese e ricoprono oggi gran parte del territorio urbano. I risultati, dal punto di vista della sicurezza stradale, sono veramente entusiasmanti: se nel 1979 vi erano 453 incidenti all’anno, nel 2006 questa cifra era scesa a 32.

GRAZ, AUSTRIA Graz è una città di 250.000 abitanti, capoluogo della regione della Stiria in Austria. Quando si parla di città 30, viene spesso nominata: è stata infatti la prima a introdurre questa misura di rallentamento del traffico in tutta la superficie urbana, con l’eccezione delle strade di scorrimento. Nel 1992 si cominciò a parlare a Graz di “mobilità dolce” (sanfte Mobilität), fra i cui principi vi è una distribuzione equilibrata dei mezzi di trasporto, compatibilmente con le esigenze della società e dell’ambiente e una pianificazione dell’infrastruttura urbana con la partecipazione dei cittadini.

LONDRA, REGNO UNITO – Fra le grandi città europee che stanno introducendo misure di moderazione del traffico, Londra è una delle più attive. Negli ultimi anni, con una grande impennata a partire dal 2000, sono state introdotte più di 400 zone 30 (20 mph), coprendo ormai l’11% della rete stradale. Esse sono presenti soprattutto in strade di quartiere che presentavano una pericolosità maggiore della media. Si è scelto quasi sempre di usare l’approccio più costoso, ma più efficace, quello che prevede una totale riprogettazione della viabilità nelle zone 30, con dossi, chicane, e altre misure che impongono agli automobilisti velocità più basse.

PARIGI, FRANCIA – Data la storica competizione fra Francia e Inghilterra, Parigi non vuole essere da meno rispetto a Londra. Anche qui infatti le zone 30 sono ai primi posti nell’agenda dell’amministrazione locale. Coprono ormai il 20% del territorio cittadino e nel luglio 2013 è stato deciso di estenderle con l’annuncio di una grande espansione delle zone 30 e la creazione di 21 nuove “zone 20″, oltre alle 15 già esistenti. Le “zone 20″, dette anche “Zone di incontro”, si trovano principalmente nei dintorni delle scuole: qui pedoni e ciclisti hanno sempre la precedenza e i primi non sono obbligati a camminare solo sul marciapiede. Dopo il successo dell’esperimento compiuto nel decimo arrondissement, in cui dall’aprile 2012 alle bici è permesso girare a destra anche a semaforo rosso, questa misura è stata introdotta nel resto delle zone 30. Le zone a velocità ridotta nella capitale francese interessano 560 km di strade urbane, cifra che si traduce in ben il 37% del territorio.

BERLINO, GERMANIA – Anche a Berlino le zone 30 sono diffuse in tutta la città. Qui l’impulso sembra venire principalmente dalle preoccupazioni relative all’inquinamento ambientale: la città infatti va spesso oltre i limiti di inquinamento posti dall’Unione Europea, in particolare quello secondo il quale, facendo una media annuale delle misurazioni, in un metro cubo d’aria non ci devono essere più di 40 microgrammi di diossido d’azoto (NO2). Ma le zone 30 a Berlino non sono una novità. Esse sono state introdotte inizialmente nei dintorni di scuole e asili, e nelle zone in cui erano più frequenti gli incidenti. Oggi coprono circa l’80% delle strade secondarie, e coinvolgono in parte persino le strade principali.

AMBURGO, GERMANIA – L’esperimento che Berlino ha iniziato nel 2007, quando si è deciso di ridurre, durante le ore notturne, la velocità a 30 km/h anche in alcune strade principali, viene ripreso anche da Amburgo: nel luglio 2013 la città anseatica ha avviato la sperimentazione su una sola strada nell’ambito di un progetto che include 100 strade colpite dal problema e candidate a diventare Zone 30 notturne. In generale comunque le zone 30 sono presenti ad Amburgo fin dal 1983. Nel 2011 sono state create 50 nuove zone 30, e oggi dei 4000 chilometri di strade urbane solo in 500 si può andare a 50 km/h.

GRENOBLE, FRANCIA – A metà del 2016 nella maggior parte delle strade nella zona di Grenoble la velocità dei mezzi a
motore sarà limitata a 30 km/h. Lo hanno deciso i sindaci dei 42 comuni membri dell’area Grenoble-AlpesMétropole – in sintesi la “Metro” – impegnandosi a invertire la logica che oggi prevale nelle aree urbane, come ha sottolineato l’ecologista Yann Mongaburu, vicepresidente della “Metro”: “Il limite di 30 km/h sarà la regola, quello di 50 km/h l’eccezione”. Lo riporta il sito del quotidiano francese Le Monde.

CASERTA – Con un’ordinanza dedicata, il sindaco di Caserta, Pio del Gaudio, ha annunciato nel luglio 2013
l’immediata istituzione del limite di 30 km/h in tutte le strade urbane del capoluogo campano.

VICENZA – Mezzi a motore più lenti, bici e pedoni più sicuri. Nel centro storico di Vicenza è entrato in
vigore il limite di velocità di 30 chilometri all’ora: una “zona 30” che era stata annunciata già da qualche
tempo e che – con la posa dei segnali stradali – è diventata operativa il 30 luglio 2015.

AREZZO – Anche Arezzo rallenta: nel pieno dell’inchiesta Bikeitalia sulle città 30 e la loro importanza per la sicurezza stradale e per la promozione della mobilità ciclistica, anche l’amministrazione del Comune
toscano, dopo Caserta, ha reso noto nel luglio 2013 l’introduzione del limite di velocità a 30 km/h
all’interno della zona racchiusa dalle mura. L’obiettivo è quello di favorire la mobilità alternativa
all’automobile ed in particolare gli spostamenti in bicicletta.

TREVISO – Dopo Arezzo e Caserta, il Comune di Treviso è il terzo nel giro di pochi mesi a introdurre il limite di velocità a 30 km/h all’interno del centro urbano. Durante la presentazione del piano (nel settembre 2013), il vicesindaco Roberto Grigoletto ho sottolineato come l’estensione della zona 30 e le nuove piste ciclabili dimostrino la considerazione dell’amministrazione verso ciclisti e pedoni e che questo è solo il primo passo verso la definitiva pedonalizzazione del centro storico.

Informazioni aggiuntive, dati statistici e documenti sul tema 30km/h anche ai seguenti link:

http://fiab-onlus.it/download/04_CaseHistory_30kmh.pdf

30 km/h: 10 motivi per essere favorevoli

L’incidentalità stradale in Italia è la prima causa di morte per i giovani al di sotto dei 25 anni. In un paese a
crescita zero, la tutela dei più giovani dovrebbe essere un dovere morale imprescindibile.
Proprio il senso di pericolo che la strada ci trasmette si traduce in una forma di iper-protezione nei
confronti dei bambini che finiscono per vivere come sotto scorta e perdere ogni forma di indipendenza:
nella mobilità, nel gioco, nella fruizione degli spazi pubblici.
Ridurre la pericolosità delle strade è una condizione necessaria per fare in modo che i nostri bambini
possano tornare a fruire dello spazio pubblico muovendosi e giocando in libertà.
La riduzione della velocità nelle aree urbane non avrebbe la sola funzione di tutelare i più piccoli: portare il limite di velocità a 30 km/h può avere dei grandi vantaggi anche per tutti: ragazzi, adulti, anziani.
Ecco perché:

  1. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità significa meno incidenti
    stradali.

    Mediamente lo spazio di frenata per un’auto che procede a 50 km/h è di 30 metri. Lo spazio di frenata per un’auto che procede a 30 km/h è di soli 15 metri. Per rendersi conto di quanto questa differenza sia effettiva, basta andare a Torino nel quartiere Mirafiori Nord: qui la realizzazione di una zona 30 ha ridotto l’incidentalità del 74% e ha provocato zero incidenti gravi invece della media di 15 all’anno del periodo precedente l’introduzione del limite di 30 km/h.
  2. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità comporta impatti meno
    violenti.

    Un impatto tra un’auto e un pedone a 50 km/h equivale a una caduta da 9 metri di altezza, come dal 3° piano di un palazzo, con una probabilità di morte pari al 55%. Un impatto a 30 km/h equivale, invece, a una caduta da 3,6 metri di altezza che può essere fatale “solamente” nel 5% dei casi.
  3. 30 km/h significa maggiore visuale sulla strada. “Non l’ho visto” è il commento che più spesso gli automobilisti coinvolti in incidenti stradali pronunciano. Non si tratta di una scusa o di una ricerca di un’attenuante, ma è davvero così perché la velocità tende a restringere il campo visivo: ridurre la velocità significa rendere gli automobilisti maggiormente reattivi ai piccoli inconvenienti che avvengono nelle vicinanze del veicolo.
  4. 30 km/h significa meno rumore.
    L’introduzione del limite di 30 km/h in diverse aree della città di Amburgo ha comportato una
    diminuzione del rumore, con picchi anche di 7 dbA; la diminuzione del rumore nelle zone 30 dipende sia dalla riduzione di volume (esclusione del traffico di transito) sia dalla guida calma (diminuzione del limite di velocità).
  5. 30 km/h significa meno inquinanti
    Il cambio dello stile di guida, prima fatto di rapide accelerazioni e brusche frenate, sostituito poi da una guida più calma, con minori picchi di velocità ma più fluida, ha effetti benefici sia sull’ambiente che sul traffico. Le rilevazioni effettuate ad Amburgo hanno dimostrato che la velocità ridotta (meno frenate e accelerazioni) riduce l’inquinamento dell’aria: – 30% di ossidi di azoto, -20% di monossido di carbonio, – 10% di idrocarburi. A beneficiarne sono anche le tasche degli automobilisti poiché anche i consumi di carburante sono diminuiti del 12%.
  6. A 30 km/h, la capacità delle strade è superiore.
    Velocità elevate richiedono distanze di sicurezza maggiori, non solo longitudinali, ma anche latitudinali.
    Diminuendo la velocità, il bisogno di spazio è minore: per esempio, due mezzi pesanti che si incrociano a una velocità di 50 Km/h hanno bisogno di una carreggiata di 6,25 metri. A 40 Km/h è sufficiente una carreggiata di 5,50 metri.
  7. A 30 km/h aumentano i parcheggi, gli spazi pedonali e il verde.
    Poiché una minore velocità richiede spazi minori, lo spazio rimanente può essere utilizzato per creare
    parcheggi, spazi per chi si sposta a piedi oppure piantare alberi.
  8. 30 km/h è una soluzione a minimo costo.
    Modificare la segnaletica stradale ha un costo minimo, soprattutto se pensiamo a quanto costerebbe
    mettere in sicurezza gli altri utenti della strada attraverso interventi infrastrutturali come la costruzione di marciapiedi e piste ciclabili separate. Oltre a questo c’è un vantaggio economico: si stima che nel solo quartiere Mirafiori di Torino, l’introduzione del limite di 30 km/h faccia risparmiare ogni anno 965 mila euro in spese mediche grazie alla riduzione dell’incidentalità.
  9. 30 km/h significa maggiori introiti per il commercio locale.
    La riduzione della velocità fa aumentare la sicurezza in strada e questo aumenta il numero di persone che si muovo a piedi e ciclisti. Come dimostrano diversi casi in giro per il mondo, pedoni e ciclisti spendono più denaro degli automobilisti nei negozi di prossimità (fino al 15% in più), a tutto vantaggio delle economie locali.
  10. 30 km/h significa città più piacevoli da vivere.
    Non si tratta di un giudizio arbitrario o ideologico, ma il risultato di un sondaggio realizzato a Mirafiori Nord dopo la creazione della zona 30: i giudizi negativi sul quartiere sono passati dal 17% al 9%.

Per maggiori informazioni: www.30elode.org

Il tweet di Salvini contro i tweet di Bologna. E le fake news sulle Città30 da smontare

Da Michele Bernelli – 23 Gennaio 2024 

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha un indubbio – per quanto involontario – merito: le sue esternazioni hanno l’effetto di portare all’attenzione dell’italiano medio argomenti prima confinati a pochi ben informati e agli addetti ai lavori. Così è stato, nei giorni scorsi, per il tema delle “Città30”, quelle città dove nella gran parte delle strade il limite di velocità è portato a 30 all’ora. Parlando di Bologna, il ministro si è espresso con questo tweetUn tweet (di Salvini) contro i tweet (degli uccellini), e potremmo finirla qui. Oppure ironizzare sul fatto che l’intervento del ministro arriva all’indomani del giorno in cui, mesi dopo l’annuncio e il via alla ‘transizione’ di Bologna Città30, sono arrivate le prime multe per eccesso di velocità causato dai nuovi limiti: da sempre multe e tasse sono vessazioni che tolgono il sonno al nostro e all’Italia che rappresenta.

Ma finalmente, grazie al ministro, il percorso di Bologna verso la Città30, familiare a chi frequenta il nostro sito e ai lettori di BC, è sulle prime pagine dei media, ‘trend topic’, argomento da bar. E allora prima di tutto invitiamo a leggere e diffondere (come si diceva una volta) questo vademecum Città 30 promosso da un ventaglio di associazioni ambientaliste, Fiab e Legambiente in testa. Lo hanno curato Edoardo Galatola, reponsabile sicurezza Fiab, e Andrea Colombo, esperto di mobilità sostenibile della Fondazione innovazione urbana (consulente di Bologna Città30). E poi proviamo a confutare alcune delle grossolane fake news sulle Città30 messe in circolo in questi giorni.

Lasciamo lavorare chi deve lavorare, dice il ministro (sottinteso: invece di farlo rallentare con il limite di 30 all’ora). Ignorando il fatto che la velocità media delle auto in città oscilla già (rilevazioni 2022) tra le 17 km/ora di Milano, i 19 di Roma, i 20 di Torino. E più ancora ignorando, commenta Galatola, “che vari studi condotti in Città30 come Bologna danno su un percorso di 5 km un incremento di tempo variabile tra i 10 secondi, in ora di punta, e i 2 minuti, in situazione di traffico scorrevole.” Farò lavorare il mio ministero a una direttiva, aggiunge, che circoscriva i casi concreti in cui sarà ammesso abbassare il limite standard dei 50 all’ora. Ignorando il fatto – sottolineato dall’assessora alla mobilità di Bologna Valentina Orioli – che il ministero di cui parla è lo stesso che ha collaborato con il comune di Bologna alla definizione delle zone 30. È un limite ideologico, un’imposizione tipica della sinistra, lamenta. Ma in tutta Europa le Città30 si diffondono con amministrazioni di ogni tendenza politica, da Bruxelles a Bordeaux, da Amsterdam a Madrid, da Zurigo a Parigi. E di centrodestra sono le giunte di città italiane che hanno messo in pratica i 30 all’ora come Olbia e Treviso, e che ora sono solidali con la “rossa” Bologna.

Tra i più rapidi alla controffensiva, il Codacons si è detto ieri pronto a denunciare il ministro Salvini e annuncia il ricorso al Tar per annullare i suoi (per ora solo annunciati) provvedimenti. Chiederemo al ministero, ha dichiarato, un risarcimento danni di 500mila euro da versare al fondo vittime della strada. Anche facendo tara a una dichiarazione che alza il volume per portarla al livello dell’interlocutore, anche il Codacons – come già Fiab e tutte le altre associazioni – ha il merito di riportare il discorso sul più urgente dei motivi che rendono necessarie le Città30. Ha ricordato il verde Angelo Bonelli che in un anno circa 1400 persone lasciano la vita nelle strade dei nostri centri urbani. Oltre 5 morti ogni 100mila abitanti. In maggioranza si tratta di soggetti deboli, ciclisti, pedoni, anziani. Viaggiando a 30 all’ora si riduce il tempo di frenata, aumenta il campo visivo di chi guida. E cambiano radicalmente anche le conseguenze di un’eventuale collisione. Si calcola che essere investiti da un’auto che viaggia a 30 all’ora equivale a cadere dal primo piano, ci si salva nove volte su dieci; se la stessa auto corre a 50 all’ora l’impatto è quello di chi precipita dal terzo piano: fatale otto volte su dieci. Prima ancora che una misura di civiltà, la città 30 è un salvavita.

Fonte: Rivista BC

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Come smontare le bufale del ministro Salvini contro le Città 30

23 Gennaio 2024 

Il limite di velocità generalizzato di 30 km/h in ambito urbano, in un paese normale, non farebbe neanche notizia. Ma in Italia il tema delle “Città 30” viene considerato da molti – in primis dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini – come un limite vessatorio per chi guida un’auto. Quindi, secondo costoro, sì a qualche sporadica “Zona 30” vicino a scuole e asili; ma assolutamente no a estendere i 30 km/h a tutte le strade cittadine, ad eccezione di pochi assi di scorrimento a 50 km/h.

Zone 30 nelle città italiane, un provvedimento che sta prendendo sempre più piede nei maggiori Paesi europei, e in Italia?
https://www.bikeitalia.it/2024/01/23/come-smontare-le-bufale-del-ministro-salvini-contro-le-citta-30/

È una questione politica…

La questione – già divisiva di suo in un paese con uno tra i tassi di motorizzazione più alti al mondo (681 auto ogni 1000 abitanti, dati Isfort 2023) – è diventata squisitamente politica in queste settimane, esattamente dal 16 gennaio 2024 e cioè da quando Bologna ha cominciato a fare controlli (e multe) ad hoc per far rispettare il nuovo limite di velocità di 30 km/h voluto dal sindaco Matteo Lepore. Il primo a scagliarsi veementemente contro questo nuovo corso bolognese è stato proprio il ministro Salvini. Sì, proprio da lui che come primo atto da ministro aveva tolto la “sostenibilità” dal nome del suo dicastero.

Le bufale contro le Città 30

Le motivazioni addotte per contestare le Città 30 sono sempre le stesse e pescano tutte nel calderone delle chiacchiere da bar, delle sparate sui social e delle cose per sentito dire: “così aumentano i tempi di percorrenza”“è un limite impossibile da rispettare”, “così le auto consumano di più”“si crea più traffico”“le autoambulanze non riusciranno più a circolare”… e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

Si tratta di obiezioni che non trovano un riscontro oggettivo nella realtà dei fatti e nelle decine di studi scientifici sul tema: d’altra parte il limite di 30 km/h – oltreché in tutte le città della Spagna – è già presente a Bruxelles, Parigi, Amsterdam e in numerose altre città del mondo; e nessuna tornerebbe indietro ai 50 km/h perché i vantaggi – sia in termini di vivibilità delle strade sia per quanto riguarda la sicurezza stradale – sono enormi.

Il fact checking di Legambiente e Altroconsumo

Legambiente ha raccolto in un articolo di debunking tutte le fake news contro le Città 30, smontandole una per una riportando dati oggettivi e fonti ufficiali. Anche la rivista Altroconsumo ha creato un contenuto analogo intitolato Quante bufale sulla “Città 30”. Per quanti non avessero la pazienza di andare a leggere – cosa che comunque consigliamo di fare – pubblichiamo qui di seguito due infografiche autosplicative.

1. Il cono visivo di una persona alla guida di un’auto a 30 km/h (in verde) e a 50 km/h (in rosso)

2. Le probabilità di sopravvivenza di una persona investita a 30, 50, 70 km/h

Basterebbero queste due semplici infografiche a far comprendere a chi è contrario alle Città 30 per partito preso perché l’estensione generalizzata di questo limite di velocità in ambito urbano sia una misura da sostenere e replicare ovunque.

Salvare vite umane non dovrebbe essere LA priorità per chi governa, in un paese civile?

Leggi anche: Salvini contro Bologna Città 30 km/h, in arrivo direttiva ministeriale

Fonte: Bike Italia

Il limite di 30 km all’ora, ecco il dossier: «Meno vittime, meno smog, più sani»

di Alessandro Fulloni

Gli effetti delle sperimentazioni. Olbia: «Non siamo pentiti». Le altre città italiane che hanno introdotte parzialmente le norme e come si stanno regolando in Europa: il caso Parigi, Helsinki e la Spagna. E per il traffico nelle metropoli non si va oltre i 20 km/h

https://www.corriere.it/cronache/24_gennaio_21/30-km-ora-dossier-5887316a-b7d7-11ee-85fb-9c1176b99ad5.shtml

«Adesso la cittadinanza è più sana e felice. E poi certo, siamo anche molto orgogliosi che Olbia, con il limite di velocità dei 30 chilometri orari in vigore già dal 2021, sia un esempio a livello nazionale e speriamo che la nostra esperienza possa aiutare a portare avanti l’iniziativa in altri comuni o, meglio ancora, la legge nazionale». Settimo Nizzi, 67 anni, sindaco della cittadina in Gallura — poco più di 60mila abitanti — affacciata sul turchese del Tirreno, parla anche come medico. Fama di decisionista, ex campione di judo, specializzazione in ortopedia, di Forza Italia e un lungo rapporto «di fraterna amicizia cominciata nel 1982 con Silvio Berlusconi», racconta di quando, primo in Italia e anticipando quanto accaduto a Bologna, nel giugno di tre anni fa sorprese tutti annunciando «il limite dei trenta all’ora su ogni strada di competenza comunale, a eccezione degli assi principali dove è rimasto il divieto di superare i 50 orari. Nel primo periodo fummo elastici, ci fu un anno di accompagnamento».

«I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti»

E poi? «I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti: prima erano causati soprattutto dalla velocità, adesso avvengono soprattutto per distrazione oppure per mancato rispetto della precedenza. Lo dico da medico, anzi da ortopedico: a 50 all’ora si muore. A trenta no. Come mi venne l’idea? Girando altri Paesi, la Spagna viaggia a 30 all’ora dal giugno 2021, come Olbia. Non c’è paragone tra la qualità della vita in quelle città in cui si cammina, si chiacchiera sul marciapiede, si va in bici, si guardano le vetrine dei negozi in tranquillità e quelle in cui si corre in auto. Noi abbiamo meno smog, meno caos, più tranquillità». Curiosità inevitabile: ma del limite a 30 all’ora ne parlò anche con Berlusconi? «Certo! Silvio mi disse, testuale: “Bravo sindaco, hai fatto bene”. Amava l’ambiente, si sa».

Le strade d’Italia restano pericolose

Se Olbia è slow ovunque, altre città, chi prima e chi dopo, hanno introdotto i limiti nei quartieri. Parliamo di Cagliari, Reggio Emilia, Parma, Vicenza, Treviso, Verona, Arezzo, Firenze, Genova, Caserta, Bergamo, Cuneo. Per tutti l’obiettivo è lo stesso: e a delinearlo sono i dati dell’Istat e dell’Aci: ogni giorno i morti in incidenti stradali sono 8,65. È la media quotidiana nel 2022 (noi siamo nella parte alta della classifica europea), anno in cui le vittime sono state 3.159. Un trend in crescita. Quanto alle cause dei sinistri, la più diffusa resta la distrazione (15%). Al secondo posto (13%) c’è il mancato rispetto della precedenza, del semaforo, dello stop. Ed ecco al terzo la velocità troppo elevata che riguarda il 9,3% dell’analisi. Nel complesso, l’Europa pensa che ridurre i limiti in città equivalga a ridurre il pericolo. Dalla Spagna alla Finlandia in tanti si muovono, senza ripensamenti, entro i 30 all’ora già da un po’: Graz sin dal 1992, poi Helsinki dal 2019, Bruxelles e Parigi dal 2021 ma in Francia, va detto, le località slow sono molte, da Lille a Nantes, e Oltralpe affermano che i morti in certi posti siano scesi del 70%.

Da Nord a Sud, quanto si «corre» in città

Ma dentro le città italiane ora a che velocità si va? Un’idea arriva dalle cifre del 2023 inserite nel TomTom Traffic Index, statistica elaborata dalla società dei navigatori satellitare. A ben vedere dalla classifica condotta su 387 città in 55 Paesi — elaborata tenendo conto di numerose variabili tra cui consumi di benzina, emissioni, tempi di percorrenza ed effettivi chilometri percorsi — emerge che la velocità media, nelle ore di punta, da Nord a Sud, è quasi per tutti sempre sotto i 50 all’ora. Nella lista Milano vede spostamenti attorno ai 17 chilometri orari e per percorrere 10 chilometri dentro le circonvallazioni ci vogliono 28 minuti. Siamo lì con Londra, la più «lenta» nel Vecchio continente con 14 km/h. Nel «range» europeo, Roma è al 12° posto (19 chilometri orari). Poi a scendere Torino, diciottesima con 20, Messina con 21, e Firenze, sessantesima con i suoi 23 all’ora. Le ultime italiane? Modena (320° posto) viaggia a 43 km/h di media. Taranto a 53 all’ora.

https://www.cremonaoggi.it/2024/01/30/bertolotti-fab-piu-che-zone-30-si-lavori-per-una-citta-30/
https://comunicatistampa.comune.bologna.it/2024/bologna-citta-30-nelle-prime-due-settimane-gli-incidenti-sono-calati-del-21
https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2024/01/30/citta-30-a-bologna-in-due-settimane-21-degli-incidenti-_ef52650b-330b-4b69-8c70-d82f91e9b76c.html
https://www.zazoom.it/2024-01-30/bologna-citta-30-il-limite-di-velocita-salva-vite-21-di-incidenti/14184716/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/30/bologna-citta-30-dati-incidenti-calati-due-settimane/7427641/
https://www.bikeitalia.it/2024/01/25/i-sindaci-rivendicano-la-competenza-su-citta-30-e-sicurezza-stradale/
https://fiabitalia.it/citta-30-e-disinformazione-solo-i-numeri-ci-possono-salvare/
https://fiabitalia.it/direttiva-citta-30-una-proposta-inapplicabile-in-contrasto-con-il-codice-della-strada-e-le-indicazioni-dellue/

Bologna Città 30: ecco chi sono i vip favorevoli e contrari

Bologna Città 30 è un tema che divide l’opinione pubblica: da un lato i sostenitori del provvedimento che ha abbassato la velocità a 30 km/h sul 70% delle strade urbane, fortemente voluto dal sindaco Matteo Lepore; dall’altro i detrattori che non perdono occasione per manifestare il proprio disappunto. Per i cittadini il Comune di Bologna, in collaborazione con la Fondazione Innovazione Urbana, ha creato una lista delle domande con i dubbi più frequenti e le relative risposte puntuali da parte dei tecnici esperti della materia.

Rielaborazione grafica 30 km/h e Matteo Salvini © scrisman e TiTi Lee tramite Canva.com
https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

Bologna Città 30: il tema del momento

Ma la questione Bologna Città 30, soprattutto da quando il Ministro Salvini l’ha presa di petto emanando una direttiva che di fatto mette dei paletti all’abbassamento generalizzato dei limiti di velocità in città, è diventata un “tema del momento” su cui hanno detto la loro personaggi famosi, giornalisti, e “vip” la cui opinione “fa notizia”. Vediamo, in una rapida carrellata che non ha la pretesa di essere esaustiva, quali sono le posizione emerse nei confronti di Bologna Città 30 elencando i favorevoli e i contrari.

I favorevoli a Bologna Città 30

Milena Gabanelli: “Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Milena Gabanelli

La giornalista Milena Gabanelli, volto storico di Report oggi penna del Corriere della Sera e autrice della videorubrica Dataroom su La7, vive a Bologna ed è favorevole al provvedimento: “Abito a Bologna e non c’è nessun caos. Si va a 30 km/h a Londra, Bruxelles, Helsinki, Barcellona, Zurigo, Madrid, Graz… dove hanno pensato che la vita di un bambino, un pedone, un ciclista valgono più dei 5 minuti persi a rallentare. Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Mario Tozzi: “Velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”

Mario Tozzi

Tra i sostenitori dell’abbassamento del limite di velocità di 30 km/h a Bologna anche il geologo Mario Tozzi, primo ricercatore del CNR e divulgatore scientifico oltreché autore e conduttore di numerosi programmi televisivi su scienza e natura, che sui social scrive: “In città niente autovetture private, questa dovrebbe essere la regola, che, peraltro, consentirebbe maggiore puntualità e frequenza dei mezzi pubblici di superficie. Ma, se ancora le dobbiamo sopportare, almeno facciano meno danni e vittime possibili: velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”.

Stefano Boeri promuove la Città 30

Stefano Boeri

L’architetto Stefano Boeri, progettista dell’iconico Bosco Verticale di Milano e tra i professionisti italiani più famosi, è uno dei 130 tecnici esperti di mobilità che ha sottoscritto la lettera aperta indirizzata al Ministro Salvini per chiedere di ritirare la direttiva contro le Città 30. Una missiva in cui si sottolineano – dati alla mano – i vantaggi indiscutibili dei 30 km/h in ambito urbano per la sicurezza stradale: “L’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone”.

I contrari a Bologna Città 30

Matteo Salvini prende di mira Bologna

Matteo Salvini

Il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini ormai da settimane ha preso di mira il provvedimento di Bologna: “Nel dispositivo del Comune di Bologna ho letto che grazie alla riduzione di 20 chilometri orari del limite massimo, si sentirà meglio il canto degli uccellini. Penso che il diritto al canto degli uccellini e all’udibilità del loro canto debba essere contemperato con il diritto al lavoro di centinaia di migliaia di persone, perché multare chi va a 36 chilometri allora non vuol dire tutela dell’ambiente”.

Poi ha emanato una direttiva per mettere i paletti alle Città 30, secondo la quale le amministrazioni devono giustificare strada per strade la motivazione per cui abbassano il limite di velocità da 50 a 30 km/h. E non perde occasione per ribadire in ogni occasione che le “Zone 30” limitate a strade vicino a scuole e asili vanno bene, le “Città 30” dove il limite è generalizzato a suo avviso no.

Giuseppe Cruciani vuole alzare i limiti di velocità in città

Giuseppe Cruciani

Il conduttore radiofonico della trasmissione “La Zanzara” su Radio24 Giuseppe Cruciani fin da subito si è schierato contro Bologna Città 30, chiedendo di alzare (e non di abbassare) i limiti di velocità in città: “Allora ragazzi, qui è la voce dell’opposizione alla giunta rossa di Bologna che ha imposto i trenta all’ora in larghe parti della città. Qui siamo a favore di una cosa: alzate i limiti di velocità in città anche a 70-80km/h. E se qualcuno li infrange? Sequestro della macchina. Niente multe, sequestro. Ma alzate i limiti di velocità che non serve un ca**o andare più piano. Non si salvano vite umane e non si evitano gli incidenti”.

Nel corso della sua trasmissione Cruciani ha contattato telefonicamente il primo multato per aver superato il limite di 30 km/h (il pensionato Sergio Baldazzi, che andava a 39 km/h, ndr) e si è offerto di pagargli la multa: “Voglio pagare la multa, voglio risarcirlo: farò un bonifico personale a questo signore”, ha detto Cruciani.

Mario Giordano: “Se vai a 35 o36 zac e ti arriva già la multa”

Mario Giordano

Il giornalista e conduttore della trasmissione “Fuori dal coro” di Rete4 Mario Giordano in una puntata ha attaccato il limite di 30 km/h in ambito urbano, partendo dal caso di Bologna: “Non si può più andare veloce. Bisogna andare piano per essere verdi, per essere green. per essere giusti bisogna andare a 30 all’ora. Il green ce lo chiede e in tutta la città di Bologna entra in vigore il limite dei 30 all’ora. Se vai a 35 o 36 zac e ti arriva già la multa”.

E, ancora: “Troppo veloce perché il Comune di Bologna dice che ridurre la velocità delle auto consente di dare più spazio ad altri suoni come il canto degli uccellini. In questi giorni a Bologna si siano sentite più le imprecazioni e le parolacce che non il canto degli uccellini. Ma i green niente. I fan del green vanno avanti perché dicono che così si riducono gli incidenti. Ma sarà vero che si riducono gli incidenti?”.

Per dare le risposte alle domande con i dubbi più frequenti il Comune di Bologna ha aggiornato la sezione faq del portale dedicato al nuovo limite di velocità in città

Intanto proprio oggi davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma si è tenuto il presidio delle associazioni aderenti alla Piattaforma #Città30subito “A 30 km/h non si muore” per chiedere a Salvini di ritirare la direttiva e di inserire il tema della moderazione della velocità nella Riforma del Codice della Strada ormai in dirittura d’arrivo in primavera.

Fonte: Bike Italia

https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

130 tecnici contro Salvini: è scontro totale sulla Città 30

1 Febbraio 2024

Architetti, ingegneri, urbanisti, economisti che lavorano nelle città, in aziende di consulenza, nelle università non ci stanno alla repressione della Città 30 da parte di Matteo Salvini e fanno sentire la propria voce attraverso una lettera aperta che pubblichiamo di seguito integralmente.

Tra i nomi più noti a firmare l’appello: Stefano BoeriMarco Ponti e tutto lo staff tecnico della Città Metropolitana di Bologna.

Ecco qui di seguito il testo integrale (con tutte le firme in calce, in ordine alfabetico).

Lettera aperta al Ministro dei Trasporti Matteo Salvini

Come gruppo di esperti e tecnici impegnati nel settore della pianificazione e progettazione della mobilità e del traffico stiamo assistendo a una dura presa di posizione da parte del Ministro dei Trasporti avversa alle politiche di moderazione delle velocità dei veicoli nelle aree urbane.

Con l’emanazione della “Direttiva sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano ai sensi dell’art.142 del Nuovo Codice della Strada” il Ministro si è infatti opposto in modo esplicito all’iniziativa assunta dal Comune di Bologna di applicare su un’ampia parte (70%) delle strade comunali il limite di velocità di 30 km/h (Città 30).

Si tratta di una posizione poco comprensibile, non basata su alcuna evidenza tecnica o sperimentale, che si pone in netto contrasto con quanto viene suggerito dai massimi istituti sovranazionali come l’OMS e il Parlamento Europeo, oltre che dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale dello stesso MIT, e che ignora quanto è da tempo ampiamente praticato con risultati innegabilmente positivi in molte altre città nel mondo.

Contemporaneamente il MIT si è fatto portatore delle modifiche al Codice della Strada attualmente in discussione in Commissione Trasporti, in particolare per le parti destinate a depotenziare le norme sulla ciclabilità introdotte dalla legge 120/2020, comprese le strade ciclabili, le corsie ciclabili, gli attestamenti avanzati e il doppio senso ciclabile. Anche in questo caso si tratta di una posizione priva di qualunque giustificazione tecnica, che non tiene conto dell’esperienza di moltissime realtà estere e che dimentica che, da quando sono stati introdotti, questi dispositivi hanno consentito al nostro paese di compiere significativi progressi verso il recupero della ciclabilità come modo di trasporto alternativo.

È inoltre opportuno sottolineare come gli interventi citati, in diversi casi, sono stati in tutto o parzialmente finanziati con fondi del PNRR per la Missione 2-Rivoluzione verde e transizione ecologica- in capo allo stesso MIT; ne consegue che le ventilate modifiche alla normativa vigente comporterebbero una ridefinizione dei progetti in atto e delle risorse, pena la mancata erogazione dei finanziamenti da parte del Programma NEXT Generation EU.

Come tecnici ed esperti da anni impegnati sui temi della pianificazione e della progettazione della mobilità e dei trasporti con specifica attenzione alle aree urbane esprimiamo dunque la nostra profonda preoccupazione per l’involuzione che il nostro paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte attuate da tutti i paesi dell’Unione Europea e dalla comunità internazionale.

È al proposito necessario ricordare l’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati sia dagli organismi internazionali a cui l’Italia aderisce (ONU, OMS) che dagli strumenti di politica dei trasporti dell’Unione Europea e Nazionale (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale), in particolare la riduzione del 50% degli incidenti al 2030. Tale obiettivo non può essere raggiunto senza poter intervenire con efficacia nell’ambito urbano, dove in Italia si registrano i tre quarti degli incidenti stradali, con un tasso di mortalità che si mantiene costante ormai da un decennio ovvero (pari a 1,1 morti ogni 100 incidenti) e un costo economico che supera i 13 miliardi di euro all’anno.

In questo ambito, dove si concentrano elevati flussi di mobilità motorizzata e non motorizzata, un’alta densità di immissioni e intersezioni e diffuse “interferenze” con altri usi della strada, la velocità rappresenta quasi sempre causa, concausa o aggravante dell’incidentalità: da essa infatti dipendono le distanze di arresto, le energie di impatto, la possibilità di effettuare manovre di emergenza e il restringimento del cono visuale dei guidatori.

Peraltro l’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone.

Sono questi gli elementi di cui come tecnici siamo chiamati a tenere in conto quando nell’ambito delle attività di redazione dei piani di settore (Piani Urbano del Traffico e Piani Urbani della Mobilità Sostenibile) identifichiamo le misure atte a conseguire gli obiettivi e i target riconosciuti e sottoscritti in ambito nazionale e internazionale.

Il Ministro e il suo Ministero dovrebbero dire come pensano altrimenti di conseguire gli obiettivi indicati dallo stesso Decreto Ministeriale 396 del 28 agosto 2019 con riferimento alla redazione dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile e, soprattutto, l’obbligo sancito dallo stesso Codice della Strada che all’art.1 pone la sicurezza delle persone tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.

Sempre nella logica dei PUMS è inoltre essenziale che sia riconosciuto agli abitanti delle singole città, attraverso le istituzioni che li rappresentano, il diritto di decidere all’interno delle proprie politiche di governo della mobilità i tempi e i modi di tali interventi, ricordando che ai sindaci è attribuito il compito di tutela della incolumità pubblica e la sicurezza urbana, che è “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.

Chiediamo pertanto:

  • che il Ministero non solo non contrasti, ma agevoli l’iniziativa di Bologna e delle altre città che intendono adottare il modello di Città 30, che possono costituire un importante esperimento sulla cui base formulare norme e indirizzi in modo più corretto e informato;
  • che non si approvino le modifiche del Codice della Strada avverse alle norme introdotte dalla L.120/2020 sulla ciclabilità, norme che finalmente ci allineano alle modalità adottate negli altri paesi europei;
  • che non si riduca ma anzi si ampli la possibilità di utilizzare sistemi avanzati di telecontrollo delle infrazioni, compreso il limite dei 30 km/h in ambito urbano;
  • che si emani una normativa nazionale sui dispositivi di moderazione del traffico, sulla base di quanto sperimentato dai paesi che presentano tassi di incidentalità e mortalità stradale ben inferiori a quello italiano.

31/01/2024

Promuovono l’appello:

1Maria SilviaAgrestaarchitettourbanista – Milano
2Francesco Albertiarchitettoprofessore associato di Urbanistica – Università degli Studi di Firenze
3Franco Apràurbanistalibero professionista – Milano
4Francesco AvesaniIngegnerelibero professionista – Verona
5Mauro Baioniurbanistalibero professionista – Venezia
6Alessandra Baldidott.arch.collaboratrice In.Co.Set e referente del Centro Urbano per la Transizione Energetica – Cava dè Tirreni
7Dario Balottaanalista dei trasportipresidente Osservatorio Trasporti ONLIT
8Valter Baruzzipedagogistaesperto in educazione alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile – Imola/Bologna
9Silvia Basenghitecnico esperto in mobilità sostenibileservizio Pianificazione della Mobilità – Città metropolitana di Bologna
10Stefano Battaiottoingegnerelibero professionista – Milano
11Luigi Benevoloingegnerepianificatore urbanista – Brescia
12Maria  Berriniarchitettoex Amministratore Unico Agenzia Mobilità Ambiente Territorio Comune Milano
13Sivia Bertoniingegnerepianificazione della mobilità sostenibile ed attuazione PUMS 
14Paolo Bertozziingegnerelibero professionista Parma
15LorenzoBertuccioingegnereassociazione Euromobility
16Guia Biscaroarchitettolibera professionista
17Daniela Bittiniingegnerereferente Ufficio Mobilità e Mobility Manager – Imola
18Francesca Boeriingegnereresponsabile Settore Ambiente – Centro Studi PIM  Milano
19Stefano Boeriarchitetto e urbanistaprofessore ordinario presso il Politecnico di Milano
20Andrea Boitanieconomistaprofessore ordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano
21Gabriele Bolliniurbanistapresidente Associazione Analisti Ambientali
22FilippoBonaliingegnerelibero professionista – Fiab Cremona
23Tommaso Boninoingegneredirigente SRM — Agenzia mobilità Bologna
24Carlottta   Bonviciniarchitetto pianificatorelibera professionista – Reggio Emilia
25Mauro Borioniingegnerefunzionario pubblica amministrazione 
26Patrizia BottaroarchitettoPCAint PICA CIAMARRA ASSOCIATI SRL
27Bianca Bozziingegnerelibera professionista – Milano
28Andrea Bruschidott.arch.pianificatore trasporti e mobilità – Metropolitana Milanese Spa
29Tatiana Bruscoingegneretecnico esperto in mobilità sostenibile – Città Metropolitana di Bologna
30Sandro CapraingegnereMetropolitana Milanese Spa
31Giovanni Cardinaleingegnerelibero professionista , consulente di Confindustria Toscana Sud per le infrastrutture strategiche 
32Teresa Cardonaarchitettolibera professionista – Milano
33Tiziano Carducciingegnerelibero professionista – Chieri (TO)
34Stefano CaseriniingegnereProfessore Cambiamenti Climatici Università di Parma
35Francesco Castelnuovoingegnerelibero professionista – Milano
36PaolaCavalliniarchitettoCittà studio associato – Parma
37Angela Ceresoliarchitettapresidente Agenzia TPL Bergamo
38Enrico Chiariniingegnerelibero professionista – Brescia
39CosimoChiffieconomista dei trasportiTRT Trasporti e Territorio – Milano
40Andrea Colomboconsulente legaleesperto in sicurezza stradale – Bologna
41Simone Conteeconomista ambientaleproject manager ambiente, mobilità, territorio
42Cristiana CristianiarchitettoEdilizia Pubblica – Comune di Pisa
43Alberto Croceingegnereex Direttore Settore Traffico e Trasporti in Comune di Bologna e Agenzia TPL Brescia, ex Presidente AIIT Lombardia 
44Fiorenza Dal Zottoarchitettoresponsabile settore pianificazione e tutela del territorio Comune di Spinea
45Marco De MitriingegnereTrafficlab – Alba (CN)
46Andrea DebernardiingegnereMETA srl – Monza
47Lorenza dell’ErbaarchitettaIstruttore Tecnico Servizio Pianificazione della Mobilità Area Pianificazione Territoriale e Mobilità Sostenibile – Città Metropolitana Bologna
48Raffaele Di Marcelloarchitettopresidente sezione Abruzzo UNITEL – Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali 
49Matteo Dondèarchitettolibero professionista – Milano
50Mauro Donzelliingegnerelibero professionista – Bologna
51Alfredo Drufucaingegnerelibero professionista – Milano
52Marco Engelarchitettourbanista pianificatore – Milano
53Roberto Farinaingegnereurbanista – Bologna
54Edoardo Fenocchhioingegnerestudio Progectolab
55Emanuele Ferraraurbanistalibero professionista – Milano
56Carla Ferrariarchitettoarchitetto pianificatore – Modena
57GiorgioFiorilloingegnereresponsabile funzioni di Agenzia presso la SRM  l’Agenzia per la mobilità ed il trasporto pubblico locale del Comune di Bologna e della Città metropolitana di Bologna.
58LuigiFregoniarchitettodirettore area pianificazione territoriale Comune di Rho
59Georg Frischarchitettourbanista pianificatore
60Giorgio Gagliardiarchitettoprogettista di mobilità ciclistica – Verona
61Edoardo Galatolaingegnereesperto di rischi industriali e del trasporto, responsabile sicurezza stradale FIAB 
62Paolo Gandolfiarchitettodirettore Area Sviluppo territoriale – Dirigente Servizio di Mobilità Urbana comune di Reggio Emilia
63Caterina Gfellerarchitettoesperta in comunicazione – Milano
64Elena Granataarchitettodocente urbanistica Politecnico Milano
65Emilio Grassiingegnereex direttore Agenzia TPL Bergamo
66Chiara Gruppourbanistapianificatrice dei trasporti – Brugherio (MI)
67Emilio Guastamacchiaarchitettourbanista pianificatore – Milano
68LorenzoFabianarchitettodocente Urbanistica – IUAV Venezia
69GiuseppeInturriprofessore Associato di TrasportiUniversità degli studi di Catania
70Marco La Violaingegnerelibero professionista – Saronno
71Eliot Laniadoingegnerecoordinatore scientifico Poliedra – Politecnico di Milano
72Arturo SergioLanzaniarchitettoprofessore di Tecnica e Pianificazione Urbanistica – Politecnico Milano
73Salvatore Leonardiprofessoreprofessore associato di Ingegneria delle infrastrutture viarie e dei trasporti presso l’Università degli Studi di Catania
74AntonioLoccigeometralibero professionista – Treviso
75Giovanna Longhiarchitettopaesaggista, progettista di opere pubbliche
76Fabio Lopez Nunesarchitettoex direttore ciclabilità del Comune di Milano
77Giampiero Lupatellieconomista territorialeVice Presidente CAIRE Consorzio 
78Robert Maddalenaarchitettolibero professionista – Thiene (VI) 
79Alessandro Madernadott.agr.Specialista progettazione e consulenza ambientale,  autorizzazioni e permitting
80Patrizia MalgieriarchitettoTRT Trasporti e Territorio – Milano
81Giorgia Mancinelliingegnerefunzionario tecnico del Comune di Rimini
82Giovanni Mandelliarchitettoservizio Mobilità Sostenibile – Comune di Reggio Emilia
83Paolo Maneourbanista libero professionista 
84Andrea MarellaingegnereTrafficlab – Alba (CN)
85Alberto MarescottiarchitettoComune di Padova
86Giulia Maroniarchitettotecnico esperto in mobilità sostenibile – Città metropolitana di Bologna
87Italo RobertoMaroniarchitettourbanista
88Angelo Martino ingegnereTRT Trasporti e Territorio – Milano
89SilviaMazzageografaesperta mobilità sostenibile
90FrancescoMazzaingegnereAIRIS Srl – Ingegneria per l’ambiente – Modena
91Eduardo Missonimedicodocente salute globale e sviluppo SDA Bocconi e Un.Milano Bicocca
92Valerio Montieriarchitettolibero professionista – Milano
93Massimo G. Morodottore in giurisprudenzacoordinatore Centro Studi FIAB 
94Danilo Odettoarchitettolibero professionista – Torino
95Jacopo OgnibenearchitettoNET Engineering
96Lorenzo Paglianofisicoprofessore associato di Fisica dell’Edificio – Politecnico Milano
97Federico ParolottoarchitettoCeo MIC-Mobility In Chain
98Marco PassigatoingegnereCoordinatore didattico  corso EPMC – Esperto Promotore della Mobilità Ciclistica di UniVr
99Carla PoloniatoingegnereFunzionario Settore mobilità – Comune di Vicenza
100Marco Pontiarchitetto economistaResponsabile di BRT onlus (Bridges Research Trust)
101Davide Prandiniarchitettofunzionario tecnico pubblica amministrazione – Maranello (MO)
102Edoardo Pregerarchitettourbanista – Cesena
103Chiara Quinziiarchitetto urbanistalibera professionista – Milano
104Lucia Rattiarchitettoex funzionario Direzione Trasorti e Mobilità Sostenibile – Regione Lombardia
105Andrea Remotogeometralibero professionista  – Avigliana (TO)
106Giulio RigottiarchitettoCoop.Arch G1 – Novara
107Riccardo Roccoarchitettolibero professionista. Presidente Commissione Paesaggio Comune di Sesto San Giovanni
108Gianni Rondinellaurbanistaprofessore di Pianificazione della mobilità, Università Europea di Madrid
109Guido RossiIngegnereDottore di ricerca in ingegneria dei trasporti e libero professionista – Verona
110Paolo Ruffinourbanista, economistaConsulente politiche di mobilità, trasporti e sviluppo territoriale
111Nicola SaccoprofessoreOrdinario di Trasporti presso l’Università degli Studi di Genova
112Ivan Saraccaingegnerelibero professionista – Busseto (PR)
113Stefano Sbardellaingegneredirigente Comune di Brescia
114Joerg Schweizeringegnerericercatore e docente in Transport System Design and Planning presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna.
115Francesco SeneciIngegnereCEO e Direttore Tecnico NetMobilitty srl
116Giancarlo Sgubbiingegneredirigente Unità intermedia Rete tram e piani e progetti per la mobilità sostenibile – Comune di Bologna
117Marco Stagniingegnerelibero professionista – Bologna
118Claudia Stanzaniarchitettopianificazione Territoriale e Urbanistica – Comune di Castelfranco Emilia
119Chiara TaiariolingegnereMETA srl – Monza
120DavideTessarolloingegnerelibero professionista Milano
121Samuel Tolentinodottore in ingegneriaMETA srl – Monza
122Luigi Torrianimatematicoanalista dei trasporti
123Alessandro Trevisanarchitettolibero professionista – Voghera
124Claudio Troisiingegneredocente a contratto di Pianificazione dei Trasporti presso l’Università Telematica “Giustino Fortunato” 
125Stefano Vaudagnaingegnerelibero professionista – Ciriè (TO) 
126Luca VeloarchitettoRicercatore in Urbanistica IUAV Venezia
127Lorenzo Vignonoingegnereesperto mobilità ciclabile SERTEC – Lorenzè (TO)
128Mario Zambriniesperto ambientaledirettore Ambiente Italia – Milano
129Federico Zanfiarchitettoprofessore associato DAStU – Politecnico Milano
130Giulio ZilliPianificatore territorialelibero professionista – Milano
131AlessioBrancacciotecnico ambientaleUniversità degli Studi di L’Aquila

Bologna Città 30: nelle prime quattro settimane calano gli incidenti stradali

Bologna Città 30: i dati confermano il trend in atto sul calo di incidenti stradali, da quando sono entrati in vigore i controlli per far rispettare il limite generalizzato di 30 km/h in ambito urbano. Nelle prime quattro settimane di Città 30 (15 gennaio – 11 febbraio 2024), sulle strade urbane di Bologna si sono verificati in totale 186 incidenti, di cui 1 mortale, 122 incidenti con feriti (che hanno provocato 144 persone ferite), nessuno con feriti in prognosi riservata e 63 incidenti senza feriti.

https://www.bikeitalia.it/2024/02/16/bologna-citta-30-nelle-prime-quattro-settimane-calano-gli-incidenti-stradali/

Bologna Città 30: calano gli incidenti stradali

Nelle stesse settimane dell’anno scorso (16 gennaio – 12 febbraio 2023) gli incidenti erano stati in totale 221, di cui 3 mortali, 139 incidenti con feriti (che avevano provocato 178 persone ferite), 1 con ferito in prognosi riservata e 78 senza feriti. Lo riporta una nota del Comune Bologna.

Pedoni coinvolti ridotti di un quarto

In termini percentuali si tratta quindi di un calo del 15,8% degli incidenti totali, -12,2% di incidenti con feriti, -19,1% persone ferite, -19,2% di incidenti senza feriti, due incidenti mortali in meno (1 nel 2024 mentre erano 3 nel 2023) e un incidente con ferito in prognosi riservata in meno (0 nel 2024, 1 nel 2023). Da sottolineare inoltre il calo di pedoni coinvolti in incidenti che è del 25,6% (39 erano quelli coinvolti nel 2023, 29 nel 2024).

Il commento dell’assessora alla Mobilità

L’assessora alla Mobilità di Bologna Valentina Orioli commenta così i dati: “I numeri rilevati dalla Polizia locale in queste prime 4 settimane ci confermano che il trend continua ad essere positivo. Quello che appare chiaro è il calo degli incidenti più gravi e il calo delle persone ferite, che è più rilevante di quello di incidenti con feriti, a conferma del fatto che gli incidenti sono tendenzialmente meno gravi”.

E, prosegue: “Altro aspetto da sottolineare è la diminuzione di pedoni coinvolti, come del resto si è già verificato in tutte le città europee che hanno adottato questo provvedimento prima di noi. Per questo è importante continuare a rispettare i limiti e mantenere alta la guardia. Vorrei rivolgere un ringraziamento alla Polizia Locale, che sta facendo un ottimo lavoro di sensibilizzazione su questo, e a tutti i cittadini bolognesi, che stanno dimostrando ancora una volta senso civico e grande collaborazione. Un impegno fondamentale per salvare vite sulle strade”.

Fonte: Bike Italia

English translate

Bologna Città 30: road accidents drop in the first four weeks

Bologna Città 30: the data confirm the ongoing trend in the decline in road accidents since the controls to enforce the general limit of 30 km/h in urban areas came into force. In the first four weeks of Città 30 (15 January – 11 February 2024), a total of 186 accidents occurred on the urban roads of Bologna, of which 1 was fatal, 122 accidents with injuries (which caused 144 people to be injured), none with injuries with a reserved prognosis and 63 accidents without injuries.

Bologna Città 30: road accidents decrease

In the same weeks last year (16 January – 12 February 2023) there were a total of 221 accidents, of which 3 were fatal, 139 accidents with injuries (which had caused 178 injured people), 1 with an injured person with a guarded prognosis and 78 without wounded. This was reported in a note from the Bologna Municipality.

Pedestrians involved reduced by a quarter

In percentage terms, this is therefore a 15.8% drop in total accidents, -12.2% in accidents with injuries, -19.1% people injured, -19.2% in accidents without injuries, two fatal accidents in fewer (1 in 2024 while there were 3 in 2023) and one fewer accident with an injured person with a reserved prognosis (0 in 2024, 1 in 2023). Also worth highlighting is the drop in pedestrians involved in accidents which is 25.6% (39 were involved in 2023, 29 in 2024).

The comment of the Mobility councilor

Bologna’s Mobility Councilor Valentina Orioli comments on the data as follows: “The numbers recorded by the local police in these first 4 weeks confirm that the trend continues to be positive. What appears clear is the drop in the most serious accidents and the drop in injured people, which is more significant than that in accidents with injured people, confirming the fact that accidents tend to be less serious”.

And he continues: “Another aspect to underline is the decrease in pedestrians involved, as has already occurred in all European cities that have adopted this measure before us. This is why it is important to continue to respect limits and keep your guard up. I would like to thank the Local Police, who are doing an excellent job of raising awareness on this, and to all the citizens of Bologna, who are once again demonstrating civic sense and great collaboration. A fundamental commitment to saving lives on the roads.”

Source: Bike Italia

https://corrieredibologna.corriere.it/notizie/cronaca/24_febbraio_28/citta-30-il-sindaco-di-parma-abbiamo-abbassato-il-limite-solo-in-alcune-strade-bologna-ha-dimostrato-coraggio-bdd00451-9cbe-4b12-92b3-901d79da7xlk.shtml?cmpid=tbd_39834460bi
https://fiabitalia.it/lappello-dei-familiari-delle-vittime-sulla-strada/
https://fiabitalia.it/bologna-citta-30-primo-bilancio-positivo-dopo-4-settimane-in-calo-gli-incidenti/
https://fiabitalia.it/doppio-senso-ciclabile-italia-fanalino-di-coda/
https://fiabitalia.it/il-poco-invidiabile-primato-dellitalia-il-paese-con-piu-auto-nellunione-europea/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/17/citta-30-la-velocita-ridotta-migliora-la-fluidita-del-traffico-focus-svi-associazione-svizzera-ingegneri-e-esperti-del-traffico/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/01/22/documentazione-studi-ricerche-e-fonti-raccolte-per-argomenti/
https://ilmanifesto.it/citta-30-pedoni-e-bici-si-riprendono-lo-spazio-pubblico
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/21/perche-e-cosi-diverso-andare-a-30-o-andare-a-50-e-andare-a-50-e-molto-piu-pericoloso/
https://www.rivistabc.com/bologna-citta-30-il-confronto-tra-2023-e-2024-da-ragione-al-comune-calano-incidenti-e-feriti/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

LA NUOVA VARIANTE JN.1 DEL COVID19 SI DIFFONDE RAPIDAMENTE IN 41 PAESI: QUANTO PUO’ PREOCCUPARCI? PER L’OMS E’ “VARIANTE DI INTERESSE”

New COVID strain JN.1 is spreading fast. How worried should we be?

The new variant has spread across 41 countries as the WHO categorises it as a ‘variant of interest’.

JN.1 has been detected in the US, India, China, France, Canada and many other countries [File: Petr David Josek/AP Photo]
https://www.aljazeera.com/news/2023/12/22/new-jn-1-covid-variant-how-worried-should-we-be

A new strain of SARS-CoV-2the virus that caused the coronavirus pandemic four years ago, has been detected in dozens of countries.

The World Health Organization (WHO) on Tuesday categorised the JN.1 as a “variant of interest”. After first being spotted in the United States in September, the variant has spread across 41 countries.

The new variant is now being closely monitored by public health agencies across the world due to its increased transmission rate.

Here’s what there is to know about the strain and its current risk.

What is the new COVID-19 strain JN.1?

The new coronavirus strain, JN.1, has arisen from the most recent variant before it, named BA 2.86. The latter is itself part of the lineage of the “Omicron” variant – a more severe strain of COVID-19 that peaked last year.

Each virus has its own unique “spike proteins” enabling them to infect cells and cause certain symptoms. Additional changes or “mutations” in the DNA sequence of those spikes indicate the emergence of a new “variant” of the virus.

Variants can differ in terms of their severity, contagion and response to treatments for symptoms.

“The new variant exhibits a greater genetic divergence from its predecessors, signifying an ongoing evolution of the virus,” said Laith Abu-Raddad, professor of healthcare policy and research, at Weill Cornell Medicine in Qatar.

While BA 2.86 has 20 mutations in its spike proteins, JN.1 has 21. The Centers for Disease Control and Prevention (CDC) in the United States have named this additional mutation L455S and said it may be helping the virus to evade responses from our immune systems.

Experiencing a COVID-19 infection or getting vaccinated typically enables the immune system’s antibodies to fight off the virus when exposed to it again.

Where has JN.1 been detected?

JN.1 was first detected in the US in September, a month after its parent variant, BA 2.86, was recorded in the country. It has since spread across 41 countries, the WHO reported on Monday, based on 7,344 sequences that were submitted to them.

Sequences of viruses from PCR tests are regularly analysed to detect new strains.

For the first month or so, JN.1 only accounted for 0.1 percent of coronavirus transmissions in the US. As of December 8, however, it is responsible for between 15 and 29 percent of COVID cases, according to the CDC.

However, the agency also noted that the coronavirus has a pattern of peaking around the new year.

Other countries with a large number of cases include France, Singapore, Canada, the United Kingdom and Sweden, according to WHO. China also detected seven cases last week.

In early December, JN.1 was also found in the Indian state of Kerala. A 79-year-old female patient had mild, influenza-like symptoms and has since recovered. On Monday, neighbouring Karnataka state’s health minister made masks mandatory for those above the age of 60, as well as people with heart or breathing issues. India has reported 21 cases of the JN.1 virus so far.

Should we be concerned about JN.1?

The CDC has not found evidence suggesting that JN.1 poses an increased risk to public health compared with other variants, and experts say the rise in cases may be part of winter season trends and conditions.

For instance, people across the world are spending more time indoors allowing pathogens to spread more efficiently. “The need for heating often leads to reduced ventilation in homes, presenting an environment conducive to increased virus transmission,” said Abu-Raddad.

Types of symptoms are expected to be the same as COVID-19, and pandemic-era measures such as social distancing and wearing masks have been encouraged as precautions.

“While there may be an increase in infections, the vast majority of cases are not anticipated to be severe,” noted Abu-Raddad.

What has the WHO said about JN.1?

The WHO also said on Tuesday that its risk in terms of severity is currently evaluated as low and will be updated if needed. Its growth advantage has been categorised as “high” owing to the rising number of cases over the last few weeks.

The agency noted that other respiratory diseases such as influenza are also on the rise amid the onset of winter in the northern hemisphere, and that JN.1 transmission may further burden health facilities.

The WHO’s technical lead for COVID-19, Maria Van Kerkhove, said in a public statement that the agency has asked member states to closely monitor coronavirus cases and share data on samples when available so that they can better assess circulation and “potentially modify what we are advising to the world”.

Vaccines will also continue to protect from severe effects of the variant, said WHO.

What are the symptoms of JN.1?

Like other COVID-19 variants, symptoms will differ based on a person’s immunity and overall health, according to the CDC.

Common symptoms include fever or chills, cough, fatigue and body aches.

Source: Al Jazeera

Il nuovo tipo covid JN1 si sta diffondendo rapidamente. Quanto dovremmo preoccuparci? | Notizie sulla salute

Dicembre 22, 2023 Arzu

Spiegatore

La nuova variante si è diffusa in 41 paesi, e l’OMS la classifica come “variante di interesse”.

Un nuovo ceppo di SARS-CoV-2, che causò la pandemia di coronavirus quattro anni fa, è stato rilevato in decine di paesi.

Martedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato JN.1 come una “variante di interesse”. Dopo essere stata individuata per la prima volta negli Stati Uniti a settembre, la variante si è diffusa in 41 paesi.

Questa nuova variante viene ora attentamente monitorata dalle agenzie sanitarie pubbliche di tutto il mondo poiché il suo tasso di prevalenza aumenta.

Ecco cosa sapere sul ceppo e sul suo pericolo attuale.

Qual è il nuovo ceppo covid-19 JN.1?

Il nuovo ceppo di coronavirus, JN.1, è stato denominato BA 2.86 da una recente variante che lo ha preceduto. Quest’ultimo fa parte del lignaggio della variante “Omicron”, il ceppo più virulento di COVID-19 che ha raggiunto il picco lo scorso anno.

Ogni virus ha le sue “proteine ​​​​spike” uniche che infettano le cellule e causano determinati sintomi. Ulteriori cambiamenti o “mutazioni” nella sequenza del DNA di questi picchi indicano l’emergere di una nuova “variante” del virus.

Le varianti possono differire in base alla gravità, all’infezione e alla risposta al trattamento sintomatico.

“La nuova variante mostra una maggiore diversità genetica rispetto ai suoi predecessori, indicando la continua evoluzione del virus”, ha affermato Laith Abu-Radat, professore di politica sanitaria e ricerca presso la Weill Cornell Medicine in Qatar.

BA 2.86 ha 20 mutazioni nelle sue proteine ​​​​spike, rispetto alle 21 di JN.1. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) negli Stati Uniti hanno chiamato questa ulteriore mutazione L455S e affermano che aiuta il virus a eludere le risposte dei nostri sistemi immunitari.

Dove viene rilevato JN.1?

JN.1 è stato rilevato per la prima volta negli Stati Uniti a settembre, un mese dopo che la sua variante madre, BA 2.86, era stata registrata nel paese. Si è diffuso in 41 paesi, ha affermato lunedì l’OMS, sulla base di 7.344 sequenze presentate loro.

Le sequenze di virus provenienti dagli esperimenti PCR vengono costantemente analizzate per rilevare nuovi ceppi.

Nel primo mese JN.1 Negli Stati Uniti si è diffuso solo lo 0,1% dei contagi da coronavirus. Tuttavia, secondo il CDC, all’8 dicembre è responsabile dal 15 al 29% di tutti i casi di Covid-19.

Tuttavia, l’azienda ha anche notato che nel nuovo anno si verificherà un picco del coronavirus.

Secondo l’OMS, altri paesi con il maggior numero di casi sono Francia, Singapore, Canada, Regno Unito e Svezia. Anche la Cina ha segnalato sette casi la scorsa settimana.

All’inizio di dicembre il JN.1 è stato rilevato anche nello stato indiano del Kerala. Una paziente di 79 anni presentava lievi sintomi simil-influenzali e da allora si è ripresa. Lunedì, il ministro della sanità del vicino stato del Karnataka ha reso obbligatorie le mascherine per le persone con più di 60 anni e per coloro che hanno problemi cardiaci o respiratori. Finora in India sono state infettate dal virus JN.1 21 persone.

Dovremmo preoccuparci di JN1?

Il CDC non ha trovato prove che JN1 rappresenti un rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ad altri ceppi e gli esperti affermano che l’aumento dei casi potrebbe essere dovuto in parte alle tendenze e alle condizioni invernali.

Ad esempio, le persone in tutto il mondo trascorrono più tempo in ambienti chiusi consentendo agli agenti patogeni di diffondersi in modo più efficiente. “La necessità di riscaldamento spesso porta a una ridotta ventilazione nelle case, fornendo un ambiente favorevole alla diffusione del virus”, ha affermato Abu-Radat.

Si prevede che i tipi di sintomi saranno simili a quelli del COVID-19 e le misure del periodo pandemico come il distanziamento sociale e l’uso di maschere sono state incoraggiate a titolo precauzionale.

“Potrebbe esserci un aumento delle infezioni e non si prevede che la maggior parte dei casi sarà grave”, ha osservato Abu-Radat.

Cosa ha detto l’OMS su JN.1?

Martedì l’OMS ha dichiarato che il rischio in termini di gravità è attualmente basso e verrà aggiornato se necessario. Il suo vantaggio di crescita è stato classificato come “elevato” poiché il numero di casi è aumentato nelle ultime settimane.

L’agenzia ha osservato che anche altre malattie respiratorie, come l’influenza, sono in aumento con l’arrivo dell’inverno nell’emisfero settentrionale, e la diffusione di JN.1 potrebbe gravare ulteriormente sulle strutture sanitarie.

Il responsabile tecnico dell’OMS per il COVID-19, Maria van Kerkhove, ha dichiarato in una dichiarazione pubblica che l’agenzia ha chiesto agli Stati membri di monitorare da vicino i casi di coronavirus e condividere i dati sui campioni quando disponibili in modo che possano valutare meglio la circolazione e “possiamo adattarci, consigliare il mondo.” (Adattarci? Ancora con questa storia della convivenza col virus! Conviveteci voi virologi che ci lavorate ogni giorno con queste merde artificiali di laboratorio, io non ci voglio convivere, lo voglio combattere e voi non avete volontà ancora di combatterlo, con tutte le tecnologie sanitarie che abbiamo oggi a disposizione, bastardi!)

Secondo l’OMS i vaccini continuano a proteggere dagli effetti gravi della variante.

Quali sono i sintomi di JN.1?

Come con altri tipi di COVID-19, secondo il CDC, i sintomi varieranno in base al sistema immunitario e alla salute generale di una persona.

Fonte: Telepace

https://telepacenews.it/il-nuovo-tipo-covid-jn1-si-sta-diffondendo-rapidamente-quanto-dovremmo-preoccuparci-notizie-sulla-salute/

Covid, variante JN.1 aumenta il rischio contagio a Natale: la nota dell’OMS

20 Dicembre 2023 – 09:04

“Sulla base delle prove disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato dalla variante JN.1 è attualmente valutato come basso – ha spiegato l’Organizzazione Mondiale della Sanità -. Nonostante ciò, con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, la variante potrebbe fare aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi”

Rischio basso, ma potenziale aumento dei contagi. È in sintesi il contenuto della nota pubblicata dall’Oms in merito alla variante del Covid JN.1 che si sta diffondendo rapidamente e che ora è stata classificata come ‘Variante di interesse’ (Voi), separatamente dagli altri membri della famiglia BA.2.86.

La nota dell’OMS

“Sulla base delle prove disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato dalla variante JN.1 è attualmente valutato come basso – ha spiegato l’Organizzazione Mondiale della Sanità -. Nonostante ciò, con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe fare aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi”. L’Oms sta comunque “monitorando continuamente le evidenze e aggiornerà la valutazione del rischio JN.1 se necessario”.

La raccomandazione

L’Oms ha poi ricordato che al momento “i vaccini continuano a proteggere dalle malattie gravi e dalla morte dovute a JN.1 e ad altre varianti circolanti”. In ogni caso, è sempre opportuno “adottare misure per prevenire infezioni e malattie gravi utilizzando tutti gli strumenti disponibili (Dispositivi di Protezione Individuali DPI)”, tra cui “indossare una maschera quando ci si trova in aree affollate, chiuse o scarsamente ventilate e mantenere il più possibile una distanza di sicurezza dagli altri (3-4 metri ed oltre)”.

Covid, arriva la nuova variante JN.1: i sintomi e cosa sappiamo

Inizialmente diffusasi in Lussemburgo, poi emersa con parecchi casi in Gran Bretagna fino ad arrivare in Francia, ha la peculiare abilità di agganciarsi con facilità alle cellule umane. Si tratta della variante Covid JN.1, al vaglio degli esperti per comprenderne meglio caratteristiche e specificità.

DAL LUSSEMBURGO

  • Con tratti distintivi simili alle varianti che hanno colpito più duramente all’inizio della pandemia, ovvero Alpha e Beta, la variante Covid JN.1 in arrivo dal Lussemburgo, si sta diffondendo dalla Gran Bretagna al resto d’Europa

DIFFUSIONE

  • Al momento in Italia la principale sottovariante diffusa è Eris EG5, discendente di Omicron che rappresenta quasi il 60% dei casi, seguono altre sottovarianti della stessa Omicron, ovvero JG.3, XBB 1.5 (Kraken),  XBB 1.9, HV.1 e BA.2.86 (Pirola)

JN.1

  • Tra queste si va a inserire quindi anche JN.1, che in Gran Bretagna la UK Health Security Agency ha sottocategorizzato il 4 dicembre scorso a causa della mutazione della proteina spike che la caratterizza e della crescente prevalenza nei dati del Regno Unito e internazionali

DA OMICRON

  • La sottovariante JN.1 è una sottocategoria della variante Omicron Pirola BA 2.86, dopo essere emersa in Lussemburgo nello scorso agosto si è diffusa negli Stati Uniti, Regno Unito poi principalmente in Francia

MUTAZIONE

  • JN.1 ha una mutazione nella sua proteina spike che le permette di infettare facilmente le cellule, riuscendoci anche con un certo successo, considerando che al 4 dicembre scorso, si contano 302 casi sequenziati di JN.1 nel Regno Unito e 3.618 globalmente, ma con tendenza ad un forte rialzo

SISTEMA IMMUNITARIO

  • Le varie mutazioni di JN.1, comprese alcune mai viste dalle varianti Alpha (inglese) e Beta (sudafricana) nel 2020 e 2021, potrebbero significare che JN.1 sfugga più facilmente al sistema immunitario, riuscendo a replicarsi più velocemente

NESSUN ALLARME

  • Secondo quanto gli esperti hanno evidenziato sino ad oggi, JN.1 tuttavia non genererebbe una sintomatologia più grave o fondamentalmente diversa rispetto a quella innescata da altre varianti Covid (da verificare maggiormente in caso di pazienti affetti da comorbosità e dal quadro clinico medico alterato o compromesso, come nel caso di fragili immunodepressi ed anziani)

SINTOMI

  • In pratica, causerebbe generalmente gli stessi sintomi di Omicron o Pirola, ossia febbre e brividi, tosse, stanchezza, mancanza di respiro o difficoltà a respirare, dolore muscolare (mialgia), mal di testa (cefalea), perdita del gusto (disgeusia), oppure perdita dell’olfatto (anosmia), congestione nasale e diarrea

Fonte: Sky TG24

Covid, i nuovi sintomi che colpiscono l’intestino della variante JN.1. «Ecco come il virus aggira l’immunità ibrida»

Storia di Simone Pierini  

Variante JN.1, i nuovi sintomi che colpiscono l’intestino. «Ecco come il Covid aggira l’immunità ibrida»
https://www.msn.com/it-it/salute/other/variante-jn1-i-nuovi-sintomi-che-colpiscono-lintestino-ecco-come-il-covid-aggira-limmunit%C3%A0-ibrida/ar-AA1lTy2c

Gli scienziati di tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, stanno rilevando tracce di Covid in quantità molto maggiori nelle acque reflue. Questo elemento li sta spingendo a considerare se il virus stia ora prendendo di mira l’intestino delle persone. Il Covid infetta tradizionalmente le persone attraverso il naso e la bocca e si moltiplica nelle vie respiratorie, talvolta migrando verso i polmoni. Ma alcuni virologi ritengono che il virus abbia alterato le sue esigenze per entrare nelle cellule, il che significa che può infettare più facilmente l’intestino

Le acque reflue

Marc Johnson, virologo molecolare e professore di microbiologia molecolare e immunologia presso l’Università del Missouri, parlando con il Daily Mail ha dichiarato che «ci sono stati alcuni enormi picchi nelle acque reflue in Europa, e molti di noi stavano riflettendo su quali potrebbero essere le possibili spiegazioni, se si tratta di solo un aumento di casi o se ci sia qualche altra spiegazione». In Austria, ad esempio, i livelli di Covid nelle acque reflue sono aumentati da quasi zero nel luglio di quest’anno a circa 700 copie genetiche per persona, il che indica la carica virale. Una delle idee è che la nuova variante JN.1 abbia modificato i suoi requisiti per entrare nelle cellule, forse per aggirare l’immunità vaccinale o delle infezioni precedenti. 

L’intestino

Il professor Johnson ha ammesso come sia possibile che la nuova variante JN.1 sia più focalizzata sull’intestino, ma ha aggiunto che vi erano ancora prove dirette per confermare teoria. «Ma molti altri coronavirus infettano l’intestino, quindi non sarebbe così sorprendente», ha sottolineato.

Le caratteristiche di JN.1

A causa della sua rapida diffusione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la variante di Sars-CoV-2 JN.1 come ‘ variante di interesse’ (VOI) separata dal lignaggio BA.2.86, alias Pirola. In precedenza era stata classificata Voi come parte dei sottolignaggi BA.2.86. Lo rende noto l’Oms sottolineando che, «sulla base delle evidenze disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato da JN.1 è attualmente valutato come basso. Nonostante ciò – ammonisce però l’agenzia – con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi». 

Fonte: MSN

Covid, arriva la variante JN.1 che mette in crisi il Natale. L’OMS la classifica come “di interesse”

Emersa in Lussemburgo, è osservata speciale in Gran Bretagna dove i contagi stanno aumentando

21/12/2023 Mariavittoria Savini

Non solo COVID, in aumento anche RSV e polmoniti

A causa della sua rapida diffusione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la variante di Sars-CoV-2 JN.1 come “variante di interesse” (Voi) separata dal lignaggio BA.2.86, alias Pirola. In precedenza era stata classificata Voi come parte dei sottolignaggi BA.2.86. Lo rende noto l’Oms sottolineando che, “sulla base delle evidenze disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato da JN.1 è attualmente valutato come basso. Nonostante ciò – ammonisce però l’agenzia – con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi“.

L’OMS “sta monitorando continuamente le evidenze e aggiornerà la valutazione del rischio JN.1 se necessario”, riferisce la nota. L’agenzia ONU sottolinea inoltre che “gli attuali vaccini continuano a proteggere dalla malattia grave e dalla morte, da JN.1 e da altre varianti circolanti di SarS-CoV-2″. 

Non solo Covid, in aumento anche Rsv e polmoniti

L’OMS ammonisce infine che “Covid-19 non è l’unica malattia respiratoria in circolazione. L’influenza, il virus respiratorio sinciziale (Rsv) e la polmonite infantile comune sono in aumento“. 

Quasi un milione gli italiani a letto durante le feste

Quasi un milione di italiani, “passeranno le feste di Natale a letto ammalati, tra Covid e influenza”. A dirlo è il virologo Fabrizio Pregliasco, Direttore IRCSS dell’Istituto San Raffaele di Milano. “Siamo in una fase di crescita di tutte le infezioni, soprattutto di quelle respiratorie. Specialmente il virus H1N1 è in costante crescita e anche il Covid è molto più contagioso ma più buono, anche se non troppo. Soprattutto questi ultimi casi sono sottostimati, perché il tampone non viene eseguito”, continua Pregliasco che spiega come “nonostante il leggero arresto della scorsa settimana anche il dato dell’occupazione degli ospedali, dei ricoveri e delle morti è in crescita e desta preoccupazione”.

Le misure di prevenzione

La Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (SIMG) e della Società italiana malattie infettive e tropicali (SIMIT) raccomandano una prevenzione vaccinale e una gestione mirata dei pazienti con Covid-19. Da qui il consiglio alla popolazione di adottare misure per prevenire infezioni e malattie gravi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili: indossare una mascherina quando ci si trova in aree affollate, chiuse o scarsamente ventilate e mantenere una distanza di sicurezza dagli altri se possibile; pratica il ‘galateo respiratorio’, coprendo con il gomito tosse e starnuti; lavarsi le mani regolarmente; tenersi aggiornato con le vaccinazioni anti Covid e l’influenza, soprattutto se sei ad alto rischio di malattia grave; restare a casa se si è malati e sottoporsi al test se si hanno sintomi o se si è stati vicini o a contatto con qualcuno con Covid-19 o influenza.

Tornano i tamponi per entrare in ospedali e RSA

Torna l’indicazione per i test alle persone con sintomi Sars-CoV-2 che accedono alle strutture sanitarie. Lo prevede la nuova circolare ‘Indicazioni per l’effettuazione dei test diagnostici per Sars-CoV-2 per l’accesso e il ricovero nelle strutture sanitarie’, firmata dal direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute, Francesco Vaia. L’obiettivo è ampliare e potenziare il monitoraggio dei virus per andare a rintracciare tutte le malattie respiratorie che stanno circolando.

Fonte: Rainews

Covid e Voce – Patologie vocali come conseguenza del virus

10 Mar 2021

https://istitutosantachiara.it/covid-e-voce-patologie-vocali-come-conseguenza-del-virus/

Intervista alla dott.ssa Rosanna De Vita, foniatra presso Istituto Santa Chiara di Roma

La dottoressa De Vita si occupa di prevenzione, diagnosi e trattamento delle patologie e delle malattie della voce parlata e cantata, con particolare interesse per la foniatria artistica.

La trasmissione per via aerea, probabilmente, rappresenta la maggior parte della diffusione del virus SARS-CoV-2.
Quali sono le particelle più pericolose e perché?

Il SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, può essere trasmesso in tre modi: contatto direttocontatto indiretto o attraverso le particelle sospese in aria.
La trasmissione per contatto diretto avviene attraverso il contatto da persona a persona (una stretta di mano).
Il contatto indiretto si verifica quando le particelle virali atterrano su oggetti che vengono comunemente toccati.
La trasmissione per via aerea probabilmente rappresenta la maggior parte della diffusione della SARS-CoV-2.
La carica virale (ovvero la quantità di virus a cui una persona è esposta), il tempo di esposizione e la suscettibilità individuale giocano un ruolo determinante nella trasmissione.
Gli spazi più piccoli, con meno ventilazione e carica virale più elevata e con più persone presenti, portano a tassi di infezione più elevati tramite aerosol.
Gli aerosol, particelle più piccole delle goccioline, trasmettono SARS-CoV-2 su distanze e tempi maggiori perché galleggiano e possono rimanere sospesi nell’aria per ore.
Inoltre, più piccola è la particella, più è probabile che raggiunga il tratto respiratorio inferiore quando viene inalata.
Le particelle di medie dimensioni sono in grado di galleggiare per ore e presentano una maggiore probabilità di infettare con successo un ospite sensibile.

Perché i cantanti potrebbero essere a rischio di trasmissione?

Le particelle di “medie dimensioni” (tra 1 e 5 µm) sono prodotte in proporzione maggiore durante il discorso e il canto. Respirare e parlare, poi, portano all’aerosol delle particelle.
La vibrazione delle corde vocali contribuisce alla generazione di particelle di medie dimensioni.
Questo potrebbe essere il motivo per cui gli atti del parlare e cantare producono più aerosol di medie dimensioni e perché i cantanti potrebbero essere a rischio di trasmissione.

Quali potrebbero essere gli effetti del Covid a lungo termine, in particolare per gli artisti della voce?

Gli effetti a lungo termine includono problemi respiratori, fisici, cognitivi e psicologici.
L’87,4% dei pazienti ha manifestato almeno un sintomo dopo il recupero, con affaticamento (53%) e dispnea (43%).
Gli studi suggeriscono che possono verificarsi conseguenze respiratorie anche a seguito di infezione da COVID-19 in persone senza sintomi gravi.
Le evidenze hanno mostrato che molti soffrono di una persistente riduzione della funzione respiratoria e fonatoria.
Le lesioni polmonari associate a COVID-19 possono causare fibrosi polmonare che può irrigidire i polmoni e causare difficoltà respiratorie.
Riduzioni lievi o moderate della funzione respiratoria potrebbero essere non debilitanti, tuttavia potrebbero determinare importanti problematiche per cantanti e insegnanti di canto.
Gli effetti cronici di lesioni da intubazione includono anomalie della mucosa, della vibrazione delle corde vocali, cicatrici e insufficienza fonatoria.
La paralisi e la ipomotilità delle corde vocali possono derivare anche da brevi periodi di intubazione o da un danno virale al nervo vago. Le neuropatie sensoriali della laringe sono associate a infezioni virali.
Le manifestazioni più comuni della neuropatia sensoriale laringea sono la tosse cronica, la disfunzione della deglutizione la perdita di sensibilità e propriocezione nella laringe, che potrebbe portare a una diminuzione del controllo motorio fine con effetti negativi sulle capacità di cantare.

Come cambia la voce?

L’affaticamento cronico post COVID-19 può rivelarsi abbastanza comune e, logicamente, può avere un impatto significativo sui cantanti con elevate esigenze vocali, mentali ed emotive e, quindi esso, può essere associato a disturbi della voce.

Dal punto di vista medico, così come a livello di best practice da osservare nel quotidiano, cos’è consigliato fare per chi abbia contratto l’infezione da coronavirus e sia guarito?  

Fondamentale è che, chi abbia contratto l’infezione da coronavirus e sia guarito, effettui, tra gli altri controlli, una visita foniatrica con una laringostroboscopia per valutare quanto prima un eventuale coinvolgimento delle corde vocali, soprattutto se si presentano sintomi quali disfonia, raucedine, abbassamento di voce, stanchezza e fonoastenia e difficoltà nel canto.

Fonte: Istituto Santa Chiara

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

CLASSIFICA DELLE CITTA’ PIU’ PERICOLOSE D’EUROPA: LE ITALIANE AI PRIMI POSTI

Storia di Stars Insider  

https://www.msn.com/it-it/viaggi/notizie/classifica-delle-città-più-pericolose-d-europa-le-italiane-ai-primi-posti/ss-AA1iaJd0?ocid=feed-health-article

Ah, l’Europa! Storia e cultura ricca di magia. Le magnifiche città europee attirano ogni anno milioni di turisti desiderosi di fare un viaggio bello e sicuro alla scoperta della magia che offre. Tuttavia, attenzione! Alcune città europee non sono così sicure come ci si potrebbe aspettare.

In questa galleria abbiamo stilato una classifica delle città più pericolose d’Europa in base al loro tasso di criminalità. Questi tassi di criminalità sono calcolati dividendo il numero di crimini denunciati per la popolazione totale. Il risultato viene poi moltiplicato per 100.000.

Potrebbe sorprendervi trovare alcune delle vostre città preferite (o quella in cui vivete!) in questa lista, ma se sono lì, c’è un buon motivo…

Siete curiosi? Allora cliccate qui!

30. Tolosa, Francia

Tolosa, nota per la sua industria aerospaziale, deve fare i conti con i problemi di sicurezza che le hanno fatto raggiungere un tasso di criminalità del 50,6. Prestate attenzione, specialmente nelle aree affollate e sui mezzi di trasporto pubblico, per evitare borseggi e furti mentre esplorate la città.

29. Barcellona, Spagna

Barcellona, una popolare destinazione turistica, è teatro di crimini come scippi e truffe che hanno fatto salire il suo tasso di criminalità al 50,6. Evitate le zone sconosciute di notte, tenete d’occhio i vostri effetti personali e siate prudenti nei bar per evitare di essere drogati.

28. Rennes, Francia

Rennes, una pittoresca città della Francia, ha dovuto affrontare un aumento della delinquenza, con un tasso di criminalità che è salito al 50,8. Fate attenzione ai borseggi e ai furti ed evitate le zone a rischio. Limitatevi ai luoghi ben illuminati e, se possibile, viaggiate in gruppo.

27. Torino, Italia

Torino deve fare i conti con i problemi di sicurezza, tra cui i borseggi, che hanno visto il suo tasso di criminalità salire al 51,9. Godetevi le attrazioni della città, ma rimanete vigili nelle aree affollate e sui mezzi pubblici.

26. Lille, Francia

Lille, un’incantevole città francese, deve affrontare problemi di sicurezza come i borseggi, con un tasso di criminalità del 52,2. State attenti, soprattutto nelle aree affollate, e proteggete i vostri oggetti di valore mentre esplorate questa incantevole destinazione.

25. Roma, Italia

Roma, una città ricca di storia, ha regolarmente a che fare con furti e scippi con un tasso di criminalità del 52,3%. Rimanete vigili, soprattutto nei siti turistici affollati come il Colosseo. Tenete al sicuro i vostri effetti personali, anche nelle camere d’albergo.

24. Dublino, Irlanda

Dublino, la vivace capitale irlandese, deve far fronte a crescenti problemi di sicurezza, con un tasso di criminalità pari al 52,6. Tenete d’occhio i vostri effetti personali, soprattutto nelle aree affollate. Godetevi la cordiale ospitalità irlandese, pur prendendo le dovute precauzioni.

23. Minsk, Bielorussia

Minsk, con un tasso di criminalità del 52,6, è indubbiamente interessata dal fenomeno della criminalità. La città, tuttavia, pone l’accento sulla sicurezza. Bisogna comunque fare attenzione ai borseggi e agli scippi. Inoltre, fate attenzione agli automobilisti locali spericolati ed evitate di fotografare gli edifici statali.

22. Bilbao, Spagna

Bilbao, nota per il suo Museo Guggenheim, deve fare i conti con una piaga criminale che ha visto il suo tasso di criminalità salire al 52,9. State attenti ai borseggi, soprattutto nelle zone turistiche. Godetevi la cultura basca salvaguardando i vostri effetti personali.

21. Salonicco, Grecia

Salonicco, famosa destinazione per le vacanze al mare, deve affrontare problemi di microcriminalità e un tasso di criminalità in crescita del 53,8. Fate attenzione agli scippi e ai furti, soprattutto nelle zone affollate. Pianificate i vostri percorsi prima di avventurarvi in questa città.

20. Odessa, Ucraina

Odessa, una città costiera, deve affrontare molteplici problemi di sicurezza che hanno portato a un tasso di criminalità del 53,9, tra cui borseggi e truffe.

19. Londra, Inghilterra

Londra è generalmente sicura, ma presenta aree con tassi di criminalità più elevati (soprattutto di notte), il che ha portato al suo tasso di criminalità di 54,0. Fate attenzione ai furti e agli scippi. Evitate di uscire da soli dopo il tramonto.

18. Lione, Francia

Lione deve affrontare problemi di sicurezza con un tasso di criminalità del 54,2. Fate attenzione ai borseggi, soprattutto nelle zone affollate.

17. Dnipro, Ucraina

Dnipro ha qualche problema di sicurezza, con un tasso di criminalità del 54,2. Fate attenzione ai borseggi e alle truffe ed evitate i luoghi appartati di notte.

16. Bruxelles, Belgio

Bruxelles, città nota per la sua importanza politica, presenta aree ad alto tasso di delinquenza che hanno contribuito a farle raggiungere un tasso di criminalità del 54,2. Siate prudenti, soprattutto nei pressi dei luoghi turistici e degli snodi dei trasporti pubblici. Prestate attenzione a ciò che vi circonda, soprattutto di notte.

15. Manchester, Inghilterra

Manchester, una città vivace, ha dovuto affrontare numerose sfide in materia di sicurezza, dato che il suo tasso di criminalità è salito al 54,9. Rimanete in zone ben illuminate, evitate di girare da soli e tenete d’occhio i vostri effetti personali mentre vi godete le offerte culturali della città.

14. Nizza, Francia

Anche la pittoresca città di Nizza deve fare i conti con la sicurezza, con un tasso di criminalità del 55,1. Fate attenzione ai borseggi, soprattutto nei luoghi affollati. Godetevi il fascino mediterraneo salvaguardando i vostri effetti personali.

13. Atene, Grecia

Atene, la culla della civiltà occidentale, ha qualche problema di sicurezza, dato che il suo tasso di criminalità ha raggiunto il 55,9. Siate prudenti nelle aree affollate e state attenti ai borseggi. Esplorate i suoi tesori storici in tutta sicurezza.

12. Malmo, Svezia

Malmo, nonostante il suo aspetto pacifico, affronta le questioni legate alla sicurezza con un tasso di criminalità del 56,3. Possono verificarsi piccoli furti, borseggi e incidenti legati alle bande. Evitate le zone isolate di notte e rimanete vigili.

11. Parigi, Francia

La Città della Luce presenta problemi di sicurezza, con un tasso di criminalità del 57,4, in particolare nelle zone turistiche come Montmartre e il Louvre. Fate attenzione ai borseggi e rimanete in zone ben illuminate, soprattutto di notte.

10. Nantes, Francia

Nantes, una delle città più belle della Francia, affronta problemi di sicurezza, con un tasso di criminalità pari al 58,9. Siate prudenti in alcuni quartieri e state lontani dalle manifestazioni che possono diventare violente. Esplorate il suo fascino in tutta sicurezza.

9. Grenoble, France

Grenoble, immersa nelle Alpi francesi, è nota per le sue bellezze naturali. Tuttavia, è bene essere prudenti, poiché Grenoble ha un tasso di criminalità pari al 59,1. Godetevi le attività all’aperto e i paesaggi mozzafiato stando attenti a ciò che vi circonda.

8. Liegi, Belgio

Liegi, una città con un ricco patrimonio culturale, presenta un tasso di criminalità pari a 59,6. Prendete precauzioni, soprattutto di notte, per evitare potenziali rischi. Esplorate la sua storia e il suo fascino tenendo a mente la sicurezza.

7. Montpellier, Francia

Montpellier, nota per la sua architettura storica, non è immune dalla delinquenza, con un tasso di criminalità pari a 61,8. Borseggi e furti sono problemi comuni per i turisti. State attenti, soprattutto nei luoghi affollati, e godetevi la città in tutta sicurezza.

6. Napoli, Italia

Napoli, con la sua ricca storia e la sua cucina, deve affrontare molti problemi di sicurezza, con un tasso di criminalità pari al 62,6. Fate attenzione ai borseggi, soprattutto nelle aree turistiche affollate.

5. Charleroi, Belgio

Charleroi potrebbe non essere nel radar di tutti i turisti, ma è essenziale essere prudenti, poiché la città ha un tasso di criminalità del 62,9 circa. Come in molte città, possono verificarsi piccoli reati come i borseggi.

4. Coventry, Inghilterra

Coventry, nota per la sua storia e l’innovazione, registra un tasso di criminalità che necessita di attenzione, raggiungendo il 63,3. Per stare al sicuro, evitate le aree abbandonate di notte e tenete al sicuro i vostri effetti personali mentre esplorate questa città storica.

3. Birmingham, Inghilterra

Con un tasso di criminalità del 63,5, Birmingham, la seconda città più grande d’Inghilterra, presenta una serie di problemi di sicurezza. Siate prudenti in alcuni quartieri, soprattutto di notte.

2. Catania, Italia

Catania deve far fronte a problemi di sicurezza con un tasso di criminalità del 64,2. Piccoli furti e borseggi sono comuni, soprattutto nelle aree affollate.

1. Marsiglia, Francia

Con un tasso di criminalità del 64,5, Marsiglia, adagiata sulla costa mediterranea, è una città di contrasti. Se da un lato il suo splendido lungomare e la sua vibrante cultura attraggono i visitatori, dall’altro è anche nota per il suo alto tasso di criminalità. Siate prudenti, soprattutto in alcuni quartieri, e tenete al sicuro le vostre cose.

Fonti: (The Boutique Adventurer) (Peakng)

ADIEU THIBAUT PINOT

By Siegfried Mortkowitz October 13, 2023 at 6:59 AM

https://www.welovecycling.com/wide/2023/10/13/adieu-thibaut-pinot/

For many French cycling fans, and likely for many fans around the world, the highlight of the 2023 Tour de France took place on the slopes of the penultimate climb of stage 20, the Col du Petit Ballon, when Frenchman Thibaut Pinot rode past with a lead of 26 seconds on his last-ever Tour mountain stage.

Several thousand Pinot fans had packed both sides of the road, especially the section renamed “the Pinot curve” for the occasion. Some of those adoring fans were probably his neighbours for he lives on a farm in the commune of Melisey, just 80 km from the summit. As he stormed past, they cheered, sang, shouted his name, waved French flags and hoisted placards bearing messages honouring their hero in a moving and loud tribute that brought tears to the eyes of Pinot’s long-time Francais des Jeux coach Marc Madiot.

The 33-year-old Pinot could not hold his lead and eventually finished seventh in the stage, 33 seconds behind the winner, Tadej Pogačar. But nobody seemed to mind because the Frenchman had again shown courage and daring and again reminded his fans, and all cycling fans, that the sport is not so much about winning as it is about drama. And though he never won a Grand Tour or a major multi-stage race, Pinot was a class act for his entire career, gaining fans around the world because he was a rare breed of athlete, authentic and straight-shooting. (As he said of himself and Madiot, “We speak only when we have something to say.”)

Recall what was probably his darkest moment, when he was forced to abandon the 2019 Tour during stage 19 after injuring his left thigh when he collided with a handlebar. He struggled up a climb after the mishap, trying to ride through the pain, before finally stopping and abandoning the race in tears. Earlier in the race, he had won a stage on the iconic Col du Tourmalet and stood fifth in the GC, less than 2 minutes behind the leader, fellow Frenchman Julian Alaphilippe. For many fans and commentators, he seemed poised to finally fulfil his dream of winning the Tour and ending more than 40 years of French frustration. But it was not to be.

Thibaut Pinot before his last race the 2023 Il Lombardia.

But that show of despair was a moment that was moving and dramatic and endeared him to the cycling fans everywhere. Pinot never pretended to be anything but what he knew himself to be, “not a great champion, but a good rider,” as he put it. He also understood why he had so many fans despite his average record. “People love the emotions we convey to them on TV,” he said. “I am a rider who gives that to them, without wanting to.”

It could be said that he suffered a great deal of bad luck during his career, particularly at the Tour, a race all of France thought he would win and become the first French rider since Bernard Hinault, in 1985, to win the host country’s greatest sporting event. Take for example stage 8 of last year’s Tour, when Pinot crashed, remounted and caught up with the peloton, only to be struck in the face by a musette (a bag containing food and drink) handed to a Trek-Segafredo rider by a team soigneur as the Frenchman was riding through the feed zone. Misfortune seemed to follow him like a shadow.

He entered 10 Tours, finished six, won three stages plus the 2014 young rider classification. His best finish was third, in the 2014 Tour, which made him an instant favourite for the following year. But in 2015 he crashed, suffered mechanical problems and cracked in the Pyrenees, which left him far behind in the GC standings. But then he won the race’s queen stage, with a finish on the iconic Alpe d’Huez, and became a hero again. If his success in the Tour de France was limited, he certainly knew how to choose his victories: two of his three stage wins were on the most legendary mountains in the race.

It was fitting that Pinot’s final professional race was Il Lombardia because his 2018 victory in that race remains “the best memory” of his career, he said in a recent interview. “Because it’s a Monument… and because I was able to take on the role of leader and favourite,” he said, and added: “And to beat [Vincenzo] Nibali in his house made the victory even more beautiful.”

Though he was briefly prominent near the end of this year’s Il Lombardia, Pinot finished 37th, 8:52 behind the winner, Tadej Pogačar. But he crossed the finish line at his own pace and with two FDJ-Groupama teammates, in the manner of Grand Tour winners in the last stage of a race. And in many ways, though he didn’t win often, Pinot exited the stage very much a winner. Just ask any French cycling fan.

Fonte: We love Cycling

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

I DUE GEMELLI SUPERSONICI NATI A FINE ANNI ’60: L’ANGLO-FRANCESE CONCORDE ED IL SOVIETICO TUPOLEV TU-144

CONCORDE (1969-2003)

Nel 1968, nelle sale di tutto il mondo usciva 2001: Odissea nello spazio. L’immaginario era ben definito: la guerra fredda aveva contribuito a spingere l’uomo nello spazio e con esso a una concreta possibilità di futuro. Infatti, quel futuro, fatto di navicelle spaziali e viaggi interstellari, si sarebbe avverato a distanza di appena un anno, nel 1969 con lo sbarco sulla luna. Ma giusto pochi mesi prima di Neil Armstrong e del sogno spaziale che fece sognare tutto il mondo, il Concorde fece il suo primo volo. Il Concorde era un jet supersonico: un aereo civile progettato dai migliori ingeneri e designer del mondo per il trasporto dei passeggeri e che poteva volare a una velocità due volte superiore a quella del suono. Il programma di costruzione di questo aereo supersonico era stato iniziato in piena guerra fredda mentre l’entrata in servizio è stata effettuata il 21 gennaio 1976. Nei decenni successivi il Concorde venne utilizzato sia da British Airways sia da Air France, in particolare per le tratte dall’Europa verso gli Stati Uniti. Grazie alle sue caratteristiche tecniche era in grado di compiere il viaggio da Londra a New York in sole tre ore e venti, a differenza del normale Boeing 747 che ce ne metteva oltre sette.

La regina Elisabetta davanti a un prototipo del Concorde

Il Concorde, con le sue caratteristiche tecniche ed estetiche incarnava una visione del futuro, audace come quella dell’Apollo 11, ma di gran lunga migliore in quanto, potenzialmente, alla portata di tutti. Non proprio tutti, in realtà: un viaggio su questo prestigioso jet, per un solo biglietto di andata e ritorno, poteva raggiungere il prezzo di dodicimila dollari, giustificati tra le altre cose dagli elevati costi di manutenzione dell’aereo. In tutto questo, un unico design che rimane tuttora nell’immaginario comune: in un mondo esteticamente omogeneo – per quanto riguarda gli aerei civili – il Concorde era una distrazione che toglieva il fiato con le ali a forma triangolare e un muso appuntito come un jet da combattimento – elementi vantaggiosi per i viaggi supersonici – il design del Concorde era tutto basato sulla fisica diventando subito un simbolo del lusso. Gli arredi interni furono inizialmente assegnati a Raymond Loewy, che ne progettò ogni singolo aspetto. Nel 1985 e nel 1988, Gautier-Delaye ha invece abbellito la cabina con una striscia in tessuto rosso, blu e beige. Più tardi, il turno di Andrée Putman, per commemorare il ventesimo anniversario dell’aereo supersonico: il suo concetto si basava sull’idea di aggiungere le fodere per i poggiatesta e adornare il corridoio con un tappeto a motivo geometrico bianco e nero.

Una hostess all’interno del Concorde

Ma l’esperienza di un viaggio sul Concorde iniziava molto prima del viaggio in sé. I passeggeri prima dell’imbarco si rilassavano in una lounge dedicata, curata anch’essa nei minimi particolari e impreziosita con elementi di design come le sedie disegnate da Le Corbusier. Con solo circa 100 posti e i prezzi dei biglietti più alti mai visti per un viaggio civile, l’aereo ha rapidamente acquisito un’aura di esclusività. Durante un volo si poteva infatti condividere il viaggio con Paul McCartney o Phil Collins, il quale prese l’aereo per suonare al Live Aid nel Regno Unito e negli Stati Uniti lo stesso giorno oppure con i reali d’Inghilterra assieme a innumerevoli capi di stato.

Quella del Concorde, però, fu una favola da un tragico finale. Il 25 luglio del 2000, infatti, il Concorde Air France F-BTSC 4590, ebbe un incidente a Gonesse, in Francia, in cui morirono tutti i cento passeggeri, i nove membri dell’equipaggio e quattro persone a terra nell’hotel dell’aeroporto che colpì. Fu l’unico, fatale, incidente che capitò nella storia del Concorde e che ne decretò la chiusura definitiva. Infatti, l’ultimo volo passeggeri fu quello del 24 ottobre 2003, da New York a Londra.

CONCORDE BRITISH AIRWAYS

Cabina pilotaggio di un Concorde

Fonte: Harpers Bazaar https://www.harpersbazaar.com/it/lifestyle/viaggi/a39499739/concorde-aereo-storia/

TUPOLEV TU-144, THE RUSSIAN CONCORDE (1968-1978)

Tupolev TU-144, il gemello diverso del Concorde

Se pensiamo ad un aereo passeggeri supersonico la mente corre subito al Concorde, che ha segnato un epoca dell’aviazione civile. Ma il jet anglo-francese non è stato ne l’unico e nemmeno il primo aereo passeggeri capace di superare il muro del suono. Il Tupolev TU-144, realizzato in Unione Sovietica, debuttò due mesi prima del Concorde ed era persino più veloce.

L’aereo supersonico sovietico Tupolev TU-144

C’è stato un momento, alla fine degli anni ’60, in cui il futuro del trasporto aereo sembrava indirizzato prepotentemente verso il volo supersonico. Quando gli ingegneri della Boeing progettarono il 747, collocarono la cabina di pilotaggio nella caratteristica gobba per poter riconvertire rapidamente i Jumbo da passeggeri in cargo senza intaccare la capacità di carico.

Tutto questo perché si prevedeva un rapido declino dei velivoli subsonici a vantaggio di modelli capaci di superare il muro del suono.

Un Tupolev TU-144 in fase di decollo

Una convinzione condivisa anche in Unione Sovietica, ed è proprio in quest’ottica che l’OBK 156 (Opytnoe konstructorskoe bjuro, l’Ufficio di Progettazione Sperimentale) diretto da Andrej Nikolaevič Tupolev progettò il Tupolev TU-144 nel suo quartier generale di Mosca.

Per assemblare il nuovo portabandiera della flotta civile sovietica fu scelto lo stabilimento VASO di Voronež, nella Russia europea sud-occidentale. Il prototipo del TU-144 (matricola CCCP-68001) volò per la prima volta il 31 dicembre 1968, due mesi prima del Concorde che spiccò il primo volo il 2 marzo 1969. Il 5 giugno 1969 il Tu-144 superò per la prima volta il muro del suono, il 15 luglio successivo divenne il primo aereo commerciale a superare la velocità di Mach 2.

Primo volo del Tupolev TU-144 (1968)

Le prime versioni (TU-144 e TU-144S) erano dotate di motori Kuznetsov NK-144, che avevano bisogno dei post-bruciatori per volare a Mach 2; senza, la velocità massima era di Mach 1,65 ma limitata a Mach 1. La versione TU-144D fu dotata dei più potenti motori Kolesov RD-36-51 che garantivano maggiore efficienza, maggiore raggio d’azione e una velocità di crociera di Mach 2,17 senza l’uso dei post-bruciatori.

Con una velocità massima di Mach 2,35 (2.500 km/h) Il Tu-144 era più veloce del Concorde, che raggiungeva una velocità di crociera di Mach 2,02 e una massima di Mach 2,04 (2.179 km/h). Ancora oggi, il TU-144 detiene il record di aereo non militare più veloce della storia.

Particolare dei propulsori

A prima vista la somiglianza tra il TU-144 e il Concorde è notevole, tanto che i commentatori ribattezzarono l’aereo sovietico Concordski.

In realtà i due aerei erano molto diversi, il Tupolev era tecnologicamente più avanzato nei comandi, nell’avionica e nei motori grazie all’applicazione degli studi fatti sul bombardiere sperimentale Sukhoi T-4. Il Tu-144 era dotato di alette Canard retrattili sopra il muso che ne aumentavano la portanza e la manovrabilità a bassa velocità, permettendo corse di decollo e atterraggio inferiori del 15% rispetto al Concorde.

Le alette Canard poste sopra il muso

Altra differenze erano nelle ali: quelle del Concorde erano a «delta» ogivali mentre quelle del Tupolev a «doppia delta».

L’alloggiamento dei motori era differente con i Kolesov RD-36-51 del russo maggiormente «annegati» nelle ali rispetto ai Rolls-Royce/Snecma Olympus 593 dell’anglo francese. In comune avevano, invece, il muso reclinabile per aumentare la visibilità durante le manovre a terra e il volo a bassa velocità.

Il Concorde e il TU-144 esposti insieme al Museo della Tecnologia Aerea di Sinsheim in Germania

Lo sviluppo del TU-144 subì una grave (e forse fatale) battuta d’arresto il 3 giugno 1973, quando – al Salone internazionale dell’aeronautica e dello spazio di Paris-Le Bourget – il primo TU-144S di serie si schiantò al suolo durante l’esibizione.

L’aereo eseguì una ripida picchiata e il successivo tentativo del pilota di richiamare l’aereo verso l’alto portò lo sforzo sulla carlinga oltre i limiti strutturali. Il TU-144 si spezzò in volo uccidendo i 6 membri dell’equipaggio e 8 persone a terra.

Le cause dell’incidente sono ancora oggi molto controverse, una teoria vuole che il pilota sovietico abbia effettuato quella manovra così violenta e repentina per evitare un Mirage francese avvicinatosi troppo con l’intenzione di scattare delle foto alle alette Canard, molto avanzate per l’epoca. Secondo altre fonti, invece, l’incidente fu causato da un errore nel settaggio dell’aereo effettuato prima del volo, che portò ad un angolo di salita eccessivo durante la manovra e il conseguente cedimento strutturale. Questo incidente rovinò la reputazione del TU-144 e ne segnò il destino commerciale.

Il TU-144 entrò in servizio con Aeroflot il 26 dicembre 1975. Si iniziò trasportando posta e merci tra Mosca e Alma-Ata; poi, nel novembre 1977, i primi passeggeri volarono finalmente sull’ammiraglia della flotta sovietica. Purtroppo però non durò molto, il 23 maggio 1978 un altro grave incidente funestò la tormentata vita del Concordski: il primo TU-144D (matricola 77111) precipitò durante un volo di prova causando la morte dell’equipaggio.

L’incidente portò alla sospensione del servizio passeggeri, mentre quello merci e postale continuò per gran parte degli anni ’80 grazie anche all’adozione dei motori Kolesov, in grado di allungare il raggio d’azione dell’aereo e raggiungere destinazioni più lontane come Chabarovsk.

Il cockpit dei TU-144

Complessivamente, i vari Tupolev TU-144 hanno compiuto 102 voli, 55 dei quali operati con passeggeri. Durante gli anni ’80, due aerei (matricole 77114 e 77115) sono stati utilizzati come piattaforme per compiere studi sul buco nell’ozono.

Nel 1990 la Tupolev offrì alla Nasa il TU-144 come laboratorio da utilizzare nel programma di Alta Velocità Commerciale. Nel 1995 il TU-144D con matricola 77114 venne recuperato dal magazzino, profondamente modificato con nuovi motori Kuznetsov NK-321, ribattezzato TU-144LL Supersonic Flying Laboratory e consegnato alla Nasa, che investì complessivamente 350 milioni di dollari nel progetto. Nel 1999, dopo 27 voli, il progetto venne abbandonato e l’aereo riconsegnato alla Tupolev.

TU-144LL Supersonic Flying Laboratory

Il ritiro dal servizio del Concorde, avvenuto nel 2003, riaccese i riflettori sul TU-144 e su un suo possibile utilizzo sulle rotte transatlantiche.

Purtroppo però gli altissimi costi di gestione e l’opposizione dei vertici militari russi a concedere ad operatori stranieri l’uso dei motori Kuznetsov NK-321 – installati anche sul bombardiere strategico TU-160 – bloccarono il tentativo di riportare in volo il Tu-144.

Dei 16 aerei prodotti, 8 sono stati demoliti, 5 sono custoditi in università e istituti di ricerca in Russia e 3 sono esposti in musei, due in Russia (a Monino e a Ul’janovsk) e uno a Sinsheim in Germania, esposto insieme ad un Concorde.

Il Tu-144 è stato un aereo tecnologicamente avanzatissimo ma con qualche pecca e tanta sfortuna, senza l’incidente di Le Bourget forse la sua storia sarebbe stata più simile a quella del Concorde, il suo gemello diverso.

Fonte: Motori 360 https://www.motori360.it/tupolev-tu-144-gemello-diverso-concorde/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

FRANCIA NEL CAOS: QUARTA NOTTE DI SCONTRI. LIONE E NANTERRE A FERRO E FUOCO: OLTRE 1300 ARRESTI

Salta la decisione sullo stato d’emergenza. Darmanin chiede lo stop a bus e tram dalle 21. Oggi pomeriggio i funerali di Nahel, che dovrebbero svolgersi in un clima di “discrezione”

Scontri in Francia, uno stabilimento danneggiato dopo una notte di saccheggi e disordini a Montreuil, vicino a Parigi
https://www.rainews.it/maratona/2023/07/francia-nel-caos-quarta-notte-di-scontri-lione-e-nanterre-a-ferro-e-fuoco-471-arresti-11c9d3ac-6b5d-43b9-a102-a6d256eb2d36.html

13:25 01 Luglio 2023

Iniziati a Nanterre i funerali del 17enne Nahel

Le esequie del 17enne Nahel M. sono iniziate questa mattina presso la camera ardente di Nanterre in un clima molto teso, alla presenza di tante persone accorse per rendere omaggio al ragazzo ucciso martedì, durante un posto di blocco, da un agente di polizia. Molte persone si sono radunate fuori dall’edificio per la cerimonia, che la famiglia ha voluto fosse il più intima possibile, lontano dalle telecamere.

“Pace all’anima sua, che sia fatta giustizia. Sono venuta a sostenere sua madre, aveva solo lui, poverina”, ha spiegato alla France Presse una donna di Nantes, che non ha voluto rivelare il suo nome, mentre lasciava la camera ardente. Il carro funebre ha lasciato l’impresa di pompe funebri intorno alle 12. Una cerimonia funebre è prevista nel primo pomeriggio alla moschea Ibn Badis di Nanterre. La sepoltura avverrà poi nel cimitero di Mont Valerien.

Appassionato di rap e motociclismo, Nahel è stato cresciuto da solo dalla madre a Nanterre e ha vissuto in un condominio nella tenuta Pablo-Picasso, ai piedi de La De’fense. Finita la scuola ha lavorato come fattorino e aveva avviato un “corso di inserimento” nell’associazione Ovale Citoyen https://ovalecitoyen.fr che accompagna i giovani attraverso lo sport

La sua uccisione ha scatenato disordini e violenze urbane in Francia, da quattro notti consecutive in preda al caos. Il poliziotto responsabile della sua morte, per il quale è stata disposta la custodia cautelare, ha invocato la legittima difesa.

Fonte: Rai News

Francia. La polizia uccide un ragazzo, scontri a Nanterre

di Redazione Contropiano

https://contropiano.org/news/malapolizia-news/2023/06/28/francia-la-polizia-uccide-un-ragazzo-scontri-a-nanterre-0161938

Lutto e rabbia. Nella tarda serata di martedì 27 giugno e per tutta la notte sono scoppiati incidenti tra gli abitanti di diversi quartieri di Nanterre e la polizia, a poche ore dalla morte di Naël M., colpito a bruciapelo da un poliziotto in motocicletta della Divisione Ordine Pubblico e Traffico della Prefettura di Polizia di Parigi quando si è rifiutato di obbedire.

Incendi di pallet, baracche da cantiere e veicoli dati alle fiamme nel quartiere Vieux-Pont, da cui proveniva la vittima, e venti persone arrestate: gli appelli alla calma del sindaco della città, Patrick Jarry, non sono bastati a evitare gli scoppi che erano prevedibili date le circostanze della morte del giovane, che sono stati ripresi dallo smartphone di un passante intorno alle 8.15 di martedì mattina nel quartiere della prefettura di Hauts-de-Seine.

Il filmato di cinquanta secondi, diventato virale sui social network, ha letteralmente spazzato via il linguaggio inizialmente usato dalle autorità, che parlavano di un veicolo che sfrecciava verso due agenti di polizia con l’intenzione di investirli.

Le immagini mostrano i due motociclisti della polizia appoggiati alla portiera del lato guida di una Mercedes AMG gialla. Nella colonna sonora, sovrapposta al frastuono del traffico, si sentono frammenti di un’accesa conversazione. “Ti spareranno in testa”, grida un poliziotto, con la pistola a pochi centimetri dal conducente del veicolo.

L’auto era appena ripartita e si muoveva ancora a passo di lumaca quando è partito un colpo. Colpita al cuore, la vittima ha perso il controllo del veicolo, che è andato a sbattere contro un cartello di Place Nelson-Mandela, a una cinquantina di metri di distanza. Il giovane è morto alcune decine di minuti dopo, nonostante il tentativo di rianimazione da parte dell’ambulanza. Un passeggero, anch’egli minorenne, è stato arrestato, mentre un terzo individuo, ancora latitante, era ancora attivamente ricercato martedì sera.

I fatti sono stati riferiti alla Procura di Nanterre, che ha aperto due inchieste: la prima per resistenza all’arresto e tentato omicidio nei confronti della polizia; la seconda, per omicidio volontario, nei confronti del poliziotto che ha usato l’arma. I tre avvocati che rappresentano la famiglia della vittima ritengono che questa decisione della Procura di Nanterre metta in dubbio l’imparzialità dell’inchiesta.

“Rifiutarsi di obbedire non dà la licenza di uccidere”.

In un comunicato stampa, hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro l’agente di polizia che ha sparato. “Non c’è dubbio che avesse intenzione di causare la morte”, hanno sottolineato, aggiungendo che “la denuncia riguarderà anche il suo collega per complicità in omicidio volontario”. È stata anche presentata una richiesta di trasferimento del caso ai tribunali. Inoltre”, sostiene uno degli avvocati, Yassine Bouzrou, “non solo la morte del giovane significa che il processo pubblico contro di lui è finito, ma dal momento in cui il video è stato rivelato, è chiaro che l’accusa di tentato omicidio non è più valida e che dovrebbe essere abbandonata”.

I due agenti in questione sono stati interrogati dall’Ispettorato nazionale di polizia prima che l’uomo armato venisse preso in custodia per spiegare come sia arrivato ad aprire il fuoco contro il giovane automobilista quando, come mostra il video, non c’era alcun rischio che venisse colpito o ferito dall’auto.

Riferendosi alle circostanze in cui sono intervenuti gli agenti di polizia, il prefetto della polizia di Parigi, Laurent Nuñez, ha spiegato a BFM-TV che i due agenti avevano “individuato un veicolo che aveva commesso una serie di infrazioni, che inizialmente hanno cercato di controllare. Questo veicolo non si è fermato (…), si è inizialmente rifiutato di rispettare le regole e poi è rimasto bloccato nel flusso del traffico, dove è stato fatto un tentativo di controllarlo a quel punto”.

Durante il question time del governo all’Assemblea nazionale, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, pur ribadendo il suo impegno per il “principio della presunzione di innocenza degli agenti di polizia”, ha definito le immagini pubblicate sui social network “estremamente scioccanti”. Tuttavia, non hanno indignato nessuno al di là della sinistra, per la maggior parte.

Olivier Faure, primo segretario del Partito socialista, ha twittato che “rifiutarsi di obbedire non dà licenza di uccidere”, mentre Clémentine Autain, deputata (La France insoumise) di Seine-Saint-Denis, ha condannato una “esecuzione sommaria”.

* Da Le Monde

28 Giugno 2023 – Ultima modifica: 28 Giugno 2023, ore 8:28

Fonte: Contropiano

“La notte sarà lunga”: la Francia in collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/29/la-notte-sara-lunga-la-francia-in-collera-0161963

L’uccisione da parte della polizia a Nanterre del giovane 17enne Nahel M. durante un normale controllo stradale delle ‘forze dell’ordine’ ha suscitato una vasta reazione che non sembra placarsi.

Un video divenuto subito virale – di cui è stata appurata l’autenticità dall’agenzia stampa AFP e dal quotidiano Le Monde ha radicalmente rovesciato la versione delle fonti poliziesche.

É stato lo stesso presidente Macron a definirlo un dramma “inesplicabile e non scusabile, cui hanno fatto eco parole simili del capo dell’esecutivo, Elisabeth Borne.

Macron ha ovviamente invitato alla calma finché venga fatta giustizia, ma gli animi non si sono affatto placati.

Per questo oggi è stata convocata una marche blanche alle 2 del pomeriggio, di fronte alla Prefettura a Nanterre, nel comune della periferia nord-occidentale della metropoli parigina, a poca distanza da dove è avvenuta l’uccisione. Ma numerose sono le iniziative di solidarietà che dal tardo pomeriggio di mercoledì – Lille, Nantes, Tolosa, per non citarne che alcune – si sono svolte in tutto l’Esagono.

É bene ricordare che l’Assemblea Nazionale – il Parlamento francese – ha osservato un “minuto di silenzio”  per la morte del giovane, nella giornata di mercoledì.

Contro le parole di Macron e Borne si sono scagliati i sindacati della polizia AllianceUnite SGP PoliceSinergie officiers e Alternative police-CFDT che hanno messo l’accento sulla «presunzione d’innocenza» di cui devono beneficiare i propri colleghi, ancora in stato di fermo, nonostante le immagini mostrino una vera e propria esecuzione del 17enne senza che possa essere riscontrabile alcun pericolo per gli agenti, come previsto dalle fattispecie previste per l’uso di armi da parte della polizia in quei contesti.

Le critiche indirizzate a Macron sono proprie sostanzialmente dalla leader del RN, Marine Le Pen, così come dei gollisti di LR, pronti a prendere la difesa a spada tratta delle forze dell’ordine.

La figlia del fondatore del Front Nationale – di cui RN è l’erede – ai microfoni di BFM-TV ha dichiarato: «la polizia non ha più, in un certo numero di quartieri, la minima autorità e questo mette delle vite in pericolo», affermando che il rifiuto di ottemperare agli ordini della polizia «mette delle vite dei poliziotti in pericolo, ma questo mette, lo si vede anche, le vite di altri in pericolo. Io sono per la presunzione di legittima difesa per le forze dell’ordine».

Di fatto si vorrebbe garantire l’impunità degli agenti anche in caso di una vera e propria esecuzione, come è accaduto mercoledì nella capitale francese.

Da quando la legge è stata cambiata – su pressione degli stessi sindacati di polizia, nel 2017 – le morti sono aumentate e l’anno scorso ben 13 persone sono state uccise dalla polizia mentre erano al volante.

Come scrive il sito d’informazione Mediapart: «in assenza di video incontestabili o di testimoni particolarmente convincenti, è la versione degli agenti che prevale».

Ma la coscienza della necessità del monitoraggio delle forze dell’ordine e la denuncia del loro operato è qualcosa che si è radicato nella coscienza di una parte importante del popolo francese, che ne ha fatto le spese dalle mobilitazioni contro la Lois Travaille in poi, come dimostrano il bellissimo film I Miserabili di Lady ly, il documentario del giornalista d’inchiesta David Dufresne, – The Monopoly of violence che mostra la brutalità durante il movimento dei Gilets Jaunes (2018-2020) – ed un numero piuttosto cospicuo di saggi purtroppo non tradotti in italiano.

Il nuovo articolo 435-1 del codice di sicurezza dà un’ampia discrezionalità agli agenti, prevedendo 5 circostanze in cui è legittimo ricorrere all’uso delle armi.

Le statistiche parlano di una impennata nel loro uso nell’anno dell’approvazione – 202 casi secondo quanto riporta il Ministro dell’Interno – per poi assestarsi ad un livello leggermente inferiore ma comunque in aumento rispetto all’approvazione della legge, senza che peraltro possa essere stabilita una correlazione diretta con l’aumento del “rifiuto” di ottemperare alle disposizioni poliziesche.

Come fa notare l’organo di informazione indipendente Basta – il solo che ha costituto un archivio consultabile di dati indipendenti – dall’approvazione della legge sono morte 26 persone nel tentativo di sfuggire ad un controllo, a differenza delle 17 uccise tra il 2002 ed il 2017.

Come sintetizza il ricercatore universitario Sebastian Roché, autore di differenti testi di studio sulla polizia: «il poliziotto può fare uso della sua arma per qualche problema… che non si è prodotto».

Questo in un contesto in cui il rilievo penale, e la relativa ammenda pecuniaria per il reato di “non ottemperanza”, si sono inasprite.

In pratica si è legittimato un uso preventivo delle armi abbastanza discrezionale che ha prodotto effetti deleteri in termini di aumento delle morti, mentre l’opera di lobbyng delle potenti associazioni di categoria cerca di garantire di fatto l’impunità.

Yassine Bouzrou, uno degli avvocati della famiglia Nahel, ha precisato al sito di informazione indipendente Brut che i suoi clienti hanno depositato una denuncia per «omicidio volontario» contro il poliziotto autore della sparatoria e per complicità contro il suo collega, ma anche per «falso in trascrizione in atti d’ufficio».

La prima versione, ripresa da alcuni media, evocava un inesistente tentativo di forzare il blocco degli agenti con l’intenzione di investirli, poi clamorosamente smentita dai filmati.

Sono molti i personaggi in vista dello sport e dello spettacolo, insieme alla sinistra radicale della NUPES che non si sono limitati ad esprimere il proprio cordoglio ed il proprio sostegno alla famiglia del giovane ucciso, ma hanno messo in discussione le narrazioni tossiche che si accompagnano spesso rispetto alle vittime di questi episodi.

Nomi conosciuti al grande pubblico anche italiano per i propri successi sportivi come Kylian Mbappé, capitano della squadra francese di calcio, o l’altro nazionale Jules Koundé, il rapper Niska o Medine, o Kameto, lo streamer da un milione di followers su Twitter, o l’attore Omar Sy.

Un segnale di come l’omertà di fronte a tali episodi non è la norma.

Lo stesso sindaco progressista di Nanterre, Patrick Jarry, spiega a Le Monde la rabbia che è esplosa già da martedì sera: «in alcuni quartieri, c’è un sentimento condiviso secondo cui non c’è la stessa giustizia per tutti, così come non c’è la stessa istruzione per tutti, lo stesso diritto al lavoro per tutti. É tutto questo che alimenta questa questa frustrazione che si è espressa durante la notte».

É questo che teme l’establishment politico francese.

29 Giugno 2023 – Ultima modifica: 29 Giugno 2023, ore 7:53

Fonte: Contropiano

Francia: le ragioni della collera

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/francia-le-ragioni-della-collera-0161980

“È il nostro modo di essere perché ci hanno levato tutto”. Non si placa la reazione popolare in seguito alla morte di Nahel M., il 17enne ucciso la mattina di martedì del 27 luglio a Nanterre, nella periferia parigina nord-occidentale, da un agente di polizia che gli ha sparato “a bruciapelo” durante un controllo poliziesco.

Il quotidiano Le Figaro ha rivelato che l’agente in questione – ora in detenzione provvisoria – era stato premiato più volte nella sua carriera, l’ultima delle quali (nel 2020) per il “coraggio” dimostrato durante le mobilitazioni dei Gilets Jaunes.

Il Ministro dell’Interno Darmanin ha mobilitato per la notte di giovedì ben 40 mila agenti su tutto il territorio nazionale, di cui 5 mila nella sola Parigi, senza che per ora sia stato dichiarato “l’etat d’urgence”, come richiesto a gran voce tra l’altro dal leader dei gollisti di LR, E. Ciotti, e dall’estrema destra di Zemmour.

Valérie Pécresse, presidente della regione di L’Ile-de-France (di fatto l’area metropolitana parigina) ha dichiarato che tram e bus resteranno fermi dalle 21 in poi, circolerà solo la RER e la metro.

Lo “stato d’urgenza” era stato promulgato nel 2005 quando a seguito della morte di due ragazzi – Zeyd Benna e Bouna Traoré – a Clichy-sous-Bois, sempre nell’hinterland della capitale francese, in seguito ad un inseguimento poliziesco due ragazzi rimasero folgorati per avere cercato riparo in un edificio adibito a centrale elettrica.

L’Esagono conobbe alcune settimane caratterizzate da continui scontri notturni nelle periferie di diverse città. Un avvenimento che ha marcato profondamente la coscienza degli abitanti dei quartieri popolari, facendo emergere una profonda spaccatura fin qui non ricomposta con l’establishment politico, e che dopo questi quasi due decenni hanno visto peggiorare le proprie condizioni di esistenza.

L’estensione e l’intensità della reazione, già dalla seconda notte, fanno presagire uno scenario simile a quello del 2005 ma in un contesto diverso, perché il corpo sociale (non solo gli abitanti delle periferie) ha conosciuto sulla propria pelle la repressione nei vari movimenti di lotta che si sono succeduti, almeno dalla fine del quinquennio Hollande in poi.

Il processo di delegittimazione del potere politico e delle istituzioni della V Repubblica è ulteriormente avanzato a causa delle blindature che le élites continentali “con passaporto francese” hanno imposto sulle scelte strategiche che hanno impattato ed impatteranno pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione.

Ossial’ennesima riforma pensionistica, il precedente stravolgimento dell’istituto dell’assurance-chomage, e recentemente, una legge che mina in profondità il diritto all’abitare stabilendo pene carcerarie e pecuniarie esorbitanti per chi occupa un alloggio, o semplicemente agita l’occupazione come strumento di lotta.

Non ultimo, siamo in un contesto di guerra sia sul fronte esterno – in Ucraina ma non solo – ed interno, dove i margini di azione politica vengono annichiliti a colpi di provvedimenti dell’esecutivo, come dimostra lo scioglimento del collettivo ecologista Les soulèvements de la terre.

L’inflazione in Francia, proprio come in Italia, continua a mordere ed è attorno alle due cifre, senza che a questa sia corrisposto un adeguamento salariale consistente. Una situazione in cui anche lo SMIC, ossia il salario minimo intercategoriale, se basso, può poco per ciò che riguarda l’impoverimento crescente di una fetta sempre più ampia della popolazione.

In questo contesto assistiamo sempre più ad una polarizzazione netta del campo politico con i conservatori che vanno a braccetto con l’estrema destra, influenzando in profondità la Macronie.

Il neofascismo prende sempre più spazio, banalmente comprandosi testate giornalistiche di rilievo, come è accaduto con il quotidiano sportivo Paris-Match e quello domenicale JDD, acquistati dal gruppo Vivendi, di proprietà di Bolloré, il magnate che ha di fatto creato il fenomeno Zemmour, cometa neo-fascista riapparsa nei cieli della politica dopo le elezioni presidenziali proprio in questi giorni.

Dall’altra parte abbiamo il campo della sinistra radicale della NUPES che, nonostante le differenze al suo interno ed alcuni posizionamenti “ballerini” sulla politica internazionale – comunque la LFI rimane per l’uscita dalla NATO della Francia e critica l’operato della UE “da sinistra” – sa da che parte stare.

Ovvero nei picchetti degli operai in sciopero sgomberati dalla polizia durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni, nei commissariati quando vengono arrestati gli attivisti nel corso delle manifestazioni, al fianco dei manifestanti anche quando si mettono in campo pratiche di azione diretta come per esempio a Sainte-Soline contro il progetto di megabacini idrici, nella marche blanche lanciata dalla madre del 17-enne ucciso, e così via, oltre a fare una opposizione reale e non di facciata in Parlamento.

E’ sempre bene ricordarlo: la Nupes ha fatto incetta di voti proprio nelle periferie, tra i giovani e la “knowledge class”, senza però riuscire ad arginare l’astensionismo.

Insomma niente a cui spartire sul piano della pratica, qui in Italia, con l’inconsistenza della dirigenza del M5S o dell’Alleanza Verdi-Sinistra.

Ciò che colpisce in questi giorni, nelle varie interviste uscite sui diversi organi di informazione che fanno “inchiesta” tra gli abitanti di Nanterre, è il livello di coscienza che fa emergere quanto la Francia in alcune suoi territori sia di fatto uno “Stato Fallito” non più in grado di assicurare un granché ai suoi cittadini.

Non esiste più un’istruzione di qualità, non più un impiego, non più un alloggio dignitoso, e nemmeno il diritto alla vita.

Una Francia dove l’ascensore sociale si è rotto da tempo e nessuno vuole o sa ripararlo, con un razzismo strutturale dove la linea del colore determina se in caso di mancato stop ad un controllo di polizia vieni “freddato” o meno, oltre ad essere ancora uno stigma come una “colonia interna”.

Una Francia dove sta riemergendo uno zoccolo duro reazionario – chiamiamolo “fascismo plurale” – non relegato ai margini della politica, ma che ha una sorta di potere di veto sulle scelte di fondo dell’esecutivo, comunque ascrivibili motu proprio ad una versione molto autoritaria del neo-liberalismo e del “neo-colonialismo interno”.

L’imponente marcia a Nanterre – più di 6mila secondo le sottostimate cifre ufficiali – svoltasi ieri pomeriggio precede una notte di sommosse che è l’unico linguaggio che rende visibili gli esclusi.

Come ha affermato un ragazzo di Nanterre intervistato da Mediapart: “I media hanno cercato di infangare la memoria di Nahel cercando di accollargli dei precedenti giudiziari inesistenti. Senza il video registrato da un testimone, la versione dei poliziotti che hanno affermato di essere stati investiti dall’auto, avrebbe avuto la meglio.

E così, perché delle celebrità come Omar Sy hanno preso la sua difesa, che è “buono” venire a farne il suo ritratto.

Voi cercate tutti di fare degli scoop su di un morto. Giocate ad avere un’ informazione che un altro non avrà. Forse si sarebbe dovuti venire a vedere prima a capire come è cresciuto, come lo Stato ci ha trattato nelle nostre cités, come la polizia ci maltratta“.

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 7:11

Fonte: Contropiano

La marcia bianca, poi la notte buia

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/06/30/la-marcia-bianca-poi-la-notte-buia-0161990

A corroborare il nostro articolo più analitico, vi proponiamo qui la cronaca delle battaglie notturne avvenute un po’ in tutta la Francia, secondo il “rispettabile” quotidiano Le Monde.

Ci si può comunque fare un’idea piuttosto precisa della situazione…

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A Nanterre, la notte è iniziata presto giovedì 29 giugno: alle 16.30, non appena si è conclusa la manifestazione in memoria di Nahel M., ucciso martedì da un poliziotto, un denso fumo ha oscurato il cielo in seguito ai primi incendi.

Alcuni speravano che la marcia bianca avrebbe calmato gli animi, ma non ha avuto alcun effetto calmante sulle decine e decine di giovani che hanno sottoposto la prefettura di Hauts-de-Seine a una terza notte di disordini e distruzioni, che si sono estesi alle province e hanno provocato centinaia di arresti in tutto il Paese.

Sono stati distrutti bancomat, demoliti ristoranti, farmacie e parrucchieri, messi a soqquadro i centri finanziari pubblici, saccheggiati tabaccai e distributori di benzina, per non parlare degli innumerevoli incendi di auto nel cuore del quartiere Pablo-Picasso, epicentro della rabbia di Nanterre, dove alle 3 del mattino si sono visti residenti in preda al panico che si affannavano a tirare fuori i loro veicoli da un parcheggio in cui un’auto incendiata minacciava di propagarsi ai vicini e agli alberi circostanti.

La stazione di polizia e la prefettura, particolarmente protette, sono state risparmiate.

I muri della città chiedevano “giustizia per Nahel”, “rivolta per Nahel”, “vendetta per Nahel”. Diversi residenti, sia giovani che anziani, hanno promesso una serata ancora più brutale della precedente.

“Ho passato la giornata a parlare con i giovani, ma sono fuori controllo”, ha spiegato Karim, 47 anni, che ha trascorso 35 anni in una delle torri delle nuvole nel quartiere Pablo-Picasso. “Lì hai innescato qualcosa che non si fermerà mai”.

All’inizio della giornata, lui e gli altri residenti del suo grattacielo erano stati invitati con un SMS dal condominio ad andare a dormire altrove, se possibile.

“Vedrete stasera, sarà un’altra cosa”.

Un agente del CRS di stanza in Place Nelson-Mandela, dove l’auto di Nahel ha terminato la sua corsa fatale, ha raccontato che due giovani che erano passati accanto alla sua compagnia al termine di una marcia bianca che si era conclusa con una certa, ma ancora misurata, agitazione, avevano detto loro: “Vedrete stasera, sarà qualcosa di diverso”.

“Siamo rimasti indietro durante la marcia bianca perché sappiamo che la vista di un’uniforme può creare tensione (…)”, spiega il poliziotto. “I nostri superiori ci hanno detto: ‘Nessun arresto durante la marcia’”, continua il CRS. Ma poi abbiamo visto che erano arrivati il BRI e il BRAV-M, quindi credo che stasera la festa sia finita e ci saranno degli arresti”.

Morte di Nahel M.: più di 400 persone arrestate dopo un’altra notte di violenze

Secondo gli ultimi dati disponibili, almeno 421 persone sono state arrestate dalla polizia in tutto il Paese, quasi tre volte la cifra registrata alla fine della notte di mercoledì, già segnata da scoppi di violenza. Di fronte alla conflagrazione e alle scene di disordini, scontri con la polizia, saccheggi diffusi e incendi dolosi, attacchi a edifici pubblici e stazioni di polizia, sembra che le misure adottate abbiano fatto il loro tempo.

Sempre a Nanterre, all’inizio della serata, un incendio in una filiale del Crédit Mutuel, vicino alla stazione RER di Nanterre-Préfecture, ha rischiato di avvolgere l’intero edificio, che alla fine è stato salvato dalle fiamme dai vigili del fuoco applauditi dalla folla.

“Clotilde, una donna di cinquant’anni che vive a Nanterre da dieci anni, ha commentato: “Ciò che è sorprendente è che questo non è nemmeno un quartiere a luci rosse! I rivoltosi hanno messo in atto il loro piano in modo scrupoloso, incendiando persino la leggendaria giostra del parco André-Malraux, su cui tutti i bambini del quartiere sono saliti”. Clotilde: “Hanno dato fuoco alla giostra del loro fratellino. È così triste.

La morte di Nahel M. a Nanterre vista dalla stampa estera: “l’incendio”, “la fiammata”, “la vergogna”…

Nanterre è rimasta calma per qualche ora, prima di essere svegliata bruscamente intorno alle 23.30 da due grandi esplosioni, l’inizio delle vere e proprie ostilità.

Granate lacrimogene sparate in risposta a mortai pirotecnici; movimenti ultrarapidi su scooter e motorini, il ronzio degli elicotteri; ingressi dei complessi residenziali sbarrati a tutti i visitatori, compresi i giornalisti, da individui con sagome dissuasive; barricate in fiamme che apparivano a caso da una prospettiva e, a volte, polizia che si ritirava da alcune strade sotto l’assalto dei giovani.

A Nanterre, per proteggere la direzione regionale di pubblica sicurezza dell’Hauts-de-Seine ed effettuare arresti in una situazione di forte degrado, la Brigade de recherche et d’intervention (BRI) ha dispiegato le sue forze, preceduta da imponenti veicoli blindati utilizzati in particolare per sgomberare le barricate.

In altre zone del Paese, come Lille e Marsiglia, immagini identiche di poliziotti del RAID incappucciati e incappucciati, a piedi o su 4×4 nere, hanno dato ieri sera l’impressione di un Paese in preda alla guerriglia urbana.

Alcuni saccheggiatori hanno utilizzato carrelli della spesa

Ancor più del giorno precedente, i disordini si sono estesi a diverse città della regione parigina e delle province, in un’identica ondata di violenza e saccheggi.

A Noisy-le-Sec (Seine-Saint-Denis) è stato saccheggiato il supermercato Carrefour, con la sua tenda di ferro e la vetrina sfondata. Il bottino: prodotti di uso quotidiano, alimentari, carta igienica e prodotti per la casa.

Più lungimiranti di altri, alcuni dei saccheggiatori si sono muniti di carrelli della spesa, approfittando dell’oscurità in cui era piombata la città per dileguarsi, con tutta l’illuminazione stradale spenta e la polizia e i vigili del fuoco in gran parte invisibili.

Morte di Nahel M.: “Ora siamo in una situazione in cui prevale l’equilibrio dei poteri e lo spettro del 2005 incombe”.

In confronto, la zona industriale di Bas-Pays, a Romainville, è apparsa stranamente calma: “Abbiamo più persone di ieri, quindi è un po’ più tranquillo.

Ma c’erano ancora sessanta persone che volevano attaccare la stazione di polizia municipale verso le due del mattino”, ha osservato il sindaco, François Dechy. Ma all’altro capo della RN3, le forze di polizia hanno bloccato il quartiere Hoche di Pantin mentre una compagnia di CRS entrava in azione. Interrogato, un poliziotto ha descritto la situazione come “più tesa” del giorno precedente e si è chiesto “quando finirà tutto questo”.

In molte altre località, mentre la serata era stata relativamente tranquilla, gli eventi hanno preso una piega improvvisa a partire dalla mezzanotte, come a Saint-Denis, dove sono stati incendiati alcuni cassonetti della spazzatura sulla strada e sono state rotte delle bottiglie nel quartiere della Basilique, seguiti da incendi di auto in tutta la città, in particolare nel complesso residenziale Joliot-Curie.

Durante la notte si sono verificati diversi scontri con la polizia e sui social network circolano immagini di un arresto particolarmente violento. Come a Noisy-le-Sec, il negozio Carrefour del centro è stato saccheggiato, con la sezione biciclette presa di mira in particolare dai giovani.

Almeno altre due scene di rapina sono avvenute nel centro di Parigi, nel quartiere Les Halles, dove è stato saccheggiato in particolare il negozio Nike, e il negozio Zara in rue de Rivoli (1° arrondissement), vicino a place du Châtelet.

Nella stessa zona sono stati incendiati anche alcuni cassonetti, nonostante la massiccia presenza della polizia, che è stata bersagliata con proiettili. Il CRS ha risposto con gas lacrimogeni, ma la situazione non è sfociata in uno scontro diretto. A pochi metri di distanza, in questo quartiere molto vivace e costellato di bar, turisti e parigini continuavano a sorseggiare i loro drink.

Incendi  a Roubaix e Tourcoing, roccaforte di Gérald Darmanin

Una parte del quartiere 3000 di Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), una città duramente colpita dalla violenza urbana nelle due notti successive alla morte di Nahel, è stata immersa nel buio dai rivoltosi. In rue Delacroix, un’arteria principale che attraversa il quartiere residenziale, alcuni veicoli sono stati posti di traverso sulla strada e poi incendiati.

A mezzanotte, più di cinquanta giovani incappucciati hanno iniziato a bloccare la strada con delle barricate e poi si sono aggirati in questa zona del quartiere, causando ingenti danni. Il giorno prima, un camion era stato rubato e poi dato alle fiamme. Il giorno prima, un autobus era stato dirottato e portato nel complesso residenziale per essere bruciato.

Morte di Nahel M.: a Montreuil, la seconda notte di violenza si è concentrata sul centro della città e sui suoi negozi.

Infine, nel centro di Montreuil (Seine-Saint-Denis), dove centinaia di giovani si sono radunati intorno al municipio, si è ripetuto lo stesso scenario delle altre città: sono stati incendiati i cassonetti della spazzatura e sono state poste barriere sulle strade per impedire il passaggio delle auto. Barriere metalliche sono state erette anche all’inizio dei viali principali che portano al municipio.

A ondate e a gruppi, centinaia di persone, alcune incappucciate, mascherate o con bastoni, hanno cercato di convergere verso la stazione di polizia, accendendo fuochi.

Nel nord del Paese, dove sono scoppiati gravi disordini durante la seconda notte di sommosse, ci sono stati numerosi tafferugli a Roubaix e a Tourcoing, roccaforte familiare ed elettorale del ministro dell’Interno Gérald Darmanin.

Con cassonetti strappati e rovesciati in mezzo alla strada e alcuni dati alle fiamme, un gruppo di circa cinquanta persone ha scatenato il caos nel quartiere di Phalempins, avvicinandosi gradualmente al centro della città mentre un elicottero della Gendarmeria sorvolava la città, teatro di sporadici scontri tra rivoltosi e polizia.

Nella vicina Roubaix, la stessa tensione è stata palpabile non appena è scesa la notte. Il quartiere di Epeule è stato teatro di scontri intorno al teatro Colisée, protetto dalla polizia che sparava mortai a salve.

Nel quartiere Pile, il centro sociale è stato avvolto dalle fiamme e sono state erette barricate, poi incendiate, nella zona dell’Alma, che aveva già vissuto una notte molto movimentata il giorno precedente.

Diversi edifici sono stati incendiati, in particolare nella zona della stazione dove, secondo i testimoni, una trentina di rivoltosi hanno saccheggiato il minimarket Proxy al piano terra dell’hotel B & B prima di darlo alle fiamme. Del negozio non rimane nulla.

Kamel, un residente della zona, ha raccontato che “i vigili del fuoco hanno impiegato molto tempo ad arrivare”. Va detto che i vigili del fuoco sono totalmente sovraccarichi a Roubaix. “Hanno smesso di rispondere al telefono”, hanno detto alcuni residenti. Non ci sono state vittime nell’hotel.

A soli 200 metri di distanza, all’ingresso del quartiere Alma, un enorme edificio industriale ex Redoute, la cui facciata è crollata in un incendio, ha distrutto tutto. Da un anno e mezzo ospitava Prochèque, una società del gruppo Tessi che fornisce servizi a grandi aziende regionali. Vi lavoravano circa 500 persone.

A Tolosa, i temporali interrompono gli scontri

A Tolosa, i temporali che si sono abbattuti sulla città intorno alle 22.00 hanno certamente interrotto una notte che si preannunciava molto calda. Alle 20.30, nel quartiere Mirail della Reynerie, sono scoppiati violenti scontri tra la polizia e un centinaio di giovani in Place Abbal, cuore del quartiere.

I colpi di mortaio e i gas lacrimogeni sono proseguiti per oltre un’ora, mentre piccoli gruppi di giovani si formavano nel labirinto di edifici. Contemporaneamente, a poca distanza, la stazione di polizia locale di Bellefontaine è stata attaccata con pietre, bottiglie e fuochi d’artificio, mentre auto e mobili hanno iniziato a bruciare.

Altri quartieri sono andati in fiamme nello stesso momento: a Empalot e Les Izards, nel nord della città, gli scontri sono iniziati prima che scoppiasse la tempesta.

La metropolitana che serviva i quartieri popolari è stata interrotta alle 21.30. Intorno alle 23, la prefettura ha dichiarato che “la violenza urbana è stata contenuta” nei quartieri interessati, grazie soprattutto “al supporto del RAID e del GIGN, che hanno effettuato undici arresti”.

La sezione locale dell’unità di polizia d’élite è stata coinvolta anche a Marsiglia, dove circa 400 persone, per la maggior parte giovani o addirittura giovanissimi, si sono radunate davanti alla prefettura prima di passeggiare selvaggiamente per il centro della città in modo altamente disorganizzato.

Il prefetto ha messo in campo una grande forza, comprese diverse unità mobili, per disperderli. La polizia ha sparato e un agente è stato ferito e portato in ospedale. Cinquantasei persone sono state arrestate.

“Non bruciate le auto”

La tensione non si è placata, invece, nella zona di Lione, dove la situazione è esplosa poco dopo le 22 nel quartiere Mas-du-Taureau di Vaulx-en-Velin. Per alcuni lunghi minuti, i mortai hanno esploso fuochi d’artificio davanti alla biblioteca multimediale Léonard-de-Vinci.

“È la guerra!” ha gridato un giovane con il velo. “Non bruciate le auto”, ha gridato un altro, per dissuadere i gruppi dal prendere di mira i veicoli dei residenti.

Dalle loro finestre, gli abitanti della zona hanno assistito agli scontri con la polizia intorno alla piazza centrale di questo quartiere emblematico dei quartieri residenziali di Lione, dove è stata inviata una colonna del RAID, dotata di un veicolo blindato.

Sono stati lanciati proiettili e sparati mortai contro gas lacrimogeni e granate sonore: scene di disordini estremamente violente e pericolose. Un giovane del posto è stato ferito e portato in un’ambulanza dei vigili del fuoco sotto la protezione della polizia. Il temporale e le forti piogge sembrano aver calmato le ostilità a Vaulx-en-Velin, mentre altre forme di violenza si sono diffuse alla periferia di Lione.

Gruppi di rivoltosi mobili hanno appiccato incendi e causato danni a Bron, Saint-Priest, Villeurbanne e persino nel 3° arrondissement di Lione, dove un autobus è stato distrutto dalle fiamme in avenue George-Pompidou, non lontano dalla stazione di Part-Dieu.

Intorno alla sua carcassa fumante, i residenti della zona hanno filmato i danni. I video degli incendi appiccati a due tram, a Vénissieux e a Saint-Priest, sono circolati a rotta di collo. Poco distante, in rue de la Gaîté, sono state incendiate due auto e un’esposizione immobiliare, tra il ginnasio e il collegio Bellecombe. La prefettura ha annunciato sette arresti nella notte.

Morte di Nahel M.: il governo resiste alle richieste di stato di emergenza

Le autorità si aspettano una violenza “diffusa” nelle “prossime notti”, secondo una nota dell’intelligence citata da una fonte della polizia. La nota, trapelata da diversi media, è datata giovedì, il giorno dopo una seconda notte di disordini in molte città. Si parla di “prossime notti” che “vedranno la violenza urbana con la tendenza a diventare diffusa” e di “azioni mirate alle forze dell’ordine e ai simboli dello Stato o dell’autorità pubblica”.

Henri Seckel, Franck Johannès, Philippe Gagnebet (Tolosa, corrispondente), Florence Traullé (Lille, corrispondente), Richard Schittly (Lione, corrispondente), Rémi Barroux, Gilles Rof (Marsiglia, corrispondente), Laurent Telo, Luc Bronner e Antoine Albertini

30 Giugno 2023 – Ultima modifica: 30 Giugno 2023, ore 9:06

Fonte: Contropiano

“La morte di Nahel è la scintilla”: i motivi della rabbia

di Jade Bourgery – Caroline Coq-Chodorge – Lucie Delaporte – Mathilde Goanec – Pauline Graulle – Cécile Hautefeuille – Dan Israel

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/01/la-morte-di-nahel-e-la-scintilla-motivi-della-rabbia-0161993

Ultim’ora. Il quadro dei disordini notturni ricostruito dal quotidiano Le Monde.

Aggiornamento delle 5 del mattino

Nuove scene di saccheggio e violenza sporadica hanno scosso diverse città francesi, tra cui Lione, Grenoble, Saint-Etienne e Marsiglia, nella notte tra venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, ma sono state segnate da una violenza di “intensità molto minore” rispetto alle precedenti, secondo il Ministero dell’Interno, quattro giorni dopo la morte di Nahel, ucciso da colpi di pistola della polizia durante un controllo stradale a Nanterre.

In visita a Mantes-la-Jolie (Yvelines), Gérald Darmanin ha annunciato intorno alle 2:30 del mattino che 471 persone sono state arrestate in tutto il Paese, tra cui 120 a Parigi, secondo quanto comunicato dalla Préfecture de police alle 2 del mattino.

Intervistato da BFM-TV, il ministro dell’Interno ha dichiarato che “sarà la Repubblica a vincere, non i rivoltosi“, denunciando “violenze inaccettabili a Lione e Marsiglia“.

In un lungo messaggio rilanciato su Twitter dal capitano dei Les Bleus Kylian Mbappé, i giocatori della squadra di calcio francese hanno invitato a “placarsi” di fronte a quello che hanno definito “un vero e proprio processo di autodistruzione“.

La violenza non risolve nulla, soprattutto quando si rivolge inevitabilmente e inesorabilmente contro coloro che la esprimono, le loro famiglie, i loro cari e i loro vicini“, hanno sottolineato, esprimendo al contempo il loro “shock per la morte brutale di Nahel“.

All’inizio di venerdì, diversi centri commerciali nella regione di Parigi sono stati vandalizzati, con diversi negozi danneggiati e saccheggiati. Tra gli obiettivi c’erano Rosny 2, in Seine-Saint-Denis, e Créteil Soleil, in Val-de-Marne. Negozi sono stati attaccati anche nel centro di Strasburgo.

Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva annunciato nel pomeriggio, al termine di un secondo comitato di crisi interministeriale in due giorni, la mobilitazione “eccezionale” di 45.000 poliziotti e gendarmi e di unità d’élite come il GIGN.

Emmanuel Macron ha invitato “tutti i genitori ad assumersi le proprie responsabilità” venerdì pomeriggio al termine della riunione di crisi del governo. “Non è compito della Repubblica sostituirsi a loro“, ha dichiarato, dopo aver condannato “con la massima fermezza tutti coloro che sfruttano questa situazione e questo momento per cercare di creare disordine e attaccare le nostre istituzioni“.

In una circolare diramata venerdì, il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, ha definito la risposta penale “rapida, ferma e sistematica” che vorrebbe fosse applicata agli autori della violenza urbana, compresi i minori e i loro genitori.

Il Ministero dell’Interno ha ordinato ai prefetti di sospendere i servizi di autobus e tram in tutto il Paese ogni sera a partire dalle 21.00, al fine di limitare la diffusione dei disordini, che stanno prendendo di mira anche le infrastrutture di trasporto.

Alle 23.40 circa di giovedì, un abitante di Cayenne, nella Guyana francese, è morto dopo essere stato colpito da un proiettile vagante mentre si trovava sul balcone al piano terra del suo palazzo, hanno osservato sul posto due giornalisti dell’emittente televisiva Guyane La Première.

Questa informazione è stata confermata a Le Monde da una fonte della polizia. Secondo il direttore territoriale della polizia nazionale, il colpo è stato sparato “indiscutibilmente” dai rivoltosi.

Il sindaco di Nanterre, Patrick Jarry, ha confermato che i funerali di Nahel M. si terranno sabato. In una breve dichiarazione alla stampa al termine del Consiglio interministeriale sulle città, il sindaco ha sottolineato “l’urgente necessità di trovare le parole per spezzare il ciclo della violenza“.

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Dal dispaccio dell’Agenzia  Agi.

Sporadiche violenze e saccheggi hanno colpito diverse città in tutta la Francia nella quarta notte di proteste dopo l’uccisione da parte della polizia di un adolescente.

Nonostante la presenza della sicurezza, venerdì notte sono avvenuti saccheggi nelle città di Lione, Marsiglia e Grenoble, con bande di rivoltosi spesso incappucciati che hanno saccheggiato i negozi

I manifestanti hanno anche dato fuoco ad auto e bidoni della spazzatura. Ma durante una visita a Mantes-la-Jolie, a ovest di Parigi, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha dichiarato sabato mattina presto che la violenza della notte è stata “di intensità molto minore”, con 471 arresti a livello nazionale e sacche di tensione a Marsiglia e Lione in particolare.

Darmanin aveva annunciato una mobilitazione “eccezionale” di polizia e gendarmi per evitare una quarta notte consecutiva di disordini per la morte di Nahel, che sarà sepolto sabato nel sobborgo parigino di Nanterre dove viveva ed è stato ucciso.

Gli avvocati della famiglia hanno chiesto ai giornalisti di stare alla larga, dicendo che era “un giorno di riflessione” per i parenti di Nahel.

Il presidente francese è pronto ad adattare il dispositivo di mantenimento dell’ordine “senza tabù” (di fatto: “senza limiti nell’esercizio delle violenza“) e ha fatto appello ai genitori perché “tengano i figli a casa“. Dispiegati 45mila agenti in tutto il territorio nazionale. Uno armamentario da guerra civile che fa a cazzotti con la pretesa di rappresentare un esempio di democrazia liberale…

Macron ha parlato al termine dell’unità di crisi interministeriale. “In questo contesto, chiediamo a tutti i genitori di assumersi la responsabilità: il contesto che stiamo vivendo è frutto di gruppi organizzati e attrezzati ma anche di tanti giovani. Un terzo degli arrestati sono giovani o molto giovani“, ha insistito il capo dello Stato.

È responsabilità dei genitori tenerli a casa. Faccio appello al senso di responsabilità delle famiglie“. Ammettendo così, implicitamente, di governare uno Stato assassino che è un pericolo per i giovani.

Le piattaforme e le reti svolgono ruoli molto importanti“, ha aggiunto, citando TikTok e Snapchat. “Saranno fatte richieste per avere l’identità di coloro che usano i social network per chiamare al disordine“. “Prenderemo diverse misure nelle prossime ore“, ha detto.

In pratica, si avvia una schedatura di massa su centinaia di migliaia di persone pretendendo che le piattaforme consegnino i dati in loro possesso.

L’introduzione dello stato di emergenza e del coprifuoco è stata richiesta da diversi responsabili politici dopo la terza notte di violenze che ha portato a centinaia di arresti, danni a edifici istituzionali e feriti fra le forze dell’ordine.

È morto un giovane, nel pomeriggio di ieri, che nella notte – secondo la polizia –  era caduto dal tetto di un negozio a Petit-Quevilly (Seine-Maritime), a margine dei disordini seguiti alla morte di Nahel. Lo hanno riferito fonti della polizia.

Il giovane, che aveva circa vent’anni, è morto cadendo dal tetto di un supermercato “nel corso di un saccheggio“, ha riferito una fonte della polizia. L’ufficio del procuratore di Rouen ha invece chiarito che il supermercato non era stato teatro “di un attacco da parte dei contestatori“. Come si vede, la polizia continua a mentire come “regola di servizio”…

Intanto l’agente che ha sparato a Nahel – figlio unico di madre single, un’educazione scolastica caotica, una vita senza aver mai conosciuto il padre – si è scusato con la famiglia: è stato accusato di omicidio volontario e il suo avvocato ha raccontato che è “devastato”.

Una mano pietosa ha lasciato un biglietto struggente sul luogo dove il ragazzino è stato ucciso: “Pace a Nahel, che la terra ti sia lieve“. 

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Quelli che seguono sono alcuni articoli apparsi su Mediapart, decisamente più addentro ai movimenti di questi giorni.

Scene degne di un film dove non ci sono “niente più regole, niente più leggi”, un supermercato saccheggiato, una stazione di polizia attaccata a mezzanotte da una cinquantina di rivoltosi, auto incendiate, giovani che si scatenano in una terra senza poliziotti…

La notte da mercoledì 28 giugno a giovedì 29 giugno a Trappes (Yvelines), come ha vissuto – e raccontato – Ali Rabeh, il sindaco (Generation s) del paese, è stato terribile.

«E alla fine ce la stiamo cavando abbastanza bene, perché nessuna attrezzatura pubblica comunale è stata attaccata», sussurra l’assessore comunale. Ricorderà a lungo lo sguardo “determinato” di questi giovani incappucciati, umiliati quotidianamente dalla polizia, oggi traboccanti di rabbia.

Ma anche quella degli abitanti, entrambi traumatizzati dall’assassinio di Nahel, da parte di un poliziotto il 27 giugno a Nanterre, e “disgustati” per aver visto i colpi di mortaio radere al suolo le loro finestre.

All’altro capo della periferia parigina, a Seine-Saint-Denis, l’Île-Saint-Denis non è stata risparmiata: il suo municipio è stato bruciato nella stessa notte. “Da allora, è stata una cellula di crisi dopo l’altra”, descrive Marie Anquez, la prima deputata della città.

I primi tafferugli sono avvenuti poco dopo la mezzanotte, mentre gli eletti si trovavano nelle aule del consiglio comunale. Bidoni della spazzatura bruciati sul ponte che collega la cittadina (situata su un’isola della Senna) a Saint-Denis, petardi, colpi di mortaio. “Un residente ha urlato contro i giovani, poi è arrivata la polizia, finalmente la situazione s’è calmata.»

Tre ore dopo, il municipio ha preso fuoco. La polizia ha trovato bombolette di azoto sulla scena in mattinata. “Tutto il pianterreno è andato a fuoco, tutto il nostro sportello per il pubblico: è il servizio per le nascite, le morti, per le permanenze nei campi estivi… È la vita locale di ogni abitante che è andato all’inferno. Fumo, fa molto effetto, “dice l’eletto.

Prudente sulle motivazioni dei piromani, Marie Anquez descrive sia i tanti segni di sostegno da parte degli abitanti dopo l’incendio sia la loro rabbia, “giustamente”, dopo la morte del giovane di Nanterre. “

Questo dolore, le persone qui lo condividono. Non sono solo i giovani che si perdono, sono tutti quelli che sono preoccupati per un sistema che è diventato fallimentare! Nell’Île-Saint-Denis, siamo in battaglia contro lo Stato dopo l’adozione di un desiderio nel consiglio municipale contro la violenza della polizia, abbiamo anche attaccato lo Stato per violazione dell’uguaglianza territoriale sui servizi pubblici.»

A Seine-Saint-Denis, venti città sono state afflitte da una notte agitata. “C’è stata molta violenza, danni alle strutture pubbliche, autobus bruciati, negozi saccheggiati”, testimonia il presidente del consiglio dipartimentale, il socialista Stéphane Troussel, che descrive “scene di guerriglia urbana, con piccoli gruppi molto mobili“.

È iniziato più velocemente e più forte che nel 2005”, quando i quartieri popolari della Francia erano stati attraversati da rivolte urbane, che avevano portato al decreto dello stato di emergenza, dopo la morte a Clichy-sous-Bois di due adolescenti, Zyed Benna e Bouna Traoré, folgorato durante un inseguimento con la polizia.

A Romainville, il municipio è stato “lapidato tra le 2 e le 3 del mattino, le finestre sono state rotte”, dice Flavien Kaid, capo dello staff del sindaco François Dechy, al termine di una riunione di crisi. Dentro c’erano “il sindaco, i deputati, il direttore generale dei servizi e la polizia municipale”.

A Bagnolet è stato il commissariato – in realtà una semplice dependance del commissariato di Lilas – ad essere parzialmente bruciato. Secondo una fonte locale, le due società CRS mobilitate per l’intera Seine-Saint-Denis erano state occupate molto presto a Bobigny, prefettura del dipartimento.

Ma questo dipartimento emblematico è ben lungi dall’essere l’unico ad essere stato colpito dalla violenza. “La particolarità di questa volta è che i quartieri a bassa tensione sono intervenuti, come a Sceaux e Clamart [Hauts-de-Seine] o Nandy [Seine-et-Marne]”, osserva Philippe Rio, sindaco comunista di Grigny ( Hauts-de-Seine), preoccupato per questo insolito contagio.

Territori abbandonati

Perché gli edifici pubblici vengono presi di mira in questo modo? In che modo i funzionari sul campo interpretano la violenza che attraversa la loro comune? Per Flavien Kaid, gli autori di queste violenze vogliono “attirare la polizia, andare allo scontro”: “Cercano vendetta. Il funzionario comunale chiama in causa “decisioni politiche nazionali”, di fronte alle quali “ci troviamo in prima linea mentre cerchiamo di agire per contrastarle”. “La morte di Nahel è l’ultima goccia”, dice.

A Tourcoing (Nord), Sourida Delaval-Hammoudi, direttrice dell’AAPI, associazione per l’animazione di quartiere e l’integrazione professionale, usa quasi la stessa parola: “Abbiamo avvertito a lungo, abbiamo detto che stava per esplodere, Nahel è la scintilla. »

“Qui, abbiamo richieste locali”, dice. Ma l’elenco che stila riguarda in realtà un lungo elenco di territori che si sentono trascurati: “La mancanza di attrezzature, di occupazione, l’impressione di non essere riconosciuta come cittadina. E poi ci sono tutti i controlli imposti ai giovani, le multe della polizia che non basterà un lavoro per rimborsare…”

Parte della notte, poi tutta la mattinata, in giro per la sua città per capire e misurare l’entità dei danni, il sindaco ambientalista di Colombes (Hauts-de-Seine), Patrick Chaimovitch, è visibilmente stanco. E commosso. Il suo comune è stato molto colpito dagli eventi della notte. L’assessore comunale descrive una salita al potere dopo i primi scontri di mercoledì sera.

“Abbiamo visto tanti giovani, giovanissimi, 14, 17 anni, alcuni un po’ alcolizzati, che bruciavano tutto quello che capitava sotto mano. E il saccheggio, abbiamo avuto difficoltà a seguire quello che stava succedendo.»

Da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

Patrick Chaimovitch, sindaco di Colombes

Gli eventi, “eccezionali” per la loro intensità in questa città operaia, avevano chiaramente Nanterre “come detonatore”, ha detto. “Ma da mesi abbiamo segnali piuttosto brutti, tensione nell’aria, a causa di una situazione materiale sempre più degradata.

“Precarietà, condizioni abitative precarie, “la vita è concretamente sempre più difficile”, spiega l’eletto. Lo Stato è “presente”, ammette, ma servirebbero “miliardi” in più per risolvere la situazione in una città come Colombes.

A Grigny, il sindaco Philippe Rio teme i giorni successivi, soprattutto perché condivide l’osservazione: “Siamo tutti molto mobilitati, siamo tornati alla modalità 2005. Ma dal 2005 le cose sono peggiorate: sono apparsi i social network, le popolazioni si sono impoveriti, il rapporto con lo Stato si è deteriorato…

Senza contare che con l’aumento delle rette al Grande Borne quest’anno la gente dovrà pagare una tredicesima mensilità che non può permettersi. Nel comune, metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Scrittore, regista, fine conoscitore dei quartieri popolari in cui vive e lavora, Mehdi Lallaoui riferisce che nella sua città di Argenteuil molte famiglie cercano di temperare i giovani più bellicosi.

Ci dicono che quello che sta accadendo è autodifesa, perché non hanno diritto ai media, né alla rappresentanza politica, né all’ascolto, né al rispetto. Spieghiamo loro che ciò che stanno bruciando dipende da noi, che i signori e le signore al potere, stanno al caldo, nei loro bei quartieri, nelle loro scuole private. Ma fanno fatica a sentirlo.»

Mehdi Lallaoui riconosce il carattere “insopportabile” del ripetersi di eventi che colpiscono i giovani dei quartieri. “È una morte, una di troppo”, insiste.

Vedo giovani che attaccano se stessi. Sembra autolesionismo”, aggiunge Nourdine Bara, autrice di romanzi e opere teatrali. Vivendo nel quartiere popolare di La Paillade, a nord di Montpellier, organizza da quindici anni agorà ed eventi, per favorire lo scambio attraverso la cultura.

L’artista sviluppa un’idea paradossale: “Di fronte a questa gioventù nasce un’idea: sarebbe nichilista, distaccata da ogni progetto sociale. Tuttavia, ciò che vedo nel caos e nella furia è proprio l’espressione di un rifiuto della violenza, controintuitivamente. Attraverso questa violenza, la gioventù rifiuta la violenza più devastante: quella del disprezzo e dell’indifferenza

Insiste: “Ciò che ci manca gravemente sono precedenti che ci ricordino che giustizia opera nel nostro Paese” rispetto alla violenza della polizia.

Mehdi Lallaoui dice la stessa cosa. “Questi crimini vanno avanti da quarant’anni e le condanne per chi li commette sono ancora inferiori a quelle che dovrebbero essere“.

Cita la storia di Foued, detenuto ingiustamente nell’affare Viry-Châtillon, e per il quale lo Stato fa il pignolo con indennità compensative. “Tutto questo si sa, se ne discute nei quartieri, la gente è indignata per quella che percepisce come una società a due velocità.»

Riformare la politica della città

Anche intorno a Lione la notte era dura. Incendi e danni hanno avuto luogo a Vénissieux, Villeurbanne, Décines e Vaulx-en-Velin, l’epicentro delle rivolte urbane del 1990. A Décines, anche il municipio è stato gravemente danneggiato da un incendio.

A Villeurbanne, “l’evento più grave è stato l’incendio in un appartamento di rue Balzac, provocato da colpi di mortaio [giochi d’artificio]”, riferisce il sindaco Cédric Van Styvendael.

Abbiamo dovuto trasferire urgentemente dodici famiglie. Grazie alla solidarietà degli abitanti, che in particolare hanno contribuito a far evacuare una persona con disabilità, si è evitata una tragedia”, confida sollevato il sindaco. Qui, tutti hanno in mente l’incendio che ha causato la morte di dieci persone, tra cui quattro bambini, a Vaulx-en-Velin a dicembre.

Come molti eletti locali, il vicepresidente della metropoli di Lione è infastidito dal ritardo nella firma con lo Stato di “contratti di città”, che dovrebbero consentire la distribuzione di mezzi finanziari.

Per Renaud Payre, vicepresidente della metropoli di Lione, responsabile delle politiche cittadine, “la violenza che si esprime oggi è il risultato di un indebolimento dei corpi intermedi dei quartieri: le strutture associative o i centri che sono stati estremamente indeboliti negli ultimi anni”.

Secondo lui, gli eventi devono portare l’esecutivo ad accelerare sulla revisione della politica cittadina: “Abbiamo perso abbastanza tempo. E diciamolo subito, la politica della città non passerà per tutta la sicurezza. Questa è una risposta a brevissimo termine

Come molti eletti locali, è infastidito dal ritardo nella firma dei “contratti di città” con lo Stato, che dovrebbero consentire la distribuzione delle risorse finanziarie, ma che non entreranno in vigore prima del 2024.

Nei nostri quartieri prioritari la povertà è 3,3 volte superiore alla media metropolitana. Sappiamo dove agire: dove la legge comune non si applica

Un residente di Saint-Fons, ai margini di Vénissieux, attivista associativo nel quartiere Clochettes, lamenta anche la scomparsa di assistenti sociali e mediatori che un tempo attraversavano i locali. “Non li vediamo più, e i giovani sono lasciati a se stessi, fanno di tutto, lei si lascia trasportare. Bruciare le auto dei poveri, non capisco, molti non hanno nemmeno l’assicurazione

Testimonia la notte agitata nel suo quartiere – colpi di mortaio, qualche fuoco di rifiuti, rumore fino alle tre del mattino – e la sua preoccupazione.

Ho chiuso la porta, ho tenuto i miei figli e non ho messo piede fuori. Ho troppa paura che succeda loro qualcosa e che si trovino nel posto sbagliato al momento sbagliato… Già, in tempi normali, i poliziotti sono aggressivi contro i nostri figli.»

La polizia accusata da tutti

Infatti, tutti gli eletti, tutti gli attivisti dell’associazione contattati da Mediapart stigmatizzano una “dottrina poliziesca alzo zero che va rivista, altrimenti sarà mancato soccorso a chi è in pericolo”, per riprendere le parole del sindaco di Grigny Filippo Rio.

Stiamo arrivando alla fine di un ciclo che è stato aperto da Sarkozy e dalla sua menzogna Kärcher, che si è concluso con l’eliminazione di 10.000 posti di agenti di polizia (di quartiere) e lo smantellamento dell’intelligence generale”.

Secondo Hamza Aarab di Montpellier, il giovane che “si trascina da anni” ha in primo luogo rapporti conflittuali con la polizia. “I loro controlli, il modo in cui si comportano. La loro arroganza di impunità …”, cita.

Se non avessimo avuto il filmato [nel caso di Nahel], avremmo detto: ‘È un delinquente che si è imbattuto nella polizia.’» (nel filmato si vede e si sente il poliziotto che grida a Nahel “ti ficcherò una pallottola in testa e gli punta la pistola sulla guancia – video visto da tutti anche nelle tv e che ha costretto persino Macron e Darmanin a dire che forse non si erano comportati secondo le regole).

Nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, Stéphane Troussel ricorda da parte sua “i quindici anni di degrado dei rapporti con la polizia, della familiarità, del controllo di facies (somatici) e, più in generale, di un discorso ambientale di estrema destra”.

Di fronte a questa china, “non possiamo continuare così”, lancia il leader politico: “La Repubblica francese si occupa prima di tutto dei servizi pubblici, e un tale livello di risentimento nei confronti della polizia, non è sostenibile.»

Quando tornerà la calma, è ovvio che non saremo in grado di salvare un buon lavoro sui rapporti polizia-popolazione“, afferma anche Cédric Van Styvendael, sindaco di Décines. “Il commissario di Villeurbanne ha sperimentato certe cose nel rapporto con gli abitanti, è un cantiere da aprire.»

Discorso simile per Ali Rabeh, a Trappes, che dieci anni fa ha visto la sua stazione di polizia a tempo pieno sostituita da una semplice antenna, cronicamente a corto di personale. Oggi il sindaco si dice molto pessimista per il futuro. Cambiare il carattere?

È più facile mettere milioni sul rinnovamento urbano, torcere il braccio dei sindaci per costruire case popolari, chiedere ai prefetti di concedere concessioni edilizie… Ci vorranno vent’anni per ricostruire una polizia repubblicana”, ansima.

Le uccisioni a colpi di arma da fuoco di bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, sono diventate qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno.

Salim Gramsi, attivista comunitario di Marsiglia, da cui è appena andato via il presidente della Repubblica, anche Mohamed Bensaada, attivista LFI dei quartieri popolari della città, ritiene che “questa questione del rapporto tra la popolazione e la polizia sta diventando molto preoccupante”.

E il modo in cui Macron è venuto a trovarci qui, fingendo di credere che si possa combattere la droga con i terminali delle carte di credito, è ridicolo”, denuncia.

Nella sua città si guarda con “tristezza” agli avvenimenti di ieri sera, ma senza che la rivolta si propaghi. Come nel 2005. Perché? Osa una nota positiva, rilevando che il fitto tessuto associativo, che svolge molto lavoro sul campo nei distretti settentrionali, funziona. Altri sono molto meno ottimisti.

«Qui da tanto tempo si va oltre ogni immaginazione», si lamenta Salim Gramsi, capo dell’associazione Le Sel de la vie, che riunisce la pletora di associazioni che hanno lavorato intorno all’avventura della requisizione di McDonald’s Saint-Barthélemy nel 14° arrondissement della città.

La sparatoria sui bambini nei quartieri, qualunque siano le circostanze, è diventata qualcosa di drammaticamente all’ordine del giorno”, sottolinea. “Vorremmo una reazione identica quando muoiono i nostri giovani. Nessuno però si sta ribellando per Marsiglia, mentre le madri qui, sono come la madre di Nahel, subiscono il martirio”, dice Salim Gramsi.

Chi diffida della “concorrenza delle vittime” nota tuttavia una forma di “fatalismo, di rassegnazione” nella popolazione che lo circonda: “A volte abbiamo cinque o sei morti contemporaneamente, bambini che a volte non hanno solo passeggiate, e non succede niente

Alla marcia bianca per Nahel, un grido di rivolta piuttosto che un minuto di silenzio

di Berenice Gabriel e Khedidja Zerouali

A Nanterre, diverse migliaia di persone si sono unite questo giovedì 29 giugno per rendere omaggio al giovane Nahel, ucciso dalla polizia due giorni prima. Più che una lunga marcia silenziosa, i manifestanti hanno gridato la loro rabbia, quella di aver visto morire di nuovo uno di loro per mano di un poliziotto.

La famiglia del giovane Nahel M. voleva una silenziosa marcia bianca, aveva una rumorosa marea umana, un gran grido del cuore. “Ormai sono finiti i minuti di silenzio, e per chiedere gentilmente, non è più il momento per quello”, lancia un giovane frettoloso tra la folla.

Questo giovedì 29 giugno, a Nanterre, non lontano dal luogo in cui Nahel M. è stato ucciso da un poliziotto due giorni prima, diverse migliaia di persone si sono radunate per gridare la loro rabbia. Erano 6.200 secondo la questura, 20.000 secondo gli organizzatori della marcia bianca.

In mezzo alla folla intere famiglie, attivisti, funzionari eletti, rapper tra cui Dinos o Rohff, casalinghe che aprono la strada ai loro passeggini, anziani che cercano di tenere il passo, giovani che scattano tutto e quelli che non dicono niente, ancora troppo commossi, abbracciati, soffocando qualche lacrima.

Ma, soprattutto, sono tanti i giovani, anche giovanissimi, che si sono mobilitati: la maggior parte sono razzializzati e provengono dai quartieri popolari dell’Île-de-France, dai “sette-sette”, dai “nove -tre”, “nove-quattro”.

Dì a te stesso che anche a Caen si sono mobilitati quando beh è un grande villaggio cosa…”, lancia una giovane donna di Argenteuil. Lì, non c’è Nanterre, non c’è Nanterre, siamo tutti insieme contro questa violenza della polizia, tutti i distretti, ovunque in Francia.

E tutti loro hanno una storia di violenza della polizia da raccontare. I ragazzi raccontano in prima persona, le ragazze raccontano quello che succede così spesso ai loro fratelli.

Questo giovedì, 29 giugno, il silenzio è durato poco. C’era il ruggito dei motociclisti che venivano in bande. I nomi di Zyed e Bouna, Adama, Théo, tutti vittime della violenza della polizia, sono stati cantati molte volte da quando “quando marciamo per uno, marciamo per tutti”.

C’erano anche gli slogan nei megafoni, quelli che dicevano che “tutti odiano la polizia” o che la polizia è “ovunque” ma che la giustizia è “da nessuna parte”. Ci sono state anche richieste di dimissioni del Ministro dell’Interno o del Presidente della Repubblica.

Criminalizzare le vittime per scagionare i colpevoli

All’arrivo, una delle zie di Nahel si stava rimettendo il velo dopo aver urlato sul camion, rattristata dal fatto che né lei né nessuno dei membri della famiglia fosse in grado di parlare alla fine della marcia.

A pochi metri dal punto in cui si è schiantata l’auto guidata dal giovane Nahel, la polizia ha usato gas lacrimogeni all’arrivo del camion degli organizzatori. La famiglia non ha potuto esprimersi, secondo loro restituita al silenzio dall’istituzione che ha appena tolto loro un figlio.

Ho rabbia, ecco cosa provo, rabbia”, ripete Djema, una ragazzina di Nanterre, amica di Nahel. Con Mediapart è preoccupata per la violenza della polizia, e per lei non ci sono dubbi: il suo amico è stato ucciso perché era un giovane arabo dei quartieri popolari.

Nelle discussioni il nome di Nahel finisce presto per mescolarsi a quello di altre vittime della violenza della polizia. Secondo i manifestanti, lo schema è sempre lo stesso nel processo di criminalizzazione delle vittime: la polizia violenta, a volte uccidendo, e molto rapidamente, i leader politici, a volte accompagnati da giornalisti ed editorialisti, indagano sul passato delle vittime.

Per vedere se non c’è motivo di renderli colpevoli. E se non c’è abbastanza materiale per loro, allora arrivano a riesumare le menzioni del trattamento dei casellari giudiziari (TAJ), un fascicolo di polizia che elenca fatti per i quali le persone sono state implicate ma non necessariamente condannate in seguito.

Così, il passato del giovane è stato sviscerato per ore su alcuni canali televisivi e radiofonici. I giornalisti hanno così fantasticato su cosa avrebbe potuto o non potuto fare la 17enne…

Al punto che, su France Inter, la stessa portavoce del ministero dell’Interno ha deciso di ricordare alla giornalista Léa Salamé che questo “non è oggetto del dibattito. Indipendentemente dal fatto che fosse noto o meno alla polizia, quello che è successo, questa tragedia, non è accettabile“.

Nella marcia bianca, Cédric, autista di ambulanze di Nanterre, abbonda: “Niente giustifica l’uccisione. Era disgustato nel sentire, a poco a poco, Nahel passare dallo stato di vittima a quello di sospettato. Per lui si tratta di scagionare la polizia usare il passato del ragazzino in pubblico.

E vuole dirlo: la storia di Nahel è anche la sua e quella di tanti altri uomini razzializzati che vivono nei quartieri popolari. Come altri nel corteo, ha molte storie di brutalità della polizia da raccontare. “Posso raccontarvele tutte, ma resteremmo qui fino a domani”, scherza.

Le vittime razzializzate

Come Djema, ricorda che gli uomini razzializzati hanno maggiori probabilità di subire la violenza della polizia e fa persino paragoni dolorosi. Nel maggio 2023, il figlio di Éric Zemmour è stato causa di un grave incidente in stato di ebbrezza, è stato incriminato.

Lo stesso mese, il figlio di Nadine Morano è stato arrestato dopo un mordi e fuggi, risultando positivo alla cocaina dopo l’arresto. Infine, cita Pierre Palmade, anch’egli risultato positivo alla cocaina dopo un incidente stradale avvenuto nel febbraio 2023 e che ha provocato la morte di tre persone.

Tutti loro sono bianchi, sono stati assicurati alla giustizia ma sono ancora vivi, a differenza del giovane Nahel che ha dovuto affrontare “polizie arbitrarie”.

Per Benjamin, allenatore di educatori sportivi e attivista dei quartieri popolari, ciò che è accaduto nei drammi precedenti si ripete in questo dramma.

Ricorda di essere stato in strada nel 2005 dopo la morte dei giovani Zyed e Bouna ed è ancora lì oggi, con le stesse richieste: giustizia per le vittime e le loro famiglie, una revisione del sistema di polizia e il ritorno dei servizi pubblici nei quartieri, “da oggi l’unico servizio pubblico che rimane qui è l’istituto di polizia”. Per lui, la criminalizzazione delle vittime non è estranea alla loro razzializzazione.

Ai margini del corteo che si sta dirigendo verso la prefettura di Nanterre, la polizia è accorsa in gran numero. Sono debitamente fischiati, anche i manifestanti più anziani danno loro il dito medio.

Il momento non è quindi per la pacificazione ma per la chiara espressione della rabbia. “È esattamente quello che sta succedendo lì che ci serve, se potesse durare diversi mesi sarebbe un bene”, assicura Cédric, il paramedico di Nanterre.

Delle dieci persone che abbiamo intervistato, nessuna ha condannato le violenze perpetrate durante le rivolte di ieri sera. Li capiscono e li supportano. Nessun fischio quando banche e aziende vengono attaccate con mazze e pietre.

Abbiamo cercato di esprimerci in modo diverso. Sui social, sui media, non cambia nulla, spiega Mehdi, studente marocchino di 23 anni che vive in Francia da quattro anni. Ora, dobbiamo cambiare le cose con ogni mezzo. So che continueranno a parlare di arabi e neri che bruciano macchine, ma questa violenza è dovuta a quello che sta succedendo. La rivolta è normale, non staremo a guardare mentre i nostri fratellini e le nostre sorelline vengono uccisi.”

Dopo la morte di Nahel, il potere intrappolato nella sua cecità

di Ilyes Ramdani

Le notti di rabbia nei quartieri popolari hanno riportato il tema della violenza della polizia nell’agenda dell’esecutivo. In assenza di risposte valide, il governo si accontenta per il momento di mostrare la sua compassione e mostrare la sua fermezza.

L’esecutivo ha cambiato piede. A due giorni dalla morte del giovane Nahel a Nanterre (Hauts-de-Seine), il ministro dell’Interno intende reprimere severamente la rivolta che si esprime in diverse città del Paese.

Abbiamo effettuato un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine per questa sera e questa notte”, ha indicato giovedì pomeriggio Gérald Darmanin ai prefetti, riferendosi alla mobilitazione di quarantamila persone, comprese quelle delle forze speciali di intervento come il Raid, il GIGN e il BRI.

Nello stesso messaggio, il numero 3 del governo raccomanda “arresti dall’inizio degli scontri” e una “presenza davanti ai luoghi di pubblico servizio”, come municipi e scuole.

L’ordine pubblico deve essere fermamente ripristinato”, conclude. Il giorno prima e il giorno prima, le forze di polizia e gendarmeria sul campo erano state istruite a non scontrarsi con i giovani.

L’evoluzione delle istruzioni di Place Beauvau (il Viminale francese) non è solo una questione di mantenimento dell’ordine. Riflette il movimento politico del potere, che vuole a tutti i costi evitare la conflagrazione del 2005.

Stiamo tornando su una linea di fermezza perché è l’unico modo per ritrovare la calma”, traduce una fonte di governo. Olivier Véran, portavoce del governo, ha denunciato giovedì mattina su BFMTV “attacchi contro la Repubblica”.

Ed ecco di nuovo Gérald Darmanin nel suo consueto corridoio: la mattina denuncia di violenze, il pomeriggio visita a un commissariato, la sera istruzioni per la repressione.

Giovedì, Matignon ha incaricato i ministri di annullare tutti i viaggi che era possibile annullare. Invece il primo ministro, Élisabeth Borne, e quattro suoi ministri (Gérald Darmanin, dunque, ma anche Éric Dupond-Moretti per la giustizia, Pap Ndiaye per l’istruzione, Olivier Klein per la città) sono andati a constatare sul campo i danni della notte precedente.

Non possiamo ignorare le violenze che abbiamo visto, giustifica un consigliere ministeriale. Non si incendia una scuola in Francia, che si sia legittimamente arrabbiati o meno. Per ora, la nostra risposta può essere solo una sequenza d’ordine.”

Come durante i “gilet gialli” o il movimento contro le pensioni, il campo presidenziale si aggrappa al desiderio di ordine che il suo elettorato manifesterebbe, secondo lui. “La gente è sbalordita dalla morte di Nahel ma ha buon senso, vuole credere a un dirigente di maggioranza. Trovano anche inaccettabile bruciare un municipio o una scuola

Il secondo fine non è privo di significato tattico, nella mente di un ministro e di una maggioranza che hanno fatto dell’”ordine repubblicano” uno dei loro principali indicatori politici. Ma è anche puramente sicurezza: mostrando la sua fermezza, il potere spera di evitare un ancoraggio e una propagazione della rivolta.

Un consigliere ministeriale conferma di “monitorare attentamente” la situazione e prevede: “Fino ad allora le cose non si surriscalderanno ovunque allo stesso modo. Se il 93 si sveglia, siamo fregati

La violenza della polizia assente nel discorso di Macron

Dal punto di vista dell’esecutivo, la morte di Nahel non avviene in un qualsiasi momento. Il Presidente della Repubblica aveva deciso di dedicare la sua settimana ai quartieri popolari. Dopo un viaggio di tre giorni a Marsiglia (Bouches-du-Rhône), dal lunedì al mercoledì, Emmanuel Macron ha lasciato che Elisabeth Borne presentasse venerdì i dettagli del suo piano “Quartieri 2030”.

È stato da Marsiglia che Emmanuel Macron ha saputo della morte di Nahel martedì. Una concomitanza che spiega, vuole credere uno del suo entourage, perché non abbia esitato a qualificare la morte dell’adolescente come “imperdonabile” e “inspiegabile”.

Aveva ragione in questa realtà sul campo, con la parte del suo governo e del suo gabinetto più sensibile a questi temi, sottolinea questa fonte. Ha sicuramente giocato.»

Nel processo, lo stesso Gérald Darmanin ha denunciato “immagini estremamente scioccanti” e ha promesso sanzioni contro “un agente di polizia che chiaramente non ha agito in conformità con la legge o l’etica”.

Un tono che ha sorpreso, per bocca di un ministro piuttosto avvezzo alla difesa incondizionata delle forze dell’ordine. “Non aveva scelta”, suggerisce un influente esponente della maggioranza. “Il Ministero dell’Interno non contraddirà il Presidente della Repubblica! Doveva seguirlo

Nel campo presidenziale non tutti hanno creduto al successo dei “cento giorni di pacificazione” decretati ad aprile da Emmanuel Macron. Gli eventi di ieri sera hanno finito di inondare le speranze dei più schietti. Appena uscito dalla crisi delle rivolte contro la riforma delle pensioni, l’esecutivo si trova impantanato in una nuova crisi sociale e politica.

E il soggetto è tanto più difficile da cogliere per il potere che ha finora ostinato a nasconderlo. Ultimo esempio fino ad oggi, forse il più clamoroso: lunedì sera, quando ha trascorso tre ore in una palestra di Marsiglia per presentare la sua ambizione per i quartieri popolari, Emmanuel Macron non ha avuto una sola parola, un solo provvedimento sulla violenza della polizia.

Eppure, al centro delle richieste degli attori e delle attrici in campo, il rapporto polizia-popolazione è progressivamente scomparso dal software politico.

Le rivolte della settimana la fanno rientrare dalla finestra. Sorprendentemente, il governo spera ancora di farla franca senza rispondere. Mentre già emergono rivendicazioni politiche e critiche alla legge del 2017 sull’uso delle armi, i macronisti rimandano la discussione a domani.

Non rispondiamo nel tunnel dell’emozione,” supplica Maud Bregeon, deputata di Hauts-de-Seine e portavoce di Renaissance. “I soggetti dovrebbero essere posti in posa con tempo calmo. Nessuno ha la testa abbastanza fredda per ragionare con calma su questo oggi.»

Borne mantiene il suo piano di quartiere, contro ogni previsione

Nel governo si impegna il consigliere di un ministro di spicco. “Non facciamo una legge su un fatto isolato, non è così che funziona”, dice. Quale sarebbe l’altezza della vita di un giovane? Per il momento il potere istituzionale riconosce la colpa e la condanna, lascia l’espressione di questa commozione ma ricorda che c’è un quadro per la convivenza. Solo allora arriveremo al tempo delle risposte e della soluzione da trovare.»

Contro ogni aspettativa, venerdì il presidente del Consiglio ha deciso di mantenere il Consiglio interministeriale delle città (CIV). Alla fine, non si svolgerà a Chanteloup-les-Vignes (Yvelines), e per una buona ragione: i sindaci, i parlamentari e lo stato locale hanno fatto una campagna con una sola voce per convincere Elisabeth Borne a non venire. “Sarebbe percepita come una provocazione”, gli è stato detto in sostanza.

Tuttavia, il capo del governo intende essere in prima linea sulla sequenza. Giovedì ha convocato le sue squadre per organizzare per lei un viaggio nei quartieri popolari. “Non vuole che si dica che ha paura di andare nei quartieri o che non può entrarci”, decifra un assistente. Lei è mamma, questa storia l’ha toccata molto, vuole stare con gli abitanti dei quartieri. “Venerdì, quindi, il CIV si svolgerà… ma a Matignon, lontano dai quartieri popolari.

All’inizio della serata, Elisabeth Borne ha inviato tre consiglieri, tra cui il suo capo di gabinetto Aurélien Rousseau, per spiegare ai giornalisti la sua decisione. “Vogliamo dimostrare che abbiamo un forte impegno da parte del governo e non solo una reazione agli eventi”, ha affermato l’entourage del primo ministro. Su Le Figaro, lo stesso entourage ha promesso “annunci forti”. Nessuna, tuttavia, sembra riguardare la questione della violenza della polizia.

Qualcosa da rabbrividire all’interno del campo presidenziale. “O è in grado di annunciare qualcosa che risponda davvero alle preoccupazioni del momento, o risulterà impercettibile”, sintetizza un esponente della maggioranza.

Il consigliere ministeriale sopra citato si impegna: “Non farà che rafforzare l’impressione di disconnessione. Annunciare cose su Anru (Agence Nationale pour la Rénovation Urbaine) è bello, è carino ma insomma … I giovani più arrabbiati diranno “Guarda questi bastardi, si stanno divertendo con noi e non hanno ancora capito niente”. Lei corre un rischio reale.»

 Perché gli edifici e servizi pubblici locali sono prese di mira

di Joseph Confavreux

Mediateche, scuole o centri sociali sono stati presi di mira nella notte tra il 28 e il 29 giugno in varie città della Francia. All’eterna domanda del perché, le scienze sociali hanno fornito risposte sempre più precise dai disordini del 2005.

A ogni scontro tra polizia e giovani dei quartieri popolari, dopo ogni notte di sommossa urbana, sorge una domanda tra gli osservatori ma anche tra i residenti: perché attaccare strutture pubbliche che ancora offrono alcuni servizi in zone spesso disagiate di questa zona?

Dietro questa domanda si cela anche una domanda più sotterranea: cosa c’è nella mente dei giovani che affrontano la polizia, appiccano incendi o spaccano finestre? Le scienze sociali hanno lavorato molto sulla questione, in particolare a partire dai disordini del 2005, e mostrano che è impossibile vedere in questi gesti il semplice nichilismo, persino il banditismo a cui alcune voci vorrebbero ridurli.

Una prima risposta alla domanda richiede di partire dal vagliare cosa significano “servizi” o “strutture” pubbliche in un contesto di rivolte e tensioni urbane.

Attaccare una stazione di polizia il giorno dopo l’omicidio di un adolescente da parte di un agente di polizia, o anche un municipio che ha autorità su una parte della polizia, non ha necessariamente lo stesso significato di attaccare una scuola, un CCAS (centro municipale di azione sociale), un municipio o una biblioteca…

Una seconda premessa ci obbliga anche a rimanere cauti, anche al di là della natura delle istituzioni prese di mira, su ciò che esse possono rappresentare, e il cui significato può rimanere opaco o confuso.

Uno dei giovani che ha partecipato ai laboratori di scrittura organizzati dallo scrittore ed educatore Joseph Ponthus in un complesso residenziale di Nanterre ha detto, a proposito delle rivolte del 2005: “Abbiamo iniziato discutendo su cosa non bruciare. Non le macchine della gente, non la scuola, non il centro commerciale. Volevamo attaccare lo stato. Sintomaticamente, pur affermandosi la volontà di attaccare lo Stato, la scuola, comunque l’istituzione pubblica che ingrana l’intero territorio, viene messa da parte…

Detto questo, e sebbene sia ancora troppo presto per misurare la portata dell’attuale rivolta e per elencare o mappare con precisione ciò che sta attaccando, sembra che le strutture pubbliche siano particolarmente prese di mira.

I ricercatori di scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – concordano sul fatto che si tratta di un gesto eminentemente politico.

Denis Merklen, sociologo

Il solo ministero dell’Educazione nazionale ha così contato giovedì “una cinquantina di strutture scolastiche colpite in varia misura” dagli incidenti avvenuti dopo la morte di Nahel, che ha portato alla chiusura di una “diecina”, principalmente nelle accademie di Versailles, Créteil e Lille.

Per il sociologo Sebastian Roché ci sarebbe addirittura da fare una distinzione su questo tema tra oggi e l’autunno 2005. Interpellato su France Info giovedì 29 giugno, ha giudicato infatti che la rivolta in corso “era molto più orientata verso le istituzioni pubbliche”, mentre i disordini del 2005 avrebbero preso di mira “molte più auto”, anche se allora si erano verificati attacchi contro istituzioni pubbliche – palestre, asili, biblioteche.

Probabilmente il libro più preciso sull’argomento è stato pubblicato dalle Presses de l’Enssib nel 2013 dal sociologo Denis Merklen e si intitola Pourquoi brûle-t-on des bibliothèques? (vedi l’intervista che Mediapart gli ha rilasciato sull’argomento in occasione del decennale dei moti del 2005). Il ricercatore ha dimostrato che circa 70 biblioteche sono state bruciate in Francia tra il 1996 e il 2013 e che il 2005 non è stato uno scenario senza precedenti o inaugurale.

Tuttavia, ha sottolineato Denis Merklen a proposito di questi attacchi alle istituzioni pubbliche, “la loro interpretazione è cambiata dopo i disordini avvenuti in Francia quell’anno, sicuramente come conseguenza dell’ampiezza della mobilitazione.

Prima erano percepiti come atti irrazionali, nichilisti, poi si è parlato di “violenza urbana” e non ancora di rivolte. Perché attaccare un asilo o una palestra? Perché i beneficiari hanno distrutto ciò che era loro destinato? Non era comprensibile. La maggior parte delle letture ne faceva la manifestazione di un deficit, o addirittura di un’assenza di socializzazione politica

Questa interpretazione “nichilista” rimane attiva in alcuni settori della società e in campo politico. È specifico di un modo di guardare ai margini del centro cittadino come un’area popolata da popolazioni “selvagge”, incapaci di rispettare il bene comune o addirittura di distinguere il proprio interesse.

Il sociologo e antropologo Jérôme Beauchez, professore all’Università di Strasburgo, ha recentemente ripercorso la lunga storia di questo sguardo negativo in un libro intitolato Les Sauvages de la civilisation. Regards sur la Zone, d’hier à aujourd’hui, pubblicato dalle edizioni di Amsterdam lo scorso anno.

Tuttavia, anche quando non si canta il ritornello del necessario riordino di un mondo presumibilmente decivilizzato attraverso rinforzi di polizia, coprifuoco o stati di emergenza, la dimensione politica degli attacchi contro le istituzioni politiche rimane talvolta negata.

Quando le istituzioni pubbliche prese di mira sono scuole o centri di azione sociale, ma anche quando chi le prende di mira non appartiene ad organizzazioni referenziate ed è peraltro il più delle volte incappucciato e razzializzato.

Al contrario, quando il movimento poujadista ha attaccato gli uffici delle imposte, quando i militanti della FNSEA hanno attaccato le prefetture manu militari o quando i pescatori-marinai hanno appiccato il fuoco al Parlamento regionale della Bretagna nel febbraio 1994, la dimensione politica del gesto è stata immediatamente letta come tale. Non è quindi la violenza in sé che distinguerebbe il grano politico dalla pula tumultuosa e dall’ubriachezza.

Per Denis Merklen, il prendere di mira le istituzioni pubbliche durante gli episodi di rivolte urbane è davvero di natura politica, e anche in un certo senso squadrato.

Oggi, dice, i ricercatori delle scienze sociali – sociologi, politologi, antropologi – sono concordi nel vedere in questo, invece, un gesto eminentemente politico. Perché questo? Perché le persone che vivono nei quartieri popolari, più di altre, sono in costante contatto con le istituzioni pubbliche per risolvere i problemi della loro vita quotidiana.

Attaccarli è un modo per significare questo faccia a faccia. Non è un deficit di politicizzazione, ma un cambiamento della politica popolare – cioè del modo di fare politica per categorie popolari – attraverso la territorializzazione dei conflitti sociali

Per il sociologo, i rivoltosi manifestano così “il conflitto in cui sono coinvolti quotidianamente. Negli sportelli amministrativi, luogo principale di interazione, esclusioni e difficoltà di accesso, si concretizzano in un disprezzo fortemente sentito.”

L’antropologo Alain Bertho, professore emerito all’Università di Parigi VIII, ha dedicato gran parte del suo lavoro alle rivolte urbane, in Francia e all’estero, per comprendere la globalizzazione di questo vocabolario della protesta e identificarne le forme nazionali o locali. Ne ha tratto due libri, Le Temps des émeutes, pubblicato da Bayard nel 2009, poi Les Enfants du caos, pubblicato su La Découverte nel 2016.

In questi due lavori il ricercatore insiste anche nel tenere conto della dimensione politica delle rivolte, proprio quando questa è talvolta oscurata dal fatto che queste rivolte non prendono le strade della politica istituzionale, né quelle del gesto rivoluzionario che prende di mira luoghi incarnando il potere nella maestà, e non una palestra o l’antenna di un centro di previdenza sociale.

C’è stato un dibattito nel 2005, ci ha spiegato Alain Bertho all’epoca della rivolta dei “gilet gialli”, “sulla questione se queste rivolte fossero un movimento politico, proto-politico o apolitico. Mi è rimasta scolpita in testa la risposta datami da chi poi aveva bruciato le auto: “No, non è politica, ma volevamo dire qualcosa allo Stato.

Come dire più chiaramente che la politica di partito e parlamentare, ai loro occhi, era inutile per dire qualcosa allo Stato?”.

In questa stessa intervista, Alain Bertho ha anche insistito sulla necessità di essere “attenti al repertorio d’azione che è il linguaggio della sommossa”, distinguendo in particolare tra sommosse con e senza saccheggio.

In questo repertorio d’azione in realtà plurale della rivolta, a volte mascherato dalle immagini ripetitive di fumo e scontri, gli attacchi contro le strutture pubbliche occupano un posto specifico e paradossale.

Una specificità delle rivolte urbane in Francia è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, in parte perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

Il paradosso, però, probabilmente non è solo quello che si sta già formulando su larga scala, nei micro-marciapiedi che si chiedono perché alcuni giovani attacchino istituzioni che dovrebbero servirli e servire, o addirittura in bocca a ricercatori, come Sebastian Roché giudica, sempre su France Info, che in questo momento stiamo assistendo a una “disperazione che le popolazioni rivolgono contro se stesse”.

Sta anche in quanto sottolinea Denis Merklen, ovvero che, per le persone che vivono nei quartieri popolari, “i servizi pubblici sono l’unica risorsa per i loro bisogni più elementari, legati all’istruzione, alla salute, ai trasporti, all’alloggio, all’energia e alla cultura.

Quasi tutti gli aspetti della loro vita quotidiana sono nelle mani delle istituzioni pubbliche. È una situazione paradossale, perché dovuta anche alla solidità e alla penetrazione del nostro Stato sociale che assicura, come meglio può, solide reti di sicurezza”.

Queste reti di sicurezza oggi sono certamente meno numerose e solide rispetto a dieci anni fa, a causa della disgregazione dei servizi pubblici, ma resta il fatto che una specificità delle rivolte urbane in Francia, rispetto ad altri Paesi, è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, anche perché c’è – o c’era – ancora speranza nella loro efficacia ed efficienza.

In ogni caso, questo è quanto emerge dal lavoro co-curato dai sociologi Hugues Lagrange e Marco Oberti l’anno successivo ai disordini del 2005, intitolato Émeutes urbaines et protestations pubblicato da Presses de Sciences Po.

Il libro collettivo ha offerto in particolare un confronto tra la situazione italiana e britannica, ricordando che la società francese è “caratterizzata da uno Stato centralizzato, servizi pubblici potenti, un forte richiamo alla laicità, antiche immigrazioni legate a una dolorosa storia coloniale e alla decolonizzazione”.

Per i curatori di questo libro, il confronto internazionale delle proteste urbane ha portato a uno “strano paradosso. La maggiore efficienza della società francese nel combattere le disuguaglianze sociali e nel garantire contemporaneamente una migliore protezione sociale produce un forte sentimento di esclusione, soprattutto nei quartieri più segregati della classe operaia e degli immigrati.”

Tanto più che leggendo Hugues Lagrange e Marco Oberti, i francesi, a differenza degli inglesi, erano «dotati di occhiali costruiti per non vedere questa segregazione etnica».

Una situazione in gran parte legata ad un pensiero della Repubblica e ad un’organizzazione territoriale dei suoi servizi pubblici che, a furia di voler essere “daltonici”, si rivelano ciechi alle discriminazioni etnorazziali che le loro stesse istituzioni pubbliche possono tuttavia riprodurre.

Questo è ovviamente il caso di questa particolare istituzione, la polizia, come aveva già mostrato il sociologo Didier Fassin nel suo libro La Force de l’ordre, che esplorava il razzismo presente all’interno di alcune unità del BAC in particolare e la crescente distanza tra la polizia e più in generale gli abitanti dei quartieri popolari.

Ma vale anche per le istituzioni che, al contrario, hanno cercato di ridurre la distanza tra le istituzioni e le popolazioni a cui si rivolgono. Riguardo al caso particolare delle biblioteche, Denis Merklen ha osservato che esse “hanno svolto un’immensa quantità di riflessione autocritica. Hanno rinnovato i loro approcci; hanno aperto”.

Ma, ha proseguito, non possono, come qualsiasi servizio pubblico preso isolatamente, “risolvere i problemi economici e sociali che sorgono in questi quartieri”, a causa “della situazione catastrofica del mercato del lavoro” che fa sì che “molti abitanti possano non contano più sullo stipendio” e hanno solo i servizi pubblici – e non più i datori di lavoro – come interlocutori della loro situazione sociale. Il che può portare alla distruzione di un municipio piuttosto che al rapimento di un padrone …

NB: l’interpretazione delle scienze sociali degli obiettivi colpiti dalle rivolte dimentica un aspetto cruciale: i giovani avvertono perfettamente di essere considerati “posterità inopportuna” (mentre sino a prima della controrivoluzione capitalista liberista globalizzata erano trattati come futura manodopera da “educare e quindi disciplinare” per la prosperità della Francia per la quale i genitori furono fatti immigrare.

I quartieri popolari “ideali” dal punto di vista dominante erano strutturati per forgiare la posterità utile alla prosperità … ma dopo gli anni ’80 e ’90 questi quartieri sono diventati luoghi di reclusione di una popolazione giovanile indesiderabile, inopportuna, superflua, quindi oggetto di criminalizzazione razzista … i servizi sociali sono diventati organismi di controllo, di angherie, di discriminazioni quotidiane …

E’ alquanto singolare che si pretenda capire le rivolte senza conoscere qual è concretamente la vita quotidiana nelle banlieues, cosa succede negli edifici pubblici comprese le scuole oltre che nei centri per disoccupati ecc. (Vedi in particolare “Una posterità inopportuna”, in Mobilità umane, p. 146-153)

Nahel: per i servizi segreti il pericolo arriva dall’estrema sinistra e da Mbappé

di Sarah Brethes e Matthieu Suc 

In una nota dedicata alle reazioni nei “quartieri sensibili” dopo l’assassinio di Nahel, l’Intelligence Territoriale sottolinea i presunti rischi generati da semplici inviti a manifestare. Vengono citati anche i commenti pubblici di Omar Sy e dell’attaccante del Psg Kylian ‘Mbappé.

In un’intervista pubblicata mercoledì da Le Point, Bernard Émié, capo della Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE), ha ricordato lo scopo di un servizio di intelligence: “illuminare” i politici, per permettere loro di “vedere il lato inferiore delle mappe”.

Viene da chiedersi cosa avranno pensato quello stesso giorno gli uomini e le donne che, all’Eliseo, a Matignon ea Place Beauvau, al Ministero dell’Interno, hanno letto la nota firmata dal Servizio Centrale di Intelligence Territoriale (SCRT, vecchi GR).

Datata questo mercoledì, è intitolata “Reazioni nei quartieri sensibili dopo la morte di Naël a Nanterre” e aveva lo scopo di informare i decisori politici sui rischi di una protesta violenta.

La nota deriva dal “D3” e dal “D4”, vale a dire le divisioni delle derive urbane (D3) e della documentazione e vigilanza tecnica (D4) dell’Intelligenza Territoriale. I suoi autori riproducono su nove pagine un catalogo di negativi. Con, a corredo, una rassegna stampa dei social network, la cui rilevanza può lasciare alcuni perplessi.

Leggere la copertina, che riassume il tutto, non trarre in inganno sulla natura del pericolo corso dalla Repubblica dopo l’uccisione di un adolescente di 17 anni da parte della polizia. “La presenza di attivisti di estrema sinistra nelle varie manifestazioni rischia di generare incidenti.

L’attività dei social network su questo tema evidenzia la volontà dei gruppi di estrema sinistra di “convergere le lotte” con il comune denominatore “violenza poliziesca”. E come intende fare l’estrema sinistra per generare incidenti? Trasmettendo “gli appelli alla mobilitazione, venerdì sera alle 20 davanti ai municipi”. Quindi per dimostrare.

Se sette righe sono dedicate all’estrema destra che “si posiziona a favore della polizia” e i cui commenti “evocano una sparatoria ritenuta legittima contro “la feccia”, al “movimento di protesta di estrema sinistra” si consacra una pagina intera.

Perché così tanto? Senza dubbio perché le parole che questo movimento reggerebbe sono di una virulenza rara. Beh no. La nota dettaglia il contenuto della pagina Twitter del collettivo Cerveaux non disponibles, la cui colpa sembra aver trasmesso il messaggio “Giustizia per Naël”.

I cervelli non disponibili stanno aggravando il loro caso, secondo il servizio di intelligence, rilasciando foto dell’adolescente ucciso da un agente di polizia, oltre a illustrazioni di incendi di rifiuti. “Queste immagini generano discorsi anti-polizia come ‘i nostri figli non sono un gioco per i poliziotti’”, preoccupa la SCRT.

Altrettanto allarmante, secondo loro: sulla sua pagina Twitter, l’offensiva antifascista di Bordeaux “parla di un elenco di vittime della polizia che torna a crescere”. Infine, non sfugge agli investigatori dell’Intelligence Territoriale che Attac France abbia ritwittato un messaggio di un suo portavoce che denunciava il fatto che si potrebbe “morire per un controllo stradale” e che la “polizia sta mentendo”. Difficile, così com’è, vedere i semi di una protesta violenta.

Citati i messaggi di Kylian Mbappé e Omar Sy

Gli autori della nota notano inoltre che il termine “Nanterre” è utilizzato in più di 80.000 tweet. “E 400.000 retweet”, insistono gli ufficiali dell’intelligence. Principalmente a causa, secondo loro, “del movimento di protesta di estrema sinistra, della protesta ambientalista e delle organizzazioni delle scuole superiori”. Ma non solo.

Si parla anche di “personalità popolari in quartieri sensibili”. Così, sottolinea la nota di RT, “Kylian Mbappé e Omar Sy hanno postato messaggi in omaggio alla vittima, denunciando anche “una situazione inaccettabile””.

Non contenti dell’estrema sinistra e degli ultracelebri personaggi, gli ufficiali dell’intelligence dedicano due terzi di pagina a una categoria la cui esistenza fino ad allora era stata ignorata nei reportage dei servizi interessati: gli “influencer islamisti”.

Infatti, secondo gli RT, alcuni influencer e attivisti di questo movimento propagherebbero l’idea di “islamofobia di Stato” e di “razzismo ricorrente nelle forze di polizia”. Diverse pubblicazioni in tal senso sono state rilevate sui social network.

E per citare la giornalista Feïza Ben Mohamed, che lavora nell’ufficio francese dell’Agenzia Anadolu, l’agenzia di stampa del governo turco. Quella che sul suo profilo Twitter afferma di essere una “specialista in questioni di islamofobia” consigliava sul suo account: “Filmate la polizia. Sempre. Ovunque. Soprattutto quando si avvicina ai neri o agli arabi “…

Il secondo ad essere seguito dalla SCRT è un altro giornalista militante: Sihame Assbague. E perché ha attirato l’attenzione dei servizi segreti? Perché Sihame Assbague “rilancia l’hashtag “#PoliceKill” e dichiara che spesso sono le stesse categorie socio-professionali, cioè “nordafricani, neri, classi lavoratrici” ad essere vittime durante le “violenze” e gli “assassini” commessi dalla Polizia”.

Citata anche l’associazione Prospettive musulmane. Ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha affermato che “i musulmani e le persone di colore sono un bersaglio gratuito in questo paese” e ha evidenziato “una legge di ispirazione islamofoba” per stabilire una nuova licenza di uccidere. .

Il periodo pre-estivo con, inoltre, tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi.

Intelligenza territoriale

Solo l’esempio di un convertito diventato predicatore salafita che si accende sul suo canale Telegram per accusare in particolare la polizia di essere «una mafia che uccide a freddo» sembra rientrare nell’opera di monitoraggio di un servizio di intelligence.

Senza alcun collegamento con quanto sopra, la SCRT sottolinea inoltre che “nessuna comunità straniera ha commentato questo evento [l’assassinio de Nahel – ndlr], né ha chiesto una marcia bianca”.

La nota si spinge fino a tracciare un parallelo con “la comunità guineana di Angoulême” che, “di fronte alla morte di uno dei suoi membri durante un controllo di polizia il 14 giugno”, non ha rilasciato alcun commento. Se abbiamo capito bene, tra le comunità che piangono la morte di uno di loro ucciso da un agente di polizia, i più encomiabili sarebbero quelli che non reagiscono.

Occorre attendere l’ultima pagina e il commento proprio degli autori della nota per ottenere una parvenza di analisi: “l’emozione e la rabbia suscitate da questo evento […] rischiano di innescare turbe dell’ordine pubblico”.

E leggete quelle che potrebbero sembrare informazioni sul presunto oggetto della nota: “Alcuni giovani di quartieri prioritari, come Hem (59), hanno già annunciato il ripetersi della violenza urbana e, a Mantes-la-Jolie, è stato lanciato un appello lanciati per raggiungere Nanterre questa sera e questa notte in convogli.»

E poi le ultime due frasi richiamano il contenuto dell’insieme. “Il periodo pre-estivo con peraltro tempo favorevole favorisce l’assembramento di giovani sulla pubblica via, pronti a commettere vari abusi. Sono quindi da attendersi incidenti su tutto il territorio”.

Il caldo ecciterebbe i giovani, più della morte di un adolescente, a sua volta giudicata “imperdonabile” da Emmanuel Macron.”

Gli autori della nota non sono noti; non è firmato. Ma nei servizi di intelligence, la procedura implica che le note debbano essere rilette in teoria, o addirittura modificate dalla catena gerarchica prima di essere distribuite all’Eliseo, a Matignon e ai ministeri interessati. A fortiori quando il soggetto è sensibile.

articoli presi da mediapart.fr – traduzione a cura di Salvatore Palidda per Osservatorio Repressione

Fonte: Contropiano

Francia: quando brucia “il giardino di casa”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/07/03/francia-quando-brucia-il-giardino-di-casa-0162037

La morte di Nahel M. – il giovane 17enne ucciso dalla polizia a Nanterre la mattina di martedì 27 luglio – ha scatenato una reazione inedita per intensità e continuità degli ultimi vent’anni rispetto ad episodi analoghi avvenuti ai danni degli abitanti delle periferie.

In ciò che gli organi di informazione hanno universalmente definito “una notte più calma delle precedenti” – tra sabato e domenica – sono state fermate 719 persone, 45 tra poliziotti e gendarmes sono rimasti feriti, 577 veicoli e 74 edifici sono stati incendiati, ma sono stati contabilizzati ben 871 incendi – secondo il Ministro dell’Interno – nella pubblica via.

Non proprio un “ritorno alla normalità”.

Se lo Stato non è ricorso all’“etat d’urgence” – come fece nel 2005 dopo dodici notti di émeutes – le misure intraprese non sono certo state meno drastiche: il dispiegamento di più di 45mila effettivi delle forze dell’ordine, mobilitando i blindati della Gendarmeria (come al livello più alto del movimento dei Gilets Juanes nel dicembre 2018), delle unità specializzate del RAID, del GIGN e della BRI e degli elicotteri che hanno trasformato le tre principali città francesi come Parigi, Lione e Marsiglia in zone di occupazione militare a tutti gli effetti.

Non solo le maggiori metropoli dell’Esagono hanno conosciuto “notti di fuoco”, ma anche quasi tutte le città di media grandezza, oltre ai Territori d’Oltre-Mare (DOM-TOM); segno di una estensione della rivolta che non si è fermata alla periferia parigina ma la Francia urbana nel suo complesso.

Di fatto, nei giorni scorsi, tutti gli eventi ‘mondani’ e scolastici sono stati cancellati preventivamente, i mezzi di trasporto locale come bus e tram hanno cessato di funzionare alle nove di sera, ci sono stati differenti divieti prefettizi per manifestazioni e l’imposizione di numerosi coprifuoco.

Il soldato francese dei reparti speciali, di guardia al “giardino”, incredibilmente è armato con un fucile d’assalto Vepr-12 di fabbricazione russa

Macron ha fatto sapere, venerdì mattina, che era pronto ad ogni evenienza “senza tabù”, scegliendo di mostrare i muscoli – come invocato da conservatori ed estrema destra – piuttosto che cercare di calmare gli animi.

Il governo non è ricorso quindi ad una legge approvata nel 1955 – nel contesto della lotta di liberazione algerina (1954-1962) – com’è stato dopo quasi due settimane di scontri notturni in seguito alla morte a Clichy-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) di Zyed Benna e Bouna Traoré -, anche se il tuo utilizzo è stato comunque fortemente caldeggiato dai gollisti di LR e al neo-fascista Éric Zemmour.

E’ stata però imposta una notevole militarizzazione, con un numero decisamente elevato di fermi che, nella notte tra venerdì e sabato, hanno superato il migliaio, e poco più di 700 nella notte successiva.

La strategie giudiziaria è stata subito quella della tolleranza zero nei confronti dei fermati e delle loro famiglie, considerando che per esempio nella notte tra giovedì e venerdì un terzo dei 900 fermati, erano minori e quindi con una età compresa tra i 14 e 18 anni.

Il Presidente e l’esecutivo, invece che mettere in discussione il processo di fascistizzazione crescente tra le forze dell’ordine – con il comunicato del maggiore sindacato di polizia Alliance, insieme alla branca di categoria dell’UNSA che venerdì ha affermato espressamente di “essere in guerra contro orde selvagge” – ha spostato il baricentro dell’attenzione sulla responsabilità delle famiglie dei ceti popolari, inasprendo quel processo di colpevolizzazione delle classi subalterne che è uno dei tratti dei suoi due mandati di Macron.

Sono di fatto cadute nel vuoto le parole di Ravina Shamdasani, porta-voce dell’Alto Commissariato dell’ONU ai diritti dell’uomo: «è il momento per il paese di affrontare seriamente i profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine».

Una conferma del “doppio standard” che l’Occidente applica riguardo al rispetto dei diritti dell’uomo: strumentalmente agitati quando si tratta di attaccare un avversario, ma ignorati quando vengono calpestati in quello che Josep Borell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha di recente definito “il giardino” contrapponendolo alla presunta “jungla”, che sarebbe il resto del mondo.

Il Ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, ha insistito nel dire che «non è lo Stato che educa i figli», rincarando la dose rispetto a ciò che aveva affermato Macron, e facendo appello ai genitori affinché di fatto impedissero loro di uscire di casa, per accettare invece passivamente quest’ennesimo sviluppo della torsione autoritaria.

L’altra “crociata” lanciata dall’esecutivo è stata quella contro le reti sociali come Snapchat e TikTok, ampiamente usate come strumento di comunicazione e di organizzazione di questi giorni.

Alla faccia della “libertà di informazione”, Dupont-Moretti vuole procedere di fatto ad un processo di identificazione di massa di coloro che hanno usato queste applicazioni durante le rivolte, ricorrendo a tipologie di reato comunemente utilizzate per associazioni criminali.

Macron non ha perso tempo nel denunciare “l’inaccettabile strumentalizzazione” di una parte de La France Insoumise di ciò che stava avvenendo. Gli ha subito risposto jean-Luc Mélanchon dicendo che «le elucubrazioni contro la LFI non coprono le responsabilità di coloro che hanno creato questa situazione».

E non sembra che da questo impasse politico il Presidente e l’Esecutivo vogliano uscire con una soluzione che non sia il “pugno di ferro”, attaccando tutti i coloro che stanno mettendo in evidenza le storture di un modello di sviluppo in cui precarietà lavorativa, segregazione urbana, e razzismo istituzionale sistematico sono la condizione esistenziale per milioni di persone dei ceti subalterni che vivono nei quartieri popolari.

É chiaro che la settimana appena conclusa ha fatto emergere un elemento ben spiegato da Erwan Ruty, responsabile associativo e autore di Une histoire des banlieus française – mai tradotto in italiano – al quotidiano Le Monde:

«il movimento sindacale, associativo, politico riusciva ad inquadrare fino agli anni 2000 la rabbia delle banlieue. Oggi l’ estrema destra la rinfocola, e l’estrema sinistra non riesce ad occuparsene. E due mondi si squadrano in cagnesco uno di fronte all’altro: i giovani e la polizia».

La crisi politica in Francia è talmente grave che, in tempi differenti, diverse porzioni sociali si sono mobilitate con modalità comunque radicali contro il ‘Presidente dei Ricchi’ ed i suoi governi durante questi due mandati: il movimento dei gilets jaunes, il primo e poi il secondo movimento contro la riforma pensionistica, le mobilitazioni contro la gestione della pandemia e, non ultimo, la legittima rabbia dei giovani delle periferie, oltre alle lotte ecologiste e quella di singoli comparti della classe lavoratrice.

Ora, “il giardino” ha preso fuoco, e non è chiaro quando verrà domato l’incendio.

La  legittima rabbia che ha scatenato l’assassinio poliziesco a sangue freddo di un 17enne incensurato è frutto di una crisi sistemica (economico, istituzionale e politica) che non sembra avere altra soluzione, per le élite, se non la fascistizzazione strisciante dei suoi apparati.

Qui ormai liberisti, conservatori ed estrema destra vanno avanti a braccetto, svolgendo solo pro forma ognuno una parte differente.

É una sfida, a cui la sinistra di classe, non solo in Francia, è chiamata a dare una risposta all’altezza perché, dopo la pandemia ed in tempi di guerra, dalle ceneri della governance neoliberista sta sorgendo una filosofia di governo tesa a sbriciolare le residuali garanzie democratiche e lo Stato di Diritto.

Per fare la guerra ai poveri.

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 2 Luglio 2023, ore 16:34

Fonte: Contropiano

La repressione “senza tabù”

di Franco Astengo

La tirannia deve esistere
ma non per questo il tiranno merita scuse”
John Milton, The lost paradise, XII vv 95 – 96)
https://contropiano.org/interventi/2023/07/03/la-repressione-senza-tabu-0162041

Come si può definire una democrazia come quella francese strutturata in una forma del tutto sbilanciata verso il “governo” in luogo della “rappresentanza” e nella quale un Presidente eletto direttamente proclama una “repressione senza tabù” verso moti di popolo alimentati da disuguaglianze soffocanti, imperante razzismo, periferie abbandonate a un degrado economico,morale, culturale, politica esercitata attraverso vuoti populismi?

La migliore definizione di tirannide, da ritenersi facilmente valida anche per l’attualità si trova nella Repubblica di Platone:

La tirannide nasce da una trasformazione della democrazia. La transizione della democrazia in tirannide è dovuta, come nel caso dell’oligarchia, proprio al bene dominante che è perseguito in quel regime”.

L’esito della democrazia è, per Platone, la violenza della tirannide, perché la democrazia stessa non si fonda su nessuna forma e idea comune, ma privatizza a un tempo la ragione pratica e la ragione teoretica, riconducendola interamente agli arbitrii individuali.

In una simile prospettiva, la tesi platonica potrebbe essere resa più comprensibile al lettore contemporaneo in questi termini: la tirannide è l’esito di un processo di privatizzazione radicale del potere che s’innesca quando i regimi democratici non sanno o non vogliono mantenere una regola pubblica e comune.

Oggi in un quadro generale di arretramento complessivo delle forme di democrazia liberale la guida delle grandi potenze è sempre più facilmente affidata a una spiccata dimensione del potere personale.

Un potere personale improntato a forme giudicabili come di vera e propria tirannia pur suffragata da più o meno regolari plebisciti (ed è questo il nodo del presidenzialismo/premierato italiano).

Il quadro generale è quello di una degenerazione complessiva delle forme di democrazia liberale

La dottrina cattolica distingue tra il “tiranno per usurpazione” (tyrannus in titula, cioè che ha preso il potere illegalmente) e il “tiranno per oppressione” (tyrannus in regimine, cioè che abusa del potere che ha ricevuto legalmente).

 In una società complessa, di capitalismo avanzato, si pensava a una “spersonalizzazione” del potere, invece ci troviamo in una fase che potremmo davvero definire di “arretramento storico”.

Così non si può dimenticare il titolo maoista “Ribellarsi è giusto”. 

3 Luglio 2023 – Ultima modifica: 3 Luglio 2023, ore 7:42

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus