poveri

L’ISTAT FOTOGRAFA UN’ITALIA SEMPRE PIU’ VECCHIA ED IMPOVERITA

https://www.lindipendente.online/2023/07/10/listat-fotografa-unitalia-sempre-piu-vecchia-e-impoverita/

L’Italia non è un Paese per giovani e donne, soprattutto se meridionali. Non il titolo di un film ma lo scenario desolante che ha immortalato l’ISTAT nel “Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese”. Un Paese che invecchia sempre di più, vede emigrare i propri giovani e non tutela quelli che restano. Quasi la metà dei 18-34enni (10 milioni e 273 mila persone) mostra almeno un “segnale di deprivazione” in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo e territorio. In Italia 1,7 milioni di giovani non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione: si tratta di circa un under 30 su cinque. In questa triste classifica le ragazze staccano i ragazzi di quasi 3 punti percentuali (20,5% e 17,7%). Anche quando riescono a trovare lavoro, i giovani devono fare i conti con precarietà e stipendi da fame.

Tra il 2004 e il 2022, il tasso di occupazione per i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali, mentre per i 50-64 enni è aumentato del 19,2%. Il divario occupazionale tra due generazioni agli antipodi, una avviatasi verso la pensione e l’altra agli inizi della carriera lavorativa, è oggi ampissimo. Nel caso degli under 35, il tasso di occupazione si ferma al 43,7%, mentre nella fascia 50-64 anni la percentuale sale al 61,5%. Una differenza del 17,8%, figlia di politiche e di una cultura restie alla valorizzazione dei giovani. Sul coinvolgimento attivo delle nuove generazioni ha più volte scritto lo psicanalista Umberto Galimberti: «Noi i giovani non li usiamo… gli facciamo fare le fotocopie, i lavori a Cococo, i lavori a progetto, i lavori in affitto… ma il massimo della potenza creativa, il momento intuitivo, è in quell’età lì».

Non è un caso che i segnali di deprivazione si manifestino in modo più intenso nella fascia di età 25-34 anni. Un periodo che apre a passaggi impegnativi, come l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia e l’inizio di una vita autonoma. Percorsi non sempre possibili a causa della precarietà del mondo del lavoro. Come evidenziato dall’ISTAT, la situazione non è delle migliori nemmeno in caso di occupazione: la retribuzione media annua lorda per dipendente è di quasi 27 mila euro, inferiore del 12% alla media europea. Tuttavia, un giovane guadagna di solito la metà di un collega adulto: come evidenziato da uno studio del Consiglio nazionale dei giovani e di EURES, il 43% degli under 35 percepisce una retribuzione netta mensile inferiore a 1000 euro.

Tra il 2000 e il 2021, tutte le regioni italiane hanno perso posizioni nella classifica europea del PIL pro capite PPA (a parità di potere d’acquisto). Si tratta di un fallimento anomalo delle politiche di coesione messe in campo da Bruxelles. I 21 anni analizzati hanno infatti visto una generale convergenza tra le economie e i tenori di vita dei diversi territori dell’UE. Fanno eccezione la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, con particolare riguardo per il Mezzogiorno. Alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) sono andati nello scorso bilancio UE (2014-2020) il 69% delle risorse stanziate per le politiche di coesione. Nonostante ciò, le regioni hanno continuato la loro regressione: la Calabria è passata dal 182esimo al 214esimo posto, la Sicilia dal 173esima al 208esimo, la Campania dal 165esimo al 201esimo. Una situazione favorita dalla mancanza di politiche incisive e di una gestione virtuosa da parte dello Stato e degli enti minori italiani.

[di Salvatore Toscano]

Fonte: L’Indipendente Online

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

VIA IL GOVERNO DELLA GUERRA

https://www.carc.it/2023/01/29/via-il-governo-della-guerra/

La guerra ibrida che la Nato sta conducendo contro la Federazione Russa dal 2014 ha subito una svolta il 24 febbraio 2022, quando è iniziata l’operazione speciale russa in territorio ucraino. Nel nostro paese il governo era nelle mani di Mario Draghi.

Tutti i lettori ricorderanno che, quando Draghi fu installato con un colpo di mano di Mattarella (nel febbraio 2021), la manovra fu giustificata dal fatto che al paese serviva “il migliore” interprete del programma della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti. Un governo “dei migliori” avrebbe creato le condizioni per intascare i soldi del Pnrr e rimettere in sesto il paese dopo la pandemia.

Cosa si celasse dietro la propaganda di regime è ormai evidente: il Pnrr era un ricatto della Ue per imporre a tappe forzate lo smantellamento delle residue conquiste delle masse popolari e favorire le speculazioni finanziarie. E il governo Draghi aveva il compito di aumentare la sottomissione e la dipendenza del nostro paese ai circoli internazionali della speculazione finanziaria. La cosa è diventata palese dal 24 febbraio 2022.

Il governo italiano è stato fra i più solerti e zelanti a mettere in pratica le indicazioni della Nato: invio di armi all’esercito ucraino, invio di denaro al governo ucraino, applicazione di sanzioni contro la Federazione Russa, accordi capestro per forniture di gas, avvio di un vasto piano di opere inutili e dannose “per fare fronte alla crisi energetica” (vedi i rigassificatori). Il tutto accompagnato da una martellante propaganda bellica e atlantista, con messa alla gogna dei non allineati.

Sotto il profilo tecnico, il governo Draghi ha più volte violato la Costituzione, ha agito in modo illegale.

Un parlamento appena un po’ democratico (non certo “rivoluzionario”, ma ispirato alla Costituzione) avrebbe avuto ampi margini per ostacolare Draghi. Ma il parlamento italiano, al netto di qualche ininfluente eccezione, si è limitato a poche “critiche”, inutili sul piano pratico, ma sufficienti a spingere i vertici della Repubblica Pontificia italiana a immaginare – e pretendere – un parlamento ancora più asservito.

Da qui la decisione di Mattarella di indire a luglio le elezioni politiche del 25 settembre. Elezioni indette in fretta e furia, appositamente per ostacolare la partecipazione di liste anti Larghe Intese. Un colpo di mano riuscito solo in parte e solo per gli errori delle liste anti Larghe Intese che si sono presentate alle elezioni divise e in concorrenza fra loro.

Le elezioni del 25 settembre le ha “vinte” Fratelli d’Italia, alla testa di una coalizione che aveva promesso agli elettori discontinuità e cambiamento. Ci hanno creduto in pochi: con un tasso di astensione al 36%, FdI ha raccolto solo il 14.4% dei voti, l’intera coalizione il 24.8%. Ma Giorgia Meloni era già stata scelta per formare il governo e proseguire nell’attuazione dell’agenda Draghi.

A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina e a cinque mesi dall’installazione del governo Meloni, i nodi vengono al pettine. Il governo Meloni ha dimostrato di essere uguale al governo Draghi.

Ha aggirato il parlamento e determinato per decreto la prosecuzione della fornitura di armi italiane all’esercito ucraino. Su quali e quante siano le armi vige il più stretto riserbo.

Ha rinnovato l’impegno a sostenere economicamente il governo ucraino, ma anche in questo caso non è dato conoscere le cifre.

Ha rinnovato l’adesione alle sanzioni contro la Federazione Russa, nonostante siano un flagello per il nostro paese.

Ha fatto ulteriori passi per la realizzazione delle opere necessarie a “fare fronte alla crisi energetica” a dispetto dell’opposizione di intere comunità e nonostante il loro impatto sui territori sia devastante e la loro pericolosità certificata.

Ha proceduto con le manovre per rafforzare e ampliare (o costruire da zero, come a Coltano) basi militari italiane e Usa.

Tuttavia, una differenza fra il governo Draghi e il governo Meloni c’è ed è importante.

Il governo Draghi è stato imposto “dall’alto” e non ha mai dovuto rendere conto della sua opera alle masse popolari.

Giorgia Meloni sostiene di aver vinto le elezioni, di avere il mandato delle masse popolari per governare. Ma la maggioranza delle masse popolari è contro la partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato, è contro le sanzioni alla Federazione Russa, è contro la sottomissione e la dipendenza del paese alla Nato e alla Ue. E di questo Giorgia Meloni dovrà, prima o poi, rendere conto.

Al momento, nel nostro paese non c’è una mobilitazione generale e dispiegata contro la guerra e contro il governo della guerra. Questo permette a Giorgia Meloni di arrampicarsi sugli specchi: colleziona “figure barbine” (vedi le promesse non mantenute sulle accise sul carburante) e incolpa altri delle sue responsabilità (ad esempio i benzinai per i rincari sul carburante). Ma la mobilitazione delle masse popolari cresce, anche se non c’è ancora un centro autorevole che si faccia carico di svilupparla pienamente, ed è destinata a svilupparsi.

La questione di fondo, quindi, NON è sperare che la mobilitazione si estenda e salga di tono e aspettare che succeda, ma partecipare attivamente al movimento che la fa crescere. A questo proposito, la linea del P.ARC è chiaramente indicata nella Risoluzione n. 1 in discussione al VI Congresso Nazionale.

“I comunisti devono mettersi alla testa per sviluppare in ogni settore della popolazione operazioni specifiche dirette a

1. denunciare le operazioni militari delle Forze Armate (FFAA) italiane, la promozione del reclutamento di volontari e di mercenari nelle milizie ucraine, il sostegno logistico e informatico alle operazioni militari ucraine;

2. denunciare le operazioni di sostegno alle forze armate ucraine svolte a partire dalle basi Usa-Nato posizionate in Italia;

3. denunciare e lottare contro la moltiplicazione delle esercitazioni militari e l’ampliamento delle basi militari Usa, Nato e italiane;

4. denunciare e sabotare le sanzioni commerciali, monetarie e finanziarie contro la Federazione Russa (grande produttore ed esportatore mondiale di grano e fertilizzanti, nonché primo esportatore di gas naturale e petrolio per l’Italia e la gran parte del continente europeo) che si ritorcono contro le masse popolari italiane: aumento dei prezzi, carovita, riduzione delle esportazioni con smantellamento di strutture produttive;

5. protestare contro queste operazioni militari ed economiche e contro il riarmo che sottrae risorse alle masse popolari (servizio sanitario, sistema scolastico e università e altre strutture dello “Stato sociale”);

6. boicottare e sabotare le operazioni militari;

7. far partecipare sia la truppa che gli ufficiali alla lotta contro la guerra (anche solo attraverso denunce circostanziate relative alle modalità e alle operazioni con cui il governo italiano invia armi e sistemi di armi all’Ucraina e truppe nei paesi vicini) facendo leva sulle contraddizioni già esistenti nelle FFAA.

Porre fine alla partecipazione dell’Italia alla guerra in corso in Ucraina è l’azione più efficace che le masse popolari italiane possono fare a tutela dei propri particolari interessi e per porre fine o almeno ostacolare la continuazione della guerra e quindi venire in aiuto alle popolazioni colpite”.

Contro la propaganda di guerra a Sanremo e in tutta Italia!

https://www.carc.it/2023/02/09/contro-la-propaganda-di-guerra-a-sanremo-e-in-tutta-italia/

Sabato 11 febbraio, davanti alla sede Rai delle principali città del paese, il Partito Comunista, insieme a organizzazioni come Fisi, Ancora Italia per la sovranità democratica e altre, ha organizzato la mobilitazione Spegni Sanremo per manifestare contro la partecipazione del presidente ucraino al Festival della canzone italiana e più in generale contro la guerra che l’Italia, al fianco della Nato, sta portando avanti contro la Federazione russa. Nonostante la presenza di Zelensky sia saltata, come anche la messa in onda del suo video messaggio, sarà Amadeus a fare le sue veci leggendone il discorso in prima serata su Rai uno, seguito da milioni di telespettatori.

È questa l’ultima trovata della classe dominante per tentare di mantenere la fiducia delle masse popoli verso le manovre di guerra del governo Meloni, proprio in questa fase in cui la quota dei contrari all’invio di armi all’Ucraina è la più alta dall’inizio del conflitto, circa il 52% secondo un sondaggio Euromedia.

In Italia aumentano i poveri, altro che spese militari!

Mentre in televisione va avanti lo show necessario a giustificare l’aumento delle spese militari, che con la Legge finanziaria del 2023 hanno visto un incremento di 800 milioni di euro, per un totale di 26,5 miliardi, i salari non accennano ad aumentare e le spese per servizi e beni di prima necessità continuano ad aumentare, tanto che oggi nel nostro paese anche chi ha un lavoro rasenta la soglia di povertà. Per un approfondimento vedi l’articolo Mobilitazione generale per l’aumento di salari, stipendi e pensioni • Partito dei CARC

La mobilitazione indetta per sabato 11 febbraio deve essere solo uno dei passi con cui i lavoratori, i giovani e i comunisti di questo paese avanzino uniti per cacciare i guerrafondai dal governo del paese. Il prossimo passo è mobilitarsi al fianco dei lavoratori del CALP di Genova che hanno indetto una mobilitazione per il 25 di febbraio nella loro città. Opporsi alla propaganda e alle politiche di guerra della classe dominante è necessario, come è necessario legare queste mobilitazioni a quelle contro il carovita e a tutti gli effetti della guerra interna promossa dai padroni. Avanti uniti verso un obiettivo comune: cacciare il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare che prenda le misure necessarie e urgenti di cui le masse popolari hanno bisogno!

Il Partito dei CARC aderisce all’appello dei promotori della mobilitazione di sabato 11 febbraio e partecipa ai presidi Spegni Sanremo per la costruzione di un fronte che abbia la forza di spezzare le catene Ue e Nato.
Avanti uniti per il governo di blocco popolare, verso il socialismo!

Lombardia. Un convegno contro la guerra e la Nato

https://www.carc.it/2023/01/29/lombardia-un-convegno-contro-la-guerra-e-la-nato/

Qual è oggi il ruolo della Nato nel mondo e nel nostro paese? Con quale legittimità opera sul nostro territorio? Quali sono le sue finalità, i suoi obiettivi e a quali interessi rispondono? Quali sono i risvolti politici, economici, ambientali, culturali e informativi legati alla sua esistenza?

“Il futuro è Nato?” è il titolo scelto, come sintesi di queste e altre questioni, per una conferenza e assemblea programmata il 4 e 5 febbraio 2023, presso il Castello dei Missionari Comboniani a Venegono Superiore (VA).

Lo sviluppo della lotta contro l’asservimento alla Nato nel nostro paese e contro la guerra per interposta persona che questa sta combattendo contro la Federazione Russa in Ucraina ha visto un appuntamento significativo il 17 settembre del 2022, durante la campagna per le elezioni politiche, con la manifestazione all’esterno della base militare di Ghedi (BS).

Ricordiamo che in quella base, formalmente dell’Aeronautica Italiana, sono ospitati ordigni nucleari statunitensi. Una circostanza mai confermata dalle autorità italiane, ma indirettamente ammessa dagli stessi vertici militari Usa, che proclamano e pubblicizzano la sostituzione in corso delle vecchie bombe con altre di nuova generazione: le B61-12, studiate appositamente per essere caricate sugli F35.

In quell’occasione si è svolta anche un’ispezione popolare effettuata da esponenti del movimento contro la guerra assieme a Yana Ehm e Simona Suriano, allora parlamentari e candidate nelle liste di Unione Popolare.

Facendo il bilancio di quella iniziativa è emersa la necessità, da un lato di proseguire sulla strada della mobilitazione di piazza, dall’altro di costruire un confronto a livello nazionale, con l’obiettivo di unire le forze che si pongono sinceramente contro la guerra e cercare un orientamento comune.

Gli organizzatori del Convegno sono: il centro di documentazione Abbasso la Guerra di Varese, il Centro Sociale 28 Maggio di Rovato (BS), l’Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito (Anvui) e il comitato Donne e Uomini Contro la Guerra di Brescia. Oltre a loro, in veste di co-organizzatori, sono presenti le seguenti realtà: Comitato Pace Subito e sindacato Asia di Bergamo, Disarmisti Esigenti e Loc di Milano, Kinesis e Punto Pace di Pax Christi di Tradate (VA), Rete Varese Senza Frontiere e sindacato Adl di Varese, Tavola della Pace e Unione Popolare Val Brembana.

Mentre scriviamo è in crescita il numero di organismi, associazioni, organizzazioni operaie e popolari che stanno comunicando la loro adesione o partecipazione: A Foras, Madri Contro la Repressione e Comitato No Rwm dalla Sardegna; il Collettivo Autonomo Lavoratori Porto (Calp) da Genova; la Federazione Lombardia del Partito dei Carc.

Fra i relatori invitati ci sono i nomi di Manlio Dinucci, padre Alex Zanotelli, Antonio Mazzei, mons. Luigi Bettazzi, Alberto Negri e altri.

La costruzione dell’iniziativa ha le sue radici nel lavoro comune fra le diverse componenti del movimento contro la guerra, lavoro che vede confrontarsi organismi in lotta contro la presenza Nato in Italia, esponenti del pacifismo cattolico, soggetti democratici della società civile, parenti e amici di vittime dell’uranio impoverito, giornalisti attivi nella difesa della libertà di informazione e contro la censura, operai promotori di organizzazioni sul proprio posto di lavoro, compagni attivi nel movimento sindacale e comunista.

Riveste una particolare importanza la partecipazione di un organismo come il Calp di Genova, da anni in prima linea nella lotta contro l’invio di armi in teatri di guerra (prima Yemen, ora Ucraina) attraverso azioni di sciopero e boicottaggio del carico e scarico di armi.

Ampliare quanto più è possibile il fronte contro la guerra e la Nato è un obiettivo importante. Lo schieramento della classe operaia in esso è un elemento imprescindibile per costruire una partecipazione di massa a questa lotta.

Sardegna. NO alle servitù militari

Il caso della penisola Delta

https://www.carc.it/2023/01/29/sardegna-no-alle-servitu-militari/

Il 14 gennaio si è svolto, nella Mediateca del Mediterraneo di Cagliari, l’incontro “Tutela dell’ambiente o poligoni militari? Il caso della penisola Delta” promosso da Italia Nostra Sardegna, Cagliari Social Forum, Usb Sardegna e Cobas Cagliari-Comitati di Base della Scuola e Madri Contro la Repressione- Contro l’Operazione Lince.

La penisola Delta è dal 1952, all’interno del Poligono di Capo Teulada, il bersaglio di bombardamenti di ogni genere nell’ambito delle esercitazioni militari delle forze Nato e di altri paesi che affittano il poligono (in particolare Israele). La quantità di materiale esplosivo utilizzato è enorme e l’area non è mai stata bonificata. Una situazione questa che ha comportato la distruzione dell’habitat naturale e l’inquinamento a lungo termine dovuto ai residui dei bombardamenti. A ciò si aggiungono la pericolosità degli enormi quantitativi di ordigni inesplosi e l’elevata incidenza di malattie cardiovascolari e tumorali negli abitanti delle zone limitrofe, causate dai metalli pesanti dispersi nell’ambiente.

A seguito di un’indagine della procura di Cagliari del 2017 si è imposto lo stop alle esercitazioni, riconosciute come illegali, sono stati indagati per disastro ambientale i vertici militari del poligono e si è ordinata la bonifica del sito.

A seguito di ciò i vertici militari hanno finalmente presentato un progetto di bonifica. Nel corso dell’iniziativa del 14 gennaio il piano è stato esaminato e considerato lacunoso, vago, superficiale e del tutto inadeguato. Una delle criticità rilevate sta nel fatto che la bonifica dovrebbe essere effettuata per intero dagli artificieri dell’Esercito e non prevede in alcun modo la presenza di esperti ambientali e naturalistici civili. Inoltre, essa riguarderebbe solo gli inerti bellici e non il suolo, l’aria e le acque contaminati.

Ma non è tutto, oltre al danno c’è anche la beffa! Il fine dichiarato è quello di rimettere in sicurezza l’area, oggi interdetta al passaggio degli stessi militari per la sua pericolosità, non per restituirla alla collettività, ma per potere riprendere le esercitazioni “a norma di legge”!

“Le persone intervenute hanno sì espresso il desiderio di vedere l’area del poligono di Teulada finalmente ripulita da bombe e rifiuti radioattivi, ma solo a condizione che alle “bonifiche” segua un piano di ripristino della fauna e della flora del territorio e uno smantellamento della servitù militare. Il progetto non prevede niente di tutto questo: solo una presunta “bonifica” della penisola Delta per poter riprendere i bombardamenti. Inoltre, si ha l’impressione che si tratti di un contentino nei confronti della Procura di Cagliari che ha indagato i vertici militari per disastro ambientale. (…)

Tra gli interventi (…) pubblichiamo l’audio del commento di un attivista di Sardinia Aresti.

L’attivista ha ricordato la recente perquisizione subita da una giovane compagna del movimento contro le basi. L’indagine per un presunto danneggiamento, aggravata dalla pesantissima ipotesi di associazione sovversiva con finalità di terrorismo, oltre a imbrattamento e manifestazione non autorizzata – come emerso da vari comunicati e notizie stampa – è stata avviata dal pm Emanuele Secci della procura di Cagliari. Lo stesso Secci, che in passato ha richiesto (senza successo) l’archiviazione per il disastro ambientale del poligono di Teulada, ora vorrebbe procedere contro gli antimilitaristi: un po’ di vernice su un muro diventa un’azione terroristica, mentre distruggere delle aree naturali uniche al mondo con bombe e ordigni radioattivi per settant’anni, non aver mai effettuato vere e proprie bonifiche degli esplosivi e aver fatto ammalare le persone, che intorno al poligono vivono e lavorano, non sarebbe disastro ambientale.

(…) Non c’è alcun dubbio che si voglia cancellare ogni opposizione a un sistema economico e sociale che fomenta le guerre, distrugge l’ambiente, compromette la salute delle persone, crea disuguaglianze e alimenta lo scontro tra le classi più deboli. In questo quadro inquietante si muove l’informazione dei media mainstream, tutta (o quasi) allineata alle narrazioni fornite dalle procure che fanno delle/degli attiviste/i dei pericolosi sovversivi, se non proprio dei terroristi.

Per questo esprimiamo solidarietà alla compagna che qualche giorno fa ha subito una perquisizione nella sua casa, a tutte le persone denunciate, a tutte quelle persone che subiscono la repressione di uno Stato che ha a cuore solo gli interessi del complesso militare-industriale.” (brano tratto dal sito della Campagna Stop Rwm).

Genova. L’appello dei portuali a mobilitarsi contro la guerra

https://www.carc.it/2023/01/29/genova-lappello-dei-portuali-a-mobilitarsi-contro-la-guerra/

Il 28 gennaio, a Genova, si è svolta un’assemblea pubblica indetta dai lavoratori del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) finalizzata alla costruzione di una giornata di mobilitazione contro la guerra per il 25 febbraio. L’obiettivo è coinvolgere tutti i lavoratori, i cittadini, i sindacati, le organizzazioni, i collettivi, i centri sociali e le forze politiche nella costruzione di questa giornata.

L’attività dei portuali del Calp contro le guerre degli imperialisti e il traffico di armi nei porti italiani proseguono da anni. Alla denuncia della presenza di mezzi militari e armi, destinati a guerre come quella in Yemen in barba alla legislazione nazionale vigente in materia, uniscono da sempre scioperi e mobilitazioni per impedire il carico e scarico delle navi della morte. Una lotta in cui sono stati capaci di coinvolgere decine di organismi, associazioni di lavoratori, sindacati, partiti e perfino ambienti legati alla Chiesa!

Tutto questo è costato al Calp varie denunce, tra cui quella per “associazione a delinquere” (!) nel 2021, ma quando la classe dominante colpisce vuol dire che la via intrapresa è quella giusta! Le denunce non hanno fermato i compagni impegnati a costruire un coordinamento dei portuali a livello nazionale e internazionale, a tenere dibattiti nelle università, a sostenere le mobilitazioni contro la costruzione di nuove basi militari e contro i produttori di armi.

Con lo sviluppo del conflitto in Ucraina, in cui è coinvolto anche il nostro paese, i portuali del Calp hanno intensificato la loro attività relazionandosi con altre organizzazioni delle masse popolari. Da qui l’adesione al Convegno contro la guerra del 4-5 febbraio a Varese e la partecipazione a iniziative internazionali come la Conferenza Intersindacale contro la Guerra di Londra del 21 gennaio.

Nel loro appello alla mobilitazione per il 25 febbraio scrivono giustamente:

“In Italia il Governo Meloni continua la politica “filoatlantista” del Governo Draghi dimostrando che non esiste nessuna possibilità né volontà di disubbidire a una politica sanguinosa e fallimentare anche per lo stesso futuro della Ue.

I lavoratori e gli sfruttati di ogni paese non hanno nulla da guadagnare. La guerra non è soltanto un enorme macello per i popoli ma porta con sé anche devastazione sociale, tagli di risorse per il lavoro e per il welfare per sostenere le spese militari. Porta ad aumenti delle tariffe che si scaricano sulle popolazioni mentre le speculazioni sui prezzi fanno lievitare i profitti di pochi soggetti economici. Risorse pubbliche a favore della guerra tolte a quelle che sono le richieste dei lavoratori come il riconoscimento dei lavori usuranti o gli aumenti salariali in base anche all’aumento dell’inflazione. O come le risorse negate al “reddito di cittadinanza” e la “disoccupazione”. Soldi che vengono meno per la pubblica istruzione o la pubblica sanità. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri territori. Boicottando la guerra cominciando da casa nostra”.

Hanno ragione i portuali: la mobilitazione dal basso delle masse popolari può e deve fermare la guerra imperialista! E lo farà se i collettivi di lavoratori come il Calp assumeranno un ruolo sempre più di spinta per l’organizzazione del resto dei lavoratori e di coordinamento con altre esperienze a livello nazionale e non solo. La via maestra è rafforzare il legame con gli operai delle grandi fabbriche genovesi come la Fincantieri, l’Ansaldo o la Leonardo, con il Collettivo di Fabbrica Gkn, con il Movimento Disoccupati 7 Novembre di Napoli, e via dicendo.

Quanto più organismi come il Calp assumeranno questo ruolo, tanto più crescerà il coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari del paese. Questi sono i presupposti che daranno alla mobilitazione contro la guerra imperialista la base necessaria per svilupparsi e porre fine alla partecipazione dell’Italia ai conflitti in cui la classe dominante ci ha imbarcati.

Come P.CARC sosteniamo la manifestazione e la lotta dei compagni del Calp, invitando tutti i nostri lettori a fare altrettanto.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, Università degli Studi di L’Aquila