Spagna

L’ITALIA E’ IL PAESE EUROPEO CON PIU’ CASI DI DENGUE: COME RICONOSCERE I SINTOMI?

Una zanzara del genere Aedes responsabile della trasmissione del virus Dengue all’essere umano
A mosquito of the Aedes genus responsible for transmitting the Dengue virus to humans

La Dengue è tornata a far parlare di sé con un aumento di casi in diversi Paesi. Porto Rico è stata particolarmente colpita e nel marzo 2024 l’isola ha dichiarato la sua prima epidemia di Dengue dal 2012. In Europa ci sono tre Paesi in cui la Dengue è approdata e l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di casi.

Fortunatamente la Dengue non causa malattie gravi in tutte le persone che infetta, ma i sintomi possono essere spiacevoli e a volte richiedono un intervento medico.

Cliccate sulla galleria per imparare a conoscere i sintomi della Dengue.

Virus che nasce nelle zanzare

La febbre Dengue, altrimenti nota come Dengue, è un’infezione diffusa dalle zanzare. Tuttavia, non sempre provoca malattie gravi; infatti, solo una persona su quattro si ammala.

Dove è diffusa?

La Dengue è diffusa in alcune parti del mondo, tra cui alcune zone dell’Africa e dell’Asia, dell’America centrale e meridionale, dei Caraibi, delle isole del Pacifico e di alcune aree meridionali del Nord America.

È inoltre possibile contrarre la dengue in alcune zone dell’Europa meridionale in determinati periodi dell’anno (dalla primavera a Novembre).

Tra i Paesi in Europa in cui sono stati riscontrati casi di Dengue ci sono Croazia, Francia, Italia e Spagna. 

Porto Rico

Sebbene la febbre dengue non sia presente ovunque nel mondo, di recente è stata al centro delle cronache per l’aumento dei casi, in particolare a Porto Rico.

Numeri

In effetti, Porto Rico ha dichiarato almeno 549 casi già nel 2024, rispetto a un numero totale di 1.293 casi per l’anno 2023.

Epidemia

Secondo il dipartimento sanitario dell’isola, più di 340 persone sono state ricoverate in ospedale a causa del virus e il Paese ha dichiarato l’epidemia.

Rischio pandemico

È la prima volta che Porto Rico dichiara un’epidemia di Dengue dal 2012, e ciò avviene dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che la Dengue è un rischio pandemico nel Gennaio 2024.

Modello più ampio

In effetti, l’epidemia di Porto Rico fa parte di un modello più ampio che è emerso in tutte le Americhe fino ad ora nel 2024.

Altri Paesi

Paesi come Argentina, Brasile, Perù e Uruguay hanno riportato un numero significativo di casi di Dengue. 

Riconoscere i sintomi

Anche se l’infezione da Dengue non sempre provoca la malattia, è comunque una buona idea saper riconoscere i sintomi.

Viaggiare verso un Paese dove c’è la Dengue

Questo è particolarmente vero se si intende viaggiare in un Paese in cui il numero di casi di dengue è in aumento.

Quanto ci mettono i sintomi a manifestarsi?

Se i sintomi della Dengue si manifestano, di solito si sviluppano nei 4-10 giorni successivi alla puntura di una zanzara infetta.

Sintomi simili a quelli influenzali

La febbre Dengue può sembrare un’influenza e i sintomi sono simili. Essi comprendono una temperatura elevata, un forte mal di testa e dolore dietro gli occhi.

Altri sintomi

Altri sintomi includono dolori muscolari e articolari, sensazione di malessere, ghiandole gonfie e un’eruzione cutanea costituita da macchie piatte o leggermente rialzate.

Quando consultare un medico

In generale, le persone che sviluppano i sintomi della Dengue si sentono meglio dopo circa una settimana. Tuttavia, è importante rivolgersi a un medico se si è viaggiato di recente in un paese in cui è presente la Dengue e si manifestano i sintomi.

Casi di Dengue più gravi

Questo è importante perché alcune persone sviluppano un tipo di Dengue più grave pochi giorni dopo aver iniziato a sentirsi male. Si tratta di un’eventualità rara, ma non sconosciuta.

Popolazione a rischio

Chi ha già avuto la Dengue in passato ha maggiori probabilità di sviluppare una Dengue grave. È anche più comune nelle donne in gravidanza e nei neonati.

Sviluppare la Dengue con sintomi gravi

Le persone che sviluppano una Dengue grave possono iniziare a sentirsi meglio e vedere la loro temperatura tornare alla normalità, solo per sviluppare sintomi ancora più gravi 24-48 ore dopo.

Sintomi

I sintomi della Dengue grave comprendono forti dolori alla pancia, vomito ripetuto, respirazione accelerata, sanguinamento delle gengive o del naso, affaticamento, irrequietezza e vomito o feci sanguinolente.

Terapia ospedaliera

La dengue grave può diventare molto seria se non viene trattata adeguatamente in ospedale. È quindi importante rimanere vigili e rivolgersi a un medico quando necessario.

Trattamenti

Non esiste un trattamento specifico per la Dengue, ma è possibile alleviare i sintomi riposando, bevendo molti liquidi e assumendo paracetamolo.

Non assumere ibuprofene o aspirina

È importante, tuttavia, non assumere antidolorifici antinfiammatori, come l’ibuprofene o l’aspirina. Questi possono causare problemi di sanguinamento nelle persone affette da Dengue.

Evitare i viaggi

Se si appartiene a uno di questi gruppi, è consigliabile evitare di viaggiare nei Paesi in cui è presente questa infezione.

Evitare le punture di zanzara

Per le persone che viaggiano in Paesi in cui è presente la Dengue, il modo migliore per prevenire l’infezione è evitare di essere punti dalle zanzare.

Proteggersi con i vestiti

È buona norma indossare indumenti a maniche lunghe e pantaloni per coprire braccia e gambe, soprattutto nelle prime ore del mattino e della sera, quando le zanzare sono più numerose.

Repellente per insetti

Si può anche usare un repellente per insetti sulla pelle, preferibilmente uno che contenga DEET, e si dovrebbe cercare di chiudere le finestre e le persiane quando possibile.

Zanzariera

Infine, è buona norma dormire sotto una zanzariera trattata con insetticida, anche quando si dorme di giorno.

In sintesi

La febbre Dengue può essere fastidiosa e i casi sono in aumento. Anche se è raro ammalarsi di questa infezione, vale la pena di rimanere vigili e di essere consapevoli dei sintomi.

Fonti: (NHS) (CDC)

Febbre Dengue

Informazioni generali

Di origine virale, la dengue è causata da quattro virus molto simili (Den-1, Den-2, Den-3 e Den-4) ed è trasmessa agli esseri umani dalle punture di zanzare che hanno, a loro volta, punto una persona infetta. Non si ha quindi contagio diretto tra esseri umani, anche se l’uomo è il principale ospite del virus. Il virus circola nel sangue della persona infetta per 2-7 giorni, e in questo periodo la zanzara può prelevarlo e trasmetterlo ad altri.

Nell’emisfero occidentale il vettore principale è la zanzara Aedes aegypti, anche se si sono registrati casi trasmessi da Aedes albopictus. La dengue è conosciuta da oltre due secoli, ed è particolarmente presente durante e dopo la stagione delle piogge nelle zone tropicali e subtropicali di Africa, Sudest asiatico e Cina, India, Medioriente, America latina e centrale, Australia e diverse zone del Pacifico. Negli ultimi decenni, la diffusione della dengue è aumentata in molte regioni tropicali. Nei paesi dell’emisfero nord, in particolare in Europa, costituisce un pericolo in un’ottica di salute globale, dato che si manifesta soprattutto come malattia di importazione, il cui incremento è dovuto all’aumentata frequenza di spostamenti di merci e di persone.


Normalmente la malattia dà luogo a febbre nell’arco di 5-6 giorni dalla puntura di zanzara, con temperature anche molto elevate. La febbre è accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, irritazioni della pelle che possono apparire sulla maggior parte del corpo dopo 3-4 giorni dall’insorgenza della febbre. I sintomi tipici sono spesso assenti nei bambini.

Sintomi e diagnosi

La diagnosi è normalmente effettuata in base ai sintomi, ma può essere più accurata con la ricerca del virus o di anticorpi specifici in campioni di sangue.

Prevenzione e trattamento

La misura preventiva più efficace contro la dengue consiste nell’evitare di entrare in contatto con le zanzare vettore del virus. Diventano quindi prioritarie pratiche come l’uso di repellenti, vestiti adeguati e protettivi, zanzariere e tende. Dato che le zanzare sono più attive nelle prime ore del mattino, è particolarmente importante utilizzare le protezioni in questa parte della giornata.

Per ridurre il rischio di epidemie di Dengue, il mezzo più efficace è la lotta sistematica e continuativa alla zanzara che funge da vettore della malattia. Ciò significa eliminare tutti i ristagni d’acqua in prossimità delle zone abitate, ed effettuare vere e proprie campagne di disinfestazione che riducano la popolazione di Aedes.

A febbraio 2023, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato l’utilizzo e la commercializzazione di Qdenga (Takeda), un vaccino tetravalente vivo attenuato per la prevenzione della malattia da Dengue causata da uno qualsiasi dei quattro sierotipi del virus. Il vaccino ha ricevuto anche l’approvazione da parte dell’EMA (European Medicines Agency) a dicembre 2022. Un secondo vaccino il Dengvaxia (Sanofi Pasteur), non commercializzato in Italia, è indicato solo per persone residenti in aree endemiche e che abbiano avuto una precedente infezione da Dengue, confermata attraverso dei test di laboratorio.

Non esiste un trattamento specifico per la dengue, e nella maggior parte dei casi le persone guariscono completamente in due settimane. Le cure di supporto alla guarigione consistono in riposo assoluto, uso di farmaci per abbassare la febbre e somministrazione di liquidi al malato per combattere la disidratazione. In qualche caso, stanchezza e depressione possono permanere anche per alcune settimane.

La malattia può svilupparsi sotto forma di febbre emorragica con emorragie gravi da diverse parti del corpo che possono causare veri e propri collassi e, in casi rari, risultare fatali.

Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Italia https://www.epicentro.iss.it/febbre-dengue/

English translate

Dengue Fever

General informations

Of viral origin, dengue is caused by four very similar viruses (Den-1, Den-2, Den-3 and Den-4) and is transmitted to humans by mosquito bites which, in turn, bite a person infected. There is therefore no direct contagion between humans, even if humans are the main host of the virus. The virus circulates in the blood of the infected person for 2-7 days, and in this period the mosquito can pick it up and transmit it to others.

In the Western Hemisphere the main vector is the Aedes aegypti mosquito, although cases transmitted by Aedes albopictus have been recorded. Dengue has been known for over two centuries, and is particularly present during and after the rainy season in the tropical and subtropical areas of Africa, Southeast Asia and China, India, the Middle East, Latin and Central America, Australia and several areas of the Pacific. In recent decades, the spread of dengue has increased in many tropical regions. In the countries of the northern hemisphere, particularly in Europe, it constitutes a danger from a global health perspective, given that it manifests itself above all as an imported disease, the increase of which is due to the increased frequency of movement of goods and people.

Symptoms and diagnosis

Normally the disease gives rise to fever within 5-6 days of the mosquito bite, with even very high temperatures. Fever is accompanied by sharp headaches, pain around and behind the eyes, severe muscle and joint pain, nausea and vomiting, skin irritations that may appear on most of the body 3-4 days after the onset of fever. Typical symptoms are often absent in children.

Diagnosis is normally made based on symptoms, but can be more accurate by looking for the virus or specific antibodies in blood samples.

Prevention and treatment

The most effective preventive measure against dengue is to avoid coming into contact with the mosquitoes that carry the virus. Practices such as the use of repellents, adequate and protective clothing, mosquito nets and curtains therefore become priorities. Since mosquitoes are most active in the early hours of the morning, it is especially important to use protection during this part of the day.

To reduce the risk of dengue epidemics, the most effective means is the systematic and continuous fight against the mosquito that acts as a vector of the disease. This means eliminating all stagnant water near inhabited areas, and carrying out actual disinfestation campaigns that reduce the Aedes population.

In February 2023, the Italian Medicines Agency (AIFA) authorized the use and marketing of Qdenga (Takeda), a live attenuated tetravalent vaccine for the prevention of Dengue disease caused by any of the four serotypes of the virus. The vaccine also received approval from the EMA (European Medicines Agency) in December 2022. A second vaccine, Dengvaxia (Sanofi Pasteur), not marketed in Italy, is indicated only for people residing in endemic areas and who have had a previous Dengue infection, confirmed through laboratory tests.

There is no specific treatment for dengue, and in most cases people recover completely within two weeks. Treatments to support recovery consist of absolute rest, use of drugs to reduce fever and administration of fluids to the patient to combat dehydration. In some cases, tiredness and depression can persist for a few weeks.

The disease can develop in the form of hemorrhagic fever with severe bleeding from different parts of the body which can cause real collapse and, in rare cases, be fatal.

Source: Istituto Superiore della Sanità (ISS) Italia

https://www.ecdc.europa.eu/en/dengue

Dengue

Dengue fever is a viral disease transmitted by certain types of mosquitoes. It usually starts with flu-like symptoms such as:

  • fever
  • headache
  • muscle and joint pain
  • rash

Symptoms appear in humans 3-14 days after infection.

In some cases, the disease can become severe, leading to conditions like dengue hemorrhagic fever and dengue shock syndrome. When the disease is severe, the risk of mortality is higher. There are four types of viruses that cause dengue, and being immune to one type does not protect against the others

Key facts

Risk for people

Dengue outbreaks are sometimes seen in southern Europe and consequently it is closely monitored in the region..

Around the world, dengue is the most common viral disease transmitted by mosquitoes that affects people. Every year, there are tens of millions of cases are reported, and it causes about 20 000 to 25 000 deaths, with a higher impact on children.

How it spreads

Dengue is a disease caused by a virus that mainly spreads through mosquito bites. Mosquitoes get the virus by biting infected people and can transmit it to others when they bite again. 

Vaccination and treatment

There is no specific treatment for dengue. Early diagnosis is crucial to enable the provision of appropriate supportive care to patients and to apply disease control measures in the area.

The are two vaccines against dengue; both s are primarily designed for use in areas where dengue is very common (i.e. not mainland Europe). 

Protective measures

For individuals, protective measures include:

  • using mosquito repellent
  • the use of mosquito nets 
  • sleeping or in screened or air-conditioned rooms
  • wearing clothing that covers most of the body.

Preventative measures also focus on controlling the mosquitoes that spread the virus.

Some ways to reduce mosquito breeding sites include:

  • Regularly removing or treating open containers with stagnant water, like flower pots, tires, tree holes, and rock pools.
  • Ensuring water containers, barrels, wells, and storage tanks are well covered.

During outbreaks, aerial spraying of insecticides can be used to get rid of adult mosquitoes and mitigate the spread of the disease.

Aedes aegypti (Yellow Fever Mosquito) – Factsheet for experts

https://www.ecdc.europa.eu/en/disease-vectors/facts/mosquito-factsheets/aedes-aegypti

Species name/classificationAedes (Stegomyia) aegypti

Common name: Yellow fever mosquito

Synonyms and other name in useStegomyia aegypti

Aedes aegypti is a known vector of several viruses including yellow fever virus, dengue virus, chikungunya virus, and Zika virus.

Index:

Hazards associated with mosquito species

Geographical distribution

Entomology

Epidemiology and transmission of pathogens

Public health (control/interventions) 

Key areas of uncertainty 

Hazards associated with mosquito species

Current issues 

Invasive species

The invasive success of Ae. aegypti has largely been due to international travel and trade. Historically, Ae. aegypti has moved from continent to continent via ships and was previously established in southern Europe from the late 18th to the mid-20th century. Its disappearance from the Mediterranean, Black Sea and Macaronesian biogeographical region (Canary Islands, Madeira and the Azores) is not well understood [1,2]. It has since recolonised Madeira [3], reappeared in parts of southern Russia and Georgia (Krasnodar Krai and Abkhazia) [4], and reportedly been introduced into the Netherlands [5], Canary Islands [6,7] and Cyprus [8]. VectorNet field studies have shown the species to be widespread across extended areas of Georgia, including the capital city, Tbilisi, and it has also spread into north-eastern Türkiye [9]. Nowadays it is one of the most widespread mosquito species globally. If Ae. aegypti  is introduced into southern Europe, there are no climatic or environmental reasons as to why it could not survive [10,11]. Dispersal via shipping (ferries) from Madeira is still thought to represent the greatest risk for the introduction of this mosquito into Europe. Although its global establishment is currently restricted due to its intolerance to temperate winters [13], over the past 30 years there has been an increase in its distribution worldwide [14].

Ecological plasticity

Ae. aegypti  thrives in densely populated areas without reliable water supplies, waste management and sanitation [15]. It is suggested that Ae. aegypti evolved its domestic behaviour in West Africa, and its widespread colonisation and distribution across the tropics led to highly efficient inter-human transmission of viruses, such as dengue [16]. This domestic behaviour can provide protection from adverse environmental conditions (as it rests indoors) and offer numerous habitats suitable as oviposition sites, but also makes it vulnerable to (indoor) vector control measures [14].

Biting and disease risk 

Aedes aegypti is a known vector of several viruses including yellow fever virus, dengue virus chikungunya virus and Zika virus. In Europe, imported cases infected with these viruses are reported every year [17,18]. Therefore, the potential establishment of this mosquito in Europe raises concerns about autochthonous transmission of these arboviruses [1-3,9,12,19], particularly in southern Europe where climatic conditions are most suitable for the re-establishment of the species. In 2012, a large outbreak of dengue fever, associated with Ae. aegypti, occurred in the Portuguese Autonomous Region of Madeira (on the African tectonic plate) [20]. The epidemic started in October 2012 and by early January 2013 more than 2 200 cases of dengue fever had been reported, with an additional 78 cases reported among European travellers returning from the island [21].

Geographical distribution

Historically Ae. aegypti has been reported as established in:

  • all Mediterranean countries (Europe, Middle East and North Africa)
  • in the Caucasus (southern Russia, Georgia, Azerbaijan)
  • continental Portugal
  • both the Atlantic archipelagos (Canaries and Azores) [2,22].

It is currently distributed throughout the tropics, including Africa (from where it originates) and a number of sub-tropical regions such as:

  • south-eastern United States
  • the Middle East
  • South-East Asia
  • the Pacific and Indian Islands
  • northern Australia [23].

Although historically present in Europe, its current distribution is limited, but extending. The current known distribution of Ae. aegypti in Europe is displayed on the vector maps.

Brief history of spread and European distribution   

Pathways

Aedes aegypti was most probably transported into the Americas and the Mediterranean on ships sailing from Africa [1,16,24]. The northernmost documented occurrences in Europe (Bordeaux and Saint Nazaire, France; Swansea and Southampton, UK) clearly result from introductions via ships, and there is no evidence that the species has become established in these places [2]. In the past, the species has been sporadically reported in Europe, from the Portuguese Atlantic coast to the Black Sea [2], displaying a much larger distribution than at present. The same also applies to North America and Australia [14]. The reduction in distribution is possibly due to elimination programmes.

Initial importations and spread in Europe

Aedes aegypti disappeared from Europe during the first half of the twentieth century (the species was reported in Spain up to 1953 and in Portugal up to 1956). Despite a few subsequent sporadic recordings (northern Italy, 1972; Israel, 1974; Turkey, 1961, 1984, 1992, 1993, 2001), it is only more recently that reports of re-colonisation have come to light [2]. Colonisation on the island of Madeira was reported as having started in 2004, and there are concerns that Aedes aegypti could be transported to western Europe via air or sea traffic [3]. Similarly, there are concerns that the species could be introduced into other countries bordering the Black Sea from Russia and Georgia via sea or road traffic, as this has already been shown to be the case in north-eastern Türkiye [9]. From there, the species could easily spread via road traffic to other parts of Türkiye, including Istanbul, and on to neighbouring EU states. Furthermore, Ae. aegypti has been reported to have been found in the Netherlands at tyre yards, undoubtedly imported via shipments of tyres originating from Florida, USA [5,25]. However, the control measures that were immediately applied have successfully eliminated the species from these foci.  

Possible future expansion 

Unlike Ae. albopictus, the ability of Ae. aegypti to establish itself in more temperate regions is currently restricted, due to its intolerance of temperate winters and, in particular, the high mortality rate of eggs when exposed to frost [13,26]. However, there is no reason why it should not become re-established widely across the Mediterranean. Coastal regions of the Mediterranean, the Black Sea, and the Caspian Sea, and areas along large lowland rivers (Ebro, Garonne, Rhone, and Po) have been identified as suitable habitats for Ae. aegypti [10]. Moreover, this could change in the future, with global climate change resulting in the species’ ability to expand further to the north and south [16]. Back to Top  

Entomology

Species name/classificationAedes (Stegomyia) aegypti (Linnaeus, 1762) [27]
Common name: Yellow fever mosquito
Synonyms and other name in useStegomyia aegypti (sensu Reinert et al., 2004) [28]

Morphological characters and similar species

Adults of Ae. aegypti are relatively small and have a black and white pattern due to the presence of white/silver scale patches against a black background on the legs and other parts of the body. Some indigenous mosquitoes also show such contrasts (more brownish and yellowish) but these are less obvious. However, Ae. Aegypti could be confused with other invasive (Ae. AlbopictusAe. Japonicus) or indigenous species (Ae. Cretinus, restricted to Cyprus, Greece and Türkiye). The prevailing diagnostic character is the presence of silver scales in the shape of a lyre against a black background on the scutum (dorsal part of the thorax). The domestic form (Ae. Aegypti aegypti) is paler than its ancestor (Ae. Aegypti formosus) and has white scales on the first abdominal tergite. The latter is confined to Africa, south of the Sahara, and has been recorded as breeding in natural habitats in areas of forest or bush, away from places of human settlement [29].

Seasonal abundance

On the island of Madeira Ae. aegypti is active throughout the year, with a peak in abundance from August to October [30].

Voltinism (generations per season)

Multivoltine

Host preferences (e.g. birds, mammals, humans)

Aedes aegypti feeds on mammalian hosts [31], preferably humans, even in the presence of alternative hosts [32]. It also feeds multiple times during one gonotrophic cycle (feeding, egg-producing cycle) [14,16,33] which has implications for disease transmission.

Aquatic/terrestrial habitats

Historically, Ae. aegypti was found in forested areas, using tree holes as habitats [16]. As an adaptation to urban domestic habitats, nowadays it exploits a wide range of artificial containers such as vases, water tanks and tyres [14]. It also uses underground aquatic habitats, such as septic tanks [34], and can adapt to use both indoor and outdoor aquatic container habitats in the same area. Adaptation to breeding outdoors may result in increased population numbers and difficulty in implementing control methods [32]. A study in Brazil found high numbers of eggs in oviposition sites close to human populations [35]. Eggs which are laid on or near the water surface [14] are normally resistant to desiccation [36].

Biting/resting habits

The domestic form of Ae. aegypti is often found as close as 100 metres to human habitations [1] although some studies have shown that breeding habitats can also be found away from human dwellings [32]. Aedes aegypti prefer human habitations as they provide resting and host-seeking possibilities [16] and, as a result, they will readily enter buildings [1,14]. The activity of the species is both diurnal and crepuscular [14,31].

Environmental thresholds/constraints/development criteria

Aedes aegypti, unlike Ae. albopictus, is not able to undergo winter diapause as eggs, and this therefore limits its ability to exploit more northerly temperate regions (although some survival is possible during the summer following an importation). However, it may establish itself in regions of Europe with a humid sub-tropical climate (e.g. parts of the Mediterranean and countries around the Black Sea), such as the Sochi region where it has become re-established since 2001 [37]. Species competition has also been shown to affect distribution and abundance. A decrease in the distribution of Ae. aegypti has been associated with the invasion of Ae. albopictus, especially in south-eastern USA [14].

Aedes aegypti also has limited dispersal capability in its adult form [14], with a flight range estimated to be only 200 metres [31]. Rainfall may affect abundance and productivity of breeding sites but this species’ preference for artificial water containers means it does not have to rely on rainfall for the availability of larval development sites [14]. These aspects, coupled with its preference for feeding and resting indoors, make the species less susceptible to the effects of climatic factors, which could influence its distribution.

Epidemiology and transmission of pathogens

Known vector status

Aedes aegypti is known to transmit dengue virus, yellow fever virus, chikungunya virus, and Zika virus. It has been suggested as a potential vector of Venezuelan Equine Encephalitis virus [38] and vector competency* studies have shown that Ae. aegypti is capable of transmitting West Nile virus. West Nile virus has also been isolated from this mosquito species in the field [31].

Chikungunya

Aedes aegypti is the primary vector of chikungunya virus [39]. Transovarial transmission was demonstrated by Aitken et al. [40] under laboratory conditions and the virus has been detected in wild-caught male Ae. aegypti [41]. Transovarial transmission may help with the maintenance of the virus in nature [42]. Venereal transmission during mating has also been demonstrated under laboratory conditions, although it is thought to be less widespread than transovarial transmission [42].

Aedes aegypti has been involved in virtually all chikungunya epidemics in Africa, India and other countries in South-East Asia [42][43]. The species caused an outbreak of chikungunya in Kenya (2004) and the Comoros islands (2005), affecting 63% of the population in the latter case [44]. An entomological investigation following an outbreak of chikungunya virus in Yemen (2010/2011) revealed the presence of the virus in field-collected Ae. aegypti in the outbreak area [45]. More recently, Ae. aegypti was involved in large chikungunya outbreaks in the Pacific and the Caribbean [19,46,47]. As a consequence, Europe’s vulnerability to the virus has increased [17,19].

More information on the disease can be found on the fact sheet about chikungunya.

Dengue

Aedes aegypti is the primary vector of dengue [48]. All four dengue serotypes have been isolated from field-collected Ae. aegypti [49]. Vertical transmission of dengue virus types 2, 3 and 4 has been demonstrated [29] and although some suggest this is inefficient [49], others suggest that it plays a significant role in viral maintenance [50].

Aedes aegypti has long been recognised as a vector of dengue, causing major dengue fever epidemics in the Americas and South-East Asia. The global incidence of dengue has also increased over the past 25 years [14,51]. Historically, outbreaks have also been reported in Europe, with one of the largest outbreaks on record occurring in Athens and neighbouring areas of Greece during the period 1927–1928 [52] [2]. In 2012, a large outbreak of dengue fever occurred in the Portuguese Autonomous Region of Madeira [20] where Ae. aegypti is established.

More information on the disease can be found on the fact sheet about dengue.

Yellow fever

Yellow fever is maintained in a sylvatic cycle between monkeys and mosquitoes of Aedes or Haemagogus genera [29,53]. Aedes aegypti is the vector involved in urban transmission of yellow fever where only humans are the amplifying host. Aedes aegypti has been shown to transmit yellow fever virus transovarially to F1 progeny under laboratory conditions [40] and field collection studies have also confirmed this in nature [29].

Yellow fever transmission has been reported from countries across sub-Saharan Africa and in tropical areas across South and Central America, from Panama to the northern part of Argentina [54]. Autochthonous transmission of yellow fever has never been detected in Asia, although the Ae. aegypti vector is present in south and south-eastern areas of the continent [55].

More information on the disease can be found on the fact sheet about yellow fever.

Zika virus

Zika virus is maintained in a sylvatic cycle involving non-human primates and a wide variety of sylvatic and peri-domestic Aedes mosquitoes. Aedes aegypti is considered the most important vector for Zika virus transmission to humans. Aedes aegypti mosquitoes were found infected in the wild (reviewed in [56]). More recently, the species was found infected during the Zika virus outbreak in Brazil [57]. The mosquito has been shown to transmit the virus under laboratory conditions but differences in vector competence* between studies were reported [58-60].

More information on the disease can be found on the fact sheet Zika virus infection

Factors driving/impacting on transmission cycles

The spread of Ae. aegypti-borne diseases has been aided by the global spread of Ae. aegypti over the past 25 years [14]. Although currently limited in spread due to its intolerance to temperate winters, climate change could result in an increased distribution of Ae. aegypti.

As the human population grows, sites in which this mosquito can thrive will increase, providing further habitats. This fact, coupled with the close proximity of humans and the tendency of Ae. aegypti to feed on multiple hosts during one gonotrophic cycle [16][14][33], increases the risk of disease transmission in such areas. The movement of viraemic hosts can result in outbreaks from a number of arboviruses in non-endemic areas.

The re-establishment of Ae. aegypti in some areas has resulted in disease transmission. Inadequate control of this invasive species could lead to its re-establishment in Europe which is why surveillance and research on this mosquito is so important.

Public health (control/interventions) 

Vector surveillance

Methods for surveying Ae. aegypti are addressed in ECDC’s ‘Guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes in Europe’ [61].

ECDC and the European Food Safety Authority (EFSA) fund European-wide monitoring and mapping activities for invasive mosquito species and potential mosquito vectors (VectorNet).

Species specific control methods

Source reduction and adult control

Aedes aegypti thrives in urban environments which provide it with numerous oviposition sites to lay eggs. Therefore, the distribution of this species is largely driven by human activities (e.g. storage of water outside) and this should be the focus of control methods [14]. This is challenging because of the numerous sites in which Ae. aegypti lay eggs and in an urban setting, such sites are hard to access. For example, a study in Mexico used a combination of quadrat and transect sampling methods to identify the most important containers for pupal development in 600 houses. They found an association between Ae. aegypti pupae and large cement washbasins. Source reduction and targeted treatment of such sites could ensure that the use of insecticides is more successful in reducing mosquito numbers [62].

Historically, outbreaks of dengue and yellow fever have been controlled by Ae. aegypti eradication programmes but these have not always been successful and abandoning efforts led to the re-emergence of the diseases associated with this mosquito [63]. In the twentieth century, many eradication programmes were targeted at larval development sites in an attempt to eliminate yellow fever transmission. The use of DDT after the Second World War resulted in the eradication of the species from 22 countries in the Americas [1]. This effort was discontinued and Ae. aegypti quickly re-colonised nearly all of the neo-tropics and sub-tropics [16]. Since Ae. aegypti has become less accessible, due to the fact that the species spends more time indoors, outdoor insecticidal spraying has become less efficient [1]. Eradication programmes set up during the 1950–60s (initiated by the Pan American Health Organization) in the Americas saw the reduction and eradication of Ae. aegypti there, but relaxation of mosquito management after the 1970s resulted in the re-establishment of Ae. aegypti, followed by dengue outbreaks [14].

Some other methods used include the introduction of predators into the larval habitats of Ae. aegypti (e.g. copepods), the introduction of irradiated or genetically-modified mosquitoes (sterile male release) and the use of Wolbachia bacteria which can inhibit the replication of dengue virus within Ae. aegypti, thereby suppressing or eliminating dengue transmission [14]. Protective clothing and repellents are also advocated to reduce exposure to Ae. aegypti, as well as the spraying of indoor living spaces with pyrethrin [53]. Personal protective measures to reduce the risk of mosquito bites also include using mosquito bed nets (preferably insecticide-treated nets), and sleeping or resting in screened or air-conditioned rooms.

Integrated control programme

Implementation of an integrated control strategy against invasive mosquito species should take into account the target species, its ecology and the public health concern (i.e. nuisance and/or disease transmission). As a general rule, an integrated control strategy requires the coordinated involvement of local authorities, private partners, organised society and communities [64].

Traditional methods such as source reduction, public education and insecticide application are routinely implemented by municipalities to reduce Aedes populations, but with limited success, probably because of poor participation of communities, and a lack of coordination and synchronised implementation [64]. Innovative approaches, such as pyriproxyfen autodissemination and genetic or Wolbachia-based methods, still have to be developed to demonstrate their efficacy and sustainability, but could be considered in future integrated programmes.

It is suggested that mosquito control programmes should be more effective against Ae. aegypti (as opposed to Ae. albopictus) due to its strong urban presence and preference for feeding on humans [13]. Using a combination of control methods as opposed to one strategy is suggested to be most effective, and will reduce the chance of introducing selective pressures – e.g. on oviposition site selection [65]. However, following the discovery of Ae. aegypti in Madeira, using a combined control strategy of spraying insecticides, reducing potential breeding sites and increasing public health awareness did not prevent the species from re-establishing itself there [3].

Existing public health awareness and education materials

ECDC provides regularly-updated vector distribution maps and guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes [61].

The US Centers for Disease Prevention and Control (US CDC) provide advice for travellers on protection against mosquitoes, ticks and other arthropods: http://wwwnc.cdc.gov/travel/yellowbook/2010/chapter-2/protection-against-mosquitoes-ticks-insects-arthropods.aspx(link is external).

The National Travel Health Network and Centre provides information on how to avoid insect bites (including mosquito bites): http://www.nathnac.org/pro/factsheets/iba.htm(link is external).

At its 63rd session in September 2013 The Regional Committee for Europe endorsed a ‘Regional framework for surveillance and control of invasive mosquito vectors and re-emerging vector-borne diseases 2014–2020’ [report(link is external)] [resolution(link is external)].

Key areas of uncertainty 

It is clear that if Ae. aegypti re-establishes itself in the European regions it previously inhabited and spreads, it will have a significant impact on public health. The spread of Ae. aegypti needs to be monitored as this species is the primary vector of dengue, chikungunya, yellow fever and Zika viruses.

Footnote

*Vector competence is the physiological ability of a mosquito to become infected with and transmit a pathogen, and is typically assessed in laboratory studies. In nature, transmission of a pathogen by vectors is dependent not only on vector competence but also on factors describing the intensity of interaction between the vector, the pathogen and the host in the local environment. Therefore, vector and host densities, geographic distribution, longevity, dispersal and feeding preferences have to be considered to determine the vectorial capacity of a vector population and its role in transmission

Read more

Reverse identification key for mosquito species

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Source: European Centre Disease Control (ECDC)

Aedes albopictus (Tiger Mosquito) – Factsheet for experts

https://www.ecdc.europa.eu/en/disease-vectors/facts/mosquito-factsheets/aedes-albopictus
  • SPECIES NAME/CLASSIFICATION: Aedes (Stegomyia) albopictus (Skuse) [66]
  • COMMON NAME: Asian tiger mosquito, Forest day mosquito
  • SYNONYMS AND OTHER NAME IN USE: Stegomyia albopicta (sensu Reinert et al. [67]) 

This mosquito species is a known vector of chikungunya virus, dengue virus and dirofilariasis.

Hazard associated with mosquito species

Current issues

Invasive species/global dispersion

Aedes albopictus has undergone a dramatic global expansion facilitated by human activities, in particular the movement of used tyres and ‘lucky bamboo’ [1]. Together with passive transit via public and private transport, this has resulted in a widespread global distribution of Ae. albopictus. It is now listed as one of the top 100 invasive species by the Invasive Species Specialist Group [2].

Ecological plasticity

The success of the invasion of Ae. albopictus is due to a number of factors including: its ecological plasticity, strong competitive aptitude, globalization i.e. increase of trade and travel, lack of surveillance, and lack of efficient control [1]. Climate change predictions suggest Ae. albopictus will continue to be a successful invasive species that will spread beyond its current geographical boundaries [3-5]. This mosquito is already showing signs of adaptation to colder climates [1,6] which may result in disease transmission in new areas.

Biting and disease risk

Aedes albopictus feeds on a wide range of hosts. It is also known to be a significant biting nuisance, with the potential to become a serious health threat as a bridge vector of zoonotic pathogens to humans [7]. This mosquito species is a known vector of chikungunya virus, dengue virus and dirofilariasis. A number of other viruses affecting human health have also been isolated from field-collected Ae. albopictus in different countries. Moreover, its recent involvement in the localised transmission of chikungunya virus in Italy [8] and France [9,10] and dengue virus in France [11-13] and Croatia [14] highlights the importance of monitoring this invasive species.

Geographical distribution

Aedes albopictus has been reported in the following areas: [1,3,6,7,15-42].

  • Europe: Albania, Austria (not established to date), Belgium (not established to date), Bosnia & Herzegovina, Bulgaria, Croatia, Czech Republic (not established to date), France (including Corsica), Georgia, Germany, Greece, Hungary, Italy (including Sardinia, Sicily, Lampedusa, and other islands), Malta, Monaco, Montenegro, the Netherlands (not established to date), Romania, Russia, San Marino, Serbia (not established to date), Slovakia (not established to date), Slovenia, Spain, Switzerland, Turkey and Vatican City
  • Middle East: Israel, Lebanon, Saudi Arabia (to be confirmed), Syria, Yemen (to be confirmed)
  • Asia & Australasia: Australia (established only in the Torres Strait, the region that separates mainland Australia from Papua New Guinea), Japan, New Zealand (not established), numerous Pacific Ocean and Indian Ocean islands, southern Asia
  • North, Central America & Caribbean: Barbados (not established), Belize, Cayman Islands, Costa Rica, Cuba, Dominican Republic, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Mexico, Nicaragua, Panama, Trinidad (not established), USA
  • South America: Argentina, Bolivia (not confirmed), Brazil, Colombia, Paraguay, Uruguay, Venezuela
  • Africa: Algeria, Cameroon, Central African Republic, Equatorial Guinea, Gabon, Madagascar, Nigeria, Republic of Congo, South Africa (not established)

The current known distribution of Ae. albopictus in Europe in displayed on the vector maps

Brief history of spread and European distribution

Pathways

Having originated in tropical forests of South-East Asia, Ae. albopictus has spread globally. This geographical spread has mostly occurred during the past three decades [1] via passive transport of eggs in used tyres or lucky bamboo, the latter being the route of importation into Belgium, the Netherlands and California [16,43,44]. Public or private transport from heavily-infested areas has also resulted in the passive transportation of Ae. albopictus into new areas. Passive transport from heavily infested areas via ground vehicles is believed to be the route of introduction of Ae. albopictus into southern France, Germany, the Balkans, the Czech Republic, Spain and Switzerland [19,23,30,45].

Timeline of initial movements

Aedes albopictus was first reported in Europe in 1979 in Albania [46]. In 1985 it was reported in Texas, USA and has since spread northward and eastward, having now been reported in at least 32 US states including Hawaii [38]. This expansion was facilitated by the movement of used tyres along the interstate highways [18]. In Latin America it was first reported in Brazil in 1986 and later in Mexico in 1988 [19]. In Africa, it was first detected in 1990 in South Africa but establishment was only reported in 2000 from Cameroon [47,48].

Initial importation and spread in Europe

The first record of importation to Europe was in Albania in 1979 but it was suspected to be present from 1976. Although Ae. albopictus became established in Albania, there were no reports in any other European country until 1990, when it was found in Italy [49]. Since its importation into Italy through Genoa [23], Ae. albopictus has now become established in most areas of the country <600m above sea level and is abundant in many urban areas [3,50]. During the first 10 years of colonisation in the country, Ae. albopictus spread throughout 22 provinces, mainly in the north east of the country [51]. Italy is now the most heavily-infested country in Europe, with the highest incidence in the Veneto and Friuli-Venezia-Giulia regions, large parts of Lombardia and Emilia-Romagna and coastal areas of central Italy [3]. The mosquito was then reported in France in 1999 and Belgium in 2000. These initial importations were subsequently eradicated or died out, but spread has occurred to a number of countries in Europe since 2000, including southern France.

Having become established in Albania, Italy and on the Cote d’Azur in France, Ae. albopictus is also known to be spreading in Greece, Spain and the Balkan countries [23]. Aedes albopictus has also been reported in Ticino in Switzerland since 2003, suggesting sporadic introductions from Italy [52]. In 2004, it was reported near Barcelona in Spain, with some spread along the Mediterranean coast [19]. Furthermore, it has been repeatedly found in the Netherlands (2005, 2006 and 2007) at the premises of companies importing bamboo [43,53] and in Malta [26]. The Dutch populations, imported with lucky bamboo, have not established outside greenhouses, suggesting that they are tropical strains. Besides, populations are also imported from USA via used tyre trade, and control measures have so far avoided their establishment [54]. Aedes albopictus has been trapped on a number of occasions along motorways in southern Germany, suggesting introduction by vehicles from southern Europe [32,45,55]. In 2014, all developmental stages were found over extended periods of time in southern Germany indicating local reproduction [56].

Further specimens were collected at parking lots along motorways and at some other places in Austria [31], Czech Republic [30], and Slovakia [33], but subsequent surveys remained negative [38]. Finally, populations have been found established in Slovenia in 2007 [57,58], in Bulgaria in 2011 [59], Russia in 2011 [60,61], Turkey in 2011 [35] and Romania in 2012 [40]. 

Possible future expansion 

The ability for imported populations to establish is currently dependent on the origin of the mosquito and its strain and it is not always clear whether introductions into Europe will result in established populations. In this context, it is suggested that Portugal, the eastern Adriatic Coast, eastern Turkey and the Caspian Sea coast of Russia are the most likely places for Ae. albopictus to establish itself in Europe [7]. Risk mapping projections suggest that further expansion of this species will occur in the Mediterranean basin towards the east and the west, as well as in the coastal areas of Greece, Turkey and the Balkan countries. Incorporation of climate change projections suggests that over time most of Europe will become more suitable for Ae. albopictus establishment [3,62,63]. Especially Western Europe (Belgium, France, Luxembourg and the Netherlands) will provide favourable climatic conditions within the next decades. Climatic conditions will continue to be suitable in southern France as well as in most parts of Italy and Mediterranean coastal regions in south-eastern Europe [63]. It is predicted that future climate trends will increase the risk of establishment in northern Europe, e.g. parts of Germany and the southernmost parts of the UK, due to wetter and warmer conditions, and slightly decrease the risk across southern Europe because of hotter and drier summers [3,62,63]. Land use changes, particularly urbanisation, may continue to increase the competitive advantage of Ae. albopictus over resident mosquitoes through its exploitation of artificial container habitats; further aiding establishment in new areas [64]. Winter temperatures and mean annual temperatures appear to be the most significant limiting factors of Ae. albopictus expansion in Europe [65].

Entomology

  • SPECIES NAME/CLASSIFICATION: Aedes (Stegomyia) albopictus (Skuse) [66]
  • COMMON NAME: Asian tiger mosquito, Forest day mosquito
  • SYNONYMS AND OTHER NAME IN USE: Stegomyia albopicta (sensu Reinert et al. [67]) 

Morphological characters and similar species

Aedes albopictus adults are relatively small and show a black and white pattern due to the presence of white/silver scale patches against a black background on the legs and other parts of the body. Some indigenous mosquitoes also show such contrasts but these are less obvious (more brownish and yellowish). Aedes albopictus can, however, be confused with other invasive (Ae. aegypti, Ae. japonicus) or indigenous species (Ae. cretinus, restricted to Cyprus, Greece and Turkey), and the diagnostic character is the presence of a median silver-scale line against a black background on the scutum (dorsal part of the thorax). The differentiation with Ae. cretinus needs a detailed check of scale patches on the thorax.

Life history

Diapausing tendencies

Tropical and subtropical populations are active throughout the year with no diapausing phase [26]. Temperate populations are affected by seasonal temperature and photoperiodicity and, in response to these factors, can overwinter by producing eggs that undergo a winter diapause [68]. Eggs, laid during late summer or early autumn when daylight hours are reducing, enter facultative diapause, and hatching suppression occurs which is usually sufficient to outlast winter [68]. The species’ ability to induce photoperiodic egg diapause allows it to overwinter in temperate regions, which assists its establishment in more northern latitudes in Asia, North America and Europe. Diapausing eggs of European Ae. albopictus have been shown to be able to survive a cold spell of -10oC, whereas eggs of tropical Ae. albopictus could only survive -2oC. In addition, the hatching success and cold tolerance of European Ae. albopictus eggs were increased in diapausing eggs when compared to non-diapausing eggs [69]. Aedes albopictus populations in Italy are showing signs of cold-acclimation as adults and are thus remaining active throughout winter [70]. Some populations in North America are likely to be exposed to mean temperatures of -5˚C and will overwinter if females have deposited eggs in containers that are not exposed to these temperatures for prolonged periods ‒ e.g. artificial containers in peridomestic areas [64].

General life history

The drought-resistant eggs are laid above the water line. Larval/pupal development takes three to eight weeks and is continuous throughout the year in European southernmost regions (Malta [26]). Adult females can survive over three weeks [70]. They have been reported to overwinter in Rome [70] and even to lay eggs during winter time in Spain [71].

Seasonal abundance

Seasonal abundance is dependent on temperature and the availability of food and water in a particular geographical area. Higher temperatures speed up larval development, increasing the number of adult populations, the autumnal development of immatures and consequently the rates of egg overwintering [68]. A study in northern Italy showed an increased abundance of adult females during the period May-September, peaking in late July [72]. In Greece, Ae. albopictus is continuously active for over eight months of the year with the greatest abundance during summer and autumn, peaking in October. Oviposition takes place from mid-April to December, with the numbers of eggs highest from mid-July to the end of the autumn, and significantly increased during mild and rainy weather [73].

Voltinism (generations per season)

Multivoltine, 5-17 generations per year [26].

Host preferences

Aedes albopictus is an opportunistic feeder [74]. Blood hosts include humans, domestic and wild animals, reptiles, birds and amphibians [18]. Yet, laboratory studies and blood meal analysis have shown a preference for human blood meals [1]. A study in Italy found a preference for mammals as opposed to birds and found human blood meals were more frequent in urban areas than rural sites, suggesting that host availability and abundance has a direct impact on the feeding activities of Ae. albopictus [50].

Aquatic and terrestrial habitats

Aedes albopictus has the ability to breed in natural and artificial habitats, some of which include tyres, barrels, rainwater gulley catch basins and drinking troughs [26]. Natural habitats consist in phytotelms (water bodies held by terrestrial plants e.g. tree holes) and rock pools [75]. They are not known to breed in brackish or salt water [24]. In general, albeit in Europe, they have a preference for urban and suburban habitats [76]. Aedes albopictus is said to be superior in competing for food resources with Ae. triseriatus and Ae. japonicus [64].

Biting and resting habits

Aedes albopictus is currently considered a serious biting nuisance for humans in Italy [23,77], southern France [78] and Spain where it is significantly reducing the quality of life in infested areas [19]. Adult females bite aggressively, usually during the day and preferably outdoors. However, there are reports that Ae. albopictus is becoming partially endophilic [77], and is found to be biting indoors [79]. During a study in Rome, blood-fed females were mainly found indoors, indicating that local mosquito populations could spend time resting indoors after a blood meal [50]. Another study on Penang Island in Malaysia reported observations of Ae. albopictus females developing indoors within containers. Such containers included flower vases, empty paint cans and sinks. Most stages of larval populations were present over a five-month period, suggesting that this species may have adapted to indoor environments [80]. A laboratory study found that Ae. albopictus could survive for long periods indoors by obtaining sugars from lucky bamboo and other ornamental plants [81]. The mosquitoes’ survival time was long enough to complete a gonotrophic cycle, and to allow development of transmissible arboviruses within the vector [81].

Environmental thresholds/constraints/development criteria

Establishment thresholds

The extent to which Ae. albopictus has established itself in new geographic locations is thought to correspond to various climatic thresholds: a mean winter temperature of >0oC to permit egg overwintering, a mean annual temperature of >11oC required for adult survival and activity, and at least 500mm of annual rainfall; a pre-requisite for the maintenance of aquatic habitats. However, rainfall needs to be sufficient during summer months to maintain such sites [68,82]. Conversely, periods of high precipitation reduce short-term abundance of host-seeking females [72]. A summer temperature of 25‒30oC is required for optimum development [83]. However, there are reports of populations establishing in areas with lower mean temperatures (5‒28.5°C) and lower rainfall (290mm annually) than previously suspected [7,84].

Diapausing and reactivation cues

The length of the reproductive season is regulated by the increasing temperatures in spring and the onset of egg diapause in autumn. The critical photoperiodic threshold varies between geographical locations. In general, the production of diapausing eggs occurs below 13‒14 hours of daylight, however in some locations this threshold occurs at 11‒12 hours [68].

Hatching of diapausing eggs in spring is related to changes in photoperiod (i.e. length of day), food availability, temperature, and water availability. Furthermore, this mosquito may not survive through winter if environmental temperatures and humidity are not maintained above set thresholds, or if the diapause period exceeds six months [68].

There is generally little adult activity below 9oC, but adults do seek warmer microclimates indoors [72]. In parts of Italy, adult activity continues throughout winter [70].

Dispersal range

Flight range (and hence dispersal on the wing) is limited to ~200m [74]. The main dispersal route for this mosquito is via transport and movement of container habitat goods.

Epidemiology and transmission of pathogens

Known vector status

During the 2006-2007 chikungunya outbreak in Italy, the status of Ae. albopictus as vector of the chikungunya virus was clearly demonstrated [1]. This mosquito is also known to be able to transmit dengue virus [85,86] and dirofilarial worms [19,87]. All four dengue virus serotypes have been isolated from Ae. albopictus [88]. Infection studies of l Ae. albopictus suggest a possible contribution to Zika virus outbreaks [89,90].

Aedes albopictus is considered to be a competent* vector experimentally of at least 22 other arboviruses including yellow fever virus, Rift Valley fever virus, Japanese encephalitis virus, West Nile virus and Sindbis virus, all of which are relevant to Europe. Potosi virus, Cache Valley virus, La Crosse virus, Eastern equine encephalitis virus, Mayaro virus, Ross River virus, Western equine encephalitis virus, Venezuelan equine encephalitis virus, Oropouche virus, Jamestown Canyon virus, San Angelo virus and Trivittatus virus are other arboviruses that Ae. albopictus can transmit experimentally [38,91].

A number of these viruses have also been isolated from field-collected Ae. albopictus in different countries and laboratory transmission of such viruses by Ae. albopictus has been demonstrated [1]. These include Eastern equine encephalitis virus [92,93], La Crosse virus [94,95], Venezuelan equine encephalitis virus [96,97], West Nile virus [72,98,99] and Japanese encephalitis virus [1]. Usutu virus has been isolated from Ae. albopictus in Italy, but it is unknown whether the mosquito can transmit this pathogen [100]. Field isolation and experimental infection studies alone do not prove that this mosquito species is involved in the transmission of such viruses, but the mosquito’s biting habits, increasing global distribution and recent involvement in a chikungunya virus outbreak highlight the significance of Ae. albopictus to public health.

A high prevalence of the insect-infective Aedes flavivirus has been detected in Ae. albopictus in Italy and it has been suggested that its presence in these mosquitoes could influence the transmission dynamics of other human-pathogenic flaviviruses, such as West Nile virus and Usutu virus [101].

Not only does Ae. albopictus represent a disease risk but it can also cause a considerable amount of nuisance biting in areas where it is well-established, reducing the quality of life of individuals affected [102]. Prevalence of Ae. albopictus has also been linked to a reduction in children’s outdoor physical activity time, a factor contributing to childhood obesity [103].

Chikungunya

Aedes albopictus mosquitoes are able to transmit chikungunya virus within two days of ingesting a viraemic blood meal [104]. Some experts suggest that transovarial transmission is enough to maintain viral cycles but others disagree [23]. No evidence of transovarial transmission was found during an entomological investigation into the 2007 chikungunya outbreak in Italy [105] but the virus was detected in field-caught male Ae. albopictus following an outbreak in Thailand [106].

Chikungunya was first reported in Europe in 2007 following epidemics in the Indian Ocean (2005‒2007), which caused millions of cases and significant morbidity and burden on health resources. This was the first known local transmission of chikungunya in Europe and occurred in Emilia-Romagna province in Italy. An infected traveller returned home from India, spreading the disease to localised populations of Ae. albopictus mosquitoes. Following entomological investigations during the outbreak females of Ae. albopictus were found to be PCR positive and the virus was successfully isolated [105]. The adaptation of the virus to this new vector host (in addition to its principle vector Ae. aegypti) has resulted in improved virus replication and transmission efficiency of the virus by Ae. albopictus [5,107] [104]. Autochthonous chikungunya fever cases occurred in south eastern France in 2010 and 2014 [9,10]. Tilston et al considers that, based on temperature, the southern European countries are most at risk of chikungunya virus transmission [108].

Dengue

Although generally considered a secondary vector of dengue to Ae. aegyptiAe. albopictus has been associated with dengue virus transmission and this has been acknowledged since the mid-nineteenth century [1]. It was implicated as the vector responsible for outbreaks in Hawaii [85] Reunion Island and Mauritius [86,109] . It has also been associated with dengue virus transmission in China, Japan and Seychelles [88]. Dengue virus is transmitted transovarially so emergence of adults from imported infected eggs could lead to further spread of the disease [24]. Dengue virus can also be transmitted venereally in mosquitoes [88].

Autochthonous cases of dengue were reported in France during September 2010 [11] followed by others in Croatia at around the same time [14]. Further cases, linked to Ae. albopictus, were reported from France in 2013, 2014 and 2015 [12,13,110]. Although modelling predicts that most of Europe is currently unsuitable for dengue transmission, areas combining high human population density with suitable day- and night-time land surface temperatures are still at greater risk [4,111]. However, competent mosquito vectors must be present for transmission to occur. Climatically, areas predicted to be at risk from dengue include northern Italy, parts of Austria, Slovenia and Croatia, and west of the Alps in France [111]. The risk of transmission to humans is considered to be higher where there is a presence of Ae. aegypti than in areas with Ae. albopictus. This point is exemplified by the outbreak of dengue on Madeira associated with Ae. aegypti [112].

Zika

Aedes albopictus is considered a potential vector of Zika virus. Vector competence studies of local Ae. albopictus in Singapore with the African lineage of Zika virus showed the potential of this mosquito to transmit Zika virus [89]. Recent studies using different Ae. albopictus populations from the Americas and Europe revealed that this mosquito is susceptible to Zika virus infection, that the virus is disseminated and can reach the salivary glands but not very efficiently; Ae. albopictus has a lower vector competence compared to Aedes aegypti  [113] [114] [115]. The species has been found infected in wild caught mosquitoes [90].

Dirofilariasis

Aedes albopictus has a role in the transmission of Dirofilaria in Asia, North America and Europe [1]. Dirofilaria (filarial nematodes D. immitis and D. repens) is a parasite transmitted primarily between dogs (or other canids which act as reservoir hosts) and mosquitoes, but which can also affect humans. Recent evidence has shown transmission of the parasite by Italian Ae. albopictus populations [116-118], coupled with an increase in prevalence of human dirofilariasis in Italy [87].

Human infections are increasing in Europe and although it is unusual for the parasite to develop into the adult stage in humans, at least three cases of microfilaraemic zoonotic infections have been reported in Europe [77,119].

Factors driving/impacting on transmission cycles

A growth in dengue cases worldwide, increasing global travel and established populations of Ae. albopictus may have been the cause of the dengue outbreak in Mauritius in June 2009 [86]. The movement of viraemic hosts can result in outbreaks of chikungunya virus in non-endemic areas. Climate change could increase the distribution of Ae. albopictus beyond its current boundaries which could enhance the transmission potential of chikungunya virus and dengue virus in temperate regions [5,77,120]. Aedes albopictus mosquitoes tend to feed on multiple hosts which also increases the risk of zoonotic disease transmission [1]. The return of viraemic travellers from disease-epidemic areas to temperate regions has resulted in (and will potentially continue to result in) local mosquito populations sustaining disease transmission [83]. Therefore, the presence of Ae. albopictus in Europe and the increasing number of overseas travellers may increase the risk of dengue and chikungunya outbreaks in Europe [121].

Public health (control/interventions)

Vector surveillance

Methods for surveying Ae. albopictus are addressed in the ‘ECDC Guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes in Europe [122].

ECDC and EFSA fund European-wide monitoring and mapping activities for invasive mosquito species and potential mosquito vectors (VectorNet).

Species specific control methods

Source reduction and adult control

Control of Ae. albopictus is based on the reduction of larval development sites. Mosquito fogging and larviciding (insecticides targeting the mosquito larvae) were techniques used during an outbreak of dengue in Mauritius in June 2009 [86]. In 2006, use of insecticides in greenhouses that had been recently colonised by Ae. albopictus in the Netherlands may have contributed to the decline in numbers caught the following year [43]. Permethrin, Bacillus thuringiensis israeliensis ser. H14 and diflubenzuron (an insect growth regulator) were used to treat stagnant water after the detection of Ae. albopictus in Switzerland in 2003 [52]. Although resistance to insecticides is not currently a problem, it has been detected in a population in Thailand [123] and more recently in populations in La Reunion [124] and Malaysia [123,125]. In Pakistan, field-collected Ae. albopictus displayed moderate-high resistance to many agricultural insecticides, including pyrethroids [126].

Control of this species in newly-established areas has been difficult (e.g. USA, France and Italy) [1]. Although prevention of invasion was achieved after its first introduction into France in 1999, subsequent introductions (most likely by vehicles from Italy) have resulted in Ae. albopictus becoming a pest problem in southern France and Corsica. A study in Catalonia, Spain demonstrated the use of multiple intervention strategies (source reduction, larvicide and adulticide treatments and the cleaning of uncontrolled landfills) as successful in curbing an established population of Ae. albopictus (produced a marked reduction in egg numbers). The authors concluded that citizen cooperation was an essential component for successfully implementing these interventions [102].

Implementation of an integrated control strategy against invasive mosquito species should take into account the target species, its ecology and the public health concern, i.e. nuisance or disease transmission. As a general rule, an integrated Invasive Mosquito Species control strategy requires the coordinated involvement of local authorities, private partners, organised society and communities [127].

Decreasing human-vector contact and the use of public health material have been widely used in endemic areas in Europe, such as Italy. The use of irradiated or genetically modified mosquitoes which are still under development are methods that may be used in the future to complement conventional methods. Additional control methods which may be applied in the future include Wolbachia infection to block transmission of dengue virus and chikungunya virus, and the introduction of natural predators [34]. Personal protective measures to reduce the risk of mosquito bites include the use of mosquito bed nets (preferably insecticide-treated nets), sleeping or resting in screened or air-conditioned rooms, the wearing of clothes that cover most of the body, and the use of mosquito repellent in accordance with the instructions indicated on the product label.

Existing public health awareness and education materials

  • ECDC also provides information on dengue, chikungunya, yellow fever and Zika virus.
  • The ECDC provides updated vector distribution maps and step-by-step web guidelines for the surveillance of invasive mosquitoes.
  • The CDC provides advice for travellers on protection against mosquitoes, ticks and other arthropods.
  • The National travel health network and centre provides information on how to avoid insect bites (including mosquito bites).
  • The Regional Committee for Europe has endorsed at his 63rd session, September 2013, a ‘Regional framework for surveillance and control of invasive mosquito vectors and re-emerging vector-borne diseases 2014–2020’ [report(link is external)] [resolution(link is external)

Key areas of uncertainty 

Although it is not clear how significant Ae. albopictus will be in disease transmission across Europe, the ability of Ae. albopictus to adapt to new environments, its predicted spread and establishment in Europe and its confirmed involvement in disease transmission cycles makes the surveillance and control of this species hugely important. 

Footnote

*Vector competence is the physiological ability of a mosquito to become infected with and transmit a pathogen, and is typically assessed in laboratory studies. In nature, transmission of a pathogen by vectors is dependent not only on vector competence but also on factors describing the intensity of interaction between the vector, the pathogen and the host in the local environment. Therefore, vector and host densities, geographic distribution, longevity, dispersal and feeding preferences have to be considered to determine the vectorial capacity of a vector population and its role in transmission

Read more

Reverse identification key for mosquito species

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Source: European Center Disease Control (ECDC)

Invasive mosquitoes colonising Europe – what can we do?

The Asian Tiger, Asian Bush and Yellow Fever mosquitos have made themselves at home in Europe throughout the last years, bringing with them some of the more exotic diseases, rarely seen in the EU before.

Are they a considerable threat to our health? What can we do to keep safe from the diseases they may spread?

Watch the animation:

The buzzing problem – invasive mosquitos colonising Europe

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Source: European Center Disease Control (ECDC)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

ALLARME INQUINAMENTO PLASTICA NEL MONDO

PLASTIC POLLUTION ALARM IN THE WORLD

https://hubspot.greenpeace.it/allarme-inquinamento-plastica-contact.firstname-cè-bisogno-del-tuo-aiuto

ALESSIO, subiamo un inquinamento invisibile, ma allo stesso tempo pericoloso per l’ambiente e per le persone. È quello delle microplastiche.

Aiutaci a fermare i responsabili! 

L’ultima terribile notizia: alcune settimane fa in Spagna si è verificato un vero e proprio disastro ambientale. Sulle coste della Galizia milioni di granuli di plastica (pellet) hanno contaminato l’ecosistema marino e gran parte delle spiagge.

Questa catastrofe si è verificata quando la nave Toconao, della Maersk, ha perso 6 container al largo di Viana do Castelo, in acque portoghesi. Un evento disastroso, una fuoriuscita totale di 25.000 kg di pellet di plastica che hanno raggiunto e inquinato l’intera costa. Tantissime persone si sono attivate per cercare di ripulire le spiagge, come i nostri volontari di Greenpeace Spagna

E il nostro mare come è messo? Le nostre spedizioni nel Mar Tirreno hanno dimostrato che l’inquinamento da plastica raggiunge livelli fino a 300 mila particelle per chilometro quadrato. La fauna ittica ne è contaminata tant’è che abbiamo riscontrato la presenza di microplastiche nel 25%-30% delle specie di pesci e invertebrati, molti dei quali arrivano sulle nostre tavole.

ALESSIO, la plastica è ovunque: nemmeno le nostre montagne sono al sicuro.

È quello che abbiamo scoperto sui ghiacciai italiani. Durante la nostra spedizione insieme al Comitato Glaciologico Italiano abbiamo scoperto che l’80% dei campioni prelevati sul Ghiacciaio dei Forni e il 60% di quelli raccolti sul Ghiacciaio del Miage era contaminato da microplastiche

Se siamo circondati letteralmente dalle microplastiche, allora dobbiamo chiederci: quali rischi corriamo? Le microscopiche sono particelle invisibili che finiscono nei nostri organi: nel fegato, nei reni, nell’intestino, nella placenta e nel sangue con il rischio di problemi metabolici, infiammazioni e danni al sistema immunitario e neurologico. 

Dobbiamo fermare subito le aziende che fanno profitto inquinando e scaricando i costi sull’ambiente e sulla salute di animali e persone. Aiutaci in questa battaglia!

Ma da dove arrivano le microplastiche?

Possono essere generate dalla frammentazione dei prodotti in decomposizione, come bottiglie di plastica e altri imballaggi e contenitori di uso comune. Si tratta di prodotti progettati da aziende che continuano ad immettere nel mercato articoli usa-e-getta che inquinano i mari e altri ambienti remoti. 

ALESSIO, dobbiamo fermare le aziende che fanno profitto inquinando e scaricando i costi sull’ambiente e sulla salute di animali e persone! 

Scegli come sostenere le nostre attività!

Con la tua donazione ci consentirai di fare ricerca, di intervenire in casi di emergenza e fare pressione su aziende e spingere i governi ad definire un trattato globale contro la plastica che, oltre a essere legalmente vincolante, riduca drasticamente la produzione di plastica usa-e-getta!

Questa battaglia si può vincere, ma non possiamo fermarci ora, altrimenti la daremo vinta a chi crede che con timidi impegni di facciata si possa mettere a tacere la coscienza dei cittadini. ALESSIO, dai forza alla nostra battaglia! 

Solo con regole ambiziose possiamo fare in modo che l’era della plastica resti solo un brutto ricordo!

Giuseppe Ungherese
Responsabile Campagna Inquinamento
Greenpeace Italia
 

Non accettiamo un centesimo da parte di governi, partiti politici, aziende.
Quello che facciamo è possibile solo grazie al contributo delle persone come te.

English translate

ALESSIO, we suffer from invisible pollution, but at the same time dangerous for the environment and for people. It’s that of microplastics.

Help us stop those responsible!

The latest terrible news: a real environmental disaster occurred in Spain a few weeks ago. On the coasts of Galicia, millions of plastic granules (pellets) have contaminated the marine ecosystem and most of the beaches.

This catastrophe occurred when the Maersk ship Toconao lost 6 containers off the coast of Viana do Castelo, in Portuguese waters. A disastrous event, a total leak of 25,000 kg of plastic pellets which reached and polluted the entire coast. Many people have taken action to try to clean up the beaches, like our volunteers from Greenpeace Spain.

And how is our sea? Our expeditions in the Tyrrhenian Sea have shown that plastic pollution reaches levels of up to 300 thousand particles per square kilometre. The fish fauna is contaminated by it, so much so that we have found the presence of microplastics in 25%-30% of fish and invertebrate species, many of which reach our tables.

ALESSIO, plastic is everywhere: not even our mountains are safe.

This is what we discovered on Italian glaciers. During our expedition together with the Italian Glaciological Committee we discovered that 80% of the samples taken on the Forni Glacier and 60% of those collected on the Miage Glacier were contaminated with microplastics!

If we are literally surrounded by microplastics, then we need to ask ourselves: What risks do we run? Microscopic particles are invisible particles that end up in our organs: in the liver, kidneys, intestines, placenta and blood with the risk of metabolic problems, inflammation and damage to the immune and neurological system.

We must immediately stop companies that make profit by polluting and passing the costs on to the environment and the health of animals and people. Help us in this battle!

But where do microplastics come from?

They can be generated by the fragmentation of decomposing products, such as plastic bottles and other commonly used packaging and containers. These are products designed by companies that continue to place on the market disposable items that pollute the seas and other remote environments.

ALESSIO, we must stop companies that make profit by polluting and passing the costs on to the environment and the health of animals and people!

With your donation you will allow us to carry out research, intervene in emergency cases and put pressure on companies and push governments to define a global treaty against plastic which, in addition to being legally binding, drastically reduces the production of disposable plastic -throw!

This battle can be won, but we cannot stop now, otherwise we will give it to those who believe that the consciences of citizens can be silenced with timid cosmetic commitments. ALESSIO, give strength to our battle!

Only with ambitious rules can we ensure that the plastic era remains just a bad memory!

We don’t accept a cent from governments, political parties, companies.
What we do is only possible thanks to the contribution of people like you.

Microplastiche: cosa sono e quali danni provocano a salute e ambiente

Fiorella Vasta 11 Febbraio 2024 18:00

Ovunque le cerchi, le trovi: stiamo parlando delle microplastiche, microscopici pezzettini di plastica che galleggiano nei mari e si accumulano nel suolo e nell’aria. Ma cosa sono esattamente? E qual è l’impatto di queste minuscole particelle sull’ambiente e sulla nostra salute?

https://www.greenstyle.it/microplastiche-cosa-sono-346074.html

Indice

  1. Cosa sono le microplastiche?
    1. Di cosa sono fatte le microplastiche?
  2. Da dove vengono le microplastiche?
    1. Microplastiche primarie
    2. Microplastiche secondarie
  3. Dove si possono trovare le microplastiche?
  4. Quali sono le conseguenze sull’ambiente e sugli esseri viventi delle microplastiche?
    1. Danni da microplastica: la plasticosi
    2. Quali sono gli effetti delle microplastiche sulla salute?
  5. Come risolvere il problema delle microplastiche?
    1. Il contributo della scienza

Le microplastiche stanno invadendo il nostro pianeta, si accumulano nei mari, nel sottosuolo, e le troviamo persino nel nostro piatto. E’ un po’ inquietante, non trovi? Ma cosa sono esattamente queste “microplastiche”? E quante ne mangiamo in media ogni giorno? Quando parliamo di inquinamento, ci soffermiamo spesso su questioni ampiamente conosciute, come l’invasione della plastica, l’emissione di gas inquinanti, lo smog che aleggia nelle strade e dentro le nostre case, o la gravissima perdita di biodiversità e di habitat naturali che coinvolge gli ecosistemi di tutto il mondo.

Un argomento un po’ meno noto e discusso è, probabilmente, quello delle microplastiche. Eppure queste minuscole particelle, spesso frutto del processo di decomposizione e degradazione di rifiuti plastici in pezzetti via via sempre più piccoli, potrebbe mettere in serio pericolo la nostra salute. Ma in che modo?

In questo spazio dedicato all’ecologia e all’ambiente, vogliamo scoprire cosa sono le microplastiche, quali danni possono provocare all’ambiente e alla salute, e capiremo come e perché finiscono nel nostro piatto.

Cosa sono le microplastiche?

Per poter comprendere la portata del problema provocato dalle microplastiche, bisogna prima capire di che tipo di materiale stiamo parlando.

Come si può già evincere dal nome, con questo termine si indicano dei minuscoli pezzettini di plastica, frammenti che hanno dimensioni letteralmente microscopiche. La loro grandezza non supera i 5 millimetri, e spesso sono anche molto più piccole di un millimetro. I pezzetti più minuscoli non sono altro che dei residui di plastica praticamente invisibili a occhio nudo (la grandezza è solitamente ben inferiore a 1 micrometro), una categoria di inquinanti comunemente nota con il nome di “nanoplastiche“, frutto della progressiva scomposizione delle microplastiche.

Queste microparticelle si presentano come materiali dalla consistenza dura, dalla forma di granelli o fibre (specialmente le microplastiche provenienti dai tessuti sintetici). Ma attenzione: pur essendo piccolissime e apparentemente innocue, le microplastiche rappresentano una minaccia potenzialmente enorme non solo per l’ambiente, ma anche per gli animali e per noi esseri umani.

Di cosa sono fatte le microplastiche?

Questi minuscoli granelli sono spesso il frutto della decomposizione di materiali plastici, ma possono essere riversati nei mari e nell’ambiente anche in maniera “diretta”, attraverso le decine di prodotti che utilizziamo quotidianamente, come ad esempio gli scrub e le maschere per il viso, shampoo, dentifrici, detersivi per il bucato, indumenti realizzati con tessuti sintetici (spesso di scarsa qualità) e prodotti cosmetici.

Dal momento che sono composte da materiali non biodegradabili, le piccole particelle in questione rimangono nell’ambiente anche per centinaia o persino per migliaia di anni, e in breve tempo vanno a finire nel nostro organismo.

Insomma, in un mondo letteralmente inondato dalla plastica, non è difficile immaginare la portata e la gravità di questa forma di inquinamento.

Da dove vengono le microplastiche?

Il termine “microplastiche” ha fatto capolino nel mondo scientifico esattamente 20 anni fa, nel 2004, grazie al biologo marino Richard Thompson, membro dell’Università di Plymouth in Inghilterra. Il ricercatore e il suo team di scienziati scoprirono che nell’ambiente vi sono dei microscopici detriti di plastica, definiti per la prima volta con il nome di “microplastiche”.

Da quel preciso momento, le ricerche e gli studi in merito all’origine, alla diffusione e all’impatto di tali particelle si sono moltiplicati, e quello che ne è emerso è un quadro ben poco piacevole.

Tornando alla provenienza di queste sostanze, solitamente si distinguono le microplastiche primarie da quelle secondarie. Vediamo quali sono le differenze.

Microplastiche primarie

Le microplastiche primarie sono quelle particelle prodotte volontariamente dall’uomo. Esse vengono spesso aggiunte ai prodotti per migliorarne la consistenza o l’efficacia, e possono essere presenti in prodotti di uso comune, come ad esempio:

  • Detersivi
  • Ammorbidenti
  • Fertilizzanti
  • Creme solari
  • Cosmetici
  • Prodotti per l’igiene personale e la cura del corpo
  • Vernici e pitture
  • Capi sintetici
  • Materiali da costruzione.

Questi sono solo alcuni esempi delle possibili fonti di microplastiche primarie, ma la lista potrebbe continuare davvero all’infinito. Persino i teli per la pacciamatura regolarmente impiegati nel settore agricolo possono rilasciare microplastiche nel terreno, specialmente quando questi non vengono rimossi e smaltiti come dovrebbero.

Si stima che le microplastiche di origine primaria contribuiscano all’accumulo del 15-30% delle particelle presenti negli oceani e nei mari.

Microplastiche secondarie

Le microplastiche secondarie sono quelle più diffuse a livello globale. Esse rappresentano, infatti, circa il 60-80% del totale di microplastiche nel mondo.

Questa tipologia di microplastica deriva dal processo di degradazione di oggetti di plastica che vengono spesso dispersi nell’ambiente, a cominciare dalle onnipresenti bottiglie e bottigliette, continuando con le buste di plastica, le reti da pesca e un altro numero infinito di oggetti. Questi piccolissimi frammenti possono provenire anche da pneumatici, parafango e da altri accessori e componenti delle macchine.

Ma cosa succederebbe se tutti questi piccolissimi pezzettini di plastica finissero nel nostro piatto? Purtroppo questo è ciò che accade tutti i giorni.

Dove si possono trovare le microplastiche?

Sappiamo adesso da dove vengono le microplastiche: ma dove vanno a finire? Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Proceedings of the National Academy of Sciences“, dalle profondità dei mari fino alle vette delle montagne più alte, la microplastica – capace di circolare liberamente trasportata dalle correnti – è presente in tutti gli angoli della nostra Terra.

Le aree più colpite sono l’Europa, il Sudamerica, l’Asia, l’Australia e gli Stati Uniti, ma la presenza di questi minuscoli inquinanti è davvero ubiquitaria.

I piccolissimi frammenti di plastica si accumulano nei mari e negli oceani (in questi ecosistemi si contano ben 14 milioni di tonnellate di microplastiche), ma possiamo trovarli praticamente in tutti gli ecosistemi, sia quelli marini che quelli terrestri. Micro e nanoplastiche sono presenti anche nel vento, che trasportandole le fa approdare in zone del mondo che, almeno in teoria, dovrebbero essere incontaminate.

Chi pensa che le microplastiche si trovino solo in pesci e molluschi, dunque, dovrà purtroppo ricredersi. Concretamente parlando, infatti, sono state rinvenute tracce e particelle nell’organismo di centinaia di animali, nell’acqua potabile (inclusa quella del rubinetto), nel sale, nella birra, nel miele, nei crostacei e nei molluschi, nel pollame e in numerosissimi prodotti che fanno parte della nostra alimentazione quotidiana.

Ciò vuol dire che, presumibilmente, tutti i giorni ingeriamo la nostra buona dose di microplastiche.

Al momento non sappiamo quali potrebbero essere le reali conseguenze di tutto questo, sia a breve che a lungo termine. Quel che sappiamo, però, è che a nessuno piace l’idea di portare in tavola dei pezzettini di plastica, per quanto piccoli questi possano essere.

Quali sono le conseguenze sull’ambiente e sugli esseri viventi delle microplastiche?

Dal punto di vista ambientale, l’inquinamento da microplastiche comporta delle conseguenze praticamente per tutti gli organismi e per tutte le creature viventi.

Queste piccole particelle si accumulano soprattutto (ma non solo) nei mari e negli oceani, dove vengono spesso ingerite da piccoli animali, i quali le scambiano per plancton, il loro nutrimento essenziale.

A loro volta, in base allo schema della “catena alimentare”, questi piccoli animali verranno ingeriti da animali via via sempre più grandi, e una volta giunti alla cima della catena, finiranno con estrema facilità nel nostro piatto. Tra gli animali maggiormente contaminati da microplastiche, il triste primato spetta soprattutto a molluschi e crostacei.

Danni da microplastica: la plasticosi

Come dicevamo, però, non sono “solo” gli animali marini a correre dei rischi. Il pericolo riguarda anche altri tipi di animali. Per fare un esempio, nel 2023 è stata diagnosticata una nuova malattia a degli uccelli marini e in altri animali selvatici, ovvero la “plasticosi”, che comporta la formazione di cicatrici lungo tutto il tratto digerente.

Tali cicatrici sono causate, naturalmente, dall’ingestione di piccoli frammenti di plastica, che accumulandosi nell’organismo causano infiammazione e irritazione cronica, con conseguenti danni a organi e tessuti, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza.

Quali sono gli effetti delle microplastiche sulla salute?

Allo stato attuale non sappiamo ancora con certezza quali possano essere le effettive conseguenze della diffusione di microplastiche per la nostra salute. Sappiamo però che questo ingrediente indesiderato si trova nei nostri piatti più spesso di quanto potremmo pensare.

Per farla semplice: ogni anno mangiamo particelle di microplastiche, in quantità non così irrisorie quanto vorremmo. Secondo alcuni studi, ingeriamo circa 250 grammi all’anno di microplastiche, e non sappiamo ancora quale sia la quantità “accettabile” per il nostro organismo.

Di certo non ci siamo evoluti per digerire la plastica, e questo dovrebbe essere un dato di fatto. Per di più, gran parte dei materiali plastici che rilasciano microplastiche nell’ambiente sono stati trattati con sostanze chimiche ben poco benefiche, come coloranti e altre sostanze, e ciò non può che sollevare ulteriori perplessità e preoccupazioni in merito agli effetti dell’ingestione di questi materiali.

Quali rischi per la salute?

Attualmente sono in corso svariati studi che mirano a spiegare perché le microplastiche sono pericolose per la salute dell’uomo. Nel frattempo, ricordiamo che a lungo andare queste micro-particelle si accumulano nel corpo, nelle vie respiratorie, e sono già state rinvenute in dei campioni di sangue e di feci degli esseri umani. Le microplastiche possono accumularsi negli organi e nei tessuti, e sono state rinvenute persino della placenta e nei tessuti cardiaci.

Rimane da capire se la presenza di tali micro-sostanze possa in qualche modo influenzare il rischio di sviluppare neoplasie o malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson o la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Dal momento che è la dose a fare il veleno, presumibilmente il nostro organismo potrebbe “tollerare” una certa quantità di microplastiche, ma a livelli superiori rispetto a una certa soglia (è ancora da stabilire se esista effettivamente questa “soglia”), non sappiamo ancora quali potrebbero essere gli effetti sulla salute.

Quel che è certo e inequivocabile è che, ancora una volta, noi esseri umani stiamo intossicando il nostro corpo a causa del nostro scarso rispetto nei confronti dell’ambiente.

Come risolvere il problema delle microplastiche?

Dai mari alle montagne, dall’acqua del rubinetto fino al merluzzo che abbiamo gustato proprio oggi a pranzo, le microplastiche sono presenti in maniera invadente e capillare.

Conoscere le cause di questa tipologia di inquinamento dovrebbe rappresentare già un ottimo inizio per riuscire a risolverlo. Eppure, la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga e cosparsa di rifiuti e sostanze nocive e inquinanti.

Per poter ridurre la portata di questo problema, è necessario uno sforzo da parte di tutti. Non dobbiamo aspettare che siano gli altri (le aziende, i governi, il vicino di casa) a fare qualcosa di concreto, ma dobbiamo impegnarci in prima persona. In che modo? Migliorando le nostre abitudini quotidiane. Per ridurre l’inquinamento da microplastiche possiamo cominciare con questi semplici gesti quotidiani:

  • Utilizzare detersivi ecologici per lavare la biancheria
  • Prediligere indumenti realizzati con tessuti sostenibili e naturali, come cotone, canapa o bambù
  • Avviare lavaggi a basse temperature per i capi sintetici, impostando la lavatrice a cicli delicati e con bassi giri di centrifuga
  • Abbracciare uno stile di vita plastic free, riducendo la produzione di rifiuti di plastica, scegliendo prodotti con imballaggi più eco-sostenibili, come il vetro o il cartone riciclato
  • Riutilizzare i rifiuti di plastica per dar vita a dei progetti creativi ed eco-friendly
  • Non acquistare i capi di abbigliamento usa e getta (tipici del cosiddetto “fast fashion“), spesso realizzati con tessuti di bassa qualità, perlopiù sintetici
  • Riciclare correttamente i rifiuti di plastica, evitando di disperdere sacchetti, bottiglie e flaconi nell’ambiente.

Le aziende, invece, devono evitare di aggiungere microplastiche nei cosmetici e nei prodotti per la pulizia della casa. Le lavatrici dovrebbero essere dotate di appositi filtri in grado di impedire il rilascio delle microfibre e, di conseguenza, di microplastiche in mare. I produttori di detersivi, invece, dovrebbero proporre dei saponi meno aggressivi ed efficaci anche alle basse temperature.

Come consumatori, abbiamo la possibilità di scegliere e premiare le aziende più virtuose, quelle che si impegnano concretamente nel ridurre il proprio impatto sull’ambiente.

Il contributo della scienza

Scienziati ed esperti, infine, si stanno impegnando attivamente per progettare dei metodi in grado di accelerare il processo di decomposizione della plastica.

Il tempo di degradazione di questo materiale, infatti, può andare dalle centinaia fino a un migliaio di anni. Di conseguenza, è essenziale riuscire a trovare soluzioni, ad esempio basate sull’utilizzo di enzimi e batteri, per decomporre rapidamente la plastica che si è già accumulata nell’ambiente.

Fonti

FonteGuardian

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Microplastics: what they are and what damage they cause to health and the environment

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

L’EUROPA A 30 ALL’ORA: DOVE E’ GIA’ IN VIGORE IL LIMITE

EUROPE AT 30 KM/H: WHERE IT’S LIMIT IN FORCE

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/infografica/l-europa-a-30-all-ora-dove-e-gia-in-vigore-il-limite_76067510-202402k.shtml

La forza del limite di velocità a 30 km/h

https://fiabitalia.it/limite-velocita-30/

Anche FIAB entra nella lista delle tante organizzazioni europee che aderiscono all’iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h. Fiab comuque sostiene questa campagna da tempo, poichè la Federazione Europea di cui fa parte, la ECF (European Cyclist Federation) vi ha aderito sin dall’inizio.

L’adesione diretta di FIAB per rinforzare anche in Italia una campagna importante non solo per i ciclisti ma per tutti gli utenti della strada e per la qualità della vita dei cittadini. Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti.

E’ dimostrato che i 30 km/h funzionano in teoria e in pratica. Facciamo sì che i limiti di velocità nelle nostre città diventino una priorità a livello europeo.  La ECF (European Cyclist Federation) ha sostenuto e continuerà a sostenere l’ iniziativa dei cittadini europei per i 30 km/h.  L’iniziativa vuole impegnare la Commissione Europea a verificare la possibilità di istituire il limite di 30 km/h come velocità standard nelle aree urbane.

Sono molte le ragioni per cui stiamo facendo ciò, sostenendo questo progetto insieme a molte altre organizzazioni in Europa.

Attualmente in genere i limiti di velocità stabiliti nelle aree urbane europee sono di 50 km/h, nonostante in molti casi i limiti siano inferiori. Da una recente analisi sugli incidenti mortali di ciclisti a Londra risulta che praticamente tutti gli incidenti mortali si sono verificati su strade con un limite di velocità di 48 km/h (30 miglie all’ora) o maggiore. La velocità eccessiva costituisce una causa diretta in un quinto circa di tutti gli incidenti ed è uno dei principali fattori che contribuiscono ad un terzo di tutti i morti sulla strada.

E’ stata calcolata la probabilità di incidente mortale se si viene investiti da un’auto a velocità differenti:

  • Se è investito a 40 miglie all’ora (64,4 km/h), il 90 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 30 miglie all’ora, (48,3 km/h), il 20 per cento dei pedoni viene ucciso
  • Se è investito a 20 miglie all’ora, (32 km/h), il 3 per cento dei pedoni viene ucciso

I 30 km/h funzionano

Uno studio norvegese ha dimostrato che una riduzione del 10% della velocità media del traffico produce una riduzione del 37,8% del numero delle vittime di incidente.

Secondo il British Medical Journal l’introduzione di zone a 20 miglie all’ora (32 km/h) su un periodo di vent’anni (1986 – 2006) ha migliorato in modo significativo la sicurezza stradale per tutti gli utenti di tutte le modalità di trasporto ed età. In particolare, per quanto riguarda i bambini, il dato è che il numero di bambini sotto i 15 anni rimasto ucciso o ferito gravemente si è ridotto della metà nelle aree in cui il limite di velocità è ridotto a 20 miglie all’ora (32 km/h).

Se guardiamo all’esperienza di una città, Graz ne è l’esempio perfetto.  Graz è stata la prima città in Europa ad introdurre una zona 30 a km/h per tutta l’area urbana. E’ stato moderato il traffico per circa 800 km su un totale di 1000 km di strade urbane. Con quali risultati? Dopo i primi 6 mesi c’è stata una riduzione del 24% degli incidenti gravi.

Ma è interessante anche il fatto che in città si sia verificato un incremento della mobilità ciclabile e delle altre forme di trasporto attivo.

L’attuazione convinta del limite di 30 km/h è stata importante per far funzionare il progetto, e sembra aver prodotto risultati positivi senza dover ricorrere a infrastrutture costose. Se le strade sono libere da un traffico veloce, ciò incoraggia più ciclisti a inforcare la propria bici, e allo stesso tempo produce un ambiente più sicuro. La percezione del rischio si è ridotta quanto il rischio stesso: tutti e due sono elementi essenziali per la promozione della mobilità ciclabile.

Sarà sempre più importante trovare modi nuovi e migliori per offrire ai cittadini città più vivibili e sostenibili e ambienti vitali. I nostri sistemi di trasporto giocano e giocheranno un ruolo chiave. Proprio i nostri sistemi di trasporto costituiscono la principale minaccia alle nostre vite nelle aree urbane. Più del crimine o degli incendi o degli incidenti industriali, eppure è dai nostri sistemi di trasporto che dipendiamo per la vita quotidiana.

I 30 km/h possono essere uno strumento utile per affrontare il traffico motorizzato nelle aree urbane e residenziali. Non abbiamo bisogno di andare più veloci di 30 km/h, e dobbiamo valorizzare le forme attive di mobilità per combattere i problemi di salute, le questioni di sicurezza stradale, la congestione e rendere più piacevoli e vivibili i luoghi in cui si cresce e si vive.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Italiani favorevoli al limite dei 30 km/h in città. Appello di FIAB a Governo e maggioranza: ve lo chiedono i cittadini

https://fiabitalia.it/italiani-favorevoli-al-limite-dei-30-km-h-in-citta-appello-di-fiab-a-governo-e-maggioranza-ve-lo-chiedono-i-cittadini/

Un italiano su due è favorevole all’introduzione del limite a 30 km/h sulle strade urbane. Un dato più che incoraggiante per FIAB che su questa proposta politica sta svolgendo un costante lavoro di advocacy nelle istituzioni, a tutti i livelli. Secondo una recente rilevazione Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 51% di un campione rappresentativo della popolazione italiana è a favore di una misura costitutiva delle città 30: ridurre il limite massimo di velocità. La Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta ribadisce che le politiche di moderazione del traffico sommate agli incentivi alla mobilità attiva (più ciclabili e trasporto pubblico locale potenziato) sono strumenti per ridurre drasticamente il numero di collisioni letali e di decessi che purtroppo rappresentano ancora un’emergenza nazionale.

Il sondaggio

Il sondaggio in questione pubblicato da Sky TG24 ha toccato numerose tematiche di transizione ecologica e di mobilità. Una delle città portate ad esempio e che promette di fare scuola in Italia è Bologna, divenuta da pochi giorni città 30 sul modello di altre realtà europee come Parigi. Il sondaggio evidenzia che, tra coloro che si sono espressi a favore, ci sono cittadine e cittadini di ogni orientamento politico, mostrando dunque che l’Italia è pronta a un cambio di passo concreto per aumentare la sicurezza stradale nelle nostre città. La città 30 non è un tema ideologico o divisivo, ma rappresenta un miglioramento della qualità della vita sotto tutti i punti di vista. L’Italia, lo ricordiamo, detiene il primato in Europa per numero di morti in ambito urbano, dove avviene il 70% degli incidenti.

L’appello di FIAB al governo

«Le statistiche dimostrano chiaramente che la prima causa della strage stradale è la velocità in ambito urbano e questo sondaggio certifica che gli italiani lo hanno compreso.  La vita è un diritto, la velocità no, e le cittadine e i cittadini ne sono finalmente consapevoli – afferma Alessandro Tursi, presidente di FIAB Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta che aggiunge -. Ci appelliamo al Governo, alla premier Meloni e al ministro Salvini, oltre che alla maggioranza tutta, affinché ne prendano atto e agiscano per portare a 30 km/h il limite di velocità in città, tutelando così il diritto alla vita e alla salute delle persone».

FIAB ricorda alle istituzioni come la “moderazione della velocità” sia la grande assente dal disegno di legge Salvini di modifica del Codice della Strada. Aggiunge il presidente Tursi: «Rinnoviamo la richiesta di stralciare i dieci punti che colpiscono la mobilità sostenibile, tra cui le limitazioni alle corsie ciclabili, alle ZTL e all’impiego degli autovelox, tutte misure che aggraverebbero la strage stradale anziché contrastarla. In questa direzione FIAB mette come sempre a disposizione del Paese e delle istituzioni, in maniera costruttiva e collaborativa, la propria esperienza e competenza».

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km all’ora, calmare il traffico, calmare il clima

https://fiabitalia.it/30-km-calmare-traffico/

ECF, la Federazione Europea dei Ciclisti alla quale FIAB aderisce, durante la settimana della mobilità sostenibile rilancia la campagna “velocità 30”, e sarà presente il 18 con uno stand di fronte il Parlamento Europeo. FIAB chiede agli italiani di firmare, con un proprio volantino.

Un limite di 30 chilometri all’ora renderebbe le nostre città molto più sicure, riducendo anche le emissioni di carbonio. E di certo non ti farebbe arrivare in ritardo al lavoro.

Essere investiti da un’auto che viaggia a 50 chilometri all’ora corrisponde alla caduta dal terzo piano di un edificio: solo il 50% di probabilità di sopravvivere all’impatto. Invece, se investiti da una che corre a 30 km, le probabilità di sopravvivenza sono del 95%. Eppure i 50 km/h sono il limite di velocità generale nelle città europee, con solo alcune zone o strade che fanno eccezione.

Inutile dire che tu, se devi saltare, scegli il primo piano.

Questa potrebbe essere una ragione sufficiente per ridurre il limite di velocità generale in città a 30 chilometri all’ora, ma c’è di più. In realtà, andando a basse velocità si potrebbe anche contribuire al risparmio di CO2 e di altre emissioni.

Un gruppo di ricercatori della “Rete Globale delle Scienze e Tecnologie Ambientali”, guidati da a Jesus Casanova, ha scoperto che, la riduzione del limite di velocità a 30 km/h sulle strade urbane, non solo non ha alcun impatto sul tempo necessario per completare un viaggio in auto, ma riduce anche le emissioni nocive delle auto, perché meno di carburante viene bruciato.

I ricercatori concludono che la riduzione del limite di velocità non è solo un modo efficiente per rendere più sicuri i pedoni, ma anche per aiutare l’ambiente.

Il limite di 30 km/h è una delle misure promosse dalla campagna Settimana europea della mobilità, con il motto “L’aria pulita: è la tua mossa”. Per ridurre le emissioni e aumentare il numero di persone in bicicletta, quindi meno in auto, l’opzione 30Km/h sembra quasi un trucco di magia.

ECF ha condotto una lunga campagna per i limiti di velocità più bassi in città e sostiene la campagna europea  per 30 chilometri all’ora come limite di velocità in città. Una modifica del limite di velocità “di default” è molto più conveniente per le città di attuare zone 30, in quanto non necessita di alcuna infrastruttura, lavori e segnaletica .

Nel corso della settimana della mobilità (16-22 Settembre), ECF farà altre iniziative per convincere i cittadini a firmare la petizione e promuovere il limite di velocità a 30 km/h.

Uno stand di fronte al Parlamento europeo a Bruxelles, in occasione della manifestazione Sustainable 2Wheels il 18 settembre – per portare le nostre istanze ai  politici giusto davanti al loro posto di lavoro.

Articolo tratto dal sito ECF

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

Perchè sosteniamo il limite di velocità di 30 km/h

La European Cyclists Federation, di cui FIAB onlus fa parte, sostiene attivamente l’introduzione del limite di velocità di 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

Il limite 30 km/h è un modo popolare a basso costo per aumentare la sicurezza, abbattere l’inquinamento e incoraggiare scelte di trasporto intelligenti. In tal modo si può migliorare  il flusso del traffico e diminuire la congestione nelle città, dando ai cittadini la possibilità di sentirsi più sicuri negli spostamenti.

ECF vuole ottenere questi benefici per tutta l’Europa. 30 km/h dovrebbero diventare lo standard della velocità nei villaggi, nelle cittadine e nelle grandi città, con la possibilità per le autorità locali di decidere sulle eventuali esenzioni.

Per questa ragione ECF chiederà alla Commissione Europea di mettere all’ordine del giorno la proposta di introduzione dei limiti 30 km/h in tutti gli stati facenti parte dell’Unione.

ECF sostiene la European Citizen’s Initiative (Iniziativa dei Cittadini Europei o ICE), un’affascinante strumento innovativo previsto dal Trattato di Lisbona. Verrà fatto  ogni sforzo per raccogliere il milione e più di firme necessarie entro un anno provenienti da  almeno sette stati membri della EU.

Perchè sostenere questa iniziativa dei 30 km/h ?

Rod King, ciclista inglese convinto e attivista nella campagna per la sicurezza stradale propone alcune considerazioni a favore dei limiti 30.

Ho iniziato a fare compagna per i limiti 20 e 30 km/h dopo una gita in bicicletta a Hilden, una città tedesca nel Nord-Reno-Westfalia. Lì, grazie all’introduzione nel 1991 del limite 30 su quasi tutte le strade della città sono riusciti ad ottenere che il 23% degli spostamenti avvenissero in bicicletta.

Diminuire la velocità relativa tra automobili e biciclette fu ritenuto come il modo migliore per rendere più sicuro e più attraente l’uso della bici. Per un ciclista che procede a 22 km/h la differenza di velocità tra i 40km/h di un auto è di 18 km/h, che scende a 8 km/h se l’auto procede a 30 km/h. Ciò significa più del doppio del tempo e della distanza per evitarsi l’un l’altro.

Strade Vivibili

Ci sono però ben altre ragioni per cui la velocità 30 km/h in strade urbane e residenziali è così importante. Una tale misura ha effetti benefici, infatti, sia sui pedoni che sugli automobilisti oltre che sui ciclisti. E’ una misura che si riflette in maniera positiva sulla maggior parte della popolazione e non solo su una minoranza di ciclisti. E’ una misura che può migliorare la vivibilità delle strade con benefici in particolare per i bambini e gli anziani, che magari non hanno la prontezza mentale o l’agilità per giudicare la velocità dei veicoli e quindi per evitarli.

E’ anche una misura che fa riflettere sul modo di concepire le strade, sulla condivisione degli spazi pubblici per il bene di tutta la comunità. Pone la questione dei vantaggi di una velocità di 40 km/h+ in strade residenziali e urbane, contrapponendoli a quelli che ne derivano diminuendo tale velocità con la possibilità di camminare e di pedalare con un rischio minore e di avere strade meno rumorose, meno inquinate e una qualità di vita molto migliore.

Benefici per tutti

Naturalmente ridurre la velocità dei veicoli richiede un cambiamento di comportamento e questo può accadere solo quando porta dei vantaggi a coloro che devono operare questo cambiamento.

Il conducente è anche il padre del bambino che vuole andare a scuola a piedi o in bici o è la figlia della persona anziana che vuole poter continuare a recarsi a piedi nei negozi che è abituato a visitare. Si tratta di vedere il conducente come un cittadino che crea una società migliore, avendo capito quali sono i vantaggi che guidare più piano porta all’intera comunità.

Ancora più importante è il fatto che concentrarsi su un’unica, ampiamente benefica iniziativa, unisce ciclisti, pedoni, bambini, anziani, disabili e gruppi che lavorano per il benessere della comunità, tutti insieme, a sostegno di un cambiamento di comportamento. Diventa il catalizzatore per un fondamentale riesame di come condividere lo spazio pubblico. Naturalmente questo non esclude il bisogno di strutture adeguate per la bici, ma fornisce un fondamento per politiche di trasporto più sicure ed eque nelle nostre città.

Ma i benefici universali del limite 30 km/h e il desiderio di cambiare vanno al di là di quelli del singolo paese e possono essere allargati ad un intero continente. Questo è lo scopo della European Cicitizen’s Initiative, che vuole raccogliere e mostrare il sostegno di tutta l’Europa. I ciclisti possono contribuire a fare la differenza non solo per se stessi, ma anche per tutta la società aderendo a questa importante iniziativa.

Fonte: Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB)

30 km/h- Alcuni esempi in Italia e in Europa

CHAMBERY, ALTA SAVOIA FRANCIA – La palma di prima città europea ad avere introdotto zone 30 va alla città francese di Chambery, comune francese di circa 60.000 abitanti nella regione del Rodano-Alpi. Le prime zone 30, poste inizialmente in una parte molto ristretta della città, risalgono al 1979. Sono state gradualmente estese e ricoprono oggi gran parte del territorio urbano. I risultati, dal punto di vista della sicurezza stradale, sono veramente entusiasmanti: se nel 1979 vi erano 453 incidenti all’anno, nel 2006 questa cifra era scesa a 32.

GRAZ, AUSTRIA Graz è una città di 250.000 abitanti, capoluogo della regione della Stiria in Austria. Quando si parla di città 30, viene spesso nominata: è stata infatti la prima a introdurre questa misura di rallentamento del traffico in tutta la superficie urbana, con l’eccezione delle strade di scorrimento. Nel 1992 si cominciò a parlare a Graz di “mobilità dolce” (sanfte Mobilität), fra i cui principi vi è una distribuzione equilibrata dei mezzi di trasporto, compatibilmente con le esigenze della società e dell’ambiente e una pianificazione dell’infrastruttura urbana con la partecipazione dei cittadini.

LONDRA, REGNO UNITO – Fra le grandi città europee che stanno introducendo misure di moderazione del traffico, Londra è una delle più attive. Negli ultimi anni, con una grande impennata a partire dal 2000, sono state introdotte più di 400 zone 30 (20 mph), coprendo ormai l’11% della rete stradale. Esse sono presenti soprattutto in strade di quartiere che presentavano una pericolosità maggiore della media. Si è scelto quasi sempre di usare l’approccio più costoso, ma più efficace, quello che prevede una totale riprogettazione della viabilità nelle zone 30, con dossi, chicane, e altre misure che impongono agli automobilisti velocità più basse.

PARIGI, FRANCIA – Data la storica competizione fra Francia e Inghilterra, Parigi non vuole essere da meno rispetto a Londra. Anche qui infatti le zone 30 sono ai primi posti nell’agenda dell’amministrazione locale. Coprono ormai il 20% del territorio cittadino e nel luglio 2013 è stato deciso di estenderle con l’annuncio di una grande espansione delle zone 30 e la creazione di 21 nuove “zone 20″, oltre alle 15 già esistenti. Le “zone 20″, dette anche “Zone di incontro”, si trovano principalmente nei dintorni delle scuole: qui pedoni e ciclisti hanno sempre la precedenza e i primi non sono obbligati a camminare solo sul marciapiede. Dopo il successo dell’esperimento compiuto nel decimo arrondissement, in cui dall’aprile 2012 alle bici è permesso girare a destra anche a semaforo rosso, questa misura è stata introdotta nel resto delle zone 30. Le zone a velocità ridotta nella capitale francese interessano 560 km di strade urbane, cifra che si traduce in ben il 37% del territorio.

BERLINO, GERMANIA – Anche a Berlino le zone 30 sono diffuse in tutta la città. Qui l’impulso sembra venire principalmente dalle preoccupazioni relative all’inquinamento ambientale: la città infatti va spesso oltre i limiti di inquinamento posti dall’Unione Europea, in particolare quello secondo il quale, facendo una media annuale delle misurazioni, in un metro cubo d’aria non ci devono essere più di 40 microgrammi di diossido d’azoto (NO2). Ma le zone 30 a Berlino non sono una novità. Esse sono state introdotte inizialmente nei dintorni di scuole e asili, e nelle zone in cui erano più frequenti gli incidenti. Oggi coprono circa l’80% delle strade secondarie, e coinvolgono in parte persino le strade principali.

AMBURGO, GERMANIA – L’esperimento che Berlino ha iniziato nel 2007, quando si è deciso di ridurre, durante le ore notturne, la velocità a 30 km/h anche in alcune strade principali, viene ripreso anche da Amburgo: nel luglio 2013 la città anseatica ha avviato la sperimentazione su una sola strada nell’ambito di un progetto che include 100 strade colpite dal problema e candidate a diventare Zone 30 notturne. In generale comunque le zone 30 sono presenti ad Amburgo fin dal 1983. Nel 2011 sono state create 50 nuove zone 30, e oggi dei 4000 chilometri di strade urbane solo in 500 si può andare a 50 km/h.

GRENOBLE, FRANCIA – A metà del 2016 nella maggior parte delle strade nella zona di Grenoble la velocità dei mezzi a
motore sarà limitata a 30 km/h. Lo hanno deciso i sindaci dei 42 comuni membri dell’area Grenoble-AlpesMétropole – in sintesi la “Metro” – impegnandosi a invertire la logica che oggi prevale nelle aree urbane, come ha sottolineato l’ecologista Yann Mongaburu, vicepresidente della “Metro”: “Il limite di 30 km/h sarà la regola, quello di 50 km/h l’eccezione”. Lo riporta il sito del quotidiano francese Le Monde.

CASERTA – Con un’ordinanza dedicata, il sindaco di Caserta, Pio del Gaudio, ha annunciato nel luglio 2013
l’immediata istituzione del limite di 30 km/h in tutte le strade urbane del capoluogo campano.

VICENZA – Mezzi a motore più lenti, bici e pedoni più sicuri. Nel centro storico di Vicenza è entrato in
vigore il limite di velocità di 30 chilometri all’ora: una “zona 30” che era stata annunciata già da qualche
tempo e che – con la posa dei segnali stradali – è diventata operativa il 30 luglio 2015.

AREZZO – Anche Arezzo rallenta: nel pieno dell’inchiesta Bikeitalia sulle città 30 e la loro importanza per la sicurezza stradale e per la promozione della mobilità ciclistica, anche l’amministrazione del Comune
toscano, dopo Caserta, ha reso noto nel luglio 2013 l’introduzione del limite di velocità a 30 km/h
all’interno della zona racchiusa dalle mura. L’obiettivo è quello di favorire la mobilità alternativa
all’automobile ed in particolare gli spostamenti in bicicletta.

TREVISO – Dopo Arezzo e Caserta, il Comune di Treviso è il terzo nel giro di pochi mesi a introdurre il limite di velocità a 30 km/h all’interno del centro urbano. Durante la presentazione del piano (nel settembre 2013), il vicesindaco Roberto Grigoletto ho sottolineato come l’estensione della zona 30 e le nuove piste ciclabili dimostrino la considerazione dell’amministrazione verso ciclisti e pedoni e che questo è solo il primo passo verso la definitiva pedonalizzazione del centro storico.

Informazioni aggiuntive, dati statistici e documenti sul tema 30km/h anche ai seguenti link:

http://fiab-onlus.it/download/04_CaseHistory_30kmh.pdf

30 km/h: 10 motivi per essere favorevoli

L’incidentalità stradale in Italia è la prima causa di morte per i giovani al di sotto dei 25 anni. In un paese a
crescita zero, la tutela dei più giovani dovrebbe essere un dovere morale imprescindibile.
Proprio il senso di pericolo che la strada ci trasmette si traduce in una forma di iper-protezione nei
confronti dei bambini che finiscono per vivere come sotto scorta e perdere ogni forma di indipendenza:
nella mobilità, nel gioco, nella fruizione degli spazi pubblici.
Ridurre la pericolosità delle strade è una condizione necessaria per fare in modo che i nostri bambini
possano tornare a fruire dello spazio pubblico muovendosi e giocando in libertà.
La riduzione della velocità nelle aree urbane non avrebbe la sola funzione di tutelare i più piccoli: portare il limite di velocità a 30 km/h può avere dei grandi vantaggi anche per tutti: ragazzi, adulti, anziani.
Ecco perché:

  1. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità significa meno incidenti
    stradali.

    Mediamente lo spazio di frenata per un’auto che procede a 50 km/h è di 30 metri. Lo spazio di frenata per un’auto che procede a 30 km/h è di soli 15 metri. Per rendersi conto di quanto questa differenza sia effettiva, basta andare a Torino nel quartiere Mirafiori Nord: qui la realizzazione di una zona 30 ha ridotto l’incidentalità del 74% e ha provocato zero incidenti gravi invece della media di 15 all’anno del periodo precedente l’introduzione del limite di 30 km/h.
  2. 30 km/h significa maggiore sicurezza perché una minore velocità comporta impatti meno
    violenti.

    Un impatto tra un’auto e un pedone a 50 km/h equivale a una caduta da 9 metri di altezza, come dal 3° piano di un palazzo, con una probabilità di morte pari al 55%. Un impatto a 30 km/h equivale, invece, a una caduta da 3,6 metri di altezza che può essere fatale “solamente” nel 5% dei casi.
  3. 30 km/h significa maggiore visuale sulla strada. “Non l’ho visto” è il commento che più spesso gli automobilisti coinvolti in incidenti stradali pronunciano. Non si tratta di una scusa o di una ricerca di un’attenuante, ma è davvero così perché la velocità tende a restringere il campo visivo: ridurre la velocità significa rendere gli automobilisti maggiormente reattivi ai piccoli inconvenienti che avvengono nelle vicinanze del veicolo.
  4. 30 km/h significa meno rumore.
    L’introduzione del limite di 30 km/h in diverse aree della città di Amburgo ha comportato una
    diminuzione del rumore, con picchi anche di 7 dbA; la diminuzione del rumore nelle zone 30 dipende sia dalla riduzione di volume (esclusione del traffico di transito) sia dalla guida calma (diminuzione del limite di velocità).
  5. 30 km/h significa meno inquinanti
    Il cambio dello stile di guida, prima fatto di rapide accelerazioni e brusche frenate, sostituito poi da una guida più calma, con minori picchi di velocità ma più fluida, ha effetti benefici sia sull’ambiente che sul traffico. Le rilevazioni effettuate ad Amburgo hanno dimostrato che la velocità ridotta (meno frenate e accelerazioni) riduce l’inquinamento dell’aria: – 30% di ossidi di azoto, -20% di monossido di carbonio, – 10% di idrocarburi. A beneficiarne sono anche le tasche degli automobilisti poiché anche i consumi di carburante sono diminuiti del 12%.
  6. A 30 km/h, la capacità delle strade è superiore.
    Velocità elevate richiedono distanze di sicurezza maggiori, non solo longitudinali, ma anche latitudinali.
    Diminuendo la velocità, il bisogno di spazio è minore: per esempio, due mezzi pesanti che si incrociano a una velocità di 50 Km/h hanno bisogno di una carreggiata di 6,25 metri. A 40 Km/h è sufficiente una carreggiata di 5,50 metri.
  7. A 30 km/h aumentano i parcheggi, gli spazi pedonali e il verde.
    Poiché una minore velocità richiede spazi minori, lo spazio rimanente può essere utilizzato per creare
    parcheggi, spazi per chi si sposta a piedi oppure piantare alberi.
  8. 30 km/h è una soluzione a minimo costo.
    Modificare la segnaletica stradale ha un costo minimo, soprattutto se pensiamo a quanto costerebbe
    mettere in sicurezza gli altri utenti della strada attraverso interventi infrastrutturali come la costruzione di marciapiedi e piste ciclabili separate. Oltre a questo c’è un vantaggio economico: si stima che nel solo quartiere Mirafiori di Torino, l’introduzione del limite di 30 km/h faccia risparmiare ogni anno 965 mila euro in spese mediche grazie alla riduzione dell’incidentalità.
  9. 30 km/h significa maggiori introiti per il commercio locale.
    La riduzione della velocità fa aumentare la sicurezza in strada e questo aumenta il numero di persone che si muovo a piedi e ciclisti. Come dimostrano diversi casi in giro per il mondo, pedoni e ciclisti spendono più denaro degli automobilisti nei negozi di prossimità (fino al 15% in più), a tutto vantaggio delle economie locali.
  10. 30 km/h significa città più piacevoli da vivere.
    Non si tratta di un giudizio arbitrario o ideologico, ma il risultato di un sondaggio realizzato a Mirafiori Nord dopo la creazione della zona 30: i giudizi negativi sul quartiere sono passati dal 17% al 9%.

Per maggiori informazioni: www.30elode.org

Il tweet di Salvini contro i tweet di Bologna. E le fake news sulle Città30 da smontare

Da Michele Bernelli – 23 Gennaio 2024 

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha un indubbio – per quanto involontario – merito: le sue esternazioni hanno l’effetto di portare all’attenzione dell’italiano medio argomenti prima confinati a pochi ben informati e agli addetti ai lavori. Così è stato, nei giorni scorsi, per il tema delle “Città30”, quelle città dove nella gran parte delle strade il limite di velocità è portato a 30 all’ora. Parlando di Bologna, il ministro si è espresso con questo tweetUn tweet (di Salvini) contro i tweet (degli uccellini), e potremmo finirla qui. Oppure ironizzare sul fatto che l’intervento del ministro arriva all’indomani del giorno in cui, mesi dopo l’annuncio e il via alla ‘transizione’ di Bologna Città30, sono arrivate le prime multe per eccesso di velocità causato dai nuovi limiti: da sempre multe e tasse sono vessazioni che tolgono il sonno al nostro e all’Italia che rappresenta.

Ma finalmente, grazie al ministro, il percorso di Bologna verso la Città30, familiare a chi frequenta il nostro sito e ai lettori di BC, è sulle prime pagine dei media, ‘trend topic’, argomento da bar. E allora prima di tutto invitiamo a leggere e diffondere (come si diceva una volta) questo vademecum Città 30 promosso da un ventaglio di associazioni ambientaliste, Fiab e Legambiente in testa. Lo hanno curato Edoardo Galatola, reponsabile sicurezza Fiab, e Andrea Colombo, esperto di mobilità sostenibile della Fondazione innovazione urbana (consulente di Bologna Città30). E poi proviamo a confutare alcune delle grossolane fake news sulle Città30 messe in circolo in questi giorni.

Lasciamo lavorare chi deve lavorare, dice il ministro (sottinteso: invece di farlo rallentare con il limite di 30 all’ora). Ignorando il fatto che la velocità media delle auto in città oscilla già (rilevazioni 2022) tra le 17 km/ora di Milano, i 19 di Roma, i 20 di Torino. E più ancora ignorando, commenta Galatola, “che vari studi condotti in Città30 come Bologna danno su un percorso di 5 km un incremento di tempo variabile tra i 10 secondi, in ora di punta, e i 2 minuti, in situazione di traffico scorrevole.” Farò lavorare il mio ministero a una direttiva, aggiunge, che circoscriva i casi concreti in cui sarà ammesso abbassare il limite standard dei 50 all’ora. Ignorando il fatto – sottolineato dall’assessora alla mobilità di Bologna Valentina Orioli – che il ministero di cui parla è lo stesso che ha collaborato con il comune di Bologna alla definizione delle zone 30. È un limite ideologico, un’imposizione tipica della sinistra, lamenta. Ma in tutta Europa le Città30 si diffondono con amministrazioni di ogni tendenza politica, da Bruxelles a Bordeaux, da Amsterdam a Madrid, da Zurigo a Parigi. E di centrodestra sono le giunte di città italiane che hanno messo in pratica i 30 all’ora come Olbia e Treviso, e che ora sono solidali con la “rossa” Bologna.

Tra i più rapidi alla controffensiva, il Codacons si è detto ieri pronto a denunciare il ministro Salvini e annuncia il ricorso al Tar per annullare i suoi (per ora solo annunciati) provvedimenti. Chiederemo al ministero, ha dichiarato, un risarcimento danni di 500mila euro da versare al fondo vittime della strada. Anche facendo tara a una dichiarazione che alza il volume per portarla al livello dell’interlocutore, anche il Codacons – come già Fiab e tutte le altre associazioni – ha il merito di riportare il discorso sul più urgente dei motivi che rendono necessarie le Città30. Ha ricordato il verde Angelo Bonelli che in un anno circa 1400 persone lasciano la vita nelle strade dei nostri centri urbani. Oltre 5 morti ogni 100mila abitanti. In maggioranza si tratta di soggetti deboli, ciclisti, pedoni, anziani. Viaggiando a 30 all’ora si riduce il tempo di frenata, aumenta il campo visivo di chi guida. E cambiano radicalmente anche le conseguenze di un’eventuale collisione. Si calcola che essere investiti da un’auto che viaggia a 30 all’ora equivale a cadere dal primo piano, ci si salva nove volte su dieci; se la stessa auto corre a 50 all’ora l’impatto è quello di chi precipita dal terzo piano: fatale otto volte su dieci. Prima ancora che una misura di civiltà, la città 30 è un salvavita.

Fonte: Rivista BC

https://www.rivistabc.com/il-tweet-di-salvini-contro-i-tweet-di-bologna-e-le-fake-news-sulle-citta30-da-smontare/

Come smontare le bufale del ministro Salvini contro le Città 30

23 Gennaio 2024 

Il limite di velocità generalizzato di 30 km/h in ambito urbano, in un paese normale, non farebbe neanche notizia. Ma in Italia il tema delle “Città 30” viene considerato da molti – in primis dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini – come un limite vessatorio per chi guida un’auto. Quindi, secondo costoro, sì a qualche sporadica “Zona 30” vicino a scuole e asili; ma assolutamente no a estendere i 30 km/h a tutte le strade cittadine, ad eccezione di pochi assi di scorrimento a 50 km/h.

Zone 30 nelle città italiane, un provvedimento che sta prendendo sempre più piede nei maggiori Paesi europei, e in Italia?
https://www.bikeitalia.it/2024/01/23/come-smontare-le-bufale-del-ministro-salvini-contro-le-citta-30/

È una questione politica…

La questione – già divisiva di suo in un paese con uno tra i tassi di motorizzazione più alti al mondo (681 auto ogni 1000 abitanti, dati Isfort 2023) – è diventata squisitamente politica in queste settimane, esattamente dal 16 gennaio 2024 e cioè da quando Bologna ha cominciato a fare controlli (e multe) ad hoc per far rispettare il nuovo limite di velocità di 30 km/h voluto dal sindaco Matteo Lepore. Il primo a scagliarsi veementemente contro questo nuovo corso bolognese è stato proprio il ministro Salvini. Sì, proprio da lui che come primo atto da ministro aveva tolto la “sostenibilità” dal nome del suo dicastero.

Le bufale contro le Città 30

Le motivazioni addotte per contestare le Città 30 sono sempre le stesse e pescano tutte nel calderone delle chiacchiere da bar, delle sparate sui social e delle cose per sentito dire: “così aumentano i tempi di percorrenza”“è un limite impossibile da rispettare”, “così le auto consumano di più”“si crea più traffico”“le autoambulanze non riusciranno più a circolare”… e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

Si tratta di obiezioni che non trovano un riscontro oggettivo nella realtà dei fatti e nelle decine di studi scientifici sul tema: d’altra parte il limite di 30 km/h – oltreché in tutte le città della Spagna – è già presente a Bruxelles, Parigi, Amsterdam e in numerose altre città del mondo; e nessuna tornerebbe indietro ai 50 km/h perché i vantaggi – sia in termini di vivibilità delle strade sia per quanto riguarda la sicurezza stradale – sono enormi.

Il fact checking di Legambiente e Altroconsumo

Legambiente ha raccolto in un articolo di debunking tutte le fake news contro le Città 30, smontandole una per una riportando dati oggettivi e fonti ufficiali. Anche la rivista Altroconsumo ha creato un contenuto analogo intitolato Quante bufale sulla “Città 30”. Per quanti non avessero la pazienza di andare a leggere – cosa che comunque consigliamo di fare – pubblichiamo qui di seguito due infografiche autosplicative.

1. Il cono visivo di una persona alla guida di un’auto a 30 km/h (in verde) e a 50 km/h (in rosso)

2. Le probabilità di sopravvivenza di una persona investita a 30, 50, 70 km/h

Basterebbero queste due semplici infografiche a far comprendere a chi è contrario alle Città 30 per partito preso perché l’estensione generalizzata di questo limite di velocità in ambito urbano sia una misura da sostenere e replicare ovunque.

Salvare vite umane non dovrebbe essere LA priorità per chi governa, in un paese civile?

Leggi anche: Salvini contro Bologna Città 30 km/h, in arrivo direttiva ministeriale

Fonte: Bike Italia

Il limite di 30 km all’ora, ecco il dossier: «Meno vittime, meno smog, più sani»

di Alessandro Fulloni

Gli effetti delle sperimentazioni. Olbia: «Non siamo pentiti». Le altre città italiane che hanno introdotte parzialmente le norme e come si stanno regolando in Europa: il caso Parigi, Helsinki e la Spagna. E per il traffico nelle metropoli non si va oltre i 20 km/h

https://www.corriere.it/cronache/24_gennaio_21/30-km-ora-dossier-5887316a-b7d7-11ee-85fb-9c1176b99ad5.shtml

«Adesso la cittadinanza è più sana e felice. E poi certo, siamo anche molto orgogliosi che Olbia, con il limite di velocità dei 30 chilometri orari in vigore già dal 2021, sia un esempio a livello nazionale e speriamo che la nostra esperienza possa aiutare a portare avanti l’iniziativa in altri comuni o, meglio ancora, la legge nazionale». Settimo Nizzi, 67 anni, sindaco della cittadina in Gallura — poco più di 60mila abitanti — affacciata sul turchese del Tirreno, parla anche come medico. Fama di decisionista, ex campione di judo, specializzazione in ortopedia, di Forza Italia e un lungo rapporto «di fraterna amicizia cominciata nel 1982 con Silvio Berlusconi», racconta di quando, primo in Italia e anticipando quanto accaduto a Bologna, nel giugno di tre anni fa sorprese tutti annunciando «il limite dei trenta all’ora su ogni strada di competenza comunale, a eccezione degli assi principali dove è rimasto il divieto di superare i 50 orari. Nel primo periodo fummo elastici, ci fu un anno di accompagnamento».

«I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti»

E poi? «I dati ci dicono che è cambiata la tipologia degli incidenti: prima erano causati soprattutto dalla velocità, adesso avvengono soprattutto per distrazione oppure per mancato rispetto della precedenza. Lo dico da medico, anzi da ortopedico: a 50 all’ora si muore. A trenta no. Come mi venne l’idea? Girando altri Paesi, la Spagna viaggia a 30 all’ora dal giugno 2021, come Olbia. Non c’è paragone tra la qualità della vita in quelle città in cui si cammina, si chiacchiera sul marciapiede, si va in bici, si guardano le vetrine dei negozi in tranquillità e quelle in cui si corre in auto. Noi abbiamo meno smog, meno caos, più tranquillità». Curiosità inevitabile: ma del limite a 30 all’ora ne parlò anche con Berlusconi? «Certo! Silvio mi disse, testuale: “Bravo sindaco, hai fatto bene”. Amava l’ambiente, si sa».

Le strade d’Italia restano pericolose

Se Olbia è slow ovunque, altre città, chi prima e chi dopo, hanno introdotto i limiti nei quartieri. Parliamo di Cagliari, Reggio Emilia, Parma, Vicenza, Treviso, Verona, Arezzo, Firenze, Genova, Caserta, Bergamo, Cuneo. Per tutti l’obiettivo è lo stesso: e a delinearlo sono i dati dell’Istat e dell’Aci: ogni giorno i morti in incidenti stradali sono 8,65. È la media quotidiana nel 2022 (noi siamo nella parte alta della classifica europea), anno in cui le vittime sono state 3.159. Un trend in crescita. Quanto alle cause dei sinistri, la più diffusa resta la distrazione (15%). Al secondo posto (13%) c’è il mancato rispetto della precedenza, del semaforo, dello stop. Ed ecco al terzo la velocità troppo elevata che riguarda il 9,3% dell’analisi. Nel complesso, l’Europa pensa che ridurre i limiti in città equivalga a ridurre il pericolo. Dalla Spagna alla Finlandia in tanti si muovono, senza ripensamenti, entro i 30 all’ora già da un po’: Graz sin dal 1992, poi Helsinki dal 2019, Bruxelles e Parigi dal 2021 ma in Francia, va detto, le località slow sono molte, da Lille a Nantes, e Oltralpe affermano che i morti in certi posti siano scesi del 70%.

Da Nord a Sud, quanto si «corre» in città

Ma dentro le città italiane ora a che velocità si va? Un’idea arriva dalle cifre del 2023 inserite nel TomTom Traffic Index, statistica elaborata dalla società dei navigatori satellitare. A ben vedere dalla classifica condotta su 387 città in 55 Paesi — elaborata tenendo conto di numerose variabili tra cui consumi di benzina, emissioni, tempi di percorrenza ed effettivi chilometri percorsi — emerge che la velocità media, nelle ore di punta, da Nord a Sud, è quasi per tutti sempre sotto i 50 all’ora. Nella lista Milano vede spostamenti attorno ai 17 chilometri orari e per percorrere 10 chilometri dentro le circonvallazioni ci vogliono 28 minuti. Siamo lì con Londra, la più «lenta» nel Vecchio continente con 14 km/h. Nel «range» europeo, Roma è al 12° posto (19 chilometri orari). Poi a scendere Torino, diciottesima con 20, Messina con 21, e Firenze, sessantesima con i suoi 23 all’ora. Le ultime italiane? Modena (320° posto) viaggia a 43 km/h di media. Taranto a 53 all’ora.

https://www.cremonaoggi.it/2024/01/30/bertolotti-fab-piu-che-zone-30-si-lavori-per-una-citta-30/
https://comunicatistampa.comune.bologna.it/2024/bologna-citta-30-nelle-prime-due-settimane-gli-incidenti-sono-calati-del-21
https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2024/01/30/citta-30-a-bologna-in-due-settimane-21-degli-incidenti-_ef52650b-330b-4b69-8c70-d82f91e9b76c.html
https://www.zazoom.it/2024-01-30/bologna-citta-30-il-limite-di-velocita-salva-vite-21-di-incidenti/14184716/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/30/bologna-citta-30-dati-incidenti-calati-due-settimane/7427641/
https://www.bikeitalia.it/2024/01/25/i-sindaci-rivendicano-la-competenza-su-citta-30-e-sicurezza-stradale/
https://fiabitalia.it/citta-30-e-disinformazione-solo-i-numeri-ci-possono-salvare/
https://fiabitalia.it/direttiva-citta-30-una-proposta-inapplicabile-in-contrasto-con-il-codice-della-strada-e-le-indicazioni-dellue/

Bologna Città 30: ecco chi sono i vip favorevoli e contrari

Bologna Città 30 è un tema che divide l’opinione pubblica: da un lato i sostenitori del provvedimento che ha abbassato la velocità a 30 km/h sul 70% delle strade urbane, fortemente voluto dal sindaco Matteo Lepore; dall’altro i detrattori che non perdono occasione per manifestare il proprio disappunto. Per i cittadini il Comune di Bologna, in collaborazione con la Fondazione Innovazione Urbana, ha creato una lista delle domande con i dubbi più frequenti e le relative risposte puntuali da parte dei tecnici esperti della materia.

Rielaborazione grafica 30 km/h e Matteo Salvini © scrisman e TiTi Lee tramite Canva.com
https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

Bologna Città 30: il tema del momento

Ma la questione Bologna Città 30, soprattutto da quando il Ministro Salvini l’ha presa di petto emanando una direttiva che di fatto mette dei paletti all’abbassamento generalizzato dei limiti di velocità in città, è diventata un “tema del momento” su cui hanno detto la loro personaggi famosi, giornalisti, e “vip” la cui opinione “fa notizia”. Vediamo, in una rapida carrellata che non ha la pretesa di essere esaustiva, quali sono le posizione emerse nei confronti di Bologna Città 30 elencando i favorevoli e i contrari.

I favorevoli a Bologna Città 30

Milena Gabanelli: “Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Milena Gabanelli

La giornalista Milena Gabanelli, volto storico di Report oggi penna del Corriere della Sera e autrice della videorubrica Dataroom su La7, vive a Bologna ed è favorevole al provvedimento: “Abito a Bologna e non c’è nessun caos. Si va a 30 km/h a Londra, Bruxelles, Helsinki, Barcellona, Zurigo, Madrid, Graz… dove hanno pensato che la vita di un bambino, un pedone, un ciclista valgono più dei 5 minuti persi a rallentare. Vuoi andare in centro in macchina? Vai a 30!”

Mario Tozzi: “Velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”

Mario Tozzi

Tra i sostenitori dell’abbassamento del limite di velocità di 30 km/h a Bologna anche il geologo Mario Tozzi, primo ricercatore del CNR e divulgatore scientifico oltreché autore e conduttore di numerosi programmi televisivi su scienza e natura, che sui social scrive: “In città niente autovetture private, questa dovrebbe essere la regola, che, peraltro, consentirebbe maggiore puntualità e frequenza dei mezzi pubblici di superficie. Ma, se ancora le dobbiamo sopportare, almeno facciano meno danni e vittime possibili: velocità massima 30 km/h, come si fa già in molte città europee e italiane”.

Stefano Boeri promuove la Città 30

Stefano Boeri

L’architetto Stefano Boeri, progettista dell’iconico Bosco Verticale di Milano e tra i professionisti italiani più famosi, è uno dei 130 tecnici esperti di mobilità che ha sottoscritto la lettera aperta indirizzata al Ministro Salvini per chiedere di ritirare la direttiva contro le Città 30. Una missiva in cui si sottolineano – dati alla mano – i vantaggi indiscutibili dei 30 km/h in ambito urbano per la sicurezza stradale: “L’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone”.

I contrari a Bologna Città 30

Matteo Salvini prende di mira Bologna

Matteo Salvini

Il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini ormai da settimane ha preso di mira il provvedimento di Bologna: “Nel dispositivo del Comune di Bologna ho letto che grazie alla riduzione di 20 chilometri orari del limite massimo, si sentirà meglio il canto degli uccellini. Penso che il diritto al canto degli uccellini e all’udibilità del loro canto debba essere contemperato con il diritto al lavoro di centinaia di migliaia di persone, perché multare chi va a 36 chilometri allora non vuol dire tutela dell’ambiente”.

Poi ha emanato una direttiva per mettere i paletti alle Città 30, secondo la quale le amministrazioni devono giustificare strada per strade la motivazione per cui abbassano il limite di velocità da 50 a 30 km/h. E non perde occasione per ribadire in ogni occasione che le “Zone 30” limitate a strade vicino a scuole e asili vanno bene, le “Città 30” dove il limite è generalizzato a suo avviso no.

Giuseppe Cruciani vuole alzare i limiti di velocità in città

Giuseppe Cruciani

Il conduttore radiofonico della trasmissione “La Zanzara” su Radio24 Giuseppe Cruciani fin da subito si è schierato contro Bologna Città 30, chiedendo di alzare (e non di abbassare) i limiti di velocità in città: “Allora ragazzi, qui è la voce dell’opposizione alla giunta rossa di Bologna che ha imposto i trenta all’ora in larghe parti della città. Qui siamo a favore di una cosa: alzate i limiti di velocità in città anche a 70-80km/h. E se qualcuno li infrange? Sequestro della macchina. Niente multe, sequestro. Ma alzate i limiti di velocità che non serve un ca**o andare più piano. Non si salvano vite umane e non si evitano gli incidenti”.

Nel corso della sua trasmissione Cruciani ha contattato telefonicamente il primo multato per aver superato il limite di 30 km/h (il pensionato Sergio Baldazzi, che andava a 39 km/h, ndr) e si è offerto di pagargli la multa: “Voglio pagare la multa, voglio risarcirlo: farò un bonifico personale a questo signore”, ha detto Cruciani.

Mario Giordano: “Se vai a 35 o36 zac e ti arriva già la multa”

Mario Giordano

Il giornalista e conduttore della trasmissione “Fuori dal coro” di Rete4 Mario Giordano in una puntata ha attaccato il limite di 30 km/h in ambito urbano, partendo dal caso di Bologna: “Non si può più andare veloce. Bisogna andare piano per essere verdi, per essere green. per essere giusti bisogna andare a 30 all’ora. Il green ce lo chiede e in tutta la città di Bologna entra in vigore il limite dei 30 all’ora. Se vai a 35 o 36 zac e ti arriva già la multa”.

E, ancora: “Troppo veloce perché il Comune di Bologna dice che ridurre la velocità delle auto consente di dare più spazio ad altri suoni come il canto degli uccellini. In questi giorni a Bologna si siano sentite più le imprecazioni e le parolacce che non il canto degli uccellini. Ma i green niente. I fan del green vanno avanti perché dicono che così si riducono gli incidenti. Ma sarà vero che si riducono gli incidenti?”.

Per dare le risposte alle domande con i dubbi più frequenti il Comune di Bologna ha aggiornato la sezione faq del portale dedicato al nuovo limite di velocità in città

Intanto proprio oggi davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma si è tenuto il presidio delle associazioni aderenti alla Piattaforma #Città30subito “A 30 km/h non si muore” per chiedere a Salvini di ritirare la direttiva e di inserire il tema della moderazione della velocità nella Riforma del Codice della Strada ormai in dirittura d’arrivo in primavera.

Fonte: Bike Italia

https://www.bikeitalia.it/2024/02/02/bologna-citta-30-ecco-chi-sono-i-vip-favorevoli-e-contrari/

130 tecnici contro Salvini: è scontro totale sulla Città 30

1 Febbraio 2024

Architetti, ingegneri, urbanisti, economisti che lavorano nelle città, in aziende di consulenza, nelle università non ci stanno alla repressione della Città 30 da parte di Matteo Salvini e fanno sentire la propria voce attraverso una lettera aperta che pubblichiamo di seguito integralmente.

Tra i nomi più noti a firmare l’appello: Stefano BoeriMarco Ponti e tutto lo staff tecnico della Città Metropolitana di Bologna.

Ecco qui di seguito il testo integrale (con tutte le firme in calce, in ordine alfabetico).

Lettera aperta al Ministro dei Trasporti Matteo Salvini

Come gruppo di esperti e tecnici impegnati nel settore della pianificazione e progettazione della mobilità e del traffico stiamo assistendo a una dura presa di posizione da parte del Ministro dei Trasporti avversa alle politiche di moderazione delle velocità dei veicoli nelle aree urbane.

Con l’emanazione della “Direttiva sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano ai sensi dell’art.142 del Nuovo Codice della Strada” il Ministro si è infatti opposto in modo esplicito all’iniziativa assunta dal Comune di Bologna di applicare su un’ampia parte (70%) delle strade comunali il limite di velocità di 30 km/h (Città 30).

Si tratta di una posizione poco comprensibile, non basata su alcuna evidenza tecnica o sperimentale, che si pone in netto contrasto con quanto viene suggerito dai massimi istituti sovranazionali come l’OMS e il Parlamento Europeo, oltre che dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale dello stesso MIT, e che ignora quanto è da tempo ampiamente praticato con risultati innegabilmente positivi in molte altre città nel mondo.

Contemporaneamente il MIT si è fatto portatore delle modifiche al Codice della Strada attualmente in discussione in Commissione Trasporti, in particolare per le parti destinate a depotenziare le norme sulla ciclabilità introdotte dalla legge 120/2020, comprese le strade ciclabili, le corsie ciclabili, gli attestamenti avanzati e il doppio senso ciclabile. Anche in questo caso si tratta di una posizione priva di qualunque giustificazione tecnica, che non tiene conto dell’esperienza di moltissime realtà estere e che dimentica che, da quando sono stati introdotti, questi dispositivi hanno consentito al nostro paese di compiere significativi progressi verso il recupero della ciclabilità come modo di trasporto alternativo.

È inoltre opportuno sottolineare come gli interventi citati, in diversi casi, sono stati in tutto o parzialmente finanziati con fondi del PNRR per la Missione 2-Rivoluzione verde e transizione ecologica- in capo allo stesso MIT; ne consegue che le ventilate modifiche alla normativa vigente comporterebbero una ridefinizione dei progetti in atto e delle risorse, pena la mancata erogazione dei finanziamenti da parte del Programma NEXT Generation EU.

Come tecnici ed esperti da anni impegnati sui temi della pianificazione e della progettazione della mobilità e dei trasporti con specifica attenzione alle aree urbane esprimiamo dunque la nostra profonda preoccupazione per l’involuzione che il nostro paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte attuate da tutti i paesi dell’Unione Europea e dalla comunità internazionale.

È al proposito necessario ricordare l’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati sia dagli organismi internazionali a cui l’Italia aderisce (ONU, OMS) che dagli strumenti di politica dei trasporti dell’Unione Europea e Nazionale (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale), in particolare la riduzione del 50% degli incidenti al 2030. Tale obiettivo non può essere raggiunto senza poter intervenire con efficacia nell’ambito urbano, dove in Italia si registrano i tre quarti degli incidenti stradali, con un tasso di mortalità che si mantiene costante ormai da un decennio ovvero (pari a 1,1 morti ogni 100 incidenti) e un costo economico che supera i 13 miliardi di euro all’anno.

In questo ambito, dove si concentrano elevati flussi di mobilità motorizzata e non motorizzata, un’alta densità di immissioni e intersezioni e diffuse “interferenze” con altri usi della strada, la velocità rappresenta quasi sempre causa, concausa o aggravante dell’incidentalità: da essa infatti dipendono le distanze di arresto, le energie di impatto, la possibilità di effettuare manovre di emergenza e il restringimento del cono visuale dei guidatori.

Peraltro l’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone.

Sono questi gli elementi di cui come tecnici siamo chiamati a tenere in conto quando nell’ambito delle attività di redazione dei piani di settore (Piani Urbano del Traffico e Piani Urbani della Mobilità Sostenibile) identifichiamo le misure atte a conseguire gli obiettivi e i target riconosciuti e sottoscritti in ambito nazionale e internazionale.

Il Ministro e il suo Ministero dovrebbero dire come pensano altrimenti di conseguire gli obiettivi indicati dallo stesso Decreto Ministeriale 396 del 28 agosto 2019 con riferimento alla redazione dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile e, soprattutto, l’obbligo sancito dallo stesso Codice della Strada che all’art.1 pone la sicurezza delle persone tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.

Sempre nella logica dei PUMS è inoltre essenziale che sia riconosciuto agli abitanti delle singole città, attraverso le istituzioni che li rappresentano, il diritto di decidere all’interno delle proprie politiche di governo della mobilità i tempi e i modi di tali interventi, ricordando che ai sindaci è attribuito il compito di tutela della incolumità pubblica e la sicurezza urbana, che è “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.

Chiediamo pertanto:

  • che il Ministero non solo non contrasti, ma agevoli l’iniziativa di Bologna e delle altre città che intendono adottare il modello di Città 30, che possono costituire un importante esperimento sulla cui base formulare norme e indirizzi in modo più corretto e informato;
  • che non si approvino le modifiche del Codice della Strada avverse alle norme introdotte dalla L.120/2020 sulla ciclabilità, norme che finalmente ci allineano alle modalità adottate negli altri paesi europei;
  • che non si riduca ma anzi si ampli la possibilità di utilizzare sistemi avanzati di telecontrollo delle infrazioni, compreso il limite dei 30 km/h in ambito urbano;
  • che si emani una normativa nazionale sui dispositivi di moderazione del traffico, sulla base di quanto sperimentato dai paesi che presentano tassi di incidentalità e mortalità stradale ben inferiori a quello italiano.

31/01/2024

Promuovono l’appello:

1Maria SilviaAgrestaarchitettourbanista – Milano
2Francesco Albertiarchitettoprofessore associato di Urbanistica – Università degli Studi di Firenze
3Franco Apràurbanistalibero professionista – Milano
4Francesco AvesaniIngegnerelibero professionista – Verona
5Mauro Baioniurbanistalibero professionista – Venezia
6Alessandra Baldidott.arch.collaboratrice In.Co.Set e referente del Centro Urbano per la Transizione Energetica – Cava dè Tirreni
7Dario Balottaanalista dei trasportipresidente Osservatorio Trasporti ONLIT
8Valter Baruzzipedagogistaesperto in educazione alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile – Imola/Bologna
9Silvia Basenghitecnico esperto in mobilità sostenibileservizio Pianificazione della Mobilità – Città metropolitana di Bologna
10Stefano Battaiottoingegnerelibero professionista – Milano
11Luigi Benevoloingegnerepianificatore urbanista – Brescia
12Maria  Berriniarchitettoex Amministratore Unico Agenzia Mobilità Ambiente Territorio Comune Milano
13Sivia Bertoniingegnerepianificazione della mobilità sostenibile ed attuazione PUMS 
14Paolo Bertozziingegnerelibero professionista Parma
15LorenzoBertuccioingegnereassociazione Euromobility
16Guia Biscaroarchitettolibera professionista
17Daniela Bittiniingegnerereferente Ufficio Mobilità e Mobility Manager – Imola
18Francesca Boeriingegnereresponsabile Settore Ambiente – Centro Studi PIM  Milano
19Stefano Boeriarchitetto e urbanistaprofessore ordinario presso il Politecnico di Milano
20Andrea Boitanieconomistaprofessore ordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano
21Gabriele Bolliniurbanistapresidente Associazione Analisti Ambientali
22FilippoBonaliingegnerelibero professionista – Fiab Cremona
23Tommaso Boninoingegneredirigente SRM — Agenzia mobilità Bologna
24Carlottta   Bonviciniarchitetto pianificatorelibera professionista – Reggio Emilia
25Mauro Borioniingegnerefunzionario pubblica amministrazione 
26Patrizia BottaroarchitettoPCAint PICA CIAMARRA ASSOCIATI SRL
27Bianca Bozziingegnerelibera professionista – Milano
28Andrea Bruschidott.arch.pianificatore trasporti e mobilità – Metropolitana Milanese Spa
29Tatiana Bruscoingegneretecnico esperto in mobilità sostenibile – Città Metropolitana di Bologna
30Sandro CapraingegnereMetropolitana Milanese Spa
31Giovanni Cardinaleingegnerelibero professionista , consulente di Confindustria Toscana Sud per le infrastrutture strategiche 
32Teresa Cardonaarchitettolibera professionista – Milano
33Tiziano Carducciingegnerelibero professionista – Chieri (TO)
34Stefano CaseriniingegnereProfessore Cambiamenti Climatici Università di Parma
35Francesco Castelnuovoingegnerelibero professionista – Milano
36PaolaCavalliniarchitettoCittà studio associato – Parma
37Angela Ceresoliarchitettapresidente Agenzia TPL Bergamo
38Enrico Chiariniingegnerelibero professionista – Brescia
39CosimoChiffieconomista dei trasportiTRT Trasporti e Territorio – Milano
40Andrea Colomboconsulente legaleesperto in sicurezza stradale – Bologna
41Simone Conteeconomista ambientaleproject manager ambiente, mobilità, territorio
42Cristiana CristianiarchitettoEdilizia Pubblica – Comune di Pisa
43Alberto Croceingegnereex Direttore Settore Traffico e Trasporti in Comune di Bologna e Agenzia TPL Brescia, ex Presidente AIIT Lombardia 
44Fiorenza Dal Zottoarchitettoresponsabile settore pianificazione e tutela del territorio Comune di Spinea
45Marco De MitriingegnereTrafficlab – Alba (CN)
46Andrea DebernardiingegnereMETA srl – Monza
47Lorenza dell’ErbaarchitettaIstruttore Tecnico Servizio Pianificazione della Mobilità Area Pianificazione Territoriale e Mobilità Sostenibile – Città Metropolitana Bologna
48Raffaele Di Marcelloarchitettopresidente sezione Abruzzo UNITEL – Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali 
49Matteo Dondèarchitettolibero professionista – Milano
50Mauro Donzelliingegnerelibero professionista – Bologna
51Alfredo Drufucaingegnerelibero professionista – Milano
52Marco Engelarchitettourbanista pianificatore – Milano
53Roberto Farinaingegnereurbanista – Bologna
54Edoardo Fenocchhioingegnerestudio Progectolab
55Emanuele Ferraraurbanistalibero professionista – Milano
56Carla Ferrariarchitettoarchitetto pianificatore – Modena
57GiorgioFiorilloingegnereresponsabile funzioni di Agenzia presso la SRM  l’Agenzia per la mobilità ed il trasporto pubblico locale del Comune di Bologna e della Città metropolitana di Bologna.
58LuigiFregoniarchitettodirettore area pianificazione territoriale Comune di Rho
59Georg Frischarchitettourbanista pianificatore
60Giorgio Gagliardiarchitettoprogettista di mobilità ciclistica – Verona
61Edoardo Galatolaingegnereesperto di rischi industriali e del trasporto, responsabile sicurezza stradale FIAB 
62Paolo Gandolfiarchitettodirettore Area Sviluppo territoriale – Dirigente Servizio di Mobilità Urbana comune di Reggio Emilia
63Caterina Gfellerarchitettoesperta in comunicazione – Milano
64Elena Granataarchitettodocente urbanistica Politecnico Milano
65Emilio Grassiingegnereex direttore Agenzia TPL Bergamo
66Chiara Gruppourbanistapianificatrice dei trasporti – Brugherio (MI)
67Emilio Guastamacchiaarchitettourbanista pianificatore – Milano
68LorenzoFabianarchitettodocente Urbanistica – IUAV Venezia
69GiuseppeInturriprofessore Associato di TrasportiUniversità degli studi di Catania
70Marco La Violaingegnerelibero professionista – Saronno
71Eliot Laniadoingegnerecoordinatore scientifico Poliedra – Politecnico di Milano
72Arturo SergioLanzaniarchitettoprofessore di Tecnica e Pianificazione Urbanistica – Politecnico Milano
73Salvatore Leonardiprofessoreprofessore associato di Ingegneria delle infrastrutture viarie e dei trasporti presso l’Università degli Studi di Catania
74AntonioLoccigeometralibero professionista – Treviso
75Giovanna Longhiarchitettopaesaggista, progettista di opere pubbliche
76Fabio Lopez Nunesarchitettoex direttore ciclabilità del Comune di Milano
77Giampiero Lupatellieconomista territorialeVice Presidente CAIRE Consorzio 
78Robert Maddalenaarchitettolibero professionista – Thiene (VI) 
79Alessandro Madernadott.agr.Specialista progettazione e consulenza ambientale,  autorizzazioni e permitting
80Patrizia MalgieriarchitettoTRT Trasporti e Territorio – Milano
81Giorgia Mancinelliingegnerefunzionario tecnico del Comune di Rimini
82Giovanni Mandelliarchitettoservizio Mobilità Sostenibile – Comune di Reggio Emilia
83Paolo Maneourbanista libero professionista 
84Andrea MarellaingegnereTrafficlab – Alba (CN)
85Alberto MarescottiarchitettoComune di Padova
86Giulia Maroniarchitettotecnico esperto in mobilità sostenibile – Città metropolitana di Bologna
87Italo RobertoMaroniarchitettourbanista
88Angelo Martino ingegnereTRT Trasporti e Territorio – Milano
89SilviaMazzageografaesperta mobilità sostenibile
90FrancescoMazzaingegnereAIRIS Srl – Ingegneria per l’ambiente – Modena
91Eduardo Missonimedicodocente salute globale e sviluppo SDA Bocconi e Un.Milano Bicocca
92Valerio Montieriarchitettolibero professionista – Milano
93Massimo G. Morodottore in giurisprudenzacoordinatore Centro Studi FIAB 
94Danilo Odettoarchitettolibero professionista – Torino
95Jacopo OgnibenearchitettoNET Engineering
96Lorenzo Paglianofisicoprofessore associato di Fisica dell’Edificio – Politecnico Milano
97Federico ParolottoarchitettoCeo MIC-Mobility In Chain
98Marco PassigatoingegnereCoordinatore didattico  corso EPMC – Esperto Promotore della Mobilità Ciclistica di UniVr
99Carla PoloniatoingegnereFunzionario Settore mobilità – Comune di Vicenza
100Marco Pontiarchitetto economistaResponsabile di BRT onlus (Bridges Research Trust)
101Davide Prandiniarchitettofunzionario tecnico pubblica amministrazione – Maranello (MO)
102Edoardo Pregerarchitettourbanista – Cesena
103Chiara Quinziiarchitetto urbanistalibera professionista – Milano
104Lucia Rattiarchitettoex funzionario Direzione Trasorti e Mobilità Sostenibile – Regione Lombardia
105Andrea Remotogeometralibero professionista  – Avigliana (TO)
106Giulio RigottiarchitettoCoop.Arch G1 – Novara
107Riccardo Roccoarchitettolibero professionista. Presidente Commissione Paesaggio Comune di Sesto San Giovanni
108Gianni Rondinellaurbanistaprofessore di Pianificazione della mobilità, Università Europea di Madrid
109Guido RossiIngegnereDottore di ricerca in ingegneria dei trasporti e libero professionista – Verona
110Paolo Ruffinourbanista, economistaConsulente politiche di mobilità, trasporti e sviluppo territoriale
111Nicola SaccoprofessoreOrdinario di Trasporti presso l’Università degli Studi di Genova
112Ivan Saraccaingegnerelibero professionista – Busseto (PR)
113Stefano Sbardellaingegneredirigente Comune di Brescia
114Joerg Schweizeringegnerericercatore e docente in Transport System Design and Planning presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna.
115Francesco SeneciIngegnereCEO e Direttore Tecnico NetMobilitty srl
116Giancarlo Sgubbiingegneredirigente Unità intermedia Rete tram e piani e progetti per la mobilità sostenibile – Comune di Bologna
117Marco Stagniingegnerelibero professionista – Bologna
118Claudia Stanzaniarchitettopianificazione Territoriale e Urbanistica – Comune di Castelfranco Emilia
119Chiara TaiariolingegnereMETA srl – Monza
120DavideTessarolloingegnerelibero professionista Milano
121Samuel Tolentinodottore in ingegneriaMETA srl – Monza
122Luigi Torrianimatematicoanalista dei trasporti
123Alessandro Trevisanarchitettolibero professionista – Voghera
124Claudio Troisiingegneredocente a contratto di Pianificazione dei Trasporti presso l’Università Telematica “Giustino Fortunato” 
125Stefano Vaudagnaingegnerelibero professionista – Ciriè (TO) 
126Luca VeloarchitettoRicercatore in Urbanistica IUAV Venezia
127Lorenzo Vignonoingegnereesperto mobilità ciclabile SERTEC – Lorenzè (TO)
128Mario Zambriniesperto ambientaledirettore Ambiente Italia – Milano
129Federico Zanfiarchitettoprofessore associato DAStU – Politecnico Milano
130Giulio ZilliPianificatore territorialelibero professionista – Milano
131AlessioBrancacciotecnico ambientaleUniversità degli Studi di L’Aquila

Bologna Città 30: nelle prime quattro settimane calano gli incidenti stradali

Bologna Città 30: i dati confermano il trend in atto sul calo di incidenti stradali, da quando sono entrati in vigore i controlli per far rispettare il limite generalizzato di 30 km/h in ambito urbano. Nelle prime quattro settimane di Città 30 (15 gennaio – 11 febbraio 2024), sulle strade urbane di Bologna si sono verificati in totale 186 incidenti, di cui 1 mortale, 122 incidenti con feriti (che hanno provocato 144 persone ferite), nessuno con feriti in prognosi riservata e 63 incidenti senza feriti.

https://www.bikeitalia.it/2024/02/16/bologna-citta-30-nelle-prime-quattro-settimane-calano-gli-incidenti-stradali/

Bologna Città 30: calano gli incidenti stradali

Nelle stesse settimane dell’anno scorso (16 gennaio – 12 febbraio 2023) gli incidenti erano stati in totale 221, di cui 3 mortali, 139 incidenti con feriti (che avevano provocato 178 persone ferite), 1 con ferito in prognosi riservata e 78 senza feriti. Lo riporta una nota del Comune Bologna.

Pedoni coinvolti ridotti di un quarto

In termini percentuali si tratta quindi di un calo del 15,8% degli incidenti totali, -12,2% di incidenti con feriti, -19,1% persone ferite, -19,2% di incidenti senza feriti, due incidenti mortali in meno (1 nel 2024 mentre erano 3 nel 2023) e un incidente con ferito in prognosi riservata in meno (0 nel 2024, 1 nel 2023). Da sottolineare inoltre il calo di pedoni coinvolti in incidenti che è del 25,6% (39 erano quelli coinvolti nel 2023, 29 nel 2024).

Il commento dell’assessora alla Mobilità

L’assessora alla Mobilità di Bologna Valentina Orioli commenta così i dati: “I numeri rilevati dalla Polizia locale in queste prime 4 settimane ci confermano che il trend continua ad essere positivo. Quello che appare chiaro è il calo degli incidenti più gravi e il calo delle persone ferite, che è più rilevante di quello di incidenti con feriti, a conferma del fatto che gli incidenti sono tendenzialmente meno gravi”.

E, prosegue: “Altro aspetto da sottolineare è la diminuzione di pedoni coinvolti, come del resto si è già verificato in tutte le città europee che hanno adottato questo provvedimento prima di noi. Per questo è importante continuare a rispettare i limiti e mantenere alta la guardia. Vorrei rivolgere un ringraziamento alla Polizia Locale, che sta facendo un ottimo lavoro di sensibilizzazione su questo, e a tutti i cittadini bolognesi, che stanno dimostrando ancora una volta senso civico e grande collaborazione. Un impegno fondamentale per salvare vite sulle strade”.

Fonte: Bike Italia

English translate

Bologna Città 30: road accidents drop in the first four weeks

Bologna Città 30: the data confirm the ongoing trend in the decline in road accidents since the controls to enforce the general limit of 30 km/h in urban areas came into force. In the first four weeks of Città 30 (15 January – 11 February 2024), a total of 186 accidents occurred on the urban roads of Bologna, of which 1 was fatal, 122 accidents with injuries (which caused 144 people to be injured), none with injuries with a reserved prognosis and 63 accidents without injuries.

Bologna Città 30: road accidents decrease

In the same weeks last year (16 January – 12 February 2023) there were a total of 221 accidents, of which 3 were fatal, 139 accidents with injuries (which had caused 178 injured people), 1 with an injured person with a guarded prognosis and 78 without wounded. This was reported in a note from the Bologna Municipality.

Pedestrians involved reduced by a quarter

In percentage terms, this is therefore a 15.8% drop in total accidents, -12.2% in accidents with injuries, -19.1% people injured, -19.2% in accidents without injuries, two fatal accidents in fewer (1 in 2024 while there were 3 in 2023) and one fewer accident with an injured person with a reserved prognosis (0 in 2024, 1 in 2023). Also worth highlighting is the drop in pedestrians involved in accidents which is 25.6% (39 were involved in 2023, 29 in 2024).

The comment of the Mobility councilor

Bologna’s Mobility Councilor Valentina Orioli comments on the data as follows: “The numbers recorded by the local police in these first 4 weeks confirm that the trend continues to be positive. What appears clear is the drop in the most serious accidents and the drop in injured people, which is more significant than that in accidents with injured people, confirming the fact that accidents tend to be less serious”.

And he continues: “Another aspect to underline is the decrease in pedestrians involved, as has already occurred in all European cities that have adopted this measure before us. This is why it is important to continue to respect limits and keep your guard up. I would like to thank the Local Police, who are doing an excellent job of raising awareness on this, and to all the citizens of Bologna, who are once again demonstrating civic sense and great collaboration. A fundamental commitment to saving lives on the roads.”

Source: Bike Italia

https://corrieredibologna.corriere.it/notizie/cronaca/24_febbraio_28/citta-30-il-sindaco-di-parma-abbiamo-abbassato-il-limite-solo-in-alcune-strade-bologna-ha-dimostrato-coraggio-bdd00451-9cbe-4b12-92b3-901d79da7xlk.shtml?cmpid=tbd_39834460bi
https://fiabitalia.it/lappello-dei-familiari-delle-vittime-sulla-strada/
https://fiabitalia.it/bologna-citta-30-primo-bilancio-positivo-dopo-4-settimane-in-calo-gli-incidenti/
https://fiabitalia.it/doppio-senso-ciclabile-italia-fanalino-di-coda/
https://fiabitalia.it/il-poco-invidiabile-primato-dellitalia-il-paese-con-piu-auto-nellunione-europea/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/17/citta-30-la-velocita-ridotta-migliora-la-fluidita-del-traffico-focus-svi-associazione-svizzera-ingegneri-e-esperti-del-traffico/
https://benzinazero.wordpress.com/2024/01/22/documentazione-studi-ricerche-e-fonti-raccolte-per-argomenti/
https://ilmanifesto.it/citta-30-pedoni-e-bici-si-riprendono-lo-spazio-pubblico
https://benzinazero.wordpress.com/2024/02/21/perche-e-cosi-diverso-andare-a-30-o-andare-a-50-e-andare-a-50-e-molto-piu-pericoloso/
https://www.rivistabc.com/bologna-citta-30-il-confronto-tra-2023-e-2024-da-ragione-al-comune-calano-incidenti-e-feriti/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

IN ITALIA ARIA PIU’ INQUINATA IN CASA CHE ALL’APERTO PER 6 MESI L’ANNO. LA RICERCA

16 Gennaio 2024 – 14:39

Milano maglia nera a livello mondiale. A rivelarlo è il primo progetto globale Air Quality Connected Data di Dyson che ha esaminato i dati relativi alla qualità dell’aria indoor provenienti da oltre 2,5 milioni di purificatori d’aria connessi

Dyson ha recentemente presentato i risultati del suo progetto globale Air Quality Connected Data, che ha analizzato le informazioni relative alla qualità dell’aria indoor raccolte da oltre 2,5 milioni di purificatori d’aria Dyson tra il 2022 e il 2023, per delineare un quadro dettagliato della qualità dell’aria nelle abitazioni in tutto il mondo. Tutti i Paesi esaminati (ad esclusione di quattro) hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori a quelli outdoor per sei mesi o più, inclusa l’Italia dove i valori medi mensili interni di PM2,5 hanno superato quelli esterni per sette mesi nel 2022, la Cina, l’Australia, la Francia, l’Austria, il Canada e la Spagna, le cui abitazioni hanno sperimentato una qualità dell’aria peggiore rispetto a quella outdoor per ogni singolo mese dell’anno. Solo nelle case di India, Norvegia, Polonia e Finlandia i livelli di PM2,5 sono stati generalmente inferiori rispetto a quelli esterni, superandoli per meno di sei mesi nel corso del 2022.

Milano maglia nera

Dal punto di vista delle singole città, il confronto tra l’inquinamento da PM2,5 outdoor e indoor è stato particolarmente negativo a Milano, che ha registrato il peggiore risultato globale: i livelli medi annui di PM2,5 indoor nel 2022 sono stati di 2,63 volte superiori rispetto a quelli outdoor, una discrepanza maggiore rispetto a qualsiasi altra città studiata, con picchi nei mesi di dicembre (3,46) e gennaio (3,48), fino al record di 4,17 volte oltre i valori outdoor a marzo. Dopo Milano, altri record negativi sono stati quelli di Shenzhen (con livelli annui di PM2,5 indoor superiori del 97% rispetto all’outdoor), Amsterdam (76%), Seoul (53%), Madrid (50%), Melbourne (40%), Vienna (37%), Singapore (36%) e New York (35%). 21 città (su 35 esaminate) hanno registrato livelli medi annui di PM2,5 negli ambienti chiusi superiori rispetto a quelli all’aperto. Analizzando i dati mensili, sono otto le città che hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori rispetto all’outdoor per ogni singolo mese dell’anno: Shenzhen, New York, Melbourne, Milano, Roma, Seoul, Vienna e Amsterdam.

La situazione nel mondo

Se si prendono in considerazione i dati provenienti dai purificatori connessi Dyson a livello globale e relativi a tutto il 2022, stilando una classifica dei Paesi in base al loro livello medio di PM2,5, i risultati sono sorprendenti. Mentre India e Cina occupano i primi due posti, probabilmente a causa della relazione tra la qualità dell’aria interna ed esterna, la Romania si è classificata al sesto posto, l’Italia all’ottavo, la Polonia al nono e l’Austria al decimo. Il Regno Unito (22°) ha superato gli Stati Uniti (26°), il Canada (27°) e l’Australia (28°), ma la Germania e la Francia si sono classificate ancora più in alto, rispettivamente al 17° e al 19° posto. I valori medi annui indoor hanno superato le linee guida annuali dell’OMS per il PM2,5 (5 µg/m3) in tutti i Paesi coinvolti nello studio: in India il valore è stato di 11 volte superiore a quello raccomandato, in Cina di 6 volte, in Turchia e negli Emirati Arabi Uniti di 4 volte e in Corea del Sud, Romania, Messico e Italia di 3 volte. L’Italia è tra i primi 10 Paesi (8° posto) per livello medio annuo di PM2,5, insieme a India, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Corea del Sud, Romania, Messico, Polonia e Austria; tutti mercati che nella classifica superano Paesi più “tipicamente” inquinati come Thailandia, Malesia, Filippine, Germania.

Valori medi annui di COV (Composti Organici Volatili o VOC Volatil Organic Compounds)

A differenza di quanto rilevato per il PM2,5, secondo i purificatori connessi Dyson sono i Paesi europei a registrare i livelli annui di COV (Composti Organici Volatili) più alti. I 10 Paesi con valori più elevati sono infatti Austria, Romania, Germania, Svizzera, Polonia, Turchia, India, Italia, Cina e Irlanda. Roma si colloca anche tra le 10 città più inquinate dai COV al mondo, insieme a Monaco, Pechino, Colonia, Berlino, Vienna, Delhi, Istanbul, Shanghai e Città del Messico. Vale la pena sottolineare che Dublino, Parigi e Milano (quest’ultima, in questo caso, con livelli inferiori alla media nazionale) hanno comunque superato in classifica megacittà come Tokyo e Seoul, oltre a tutte le città degli Stati Uniti e persino Londra.

L’impatto di meteo e orario

Nella maggior parte dei Paesi presi in esame da Dyson, i livelli di PM2,5 negli ambienti interni erano più elevati durante le ore serali e notturne, in coincidenza con il tempo che la maggior parte delle persone trascorre in casa, anziché al lavoro, a scuola o altrove. I dati suggeriscono quindi che questo lasso di tempo più lungo e con maggiore inquinamento potrebbe essere responsabile di una maggiore esposizione al PM2,5 nelle abitazioni. Le ore di picco a livello globale sono state tra le 18:00 e le 24:00 nella maggior parte delle aree geografiche, mentre in Italia le ore più inquinate sono quelle tra le 20:00 e le 24:00, in cui vengono superate le linee guida giornaliere dell’OMS sul PM2,5 (15 µg/m3) con un minimo di 15,43 e un massimo di 17,32 µg/m3. Tuttavia, guardando al lato positivo, l’Italia è tra le aree geografiche che hanno superato i livelli raccomandati per meno del 50% della giornata, insieme a Berlino, Austria, Israele, Polonia, Spagna (tutte le città, inclusa la media nazionale) e Romania. Analogamente a quanto accade per le diverse ore della giornata, anche le stagioni corrispondono a periodi in cui trascorriamo più o meno tempo al chiuso. Durante l’anno, fino al 90% del nostro tempo totale viene trascorso indoor, che sia a casa, al lavoro, o per svolgere attività di svago. I dati provenienti dai purificatori connessi Dyson hanno evidenziato che nel 2022 il periodo invernale è stato la stagione più inquinata a livello globale. Una delle ragioni dietro i livelli più elevati di PM2,5 all’interno quando il clima è più freddo è il fatto che si tendano a “sigillare” maggiormente le abitazioni, tenendo le finestre chiuse e possibilmente utilizzando fonti di riscaldamento a combustione, come il riscaldamento a gas, stufe a legna o anche l’accensione di candele.

Fonte: Sky TG 24

English translate

IN ITALY THE AIR IS MORE POLLUTED IN HOMES THAN OUTDOORS FOR 6 MONTHS A YEAR. RESEARCH

Milan black jersey at world level. This was revealed by Dyson's first global Air Quality Connected Data project which examined indoor air quality data from over 2.5 million connected air purifiers

Dyson recently presented the results of its global Air Quality Connected Data project, which analyzed indoor air quality information collected from more than 2.5 million Dyson air purifiers between 2022 and 2023, to outline a detailed picture of air quality in homes around the world. All but four of the countries examined recorded indoor PM2.5 levels higher than outdoor ones for six months or more, including Italy - where average monthly indoor PM2.5 values ​​exceeded outdoor ones for seven months in 2022, China, Australia, France, Austria, Canada and Spain, whose homes experienced worse air quality than outdoors for every single month of the year. Only in homes in India, Norway, Poland and Finland were PM2.5 levels generally lower than outside, exceeding them for less than six months during 2022.

Milan black jersey

From the point of view of individual cities, the comparison between outdoor and indoor PM2.5 pollution was particularly negative in Milan, which recorded the worst overall result: the average annual indoor PM2.5 levels in 2022 were 2.63 times higher than those outdoors, a greater discrepancy than any other city studied, with peaks in the months of December (3.46) and January (3.48), up to the record of 4.17 times higher than the values outdoors in March. After Milan, other negative records were those of Shenzhen (with annual indoor PM2.5 levels 97% higher than outdoors), Amsterdam (76%), Seoul (53%), Madrid (50%), Melbourne (40%), Vienna (37%), Singapore (36%) and New York (35%). 21 cities (out of 35 examined) recorded average annual levels of PM2.5 indoors that were higher than outdoors. Analyzing the monthly data, there are eight cities that recorded indoor PM2.5 levels higher than outdoors for every single month of the year: Shenzhen, New York, Melbourne, Milan, Rome, Seoul, Vienna and Amsterdam.

World situation

If you take into consideration the data from Dyson connected purifiers globally for the whole of 2022, ranking countries based on their average PM2.5 level, the results are surprising. While India and China occupy the top two places, probably due to the relationship between indoor and outdoor air quality, Romania ranked sixth, Italy eighth, Poland ninth and Austria tenth. The UK (22nd) overtook the US (26th), Canada (27th) and Australia (28th), but Germany and France ranked even higher, at 17th respectively and in 19th place. The average annual indoor values ​​exceeded the annual WHO guidelines for PM2.5 (5 µg/m3) in all countries involved in the study: in India the value was 11 times higher than the recommended one, in China by 6 times, in Turkey and the United Arab Emirates by 4 times and in South Korea, Romania, Mexico and Italy by 3 times. Italy is among the top 10 countries (8th place) for average annual level of PM2.5, together with India, China, Turkey, United Arab Emirates, South Korea, Romania, Mexico, Poland and Austria; all markets that in the ranking surpass more "typically" polluted countries such as Thailand, Malaysia, the Philippines and Germany.

Average annual values ​​of VOC (Volatile Organic Compounds or VOC Volatil Organic Compounds)

Unlike what was found for PM2.5, according to Dyson connected purifiers, European countries record the highest annual levels of VOCs (Volatile Organic Compounds). The 10 countries with the highest values ​​are in fact Austria, Romania, Germany, Switzerland, Poland, Turkey, India, Italy, China and Ireland. Rome also ranks among the 10 most polluted cities by VOCs in the world, together with Munich, Beijing, Cologne, Berlin, Vienna, Delhi, Istanbul, Shanghai and Mexico City. It's worth highlighting that Dublin, Paris and Milan (the latter, in this case, with levels lower than the national average) still outranked megacities such as Tokyo and Seoul, as well as all US cities and even London.

The impact of weather and time

In most countries surveyed by Dyson, indoor PM2.5 levels were highest during the evening and night hours, coinciding with the time most people spend at home, rather than at work, at school or elsewhere. The data therefore suggests that this longer, more polluted time frame could be responsible for greater exposure to PM2.5 in homes. The peak hours globally were between 6:00 PM and midnight in most geographical areas, while in Italy the most polluted hours are those between 8:00 pm and midnight, in which they are exceeded the WHO daily guidelines on PM2.5 (15 µg/m3) with a minimum of 15.43 and a maximum of 17.32 µg/m3. However, looking on the bright side, Italy is among the geographical areas that exceeded the recommended levels for less than 50% of the day, together with Berlin, Austria, Israel, Poland, Spain (all cities, including the national average) and Romania. Similarly to what happens with the different hours of the day, the seasons also correspond to periods in which we spend more or less time indoors. During the year, up to 90% of our total time is spent indoors, whether at home, at work, or carrying out leisure activities. Data from Dyson connected purifiers highlighted that in 2022 the winter period was the most polluted season globally. One of the reasons behind the higher levels of PM2.5 indoors in colder weather is the fact that we tend to “seal” homes more, keeping windows closed and possibly using combustion heating sources, such as gas heating, wood stoves or even the lighting of candles.

Source: SkyTG24



https://tg24.sky.it/ambiente/2024/01/16/inquinamento-italia-qualita-aria

Aria malsana nel Lazio: cittadini sempre più insofferenti. Cresce interesse verso azione collettiva Consulcesi

Il 2024 inizia con un boom di interesse verso l’azione collettiva di Consulcesi: +14% nell’ultimo mese. Tortorella: “Blocco auto e ‘stare a casa’ non sono soluzioni. Cittadini stanchi chiedono azioni più concrete”

https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=119531


17 GENNAIO 2024 

Aumenta l’inquinamento e di pari passo il malessere dei cittadini laziali. Nella regione l’azione collettiva targata Consulcesi registra un aumento del +14%, passando da circa 20mila ad oltre 23.300 solo negli ultimi 30 giorni, tra dicembre 2023 e le prime due settimane del nuovo anno. La mobilitazione diventa un grido pressante per il riconoscimento del diritto fondamentale a respirare aria salubre, con un numero sempre maggiore di cittadini che manifestano interesse per l’iniziativa collettiva Aria Pulita.

“Sarà per la stanchezza di fronte ai bollettini sempre più critici delle centraline di monitoraggio, per le restrizioni del traffico che complicano una mobilitazione già difficile, o per le crescenti evidenze sugli impatti devastanti sulla salute fisica e mentale, ma dal Lazio arriva un segnale chiaro: la popolazione è preoccupata e chiede azioni più incisive per migliorare la qualità dell’aria”, commenta Massimo Tortorella, Presidente Consulcesi.

“Che quanto è stato fatto finora per salvaguardare la salute dei cittadini non sia abbastanza è purtroppo cosa certa ormai, – aggiunge Tortorella – lo confermano i dati sulla riduzione degli inquinanti e lo ribadisce ancora una volta la Commissione Europea, tornata ad esprimersi sugli sforamenti dei limiti nella Valle del Sacco, registrati in questi giorni”.

La popolazione della zona, infatti, da anni respira aria malsana, ha più volte accertato e condannato la stessa Commissione, che recentemente si è detta preoccupata per i nuovi sforamenti di polveri sottili registrati nella Valle, con concentrazioni pari a 133 microgrammi per metro cubo, contro una soglia massima di 10 µg/m³.

Non solo la Valle del Sacco però, è soffocata dall’inquinamento. Secondo gli ultimi dati Legambiente contenuti nei due report 2023 “Mal’Aria di Città” ed “Ecosistema Urbano”, Frosinone con i suoi 17 microgrammi/m3 di PM2.5 si classifica tra le città con una qualità dell’aria considerata “insufficiente”, mostrandosi in miglioramento negli ultimi dieci anni, ma ben lontana dalla riduzione del 41% necessaria per rientrare nei nuovi limiti UE, da raggiungere quanto prima e non oltre il 2030.

Male, anzi malissimo, la situazione di Roma se si guarda al biossido di azoto (NO2). Per questo inquinante, la città mostra un tasso medio annuo di decrescita pari al -6%, mentre con una concentrazione media annua pari a 33 microgrammi/metro cubo, deve puntare a una riduzione del 39% entro il 2030. All’attuale trend di riduzione, la Capitale impiegherebbe 11 anni, circa il doppio del tempo dettato in sede UE.

Come concludono anche le analisi di Legambiente, i miglioramenti ci sono ma sono troppo piccoli: di questo passo raggiungere i nuovi obiettivi fissati dall’Unione Europea per i livelli di inquinanti atmosferici entro il 2030 risulta irrealizzabile per le città italiane, molto di più si può e si deve fare.

Il Lazio è tra le regioni italiane che ospita più cittadini candidabili all’azione collettiva Aria Pulita. Sono infatti oltre cinque milioni e mezzo i laziali eleggibili per l’iniziativa legale tra i 3.384 comuni e città italiane individuate dal team di Consulcesi tra quelli per i quali la Corte di Giustizia Europea ha multato l’Italia per violazione del superamento dei valori soglia di polveri sottili (PM10) e biossido d’azoto (NO2). In totale sono oltre 110 i comuni laziali in cui la popolazione è stata costretta a respirare aria cattiva e potenzialmente dannosa per la loro salute e che, per questo, possono richiedere un risarcimento alla Stato, aderendo all’azione collettiva Aria Pulita di Consulcesi.

Per partecipare all’azione collettiva, è sufficiente dimostrare, attraverso un certificato storico di residenza, di aver risieduto tra il 2008 e il 2018 in uno o più dei territori coinvolti. Per informazioni su come aderire, Consulcesi mette a disposizione il sito di Aria Pulitawww.aria-pulita.it.

17 Gennaio 2024

Fonte: Quotidiano Sanità

English translate

Unhealthy air in Lazio: increasingly impatient citizens. Interest is growing in Consulcesi collective action

2024 begins with a boom in interest in Consulcesi's collective action: +14% in the last month. Tortorella: “Car lock and 'staying at home' are not solutions. Tired citizens ask for more concrete actions".

Pollution increases and at the same time the discomfort of Lazio citizens. In the region, the collective action by Consulcesi recorded an increase of +14%, going from around 20 thousand to over 23,300 in the last 30 days alone, between December 2023 and the first two weeks of the new year. The mobilization becomes a pressing cry for the recognition of the fundamental right to breathe healthy air, with an ever-increasing number of citizens showing interest in the collective initiative Aria Pulita.

"It may be due to tiredness in the face of increasingly critical bulletins from monitoring stations, due to traffic restrictions that complicate an already difficult mobilisation, or due to the growing evidence on the devastating impacts on physical and mental health, but a clear signal is coming from Lazio region: the population is worried and asks for more incisive actions to improve air quality", comments Massimo Tortorella, President of Consulcesi.

“Unfortunately, it is now certain that what has been done so far to safeguard the health of citizens is not enough,” adds Tortorella. limits in the Sacco Valley, recorded in recent days".

The population of the area, in fact, has been breathing unhealthy air for years, as the Commission itself has repeatedly ascertained and condemned, which recently said it was concerned about the new exceedances of fine particles recorded in the Valley, with concentrations equal to 133 micrograms per cubic meter, against a maximum threshold of 10 µg/m³.

However, not only the Sacco Valley is suffocated by pollution. According to the latest Legambiente data contained in the two 2023 reports "Mal'Aria di Città" and "Ecosistema Urbano", Frosinone with its 17 micrograms/m3 of PM2.5 ranks among the cities with an air quality considered "insufficient", showing improvement over the last ten years, but far from the 41% reduction needed to fall within the new EU limits, to be achieved as soon as possible and no later than 2030 (in line with Agenda 2030 objectives).

The situation in Rome is bad, or rather very bad, if you look at nitrogen dioxide (NO2). For this pollutant, the city shows an average annual rate of decrease of -6%, while with an average annual concentration of 33 micrograms/cubic meter, it must aim for a reduction of 39% by 2030. At the current trend of reduction, the Capital would take 11 years, approximately double the time dictated by the EU.

As Legambiente's analyzes also conclude, there are improvements but they are too small: at this rate, reaching the new objectives set by the European Union for the levels of air pollutants by 2030 is unachievable for Italian cities, much more is possible and it must be done.

Lazio is among the Italian regions that hosts the most citizens eligible for the collective action Aria Pulita. In fact, over five and a half million people from Lazio are eligible for the legal initiative among the 3,384 municipalities and Italian cities identified by the Consulcesi team among those for which the European Court of Justice has fined Italy for violating the threshold values ​​of fine particles (PM10) and nitrogen dioxide (NO2). In total there are over 110 municipalities in Lazio where the population has been forced to breathe bad air that is potentially harmful to their health and which, for this reason, can request compensation from the State by joining the collective action Aria Pulita of Consulcesi.

To participate in the collective action, it is sufficient to demonstrate, through a historical certificate of residence, that you have resided between 2008 and 2018 in one or more of the territories involved. For information on how to join, Consulcesi makes the Aria Pulita website available: www.aria-pulita.it

Source: Quotidiano Sanità


Da smog a salute mentale, i nemici 3.0 del cuore e come difendersi

18 Gennaio 2024 | 13.19 Redazione Adnkronos

Un’ampia review coordinata dal Gemelli Roma: “Il 15% degli infartuati non presenta fattori di rischio noti”

Lo smog in una città

I nemici del cuore e delle coronarie sono tanti e vanno ben al di là di quelli tradizionali, i cosiddetti fattori di rischio modificabili o ‘Smurfs’ (colesterolo, diabete, ipertensione, fumo). Se di certo i ‘grandi classici’ non sono da trascurare, va considerato che almeno il 15% degli infartuati non presenta alcun fattore di rischio noto. E’ dunque necessario allargare la visuale e far luce sui nuovi pericoli dai quali proteggersi. E’ quanto ha cercato di fare una review pubblicata sull”European Heart Journal’, coordinata da ricercatori di Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs-Università Cattolica di Roma, in collaborazione con prestigiosi esperti americani (Deepak Bhatt del Mount Sinai di New York e Sanjay Rajagopalan della Case Western Reserve University di Cleveland).

I risultati dello studio

Lo studio riassume i principali ‘nuovi’ rischi per il cuore nel nome-ombrello di ‘esposoma’. Tra le ‘new entry’ vanno considerati l’inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, esposizione a sostanze chimiche), fattori socio-economici e psicologici (stress, depressione, isolamento sociale), ma anche malattie infettive come l’influenza e il Covid-19, con le quali facciamo pesantemente i conti ogni inverno.

“Sebbene negli anni i trattamenti contro i fattori di rischio tradizionali siano diventati sempre più efficaci e abbiano contribuito non poco a ridurre incidenza e conseguenze della cardiopatia ischemica – sottolinea Rocco Montone, cardiologo presso la UOC Cardiologia intensiva del Gemelli – questa resta la principale causa di morte nel mondo. Per questo l’attenzione si sta allargando dai fattori di rischio tradizionale a tutto ciò che ci circonda, al mondo del quale siamo immersi, fatto di inquinamento, virus, problemi economici e psicologici che, a loro volta, possono contribuire in maniera sostanziale a determinare e perpetuare il problema ‘cardiopatia ischemica’”.

“Questi fattori di rischio – prosegue Montone – interagiscono in modo imprevedibile, spesso potenziandosi tra loro. Ecco perché è necessario considerarli nella loro totalità, includendoli in questo nuovo paradigma dell’esposoma. La nostra review fa dunque il punto su come l’esposizione a lungo termine all’esposoma possa contribuire alla comparsa di cardiopatia ischemica e suggerisce quali potenziali strategie di mitigazione del rischio andrebbero messe in atto”.

Il ruolo dell’inquinamento

Primo fattore analizzato dagli esperti: l’inquinamento ambientale. L’inquinamento atmosferico (soprattutto da Pm2.5 o particolato fine) da solo può ridurre l’aspettativa di vita di 2,9 anni (il fumo di tabacco la riduce di 2,2 anni). Lo studio Global Burden of Disease (Gbd) ha stimato che nel 2019 fossero direttamente riconducibili all’inquinamento nel mondo 7 milioni di decessi (4,1 da inquinamento ambientale e 2,3 da inquinamento domestico). “Questi decessi da inquinamento – spiega Montone – sono causati soprattutto da malattie cardiovascolari (arresto cardiaco, scompenso, aritmie, ictus ischemico e soprattutto infarti) e agiscono su vari meccanismi. L’esposizione all’aria inquinata ad esempio ‘ossida’ il colesterolo cattivo (Ldl), rendendolo più pericoloso, e altera la funzionalità del colesterolo ‘buono’ (Hdl), rendendo così meno efficaci anche le statine. L’esposizione acuta a Pm2.5 proveniente dagli scappamenti dei veicoli diesel può determinare un rialzo improvviso della pressione. Gli inquinanti atmosferici inoltre possono alterare la sensibilità all’insulina e promuovere la comparsa di diabete, attraverso stress ossidativo e infiammazione cronica; secondo il Gbd, fino al 22% dei casi di diabete di tipo 2 potrebbero essere imputati all’inquinamento”.

Pesa anche lo stress sociale

Altri problemi vengono dall’inquinamento acustico, da quello luminoso e dallo stress sociale, che alterando gli ormoni dello stress e i ritmi circadiani (con la deprivazione o frammentazione del sonno) possono peggiorare lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, portando a disfunzione endoteliale, ad una maggior aggregabilità delle piastrine e promuovendo così la comparsa di cardiopatia ischemica.

L’inquinamento del suolo infine, come quello da metalli pesanti (cadmio, piombo e arsenico), pesticidi o particelle di plastica, può contaminare l’acqua e il cibo che mangiamo, contribuendo anch’esso alla comparsa di eventi cardiaci avversi. Anche i cambiamenti climatici, che sono strettamente correlati all’inquinamento, hanno un impatto importante sulla salute del cuore. “Le ondate di caldo – ricorda Montone – sono sempre più frequenti; una prolungata esposizione al caldo è stata di recente correlata ad aumentato rischio di mortalità cardiovascolare”.

Cuore e cervello legati a doppio filo

Da non sottovalutare poi la salute mentale, legata a doppio filo a quella del cuore. Stress cronico, depressione, isolamento sociale e solitudine possono dare un importante contributo alle malattie cardiovascolari. Lo stress determina una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico che può portare a ipertensione arteriosa, mentre l’aumentata produzione di cortisolo dai surreni può promuovere insulino-resistenza e favorire la comparsa di obesità viscerale.

Lo stress infine si associa spesso ad alterate abitudini di vita (dieta poco sana, sedentarietà, fumo) che potenziano i fattori di rischio cardio-vascolari tradizionali. C’è poi il capitolo malattie infettive. Molte infezioni respiratorie come l’influenza e il Covid-19, ma anche le parodontiti e le infezioni da Helicobacter pylori e Chlamydia, sono correlate ad un aumento rischio cardiovascolare; aumentano l’infiammazione sistemica, lo stress ossidativo, l’attivazione piastrinica e possono danneggiare direttamente le cellule del cuore (miociti), evidenzia lo studio.

“Trattare l’esposoma per proteggere il cuore – osservano gli esperti – di certo non è facile come assumere pillola contro il colesterolo o la pressione. E se la responsabilità individuale ha comunque uno spazio importante, sono necessarie anche azioni di politica ambientale e di mitigazione più alte. E’ importante tuttavia essere consapevoli dei rischi e contribuire, ognuno per la nostra parte, alla riduzione di questi fattori di rischio che impattano non solo sul singolo ma su tutta la collettività”.

“Sul fronte dell’inquinamento ambientale – suggerisce Montone – sarebbe opportuno velocizzare la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, mettere in atto politiche per la riduzione del traffico nei centri cittadini e promuovere i trasporti con veicoli a basse o a zero emissioni. Importante anche ripensare le città, evitando la commistione di aree industriali e residenziali.

Se l’esercizio fisico all’aperto è sempre raccomandabile, è importante che venga fatto in aree verdi, lontane dal traffico. Nelle giornate a maggior tasso di inquinamento, potrebbe essere opportuno indossare una mascherina quando si esce o restare in casa con le finestre chiuse, usando dei purificatori d’aria. L’inquinamento acustico si riduce adottando tecnologie per ridurre il rumore dei trasporti, regolamentando il traffico, incoraggiando l’uso di veicoli elettrici, disegnando edifici a prova di rumore, creando aree verdi che fanno da ‘tampone’ naturale dei rumori. L’inquinamento luminoso si combattere a livello pubblico e personale; oltre a ricordarci di spegnere le luci, per favorire l’igiene del sonno, è bene ricordarsi di serrare le tapparelle o di indossare una mascherina sugli occhi”. A livello internazionale sta crescendo il movimento di sensibilizzazione al problema che celebrerà la settimana internazionale ‘DarkSky’, dal 2 all’8 aprile.

L’importanza dell’alimentazione

Anche a tavola bisogna ricordarsi di adottare una dieta da fonti sostenibili, come la dieta mediterranea; ridurre il consumo di carne rossa fa bene alla salute personale e a quella dell’ambiente. Mentre “sul fronte della protezione dalle malattie infettive che mettono a rischio il cuore”, per Montone “è importante insistere nelle campagne vaccinali autunnali contro influenza e Covid-19, promuovere misure l’igiene delle mani, la sanificazione delle superfici e degli ambienti, indossare una mascherina facciale nei luoghi chiusi e affollati”.

“Sebbene la consapevolezza sociale del problema sia in aumento e le principali linee guida cardiovascolari stiano ora prendendo in considerazione l’importanza di ridurre l’esposizione a questi nuovi fattori di rischio cardiovascolare – commenta Filippo Crea, Editor-in-Chief dell’European Heart Journal, direttore del Centro di eccellenza di Scienze cardiovascolari ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola, già ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica – c’è ancora molta strada da fare per implementare strategie preventive e di gestione. In questo contesto, gli operatori sanitari e le organizzazioni pubbliche in generale dovrebbero essere consapevoli della necessità di affrontare questo cambio di paradigma”.

“Infine – conclude Crea – sarà fondamentale promuovere ulteriori ricerche per studiare il modo in cui questi fattori di rischio emergenti, da soli e in combinazione, influiscono sull’integrità del sistema cardiovascolare. E’ importante iniziare a esplorare in profondità il ‘lato nascosto della luna’ in quanto, come dimostrato in un recente lavoro epidemiologico pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, i fattori di rischio noti (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e fumo) spiegano solo metà delle malattie cardiovascolari”.

Fonte: Adnkronos

English translate

From smog to mental health, the 3.0 enemies of the heart and how to defend yourself

An extensive review coordinated by Gemelli Rome: "15% of heart attack patients have no known risk factors"

The enemies of the heart and coronary arteries are many and go far beyond the traditional ones, the so-called modifiable risk factors or 'Smurfs' (cholesterol, diabetes, hypertension, smoking). While the 'great classics' are certainly not to be overlooked, it should be considered that at least 15% of heart attack victims do not present any known risk factor. It is therefore necessary to broaden the view and shed light on the new dangers from which to protect ourselves. This is what a review published in the 'European Heart Journal', coordinated by researchers from Fondazione Policlinico Universitario Gemelli Irccs-Catholic University of Rome, attempted to do, in collaboration with prestigious American experts (Deepak Bhatt of Mount Sinai in New York and Sanjay Rajagopalan of Case Western Reserve University in Cleveland).

The results of the study

The study summarizes the main 'new' risks for the heart under the umbrella name of 'exposome'. Among the 'new entries' we must consider pollution (of air, soil, water, exposure to chemical substances), socio-economic and psychological factors (stress, depression, social isolation), but also infectious diseases such as flu and Covid-19, which we deal with heavily every winter.

"Although over the years the treatments against traditional risk factors have become increasingly effective and have contributed significantly to reducing the incidence and consequences of ischemic heart disease - underlines Rocco Montone, cardiologist at the Gemelli Intensive Cardiology Unit - this remains the main cause of death in the world. For this reason, attention is broadening from traditional risk factors to everything that surrounds us, to the world in which we are immersed, made up of pollution, viruses, economic and psychological problems which, in turn, can contribute in substantial way to determine and perpetuate the problem of 'ischemic heart disease'".

"These risk factors - continues Montone - interact in an unpredictable way, often enhancing each other. This is why it is necessary to consider them in their entirety, including them in this new paradigm of the exposome. Our review therefore takes stock of how exposure to long-term exposure to the exposome may contribute to the onset of ischemic heart disease and suggests which potential risk mitigation strategies should be implemented".

The role of pollution

First factor analyzed by experts: environmental pollution. Air pollution (especially PM2.5 or fine particulate matter) alone can reduce life expectancy by 2.9 years (tobacco smoking reduces it by 2.2 years). The Global Burden of Disease (GBD) study estimated that in 2019, 7 million deaths in the world were directly attributable to pollution (4.1 from environmental pollution and 2.3 from domestic pollution). "These deaths from pollution - explains Montone - are caused above all by cardiovascular diseases (cardiac arrest, heart failure, arrhythmias, ischemic strokes and above all heart attacks) and act on various mechanisms. Exposure to polluted air, for example, 'oxidizes' bad cholesterol (LDL), making it more dangerous, and alters the functionality of 'good' cholesterol (HDL), thus making even statins less effective. Acute exposure to PM2.5 coming from diesel vehicle exhausts can cause a sudden rise in blood pressure Atmospheric pollutants can also alter insulin sensitivity and promote the onset of diabetes, through oxidative stress and chronic inflammation; according to the Gbd, up to 22% of cases of type 2 diabetes could be attributed to pollution".

Social stress also weighs heavily

Other problems come from noise pollution, light pollution and social stress, which by altering stress hormones and circadian rhythms (with sleep deprivation or fragmentation) can worsen oxidative stress and the inflammatory response, leading to endothelial dysfunction, greater aggregability of platelets and thus promoting the appearance of ischemic heart disease.

Finally, soil pollution, such as that from heavy metals (cadmium, lead and arsenic), pesticides or plastic particles, can contaminate the water and food we eat, also contributing to the onset of adverse cardiac events. Climate change, which is closely related to pollution, also has a major impact on heart health. "Heat waves - recalls Montone - are increasingly frequent; prolonged exposure to heat has recently been correlated with an increased risk of cardiovascular mortality".

Heart and brain closely linked

Mental health should not be underestimated, as it is closely linked to that of the heart. Chronic stress, depression, social isolation and loneliness can be major contributors to cardiovascular disease. Stress causes hyper-activation of the sympathetic nervous system which can lead to arterial hypertension, while the increased production of cortisol from the adrenals can promote insulin resistance and favor the onset of visceral obesity.

Finally, stress is often associated with altered lifestyle habits (unhealthy diet, sedentary lifestyle, smoking) which enhance traditional cardiovascular risk factors. Then there is the chapter on infectious diseases. Many respiratory infections such as influenza and Covid-19, but also periodontitis and Helicobacter pylori and Chlamydia infections, are related to an increased cardiovascular risk; they increase systemic inflammation, oxidative stress, platelet activation and can directly damage heart cells (myocytes), the study highlights.

"Treating the exposome to protect the heart - the experts observe - is certainly not as easy as taking pills against cholesterol or blood pressure. And if individual responsibility still has an important place, environmental policy and mitigation actions are also necessary higher. However, it is important to be aware of the risks and contribute, each of us for our part, to the reduction of these risk factors which impact not only on the individual but on the entire community".

"On the environmental pollution front - suggests Montone - it would be appropriate to speed up the transition from fossil fuels to renewable energy, implement policies to reduce traffic in city centers and promote transport with low or zero emission vehicles. It is also important to rethink cities, avoiding the mixing of industrial and residential areas.

While outdoor physical exercise is always recommended, it is important that it is done in green areas, away from traffic. On days with higher levels of pollution, it may be appropriate to wear a mask when going out or stay indoors with the windows closed, using air purifiers. Noise pollution is reduced by adopting technologies to reduce transport noise, regulating traffic, encouraging the use of electric vehicles, designing noise-proof buildings, creating green areas that act as a natural 'buffer' against noise. Light pollution must be fought on a public and personal level; in addition to reminding us to turn off the lights, to promote sleep hygiene, it is good to remember to close the shutters or wear an eye mask". At an international level, the movement to raise awareness of the problem is growing and will celebrate the international 'DarkSky' week ', from 2 to 8 April.

The importance of nutrition

Even at the table we must remember to adopt a diet from sustainable sources, such as the Mediterranean diet; Reducing the consumption of red meat is good for personal health and that of the environment. While "on the front of protection from infectious diseases that put the heart at risk", for Montone "it is important to insist on autumn vaccination campaigns against influenza and Covid-19, promote hand hygiene measures, the sanitisation of surfaces and environments, wear a face mask in closed and crowded places".

"Although social awareness of the problem is increasing and major cardiovascular guidelines are now taking into consideration the importance of reducing exposure to these new cardiovascular risk factors - comments Filippo Crea, Editor-in-Chief of the European Heart Journal, director of the Center of Excellence for Cardiovascular Sciences at the Isola Tiberina-Gemelli Isola hospital, former full professor of Cardiology at the Catholic University - there is still a long way to go to implement preventive and management strategies. In this context, health workers and public organizations in general should be aware of the need to address this paradigm shift."

"Finally - concludes Crea - it will be essential to promote further research to study the way in which these emerging risk factors, alone and in combination, influence the integrity of the cardiovascular system. It is important to begin to explore in depth the 'hidden side of moon' because, as demonstrated in a recent epidemiological work published in the 'New England Journal of Medicine', the known risk factors (hypertension, diabetes, hypercholesterolemia and smoking) explain only half of cardiovascular diseases".

Source: Adnkronos

Altro che deumidificatore, per purificare l’aria in casa ti basterà mettere questa pianta: è ‘magica’

15 Gennaio 2024 di Manuela La Martire

Una pianta con grandi effetti purificanti: ecco cosa devi avere in casa a tutti i costi per un’aria più respirabile.

Non servirà più acquistare un deumidificatore o un purificatore per respirare un’aria migliore nella propria abitazione. Basterà una piantina, anche molto bella esteticamente, che ti aiuterà a vivere meglio in casa. Ecco qual è.

https://ascoli.cityrumors.it/lifestyle/altro-che-deumidificatore-per-purificare-laria-in-casa-ti-bastera-mettere-questa-pianta-e-magica.html

Si tratta di una pianta che non occupa molto spazio, si adatta ad un vaso piccolo, ma può crescere in lunghezza a dismisura. Ecco perché è meglio posizionarla in un punto alto, per permetterle di crescere senza ostacoli. E’ da sempre utilizzata come pianta ornamentale, ma negli ultimi anni sempre più persone stanno apprezzando le sue proprietà.

Stiamo parlando del Pothos, chiamato anche “Ivy del Diavolo”, è capace anche di assorbire sostanze tossiche tra cui il benzene (C6H6) e la formaldeide (CH2O). Si adatta a qualsiasi condizione di luce, qualsiasi luogo ed è anche facile da accudire.

E’ anche un ottimo alleato per coloro che soffrono di allergie respiratorie, soprattutto perché mantiene bassi i livelli di umidità nell’aria. Permette anche di creare un ambiente rilassante e confortevole, riportando al contatto con la natura. Ma come ci si prende cura di questa pianta?

Come prendersi cura di un Pothos

Prendersi cura di questa pianta è davvero semplice, anche per coloro che non hanno il pollice verde. Bisogna solo rispettare alcuni piccoli accorgimenti per permettere al tuo Pothos di crescere rigoglioso e aiutarti nella quotidianità.

Il Pothos o “Ivi del Diavolo” è la pianta che sarà tua complice in casa – Ascoli.CityRumors.it

E’ importante posizionare il Pothos in un punto illuminato ma da luce indiretta, come un ripiano esposto a nord, perché la luce solare diretta potrebbe bruciare le sue foglie. Inoltre, prima di poter procedere con una nuova irrigazione con acqua a temperatura ambiente, è fondamentale aspettare che il terreno si sia completamente asciugato.

E’ essenziale anche procedere con una potatura regolare, che permette alla piantina di sviluppare nuove foglie, oltre a mantenere una dimensione contenuta. Non necessita di concimi particolari, anche se si può fertilizzare il Pothos con un concime liquido bilanciato in primavera ed estate. In inverno non è necessario, perché cresce più lentamente. E’ importante a questo punto controllare la piantina dall’eventuale infestazione da acari o cocciniglie.

Accogliere un Pothos nella tua abitazione non solo ti permetterà di avere una casa decorata in modo naturale ed accogliente, ma ti permetterà di dire addio agli elettrodomestici che controllano la qualità dell’aria, a prescindere se tu sia pratico con le piante o un neofita. Prova per credere, il tuo organismo ti ringrazierà.

Fonte: Ascoli Cityrumors

Other than a dehumidifier, to purify the air in your home you just need to place this plant: it's 'magic'

A plant with great purifying effects: here's what you must have in your home at all costs for more breathable air.

You will no longer need to buy a dehumidifier or purifier to breathe better air in your home. A plan will be enough, even a very aesthetically beautiful one, which will help you live better at home. Here's what it is.

It is a plant that does not take up much space, it fits in a small pot, but can grow enormously in length. This is why it is better to place it in a high point, to allow it to grow without obstacles. It has always been used as an ornamental plant, but in recent years more and more people are appreciating its properties.

We are talking about the Pothos, also called "Devil's Ivy", it is also capable of absorbing toxic substances including benzene (C6H6) and formaldehyde (CH2O). It adapts to any light condition, any location and is also easy to look after.

It's also an excellent ally for those who suffer from respiratory allergies, especially because it keeps humidity levels in the air low. It also allows you to create a relaxing and comfortable environment, bringing you back into contact with nature. But how do you take care of this plant?

How to Care for a Pothos

Taking care of this plant is really simple, even for those who don't have a green thumb. You just need to respect a few small precautions to allow your Pothos to grow lush and help you in everyday life.

It's important to place the Pothos in a spot that is illuminated but provides indirect light, such as a shelf facing north, because direct sunlight could burn its leaves. Furthermore, before proceeding with a new irrigation with water at room temperature, it is essential to wait until the soil has completely dried.

It's also essential to proceed with regular pruning, which allows the plant to develop new leaves, as well as maintaining a contained size. It does not require special fertilizers, although Pothos can be fertilized with a balanced liquid fertilizer in spring and summer. In winter it is not necessary, because it grows more slowly. At this point it is important to check the seedling for any infestation by mites or scale insects.

Welcoming a Pothos into your home will not only allow you to have a home decorated in a natural and welcoming way, but will allow you to say goodbye to appliances that control the quality of the air, regardless of whether you are familiar with plants or a novice. Try it for yourself, your body will thank you.

Source: Ascoli Cityrumors

Tieni queste piante in casa per purificare l’aria: ecco quali coltivare

https://www.travelglobe.it/tieni-queste-piante-in-casa-per-purificare-laria-ecco-quali-coltivare/

18/01/2024 di Vincenzo Galletta

Il ruolo delle nostre amate piante, anche quelle non da appartamento come gli alberi, oltre a quelle da tenere in casa è conosciuto da svariati secoli, in quanto è essenziale per trasformare l’anidride carbonica in ossigeno puro da respirare e più in grande questo importante ruolo è divenuto sempre più importante anche nella sensibilità corale. Ma anche nel nostro “piccolo” alcune piante risultano essere particolarmente importanti da avere in casa, e per purificare l’aria.

Non tutte infatti sono dotate delle medesime capacità di purificazione dell’aria, e diversi esperti botanici ne hanno evidenziate alcune in particolare.

E non si tratta di una forma di “vezzo” o quant’altro ma una questione che viene anche utilizzata nella sua conoscenza ad esempio per coloro che per condizioni lavorative sono costretti a lavorare lontano dal verde.

Quali sono le piante più efficaci per purificare l’aria infatti è qualcosa di assolutamente utile da capire: addirittura alcuni studi della NASA hanno selezionato alcune tipologie di verde da selezionare per le stazioni spaziali e per la vita nello spazio dove ovviamente si è lontani dal pianeta.

Quasi sempre anche le piante da appartamento che possono anche replicate sia con la semina ma anche con la tecnica della talea hanno enormi capacità di “purificazione” dell’aria a partire dalla tradizionale felce, che riesce a “ripulire” l’ossigeno da tracce di componenti sintetici come formaldeide e xilene. In questo senso la felce, che esiste in centinaia di tipologie maggiormente presenta foglie grandi e più riesce a regolarizzare l’umidità del luogo dove si trova.

Anche la tradizionale Dracena, conosciuta anche volgarmente come il tronchetto della felicità può rivelarsi eccellente per capacità anche in spazi ampi come possono esere quelli di un salotto, di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno ed anche fornire la capacità di eliminare il tricloroetilene che viene utilizzato per la pulizia, nei solventi, della casa specie per i metalli.

In tal senso anche il tradizionale ficus ha un ruolo importante, in quanto può essere impiegato per elimianare oltre il già menzionato tricloroetilene  anche il benzene, considerato un elemento da tempo potenzialmente cancerogeno.

Molto interessante anche la capacità di “purificazione” dell’aria della lingua di suocera, nome comune della pianta conosciuta in realtà come Dracaena trifasciata, dalle caratteristiche foglie che vanno verso l’alto: è in grado di eliminare facilmente le tipiche sostanze artificiali contenute nelle varie profumazioni ed è perfetta anche da mantenere in bagno visto che non ha bisogno di tantissima luce ma soprattutto di umidità.

Fonte: Travelglobe

English translate

Keep these plants at home to purify the air: here's which ones to grow

The role of our beloved plants, even non-indoor plants such as trees, as well as those to be kept indoors, has been known for several centuries, as it is essential for transforming carbon dioxide into pure oxygen to breathe and, more importantly, this important role has also become increasingly important in choral sensitivity. But even in our "small" world, some plants are particularly important to have at home, and to purify the air.

In fact, not all of them have the same air purification capabilities, and several botanical experts have highlighted some of them in particular.

And it is not a form of "habit" or anything else but an issue that is also used in its knowledge, for example for those who, due to working conditions, are forced to work away from the greenery.

In fact, which plants are the most effective for purifying the air is something absolutely useful to understand: some NASA studies have even selected some types of greenery to select for space stations and for life in space where obviously we are far from the planet .

Almost always even house plants which can also be replicated both with sowing but also with the cutting technique have enormous "purification" capabilities of the air starting from the traditional fern, which manages to "clean" the oxygen from traces of synthetic components such as formaldehyde and xylene. In this sense, the fern, which exists in hundreds of types, has larger leaves and is more able to regulate the humidity of the place where it is found.

Even the traditional Dracena, also commonly known as the log of happiness, can prove to be excellent for its ability even in large spaces such as those of a living room, to transform carbon dioxide into oxygen and also provide the ability to eliminate the trichlorethylene which is used for cleaning the house, in solvents, especially for metals.

In this sense, the traditional ficus also has an important role, as it can be used to eliminate not only the aforementioned trichlorethylene but also benzene, which has long been considered a potentially carcinogenic element.

Also very interesting is the ability of "mother-in-law's tongue" to "purify" the air, the common name of the plant actually known as Dracaena trifasciata, with the characteristic leaves that go upwards: it is able to easily eliminate the typical artificial substances contained in various fragrances and is also perfect to keep in the bathroom since it doesn't need a lot of light but above all humidity.

Source: Travelglobe

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

LA SPAGNA ABBANDONERA’ GRADUALMENTE L’ENERGIA NUCLEARE

Le cinque centrali ancora attive sul territorio verranno chiuse entro il 2035, nell’ambito dei piani del governo per la transizione energetica

The five plants still active in the area will be closed by 2035, as part of the government's plans for the energy transition.
La centrale nucleare di Trillo, vicino a Guadalajara (Miguel Candela/ SOPA Images via ZUMA Press Wire, ANSA)
https://www.ilpost.it/2023/12/27/spagna-chiusura-centrali-nucleari/
Centrale nucleare di Trillo, Guadalajara Spagna
https://www.google.com/maps/place/Centrale+nucleare+di+Trillo/@40.7016841,-2.6282082,594m/data=!3m1!1e3!4m10!1m2!2m1!1sCentral+Nuclear,+Trillo,+Spagna!3m6!1s0xd432f581d42787b:0x2548c700fd47d160!8m2!3d40.7016841!4d-2.6237021!15sCh9DZW50cmFsIE51Y2xlYXIsIFRyaWxsbywgU3BhZ25hkgETbnVjbGVhcl9wb3dlcl9wbGFudOABAA!16s%2Fm%2F02r7hcs?hl=it&entry=ttu

Mercoledì il Consiglio dei ministri spagnolo ha approvato il nuovo piano generale per la gestione dei residui radioattivi, che dopo otto anni di discussioni prevede anche l’abbandono graduale dell’energia nucleare entro il 2035. Attualmente la Spagna ricava circa un quinto dell’energia elettrica dalle sue cinque centrali nucleari attive, che furono aperte nella seconda metà degli anni Ottanta e pensate per durare 40 anni. Secondo i piani del governo del Primo Ministro socialista Pedro Sánchez, nel 2035 la rete elettrica nel paese dovrà essere alimentata perlopiù da fonti di energia rinnovabili.

Il piano annunciato dal governo spagnolo prevede che le centrali ancora attive nel paese verranno chiuse a partire dal novembre del 2027, cominciando con i due reattori di Almaraz, in Estremadura, e proseguendo con quelli di Cofrentes (vicino a Valencia), Trillo (Guadalajara), Ascó e Vandellós (entrambe vicine a Tarragona) entro il maggio del 2035. Il governo ha detto che il processo per completare lo smantellamento delle centrali e delle loro scorie (il cosiddetto decommissioning) costerà circa 20,2 miliardi di euro, che verranno finanziati con le tasse pagate dalle società elettriche per il trattamento dei rifiuti pericolosi.

Secondo il piano presentato dal governo, le scorie poco pericolose verranno trasportate in un magazzino nella provincia di Cordoba, che verrà ampliato. Quelle più pericolose invece dovranno essere conservate in sette depositi temporanei, cinque da costruire vicino alle centrali che al momento sono ancora attive e due accanto a quelle di Santa María de Garoña (vicino a Burgos) e José Cabrera (a est di Madrid), che sono già in fase di smantellamento.

Il piano prevede anche di individuare entro i prossimi cinquant’anni un sito dove le scorie nucleari potranno essere depositate in via permanente. Durante il mandato di Mariano Rajoy, al governo tra il 2011 e il 2018, era stato individuato quello di Villar de Cañas, un piccolo comune nella comunità autonoma di Castiglia-La Mancia: il sito però è stato ritenuto non idoneo e nessuna delle comunità autonome della Spagna si era offerta per costruire un deposito permanente nel proprio territorio. Fino ad allora, le scorie saranno conservate nei cinque depositi temporanei vicini alle centrali in corso di smantellamento.

Il Partito Popolare, di destra, all’opposizione, aveva cercato di ostacolare l’abbandono graduale dell’energia nucleare, così come una delle principali lobby del settore, che aveva fatto pressioni per posticipare i termini del cosiddetto phase out per garantire, a suo dire, stabilità alle forniture. Il governo comunque ha fatto alcune concessioni, come quella di ampliare i termini per presentare progetti per la costruzione di nuove infrastrutture per la transizione energetica da sei a 49 mesi.

English translate

The Spanish Council of Ministers on Wednesday approved the new general plan for the management of radioactive waste, which after eight years of discussions also includes the gradual abandonment of nuclear energy by 2035. Spain currently produces around a fifth of its electricity from its five active nuclear power plants, which were opened in the second half of the 1980s and designed to last 40 years. According to the plans of the government of socialist Prime Minister Pedro Sánchez, in 2035 the country's electricity grid will have to be powered mostly by renewable energy sources.

The plan announced by the Spanish government provides that the plants still active in the country will be closed starting from November 2027, starting with the two reactors in Almaraz, in Extremadura, and continuing with those in Cofrentes (near Valencia), Trillo (Guadalajara) , Ascó and Vandellós (both near Tarragona) by May 2035. The government has said that the process to complete the dismantling of the power plants and their waste (so-called decommissioning) will cost around 20.2 billion euros, which will be financed with the taxes paid by electricity companies for the treatment of hazardous waste.

According to the plan presented by the government, the less dangerous waste will be transported to a warehouse in the province of Cordoba, which will be expanded. The most dangerous ones, however, will have to be stored in seven temporary depots, five to be built near the power plants that are currently still active and two next to those of Santa María de Garoña (near Burgos) and José Cabrera (east of Madrid), which they are already being dismantled.

The plan also envisages identifying a site within the next fifty years where nuclear waste can be permanently stored. During the mandate of Mariano Rajoy, in government between 2011 and 2018, Villar de Cañas, a small municipality in the autonomous community of Castile-La Mancha, was identified: the site, however, was deemed unsuitable and none of the autonomous communities of Spain had offered to build a permanent depot in its territory. Until then, the waste will be stored in five temporary depots near the plants being dismantled.

The right-wing opposition People's Party had tried to hinder the gradual abandonment of nuclear energy, as had one of the main lobbies in the sector, which had lobbied to postpone the terms of the so-called phase out to guarantee, in its say, stability of supplies. However, the government has made some concessions, such as extending the deadlines for submitting projects for the construction of new infrastructure for the energy transition from six to 49 months.

Fonte: Il Post

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto al Cambiamento Climatico in atto

AGGIORNAMENTI GUERRA ISRAELE-HAMAS

Vasto (CH), lì 2 Novembre 2023

Inserisco di seguito tutti gli aggiornamenti X ed Instagram in merito alla guerra tra Israele ed Hamas scoppiata il 7 Ottobre 2023 e che va avanti ormai da 26 giorni con intensi bombardamenti di aerei e droni israeliani sui civili palestinesi lungo la Striscia di Gaza tra Gaza, Deir Al Bahari, Khan Younis e Rafah ed Hamas che in risposta agli attacchi israeliani, lancia giornalmente razzi verso Tel Aviv da Sud, ma anche i guerriglieri Hezbollah del Libano, armato e sostenuto dall’Iran anche a difesa dei palestinesi, stanno aprendo un secondo fronte di guerra a Nord di Israele, tirando missili anche loro verso Tel Aviv, una delle maggiori città israeliane che si affaccia sul Mar Mediterraneo.

https://twitter.com/potere_alpopolo/status/1719073527557505073?s=20

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/10/30/ambasciatore-palestinese-a-onu-gaza-e-linferno-in-terra_87826510-eb3e-440d-9d0d-ed1f6bb0eb59.html

https://twitter.com/bralex84/status/1719694256279826591?s=20

https://www.reportdifesa.it/guerra-israele-hamas-litalia-invia-un-c-130-dellaeronautica-militare-con-i-primi-aiuti-umanitari-alla-popolazione-palestinese-pronti-anche-assetti-della-marina/
https://www.ilmessaggero.it/schede/israele_gaza_mappa_invasione_tagliare_in_due_cosa_prevede-7727517.html
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2023/11/01/onu-denuncia-al-campo-di-jabalia-una-nuova-atrocita-_cbe8cd4d-10c6-45ad-a882-ae9d02cce628.html
https://www.thebigride4palestine.com/newsletters
https://mailchi.mp/amostrust/run-the-wall-gaza-1
https://www.dogsection.org/product/free-palestine-by-matt-bonner
http://www.mofa.ps/en/press-release/2823/
https://www.aljazeera.com/middle-east/
https://www.aljazeera.com/program/newsfeed/2023/11/2/whats-happening-at-gazas-rafah-crossing
https://www.aljazeera.com/news/2023/11/2/un-experts-demand-ceasefire-warn-gaza-is-running-out-of

https://twitter.com/bralex84/status/1720163884571484411?s=20

https://twitter.com/bralex84/status/1720164863752732759?s=20

https://www.aljazeera.com/news/liveblog/2023/11/2/israel-hamas-war-live-195-killed-120-missing-in-jabalia-strikes
https://www.aljazeera.com/features/2023/11/1/inside-benjamin-netanyahus-mind-how-is-israels-pm-plotting-the-war

https://twitter.com/freedompalest1/status/1720225082511855989?s=20

https://twitter.com/umyaznemo/status/1720142877861224524?s=20

https://www.reuters.com/world/middle-east/health-ministry-gaza-says-israel-targeted-convoy-ambulances-leaving-al-shifa-2023-11-03/
https://www.aljazeera.com/news/2023/11/3/several-killled-in-israeli-attack-on-ambulance-convoy-gaza-health-ministry
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/genova-barcellona-sidney-i-lavoratori-portuali-si-rifiutano-di-caricare-le-navi-con-le-armi-per-israele/7345757/
https://www.linkiesta.it/2023/11/negoziatore-qatar-ostaggi-israele-gaza/
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2023/11/06/guterres-rilancia-appello-a-un-cessate-il-fuoco-umanitario_e8516082-eb95-47f4-bdce-3aa9776192d0.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/il-ponte-aereo-della-giordania-per-portare-medicine-a-gaza-cosa-ce-dietro-il-via-libera-degli-americani-secondo-la-stampa-araba/7346050/
https://us02web.zoom.us/meeting/register/tZAlc-mqpjIsHdZYlaQaxVwZCgPblzElk0Ws#/registration
https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2023/11/08/gaza-palestinesi-riempiono-i-serbatoi-delle-automobili-con-olio-da-cucina_1be1b7d7-c093-4e23-80f5-331df34c22dd.html
https://www.amostrust.org/diary/webinar-jabalia-a-community-destroyed/
https://www.eventbrite.co.uk/e/arnas-children-screening-at-the-plough-bristol-tickets-753754308427
https://www.carc.it/2023/11/03/quello-che-la-resistenza-palestinese-dice-alle-masse-popolari-italiane/
https://www.carc.it/2023/11/03/allarme-terrorismo-a-volte-ritorna/
https://www.carc.it/2023/11/03/la-solidarieta-alla-palestina-nei-paesi-imperialisti/
https://www.carc.it/2023/11/03/non-un-uomo-ne-un-soldo-ne-un-metro-di-terra-per-la-guerra-degli-imperialisti/
https://tg24.sky.it/mondo/2023/11/10/guerra-israele-palestina-hamas-gaza-10-novembre-diretta
https://www.corriere.it/scuola/universita/23_novembre_10/guerra-gaza-appello-4000-docenti-universitari-basta-collaborazioni-gli-atenei-israeliani-afe1b754-7fd4-11ee-ac1f-c583414f2aa2.shtml
Al-Shifa Hospital, Al-Nasr Psychiatric Hospital and Victory Children’s Pediatric Hospital in Gaza occupied by Israel Zionist tanks for order from Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu that he will must condamn for genocide and war crimes against Palestinian population
https://www.google.com/maps/place/Psychiatric+Hospital,+Al-Nasr+Medical+Complex/@31.5333574,34.4576239,638m/data=!3m1!1e3!4m6!3m5!1s0x14fd7fb1bbc4a675:0x9604512b70cfbc78!8m2!3d31.5335083!4d34.4600594!16s%2Fg%2F11vc0hpd5q?hl=it&entry=ttu
https://www.rainews.it/maratona/2023/11/la-battaglia-degli-ospedali-civili-in-trappola-bf3dd36b-04a9-4e1c-a2be-2f79e5e80a20.html
https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2023/11/12/il-chirurgo-di-msf-allospedale-di-al-shifa-a-gaza-nessuno-ci-ascolta_da3c75fc-7704-4b25-8c41-e78cfb783710.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/13/borrell-parte-per-il-medio-oriente-e-chiede-limpegno-dellue-su-gaza-poi-propone-il-suo-schema-in-6-punti-per-la-palestina/7352332/

Yasser Arafat, OLP Al-Fatah leader of Palestine
Muhamed Abbas, Abu Mazen, OLP Al-Fatah leader of Palestine base in Ramallah, West Bank from 2008

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus

L’ISTAT FOTOGRAFA UN’ITALIA SEMPRE PIU’ VECCHIA ED IMPOVERITA

https://www.lindipendente.online/2023/07/10/listat-fotografa-unitalia-sempre-piu-vecchia-e-impoverita/

L’Italia non è un Paese per giovani e donne, soprattutto se meridionali. Non il titolo di un film ma lo scenario desolante che ha immortalato l’ISTAT nel “Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese”. Un Paese che invecchia sempre di più, vede emigrare i propri giovani e non tutela quelli che restano. Quasi la metà dei 18-34enni (10 milioni e 273 mila persone) mostra almeno un “segnale di deprivazione” in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo e territorio. In Italia 1,7 milioni di giovani non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione: si tratta di circa un under 30 su cinque. In questa triste classifica le ragazze staccano i ragazzi di quasi 3 punti percentuali (20,5% e 17,7%). Anche quando riescono a trovare lavoro, i giovani devono fare i conti con precarietà e stipendi da fame.

Tra il 2004 e il 2022, il tasso di occupazione per i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali, mentre per i 50-64 enni è aumentato del 19,2%. Il divario occupazionale tra due generazioni agli antipodi, una avviatasi verso la pensione e l’altra agli inizi della carriera lavorativa, è oggi ampissimo. Nel caso degli under 35, il tasso di occupazione si ferma al 43,7%, mentre nella fascia 50-64 anni la percentuale sale al 61,5%. Una differenza del 17,8%, figlia di politiche e di una cultura restie alla valorizzazione dei giovani. Sul coinvolgimento attivo delle nuove generazioni ha più volte scritto lo psicanalista Umberto Galimberti: «Noi i giovani non li usiamo… gli facciamo fare le fotocopie, i lavori a Cococo, i lavori a progetto, i lavori in affitto… ma il massimo della potenza creativa, il momento intuitivo, è in quell’età lì».

Non è un caso che i segnali di deprivazione si manifestino in modo più intenso nella fascia di età 25-34 anni. Un periodo che apre a passaggi impegnativi, come l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia e l’inizio di una vita autonoma. Percorsi non sempre possibili a causa della precarietà del mondo del lavoro. Come evidenziato dall’ISTAT, la situazione non è delle migliori nemmeno in caso di occupazione: la retribuzione media annua lorda per dipendente è di quasi 27 mila euro, inferiore del 12% alla media europea. Tuttavia, un giovane guadagna di solito la metà di un collega adulto: come evidenziato da uno studio del Consiglio nazionale dei giovani e di EURES, il 43% degli under 35 percepisce una retribuzione netta mensile inferiore a 1000 euro.

Tra il 2000 e il 2021, tutte le regioni italiane hanno perso posizioni nella classifica europea del PIL pro capite PPA (a parità di potere d’acquisto). Si tratta di un fallimento anomalo delle politiche di coesione messe in campo da Bruxelles. I 21 anni analizzati hanno infatti visto una generale convergenza tra le economie e i tenori di vita dei diversi territori dell’UE. Fanno eccezione la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, con particolare riguardo per il Mezzogiorno. Alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) sono andati nello scorso bilancio UE (2014-2020) il 69% delle risorse stanziate per le politiche di coesione. Nonostante ciò, le regioni hanno continuato la loro regressione: la Calabria è passata dal 182esimo al 214esimo posto, la Sicilia dal 173esima al 208esimo, la Campania dal 165esimo al 201esimo. Una situazione favorita dalla mancanza di politiche incisive e di una gestione virtuosa da parte dello Stato e degli enti minori italiani.

[di Salvatore Toscano]

Fonte: L’Indipendente Online

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

FEEDBACK SULL’ALLENAMENTO, VALORI EDUCATIVI DEGLI SPORT OUTDOOR, SAPER ANDARE IN BICICLETTA

https://www.sportsdenature.gouv.fr/retour-sur-la-formation-valeurs-educatives-des-sports-de-nature-et-savoir-rouler-a-velo

Ce stage organisé du 4 au 6 octobre 2022 à Lacanau (Gironde) visait à interroger les liens entre les valeurs éducatives des sports de nature et le Savoir rouler à vélo (SRAV).

Il s’agissait tout particulièrement de mettre en dialectique les compétences d’un éducateur sport de nature avec celles d’un animateur du Savoir rouler. Cette clé de lecture s’avère particulièrement intéressante pour tenter de dépasser les difficultés actuelles de mise en œuvre du bloc 3 du SRAV.

En s’appuyant sur des mises en situations concrètes, 13 agents du ministère chargé des Sports (en services déconcentrés ou en établissement national de formation) ont expérimenté les risques d’un déplacement à vélo, la gestion de la sécurité en groupe et ont interrogé l’accès à l’autonomie en circulation ouverte et la nécessité de responsabiliser les enfants.

Les stagiaires ont ainsi abordé les points suivants : missions d’un référent SRAV ; les enjeux des acteurs territoriaux de ce dispositif ; moyens de financements disponibles ; enfin, quelles sont les freins (ou les solutions) permettant de sensibiliser et de développer l’apprentissage du vélo chez les plus jeunes ?

Lors de ces temps de travail, les témoignages et échanges ont permis à chacun de confronter points de vue et expériences professionnelles afin d’avancer vers une culture commune des enjeux éducatifs. Cette formation inscrite sur le plan national de formation s’est construite dans la continuité des formations des années précédentes, interrogeant l’apport éducatif des sports de nature auprès des jeunes. Elle a été conduite en partenariat avec l’UFOLEP et de la Fédération française sports pour tous.

À la suite du plébiscite de cette formation et au nombre limité de places, une nouvelle session sera proposée en 2023.

Traduzione in italiano

Questo corso organizzato dal 4 al 6 ottobre 2022 a Lacanau (Gironda) mirava a mettere in discussione i legami tra i valori educativi degli sport naturali e Saper andare in bicicletta (SRAV).

Si trattava in particolare di mettere in dialettica le competenze di un educatore sportivo outdoor con quelle di un facilitatore di Know how to ride. Questa chiave di lettura è particolarmente interessante nel tentativo di superare le attuali difficoltà di attuazione del blocco 3 dello SRAV.

Sulla base di situazioni concrete, 13 agenti del Ministero dello Sport (in servizi decentrati o in un istituto di formazione nazionale) hanno sperimentato i rischi del viaggio in bicicletta, la gestione della sicurezza di gruppo e hanno intervistato l'autonomia nel traffico aperto e la necessità di responsabilizzare i bambini.

I tirocinanti hanno quindi affrontato i seguenti punti: missioni di un referente SRAV; le poste in gioco degli attori territoriali di questo sistema; mezzi di finanziamento disponibili; infine, quali sono i freni (o le soluzioni) che consentono di sensibilizzare e sviluppare l'apprendimento della bicicletta tra i più giovani?

Durante questi orari di lavoro, testimonianze e scambi hanno permesso a tutti di confrontare punti di vista ed esperienze professionali per avvicinarsi ad una cultura comune delle problematiche educative. Questa formazione, che fa parte del Piano nazionale di formazione, si basa sulla continuità dei percorsi formativi degli anni precedenti, mettendo in discussione il contributo educativo degli sport naturali ai giovani. È stato condotto in collaborazione con UFOLEP e la Federazione sportiva francese per tutti.

A seguito del plebiscito di questa formazione e del numero limitato di posti, nel 2023 sarà offerta una nuova sessione.

Fonte: Sports de Nature, PRNSN (Pole Resources National Sports de Nature)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo