Partito dei CARC

RESISTENZA N°5/2024 PARTITO DEI CARC, COMITATI DI APPOGGIO PER LA RESISTENZA DEL COMUNISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/organizzarsi-e-insorgere-contro-la-barbarie/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Viviamo in una situazione di straordinaria gravità e illudersi che si possa in qualche modo “tornare alla normalità” è sbagliato e apre le porte alla sicura disfatta del proletariato. Solo la classe dominante trae vantaggio da queste illusioni. È per questo che – con manovre per intossicare le coscienze, manipolare l’opinione pubblica e nascondere la realtà – investe tanto nell’assuefazione delle masse popolari alla barbarie di cui essa stessa è promotrice.
In Palestina è in corso un genocidio che si svolge sotto gli occhi delle “istituzioni democratiche” del mondo, dei governi, del Papa e del Vaticano, dell’Onu. Ma il massimo che ognuno di essi riesce a esprimere è costernazione e preoccupazione, ma senza nessuna azione concreta per porvi fine.
La barbarie è plateale e nessuno di coloro che avrebbe il ruolo e gli strumenti per porvi fine fa niente.
Anche i nazisti si fecero più scrupoli a condurre lo sterminio degli ebrei di quanto i sionisti se ne fanno oggi a sterminare il popolo palestinese.
I nazisti hanno costruito il grosso dei loro campi di concentramento lontano agli occhi dell’opinione pubblica, al punto che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, prendere atto della sistematica eliminazione di ebrei, comunisti, popolazioni rom, omosessuali e malati psichiatrici fu uno shock per l’opinione pubblica mondiale.
I sionisti no. Ostentano quello che stanno facendo, lo gridano al mondo e lo rivendicano. I soldati sionisti si mettono in posa e scattano foto mentre compiono massacri, i coloni sorridono fieri mentre chiudono con il cemento gli accessi all’acqua potabile dei villaggi palestinesi e attaccano i campi profughi.
La barbarie in diretta Tv serve a terrorizzare le masse popolari di tutto il mondo. E serve a infondere in loro impotenza e rassegnazione.

La normalizzazione della guerra è in pieno corso. Quando il governo Meloni dispone l’organizzazione delle “gite didattiche” nelle basi militari in cui sono stoccate – illegalmente – le bombe atomiche degli Usa (come è successo a Brescia, con gli studenti in visita alla base di Ghedi) o nelle caserme dell’esercito, quanto caldeggia stage di formazione in cui gli studenti imbracciano fucili oppure introduce nel programma scolastico la ginnastica militare, allora la fase in cui il governo dei padroni usa la scuola per formare gli operai da sfruttare si combina con la fase in cui il governo servo della Nato usa la scuola per arruolare carne da macello e da cannone.
E del resto, i giovani delle masse popolari questo devono essere: carne da cannone al fronte oppure carne da macello in un cantiere, in un capannone, in un magazzino o nel reparto di una fabbrica.
Ogni giorno, nella Repubblica Pontificia italiana, muoiono tre, quattro o cinque persone sul posto di lavoro. Ogni giorno fioccano articoli di giornale e moniti affinché “non succeda mai più”. Invece succede ogni giorno. Anzi, aumentano le vere e proprie stragi in cui i morti sono quattro, cinque o sei alla alla volta. Dalla Thyssen Krupp di Torino alla stazione di Viareggio, da Brandizzo a Suviana passando dal cantiere Esselunga di Firenze. Ma per le autorità e istituzioni sono solo “tragiche fatalità”.
Anche i sindacati di regime concorrono alla recita e, anzi, svolgono un ruolo di primo piano nel distogliere le masse popolari dalla lotta di classe: mazzi di fiori al posto di ore e giornate di sciopero e fiacchi presidi sotto le prefetture anziché picchetti, blocchi stradali e delle merci. Tentano di giustificarsi in qualche modo: si possono, forse, organizzare e mobilitare i lavoratori ogni volta che uno di loro muore per il profitto dei padroni, per la mancanza di controlli, per la corruzione, per il sistema degli appalti e dei subappalti? Significherebbe paralizzare le aziende e il paese…
La conclusione che tirano è, dunque, che i morti sul lavoro sono talmente tanti che bisogna imparare a conviverci.
Quando nel 2020 il mondo dei padroni è andato in panne per la pandemia, anche in Italia la propaganda di regime ha messo in piedi il suo teatrino al motto di “andrà tutto bene” e apologia della “resilienza”. Che non è andato tutto bene è evidente come anche il fatto che gli elogi alla resilienza erano solo un martellante invito ad adattarsi al mondo di merda che sarebbe venuto “dopo i lockdown” anziché a organizzarsi e mobilitarsi.

Viviamo in una situazione rivoluzionaria e rassegnarsi all’idea che la classe dominante possa in qualche modo mantenere il controllo della società e l’ordine costituito è sbagliato. Questa convinzione – campata per aria e ampiamente smentita dai fatti – ostacola lo sviluppo della lotta di classe e la convergenza delle numerose proteste, del malcontento e delle mobilitazioni nello sbocco politico che è possibile e necessario.
C’è un nesso fra l’opera di assuefazione alla barbarie che la classe dominante promuove verso le masse popolari e le resistenze del movimento comunista cosciente e organizzato ad assumere coscientemente e chiaramente l’obiettivo di imporre un governo di emergenza popolare come sbocco politico per le mobilitazioni delle masse popolari. È l’assuefazione alla sconfitta che il movimento comunista eredita dalla sinistra borghese.
Per decenni, a colpi di “meno peggio” e illusioni di riformare il capitalismo, la sinistra borghese ha sistematicamente minato la fiducia nel fatto che è possibile vincere.
Tuttavia, in tutto il mondo la classe dominante è seduta su un barile di polvere nera. E anche in Italia i vertici della Repubblica Pontificia e il governo Meloni sono seduti su un barile di polvere nera.
Il movimento comunista italiano e i promotori delle mobilitazioni e delle proteste delle masse popolari hanno davanti due strade.

“La prima è quella di lottare, anche tenacemente, contro il governo Meloni, alimentando l’ingovernabilità del paese nelle aziende, nelle scuole e università, ritorcendo contro il governo Meloni ogni tentativo autoritario di colpire con la repressione le masse popolari in lotta, animando campagne di mobilitazione e organizzazione città per città, quartiere per quartiere, per far fronte ai problemi che attanagliano le masse popolari fino a cacciare questo governo e lo stuolo di scimmiottatori del fascismo riciclati che lo compongono.
Questa strada è giusta e necessaria per assestare un duro colpo ai vertici della Repubblica Pontificia che ripongono fiducia nel governo Meloni affinché prosegua più speditamente l’attuazione dell’agenda Draghi. Ma questa strada è monca, non indica dove andare, a cosa miriamo in prospettiva.
Cacciare il governo Meloni senza porsi il problema di quale alternativa di governo costituire, vuol dire consegnare il paese nuovamente nelle mani del polo Pd delle Larghe Intese o di qualche governo tecnico e di funzionari scelti dai vertici della Repubblica Pontificia.

La seconda è quella di cacciare il governo Meloni e costituire un governo d’emergenza popolare: un governo sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari, già presenti in gran numero in tutto il nostro paese, un governo deciso ad attuare tutte quelle misure che nessun governo espressione dei partiti delle Larghe Intese attua, come la messa in sicurezza del territorio attraverso le centinaia di piccole opere necessarie a impedire le stragi dovute agli eventi climatici estremi; la messa in sicurezza delle aziende per far fronte agli omicidi padronali nei luoghi di lavoro; il blocco dell’esportazione di armamenti; l’interruzione per decreto di tutti gli accordi pubblici e segreti di cooperazione militare, industriale, scientifica e accademica che i governi delle Larghe Intese hanno stipulato nel corso degli anni con aziende, agenzie e istituti dello Stato sionista d’Israele” – da Saluto del (n)Pci all’Assemblea Nazionale “Mobilitiamoci contro il governo Meloni” promossa da Potere al Popolo! – 17 aprile 2024.

Entrambe le strade sono concrete. Ma solo la seconda dà sbocco politico alle principali rivendicazioni delle masse popolari, alimenta il protagonismo degli organismi operai e popolari e la mobilitazione rivoluzionaria. Soltanto la seconda permette di combinare il fatto che viviamo in una situazione di straordinaria gravità con il fatto che viviamo in una situazione rivoluzionaria.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

RESISTANCE N°5/2024 CARC PARTY, SUPPORT COMMITTEES FOR THE RESISTANCE OF COMMUNISM

We live in a situation of extraordinary gravity and to delude ourselves that we can somehow “return to normality” is wrong and opens the door to the certain defeat of the proletariat. Only the ruling class benefits from these illusions. This is why – with maneuvers to intoxicate consciences, manipulate public opinion and hide reality – it invests so much in the habituation of the popular masses to the barbarism of which it itself promotes.
A genocide is underway in Palestine which is taking place under the eyes of the “democratic institutions” of the world, governments, the Pope and the Vatican, the UN. But the most any of them can express is dismay and concern, but without any concrete action to put an end to it.
The barbarism is blatant and none of those who have the role and the tools to put an end to it do anything.
Even the Nazis had more scruples about carrying out the extermination of the Jews than the Zionists do today about exterminating the Palestinian people.
The Nazis built the bulk of their concentration camps far from the eyes of public opinion, to the point that, after the end of the Second World War, taking note of the systematic elimination of Jews, communists, Roma populations, homosexuals and psychiatric patients was one shock to world public opinion.
The Zionists do not. They flaunt what they are doing, shout it out to the world and claim it. Zionist soldiers pose and take photos while carrying out massacres, settlers smile proudly as they block access to drinking water in Palestinian villages with concrete and attack refugee camps.
Barbarism on live TV serves to terrorize the popular masses all over the world. And it serves to instill helplessness and resignation in them.

The normalization of war is in full swing. When the Meloni government orders the organization of “educational trips” to the military bases where the US atomic bombs are stored – illegally (as happened in Brescia, with students visiting the Ghedi base) or to the military barracks army, when it advocates training courses in which students take up rifles or introduces military gymnastics into the school curriculum, then the phase in which the bosses’ government uses the school to train workers to be exploited combines with the phase in which the government serves of NATO uses the school to recruit cannon fodder and cannon fodder.
And after all, the young people of the popular masses must be this: cannon fodder at the front or cannon fodder on a construction site, in a shed, in a warehouse or in the department of a factory.
Every day, in the Italian Papal Republic, three, four or five people die at work. Every day newspaper articles and warnings pour in so that “it never happens again”. Instead it happens every day. Indeed, actual massacres in which four, five or six people die at a time are increasing. From Thyssen Krupp in Turin to Viareggio station, from Brandizzo to Suviana passing through the Esselunga shipyard in Florence. But for the authorities and institutions they are just “tragic fatalities”.
Even the regime’s trade unions participate in the play and, indeed, play a leading role in distracting the popular masses from the class struggle: bouquets of flowers instead of hours and days of strike and weak garrisons under the prefectures instead of pickets and road blocks and goods. They try to justify themselves in some way: can we perhaps organize and mobilize workers every time one of them dies for the bosses’ profit, for the lack of controls, for corruption, for the procurement and subcontracting system? It would mean paralyzing companies and the country…
The conclusion they draw is, therefore, that there are so many deaths at work that we have to learn to live with it.
When the world of the bosses collapsed due to the pandemic in 2020, even in Italy the regime’s propaganda set up its little theater with the motto “everything will be fine” and apologia of “resilience”. That everything didn’t go well is evident as is the fact that the praise for resilience was just a hammering invitation to adapt to the shitty world that would come “after the lockdowns” rather than to organize and mobilize.

We live in a revolutionary situation and resigning ourselves to the idea that the ruling class can somehow maintain control of society and the established order is wrong. This belief – unrealized and widely denied by the facts – hinders the development of the class struggle and the convergence of the numerous protests, discontent and mobilizations into the political outlet that is possible and necessary.
There is a connection between the work of indulging in barbarism that the ruling class promotes towards the popular masses and the resistance of the conscious and organized communist movement to consciously and clearly assume the objective of imposing a popular emergency government as a political outlet for the mobilizations of the popular masses. It is the habit of defeat that the communist movement inherits from the bourgeois left.
For decades, with blows of “less worse” and illusions of reforming capitalism, the bourgeois left has systematically undermined confidence in the fact that it is possible to win.
However, all over the world the ruling class is sitting on a barrel of black powder. And even in Italy the leaders of the Papal Republic and the Meloni government are sitting on a barrel of black powder.
The Italian communist movement and the promoters of the mobilizations and protests of the popular masses have two paths ahead of them.

“The first is to fight, even tenaciously, against the Meloni government, fueling the ungovernability of the country in companies, schools and universities, turning against the Meloni government any authoritarian attempt to attack the struggling popular masses with repression, animating mobilization and organization campaigns city by city, neighborhood by neighborhood, to deal with the problems that grip the popular masses to the point of expelling this government and the crowd of recycled fascist apes that compose it.
This path is right and necessary to deal a severe blow to the leaders of the Papal Republic who place their trust in the Meloni government to continue the implementation of the Draghi agenda more quickly. But this road is incomplete, it does not indicate where to go, what we are aiming for in perspective.
Ousting the Meloni government without posing the problem of which government alternative to establish means handing the country back into the hands of the Pd pole of the Broad Agreements or of some technical government and officials chosen by the leaders of the Papal Republic.

The second is to oust the Meloni government and set up a popular emergency government: a government supported by workers’ and popular organisations, already present in large numbers throughout our country, a government determined to implement all those measures that no government expresses of the parties of the Broad Understandings implements, such as securing the territory through the hundreds of small works necessary to prevent massacres due to extreme climatic events; the safety of companies to deal with employer murders in the workplace; the blocking of arms exports; the interruption by decree of all public and secret military, industrial, scientific and academic cooperation agreements that the governments of the Broad Ententes have stipulated over the years with companies, agencies and institutes of the Zionist State of Israel” – from Greetings of the (n)PCI at the National Assembly “Let’s mobilize against the Meloni government” promoted by Potere al Popolo! – April 17, 2024.

Both paths are concrete. But only the second gives a political outlet to the main demands of the popular masses, fuels the protagonism of workers’ and popular organizations and revolutionary mobilization. Only the second allows us to combine the fact that we live in a situation of extraordinary gravity with the fact that we live in a revolutionary situation.

Source: Italian CARC Party

PER UN GOVERNO DI EMERGENZA POPOLARE. PER UNA NUOVA LIBERAZIONE NAZIONALE

https://www.carc.it/2024/04/29/per-un-governo-di-emergenza-popolare-per-una-nuova-liberazione-nazionale/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

L’Italia è a pieno titolo un paese imperialista, un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Questo è ben evidente dal ruolo politico, economico e commerciale che riveste nelle relazioni internazionali e dalla compenetrazione fra interessi nazionali e sovranazionali.
Ma l’Italia è anche un protettorato degli Usa – non una colonia: ha una sua autonomia e indipendenza, ma non può entrare in contrasto con i loro interessi – oltre che un ingranaggio della Ue dominata dai gruppi imperialisti franco-tedeschi.
L’aggravarsi della crisi generale alimenta le contraddizioni fra gli interessi dei gruppi imperialisti Usa e quelli dei gruppi imperialisti Ue – le conseguenze delle sanzioni contro la Federazione Russa ne sono un esempio – e l’Italia è lacerata, storicamente e in modo via via più profondo, da questa contraddizione.
Infine, l’Italia è la sede del Vaticano, il più antico e longevo centro di potere del mondo: affonda le sue radici nella società medievale ed è sopravvissuto alla rivoluzione borghese grazie al fatto di essere riuscito a ostacolare la nuova classe dirigente della società, la borghesia appunto, nella sua ascesa al potere proprio in Italia, dove l’ha costretta a scendere a patti nel corso di quel processo passato alla storia come “la rivoluzione borghese incompiuta”.
Alla vittoria della Resistenza sul nazifascismo, mezza Italia era “occupata dai partigiani in armi”, il Pci era riconosciuto – tanto dalla classe operaia del Nord quanto da parti crescenti dei contadini del Sud – come il principale dirigente della vittoriosa guerra di Liberazione.
Gli imperialisti Usa – che occupavano l’altra metà del paese – hanno affidato al Vaticano il compito di raccogliere i rimasugli delle classi dominanti, combinarli con le organizzazioni criminali (come la Mafia) e dare le gambe al nuovo sistema di potere che ha sostituito il fascismo, ma che allo stesso modo del fascismo, doveva arginare il “pericolo comunista”. L’operazione è riuscita SOLO grazie agli errori e ai limiti del Pci di Togliatti che non volle usare la forza e il prestigio conquistati per fare avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Il sistema di potere istituito in Italia – che ancora oggi costituisce un unicum nei paesi imperialisti – si chiama Repubblica Pontificia.

Come un paese occupato

Da questa particolare struttura di potere, che nel corso del tempo si è consolidata nell’intricata matassa di interessi fra gruppi imperialisti Usa, sionisti, gruppi imperialisti Ue, gruppi capitalisti italiani, organizzazioni criminali e Vaticano, derivano particolari e specifiche conseguenze.
La principale è che, a differenza delle classi dominanti di Germania e Francia, ad esempio, le classi dominanti italiane governano e operano come forze occupanti, cioè piegano il paese a ogni tipo di traffico e speculazione che consente immediati profitti, incuranti delle conseguenze a breve, medio e lungo termine. Ci sono molti esempi di ciò.
Si veda il progressivo smantellamento dell’industria siderurgica, chimica-farmaceutica, dell’automotive e anche le misure per accrescere la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi.
Si veda il più generale smantellamento dell’intero apparato produttivo di cui la cessione di marchi italiani – alcuni definiti “strategici” – è solo una manifestazione che va di pari passo con la distruzione di migliaia di posti di lavoro.
Si veda la distruzione del settore agroalimentare a opera della filiera delle multinazionali della grande distribuzione.
E poi ci sono gli effetti delle privatizzazioni a devastare “i servizi pubblici”: dalla sanità alla scuola, alle pensioni, ai trasporti, alle comunicazioni, alle poste. Un fenomeno tutt’altro che distintivo della Repubblica Pontificia italiana, ma che in Italia ha alcune particolarità: il Vaticano e le organizzazioni criminali pretendono “per diritto naturale” – e in genere hanno ottenuto – una grossa fetta di affari.

La guerra interna

Gli effetti della crisi generale, la guerra per bande fra fazioni di potere della Repubblica Pontificia, le conseguenze della condotta delle classi dominanti come “forze di occupazione del paese” si combinano nel risultato della guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari.
Non tragga in inganno il fatto che il termine “guerra di sterminio” richiama alla mente scene apocalittiche con cumuli di cadaveri per le strade. Le vittime ci sono eccome, ma questa guerra non è dichiarata, pertanto i morti sono accompagnati al cimitero con la tipica liturgia clericale: è stato il destino, è stata una fatalità.
I morti per malasanità o per malattie curabili sono conseguenza delle speculazioni con cui le forze occupanti stanno smantellando la sanità pubblica. I morti sul lavoro, quelli per inquinamento, quelli per incidenti stradali dovuti all’incuria, quelli per alluvioni e frane, la strage di migranti… sono tutte morti evitabili che non hanno nulla a che fare con “la fatalità”.

La guerra esterna

L’Italia è un anello della Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue, dicevamo. Quale che sia il “colore” del governo in carica, l’Italia è naturalmente intruppata nelle manovre belliche della Nato. Il paese è disseminato di basi militari, sistemi radar e centri politico-militari degli Usa e della Nato.
È intruppata sia quando il parlamento viola apertamente la Costituzione e approva ciò che la Nato ordina – come nel caso della missione nel Mar Rosso contro gli Houti – sia quando lo fa in sordina. Lo è quando le basi militari italiane e quelle della Nato in territorio italiano sono coinvolte nelle operazioni belliche, nelle provocazioni, nello spionaggio e nelle comunicazioni militari; quando dai porti italiani transitano armi e quando Leonardo e RFI stipulano accordi per sviluppare il trasporto ferroviario di armi.
Per il 2024 l’Italia ha stanziato per le missioni militari all’estero 1.192 milioni di euro (+ 300 milioni di euro già stanziati per il 2025 – fonte analisidifesa.it). La missione nel Mar Rosso è solo la punta dell’iceberg del coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale in corso.

Una nuova liberazione nazionale

Quanto detto fin qui qualifica il contenuto e le prospettive delle mobilitazioni dei lavoratori e delle masse popolari nel nostro paese e indica il ruolo delle forze comuniste e progressiste del paese.
Date le caratteristiche delle classi dirigenti della Repubblica Pontificia e la singolare natura del sistema di potere vigente, le mobilitazioni di carattere rivendicativo hanno ristretti margini di successo.
Nella lotta degli operai contro la chiusura di un’azienda e per la salvaguardia dei posti di lavoro, ad esempio, incide in modo decisivo il fatto che la proprietà dell’azienda sia di un capitalista (italiano o straniero) o di un fondo di investimento immateriale, irresponsabile, irrintracciabile.
Nella lotta contro le grandi opere speculative incide in modo decisivo il fatto che la controparte siano i vertici delle organizzazioni criminali con la loro rete di relazioni, interessi, intrighi in ogni ambito della vita politica, sociale ed economica del paese.
Nella lotta contro la guerra fa una differenza sostanziale avere come controparte un governo che risponde ai cittadini della sovranità nazionale oppure un governo che maldestramente cerca di giustificare, ad esempio, lo stoccaggio illegale di testate atomiche Usa sul territorio nazionale (nascondendo chissà cos’altro).
Le lotte rivendicative sono importanti, essenziali – sono la prima elementare forma della lotta di classe – e a certe condizioni possono anche raggiungere alcuni risultati. Ma non possono risolvere né la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari né il coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale e le sue ovvie conseguenze: economia di guerra, inquinamento, repressione del dissenso, ecc.
Serve una nuova liberazione nazionale. Non la liberazione da “un nemico straniero” che occupa il paese, ma una liberazione dagli agenti e dai servi italianissimi che per conto della Nato, dei sionisti, della Ue, dei gruppi industriali e speculativi e del Vaticano occupano tutti i gangli del potere, sia quelli palesi che quelli occulti.
Serve raccogliere il malcontento diffuso e far confluire tutte le proteste e le mobilitazioni nella lotta per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare. È l’unica strada per rimettere al loro posto i nostalgici del Ventennio e per sbarrare la strada anche al Pd e ai suoi cespugli.

L’anello debole

Abbiamo detto che l’Italia è un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Più precisamente ne è l’anello debole in ragione anche della natura di protettorato e delle caratteristiche del sistema di potere della Repubblica Pontificia.
Ciò non è ancora abbastanza chiaro né nel movimento comunista cosciente e organizzato italiano né agli organismi politici e sindacali che promuovono le mobilitazioni popolari. La mancanza di questa chiarezza è una delle cause delle difficoltà a superare le tare elettoraliste e movimentiste e, soprattutto, della difficoltà a rompere con l’assuefazione alla sconfitta – vedi Editoriale – ereditata dalla sinistra borghese.
Le caratteristiche della Repubblica Pontificia italiana sono il punto da cui partire per contribuire dal nostro paese alla lotta che sta già animando le masse popolari in tutti i paesi imperialisti e i popoli oppressi del mondo e sono ciò che ci permette di guardare con fiducia al successo della lotta per togliere il governo del paese dalle mani dei vertici della Repubblica Pontificia e imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Le sette misure del programma del Governo di Blocco Popolare:
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la più ampia partecipazione dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

FOR A POPULAR EMERGENCY GOVERNMENT. FOR A NEW NATIONAL LIBERATION

Italy is an imperialist country in its own right, a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. This is clearly evident from the political, economic and commercial role it plays in international relations and from the interpenetration between national and supranational interests.
But Italy is also a protectorate of the USA – not a colony: it has its own autonomy and independence, but cannot conflict with their interests – as well as a cog in the EU dominated by Franco-German imperialist groups.
The worsening of the general crisis fuels the contradictions between the interests of the US imperialist groups and those of the EU imperialist groups – the consequences of the sanctions against the Russian Federation are an example – and Italy is torn apart, historically and increasingly profound, from this contradiction.
Finally, Italy is the seat of the Vatican, the oldest and longest-lived center of power in the world: it has its roots in medieval society and survived the bourgeois revolution thanks to the fact that it managed to hinder the new ruling class of society, the bourgeoisie precisely, in its rise to power in Italy itself, where it was forced to come to terms during that process which went down in history as “the unfinished bourgeois revolution”.
At the victory of the Resistance over Nazi-fascism, half of Italy was “occupied by armed partisans”, the PCI was recognized – both by the working class of the North and by growing parts of the peasants of the South – as the main leader of the victorious war of Liberation.
The US imperialists – who occupied the other half of the country – entrusted the Vatican with the task of collecting the remnants of the dominant classes, combining them with criminal organizations (such as the Mafia) and giving legs to the new system of power that replaced the fascism, but which, in the same way as fascism, had to stem the “communist danger”. The operation succeeded ONLY thanks to the errors and limitations of Togliatti’s PCI who did not want to use the strength and prestige gained to advance the socialist revolution in our country.
The system of power established in Italy – which still today constitutes a unicum in imperialist countries – is called the Papal Republic.

Like an occupied country

Particular and specific consequences derive from this particular power structure, which over time has consolidated itself in the intricate tangle of interests between US imperialist groups, Zionists, EU imperialist groups, Italian capitalist groups, criminal organizations and the Vatican.
The main one is that, unlike the ruling classes of Germany and France, for example, the Italian ruling classes govern and operate as occupying forces, that is, they bend the country to every type of trafficking and speculation that allows immediate profits, regardless of the short-term consequences , medium and long term. There are many examples of this.
See the progressive dismantling of the steel, chemical-pharmaceutical and automotive industries and also the measures to increase Italy’s energy dependence on other countries.
See the more general dismantling of the entire production system of which the sale of Italian brands – some defined as “strategic” – is only one manifestation that goes hand in hand with the destruction of thousands of jobs.
See the destruction of the agri-food sector by the supply chain of large-scale retail multinationals.
And then there are the effects of privatizations that devastate “public services”: from healthcare to schools, pensions, transport, communications and post offices. A phenomenon that is anything but distinctive of the Italian Papal Republic, but which in Italy has some particularities: the Vatican and the criminal organizations demand “by natural law” – and generally have obtained – a large slice of business.

The internal war

The effects of the general crisis, the gang war between power factions of the Papal Republic, the consequences of the conduct of the dominant classes as “occupying forces of the country” combine in the result of the undeclared war of extermination that the dominant class wages against the popular masses.
Don’t be fooled by the fact that the term “war of extermination” brings to mind apocalyptic scenes with piles of corpses in the streets. There are certainly victims, but this war is not declared, therefore the dead are accompanied to the cemetery with the typical clerical liturgy: it was fate, it was a fatality.
Deaths due to medical malpractice or curable diseases are a consequence of the speculations with which the occupying forces are dismantling public healthcare. Deaths at work, those due to pollution, those due to road accidents due to neglect, those due to floods and landslides, the massacre of migrants… they are all avoidable deaths that have nothing to do with “fatality”.

The External war

Italy is a link in the International Community of US, Zionist and EU imperialists, we were saying. Whatever the “color” of the government in office, Italy is naturally involved in NATO’s war maneuvers. The country is dotted with military bases, radar systems and political-military centers of the USA and NATO.
It is trooped both when parliament openly violates the Constitution and approves what NATO orders – as in the case of the mission in the Red Sea against the Houthis – and when it does so quietly. It is when Italian military bases and those of NATO on Italian territory are involved in war operations, provocations, espionage and military communications; when weapons transit from Italian ports and when Leonardo and RFI stipulate agreements to develop the rail transport of weapons.
For 2024, Italy has allocated 1,192 million euros for military missions abroad (+ 300 million euros already allocated for 2025 – source analysisdifesa.it). The mission in the Red Sea is only the tip of the iceberg of Italy’s involvement in the ongoing Third World War.

A new national Liberation

What has been said so far qualifies the content and prospects of the mobilizations of workers and the popular masses in our country and indicates the role of the country’s communist and progressive forces.
Given the characteristics of the ruling classes of the Papal Republic and the singular nature of the current power system, mobilizations of a grievance nature have limited margins of success.
In the workers’ struggle against the closure of a company and to safeguard jobs, for example, the fact that the company is owned by a capitalist (Italian or foreign) or by an investment fund has a decisive impact. immaterial, irresponsible, untraceable.
In the fight against large-scale speculative works, the fact that the counterparts are the leaders of criminal organizations with their network of relationships, interests and intrigues in every area of ​​the country’s political, social and economic life has a decisive impact.
In the fight against war, it makes a substantial difference to have as a counterpart a government that is accountable to citizens for national sovereignty or a government that clumsily tries to justify, for example, the illegal storage of US atomic warheads on national territory (hiding who knows what else). .
Struggles for demands are important, essential – they are the first elementary form of class struggle – and under certain conditions they can even achieve some results. But they cannot resolve either the undeclared war of extermination that the imperialist bourgeoisie is waging against the popular masses or Italy’s involvement in the Third World War and its obvious consequences: war economy, pollution, repression of dissent, etc.
We need a new national liberation. Not liberation from “a foreign enemy” who occupies the country, but a liberation from the very Italian agents and servants who on behalf of NATO, the Zionists, the EU, the industrial and speculative groups and the Vatican occupy all the corners of power, both the obvious ones and the hidden ones.
We need to gather widespread discontent and bring together all the protests and mobilizations in the fight to oust the Meloni government and replace it with a popular emergency government. It is the only way to put those nostalgic for the twenty-year period back in their place and to also block the way for the Democratic Party and its bushes.

The weak link

We have said that Italy is a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. More precisely, it is the weak link also due to the nature of a protectorate and the characteristics of the power system of the Papal Republic.
This is not yet clear enough either in the conscious and organized Italian communist movement or in the political and trade union bodies that promote popular mobilizations. The lack of this clarity is one of the causes of the difficulties in overcoming electoralist and movementist flaws and, above all, of the difficulty in breaking with the addiction to defeat – see Editorial – inherited from the bourgeois left.
The characteristics of the Italian Papal Republic are the starting point for our country’s contribution to the struggle that is already animating the popular masses in all the imperialist countries and oppressed peoples of the world and are what allow us to look with confidence to the success of the struggle to take the government of the country out of the hands of the leaders of the Papal Republic and impose an emergency government of the organized popular masses.

The seven measures of the Popular Bloc Government program:

  1. Assign productive tasks to each company that are useful and suited to its nature, according to a national plan. No company should be closed.
  2. Distribute products to families and individuals, companies and collective uses according to clear, universally known and democratically decided plans and criteria.
  3. Assign to each individual a socially useful job and guarantee him, in exchange for its scrupulous execution, the conditions necessary for a dignified life and for participation in the management of society. No worker must be fired, every adult must have a useful and dignified job, no individual must be marginalized.
  4. Eliminate useless or harmful activities and production, assigning other tasks to the companies involved.
  5. Start the reorganization of all other social relations in accordance with the new production base and the new distribution system.
  6. Establish relationships of solidarity and collaboration or exchange with other countries willing to establish them with us.
  7. Purge the senior leaders of the Public Administration who sabotage the transformation of the country, bring the Police Forces, the Armed Forces and the Information Services into line with the democratic spirit of the 1948 Constitution and restore the widest participation of citizens in military activities defense of the country and protection of public order.

Source: Italian CARC Party

https://x.com/bralex84/status/1787240843436298587

LE MOBILITAZIONI CONTRO LA NATO IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE

https://www.carc.it/2024/04/29/le-mobilitazioni-contro-la-nato-in-occasione-del-75-anniversario-della-sua-fondazione/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Dal 4 al 14 aprile si sono svolte in tutta Italia proteste e iniziative in occasione del 75° anniversario della fondazione della NATO. La maggior parte di esse è il risultato di un percorso di coordinamento che – attraverso riunioni pubbliche online – ha visto la partecipazione di numerose realtà locali da Nord a Sud del paese.

Come dichiarato fin dall’appello iniziale del coordinamento promotore, l’obiettivo non era organizzare “grandi manifestazioni”, ma rendere visibile l’opposizione alla NATO attraverso molteplici e capillari iniziative territoriali, anche piccole ma simboliche. Effettivamente, nessuna delle iniziative ha visto una “partecipazione di massa” e questo ha alimentato, a posteriori, un dubbio: quelle iniziative hanno mostrato una vitalità della mobilitazione che deve essere curata e sviluppata oppure hanno messo a nudo “l’esiguità delle forze” disposte a mobilitarsi?

Dare una risposta a questa domanda è utile non solo in termini di bilancio, ma anche e soprattutto per definire le linee di sviluppo. Diamo un contributo in questo senso.

Quella che, per semplificare, definiamo “la settimana di mobilitazione contro la Nato” ha dimostrato che nel paese esiste una schiera di organismi territoriali, movimenti e reti che tengono viva e alimentano la lotta contro la NATO e la guerra. Ciò non è affatto una questione secondaria. In una fase in cui pesano come un macigno sia la sconfitta subita nel 2003 dal movimento contro la guerra (l’enorme mobilitazione che, però, non impedì l’aggressione all’Iraq) che l’asservimento dei tradizionali centri autorevoli della mobilitazione popolare (sindacati di regime, grandi associazioni nazionali) ai governi guerrafondai delle Larghe Intese, l’esistenza di organismi territoriali che lottano contro la NATO, la guerra e la militarizzazione della società è la base – ferma e solida – da cui partire per alimentare una mobilitazione di massa.

Non solo. Il percorso di costruzione delle iniziative ha favorito lo scambio di esperienze e ha permesso di compiere alcuni passi nello sviluppo di un legame tra i vari organismi territoriali. Sarebbe miope valutare i risultati di questa mobilitazione, in questa fase, principalmente usando il metro della partecipazione alle iniziative, ma soprattutto è completamente sbagliato concentrarsi su questo dato, trascurando la cura degli organismi e i passi concreti da fare per promuovere il loro coordinamento.

Le domande da porsi, dunque, sono se, quanto e come gli organismi territoriali sono usciti rafforzati da questa esperienza e se, quanto e come sono state create condizioni più favorevoli al loro coordinamento.

In questo momento non abbiamo risposte esaustive. Ma abbiamo chiaro che l’unica strada per alimentare un movimento di massa contro la guerra, la NATO, le basi, le servitù, i poligoni militari e le armi nucleari è curare il fronte degli organismi che ne sono i promotori. La mobilitazione si sviluppa solo se qualcuno la promuove.

Si sono svolte 25 iniziative “coordinate” a Milano, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Roma, Firenze, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Napoli, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Altre mobilitazioni sono state promosse anche al di là del coordinamento suddetto. Tra queste, il corteo cittadino di Napoli duramente caricato dalla polizia per evitare che i manifestanti raggiungessero il teatro S. Carlo dove si svolgevano le “cerimonie ufficiali”. La repressione non ha, però, impedito che in teatro venisse esposto uno striscione di protesta.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

MOBILIZATIONS AGAINST NATO ON THE OCCASION OF THE 75TH ANNIVERSARY OF ITS FOUNDATION

From 4 to 14 April, protests and initiatives took place throughout Italy on the occasion of the 75th anniversary of the founding of NATO. Most of them are the result of a coordination process which – through online public meetings – saw the participation of numerous local entities from the North to the South of the country.

As stated since the initial appeal of the promoting coordination, the objective was not to organize “large demonstrations”, but to make the opposition to NATO visible through multiple and widespread territorial initiatives, even small but symbolic ones. Indeed, none of the initiatives saw “mass participation” and this fueled, in retrospect, a doubt: those initiatives showed a vitality of the mobilization that must be taken care of and developed or they exposed “the smallness of the forces” willing to mobilize?

Giving an answer to this question is useful not only in terms of budget, but also and above all to define the lines of development. Let’s make a contribution in this sense.

What, to simplify, we call “the week of mobilization against NATO” demonstrated that in the country there is a host of territorial bodies, movements and networks that keep alive and fuel the fight against NATO and the war. This is by no means a secondary issue. In a phase in which both the defeat suffered in 2003 by the anti-war movement (the enormous mobilization which, however, did not prevent the aggression against Iraq) and the enslavement of the traditional authoritative centers of popular mobilization weigh like a boulder ( regime unions, large national associations) to the warmongering governments of the Broad Ententes, the existence of territorial bodies fighting against NATO, war and the militarization of society is the basis – firm and solid – from which to start to fuel a mobilization of mass.

Not only. The process of building the initiatives favored the exchange of experiences and allowed some steps to be taken in developing a link between the various territorial bodies. It would be short-sighted to evaluate the results of this mobilization, at this stage, mainly using the measure of participation in the initiatives, but above all it is completely wrong to focus on this data, neglecting the care of the bodies and the concrete steps to be taken to promote their coordination.

The questions to ask, therefore, are whether, how much and how the territorial bodies have emerged strengthened by this experience and if, how much and how more favorable conditions for their coordination have been created.

At this moment we do not have exhaustive answers. But we are clear that the only way to fuel a mass movement against war, NATO, bases, easements, military ranges and nuclear weapons is to take care of the bodies that are promoting them. Mobilization develops only if someone promotes it.

25 “coordinated” initiatives were held in Milan, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Rome, Florence, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Naples, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Other mobilizations were also promoted beyond the aforementioned coordination. Among these, the city procession of Naples was harshly attacked by the police to prevent the demonstrators from reaching the S. Carlo theater where the “official ceremonies” were taking place. The repression, however, did not prevent a protest banner from being displayed in the theatre.

Source: Italian CARC Party

TRE INSTANTANEE SUL 25 APRILE

https://www.carc.it/2024/04/29/tre-istantanee-raccontano-il-25-aprile/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

A Milano si è svolta la manifestazione più partecipata, imponente. Tradizionalmente è “la manifestazione di rilievo nazionale del 25 Aprile”, ma a caricare di aspettative il corteo di quest’anno, e dunque la partecipazione, hanno contribuito alcuni fattori.
Il manifesto aveva lanciato l’appello per fare del 25 Aprile 2024 una giornata di mobilitazione contro il governo Meloni così come il 25 Aprile del 1994 fu una giornata di mobilitazione contro il governo Berlusconi. Le polemiche sulla censura a Scurati da parte dei vertici Rai hanno alimentato il tutto. Stiamo parlando di operazioni orchestrate, direttamente o meno, dal PD nel tentativo di strumentalizzare la giornata per fini elettorali che però indubbiamente hanno alimentato la partecipazione di quella parte di masse popolari preoccupata per la via che il governo Meloni sta imponendo al paese.
Il comitato promotore, alla cui testa c’era l’Anpi di Milano, per settimane ha tenuto i piedi in più scarpe per evitare di prendere una posizione chiara contro il genocidio in Palestina, dovendo ammettere che la presenza della Brigata ebraica – travestimento della comunità sionista – era fuori luogo (come d’altronde lo è da quando, a partire dal 2004, la sua presenza è stata imposta con i cordoni di celere e le manganellate).
Anche i tentennamenti – ma è più corretto dire il doppio gioco – del comitato promotore e dell’ANPI milanese hanno certamente avuto un ruolo nell’accendere la determinazione di moltissime persone a essere in piazza per esprimere solidarietà al popolo palestinese.
Pertanto a Milano è successo questo: decine di migliaia di persone (i giornali dicono 100 mila) hanno manifestato contro il governo Meloni e le sue politiche antipopolari e guerrafondaie e in solidarietà con il popolo palestinese.
Da molti anni il corteo del 25 Aprile a Milano non aveva una caratterizzazione politica tanto netta e una partecipazione così elevata.
L’intero corteo, dalla testa alla coda, è stato un tripudio di bandiere della Palestina che sventolavano accanto a bandiere di ogni tipo. Alla testa del corteo, circondati dalla polizia privata che va sotto il nome di City Angels, dalla digos e dalla celere, c’è stata la comunità sionista con le bandiere dello Stato genocida d’Israele, le bandiere ucraine infarcite di simboli nazisti, le bandiere di Azione, Italia Viva e + Europa. Fra questi, per non farsi mancare niente, anche un paio di bandiere della NATO.

Ecco la prima istantanea, la prima fotografia della giornata: un plotone greve, estraneo e ostile al corteo, che ha ostentato vessilli di morte e di sterminio, strenuamente difeso dallo Stato italiano, IMPOSTO manu militari alla testa dello stesso, ma al contempo assediato dai manifestanti antifascisti e antisionisti. Tutt’intorno, per chilometri – alle 13:30 Piazza Duomo era già piena di bandiere palestinesi e così fino alla coda che alle 17 doveva ancora partire – un tripudio di bandiere, striscioni, cartelli, cori, canzoni e slogan, moltissimi dei quali a sostegno della resistenza del popolo palestinese che oggi incarna i valori della vittoriosa Resistenza contro il nazifascismo.
Che i media di regime parlino di “contestazioni e offese alla Brigata ebraica” e di “aggressioni” è soltanto un’ulteriore dimostrazione del peso di quel plotone mortifero imposto alla testa del corteo, che ha cercato in ogni modo di passare come la reale vittima dell’intolleranza.

Da Roma viene la seconda istantanea. È utile analizzarla alla luce del vittimismo, amplificato a reti unificate, che la comunità sionista ha sparso a piene mani per “gli insulti e le aggressioni” che sostiene di aver subito a Milano.
Cordoni di celere che accerchiano il concentramento del corteo antifascista e antisionista a “protezione” del concentramento dei fascisti sionisti da cui parte il lancio di quattro bombe carta, sassi e barattoli di metallo. I fascisti sionisti cercano persino di aggirare i cordoni della celere per caricare il concentramento antifascista e, mentre col megafono augurano alle donne antifasciste di essere stuprate, aggrediscono i giornalisti che a loro avviso non danno una corretta versione di quello che sta accadendo.
In diretta televisiva, su Rai 3, l’inviata viene accerchiata e aggredita per aver detto che “è appena partito un tentativo di carica verso il corteo antifascista”. La conduttrice in studio si è subito allineata, affermando che “dalla comunità ebraica non parte nessuna carica”.

La terza istantanea è una foto panoramica. Da Roma a Milano, da Torino a Catania, da Firenze a Napoli, dalle metropoli ai piccoli centri il 25 Aprile sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone contro il governo Meloni, contro la guerra e i guerrafondai, in solidarietà con il popolo palestinese.
In mille posti e in mille modi hanno preso forma i contenuti e i valori della Resistenza contestualizzati alla situazione e alla lotta di classe di oggi. Rivendicazioni, ambizioni e obiettivi che concorrono, tutti, allo sbocco politico che serve al paese: una nuova liberazione dagli imperialisti USA e UE, dai sionisti e dalla NATO.

Il PD e i suoi cespugli avevano predisposto tutto affinché le celebrazioni del 25 Aprile diventassero una grande speculazione in chiave elettorale contro “il moderno fascismo del governo Meloni”.
A tal proposito hanno sfruttato fino in fondo i numerosi assist che gli esponenti del governo Meloni hanno offerto loro, dalle polemiche sulla censura della Rai a Scurati alle esternazioni di Salvini. Tuttavia l’operazione non è riuscita, come speravano.
È riuscita solo nella misura in cui i principali organi di informazione hanno dato spazio e fiato a questa pantomima.
C’è da dire che il cavallo su cui il PD ha puntato per denunciare “la censura” era un cavallo zoppo. Scurati è megafono quotidiano delle “ragioni” dei sionisti, è un detrattore della resistenza palestinese, è un negazionista del genocidio in corso il Palestina, è un sostenitore del governo ucraino e della NATO, è un sostenitore dell’intruppamento dell’Italia nella guerra contro la Federazione Russa.
Tuttavia, non è principalmente questo che ha fatto fare cilecca alla manovra orchestrata. Il colpo di grazia lo ha dato la grandiosa mobilitazione del 25 Aprile milanese.
Le larghe masse non si sono lasciate intruppare nelle file dell’antifascismo padronale.
In molte piazze il PD è stato contestato e in alcuni casi ha addirittura ammainato bandiere e striscioni.
Se si guardano le piazze anziché i commenti dei pennivendoli sui giornali, è evidente che la grande maggioranza di chi ha manifestato lo ha fatto contro le Larghe Intese e il loro programma comune. Il 25 Aprile è stata una plateale dimostrazione del diffuso rifiuto di ogni guerra e dell’economia di guerra che tanto il governo Meloni che il PD e i suoi cespugli perseguono.
La mobilitazione in cui questo rifiuto si è espresso ha bisogno di trovare una direzione per trasformarsi in una corrente politica strutturata e organizzata.
Darle sbocco politico è il compito del movimento comunista cosciente e organizzato e delle forze anti Larghe Intese.
A questo proposito, una riflessione.
Anche quest’anno si sono riproposte, in particolare a Milano, ma non solo, le annose questioni rispetto alla necessità di organizzare un corteo alternativo “per non portare acqua al mulino del PD”.
Ma anche quest’anno, ancor più degli altri anni, tali questioni sono state spazzate via dall’evidenza pratica.
È compito dei comunisti dare voce a quei sentimenti diffusi che, se nessuno li prende in mano, non sono che sterili lamenti. È compito dei comunisti promuovere e organizzare le manifestazioni di malcontento e di protesta che altrimenti sono destinate a spegnersi. È compito dei comunisti organizzare questa protesta e questo malcontento e indirizzarli e coordinarli verso un comune sbocco politico.
Andare da un’altra parte e lasciare campo libero alle Larghe Intese, ai guerrafondai, ai sostenitori e complici della NATO, dei sionisti e della UE è un errore. È un errore quando a contestarli siamo in pochi, ed è un errore ancora più grave quando è evidente che la volontà di contestazione è ampia e diffusa e cerca solo una strada per manifestarsi.

È utile riprendere – e comprendere – l’esperienza del vecchio movimento comunista nel nostro paese. Quando sotto il fascismo i partiti d’opposizione – e in particolare il Pci – erano banditi, per svolgere il lavoro di organizzazione, di agitazione e di propaganda i comunisti entravano e operavano nei sindacati fascisti, che erano l’unica forma di organizzazione operaia permessa. È facile immaginare quale tipo di contributo possono aver dato anche allora i sostenitori della tesi “nel sindacato fascista no, perché si porta acqua al mulino del regime”. Ecco, con le dovute differenze, uno spunto per riflettere sul ruolo dei comunisti e sul fatto che essi devono stare fra le masse “come pesci nell’acqua”.
A essere pesci fuor d’acqua sono le Larghe Intese e i loro esponenti, sono i sostenitori della Nato e i complici dei sionisti. Ogni centimetro di terreno che non si contende loro, è un centimetro di terreno che perdiamo noi.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

THREE SNAPSHOT PICTURES OF APRIL 25TH

The most popular and impressive demonstration took place in Milan. Traditionally it is “the event of national importance on April 25th”, but some factors contributed to filling this year’s procession with expectations, and therefore the participation.
The manifesto had launched the appeal to make 25 April 2024 a day of mobilization against the Meloni government just as 25 April 1994 was a day of mobilization against the Berlusconi government. The controversy over the censorship of Scurati by Rai leaders fueled everything. We are talking about operations orchestrated, directly or otherwise, by the PD in an attempt to exploit the day for electoral purposes which however undoubtedly fueled the participation of that part of the popular masses worried about the path that the Meloni government is imposing on the country.
The promoting committee, headed by the Anpi of Milan, kept its feet in different shoes for weeks to avoid taking a clear position against the genocide in Palestine, having to admit that the presence of the Jewish Brigade – a disguise for the community Zionist – was out of place (as indeed it has been since 2004 when its presence was imposed with police cordons and truncheons).
Even the hesitations – but it is more correct to say the double game – of the promoting committee and the Milanese ANPI certainly played a role in igniting the determination of many people to be in the streets to express solidarity with the Palestinian people.
Therefore this happened in Milan: tens of thousands of people (the newspapers say 100 thousand) demonstrated against the Meloni government and its anti-people and warmongering policies and in solidarity with the Palestinian people.
For many years the April 25th procession in Milan had not had such a clear political characterization and such high participation.
The entire procession, from head to tail, was a riot of Palestinian flags waving alongside flags of all kinds. At the head of the procession, surrounded by the private police who go by the name of City Angels, the Digos and the police, there was the Zionist community with the flags of the genocidal State of Israel, the Ukrainian flags filled with Nazi symbols, the flags of Action, Italia Viva and + Europa. Among these, so as not to miss anything, also a couple of NATO flags.

Here is the first snapshot, the first photograph of the day: a heavy platoon, alien and hostile to the procession, which flaunted banners of death and extermination, strenuously defended by the Italian State, IMPOSED by military force at its head, but at the same time besieged by the anti-fascist and anti-Zionist demonstrators. All around, for kilometers – at 1.30pm Piazza Duomo was already full of Palestinian flags and so on up to the queue which still had to leave at 5pm – a riot of flags, banners, placards, chants, songs and slogans, many of which support for the resistance of the Palestinian people who today embody the values ​​of the victorious Resistance against Nazi-fascism.
That the regime media speak of “disputes and offenses against the Jewish Brigade” and of “assaults” is only a further demonstration of the weight of that deadly platoon imposed at the head of the procession, which tried in every way to pass itself off as the real victim of intolerance.

The second snapshot comes from Rome. It is useful to analyze it in light of the victimhood, amplified in unified networks, that the Zionist community has spread liberally due to the “insulting and aggression” it claims to have suffered in Milan.
Police cordons surrounding the concentration of the anti-fascist and anti-Zionist procession to “protect” the concentration of Zionist fascists from which the launch of four paper bombs, stones and metal cans began. The Zionist fascists even try to get around the police cordons to charge the anti-fascist concentration and, while with the megaphone they wish the anti-fascist women to be raped, they attack the journalists who in their opinion do not give a correct version of what is happening.
On live television, on Rai 3, the correspondent was surrounded and attacked for having said that “an attempt to charge towards the anti-fascist march has just started”. The studio presenter immediately aligned herself, stating that “no charge comes from the Jewish community”.

The third snapshot is a panoramic photo. From Rome to Milan, from Turin to Catania, from Florence to Naples, from metropolises to small towns, on April 25th hundreds of thousands of people took to the streets against the Meloni government, against the war and the warmongers, in solidarity with the Palestinian people.
In a thousand places and in a thousand ways the contents and values ​​of the Resistance have taken shape contextualized to the situation and class struggle today. Claims, ambitions and objectives that all contribute to the political outcome that the country needs: a new liberation from the US and EU imperialists, from the Zionists and from NATO.

The PD and its bushes had arranged everything so that the celebrations of April 25th would become a great electoral speculation against “the modern fascism of the Meloni government”.
In this regard, they took full advantage of the numerous assists that members of the Meloni government offered them, from the controversy over RAI censorship to Scurati to Salvini’s utterances. However, the operation was not as successful as they had hoped.
It succeeded only to the extent that the main media outlets gave space and breath to this pantomime.
It must be said that the horse on which the PD relied to denounce “censorship” was a lame horse. Scurati is a daily megaphone of the “reasons” of the Zionists, he is a detractor of the Palestinian resistance, he is a denier of the ongoing genocide in Palestine, he is a supporter of the Ukrainian government and of NATO, he is a supporter of Italy’s involvement in the war against the Russian Federation.
However, this is not primarily what caused the orchestrated maneuver to fail. The coup de grace was given by the grandiose mobilization of April 25th in Milan.
The broad masses did not allow themselves to be drawn into the ranks of the employers’ anti-fascism.
In many squares the PD was contested and in some cases it even took down flags and banners.
If you look at the squares rather than the comments of the street vendors in the newspapers, it is clear that the vast majority of those who demonstrated did so against the Broad Agreements and their common program. April 25th was a dramatic demonstration of the widespread rejection of any war and of the war economy that both the Meloni government and the PD and its bushes pursue.

The mobilization in which this refusal was expressed needs to find a direction to transform itself into a structured and organized political current.
Giving it a political outlet is the task of the conscious and organized communist movement and the anti-Broad Understanding forces.
In this regard, a reflection.
This year too, the age-old questions regarding the need to organize an alternative procession “so as not to bring grist to the PD’s mill” have arisen again, particularly in Milan but not only.
But this year too, even more than other years, these questions have been swept away by practical evidence.
It is the task of communists to give voice to those widespread feelings which, if no one takes them into account, are nothing but sterile complaints. It is the task of communists to promote and organize demonstrations of discontent and protest which otherwise are destined to die out. It is the task of the communists to organize this protest and this discontent and direct and coordinate them towards a common political outcome.
Going elsewhere and leaving the field open to the Broad Ententes, the warmongers, the supporters and accomplices of NATO, the Zionists and the EU is a mistake. It is a mistake when there are few of us who contest them, and it is an even more serious mistake when it is clear that the will to contest is broad and widespread and is only looking for a way to manifest itself.

It is useful to revisit – and understand – the experience of the old communist movement in our country. When under fascism the opposition parties – and in particular the PCI – were banned, to carry out the work of organisation, agitation and propaganda the communists entered and operated in the fascist trade unions, which were the only form of workers’ organization allowed . It is easy to imagine what kind of contribution the supporters of the thesis “not in the fascist union, because it brings grist to the regime’s mill” may have made even then. Here, with the necessary differences, is a starting point to reflect on the role of communists and on the fact that they must be among the masses “like fish in water”.
Those who are fish out of water are the Broad Ententes and their exponents, they are the supporters of NATO and the accomplices of the Zionists. Every inch of land that they don’t compete for is an inch of land that we lose.

Source: Italian CARC Party

LE UNIVERSITA’ IN RIVOLTA

https://www.carc.it/2024/04/29/le-universita-in-rivolta/

Il testo che segue è tratto da un articolo di Milos Skakal pubblicato il 20 aprile su Dinamopress.

***

Da due mesi nelle università di tutta Italia le studentesse e gli studenti, ma anche il corpo accademico, dalla docenza alla ricerca, nonché lavoratrici e lavoratori delle utenze degli atenei stanno protestando contro il genocidio in corso in Palestina. La mobilitazione è portata avanti da collettivi e associazioni studentesche di orizzonti diversi, che però si raggruppano intorno all’idea che le università non possono essere complici del massacro in corso a Gaza e dell’escalation bellica in Medio Oriente. Le richieste si sono quindi definite in modo omogeneo nelle varie città dove si sono svolte le proteste e vertono in particolare intorno a tre temi.

Il primo riguarda la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani inquadrata all’interno dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele stipulato per le rispettive parti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dal Ministero dell’Innovazione, scienza e tecnologia (Most). (…)

La seconda rivendicazione è invece legata ai rapporti che alcune rettrici e alcuni rettori hanno con il comitato scientifico della Fondazione Med-Or, nata, come si legge sul sito, “per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del 2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)”. Leonardo, si ricorda, è una delle principali aziende belliche italiane e intrattiene rapporti commerciali correnti con Israele.

La terza richiesta riguarda più in generale di interrompere i rapporti e i finanziamenti tra le università e le aziende italiane fortemente coinvolte con lo Stato israeliano, come per esempio l’Eni, che si avvia a sfruttare i giacimenti di gas a largo della costa di Gaza, oppure la stessa Leonardo che vende armamenti all’esercito israeliano.

(…) A Roma, il 5 marzo, un corteo interno all’Università La Sapienza ha protestato contro la partecipazione dell’ateneo al bando Maeci e ha chiesto alla rettrice Polimeni di dimettersi dal board scientifico della Fondazione Med-Or. La manifestazione si è svolta mentre all’interno del rettorato si teneva il Senato accademico, che ha rifiutato di ascoltare una delegazione di studentesse e studenti.

Il 19 marzo, il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato che non rinnoverà il bando del Maeci. (…)

Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, gli studenti dell’Università di Bologna hanno protestato per chiedere lo stop agli accordi tra l’ateneo e le università israeliane, oltre a richiedere il cessate il fuoco a Gaza. Il corteo è stato represso con cariche della polizia. In contemporanea, è stato permesso a due studentesse di intervenire durante la seduta istituzionale. Mentre una di loro parlava, il rettore l’ha interrotta togliendole il microfono.

All’Università La Sapienza a Roma, il 25 e il 26 marzo le studentesse e gli studenti hanno occupato il rettorato e impedito così che si potesse svolgere in quei luoghi il Senato accademico, il quale ha continuato a ignorare le proteste. Sempre il 26 marzo la Scuola Normale superiore di Pisa ha approvato un documento che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza e ha preso piede un dibattito interno per riconsiderare le collaborazioni scientifiche applicabili anche in campo militare con le università israeliane.

L’8 aprile le studentesse e gli studenti dell’Università di Napoli Federico II hanno occupato il rettorato del loro ateneo per protestare contro la collaborazione scientifica con le università israeliane. (…)

Il 9 aprile, il Senato accademico dell’Università di Bari si è convocato per parlare unicamente della partecipazione al bando Maeci. Nessun docente ha partecipato al bando, mentre il rettore ha sottolineato l’importanza di una ricerca libera e collaborativa con gli atenei di tutto il mondo, ispirandosi al principio di pace sancito dall’articolo 11 della Carta. Inoltre il rettore si è dimesso anche dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or a seguito delle richieste delle studentesse e degli studenti.

Il 16 aprile, dopo un corteo che in mattinata ha chiesto di nuovo al Senato accademico di prendere posizione sulle stragi che avvengono in Palestina, nel pomeriggio per quattro volte le studentesse e gli studenti sono stati manganellati dalla polizia mentre provavano a uscire in corteo dall’università. Alla fine della giornata risulteranno due persone arrestate. (…)

Ma la risposta delle istituzioni, anche ai più alti livelli, sembra voler fermare questa mobilitazione in modo chiaro. Proprio questa settimana la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), per bocca della sua presidente Giovanna Iannantuoni, ha ribadito che “non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti scientifici esistenti con le università israeliane”. Inoltre, anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini si è più volte espressa contro le richieste di sospensione degli accordi tra atenei italiani e israeliani.

A tal proposito, nella lettera aperta dello scorso 8 aprile, docenti, ricercatrici e ricercatori contro il bando Maeci sostengono che “la questione della collaborazione universitaria con istituzioni di ricerca implicate nella sistematica violazione di diritti umani, sociali e civili – come lo sono  le università e i centri di ricerca israeliani – dovrebbe sempre accompagnare la nostra professione. A oggi, non esiste alcuna istituzione israeliana che si sia dissociata dalla linea governativa e non abbia sostenuto la continuazione dell’attacco militare contro Gaza. Le colleghe e i colleghi che hanno osato dissentire sono stati prontamente puniti dalle loro istituzioni con sospensioni, licenziamenti e, nel caso della collega Shalhoub-Kevorkian della Hebrew University, come è ormai noto, persino con la detenzione temporanea e la confisca temporanea del passaporto”.

***

Le università sono uno specchio del paese. Gli interessi della cricca sionista sono strenuamente difesi dal governo, dalle Forze dell’Ordine, da una parte del mondo accademico e dalle baronie, dai media. Ma se la mobilitazione continua, le crepe nel muro di gomma della Repubblica Pontificia si allargano. Se la repressione colpisce chi si mobilita, le crepe si allargano ancora di più. Se le mobilitazioni non si fermano, le autorità devono iniziare a cedere, perché le università diventano ingovernabili. Devono ingoiare il rospo.
Ciò che le autorità sono costrette a ingoiare non mette certamente fine alla complicità della Repubblica Pontificia italiana con i criminali sionisti, ma rafforza tutto il movimento delle masse popolari.
Pertanto, avanti studenti! Per far saltare tutte le collaborazioni dell’Italia con lo Stato sionista d’Israele, per la liberazione della Palestina e per la liberazione del nostro paese dai vertici della Repubblica Pontificia.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

UNIVERSITIES IN REVOLT

The following text is taken from an article by Milos Skakal published on April 20 on Dinamopress.


For two months in universities across Italy, students, but also the academic staff, from teaching to research, as well as university workers and utility workers have been protesting against the ongoing genocide in Palestine. The mobilization is carried out by student collectives and associations of different horizons, who however group together around the idea that universities cannot be complicit in the ongoing massacre in Gaza and the escalation of war in the Middle East. The requests were therefore defined in a homogeneous way in the various cities where the protests took place and focused in particular on three themes.

The first concerns the scientific collaboration between Italian and Israeli universities framed within the Italy-Israel industrial, scientific and technological cooperation agreement stipulated for the respective parties by the Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation (Maeci) and by the Ministry of Innovation, Science and Technology (Most). (…)

The second claim is instead linked to the relationships that some rectors have with the scientific committee of the Med-Or Foundation, created, as stated on the website, “on the initiative of Leonardo Spa in the spring of 2021 with the aim of promoting activities cultural, research and scientific training, in order to strengthen ties, exchanges and international relations between Italy and the countries of the Mediterranean area extended to the Sahel, Horn of Africa and Red Sea (“Med”) and of Middle and Far East (“Or”)”. Leonardo, it should be remembered, is one of the main Italian war companies and has current commercial relations with Israel.

The third request concerns more generally the interruption of relations and financing between Italian universities and companies heavily involved with the Israeli state, such as Eni, which is starting to exploit the gas fields off the coast of Gaza, or Leonardo herself who sells armaments to the Israeli army.

(…) In Rome, on March 5, a procession inside La Sapienza University protested against the university’s participation in the Maeci tender and asked the rector Polimeni to resign from the scientific board of the Med-Or Foundation. The demonstration took place while the Academic Senate was being held inside the rectorate, which refused to listen to a delegation of students.

On March 19, the Academic Senate of the University of Turin decided that it will not renew the Maeci tender. (…)

The following day, on the occasion of the inauguration of the academic year, students of the University of Bologna protested to ask for a halt to the agreements between the university and Israeli universities, as well as requesting a ceasefire in Gaza. The demonstration was repressed with police charges. At the same time, two female students were allowed to intervene during the institutional session. While one of them was speaking, the rector interrupted her by taking away the microphone.

At La Sapienza University in Rome, on 25 and 26 March the students occupied the rector’s office and prevented the Academic Senate from taking place there, which continued to ignore the protests. Also on March 26, the Scuola Normale Superiore of Pisa approved a document calling for a ceasefire in Gaza and an internal debate took hold to reconsider scientific collaborations also applicable in the military field with Israeli universities.

On April 8, students of the University of Naples Federico II occupied the rector’s office of their university to protest against scientific collaboration with Israeli universities. (…)

On 9 April, the Academic Senate of the University of Bari convened to talk solely about participation in the Maeci call. No professor participated in the call, while the rector underlined the importance of free and collaborative research with universities around the world, drawing inspiration from the principle of peace enshrined in Article 11 of the Charter. Furthermore, the rector also resigned from the scientific committee of the Med-Or Foundation following requests from students.

On 16 April, after a procession in the morning which once again asked the Academic Senate to take a position on the massacres taking place in Palestine, in the afternoon the students were beaten four times by the police as they tried to march out of the school. university. At the end of the day two people will be arrested. (…)

But the response of the institutions, even at the highest levels, seems to clearly want to stop this mobilization. Just this week the Conference of Rectors of Italian Universities (Crui), through its president Giovanna Iannantuoni, reiterated that “there is no boycott by Italian universities in existing scientific relations with Israeli universities”. Furthermore, the Minister of University and Research Anna Maria Bernini has also repeatedly spoken out against requests for the suspension of agreements between Italian and Israeli universities.

In this regard, in the open letter of last April 8, teachers, men and women researchers against the Maeci call argue that “the issue of university collaboration with research institutions implicated in the systematic violation of human, social and civil rights – as universities are and Israeli research centers – should always accompany our profession. To date, there is no Israeli institution that has dissociated itself from the government line and has not supported the continuation of the military attack on Gaza. Colleagues who dared to disagree were promptly punished by their institutions with suspensions, dismissals and, in the case of my colleague Shalhoub-Kevorkian of the Hebrew University, as is now known, even with temporary detention and temporary confiscation of her passport.”

Universities are a mirror of the country. The interests of the Zionist clique are strenuously defended by the government, by the police, by a part of the academic world and by the baronies, by the media. But if the mobilization continues, the cracks in the rubber wall of the Papal Republic will widen. If repression hits those who mobilize, the cracks widen even further. If the mobilizations do not stop, the authorities must begin to give in, because the universities become ungovernable. They have to bite the bullet.
What the authorities are forced to swallow certainly does not put an end to the complicity of the Italian Papal Republic with the Zionist criminals, but it strengthens the entire movement of the popular masses.
Therefore, forward students! To blow up all Italy’s collaborations with the Zionist State of Israel, for the liberation of Palestine and for the liberation of our country from the leaders of the Papal Republic.

Source: Italian CARC Party

I SIONISTI STANNO PERDENDO LA GUERRA CONTRO HAMAS

https://www.carc.it/2024/04/29/i-sionisti-stanno-perdendo-la-guerra/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 14 aprile ci siamo svegliati con la notizia dell’attacco condotto dall’Iran contro Israele con più di trecento tra droni e missili, come ritorsione al bombardamento da parte dei sionisti dell’ambasciata iraniana in Siria il 1° aprile.

Questo scambio di attacchi tra Israele e Iran rappresenta una svolta nel processo di allargamento del conflitto, che si realizza però in un contesto ben più ampio: in questi mesi gli imperialisti hanno messo il piede sull’acceleratore nelle loro manovre per portare il mondo intero verso la guerra, in un crescendo di provocazioni condotte su tutti i fronti.

Nell’ultimo periodo, infatti, è sempre più evidente la debolezza degli imperialisti, paralizzati dalla guerra per bande al loro interno, dall’opposizione delle masse popolari dei loro stessi paesi alla guerra, dalla crescente ribellione dei popoli di tutto il mondo al loro dominio.

Nelle istituzioni internazionali, dove prima facevano il bello e il cattivo tempo, si moltiplicano ora le risoluzioni contro il massacro perpetrato dai sionisti a Gaza, la Corte Internazionale di Giustizia ha accettato la richiesta del Sud Africa di processare Israele per genocidio e il 2024 si è aperto con l’ingresso nei Brics di cinque nuovi paesi (Etiopia, Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti).

Sugli stessi giornali dove fino all’anno scorso leggevamo articoli che ci spiegavano come fosse imminente la sconfitta dei russi, leggiamo ora titoli che prevedono il probabile crollo delle truppe del regime Zelensky questa estate.

E sul fronte della guerra in Medio Oriente, addirittura il quotidiano israeliano Hareetz l’11 aprile ha titolato: “Dire ciò che non si può dire: Israele è stato sconfitto – una sconfitta totale. Gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti, gli ostaggi non saranno restituiti attraverso la pressione militare, la sicurezza non sarà ripristinata e l’ostracismo internazionale di Israele non finirà”.

Insomma, gli imperialisti sono in crescente difficoltà. Impantanati a Gaza e in Yemen, con il fronte ucraino che sembra sul punto di crollare, e sempre più isolati a livello internazionale. Provano, quindi, a rilanciare con una nuova stagione di provocazioni, nella speranza di compattare il fronte interno e far valere il proprio potenziale militare arrivando a uno scontro diretto con i bersagli “di grosso calibro” della guerra che promuovono in tutto il mondo: Iran, Federazione Russa e, soprattutto, Repubblica Popolare Cinese.

Riportiamo, di seguito, gli avvenimenti principali.

A dicembre dello scorso anno il Mossad assassina due membri delle Guardie della Rivoluzione in Siria.

Il 3 gennaio, a Kerman, in Iran, un’attentato fa 84 morti e 284 feriti tra la folla che si era radunata presso la tomba del generale Soleimani per l’anniversario della sua morte (avvenuta a opera degli Usa nel 2020). L’azione è rivendicata dall’Isis, ma Teheran non ha dubbi: i responsabili sono gli imperialisti Usa e sionisti.

L’Iran reagisce il 16 gennaio, bombardando una base del Mossad in Iraq.

Nel frattempo, sul fronte della guerra in Ucraina, gli attacchi in territorio russo si spingono sempre più in profondità, fino al bombardamento del 15 marzo sulla raffineria di Rjazan, a 200 chilometri a sud di Mosca. Sempre nel mese di marzo vengono pubblicate le dichiarazioni di Macron, che paventa l’invio di truppe Nato in Ucraina, e dei vertici della commissione Ue, che dichiarano che l’Europa deve prepararsi a un conflitto aperto contro la Russia.

Il 22 marzo uomini armati sparano sulla folla nella sala concerti del Crocus City Hall a Mosca, dopodiché danno fuoco all’edificio, causando oltre 140 morti e centinaia di feriti. L’attentato è ancora una volta rivendicato dall’Isis, ma le autorità russe accusano il regime Zelensky, gli imperialisti Usa e Ue.

Il 1 aprile i sionisti bombardano l’ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo tredici persone, tra cui un generale delle Guardie della Rivoluzione. È un attacco verso quello che formalmente è suolo iraniano e in aperta violazione della sovranità siriana.

L’Iran reagisce nella notte tra il 13 e il 14 aprile, lanciando più di 300 tra missili e droni contro Israele. L’attacco è una ritorsione dovuta, ma non ha chiaramente l’intenzione di scatenare un’escalation e le seguenti dichiarazioni del governo iraniano confermano questa linea.

Nella notte tra il 17 e il 18 aprile i sionisti rilanciano, bombardando con droni una base militare sul territorio iraniano, nei pressi di impianti nucleari.

Il giorno dopo, il 19 aprile, viene bombardata una base delle Forze di mobilitazione popolare irachene, milizia sciita inquadrata nello Stato iracheno. Imperialisti Usa e sionisti negano ogni responsabilità, che invece viene loro addebitata dalle forze della Resistenza Islamica in Iraq, che rispondono il giorno stesso con un attacco di droni contro Israele.

Nel frattempo si intensificano anche le manovre per preparare lo scontro contro la Repubblica Popolare Cinese. L’11 aprile Biden incontra il presidente giapponese Kishida e quello filippino Marcos per rafforzare l’alleanza e la cooperazione militare in funzione anti cinese. Nei giorni successivi rilascia dichiarazioni in cui annuncia che triplicherà i dazi sull’acciaio e alluminio cinesi.

Infine, il 20 aprile, il Congresso Usa approva quattro disegni di legge che rappresentano una sintesi della politica bellicista di Washington: 60 miliardi per finanziare il regime Zelensky e la guerra contro la Federazione Russa, 26 per finanziare i sionisti e il genocidio palestinese, 8 per finanziare Taiwan e preparare la guerra contro la Repubblica Popolare Cinese. Il tutto condito con nuove provocazioni: la messa al bando di Tik Tok, l’utilizzo degli asset russi congelati per promuovere la guerra in Ucraina, l’imposizione di nuove sanzioni a Mosca, Teheran e Pechino.

Come possiamo vedere, le difficoltà degli imperialisti, la crescente forza dei paesi che si oppongono al loro dominio, determinati a non subire più passivamente ogni provocazione, non ci portano verso un più pacifico mondo multipolare, ma verso una nuova guerra mondiale, perché gli imperialisti non hanno altra strada per uscire dalla propria crisi che estendere il conflitto.

Le condizioni che alimentano la guerra sono però le stesse che concorrono a creare una situazione rivoluzionaria. Solo la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può anticipare o mettere fine alla guerra. Quale via imboccherà la storia dipende da noi comunisti.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

ZIONISTS ARE LOSING THE WAR AGAINST HAMAS

On April 14th we woke up to the news of the attack conducted by Iran against Israel with more than three hundred drones and missiles, in retaliation for the bombing by the Zionists of the Iranian embassy in Syria on April 1st.

This exchange of attacks between Israel and Iran represents a turning point in the process of widening the conflict, which however takes place in a much broader context: in recent months the imperialists have put their foot on the accelerator in their maneuvers to bring the whole world towards the war, in a crescendo of provocations conducted on all fronts.

In the last period, in fact, the weakness of the imperialists is increasingly evident, paralyzed by the gang war within them, by the opposition of the popular masses of their own countries to the war, by the growing rebellion of the peoples of the whole world against their domination .

In international institutions, where previously there was good and bad weather, resolutions against the massacre perpetrated by the Zionists in Gaza are now multiplying, the International Court of Justice has accepted South Africa’s request to try Israel for genocide and 2024 has opened with the entry into the Brics of five new countries (Ethiopia, Egypt, Iran, Saudi Arabia, United Arab Emirates).

In the same newspapers where until last year we read articles explaining to us how the defeat of the Russians was imminent, we now read headlines predicting the probable collapse of the Zelensky regime’s troops this summer.

And on the front of the war in the Middle East, even the Israeli newspaper Hareetz on April 11 ran the headline: “Saying what cannot be said: Israel has been defeated – a total defeat. The objectives of the war will not be achieved, the hostages will not be returned through military pressure, security will not be restored and Israel’s international ostracism will not end.”

In short, the imperialists are in growing difficulty. Bogged down in Gaza and Yemen, with the Ukrainian front appearing on the verge of collapse, and increasingly isolated internationally. They therefore try to relaunch with a new season of provocations, in the hope of compacting the internal front and asserting their military potential by arriving at a direct clash with the “large caliber” targets of the war they promote all over the world: Iran , Russian Federation and, above all, the People’s Republic of China.

Below we report the main events.

In December last year, the Mossad assassinated two members of the Revolutionary Guards in Syria.

On January 3, in Kerman, Iran, an attack left 84 dead and 284 injured among the crowd who had gathered at the tomb of General Soleimani for the anniversary of his death (which occurred at the hands of the USA in 2020). The action is claimed by ISIS, but Tehran has no doubts: those responsible are the US and Zionist imperialists.

Iran reacts on January 16, bombing a Mossad base in Iraq.

Meanwhile, on the front of the war in Ukraine, the attacks on Russian territory are pushing ever deeper, up to the bombing on March 15 on the Ryazan refinery, 200 kilometers south of Moscow. Also in March, statements were published by Macron, who feared the sending of NATO troops to Ukraine, and by the leaders of the EU commission, who declared that Europe must prepare for an open conflict against Russia.

On March 22, gunmen fired into a crowd at the Crocus City Hall concert hall in Moscow, then set fire to the building, causing over 140 deaths and hundreds of injuries. The attack is once again claimed by ISIS, but the Russian authorities blame the Zelensky regime, US and EU imperialists.

On April 1, Zionists bomb the Iranian embassy in Damascus, killing thirteen people, including a general of the Revolutionary Guards. It is an attack on what is formally Iranian soil and in open violation of Syrian sovereignty.

Iran reacts on the night between 13 and 14 April, launching more than 300 missiles and drones against Israel. The attack is a necessary retaliation, but it clearly has no intention of triggering an escalation and the following statements from the Iranian government confirm this line.

On the night between 17 and 18 April the Zionists relaunched, bombing a military base on Iranian territory, near nuclear plants, with drones.

The following day, April 19, a base of the Iraqi Popular Mobilization Forces, a Shiite militia within the Iraqi state, was bombed. US imperialists and Zionists deny any responsibility, which instead is attributed to them by the Islamic Resistance forces in Iraq, who respond the same day with a drone attack against Israel.

In the meantime, maneuvers to prepare for the clash against the People’s Republic of China are also intensifying. On April 11, Biden meets Japanese President Kishida and Philippine President Marcos to strengthen the alliance and military cooperation with an anti-Chinese function. In the following days he released statements announcing that he would triple the duties on Chinese steel and aluminium.

Finally, on April 20, the US Congress approves four bills that represent a synthesis of Washington’s warmongering policy: 60 billion to finance the Zelensky regime and the war against the Russian Federation, 26 to finance the Zionists and the Palestinian genocide, 8 to finance Taiwan and prepare for war against the People’s Republic of China. All seasoned with new provocations: the banning of Tik Tok, the use of frozen Russian assets to promote the war in Ukraine, the imposition of new sanctions on Moscow, Tehran and Beijing.

As we can see, the difficulties of the imperialists, the growing strength of the countries that oppose their domination, determined to no longer passively suffer any provocation, do not lead us towards a more peaceful multipolar world, but towards a new world war, because the imperialists they have no other way out of their crisis than to extend the conflict.

However, the conditions that fuel war are the same that contribute to creating a revolutionary situation. Only the victory of the socialist revolution in the imperialist countries can anticipate or put an end to the war. Which path history will take depends on us communists.

Source: Italian CARC Party

9 MAGGIO, LA GIORNATA DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/9-maggio-la-giornata-della-vittoria-sul-nazifascismo/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 9 maggio si celebra la Giornata della Vittoria sul nazifascismo. Attorno a questa data e a ciò che essa rappresenta la borghesia da tempo alimenta un’opera di revisionismo storico: cerca con ogni mezzo di demonizzare il comunismo, equiparando l’Urss di Stalin alla Germania di Hitler, e di intestare agli imperialisti Usa e del Regno Unito i maggiori meriti nella sconfitta del nazifascismo.
Questa ricorrenza deve essere, invece, occasione per riaffermare la verità storica e celebrare l’eroico sacrifico del popolo sovietico e del movimento comunista, veri artefici della liberazione dal nazifascismo.
La realtà storica è che i nazisti sono saliti al potere e hanno scatenato la guerra con il preciso intento di annientare l’Unione Sovietica e il movimento comunista, cioè di realizzare quello che era il sogno di tutta la borghesia imperialista. E, infatti, per lungo tempo gli imperialisti Usa, britannici e francesi hanno sostenuto, finanziato e appoggiato Hitler nel suo progetto.
Solo la mobilitazione antifascista delle masse popolari, alimentata dal movimento comunista, e le manovre dell’Urss per rompere il fronte imperialista (fino a firmare un patto di non belligeranza con la Germania nel 1939, il patto Molotov-Ribbentrop), li costrinsero, infine, a dichiarare guerra ai nazisti. Guerra nella quale, comunque, non si impegnarono se non quando la sconfitta dei nazisti era oramai evidente e con il principale obiettivo di non lasciare spazio ai sovietici.
Francia e Regno Unito dichiararono guerra alla Germania il 1° settembre 1939 (gli Usa solo nel 1941), giorno in cui comincia l’invasione nazista della Polonia. Ma per mesi rimasero pressoché immobili, dando ai nazisti tutto il tempo per completare la conquista della Polonia, invadere la Danimarca e la Norvegia e, infine, nel maggio del 1940, entrare in Francia passando per i Paesi Bassi e il Belgio, senza incontrare praticamente nessuna resistenza. D’altronde il motto che circolava nell’alta borghesia francese a quei tempi era: “meglio Hitler che il governo del Fronte Popolare” (che aveva vinto le elezioni nel 1936). E non è un caso se i nazisti non ebbero grandi difficoltà nell’installare un regime collaborazionista nel paese (la Francia di Vichy).
Da quel momento gli imperialisti del Regno Unito e dal dicembre del 1941 quelli Usa, entrati formalmente in guerra contro l’Asse dopo l’attacco di Pearl Harbour, resteranno sostanzialmente alla finestra, impegnandosi al massimo su fronti secondari come quello africano. Sperando in un crollo del regime socialista, lasciarono ai nazisti, oramai padroni dell’Europa, tutto il tempo per preparare e portare avanti l’invasione dell’Unione Sovietica.
Solo nel luglio del 1943, quando oramai era già cominciata la travolgente controffensiva sovietica, gli Alleati sbarcarono in Italia, dove si ritrovarono però subito impantanati (Roma sarà liberata solo il 4 giugno del 1944). E solo il successivo 6 giugno, con lo sbarco in Normandia, apriranno un vero e proprio secondo fronte nel cuore dell’Europa, come Stalin chiedeva loro di fare fin dalla fine del 1941.
È stato, invece, il movimento comunista, con l’URSS di Stalin alla testa, che fin da subito promosse la mobilitazione delle masse popolari contro il fascismo e operò per contrastarne l’ascesa; che inviò armi e mezzi e organizzò le Brigate Internazionali in sostegno alla Repubblica spagnola in quello che fu il primo vero confronto militare con i nazisti e i fascisti: la guerra civile spagnola (1936-1939).
E dal momento in cui i nazisti, oramai padroni dell’Europa, si sentirono forti abbastanza per lanciare, nel giugno del 1941, l’invasione dell’URSS, furono i sovietici a sopportare tutto il peso della guerra. Il paese fu invaso da una coalizione che comprendeva eserciti di praticamente tutti i paesi europei sotto il giogo nazista, per un totale di oltre 3 milioni di soldati e 600 mila veicoli corazzati: la più grande forza d’invasione della storia militare. Le armate di Hitler riuscirono a penetrare in profondità nel paese, arrivando in pochi mesi fino ai sobborghi di Mosca.
Ma il Partito comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica fu capace di mobilitare tutte le forze del popolo in un immenso sforzo collettivo per fermare le armate naziste, aumentare la capacità industriale e smontare e ricostruire migliaia di fabbriche dai territori occupati a quelli orientali. In breve tempo l’Urss riuscì a colmare il distacco industriale e militare nei confronti dell’impero nazista che andava da Parigi a Varsavia.
Il 28 luglio del 1942 Stalin emanò l’ordine “Non un passo indietro!”. I nazisti furono fermati nella città di Stalingrado, che divenne per le masse popolari di tutto il mondo il simbolo stesso della resistenza al nazifascismo.
Nell’inverno del 1943 si scatenò poi la controffensiva sovietica: l’assedio di Stalingrado venne rotto, centinaia di migliaia di soldati della coalizione nazista furono catturati. Cominciava l’avanzata che avrebbe portato in due anni i sovietici a liberare tutta l’Europa dall’occupazione nazista, fino a entrare, tra aprile e maggio del 1945, nella capitale tedesca: il 30 aprile Hitler si suicida in una Berlino oramai condannata a cadere in mano ai sovietici e il 9 maggio i nazisti firmano la resa.

30 aprile 1945 – l’Armata Rossa issa la bandiera della vittoria sul Reichstag a Berlino.

L’Unione Sovietica alla testa del movimento comunista – che aveva promosso eroicamente la resistenza partigiana in tutti i paesi occupati – aveva liberato l’umanità dall’incubo nazista, dimostrando la superiorità del sistema socialista e ampliando il campo comunista a mezza Europa.
Il prezzo pagato dal popolo sovietico fu altissimo: 27 milioni di morti tra cui 18 milioni di civili. E ancora oggi questo immenso sacrificio sta lì a dimostrare che comunismo e nazifascismo non solo non sono equiparabili, ma al contrario sono agli opposti, perché il movimento comunista è la sola alternativa alla barbarie del capitalismo di cui il nazifascismo è figlio e strumento.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

MAY 9, THE DAY OF VICTORY OVER NAZI-FASCISM

Victory Over Nazi-Fascism Day is celebrated on May 9th. Around this date and what it represents, the bourgeoisie has long been fueling a work of historical revisionism: it tries by every means to demonize communism, equating Stalin’s USSR with Hitler’s Germany, and to name the US and UK imperialists United the greatest merits in the defeat of Nazi-fascism.
This anniversary must, instead, be an opportunity to reaffirm the historical truth and celebrate the heroic sacrifice of the Soviet people and the communist movement, the true architects of liberation from Nazi-fascism.
The historical reality is that the Nazis came to power and unleashed the war with the precise intent of annihilating the Soviet Union and the communist movement, that is, of realizing what was the dream of the entire imperialist bourgeoisie. And, in fact, for a long time the US, British and French imperialists supported, financed and supported Hitler in his project.
Only the anti-fascist mobilization of the popular masses, fueled by the communist movement, and the maneuvers of the USSR to break the imperialist front (to the point of signing a non-belligerence pact with Germany in 1939, the Molotov-Ribbentrop pact), finally forced them to declare war on the Nazis. War in which, however, they did not engage until the defeat of the Nazis was now evident and with the main objective of leaving no room for the Soviets.
France and the United Kingdom declared war on Germany on 1 September 1939 (the USA only in 1941), the day on which the Nazi invasion of Poland began. But for months they remained virtually immobile, giving the Nazis plenty of time to complete the conquest of Poland, invade Denmark and Norway and, finally, in May 1940, enter France via the Netherlands and Belgium, practically without encountering no resistance. On the other hand, the motto circulating among the French upper class at that time was: “better Hitler than the Popular Front government” (which had won the elections in 1936). And it is no coincidence that the Nazis did not have great difficulty in installing a collaborationist regime in the country (Vichy France).
From that moment on, the imperialists of the United Kingdom and from December 1941 those of the USA, who formally entered the war against the Axis after the attack on Pearl Harbour, essentially remained on the sidelines, committing themselves to the maximum on secondary fronts such as the African one. Hoping for a collapse of the socialist regime, they left the Nazis, now masters of Europe, plenty of time to prepare and carry out the invasion of the Soviet Union.

Only in July 1943, when the overwhelming Soviet counteroffensive had already begun, did the Allies land in Italy, where they immediately found themselves bogged down (Rome was only liberated on 4 June 1944). And only on the following 6 June, with the landing in Normandy, will they open a real second front in the heart of Europe, as Stalin had asked them to do since the end of 1941.
It was, however, the communist movement, with Stalin’s USSR at its head, which immediately promoted the mobilization of the popular masses against fascism and worked to counter its rise; who sent weapons and equipment and organized the International Brigades in support of the Spanish Republic in what was the first real military confrontation with the Nazis and fascists: the Spanish Civil War (1936-1939).
And from the moment the Nazis, now masters of Europe, felt strong enough to launch the invasion of the USSR in June 1941, it was the Soviets who bore the full weight of the war. The country was invaded by a coalition that included armies of practically all the European countries under the Nazi yoke, for a total of over 3 million soldiers and 600 thousand armored vehicles: the largest invasion force in military history. Hitler’s armies managed to penetrate deep into the country, reaching the suburbs of Moscow within a few months.
But the Communist Party (Bolshevik) of the Soviet Union was able to mobilize all the forces of the people in an immense collective effort to stop the Nazi armies, increase industrial capacity and dismantle and rebuild thousands of factories from the occupied territories to the eastern ones. In a short time, the USSR managed to bridge the industrial and military gap with the Nazi empire that stretched from Paris to Warsaw.
On July 28, 1942, Stalin issued the order “Not a step back!”. The Nazis were stopped in the city of Stalingrad, which became the very symbol of resistance to Nazi-fascism for the popular masses all over the world.
In the winter of 1943, the Soviet counteroffensive was unleashed: the siege of Stalingrad was broken, hundreds of thousands of soldiers of the Nazi coalition were captured. The advance began which would lead the Soviets to liberate all of Europe from Nazi occupation in two years, until they entered the German capital between April and May 1945: on 30 April Hitler committed suicide in a Berlin now condemned to fall into Soviet hands and on May 9 the Nazis sign the surrender.

April 30, 1945 – The Red Army raises the victory flag over the Reichstag in Berlin.

The Soviet Union at the head of the communist movement – which had heroically promoted partisan resistance in all occupied countries – had freed humanity from the Nazi nightmare, demonstrating the superiority of the socialist system and expanding the communist camp to half of Europe.
The price paid by the Soviet people was very high: 27 million deaths, including 18 million civilians. And even today this immense sacrifice is there to demonstrate that communism and Nazi-fascism are not only not comparable, but on the contrary they are opposites, because the communist movement is the only alternative to the barbarism of capitalism of which Nazi-fascism is the son and instrument.

Source: Italian CARC Party

PERCHE’ E’ IMPORTANTE INTERVENIRE NELLE PIAZZE DELLA CGIL

Alla luce del sole tutto prende colore

https://www.carc.it/2024/04/29/perche-e-importante-intervenire-nelle-piazze-della-cgil/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Spesso abbiamo scritto articoli sul ruolo e il valore delle mobilitazioni organizzate dalla CGIL. É necessario tornare a parlarne, perché molti compagni svalutano e disertano queste mobilitazioni e molti altri sono tentati costantemente di farlo.

Di motivi per giustificare una simile condotta se ne possono trovare quanti se ne vogliono, la storia dei sindacati di regime degli ultimi quaranta e più anni ne offrono di molteplici. Ma per chi vuole dare il suo contributo a costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese o più semplicemente contribuire a costruire una prospettiva di riscossa per le masse popolari, astenersi dall’intervenire nelle piazze della CGIL equivale a una resa, all’abbandono di migliaia di lavoratori nelle mani di Landini, lasciando a lui l’iniziativa e il lusso di decidere cosa fare o non fare.

Questo ragionamento è valido sempre, ma lo è a maggior ragione in questa fase. Non viviamo episodi di rivolta generalizzata, ma molteplici sono i segnali, certo ancora slegati fra loro, di un sommovimento generale nel campo delle masse popolari per fare fronte agli effetti della crisi, alla spirale di guerra in cui la Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE sta trascinando il mondo e alle misure antipopolari (l’agenda Draghi aggravata dall’economia di guerra) del governo Meloni.

In questo contesto la campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno (e le amministrative, laddove si terranno) sono un’occasione in cui il nemico di classe scopre il fianco e si acuiscono le contraddizioni fra le varie fazioni della classe dominante.

Dato questo scenario, le iniziative e le mobilitazioni che i vertici della CGIL stanno portando avanti sono contemporaneamente tre cose:

– un ingrediente della campagna elettorale del polo PD delle Larghe Intese (quindi PD e tutti i suoi cespugli, di cui i vertici della CGIL sono parte integrante);

– una possibilità di mobilitazione su ampia scala dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni e contro il corso disastroso delle cose;

– una enorme potenzialità per trasformare la partecipazione a quelle manifestazioni in un’irruzione degli organismi operai e popolari nella campagna elettorale in corso.

La prima è ciò che i vertici CGIL e il PD hanno pianificato e perseguono, le altre due sono potenzialità e possibilità su cui i comunisti possono e devono intervenire affinché si sviluppino.

Per parlare chiaramente, la collusione dei vertici CGIL con il sistema delle Larghe Intese che governa il nostro paese e la sua collaborazione nello smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dai lavoratori nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, sono dati di fatto indiscutibili.

Ma allo stesso tempo è un dato di fatto indiscutibile anche che la massa di iscritti alla CGIL è costituita da lavoratori e da una grossa fetta della classe operaia del nostro paese. Si tratta di gente che ha oggettivamente interesse a combattere i governi delle Larghe Intese per imporre un governo che attui le misure che (a parole) rivendica anche Landini.

Di fronte a questa natura e composizione, come devono porsi i comunisti e chi vuole realmente darsi i mezzi per cambiare e vincere?

Alla luce del sole tutto prende colore: chi vuole cambiare le cose deve essere quel sole che permette al colore di manifestarsi, di sviluppare le sue potenzialità.

Il discorso sul rapporto fra vertici sindacali e iscritti è valido anche per gli altri sindacati di regime, ma qui ci concentriamo sulla CGIL in virtù del suo ruolo politico particolare. Un ruolo politico che è dato principalmente proprio dalla composizione della sua base, che è fatta di lavoratori che spesso hanno la falce e il martello nel cuore e che aspirano (seppur in molti casi confusamente) a cambiare lo stato di cose presente.

Questo ruolo è dimostrato dal fatto che più la CGIL si instrada su un cammino di opposizione aperta al governo Meloni, nel solco di parole d’ordine politiche, maggiore è la partecipazione che riesce a promuovere. In questo senso, l’esempio eclatante viene dalla partecipazione popolare alla manifestazione “La Via Maestra” dello scorso 7 ottobre che ha visto scendere in piazza 200 mila persone sulla parola d’ordine “applicare la Costituzione”.

Applicare la Costituzione significa lavorare per dare al paese un governo che attui quello che i vari organismi operai e popolari sparsi in tutto il paese rivendicano. Attuare coerentemente queste rivendicazioni è darsi un programma politico, di governo: è quello che noi sintetizziamo con le sette misure del Governo di Blocco Popolare (GBP).

Per i comunisti e anche per i militanti delle organizzazioni sindacali di base, porsi in modo settario verso gli iscritti ai sindacati di regime è un grave errore. Anche quando questi ripongono cieca fiducia nei vertici delle loro organizzazioni, la loro collocazione di classe ci pone il dovere di intervenire su di loro: è la nostra gente.

É sbagliato, dannoso, confondere gli iscritti con i vertici della CGIL. Hanno fiducia in Landini? Bene, allora dobbiamo puntare a organizzarli e mobilitarli sulle stesse parole d’ordine che lui solleva, sviluppare la loro autonomia d’azione, dare le gambe a quanto Landini spara solo per fare la voce grossa.

Il fattore rivoluzionario non è spararla più grossa di lui, ma sviluppare organizzazione e spirito di iniziativa. Questo emancipa realmente i lavoratori da una dirigenza parolaia e inconcludente. Dobbiamo contrastare la tendenza alla delega a cui i lavoratori sono costantemente educati e utilizzare la propaganda che i vertici sindacali sono costretti a fare per mantenere il loro ruolo, trasformandola in un programma di lotta, di organizzazione e di governo.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

WHY IT IS IMPORTANT TO INTERVENE IN THE SQUARES OF THE CGIL

In the sunlight everything takes color

We have often written articles on the role and value of the mobilizations organized by the CGIL. It is necessary to talk about it again, because many comrades devalue and desert these mobilizations and many others are constantly tempted to do so.

You can find as many reasons to justify such conduct as you like; the history of the regime’s trade unions over the last forty or more years offers many. But for those who want to give their contribution to building the socialist revolution in our country or more simply to contribute to building a prospect of recovery for the popular masses, abstaining from intervening in the CGIL squares is equivalent to a surrender, to the abandonment of thousands of workers in Landini’s hands, leaving him the initiative and the luxury of deciding what to do or not do.

This reasoning is always valid, but even more so at this stage. We are not experiencing episodes of generalized revolt, but there are many signs, certainly still unrelated to each other, of a general upheaval in the field of the popular masses to deal with the effects of the crisis, the spiral of war in which the International Community of US imperialists, Zionists and the EU is dragging the world and the anti-popular measures (the Draghi agenda aggravated by the war economy) of the Meloni government.

In this context, the electoral campaign for the European elections on 8 and 9 June (and the local elections, where they will be held) are an occasion in which the class enemy exposes its side and the contradictions between the various factions of the ruling class become more acute. .

Given this scenario, the initiatives and mobilizations that the CGIL leaders are carrying out are three things at the same time:

– an ingredient of the electoral campaign of the PD pole delle Larghe Intese (therefore PD and all its bushes, of which the leaders of the CGIL are an integral part);

– a possibility of large-scale mobilization of workers and the popular masses against the Meloni government and against the disastrous course of things;

– an enormous potential to transform participation in those demonstrations into an irruption of workers’ and popular organizations in the ongoing electoral campaign.

The first is what the CGIL and PD leaders have planned and are pursuing, the other two are potentials and possibilities on which the communists can and must intervene so that they develop.

To speak clearly, the collusion of the CGIL leaders with the system of Broad Understandings that governs our country and its collaboration in the dismantling of the rights and conquests obtained by workers during the first wave of the proletarian revolution, are indisputable facts.

But at the same time it is also an indisputable fact that the mass of CGIL members is made up of workers and a large portion of the working class of our country. These are people who objectively have an interest in fighting the governments of the Broad Ententes to impose a government that implements the measures that (in words) Landini also demands.

Faced with this nature and composition, how should communists position themselves and who really wants to give themselves the means to change and win?

In the light of the sun everything takes color: whoever wants to change things must be that sun that allows color to manifest itself, to develop its potential.

The discussion on the relationship between union leaders and members is also valid for other regime unions, but here we focus on the CGIL by virtue of its particular political role. A political role that is mainly given by the composition of its base, which is made up of workers who often have the hammer and sickle in their hearts and who aspire (albeit in many cases confusedly) to change the present state of affairs.

This role is demonstrated by the fact that the more the CGIL follows a path of open opposition to the Meloni government, following political slogans, the greater the participation it manages to promote. In this sense, the striking example comes from the popular participation in the “La Via Maestra” demonstration last 7 October which saw 200 thousand people take to the streets under the slogan “apply the Constitution”.

Applying the Constitution means working to give the country a government that implements what the various workers’ and popular organizations spread across the country demand. To consistently implement these demands is to give ourselves a political, government program: this is what we summarize with the seven measures of the Popular Bloc Government (GBP).

For the communists and also for the militants of the basic trade union organizations, approaching the members of the regime’s trade unions in a sectarian manner is a serious mistake. Even when they place blind trust in the leaders of their organizations, their class position places on us the duty to intervene on them: they are our people.

It is wrong, harmful, to confuse members with the leaders of the CGIL. Do they trust Landini? Well, then we must aim to organize and mobilize them on the same slogans that he raises, develop their autonomy of action, give legs to what Landini uses only to raise his voice.

The revolutionary factor is not to be louder than him, but to develop organization and a spirit of initiative. This truly emancipates workers from a talkative and inconclusive management. We must counter the tendency to delegate which workers are constantly educated in and use the propaganda that union leaders are forced to do to maintain their role, transforming it into a program of struggle, organization and government.

Source: Italian CARC Party

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente dalla Geoingegneria Solare SRM

NEWSLETTER PARTITO DEI CARC (COMITATI DI APPOGGIO PER LA RESISTENZA DEL COMUNISMO) MARZO 2024

Lettera aperta a Potere al Popolo e agli altri aderenti a Unione Popolare

di Teresa Noce Marzo 20, 2024

Rompere gli indugi e presentare alle elezioni europee una lista chiaramente schierata a sostegno alla resistenza palestinese, contro la guerra, la NATO e tutti i loro sostenitori e complici, contro il governo di ultradestra di Giorgia Meloni e le sue politiche

Nel comunicato Unione Popolare, che fare? diffuso il 6 Marzo, Potere al Popolo illustra i motivi della mancata confluenza di Unione Popolare con la lista “Pace Terra Dignità” promossa da Michele Santoro e Raniero La Valle (“il disaccordo sulla necessità di sostenere in ogni modo la resistenza palestinese contro lo Stato sionista israeliano e nel chiamare genocidio la strage israeliana a Gaza. Quello sulla necessità di considerare la NATO la prima responsabile di ogni guerra nel mondo e di chiederne la fine senza se e senza ma. La mancanza di una chiara scelta politica economica e sociale dal lato della maggioranza della popolazione, e non dalla parte di una minoranza di soliti noti, che, come durante la Pandemia, anche con la guerra sta continuando ad arricchirsi. Una non chiara collocazione alternativa nei confronti del centrosinistra in Italia ed in Europa”), spiega che questo ha aperto una crisi nel progetto di UP fino alla decisione dei vertici del PRC di abbandonare UP e confluire nella lista Terra Pace Dignità, cosa che ha influito anche sulla decisione di Luigi De Magistris di dimettersi da portavoce nazionale di UP, e conclude ribadendo l’importanza della presenza di una lista nettamente schierata: “con un genocidio in corso, la solidarietà con la lotta di liberazione del popolo palestinese deve essere pienamente rappresentata alle elezioni europee anche nel nostro Paese. Su posizioni chiare, che non riproducano una inesistente equidistanza tra oppressi e oppressori, e ribadiscano il diritto alla resistenza. L’Italia, che si sta riconfigurando come fedelissimo vassallo degli USA, ha maledettamente bisogno di una voce che metta al centro la solidarietà e la cooperazione tra i popoli e combatta concretamente l’imperialismo a partire dal nostro”.

È vero, alle elezioni europee c’è “maledettamente bisogno” di una lista
– che ha un programma come quello delineato da Potere al Popolo nel suo comunicato: “sostegno alla resistenza palestinese, contro la guerra, la NATO e tutti i loro sostenitori e complici, contro il governo di ultradestra di Giorgia Meloni e le sue politiche che chiedono a noi di stringere la cinghia mentre strizzano l’occhio a imprenditori ed evasori”,
– che su questo programma promuove, rafforza ed estende mobilitazione, organizzazione e coordinamento nelle fabbriche, nei porti, nei magazzini della logistica, nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nei quartieri e nei territori,
– che coalizza, come indicato sempre nello stesso comunicato, “tutte le forze politiche, sociali e sindacali che si oppongono con forza al governo Meloni e che non accettano le politiche guerrafondaie del cosiddetto “campo largo” né le posizioni ambigue verso il PD e soci su cui si sta costruendo la lista Santoro”.

Per i temi che agita e per le modalità con cui conduce la campagna elettorale, una lista con queste caratteristiche rompe “il campo della politica delimitato dai vincoli della UE e della NATO. Non solo nei palazzi, ma prima di tutto nel paese”, per dirla con le parole di Giorgio Cremaschi, autorevole esponente di Potere al Popolo.

Una lista di questo genere sposta a sinistra l’asse della campagna elettorale non solo alle europee, ma anche alle elezioni regionali e comunali che si tengono in contemporanea, smaschera le manovre elettorali delle liste al carro del polo PD e di quelle “antisistema” che sono al carro della destra reazionaria, apre contraddizione negli aderenti alla lista Santoro, rafforza la sinistra anche nelle organizzazioni di massa legate al PD, in particolare CGIL e ANPI.

Per questo diciamo ai dirigenti e ai militanti di Potere al Popolo: rompete ogni indugio e passate all’azione per presentare la lista Unione Popolare (o altro eventuale nome)!
Non è facile, è vero, bisogna superare gli ostacoli frapposti (numero firme, soglie di sbarramento, chiusura degli spazi di propaganda nella Rai pagata da tutti i cittadini e nelle reti private) dalla borghesia e dal suo sistema di potere, a partire dalla raccolta firme: anche dimezzate da 150 mila a 75 mila, sono molte. Ma è possibile: nell’estate del 2022, in molto meno tempo e in un periodo meno favorevole, Unione Popolare e altre liste anti Larghe Intese sono riuscite a raccoglierle. È vero anche che, con un colpo di mano, il governo Meloni ha cambiato in corsa le regole per presentare le liste. Ma proprio per questo anziché affidarsi a San Mattarella come fa il segretario del PRC, bisogna fare appello a tutti agli organismi popolari mobilitati in sostegno della resistenza palestinese e contro il genocidio sionista, contro la guerra, la NATO, il carovita, l’economia di guerra, ecc., ai partiti e alle organizzazioni del movimento comunista, a tutti quelli che nel PRC non sono d’accordo con la confluenza nella lista Santoro, che in definitiva fa da una spalla del PD (quindi delle Larghe Intese), ai fuoriusciti del M5S, a tutte le persone e gli organismi sinceramente contro le Larghe Intese di guerra, miseria e devastazione dell’ambiente.
In questo modo, già la raccolta firme mette in moto un percorso di convergenza delle forze politiche, sociali e sindacali che si oppongono al governo Meloni, avvia una campagna elettorale non solo di propaganda di programmi radicali, ma anche di azioni radicali: di mobilitazioni contro la guerra e l’economia di guerra, contro la sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA-NATO (a partire dalla giornata contro la NATO del prossimo 4 aprile), la complicità con i sionisti, i diktat dell’UE.

Il P.CARC è pronto a collaborare con il Coordinamento Nazionale di PaP per raccogliere le firme necessarie a presentare una lista di questo genere, a mobilitare organismi popolari, esponenti sindacali, sinceri democratici, compagni della base rossa, ecc. perché facciano altrettanto e si impegna a partecipare con tutte le sue forze affinché l’operazione abbia successo.
Per noi la cosa importante è che si costruisca una lista anti Larghe Intese che rafforza il fronte delle masse popolari e la lotta per cacciare il governo Meloni e ogni altro governo espressione della borghesia imperialista e della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, sionisti ed europei e di fatto contribuisce a creare le condizioni necessarie per costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Open letter to Potere al Popolo and other members of Unione Popolare

Breaking the deadlock and presenting to the European elections a list clearly aligned in support of the Palestinian resistance, against the war, NATO and all their supporters and accomplices, against the ultra-right government of Giorgia Meloni and its policies

In the Popular Union communiqué, what to do? released on March 6, Potere al Popolo illustrates the reasons for the lack of confluence of Unione Popolare with the “Pace Terra Dignità” list promoted by Michele Santoro and Raniero La Valle (“the disagreement on the need to support in every way the Palestinian resistance against the State Zionist and in calling the Israeli massacre in Gaza a genocide. The one on the need to consider NATO primarily responsible for every war in the world and to ask for its end without ifs or buts. The lack of a clear political, economic and social choice on the of the majority of the population, and not on the side of a minority of usual suspects, who, as during the Pandemic, are continuing to enrich themselves even with the war. An unclear alternative position towards the center-left in Italy and Europe”, he explains that this opened a crisis in the UP project until the decision of the Partito della Rifondazione Comunista leaders to abandon UP and join the Terra Pace Dignità list, which also influenced Luigi De Magistris’ decision to resign as UP’s national spokesperson, and concludes by reiterating the importance of the presence of a clearly aligned list: “with an ongoing genocide, solidarity with the liberation struggle of the Palestinian people must be fully represented in the European elections in our country too. On clear positions, which do not reproduce a non-existent equidistance between oppressed and oppressors, and reaffirm the right to resistance. Italy, which is reconfiguring itself as a most loyal vassal of the USA, desperately needs a voice that puts solidarity and cooperation between peoples at the center and concretely fights imperialism, starting with our own.”

It’s true, in the European elections there is a “damn need” for a list
– which has a program like the one outlined by Potere al Popolo in its statement: “support for the Palestinian resistance, against the war, NATO and all their supporters and accomplices, against the ultra-right government of Giorgia Meloni and its policies that demand us to tighten our belts while they wink at entrepreneurs and tax evaders”,
– which on this program promotes, strengthens and extends mobilization, organization and coordination in factories, ports, logistics warehouses, schools, offices, hospitals, neighborhoods and territories,
– which brings together, as indicated in the same press release, “all the political, social and trade union forces that strongly oppose the Meloni government and that do not accept the warmongering policies of the so-called “wide field” nor the ambiguous positions towards the PD and its associates on which the Santoro list is being built”.

Due to the issues it raises and the ways in which it conducts the electoral campaign, a list with these characteristics breaks “the field of politics delimited by the constraints of the EU and NATO. Not only in the buildings, but first of all in the country”, to put it in the words of Giorgio Cremaschi, authoritative exponent of Potere al Popolo.

A list of this kind shifts the axis of the electoral campaign to the left not only in the European elections, but also in the regional and municipal elections which are held at the same time, it unmasks the electoral maneuvers of the lists supported by the PD pole and of the “anti-system” ones which they are on the bandwagon of the reactionary right, it opens up contradiction among the members of the Santoro list, it strengthens the left also in the mass organizations linked to the PD, in particular CGIL and ANPI.

This is why we say to the leaders and militants of Potere al Popolo: break all hesitation and take action to present the Unione Popolare list (or any other possible name)!
It’s not easy, it’s true, we must overcome the obstacles placed in the way (number of signatures, thresholds, closure of propaganda spaces in the RAI paid for by all citizens and in private networks) by the bourgeoisie and its system of power, starting from the collection signatures: even halved from 150 thousand to 75 thousand, that’s a lot. But it is possible: in the summer of 2022, in much less time and in a less favorable period, Unione Popolare and other anti-Larghe Intese lists managed to collect them. It is also true that, with a coup, the Meloni government changed the rules for presenting the lists on the fly. But precisely for this reason, instead of relying on San Mattarella as the secretary of the PRC does, we must appeal to everyone to the popular organizations mobilized in support of the Palestinian resistance and against the Zionist genocide, against the war, NATO, the high cost of living, the war, etc., to the parties and organizations of the communist movement, to all those in the PRC who do not agree with the confluence of the Santoro list, which ultimately acts as a supporter of the PD (therefore of the Broad Ententes), to the exiles of the M5S, to all people and organizations sincerely against the Broad Agreements of war, misery and devastation of the environment.
In this way, the collection of signatures already sets in motion a path of convergence of the political, social and trade union forces that oppose the Meloni government, it starts an electoral campaign not only of propaganda of radical programs, but also of radical actions: of mobilizations against war and the war economy, against the submission of our country to the US-NATO imperialists (starting from the anti-NATO day on April 4th), complicity with the Zionists, the EU diktats.

The P.CARC is ready to collaborate with the National Coordination of PaP to collect the signatures necessary to present a list of this kind, to mobilize popular bodies, trade union representatives, sincere democrats, comrades of the red base, etc. to do the same and undertakes to participate with all its strength so that the operation is successful.
For us the important thing is that an anti-Broad Agreements list is built which strengthens the front of the popular masses and the fight to oust the Meloni government and any other government expression of the imperialist bourgeoisie and of the International Community of US, Zionist and European imperialist groups and in fact it contributes to creating the conditions necessary to establish an emergency government of the organized popular masses.

Source: Partito dei CARC

Il governo Meloni e le armi a Israele

Il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ed il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu
https://www.carc.it/2024/03/21/il-governo-meloni-e-le-armi-a-israele/

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa – Marzo 21, 2024

Altreconomia ha smascherato, attraverso un’inchiesta, una delle balle raccontate del governo Meloni. L’Italia sta proseguendo l’esportazione di armi verso Israele. Questo sta avvenendo nonostante il ministro della difesa, Guido Crosetto, ne avesse assicurato la sospensione stante gli scriteriati attacchi israeliani contro i palestinesi. Ma erano tutte balle. A dicembre, nel pieno dei bombardamenti israeliani di Gaza, l’export italiano di armi ha toccato quota 1.3 milioni di euro. Di questa cifra, un milione di euro riguarda armi e munizioni a uso militare. Per chi volesse approfondire riportiamo in appendice alcuni dati e fonti.

La notizia è stata seguita da una pietosa rincorsa alla smentita da parte del governo. Crosetto ha giurato che la vendita delle armi fosse sospesa dal 7 ottobre. Tajani, ministro degli esteri, ha rassicurato: “l’Italia ha interrotto l’invio di armi a Israele dall’inizio delle guerra di Gaza”. Una volta smentito da Altreconomia, Tajani, ha rettificato dicendo che i numeri dell’Istat citati nell’inchiesta si riferiscono ad accordi e licenze precedenti. Quegli accordi e licenze “ancora in essere” che il 12 febbraio lo stesso ministro aveva dichiarato di aver sospeso, come ricordato in un articolo de il Fatto Quotidiano.

L’apparenza inganna

Il governo Meloni, sotto la malriuscita facciata pacifista e umanitaria, prosegue la sua politica di guerra al servizio dei gruppi imperialisti Usa, dei sionisti e della Ue. Questo è il dato che Altreconomia ha mostrato. Ma non sono soli. Anche il teatrino messo in piedi da PD e M5S per la cessazione dell’invio delle armi non è altro che propaganda di facciata. Conte e Schlein hanno firmato tutti gli invii di armi, le missioni militari e le leggi guerrafondaie degli ultimi due anni. Gli interessi che legano tutti i partiti delle Larghe intese allo stato sionista d’Israele, del resto, sono profondi e strutturati (vedi ad esempio Sul ruolo dei sionisti in Italia).

Questo è un altro campo in cui va in scena il teatrino della Repubblica Pontificia. Pubblicamente Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, PD e M5S si fanno la guerra ma alla prova dei fatti portano avanti gli stessi interessi e votano le stesse misure (come per l’intervento nel Mar Rosso).

In questa società non dirige la maggioranza ma chi detiene il capitale ed è a questi che obbediscono partiti e istituzioni della borghesia. Però la maggioranza, le masse popolari, hanno un peso che non può essere eliminato. Ed è per questo che, a fronte delle lotte e ribellioni diffuse contro la guerra, i partiti di regime cercano il sostegno delle masse camuffandosi pacifisti.

L’indecente stretta di mano tra la Prima Ministra italiana romana sguaiata della Garbatella Giorgia Meloni ed il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Far cessare il fuoco a Gaza vuol dire far cessare il governo Meloni!

Per sostenere davvero la resistenza palestinese sono le masse popolari organizzate del nostro paese a doversi imporre! L’obiettivo unitario di tutti gli organismi e dei singoli che oggi si mobilitano in mille forme in sostegno alla Palestina deve diventare quello di cacciare il governo Meloni e la cricca delle Larghe intese. Così e solo così cesseranno anche le politiche di guerra del governo italiano in appoggio a imperialisti americani e sionisti.

Su questo obiettivo i comitati, i collettivi, le associazioni possono incanalare e far convergere iniziative di denuncia e di boicottaggio nelle aziende produttrici di armi o legate a Israele, al traffico di armi, nelle università, nelle scuole, nei dintorni delle basi militari ecc. Far convergere forze, esperienze, energie e inventiva di ognuno degli organismi in mobilitazione per rendere il paese ingovernabile. Occasione importante saranno le prossime mobilitazioni del 4 aprile, in occasione dell’anniversario di fondazione della NATO.

Per la pace. Per attuare il ripudio della guerra come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla Costituzione. Per impedire il genocidio. È necessario alimentare la mobilitazione per la cacciata del governo e di tutti i guerrafondai attraverso l’organizzazione, la mobilitazione e la proposta di un modo alternativo di dirigere il paese. È questo il contributo migliore e più importante al cessate il fuoco su Gaza.

Quali sono le maggiori aziende da cui partono le armi per Israele?

Il report dell’Istat – riportato dall’inchiesta di Altreconomia – mostra le province e le aziende da cui sono partite le maggiori esportazioni. La prima provincia italiana è Lecco, dove ha sede la fabbrica Fiocchi munizioni, con 1.011.510 euro, seguita da Brescia, territorio della Fabbrica d’armi Beretta (ma non solo), con 749.277, e poi da Roma (sede di numerose aziende) con 351.426 euro, e infine da Genova, con 14.313 euro.

Nella categoria merceologica ‘Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi da ottobre a dicembre 2023 risultano esportati a Israele 14.800.221 euro di materiali, di cui 8.795.408 euro, oltre la metà, da Varese. Provincia nella quale ha sede Alenia Aermacchi del gruppo Leonardo, azienda produttrice dei 30 aerei addestratori militari M-346, selezionati dal ministero della Difesa di Israele nel febbraio del 2012 e poi acquistati ed esportati per addestrare i piloti della Israeli Air Force. Quella che sta attualmente bombardando la Striscia di Gaza”.

Il sito The Weapon Watch (l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei) con una propria inchiesta ha inoltre smentito le dichiarazioni della dirigenza della Leonardo SpA (partecipata dello Stato italiano) che diceva “in tutti i teatri di guerra in corso, a partire dall’Ucraina e dal Medio Oriente, non c’è nessun sistema offensivo di nostra produzione”. L’osservatorio fa infatti sapere che “nella guerra di Israele contro la popolazione palestinese non solo sono presenti armi di Leonardo, ma queste sono state impiegate in azioni di bombardamento indiscriminate su aree urbane densamente abitate”. A supporto di questa affermazione, l’Osservatorio ha pubblicato sul proprio sito internet tutta una serie di foto e la descrizione dei prodotti di questa azienda nelle mani dell’esercito israeliano che, da ottobre 2023, bombarda e occupa la Striscia di Gaza.

Fonti

Dal sito Altreconomia:

Armi italiane a Israele dopo il 7 ottobre il governo non è trasparente

L’Italia continua a esportare armi a Israele, il caso delle forniture per i caccia

 L’Italia ha esportato armi e munizioni verso Israele dopo il 7 ottobre 

Da Il Fatto Quotidiano

Il Fatto Quotidiano del 14 marzo 2024 Armi a Israele dopo il 7 ottobre. Ma Crosetto diceva: “Stop invii”

Il Fatto Quotidiano del 19 marzo 2024  Armi a Tel Aviv anche Tajani mente mentre l’Uama non risponde

Dal sito Atlanteguerre

Armi della Leonardo spa “impiegate nei bombardamenti a Gaza”

English translate

Meloni’s government and weapons to Israel

Italian Foreign Minister Antonio Tajani and Isral Prime Minister Benjamin Netanyahu

Altreconomia has exposed, through an investigation, one of the lies told by the Meloni government. Italy is continuing to export arms to Israel. This is happening despite the defense minister, Guido Crosetto, having ensured its suspension given the reckless Israeli attacks against the Palestinians. But it was all bullshit. In December, at the height of the Israeli bombing of Gaza, Italian arms exports reached 1.3 million euros. Of this figure, one million euros concerns weapons and ammunition for military use. For those wishing to find out more, we provide some data and sources in the appendix.

The news was followed by a pitiful denial by the government. Crosetto vowed that gun sales would be suspended from October 7. Tajani, foreign minister, reassured: “Italy has stopped sending weapons to Israel since the beginning of the Gaza war”. Once denied by Altreconomia, Tajani corrected it by saying that the Istat numbers cited in the investigation refer to previous agreements and licenses. Those agreements and licenses “still in existence” which on 12 February the minister himself declared he had suspended, as recalled in an article of il Fatto Quotidiano.

Appearances are deceiving

The Meloni government, under the unsuccessful pacifist and humanitarian façade, continues its war policy at the service of US imperialist groups, Zionists and the EU. This is the data that Altreconomia has shown. But they are not alone. Even the little theater put up by PD and M5S for the cessation of the sending of weapons is nothing more than facade propaganda. Conte and Schlein signed all shipments of weapons, military missions and warmongering laws of the last two years. The interests that bind all the parties of the Broad Agreements to the Zionist state of Israel, moreover, are deep and structured (see for example On the role of the Zionists in Italy).

This is another field in which the little theater of the Papal Republic is staged. Publicly the Brothers of Italy, Lega, Forza Italia, PD and M5S wage war on each other but, as proven by facts, they pursue the same interests and vote for the same measures (as for the intervention in the Red Sea).

In this society it is not the majority that rules but those who hold the capital and it is these who are obeyed by the parties and institutions of the bourgeoisie. But the majority, the popular masses, have a weight that cannot be eliminated. And this is why, in the face of widespread struggles and rebellions against the war, the regime parties seek the support of the masses by disguising themselves as pacifists.

The indecent waving between Italian Prime Minister Giorgia Meloni and Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu

Ending the fire in Gaza means ending the Meloni government!

To truly support the Palestinian resistance, the organized popular masses of our country must impose themselves! The unitary objective of all the organizations and individuals who today mobilize in a thousand ways in support of Palestine must become that of expelling the Meloni government and the Broad Understandings clique. Thus and only in this way will the war policies of the Italian government in support of American imperialists and Zionists cease.

With this objective in mind, committees, collectives and associations can channel and converge denunciation and boycott initiatives in companies producing weapons or linked to Israel, in arms trafficking, in universities, in schools, around military bases, etc. Bring together the forces, experiences, energies and inventiveness of each of the organizations mobilizing to make the country ungovernable. An important occasion will be the next mobilizations on April 4th, on the occasion of the anniversary of the founding of NATO.

For peace. To implement the repudiation of war as an “instrument of offense against the freedom of other peoples and as a means of resolving international disputes” enshrined in the Constitution. To prevent genocide. It is necessary to fuel the mobilization for the expulsion of the government and all the warmongers through organisation, mobilization and the proposal of an alternative way of running the country. This is the best and most important contribution to the ceasefire on Gaza.

What are the major companies that ship weapons to Israel?

The Istat report – reported by the Altreconomia investigation – shows the provinces and companies from which the largest exports originated. The first Italian province is Lecco, where the Fiocchi ammunition factory is based, with 1,011,510 euros, followed by Brescia, territory of the Beretta arms factory (but not only), with 749,277, and then by Rome (home to numerous companies ) with 351,426 euros, and finally from Genoa, with 14,313 euros.

In the product category ‘Aircraft, space vehicles and related devices, from October to December 2023, 14,800,221 euros of materials were exported to Israel, of which 8,795,408 euros, more than half, from Varese. Province in which Alenia Aermacchi of the Leonardo group is based, the company producing the 30 M-346 military trainer aircraft, selected by the Israeli Ministry of Defense in February 2012 and then purchased and exported to train the pilots of the Israeli Air Force. The one that is currently bombing the Gaza Strip.”

The website The Weapon Watch (the Observatory on weapons in European and Mediterranean ports) with its own investigation also denied the declarations of the management of Leonardo spa (owned by the Italian State) which said “in all the theaters of ongoing war, a starting from Ukraine and the Middle East, there is no offensive system of our own production.” The observatory in fact makes it known that “in Israel’s war against the Palestinian population not only are Leonardo’s weapons present, but these were used in indiscriminate bombing actions on densely populated urban areas”. To support this statement, the Observatory has published on its website a whole series of photos and the description of the products of this company in the hands of the Israeli army which, since October 2023, has been bombing and occupying the Gaza Strip.

Source: Partito dei CARC

Mobilitazione contro la NATO in occasione del 75° anniversario dalla sua fondazione

https://www.carc.it/2024/03/21/mobilitazione-contro-la-nato-in-occasione-del-75-anniversario-dalla-sua-fondazione/

Riceviamo e pubblichiamo l’appello per una mobilitazione contro la Nato in vista del 4 aprile, data del 75° anniversario della sua fondazione. Il P.Carc si mobilita per allargare la partecipazione e si attiva nei territori in cui è presente.

***

Si è svolto il 10 marzo il primo incontro online finalizzato a coordinare attività, iniziative e mobilitazioni comuni il 4 aprile, in concomitanza con il 75° anniversario della fondazione della Nato.

Considerando che anche in passato molte realtà si sono mobilitate in autonomia per questa scadenza, l’idea di fondo è valorizzare ogni iniziativa già programmata (e incoraggiare a organizzarne) nel quadro di un coordinamento, in modo che ognuna rafforzi le altre e tutte vadano a combinarsi con la mobilitazione internazionale che si svolgerà in vari altri paesi fra cui Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Usa, Federazione Russa, Bielorussia, Grecia, Turchia.

Al netto di alcuni importanti e interessanti spunti di analisi e di dibattito – che non sono stati sviluppati, ma che testimoniano la volontà e la spinta di alimentare il confronto e un percorso comune – l’incontro è stato interamente dedicato a raccogliere intenzioni e disponibilità alla mobilitazione e si sono assunte le seguenti decisioni:

  • al momento, il percorso si concentra sull’obiettivo di allargare a quante più realtà possibili l’appello a mobilitarsi in occasione dell’anniversario della fondazione della Nato sulla base di una sola parola d’ordine unificante “chiudiamo le basi Usa-Nato”. Ogni realtà territoriale può liberamente aggiungere altre parole d’ordine che qualificano la propria attività e sensibilità;
  • ogni realtà che deciderà di attivarsi è libera di scegliere le modalità che ritiene più opportune e i luoghi che ritiene più adatti per mobilitarsi;
  • considerando che il 4 aprile cade di giovedì, ai fini della riuscita delle iniziative è utile estendere la mobilitazione anche ai giorni successivi, fino al 7 Aprile.

Un nuovo incontro di coordinamento si svolgerà domenica 24 marzo, sempre on line (https://meet.jit.si/NoNato2024) e sempre dalle 14:30 alle 16:30

Alcune precisazioni, soprattutto per gli interessati che non hanno potuto partecipare all’incontro.

In questa fase insistiamo sull’unità d’azione e sulla convergenza delle mobilitazioni sul 4 aprile perché riteniamo necessario dare un segnale chiaro, pratico e concreto. Un segnale di protesta (contro la Nato), ma che è valido anche per tutte la popolazione: è falso che non esiste opposizione alla cricca di criminali che sta portando il nostro paese e il mondo in guerra; è falso che non esiste un’alternativa, è falso che possiamo solo subire e obbedire.

Fra realtà, reti e movimenti emerge in mille modi l’esigenza e la volontà di fare qualcosa di più. Ebbene consideriamo questo percorso di coordinamento attorno alla data del 4 Aprile come un’occasione, un primo passo per creare condizioni più favorevoli per sviluppare relazioni più strette, di conoscenza reciproca, di sostegno, di solidarietà e di collaborazione.

In questo senso ogni proposta e ogni spunto alla discussione e all’approfondimento sono benvenuti, sono accolti e pensiamo che debbano essere sviluppati a tempo debito e a debite condizioni.

Ciò che proponiamo oggi è un passo, piccolo ma concreto, nella direzione del coordinamento dell’iniziativa pratica da promuovere con le forze che si hanno a disposizione. È un passo che possono fare tutti, di cui c’è necessità e urgenza. Per questo motivo chiediamo di dare ampia diffusione a questo resoconto e all’invito alla prossima riunione online a realtà ritenete possano essere interessate.

Hanno partecipato alla riunione e sono intervenuti:
Emanuele Lepore – Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito; Beppe Corioni – CS 28 maggio; Crasta Nadia – free Assange Napoli; Stefano Tenenti – No Guerra No Nato Ancona; Antonella – No Muos Sicilia; Mario Sanguinetti – Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università – Roma; Roberta Leoni – Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università Viterbo; Marcella – Tavola della pace Bergamo; Alessandro Orsetti – No Comando Nato Firenze; Sandra – Comitato Fermiamo la Guerra Firenze; Alessandro Capuzzo – Trieste; Rolando Giai Levra – Movimento per la Rinascita Comunista Milano

CHIUDIAMO LE BASI NATO-USA!
75 ANNI DI NATO SONO ABBASTANZA!

Dichiariamo il 4 Aprile Giornata contro la NATO e la guerra
Secondo incontro di confronto per coordinarci
Domenica 24 marzo 2024 – dalle 14:30 alle 16:30

In vista del 75° anniversario della fondazione della Nato invitiamo movimenti, organismi e reti a un primo incontro per ragionare sulle possibilità di organizzare in TUTTI i territori che riusciamo a raggiungere manifestazioni nelle modalità e forme definite nei territori stessi. L’obiettivo è dare un forte segnale, dalla Lombardia alla Sicilia: vi invitiamo a partecipare all’incontro on line che si svolge il 24 marzo dalle 14:30 alle 16:30 al seguente link https://meet.jit.si/NoNato2024.

Fai circolare l’invito a realtà che pensi possano essere interessate.

Se siete interessati, ma non potete partecipare, rispondete a questo messaggio e scrivete alla mail danteali_2021@libero.it lasciando un vostro recapito. Sarà preparato un breve resoconto dell’incontro per aggiornarvi e tenerci in contatto.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Mobilization against NATO on the occasion of the 75th anniversary of its foundation

We receive and publish the appeal for a mobilization against NATO in view of April 4, the date of the 75th anniversary of its foundation. P.Carc is mobilizing to broaden participation and is active in the territories in which it is present.


The first online meeting aimed at coordinating joint activities, initiatives and mobilizations on 4 April, coinciding with the 75th anniversary of the founding of NATO, took place on 10 March.

Considering that in the past many entities have also mobilized independently for this deadline, the basic idea is to enhance each initiative already planned (and encourage the organization of them) within the framework of coordination, so that each one strengthens the others and all contribute to combine with the international mobilization that will take place in various other countries including Belgium, Austria, Switzerland, Germany, USA, Russian Federation, Belarus, Greece, Turkey.

Apart from some important and interesting points of analysis and debate – which were not developed, but which demonstrate the desire and drive to fuel discussion and a common path – the meeting was entirely dedicated to gathering intentions and willingness to mobilization and the following decisions were taken:

  • at the moment, the path is focused on the objective of extending to as many realities as possible the call to mobilize on the occasion of the anniversary of the foundation of NATO on the basis of a single unifying slogan “let’s close the US-NATO bases” . Each territorial entity can freely add other buzzwords that qualify its own activity and sensitivity;
  • each entity that decides to take action is free to choose the methods it deems most appropriate and the places it deems most suitable to mobilize;
  • considering that April 4th falls on a Thursday, for the success of the initiatives it is useful to extend the mobilization to the following days, until April 7th.

A new coordination meeting will take place on Sunday 24 March, again online (https://meet.jit.si/NoNato2024) and again from 2.30pm to 4.30pm

Some clarifications, especially for those interested who were unable to attend the meeting.

At this stage we insist on unity of action and the convergence of mobilizations on April 4 because we believe it is necessary to give a clear, practical and concrete signal. A sign of protest (against NATO), but which is also valid for all the population: it is false that there is no opposition to the clique of criminals who are leading our country and the world into war; it is false that there is no alternative, it is false that we can only submit and obey.

Between realities, networks and movements, the need and desire to do something more emerges in a thousand ways. Well, we consider this coordination process around the date of April 4th as an opportunity, a first step to create more favorable conditions for developing closer relationships, mutual knowledge, support, solidarity and collaboration.

In this sense, every proposal and every starting point for discussion and in-depth analysis are welcome, they are welcomed and we think that they should be developed in due time and under due conditions.

What we propose today is a small but concrete step in the direction of coordinating the practical initiative to be promoted with the forces available. It is a step that everyone can take, which is necessary and urgent. For this reason we ask that this report and the invitation to the next online meeting be widely disseminated to organizations you believe may be interested.

The following attended the meeting and spoke:
Emanuele Lepore – National Association of Depleted Uranium Victims; Beppe Corioni – CS 28 May; Crasta Nadia – free Assange Napoli; Stefano Tenenti – No War No Nato Ancona; Antonella – No Muos Sicily; Mario Sanguinetti – Observatory against the militarization of schools and universities – Rome; Roberta Leoni – Observatory against the militarization of schools and universities in Viterbo; Marcella – Peace Table Bergamo; Alessandro Orsetti – No Nato Command Florence; Sandra – Let’s Stop the War Florence Committee; Alessandro Capuzzo – Trieste; Rolando Giai Levra – Movement for Communist Rebirth Milan

LET’S CLOSE THE NATO-US BASES!
75 YEARS OF BORN IS ENOUGH!

We declare April 4th Anti-NATO and War Day
Second discussion meeting to coordinate
Sunday 24 March 2024 – from 2.30pm to 4.30pm

In view of the 75th anniversary of the founding of NATO, we invite movements, organizations and networks to a first meeting to discuss the possibilities of organizing demonstrations in ALL the territories that we can reach in the ways and forms defined in the territories themselves. The objective is to give a strong signal, from Lombardy to Sicily: we invite you to participate in the online meeting taking place on March 24th from 2.30pm to 4.30pm at the following link https://meet.jit.si/NoBorn2024.

Circulate the invitation to organizations you think might be interested.

If you are interested, but cannot participate, reply to this message and write to the email danteali_2021@libero.it leaving your contact details. A short report of the meeting will be prepared to update you and keep us in touch.

Adesione del Partito dei CARC alla mobilitazione del Fronte della Gioventù Comunista del 22 Marzo

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa -Marzo 21, 2024

Il Partito dei CARC aderisce e partecipa alla mobilitazione nazionale lanciata dal Fronte della Gioventù Comunista per venerdì 22 Marzo.

Negli ultimi mesi gli studenti hanno assunto un ruolo da protagonisti nella lotta in solidarietà al popolo palestinese. La mobilitazione studentesca del 17 novembre scorso, le lotte condotte dagli studenti universitari dei principali atenei d’Italia per ottenere la revoca degli accordi delle università con le istituzioni israeliane, il contributo che studenti medi e universitari hanno dato alla riuscita dello sciopero e della manifestazione nazionale di Milano del 23 e 24 febbraio hanno dato un segnale forte, gli studenti stanno con la Palestina.

Ma c’è di più. Quella di “stare con la Palestina” non è solo una presa di posizione ideologica. Si sta facendo strada, nella parte più avanzata del movimento studentesco, la consapevolezza che esiste un nesso profondo fra la lotta per la solidarietà al popolo palestinese e la lotta contro il Ministro Valditara e la sua Riforma, contro la militarizzazione delle scuole, contro la collaborazione del governo italiano con quello sionista d’Israele. Il contributo migliore che gli studenti possono dare alla vittoria del popolo palestinese è lavorare per indebolire qui e adesso, a partire dalle scuole e le università, il potere dei sionisti e dei guerrafondai che governano il nostro paese complici del genocidio che si sta consumando a Gaza.

Gli studenti che si mettono su questa strada fanno paura al governo Meloni, che infatti risponde con la repressione. Fioccano le manganellate sugli studenti sedicenni e fioccano anche i viscidi attestati di solidarietà da parte del Partito Democratico. Evidentemente Schlein, Giani e Nardella non si ricordano delle democraticissime manganellate che ha dato il loro partito quando era al governo solo poco tempo fa. Se le ricordano invece gli studenti feriti dalla polizia a Torino durante il Governo Draghi, mentre manifestavano per la morte di Lorenzo Parelli durante uno stage.

Ebbene, le manganellate sono state un passo falso per il Governo Meloni, perché dalla repressione il movimento studentesco ha tratto nuova linfa. A niente è valso il tentativo del PD e del centrosinistra di spostare l’attenzione sulla violenza poliziesca (come se fosse una novità!) pur di non pronunciarsi nel merito dei veri motivi per i quali c’è stata quella violenza, cioè la lotta contro il genocidio in Palestina.

Gli studenti non hanno fatto un passo indietro, anzi, hanno saputo rilanciare la lotta e approfittare delle crepe che l’attacco repressivo ha aperto all’interno delle istituzioni. A Pisa il Senato Accademico del 14 marzo è stato costretto ad accogliere quattro delle sette mozioni presentate dagli Studenti per la Palestina, a Torino l’Ateneo ha deciso di sospendere la collaborazione con le realtà accademiche israeliane.

Sottoscriviamo, quindi, la dichiarazione del FGC e facciamo appello ai collettivi studenteschi medi e universitari, ai singoli studenti, ai collettivi ambientalisti, a scendere in piazza venerdì 22 marzo, per dare un forte segnale contro la repressione degli studenti, per respingere al mittente la Riforma Valditara e impedire la sua approvazione, per fermare il genocidio in atto in Palestina. In definitiva, per fare della giornata del 22 marzo una giornata di lotta contro il Governo Meloni, un governo che, come scrive FGC, va fermato.

Noi diciamo che, oltre che fermarlo, gli studenti hanno il compito di cacciarlo. Il Governo Meloni – così come nessun altro governo espressione delle Larghe Intese – potrà mai attuare o anche solo venire a compromessi con le rivendicazioni degli studenti. Deve essere mandato a casa e a sostituirlo, questa volta, non devono esserci i paladini dell’antifascismo padronale del PD, ma esponenti di fiducia dei collettivi studenteschi e delle organizzazioni dei lavoratori, che, sostenuti e incalzati dal basso, inizino ad attuare le misure più urgenti per mettere mano alla crisi.

Fonte: Partito dei CARC

Membership of the CARC Party in the mobilization of the Communist Youth Front on 22 March

The CARC Party joins and participates in the national mobilization launched by the Communist Youth Front for Friday 22 March.

In recent months, students have taken on a leading role in the fight in solidarity with the Palestinian people. The student mobilization of last November 17, the struggles conducted by university students from the main Italian universities to obtain the revocation of the universities’ agreements with Israeli institutions, the contribution that middle school and university students gave to the success of the strike and the national demonstration of Milan on 23 and 24 February gave a strong signal, the students are with Palestine.

But there’s more. That of “staying with Palestine” is not just an ideological position. The awareness is gaining ground in the most advanced part of the student movement that there is a profound connection between the fight for solidarity with the Palestinian people and the fight against Minister Valditara and his Reform, against the militarization of schools, against collaboration of the Italian government with the Zionist government of Israel. The best contribution that students can make to the victory of the Palestinian people is to work to weaken here and now, starting from schools and universities, the power of the Zionists and warmongers who govern our country, complicit in the genocide that is taking place in Gaza.

The students who take this path scare the Meloni government, which in fact responds with repression. The beatings of sixteen-year-old students are pouring in and the slimy certificates of solidarity from the Democratic Party are also pouring in. Evidently Schlein, Giani and Nardella do not remember the very democratic beatings that their party gave when it was in government only a short time ago. Instead, they are remembered by the students injured by the police in Turin during the Draghi government, while demonstrating for the death of Lorenzo Parelli during an internship.

Well, the beatings were a misstep for the Meloni Government, because the student movement drew new life from the repression. The attempt by the PD and the centre-left to shift attention to police violence (as if it were new!) was of no avail in order not to comment on the true reasons why that violence occurred, i.e. the fight against the genocide in Palestine.

The students did not take a step back, on the contrary, they were able to relaunch the fight and take advantage of the cracks that the repressive attack opened within the institutions. In Pisa the Academic Senate on March 14 was forced to accept four of the seven motions presented by Students for Palestine, in Turin the University decided to suspend collaboration with Israeli academic institutions.

We therefore subscribe to the FGC’s declaration and appeal to middle and university student collectives, individual students, environmentalist collectives, to take to the streets on Friday 22 March, to give a strong signal against the repression of students, to reject the sender’s Reform Valditara and prevent its approval, to stop the genocide taking place in Palestine. Ultimately, to make March 22nd a day of struggle against the Meloni Government, a government which, as FGC writes, must be stopped.

We say that, in addition to stopping him, the students have the task of chasing him away. The Meloni Government – just like no other government expressing the Broad Understandings – will ever be able to implement or even compromise with the students’ demands. He must be sent home and to replace him, this time, there must not be the champions of the PD’s employers’ anti-fascism, but trusted representatives of the student collectives and workers’ organizations, who, supported and urged from below, begin to implement the most urgent to address the crisis.

Source: Partito dei CARC

Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici!

di Agenzia Stampa – Staffetta Rossa -Marzo 19, 2024

https://www.carc.it/2024/03/19/costruiamo-la-riscossa-delle-donne-lavoratrici/

Pubblichiamo la lettera che una nostra compagna ci ha scritto in cui riporta alcune considerazioni suscitatele dalla partecipazione all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici organizzata dalla sezione Milano Nord-est del Partito dei CARC, di cui rilanciamo il video.

La lettera è utile non solo perché mostra alcuni esempi di lotte condotte sui luoghi di lavoro dalle compagne che hanno partecipato al dibattito ma anche perché mostra nella pratica in cosa si traduca agire da lavoratrice comunista sul proprio posto di lavoro.

La compagna, infatti, spiega come partire dalle lavoratrici, dalle necessità oggettive e dalle forme di oppressione che in questo sistema vivono sul posto di lavoro, elaborarle insieme a loro e trasformarle in azioni, mobilitazioni e organizzazione, è uno degli aspetti decisivi per avanzare nella lotta per cacciare il governo Meloni e imporre un nuovo governo del paese. Un governo che sia espressione di chi per vivere deve lavorare e che su spinta e incalzo delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati trasformi in leggi e decreti quanto deciso da loro. Buona visione e buona lettura.

Il video dell’iniziativa del 10 marzo 2024 svolto al Circolo famigliare di unità proletaria di Milano sulla condizione di lavoro delle lavoratrici nelle aziende.

Care compagne e compagni dell’Agenzia Stampa Staffetta Rossa,

sono una compagna del Partito dei CARC e domenica 10 marzo ho partecipato all’iniziativa Costruiamo la riscossa delle donne lavoratrici, organizzata dalla sezione Milano Nord-est.

L’iniziativa si è svolta a conclusione di una settimana di lotta e mobilitazione per le donne delle messe popolari, che venerdì 8 marzo hanno aderito allo sciopero nazionale promosso da Non Una di Meno e proclamato da alcuni sindacati di base che ne hanno raccolto l’appello. Appello che incalzava le donne lavoratrici a costruire lo sciopero all’interno del proprio posto di lavoro e ad organizzarsi per partecipare in massa alla mobilitazione.

All’iniziativa hanno partecipato diverse donne lavoratrici: Margherita Napoletano, CUB sanità; Tania Giusto, Coordinamento per le RSA Sol Cobas; Emilia Piccolo, ADL Cobas scuola; Elena Bocci, iscritta FILT CGIL logistica e Giovanna Baracchi, Democrazia Atea.

Quando si cerca di mettere insieme sindacati diversi spesso a prevalere è la concorrenza tra questi. Gli interventi che hanno fatto le compagne relatrici invece mi hanno mostrato qualcosa di diverso. Ognuna, per il suo ruolo e per il suo settore di lavoro, ha messo al centro del proprio ragionamento il fatto di essere una donna comunista e cosa questo implichi rispetto al compito che una compagna deve assumere all’interno del proprio posto di lavoro, innanzitutto promuovere organizzazione tra le lavoratrici, a prescindere dalla tessera sindacale di appartenenza.

L’esperienza raccontata da Tania è stata quella dalla quale ho raccolto immediatamente alcuni insegnamenti. La compagna ha parlato infatti di come sia riuscita a organizzare le sue colleghe contro condizioni di lavoro per niente dignitose, sia contro la gestione degli ospiti delle Rsa esclusivamente incentrata sul profitto imposto dai padroni, spalleggiati anche dalla regione Lombardia. Tania ha quindi spiegato che fare rete attorno alle problematiche presenti sul proprio posto di lavoro è il solo modo per migliorare le proprie condizioni e quelle degli ospiti delle strutture.

Dal suo intervento ho compreso meglio l’importanza che ha, per una lavoratrice, fare un’esperienza pratica di organizzazione e lotta collettiva per emanciparsi dal padrone. E ho compreso meglio che partire dai problemi oggettivi e contingenti contro cui ogni lavoratrice si trova a combattere ogni giorno è la principale spinta da cui deve partire chi si pone l’obiettivo di costruire organizzazione delle donne all’interno di un posto di lavoro.

Un esempio di come partire da un problema specifico per sviluppare discussione, informazione e mobilitazione l’ha fornito Elena quando ha raccontato della discriminazione subita dai part time nel settore logistica per quel che riguarda la retribuzione delle ore di straordinario. La compagna ha riportato infatti alcuni dati che mostrano come circa la metà delle donne impiegate in Italia abbia un contratto part time, spesso involontario.

Questa esperienza mi ha fatto molto riflettere sul fatto che spesso anche noi comuniste abbiamo difficoltà nel trovare spunti e questioni attorno alle quali aggregare e organizzare le donne lavoratrici, ma in realtà è parlando con loro, è semplicemente confrontando le buste paga, è studiando collettivamente i nostri diritti che possiamo renderci conto dei 10, 100, 1000 appigli che abbiamo per costruire organizzazione non solo l’8 marzo, ma tutto l’anno.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Let’s build the recovery of working women!

We are publishing the letter that one of our comrades wrote to us in which she reports some considerations raised by her participation in the initiative Let’s build the recovery of working women organized by the Milan North-East section of the CARC Party, of which we are relaunching the video.

The letter is useful not only because it shows some examples of struggles conducted in the workplace by the comrades who participated in the debate but also because it shows in practice what acting like a communist worker in one’s workplace translates into.

The comrade, in fact, explains how starting from the workers, from the objective needs and forms of oppression that in this system live in the workplace, processing them together with them and transforming them into actions, mobilizations and organisation, is one of the decisive aspects for advancing in the fights to oust the Meloni government and impose a new government in the country. A government that is the expression of those who must work to live and which, at the push and urging of organized workers, transforms what they decide into laws and decrees. Happy viewing and happy reading.

Dear comrades of the Staffetta Rossa Press Agency,

I am a comrade of the CARC Party and on Sunday 10 March I participated in the initiative Let’s build the recovery of working women, organized by the Milan North-East section.

The initiative took place at the end of a week of struggle and mobilization for the women of the popular masses, who on Friday 8 March joined the national strike promoted by Non Una di Meno and proclaimed by some grassroots unions who took up the appeal. An appeal that urged working women to build the strike within their own workplace and to organize themselves to participate en masse in the mobilization.

Several working women participated in the initiative: Margherita Napoletano, CUB healthcare; Tania Giusto, Coordination for the Sol Cobas RSA; Emilia Piccolo, ADL Cobas school; Elena Bocci, FILT CGIL logistics member and Giovanna Baracchi, Atean Democracy.

When trying to bring together different unions, competition between them often prevails. The interventions that the fellow speakers made, however, showed me something different. Each one, for her role and for her sector of work, has put at the center of her reasoning the fact of being a communist woman and what this implies with respect to the task that a companion must take on within her own workplace, first and foremost promote organization among female workers, regardless of their union card.

The experience recounted by Tania was the one from which I immediately learned some lessons. In fact, the partner spoke about how she managed to organize her colleagues against working conditions that were not at all dignified, and against the management of the residents of the RSAs exclusively focused on the profit imposed by the bosses, also supported by the Lombardy region. Tania then explained that networking around the problems present in one’s workplace is the only way to improve one’s own conditions and those of the guests of the facilities.

From his speech I better understood the importance of having a practical experience of organization and collective struggle for a worker to emancipate herself from the boss. And I understood better that starting from the objective and contingent problems that every worker finds herself fighting against every day is the main thrust from which those who set themselves the goal of building women’s organization within a workplace must start.

Elena provided an example of how to start from a specific problem to develop discussion, information and mobilization when she spoke about the discrimination suffered by part-time workers in the logistics sector regarding the pay for overtime hours. In fact, the partner reported some data showing how approximately half of the women employed in Italy have a part-time contract, often involuntary.

This experience made me reflect a lot on the fact that often we communists also have difficulty in finding ideas and issues around which to aggregate and organize working women, but in reality it is by talking to them, it is simply by comparing pay slips, it is by collectively studying the our rights that we can realize the 10, 100, 1000 handles we have to build organization not only on March 8, but all year round.

Source: Partito dei CARC

[Domodossola] Solidarietà ai compagni Patrizio e Danilo: la riscossa operaia fa paura ai padroni!

di Federazione Lombardia – Piemonte -Marzo 21, 2024

https://www.carc.it/2024/03/21/domodossola-solidarieta-ai-compagni-patrizio-e-danilo-la-riscossa-operaia-fa-paura-ai-padroni/

Il presidio VCO del P.CARC denuncia pubblicamente l’atto repressivo e intimidatorio da parte delle forze dell’ordine ed esprime solidarietà verso i due compagni che sabato 16 marzo hanno svolto, in orario di apertura, un volantinaggio davanti al Tigotà di Domodossola. Il volantinaggio è stato organizzato in solidarietà alla vertenza sindacale degli operai Tigotà di Broni (PV) del SI Cobas, in lotta per il riconoscimento dei diritti contrattuali e contro la chiusura del deposito, che comporterebbe circa 200 licenziamenti.

Evidentemente tale azione, tutelata dalla Costituzione, ha fatto paura alla dirigenza del negozio… così tanto da tardare l’apertura per più di mezz’ora (con buona pace dei clienti in attesa, giustamente spazientiti!) e addirittura chiamare i Carabinieri a identificare i (pericolosissimi!) compagni.

Malgrado l’atto repressivo i compagni non si sono fatti intimorire nè distrarre e hanno portato avanti il volantinaggio.

Alle legittime proteste dei due compagni le forze dell’ordine hanno risposto che, in fin dei conti “non facevano null’altro che il loro lavoro” e che l’azienda evidentemente li ha chiamati “in base a qualche circolare loro interna”. In un certo senso avevano ragione, facevano il loro lavoro…ovvero reprimere chi dissente e si mobilita contro l’oppressione e lo sfruttamento dei padroni di turno!

In effetti, la filiale Tigotà di Domodossola ha deciso di applicare l’informativa diramata a tutte le filiali del Nord Italia in cui si chiede, al manifestarsi di eventuali azioni sindacali dentro e fuori gli spazi dell’azienda, di far intervenire le forze dell’ordine. I paladini della sicurezza, evidentemente, non avendo altre faccende più importanti da sbrigare, non solo sono intervenuti ma hanno identificato i compagni. Niente di nuovo, è una procedura applicata alla SEVEL di Atessa (CH) con il nostro compagno Lino Parra, identificato e pure denunciato durante un volantinaggio per promuovere la lotta per il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro, a poche settimane dall’assassinio sul lavoro di Luana D’Orazio. E proprio in Verbano-Cusio-Ossola le forze dell’ordine hanno identificato e multato la compagna Gaia Zotta per uno stencil sulla riscossa delle donne che copriva un simbolo fascista a Gravellona Toce, in via Liberazione angolo p.zza Resistenza.

Sottoscrivi con un versamento sul Conto Corrente Bancario intestato a Gemmi Renzo
IBAN: IT79 M030 6909 5511 0000 0003 018
 oppure usando il modulo qui sotto:

Causale: Spese legali Lino e Gaia

Alla faccia della “sicurezza” e dell’individuazione dei pericoli per la comunità di cui tanto si sta parlando in questi giorni nel teatrino della politica domese!

Ci domandiamo se le forze dell’ordine siano così lige al loro lavoro o si limitino ad applicare direttive aziendali palesemente anti-sindacali per conto di qualche padroncino, a controllare che sui posti di lavoro le norme sulla sicurezza vengano rispettate, oppure che i cantieri delle cave di marmo, tra cui quelle di Enzo sono il caso più eclatante, siano in regola e rispettino l’ambiente e la salute di chi intorno ci vive.

Questo e altri fatti dimostrano che la classe padronale e le sue istituzioni sono tigri di carta. Il ricorso all’intimidazione e alla repressione è un segno di debolezza dei padroni: mostrano il vero volto antidemocratico della classe dominante e dei suoi governi. Dalle intimidazioni a chi esprime solidarietà a una lotta operaia condotta con un azioni di rottura (come quella in corso dei lavoratori del magazzino Tigotà di Broni come successo a Patrizio e Danilo; ai manganelli contro gli studenti di Pisa, Firenze e Catania che manifestavano la loro solidarietà alla Palestina; fino ai processi contro i sindacalisti del SI Cobas e USB di Piacenza e le perquisizioni nei confronti di tre sindaclisti del SCobas a Verona per la vertenza Maxidì.

Con questo comunicato facciamo appello ai compagni del VCO, ai nostri simpatizzanti, alle forze comuniste e sindacali di far sentire la propria solidarietà ai compagni Patrizio Caretti e Danilo Moro, per appoggiare la lotta dei lavoratori Tigotà anche con volantinaggi e azioni davanti le sedi di questa catena commerciale.

Il Partito dei CARC invita i lavoratori del VCO a mettersi in contatto per denunciare la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro o altre problematiche nella propria azienda e a rilasciare testimonianze anche anonime per le Corrispondenze operaie del mensile Resistenza.

Non un passo indietro: 10, 100, 1000 volantinaggi davanti alle aziende per promuovere l’organizzazione e la solidarietà di classe!

Vi aspettiamo venerdì 22 marzo, h. 16.30 alla proiezione del film “7 minuti” al Circolo Operaio Ferraris di Omegna.

Partito dei CARC VCO – Presidio “Anna Maria Princigalli”

Fb: Partito dei Carc VCO – Tel. 3518637171 – sito: www.carc.it

Fonte: Partito dei CARC

English translate

[Domodossola] Solidarity with comrades Patrizio and Danilo: the workers’ revolt scares the bosses!

The VCO garrison of P.CARC publicly denounces the repressive and intimidating act by the police and expresses solidarity towards the two comrades who on Saturday 16 March carried out a leaflet distribution in front of the Tigotà in Domodossola during opening hours. The leaflet distribution was organized in solidarity with the trade union dispute of the Tigotà workers from Broni (PV) of SI Cobas, fighting for the recognition of contractual rights and against the closure of the warehouse, which would lead to around 200 layoffs.

Evidently this action, protected by the Constitution, frightened the management of the shop… so much so that they delayed the opening for more than half an hour (with all due respect to the customers waiting, who were rightly impatient!) and even called the Carabinieri to identify the (very dangerous!) comrades.

Despite the repressive act, the comrades did not allow themselves to be intimidated or distracted and continued with the leafleting.

To the legitimate protests of the two companions, the police responded that, after all, “they were doing nothing other than their job” and that the company had evidently called them “on the basis of some internal circular”. In a certain sense they were right, they were doing their job… that is, repressing those who dissent and mobilize against the oppression and exploitation of the bosses in question!

In fact, the Tigotà branch of Domodossola has decided to apply the information issued to all the branches in Northern Italy in which it is requested, in the event of any trade union action inside and outside the company premises, to have the forces of the order. The champions of security, evidently, having no other more important matters to attend to, not only intervened but identified their comrades. Nothing new, it is a procedure applied to the SEVEL of Atessa (Chieti) with our comrade Lino Parra, identified and also denounced during a leafleting to promote the fight for compliance with workplace safety regulations, a few weeks after the murder on the work by Luana D’Orazio. And precisely in Verbano-Cusio-Ossola the police identified and fined her comrade Gaia Zotta for a stencil on the women’s struggle which covered a fascist symbol in Gravellona Toce, in Via Liberazione on the corner of Piazza Resistenza.

Subscribe with a deposit into the bank account in the name of Gemmi Renzo
IBAN: IT79 M030 6909 5511 0000 0003 018 or using the form below:

Reason: Lino and Gaia legal expenses

So much for “safety” and the identification of dangers for the community that are being talked about so much these days in the theater of Domese politics!

We wonder if the police are so dutiful in their work or do they limit themselves to applying clearly anti-union company directives on behalf of some boss, to checking that safety regulations are respected in the workplace, or that the construction sites of marble quarries, of which Enzo’s are the most striking case, are in order and respect the environment and the health of those who live around them.

This and other facts demonstrate that the ruling class and its institutions are paper tigers. The use of intimidation and repression is a sign of weakness of the bosses: they show the true anti-democratic face of the ruling class and its governments. From intimidation to those who express solidarity to a workers’ struggle conducted with disruptive actions (such as the ongoing one of the workers of the Tigotà warehouse in Broni as happened to Patrizio and Danilo; to the truncheons against the students of Pisa, Florence and Catania who demonstrated their solidarity with Palestine; up to the trials against the trade unionists of SI Cobas and USB of Piacenza and the searches of three trade unionists of SI Cobas in Verona for the Maxidì dispute.

With this statement we appeal to the comrades of the VCO, to our sympathizers, to the communist and trade union forces to make their solidarity felt with the comrades Patrizio Caretti and Danilo Moro, to support the struggle of the Tigotà workers also with leaflets and actions in front of the headquarters of this commercial chain.

The CARC Party invites VCO workers to get in touch to report the lack of safety in the workplace or other problems in their company and to give testimonies, even anonymously, for the workers’ correspondence of the monthly magazine Resistenza.

Not a step backwards: 10, 100, 1000 leaflets in front of companies to promote organization and class solidarity!

We look forward to seeing you on Friday 22 March, h. 4.30pm at the screening of the film “7 minutes” at the Circolo Operaio Ferraris in Omegna.

CARC VCO Party – “Anna Maria Princigalli” Presidium

Fb: Carc VCO Party – Tel. 3518637171 – website: www.carc.it

Source: Partito dei CARC

[Firenze] Un esempio di cosa vuol dire fare una campagna elettorale di rottura contro la censura e la manipolazione mediatica

https://www.carc.it/2024/03/19/firenze-un-esempio-di-cosa-vuol-dire-fare-una-campagna-elettorale-di-rottura-contro-la-censura-e-la-manipolazione-mediatica/

di Federazione Toscana – Marzo 19, 2024

Come Federazione Toscana del Partito dei CARC esprimiamo piena solidarietà alla lista Firenze Rinasce per il grave atto intimidatorio portato dalle forze dell’ordine sfruttando la provocazione orchestrata da un giornalista di Fanpage durante la proiezione del film Il Testimone che si è svolta al Circolo La Pietra il 13 marzo scorso.

Durante l’introduzione alla serata (come denunciato nell’articolo di Firenze Today riportato in calce) il giornalista, tale Riccardo Amati (uno dei tanti fautori della propaganda russofoba come si evince dagli articoli a sua firma che si trovano online) si è lanciato in provocatorie e strumentali invettive contro i “filo putiniani” e la propaganda di guerra con tanto di telecamera accesa…Per documentare la presunta aggressione? E allora perché non ha reso pubblico il filmato? Forse perché l’aggressione non c’è stata?

Dopo essere stato allontanato dalla sala, il giornalista è andato dalle forze dell’ordine che erano presenti all’esterno del circolo per chiedere di arrestare gli “aggressori”. Intanto, c’è da chiedersi cosa ci facevano ben tre pattuglie della polizia fuori da un circolo in cui si stava tenendo la proiezione di un film, tra l’altro la stessa sera in cui è stato accoltellato un ragazzo di diciannove anni nei pressi della Stazione di Santa Maria Novella. Forse i 200 agenti rivendicati da Nardella servono proprio a questo: a controllare, reprimere e sanzionare le voci che dissentono con la propaganda guerrafondaia. La polizia ha risposto “prontamente” chiedendo la lista dei presenti ma non gli è stata fornita.

Ebbene, la prima considerazione è che ci sembra di essere davanti a un’operazione proprio orchestrata a tavolino (e che fa il paio con quella messa in scena da una sionista nella piazza dell’8 marzo promossa da Non Una Di Meno e su cui abbiamo già scritto), probabile che la Questura avesse bisogno di un pretesto per avere i nominativi dei partecipanti e il giornalista di Fanpage gliel’ha dato provando a buttarla in rissa, tra l’altro con estrema scorrettezza poiché Amati era stato invitato proprio dagli organizzatori con lo spirito di un confronto costruttivo. Alla faccia della deontologia del mestiere del giornalista, quella che dovrebbe presupporre onestà intellettuale di investigare, di conoscere e di raccontare la realtà per com’è e non per come fa comodo ai guerrafondai amici della NATO (che, intanto, nella città di Firenze stanno tramando per imporre un comando nel bel mezzo di un quartiere popolare). Comunque, la risposta degli organizzatori è stata esemplare perchè non solo non hanno ceduto alle provocazioni ma hanno anche respinto i tentativi intimidatori rifiutandosi di fornire la lista. Questo è un buon esempio di resistenza alla repressione.

Provocazioni orchestrate ad arte, propaganda di guerra e attacchi repressivi sono sintomo del tentativo della classe dominante di contenere la crescente risposta popolare alla linea criminale che attua quotidianamente. Nel caso di specie, c’è poi l’evidente tentativo di silenziare una proposta elettorale, come quella di Firenze Rinasce che si è assunta la responsabilità di dare battaglia al clima di crescente censura in città, di cui il PD è artefice.

La realizzazione della proiezione del film Il Testimone è un risultato importante della lista e dei suoi sostenitori ed è un piccolo ma significativo esempio di cosa significa fare una campagna elettorale di rottura: non farsi legare le mani e i piedi dai diktat delle autorità, sfidare le misure liberticide e arbitrarie per realizzare gli interessi delle masse popolari, in questo caso tutelare diritti costituzionalmente sanciti come la libertà di espressione e l’agibilità politica e culturale per alzare una voce alternativa alla propaganda di guerra propinata dai media di regime a reti unificate.

Firenze Rinasce si è assunta questa responsabilità, nonostante la repressione che Sindaco e Questore hanno provato a scagliargli contro negli ultimi mesi (a partire dal primo tentativo di proiezione del film).

La lotta contro la censura mediatica e la repressione sono una parte estremamente importante della lotta di classe e la solidarietà è un’arma per vincerla, quindi invitiamo le altre forze politiche, le organizzazioni operaie e popolari, i collettivi studenteschi e i sindacati conflittuali e alternativi a quelli di regime a portare la propria a Firenze Rinasce e ai partecipanti alla proiezione che hanno deciso di non piegarsi a questo grave e odioso sopruso.

Federazione Toscana del Partito dei CARC

Il “tentativo di schedatura” alla proiezione del film russo ‘Il Testimone’ (il lungometraggio sull’invasione dell’Ucraina da parte delle forze di Putin) proiettato mercoledì sera al circolo La Pietra in via di Montughi, con i posti in sala esauriti. A denunciarlo la lista civica Firenze Rinasce, con il candidato sindaco per Palazzo Vecchio Alessandro De Giuli che chiama in causa proprio l’attuale amministrazione e parla di: “clima di intolleranza scatenato dalla furia censoria della giunta Nardella. Per cui, mentre nelle stesse ore un diciannovenne veniva accoltellato a morte in largo Alinari, il questore ha ritenuto di dovere inviare e piazzare in bella vista tre vetture delle forze dell’ordine davanti all’entrata del circolo”. Ma soprattutto, aggiunge, “ancora più grave il fatto che un agente abbia richiesto ad un addetto del circolo l’elenco dei prenotati e dei presenti”, foglio che spiega, “non è stato comunque consegnato”. “Il comportamento degli agenti si è dimostrato impeccabile e professionale ma la scelta securitaria della questura poteva meglio essere indirizzata in altri luoghi della città sicuramente maggiormente a rischio. Di quale sicurezza si parla da Firenze? Quella del Palazzo che non vuole critiche e mette in pratica censure, o intimidazioni? O quella dei cittadini che chiedono di poter vivere in una città tranquilla e che ancora una volta domani saranno in piazza per far sentire la propria voce? Nei prossimi giorni illustreremo al prefetto di Firenze le difficoltà che il clima cittadino obiettivamente comporta per la campagna elettorale che di certo non può svolgersi serenamente se predomina la censure politica e il controllo poliziesco”. Secondo quanto però appreso dalla questura e riportato dall’agenzia Ansa, l’agente è intervenuto richiedendo l’elenco dei presenti dopo che un giornalista, presente tra il pubblico, è stato allontanato dalla sala, sembra anche con spintoni, secondo quanto raccontato dallo stesso cronista. E sulla pagina Facebook di Firenze Rinasce è ancora De Giuli a dare la propria versione con un video: “Una cosa che ci è spiaciuta è che il giornalista di Fanpage Riccardo Amati, che conoscevamo e avevamo invitato a partecipare e dibattere con noi, si è presentato e ha iniziato, in maniera molto scorretta, a contestare ciò che stava dicendo l’altro nostro ospite il giornalista italiano in Donbass Vincenzo Lorusso. La contestazione di Amati è stata del tutto sgradevole. Però è il segno dei tempi – conclude – non si vuole che di questa guerra se ne parli in contraddittorio”. La pellicola è stata proiettata dopo il tentativo andato a vuoto un mese e mezzo fa al Teatro dell’Affratellamento con retromarcia e corollario di polemiche e nei giorni scorsi è stato annunciato anche un bis, questa volta alla libreria Salvemini.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

[Florence] An example of what it means to run a breakthrough electoral campaign against censorship and media manipulation

As the Tuscan Federation of the CARC Party we express full solidarity with the Firenze Rinasce list for the serious intimidating act carried out by the police exploiting the provocation orchestrated by a Fanpage journalist during the screening of the film Il Testimone which took place at the Circolo La Pietra on Last March 13th.

During the introduction to the evening (as reported in the Firenze Today article reported below) the journalist, a certain Riccardo Amati (one of the many supporters of Russophobic propaganda as can be seen from the articles signed by him which are found online) launched into provocative and instrumental invectives against the “pro-Putinian” and war propaganda complete with a camera on…To document the alleged aggression? So why didn’t he make the footage public? Maybe because the attack didn’t happen?

After being removed from the room, the journalist went to the police who were present outside the club to ask them to arrest the “attackers”. Meanwhile, one wonders what three police patrols were doing outside a club where a film was being shown, among other things on the same evening in which a nineteen-year-old boy was stabbed near the Santa Maria Novella station. Perhaps the 200 agents claimed by Nardella serve precisely this: to control, repress and sanction voices that disagree with the warmongering propaganda. The police responded “promptly” asking for the list of those present but it was not provided.

Well, the first consideration is that we seem to be faced with an operation precisely orchestrated on the table (and which goes hand in hand with the one staged by a Zionist in the square of 8 March promoted by Non Una Di Meno and on which we have already written), it is probable that the Police Headquarters needed a pretext to have the names of the participants and the Fanpage journalist gave it to them by trying to throw her into a fight, among other things with extreme incorrectness since Amati had been invited by the organizers with the spirit of constructive discussion. In spite of the ethics of the journalist’s profession, which should presuppose the intellectual honesty of investigating, knowing and reporting reality as it is and not as it suits the warmongering friends of NATO (who, meanwhile, in the city of Florence are plotting to impose a command in the middle of a working-class neighborhood). However, the response of the organizers was exemplary because not only did they not give in to the provocations but they also rejected the intimidating attempts by refusing to provide the list. This is a good example of resistance to repression.

Artfully orchestrated provocations, war propaganda and repressive attacks are a symptom of the ruling class’s attempt to contain the growing popular response to the criminal line it implements on a daily basis. In the present case, there is then the evident attempt to silence an electoral proposal, such as that of Firenze Rinasce which has taken on the responsibility of combating the climate of growing censorship in the city, of which the PD is the creator.

The holding of the screening of the film The Witness is an important result of the list and its supporters and is a small but significant example of what it means to carry out a breaking electoral campaign: not having your hands and feet tied by the diktats of the authorities, challenging the measures liberticidal and arbitrary to achieve the interests of the popular masses, in this case protecting constitutionally sanctioned rights such as freedom of expression and political and cultural viability to raise an alternative voice to the war propaganda spread by the regime media to unified networks.

Firenze Rinasce has taken on this responsibility, despite the repression that the Mayor and Police Commissioner have tried to hurl against it in recent months (starting from the first attempt to screen the film).

The fight against media censorship and repression is an extremely important part of the class struggle and solidarity is a weapon to win it, therefore we invite other political forces, workers’ and popular organisations, student collectives and conflictual and alternative trade unions to those of the regime to bring theirs to Florence Rinasce and to the participants in the screening who decided not to submit to this serious and hateful abuse.

Tuscan Federation of the CARC Party

The “filing attempt” at the screening of the Russian film ‘Il Testimone’ (the feature film on the invasion of Ukraine by Putin’s forces) screened on Wednesday evening at the La Pietra club in via di Montughi, with seats in the theater sold out. This was denounced by the Firenze Rinasce civic list, with the mayoral candidate for Palazzo Vecchio Alessandro De Giuli calling into question the current administration and speaking of: “climate of intolerance unleashed by the censorious fury of the Nardella council. Therefore, while in the same hours a nineteen-year-old was stabbed to death in Largo Alinari, the police commissioner felt he had to send and place three police vehicles in plain sight in front of the entrance to the club”. But above all, he adds, “even more serious is the fact that an agent asked a club employee for the list of those booked and those present”, a sheet which he explains, “was not delivered in any case”. “The behavior of the officers proved to be impeccable and professional but the security choice of the police station could have better been directed to other places in the city that were certainly more at risk. What security are we talking about from Florence? The one from the Palace that doesn’t want criticism and puts into practice censorship or intimidation? Or that of the citizens who ask to be able to live in a quiet city and who will once again be in the streets tomorrow to make their voices heard? In the next few days we will illustrate to the prefect of Florence the difficulties that the city climate objectively entails for the electoral campaign which certainly cannot take place peacefully if political censorship and police control predominates”. However, according to what was learned by the police headquarters and reported by the Ansa agency, the agent intervened requesting the list of those present after a journalist, present in the audience, was removed from the room, apparently even with pushes, according to what he said reporter. And on the Firenze Rinasce Facebook page, De Giuli once again gives his version with a video: “One thing that displeased us is that the Fanpage journalist Riccardo Amati, who we knew and had invited to participate and debate with us, decided to presented and began, in a very incorrect manner, to dispute what our other guest, the Italian journalist in Donbass Vincenzo Lorusso, was saying. Amati’s protest was completely unpleasant. But it’s a sign of the times – he concludes – we don’t want this war to be discussed in an adversarial manner”. The film was screened after the unsuccessful attempt a month and a half ago at the Teatro dell’Afffratellamento with a reverse and a corollary of controversy and in recent days an encore was also announced, this time at the Salvemini bookshop.

Source: Partito dei CARC

Solidarietà ad Antudo: giù le mani da chi lotta contro la guerra!

Rispondiamo compatti alla repressione per rispedirla al mittente

https://www.carc.it/2024/03/21/palermo-solidarieta-ad-antudo-giu-le-mani-da-chi-lotta-contro-la-guerra/

di Agenzia Stampa – Marzo 21, 2024

Mentre in Palestina è in corso un genocidio, in Italia viene arrestato chi si oppone alla militarizzazione dei territori.

Siamo solidali e complici con i militanti di Antudo che il 21 marzo sono stati colpiti da misure cautelari e arresti in seguito al sanzionamento dei guerrafondai della Leonardo SPA. Dopo le perquisizioni dello scorso luglio, la DIGOS di Palermo e la DIA hanno messo a punto un disegno repressivo che sfocia in accuse deliranti di istigazione a delinquere e atto terroristico. Visto che i compagni in questione non sono in prima linea nella produzione delle armi che vengono usate nel genocidio del popolo palestinese, le accuse hanno il destinatario sbagliato. Ma è inutile cercare la logica in questo processo: le azioni contestate sono solo il pretesto per attuare un’ulteriore mossa nel solco di quell’attacco che il governo Meloni muove contro quanti, oggi, si mobilitano e si organizzano per far valere gli interessi delle masse popolari autonomamente dalle autorità della classe dominante, mafia e padroni, i loro servi e le loro polizie che, invece, le vorrebbero docili e obbedienti.

Per queste ragioni, portiamo la nostra solidarietà di classe a chi si è mobilitato e si mobilita contro i guerrafondai che, approfittando della sottomissione del governo Meloni agli imperialisti USA/NATO, UE e sionisti, rendono il nostro paese complice e connivente delle loro scorribande in giro per il mondo.
Per queste ragioni, bisogna fare della lotta contro la repressione una questione politica, cioè una questione che alimenti mobilitazione, indignazione, organizzazione delle masse popolari: in definitiva, che diventi un problema di ordine pubblico per ritorcere la repressione contro i mittenti! Questo significa che bisogna portare in tutte le piazze, in tutte le iniziative in programma nelle prossime settimane – indipendentemente dai promotori – la solidarietà ad Antudo. Perciò facciamo appello a tutte le forze sociali e politiche della città a formare un ampio fronte di solidarietà per i compagni e le compagne colpite quest’oggi. Ben vengano presidi, assemblee e iniziative al fine di imporre la scarcerazione immediata e il ritiro di altre misure cautelari; inoltre già le prossime manifestazioni cittadine, come quella del 30 marzo in solidarietà al popolo palestinese, sono momenti importanti di cui approfittare per portare un messaggio di solidarietà popolare per Luigi e gli/le altri/e militanti che sono sotto attacco dal governo Meloni.

Libertà immediata per Luigi e gli/le altri/e militanti
Solidarietà incondizionata ad Antudo

Fonte: Partito dei CARC

English translate

Solidarity with Antudo: hands off those who fight against the war!

We respond unitedly to the repression to send it back to the sender

While a genocide is underway in Palestine, in Italy those who oppose the militarization of the territories are arrested.

We stand in solidarity and complicity with the Antudo militants who on March 21st were hit by precautionary measures and arrests following the sanctioning of the warmongers of Leonardo SPA. After the searches last July, the DIGOS of Palermo and the DIA have developed a repressive plan that results in delusional accusations of incitement to crime and terrorist act. Since the comrades in question are not at the forefront of producing the weapons that are used in the genocide of the Palestinian people, the accusations are aimed at the wrong audience. But it is useless to look for logic in this process: the contested actions are only the pretext to implement a further move in the wake of that attack that the Meloni government makes against those who, today, are mobilizing and organizing themselves to assert the interests of popular masses independently from the authorities of the ruling class, mafia and masters, their servants and their police who, instead, would like them docile and obedient.

For these reasons, we bring our class solidarity to those who have mobilized and are mobilizing against the warmongers who, taking advantage of the submission of the Meloni government to the US/NATO, EU and Zionist imperialists, make our country complicit and conniving in their raids in around the world.
For these reasons, we need to make the fight against repression a political issue, that is, an issue that fuels mobilization, indignation, organization of the popular masses: ultimately, that it becomes a problem of public order to turn the repression against the senders! This means that we need to bring solidarity with Antudo to all the streets, to all the initiatives planned in the coming weeks – regardless of the promoters. We therefore appeal to all the social and political forces of the city to form a broad front of solidarity for the comrades affected today. Provisions, assemblies and initiatives aimed at imposing immediate release and the withdrawal of other precautionary measures are welcome; Furthermore, the upcoming city demonstrations, such as the one on March 30th in solidarity with the Palestinian people, are already important moments to take advantage of to bring a message of popular solidarity for Luigi and the other militants who are under attack by the Meloni government.

Immediate freedom for Luigi and the other militants
Unconditional solidarity with Antudo

Source: Partito dei CARC

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

CENSURA: CHIUSO E CANCELLATO IL CANALE YOUTUBE DEL PARTITO DEI CARC

https://www.carc.it/2024/02/22/censura-chiuso-e-cancellato-il-canale-youtube-del-p-carc/

Senza alcun avviso il 22 febbraio Youtube ha chiuso e cancellato il canale del P.CARC. La motivazione? Aver “ripetutamente violato i divieti di propaganda a organizzazioni terroristiche”. Non avendo MAI pubblicato propaganda della NATO, dello Stato sionista o dei ministri del governo Meloni, la decisione ci è apparsa strana fin da subito. Ma senza cercare motivazioni arzigogolate, la ragione è chiara: censura. Abbiamo chiesto un chiarimento e una verifica, senza avere per il momento alcuna risposta.

Probabilmente gli inquisitori del web hanno ritenuto “offensivi” e “devianti” i più recenti contenuti pubblicati, quelli che affrontavano la storia e la natura della resistenza del popolo palestinese, oppure hanno ritenuto che la riproduzione del video di un’azione di propaganda di Ultima Generazione potesse istigare altri giovani a mobilitarsi contro la devastazione ambientale provocata dal capitalismo. Non lo sappiamo.

Quello che sappiamo è che si tratta di un’ulteriore dimostrazione dei tempi che corrono: ognuno è libero di intossicare le masse popolari come meglio ritiene – ed è libero di lucrarci con “le visualizzazioni” – se poi il meccanismo “provoca il morto” (il pensiero va automaticamente al caso di Theborderline a Roma), i censori di Youtube oscurano il canale. Dopo. Se invece pubblichi contenuti che squarciano la propaganda di regime e sostengono la resistenza palestinese, il canale viene chiuso prima ancora che arrivi una comunicazione.

E del resto, chi può sindacare che cosa, in un contesto in cui l’informazione è sempre più “proprietà di qualcuno”?

Cercheremo di capire se ci sono possibilità di recuperare il canale e il materiale pubblicato, nel frattempo cerchiamo alternative. Consapevoli che l’unica vera alternativa è togliere il potere dalle mani dei criminali che governano la società e il paese.

English translate

CENSORSHIP: THE CARC PARTY’S YOUTUBE CHANNEL CLOSED AND DELETED

Without any warning, on February 22, YouTube closed and deleted the P.CARC channel. The motivation? Having “repeatedly violated the prohibitions on propaganda to terrorist organizations”. Having NEVER published propaganda from NATO, the Zionist state or the ministers of the Meloni government, the decision seemed strange to us right from the start. But without looking for convoluted reasons, the reason is clear: censorship. We asked for clarification and verification, without having any response for the moment.

Probably the web inquisitors considered “offensive” and “deviant” the most recent contents published, those which addressed the history and nature of the resistance of the Palestinian people, or they considered that the reproduction of the video of a propaganda action by Ultima Generation could instigate other young people to mobilize against the environmental devastation caused by capitalism. We do not know.

What we know is that this is a further demonstration of the times we are in: everyone is free to intoxicate the popular masses as they see fit – and is free to profit from it with “views” – if the mechanism then “causes death” ( the thought automatically goes to the case of Theborderline in Rome), Youtube censors block the channel. After. If, however, you publish content that undermines the regime’s propaganda and supports the Palestinian resistance, the channel will be closed before a communication even arrives.

And after all, who can control what, in a context in which information is increasingly “someone’s property”?

We will try to understand if there is a possibility of recovering the channel and the material published, in the meantime we are looking for alternatives. Aware that the only real alternative is to remove power from the hands of the criminals who govern society and the country.

Source: Partito dei CARC

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

BREVE STORIA DELLA LOTTA ANTIIMPERIALISTA DEL POPOLO PALESTINESE

Teresa Noce – Novembre 28, 2023

https://www.carc.it/2023/11/28/breve-storia-della-lotta-antimperialista-del-popolo-palestinese/

48 pagine, formato A5, l’opuscolo è disponibile contattando il Centro Nazionale del P.CARC – carc@riseup.net oppure le Segreterie Federali o le Sezioni. La sottoscrizione consigliata in copertina è di almeno 4 euro (a cui aggiungere 6 euro di spese di spedizione se necessario).

Questo opuscolo fornisce una sintetica e parziale storiografia della causa palestinese.
Ai fini della comprensione dei fatti è necessario che il lettore tenga presente tre aspetti che nel testo sono costantemente presenti, senza tuttavia poter essere approfonditi.

– Con l’esaurimento, nel 1976, della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria a cui la Rivoluzione d’Ottobre aveva dato impulso dal 1917, la lotta antimperialista nei paesi arabi e musulmani – che pure è proseguita in forme sue proprie – ha mutato di orientamento. La direzione è progressivamente passata dalle mani di organizzazioni e partiti afferenti al movimento comunista internazionale nelle mani di organizzazioni, movimenti e partiti di stampo religioso, espressione del clero reazionario musulmano. Questo è avvenuto anche in Palestina.
Del resto, va considerato che l’influenza e la direzione del clero reazionario musulmano non si estinguerà a opera delle bombe democratiche degli imperialisti, ma solo a condizione della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato, che riprende il suo posto nella storia e svolge efficacemente il suo compito: liberare l’umanità dal giogo dell’imperialismo instradandola sulla via del socialismo.

– Quando si tratta della lotta per l’autodeterminazione della Palestina bisogna considerare il contesto in cui essa si svolge e le contraddizioni esistenti, di fase in fase, con e fra i paesi arabi e musulmani del Medio Oriente: interessi contrastanti fra gruppi dirigenti concorrenti, contraddizioni fra gruppi dirigenti di quei paesi e masse popolari, conseguenze delle differenze religiose, ecc.

– La combinazione dei due aspetti precedenti. Il posizionamento dei paesi arabi e musulmani citati più volte in questo testo, i cambiamenti del loro posizionamento sullo “scacchiere internazionale”, le evoluzioni, le divisioni, le faziosità… sono una costante e un tratto strutturale e costituivo del processo storico in Medio Oriente.
Allo stesso modo, il ruolo nefasto dei revisionisti moderni, che nel 1956 hanno preso la testa dell’Unione Sovietica e del movimento comunista internazionale, ha influito direttamente sui movimenti e sulle organizzazioni che dirigevano la lotta di liberazione palestinese. Il regresso dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) è paradigmatico.

***

Per secoli, nell’Europa cristiana dei signori feudali prima e dei capitalisti poi, gli ebrei sono stati perseguitati. La loro lotta contro la persecuzione non a caso si è sviluppata nel XIX secolo quando è nato e si è sviluppato il movimento comunista, diventando una parte della resistenza e della ribellione delle masse popolari europee. Professare l’ebraismo e aderire al sionismo sono condizioni distinte, che attengono anche alla lotta di classe e all’evoluzione della fase imperialista del capitalismo. Infatti, la creazione dello Stato di Israele è una delle ultime imprese del vecchio colonialismo.
I sionisti, all’inizio del secolo scorso e dopo avere scartato la possibilità di installare le loro colonie in Madagascar, in Kenya e in varie zone dell’America Latina, si sono impiantati in Palestina grazie al sostegno dei principali gruppi imperialisti occidentali, alle classi reazionarie arabe e all’arretratezza dei loro gruppi feudali proprietari della terra in Palestina, all’epoca sotto il controllo dell’Impero ottomano.
Il legame dei sionisti con la Palestina è il frutto di un calcolo colonialista giustificato con motivazioni religiose attinte a storie di migliaia di anni fa. Su questa base, il sionismo ha tessuto legami sempre più stretti con le sette fondamentaliste ebraiche che hanno, in maniera crescente, assunto un peso importante nella politica dello Stato di Israele in lotta contro le masse popolari autoctone e il movimento comunista.
Per promuovere la migrazione di ebrei da tutto il mondo, ma preferibilmente dall’Europa e dagli Usa, i sionisti hanno ostacolato in ogni modo la partecipazione degli ebrei al movimento comunista e in generale alla lotta di classe, cercando di impedire la loro mobilitazione anche contro il nazismo e il fascismo (sia prima che questi arrivassero al potere sia dopo). I sionisti, anzi, collaborarono in vari modi con i regimi fascisti e nazisti per “convincere” gli ebrei a emigrare in Palestina ai loro ordini. Emblematico in questo senso è l’Accordo di Haavara (Accordo di trasferimento), sottoscritto il 25 agosto 1933 tra la Germania nazista e alcune organizzazioni sioniste tedesche, che ha permesso la migrazione di circa 60 mila ebrei tedeschi in Palestina tra il 1933 e il 1939.
Qui, i sionisti hanno creato uno degli Stati più reazionari, razzisti e oscurantisti del mondo. Uno Stato incompatibile con gli interessi delle masse popolari sia arabe che ebree: la selezione e la discriminazione razziale degli emigranti e degli abitanti, la politica demografica razzista e le credenze e i dogmi delle sette religiose permeano ogni aspetto della vita e della legislazione dello Stato di Israele.

Uno Stato, quindi, sì teocratico nella sua forma e nei suoi rimandi ideologici, ma attraversato da profonde contraddizioni, come dimostrano le divisioni interne al campo religioso con comunità ebraiche ultraortodosse contrarie al sionismo.

Il sionismo è la versione ebraica del fascismo: è nato e vive trasformando in lotta contro il popolo palestinese la giusta lotta degli ebrei contro la discriminazione e la persecuzione inflitte loro nel secolo scorso, avvalendosi di quanto di più reazionario esiste nelle comunità ebraiche e a vantaggio dell’imperialismo. In questo, i sionisti non vanno sovrapposti agli ebrei così come i nazisti non andavano sovrapposti ai tedeschi e i fascisti agli italiani. Il futuro delle masse popolari di origine ebraica (oppresse e dominate dai sionisti), qualunque sia il paese in cui abitano e abiteranno, non sta nel successo dello Stato sionista di Israele, bensì nella loro partecipazione alle lotte dei popoli oppressi e delle classi sfruttate (per approfondire l’argomento rimandiamo all’Avviso ai naviganti n.131 del (nuovo)PCI del 26.10.2023 – http://www.nuovopci.it).
Ecco che sostenere in ogni modo e in ogni paese la lotta contro il sionismo significa condurre una lotta reale contro il razzismo e contro l’antisemitismo: basti ricordare i tanti ebrei che hanno contribuito al movimento comunista sia come dirigenti, come Karl Marx (1818-1883) e Rosa Luxemburg (1871-1919), che come militanti dei partiti comunisti e combattenti nella Resistenza e nelle lotte rivoluzionarie in Europa e in America.
Israele, diventato stabilmente lo Stato dei gruppi imperialisti sionisti dal 1956, è oggi il braccio armato degli Usa nel Mediterraneo contro il Medio Oriente e l’Africa. È una potenza sempre più strettamente legata al complesso militare-industriale-finanziario Usa, nel ruolo di agente, in alcuni casi, e di dirigente in altri. Il suo futuro prossimo è legato a questo ruolo, oltre a essere promotore di imprese di infiltrazione e disgregazione degli Stati che resistono alle scorrerie dei gruppi e degli Stati imperialisti della Comunità Internazionale e di quelli che potrebbero ostacolare la colonizzazione sionista del Medio Oriente.
Al contempo, trova in Italia un importante retroterra e tutto il sostegno che vuole. Lo Stato italiano lo supporta economicamente, finanziariamente, politicamente e militarmente. Dagli accordi commerciali con le principali regioni italiane (come Emilia Romagna e Toscana) in settori quali il manifatturiero e le tecnologie informatiche di cybersecurity alle esercitazioni militari congiunte in Sardegna, dalle “collaborazioni” sportive come per il Giro d’Italia fino alle convenzioni accademiche con decine di università pubbliche e private (per approfondimenti si consiglia la lettura dell’articolo “Sul ruolo dei sionisti in Italia” in La Voce del (nuovo)PCI n. 71).
In questo senso, per noi italiani il miglior sostegno alla lotta delle masse popolari palestinesi è combattere l’imperialismo nel nostro paese e fare dell’Italia un paese socialista. Ogni passo avanti che compiamo nella rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato nel nostro paese è un aiuto immediato e di prospettiva che diamo anche alla causa democratica del popolo palestinese. D’altronde, lo Stato sionista non potrebbe continuare il suo sporco lavoro senza l’appoggio economico, politico e militare del governo Usa e dei governi dell’Unione Europea.

***

La lotta antimperialista è un processo. Se c’è qualcuno che la dirige, questa si sviluppa ed evolve: la causa palestinese non sfugge a questo principio universale.
Ogni valutazione su chi dirige concretamente il processo storico della lotta antimperialista deve partire dalla valutazione degli effetti che la direzione produce, cioè se quel gruppo dirigente fa gli interessi della lotta di liberazione o promuove la resa più o meno “condizionata” al nemico.
Oggi, la diatriba, la confusione e l’intossicazione rispetto al ruolo di Ḥamās come dirigente del movimento di resistenza palestinese sono emblematiche della mancanza di applicazione di questo criterio generale nel caso di specie.
Quale sarà l’esito della lotta in corso è in capo alle masse popolari palestinesi ed ebraiche. Saranno loro a definire il futuro della Palestina, consapevoli che la soluzione positiva è quella della convivenza di popoli, di etnie diverse e di distinte religioni e cioè la creazione di uno Stato socialista. Uno Stato dove a essere cacciati sono i sionisti, gli imperialisti e i capitalisti di contro alla posizione reazionaria, su base razziale, di “due popoli, due Stati” (è proprio questa tesi che ha portato all’attuale segregazione palestinese).
Noi comunisti non siamo quindi per la cacciata degli ebrei dalla Palestina, siamo per la liberazione della Palestina dall’occupazione dei gruppi imperialisti sionisti e del loro Stato che opprime il popolo palestinese e sfrutta e usa come carne da cannone la popolazione ebraica. Non è possibile convivere con lo Stato razzista e teocratico di Israele. Solo una Palestina libera, veramente democratica, senza discriminazioni razziali, nazionali o religiose porrà fine alla colonizzazione e all’aggressione nel Medio Oriente e soddisferà le giuste aspirazioni di tutti i suoi abitanti.

***

Nel corso dei decenni, la resistenza palestinese ha raccolto e continuato il messaggio di lotta contro l’imperialismo e il colonialismo portato in tutto il mondo dal movimento comunista nel secolo scorso. Nessuno dimentichi cosa ha significato, in termini di liberazione ed emancipazione dal giogo dell’oppressione imperialista, per tutti i popoli del mondo, la vittoria delle masse popolari in Russia nell’Ottobre del 1917 e l’appoggio dato dall’Urss ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo.
La lotta contro lo Stato sionista di Israele si rafforza ogni volta che il popolo palestinese passa dalla mera difesa all’attacco, senza chiedere il permesso di lottare né quello di usare le forme e i modi più efficaci per conseguire i propri obiettivi. La responsabilità della guerra, con le sue conseguenze, è sempre e solo degli oppressori e degli sfruttatori: questo è alla base di ogni guerra di liberazione.
La sinistra borghese esalta i movimenti rivoluzionari solo quando non vincono: i dirigenti rivoluzionari migliori sono, per essa, quelli che muoiono nella lotta e i peggiori quelli che vincono (la denigrazione di Stalin è esemplare).
La lotta del popolo palestinese è una lotta di liberazione che alimenta la resistenza dei popoli oppressi contro la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, europei e sionisti sotto tutti i cieli.
È un esempio di tenacia e combattività e dimostra che lottare è possibile, che gli imperialisti sono vulnerabili e che si può vincere.

English translate

48 pages, A5 format, the booklet is available by contacting the National Center of P.CARC – carc@riseup.net or the Federal Secretariats or Sections. The recommended subscription on the cover is at least 4 euros (to which add 6 euros for shipping costs if necessary). This booklet provides a concise and partial historiography of the Palestinian cause. In order to understand the facts, the reader must keep in mind three aspects which are constantly present in the text, but cannot be explored in depth. – With the exhaustion, in 1976, of the first world wave of the proletarian revolution to which the October Revolution had given impetus since 1917, the anti-imperialist struggle in Arab and Muslim countries – which also continued in its own forms – changed significantly orientation. The leadership has progressively passed from the hands of organizations and parties belonging to the international communist movement into the hands of religious organisations, movements and parties, an expression of the reactionary Muslim clergy. This also happened in Palestine. Moreover, it must be considered that the influence and direction of the reactionary Muslim clergy will not be extinguished by the democratic bombs of the imperialists, but only on condition of the rebirth of the conscious and organized communist movement, which resumes its place in history and effectively carries out his task: to free humanity from the yoke of imperialism by directing it towards socialism. – When it comes to the struggle for Palestinian self-determination, we must consider the context in which it takes place and the existing contradictions, from phase to phase, with and among the Arab and Muslim countries of the Middle East: conflicting interests between competing ruling groups, contradictions between ruling groups of those countries and the popular masses, consequences of religious differences, etc. – The combination of the two previous aspects. The positioning of the Arab and Muslim countries mentioned several times in this text, the changes in their positioning on the “international chessboard”, the evolutions, divisions, factionalism… are a constant and a structural and constitutive feature of the historical process in the Middle East. Likewise, the nefarious role of the modern revisionists, who took over the leadership of the Soviet Union and the international communist movement in 1956, directly affected the movements and organizations that led the Palestinian liberation struggle. The regression of the PLO (Palestine Liberation Organization) is paradigmatic.

For centuries, in the Christian Europe of first the feudal lords and then the capitalists, the Jews were persecuted. Their fight against persecution not surprisingly developed in the 19th century when the communist movement was born and developed, becoming a part of the resistance and rebellion of the European popular masses. Professing Judaism and adhering to Zionism are distinct conditions, which also relate to the class struggle and the evolution of the imperialist phase of capitalism. Indeed, the creation of the State of Israel is one of the last feats of the old colonialism. The Zionists, at the beginning of the last century and after having rejected the possibility of establishing their colonies in Madagascar, Kenya and various areas of Latin America, established themselves in Palestine thanks to the support of the main Western imperialist groups, the Arab reactionaries and the backwardness of their feudal groups who owned the land in Palestine, at the time under the control of the Ottoman Empire. The Zionists’ connection with Palestine is the result of a colonialist calculation justified with religious motivations drawn from stories from thousands of years ago. On this basis, Zionism has woven ever closer ties with the Jewish fundamentalist sects which have increasingly assumed an important role in the politics of the State of Israel in the fight against the indigenous popular masses and the communist movement. To promote the migration of Jews from all over the world, but preferably from Europe and the USA, the Zionists have hindered in every way the participation of Jews in the communist movement and in the class struggle in general, trying to prevent their mobilization even against Nazism and fascism (both before they came to power and after). Indeed, the Zionists collaborated in various ways with the fascist and Nazi regimes to “convince” the Jews to emigrate to Palestine under their orders. Emblematic in this sense is the Haavara Agreement (Transfer Agreement), signed on 25 August 1933 between Nazi Germany and some German Zionist organizations, which allowed the migration of approximately 60 thousand German Jews to Palestine between 1933 and 1939 . Here, the Zionists have created one of the most reactionary, racist and obscurantist states in the world. A State incompatible with the interests of both the Arab and Jewish popular masses: the selection and racial discrimination of emigrants and inhabitants, the racist demographic policy and the beliefs and dogmas of religious sects permeate every aspect of the life and legislation of the State of Israel.

A State, therefore, theocratic in its form and in its ideological references, but crossed by profound contradictions, as demonstrated by the internal divisions in the religious field with ultra-Orthodox Jewish communities opposed to Zionism. Zionism is the Jewish version of fascism: it was born and lives by transforming the just struggle of the Jews against the discrimination and persecution inflicted on them in the last century into a fight against the Palestinian people, making use of the most reactionary elements existing in the Jewish communities and for the benefit of ‘imperialism. In this, the Zionists should not be superimposed on the Jews just as the Nazis should not be superimposed on the Germans and the fascists on the Italians. The future of the popular masses of Jewish origin (oppressed and dominated by the Zionists), whatever country they live and will live in, does not lie in the success of the Zionist State of Israel, but in their participation in the struggles of the oppressed peoples and exploited classes ( for further information on the topic, please refer to the Notice to seafarers n.131 of the (nuovo)PCI of 26.10.2023 – http://www.nuovopci.it). Here, supporting the fight against Zionism in every way and in every country means conducting a real fight against racism and anti-Semitism: it is enough to remember the many Jews who contributed to the communist movement both as leaders, such as Karl Marx (1818- 1883) and Rosa Luxemburg (1871-1919), who as militants of the communist parties and fighters in the Resistance and revolutionary struggles in Europe and America.

Israel, which has permanently become the state of Zionist imperialist groups since 1956, is today the armed wing of the USA in the Mediterranean against the Middle East and Africa. It is a power increasingly closely linked to the US military-industrial-financial complex, in the role of agent, in some cases, and manager in others. Its near future is linked to this role, as well as being a promoter of infiltration and disintegration enterprises of the States that resist the incursions of the imperialist groups and States of the International Community and of those that could hinder the Zionist colonization of the Middle East. At the same time, he finds in Italy an important background and all the support he wants. The Italian State supports him economically, financially, politically and militarily. From commercial agreements with the main Italian regions (such as Emilia Romagna and Tuscany) in sectors such as manufacturing and cybersecurity information technologies to joint military exercises in Sardinia, from sporting “collaborations” such as the Giro d’Italia to academic agreements with dozens of public and private universities (for further information we recommend reading the article “On the role of the Zionists in Italy” in La Voce del (new)PCI n. 71). In this sense, for us Italians the best support for the struggle of the Palestinian popular masses is to fight imperialism in our country and make Italy a socialist country. Every step forward that we take in the rebirth of the conscious and organized communist movement in our country is an immediate and prospective help that we also give to the democratic cause of the Palestinian people. On the other hand, the Zionist state could not continue its dirty work without the economic, political and military support of the US government and the governments of the European Union.

The anti-imperialist struggle is a process. If there is someone who directs it, it develops and evolves: the Palestinian cause does not escape this universal principle. Any evaluation of who concretely directs the historical process of the anti-imperialist struggle must start from the evaluation of the effects that the direction produces, that is, whether that ruling group serves the interests of the liberation struggle or promotes more or less “conditional” surrender to the enemy. Today, the diatribe, confusion and intoxication regarding the role of Ḥamās as leader of the Palestinian resistance movement are emblematic of the lack of application of this general criterion in the present case. What the outcome of the ongoing struggle will be is up to the Palestinian and Jewish popular masses. They will be the ones to define the future of Palestine, aware that the positive solution is that of the coexistence of peoples, different ethnic groups and distinct religions and that is the creation of a socialist state. A state where the Zionists, imperialists and capitalists are expelled in opposition to the reactionary position, on a racial basis, of “two peoples, two states” (it is precisely this thesis that has led to the current Palestinian segregation). We communists are therefore not for the expulsion of the Jews from Palestine, we are for the liberation of Palestine from the occupation of the Zionist imperialist groups and their state which oppresses the Palestinian people and exploits and uses the Jewish population as cannon fodder. It is not possible to live with the racist and theocratic state of Israel. Only a free, truly democratic Palestine, without racial, national or religious discrimination, will put an end to colonization and aggression in the Middle East and satisfy the just aspirations of all its inhabitants.

Over the decades, the Palestinian resistance has picked up and continued the message of struggle against imperialism and colonialism brought across the world by the communist movement in the last century. Let no one forget what the victory of the popular masses in Russia in October 1917 and the support given by the USSR to the revolutionary movements of Worldwide. The fight against the Zionist State of Israel is strengthened every time the Palestinian people move from mere defense to attack, without asking for permission to fight or to use the most effective forms and ways to achieve their objectives. The responsibility for war, with its consequences, always lies solely with the oppressors and exploiters: this is the basis of every war of liberation. The bourgeois left exalts revolutionary movements only when they do not win: for it, the best revolutionary leaders are those who die in the struggle and the worst are those who win (the denigration of Stalin is exemplary). The struggle of the Palestinian people is a liberation struggle that fuels the resistance of the oppressed peoples against the International Community of US, European and Zionist imperialist groups under all heavens. It is an example of tenacity and combativeness and demonstrates that fighting is possible, that the imperialists are vulnerable and that we can win.

Fonte: Partito dei CARC – Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

SIAMO LA MAGGIORANZA!

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza!

di Compagno P-Marzo 5, 2023

https://www.carc.it/2023/03/05/siamo-la-maggioranza/

La maggioranza delle masse popolari italiane è contro il coinvolgimento del nostro paese nella guerra che la Nato sta conducendo in Ucraina contro la Federazione Russa, è contro l’invio di armi all’Ucraina e le sanzioni alla Federazione Russa, ma ciò non impedisce al governo Meloni di continuare a obbedire a Washington.

La maggioranza delle masse popolari è contraria alla devastazione dell’ambiente, allo smantellamento della sanità pubblica, allo svuotamento della scuola pubblica e dell’università, è contraria all’attuale regime pensionistico, alla precarietà del lavoro. In sintesi, le masse popolari sono contrarie al programma comune della classe dominante (quello che oggi viene chiamato “agenda Draghi”). Eppure, nonostante le masse popolari siano maggioranza, non hanno la forza di far valere i loro interessi. E le elezioni non servono allo scopo. O meglio, non bastano.

Dall’inizio degli anni Novanta – dopo il crollo del regime DC e Tangentopoli – si sono alternati governi di Centro destra e governi di Centro sinistra (i governi dei partiti delle Larghe Intese), ma entrambi hanno fatto le stesse cose; uno ha preparato la strada all’altro nello smantellamento dei diritti e delle conquiste, nelle privatizzazioni, nella progressiva sottomissione del paese ai circoli della finanza e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, europei e sionisti.

Nel 2018 aveva vinto le elezioni il M5S, ma anche in quel caso – nonostante le potenzialità – è cambiato poco. E questo sia perché il governo Conte 1 è stato ostacolato in mille modi (vedi le minacce della Commissione Europea di aprire una procedura di infrazione del Patto di Stabilità), sia – e soprattutto – perché il M5S stesso non ha avuto il coraggio e non si è dato i mezzi per rompere con i ricatti e le pressioni: farlo voleva dire, innanzitutto, mobilitare i meet-up e le masse popolari per l’attuazione del programma con cui aveva vinto le elezioni.

È stato, quindi, “cotto a fuoco lento” (governo Conte 2) e poi inglobato al polo PD delle Larghe Intese, di cui oggi prova a fare “la sinistra”.

La storia degli ultimi 30 anni, l’aggravamento della crisi generale, la progressiva perdita di ruolo politico e di rilevanza dei partiti della sinistra borghese hanno alimentato il distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante, con i suoi partiti, sindacati di regime e grandi associazioni, con le “liturgie” della democrazia borghese.

Le elezioni politiche del 25 settembre scorso avevano già espresso questa tendenza (36% di astensione) che le elezioni regionali in Lombardia e Lazio hanno confermato e reso ancora più evidente con il 60% di astenuti.

La maggioranza delle masse popolari italiane contraria all’agenda Draghi ha deciso di disertare le urne, di mandare a quel paese le elezioni e tutto il sistema politico della classe dominante. Ma questo è un segnale positivo?

Da una parte è una manifestazione dello scollamento delle larghe masse dalla classe dominante, dal suo sistema politico e dai partiti delle Larghe Intese e pertanto sì, è un elemento positivo.

D’altra parte è anche la manifestazione di un vuoto da riempire, che chiama alla responsabilità e al cambiamento anzitutto noi comunisti e quanti vogliono assumere un ruolo positivo nella lotta di classe in corso nel paese.

Per alimentare il movimento che trasforma la società non è sufficiente lo scollamento fra le larghe masse e la classe dominante. Questo scollamento, spontaneamente, non diventa mobilitazione per rovesciare la classe dominante; la protesta non diventa automaticamente mobilitazione per sostituire le autorità della classe dominante con le nuove autorità pubbliche che sono espressione delle masse popolari organizzate.

La verità è che senza un progetto per riempire quel vuoto c’è poco di cui essere soddisfatti di fronte all’avanzata dell’astensionismo.

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza

Nel nostro paese i tradizionali e principali centri di organizzazione e mobilitazione delle masse popolari (i sindacati di regime, le grandi associazioni nazionali, i partiti della sinistra borghese), i cui vertici sono stati progressivamente integrati nel sistema politico della classe dominante, svolgono principalmente la funzione di pompieri della mobilitazione operaia e popolare.

Questo ha portato i lavoratori e le masse popolari a cercare una strada per organizzarsi in modo indipendente e autonomo (anche il progressivo distacco fra i lavoratori e i sindacati di regime rientra nel più generale distacco fra le masse popolari e la classe dominante).

In questi anni hanno assunto un ruolo sempre più importante tanto i sindacati alternativi e di base che i movimenti (si pensi ai No Tav); nascono continuamente coordinamenti di varia natura, tutti con lo scopo di chiamare le masse popolari a organizzarsi per fare fronte agli effetti della crisi (vedi il coordinamento Noi Non Paghiamo).

Posto che l’unione fa la forza e che, per dirla come Marx, “i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall’organizzazione e guidati dalla conoscenza”, tutte le spinte a organizzarsi per fare fronte a questo e a quel problema sono giuste, vanno sostenute e da comunisti le sosteniamo. Da comunisti, tuttavia, dobbiamo aggiungere un pezzo.

Organizzarci e far valere tutta la nostra forza per imporre un governo di emergenza popolare

Per ottenere aumenti salariali, i lavoratori devono organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative che portano la controparte a cedere.

Per ottenere la revoca di una misura antipopolare bisogna organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative per costringere le autorità e le istituzioni a fare marcia indietro.

Il pezzo in più che dobbiamo mettere da comunisti alla giusta organizzazione sul campo rivendicativo consiste nel portare un contenuto superiore e una prospettiva: portare gli organismi operai e popolari a ragionare e confrontarsi su un loro “programma comune” basato sugli interessi generali delle masse popolari; portarli a coordinarsi fra loro per attuarlo, in modo da moltiplicare la capacità di mobilitazione e organizzazione fino a diventare quel “grande centro autorevole” in grado di dispiegare su ampia scala la mobilitazione necessaria per costituire il governo di cui c’è bisogno.

In questo modo ogni mobilitazione di tipo rivendicativo – grande o piccola – rientra in un movimento più ampio e unitario.

In questo modo ogni organismo operaio e popolare diventa articolazione di un organismo più grande, capace di rispondere insieme alle manovre della classe dominante e di pensare (e passare) insieme al contrattacco.

Questo è il movimento pratico attraverso cui gli organismi operai e popolari diventano le nuove autorità pubbliche che con la loro azione pratica riempiono lo spazio vuoto creato dal distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima Generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus

ROVESCIARE IL GOVERNO DELLA GUERRA

Cacciare i servi della Nato e della Ue dal governo del paese – Editoriale

https://www.carc.it/2023/03/05/rovesciare-il-governo-della-guerra/

È passato un anno da quando la propaganda di regime ha deciso che c’era una guerra in Ucraina.

Quanti avevano ignorato i massacri che dal 2014 stavano avvenendo in Donbass ad opera dell’esercito ucraino e dei battaglioni di mercenari nazi-fascisti contro i civili, hanno improvvisamente spalancato gli occhi quando la Federazione Russa ha avviato “l’operazione militare speciale”, il 24 febbraio 2022.

In verità, da quella data è iniziata solo la fase dispiegata di un conflitto in corso da tempo, benché condotto in forma di “guerra strisciante”: parliamo delle manovre degli imperialisti Usa per accerchiare la Federazione Russa, soffocarne lo sviluppo economico e ostacolarne il ruolo politico a livello internazionale.

In un anno di conflitto militare sono successe molte cose e tutte confermano ciò che abbiamo compreso, nonostante la propaganda di guerra, le menzogne, l’intossicazione con cui la classe dominante ha ammorbato l’opinione pubblica.

Gli imperialisti Usa, che cercano di mantenere il loro dominio sul mondo, sono gli unici veri promotori della guerra e operano a ogni livello affinché il conflitto si aggravi e si allarghi. Non solo hanno preparato le condizioni del conflitto armato dispiegato (inviando armi e denaro, addestrando l’esercito ucraino, ecc.), ma hanno anche fatto di tutto per coinvolgere i paesi della Ue, arrivando a compiere sabotaggi e attentati da addebitare alla Federazione Russa (vedi il gasdotto Nord Stream).

Le conseguenze del conflitto – al netto delle popolazioni bombardate e massacrate che per gli imperialisti sono solo carne da macello – ricadono sulla Ue e, più precisamente, sulle masse popolari dei paesi della Ue. Le sanzioni commerciali alla Federazione Russa colpiscono duramente l’economia; il blocco delle importazioni di gas, petrolio e altre materie prime mettono in ginocchio l’apparato produttivo e alimentano le speculazioni sul prezzo dell’energia. Per fare fronte alla “chiusura dei rubinetti”, i paesi della Ue comprano il gas liquido dagli Usa a un prezzo stratosferico. Nel frattempo riattivano centrali a carbone, costruiscono rigassificatori, ripiombano nella dipendenza dai combustibili fossili, venduti a prezzi da strozzino sul mercato monopolizzato dagli Stati Uniti.

Intanto questi ultimi moltiplicano le manovre per allargare il fronte del conflitto a Moldavia, Georgia e Kazakistan e le provocazioni per aprire un nuovo fronte contro la Repubblica Popolare Cinese.

In ogni paese imperialista, pur fra mille contraddizioni e con scarsi risultati in termini di adesione, suona la fanfara di guerra e si promuove la militarizzazione della società.

Guardiamo all’Italia: il governo Meloni con la marcia in folle ha imboccato la discesa verso cui gli imperialisti Usa spingono l’Italia. Procede a rotta di collo nell’esecuzione degli ordini impartiti da Washington, ricalcando la strada già battuta da Draghi, con conseguenze che per le masse popolari italiane sono ogni giorno più disastrose.

Anche in Italia suona la fanfara di guerra: studenti inviati nelle industrie belliche a svolgere l’alternanza scuola lavoro, progetti per ampliare le basi militari esistenti e costruirne di nuove (come a Coltano), aumento del traffico di armi nei porti e delle esercitazioni militari, fino alla banda musicale della Nato che sfila al carnevale di Viareggio (!).

Tuttavia le fanfare non coprono lo scricchiolio continuo e insistente del paese che sta crollando: il progressivo smantellamento dell’apparato produttivo, lo stato di abbandono della sanità pubblica, il degrado a cui sono condannate la scuola e l’università, le file di persone alla Caritas, gli sfratti, i pignoramenti, il dissesto colpevole dei territori…

Il governo Meloni è il burattino degli imperialisti Usa. Il suo “sovranismo” è autentico come una moneta da 3 euro: è solo propaganda per raggirare le masse popolari.

Parliamo di chi non vuole che l’Italia sia complice della guerra. Siamo la maggioranza.

L’opposizione alla guerra e all’economia di guerra è condivisa, anche se con motivazioni diverse, da larga parte della popolazione italiana: non solo dalle masse popolari, ma anche da gruppi ed esponenti della classe dominante (nell’ambito delle contraddizioni tra gruppi imperialisti europei e gruppi imperialisti Usa), da una parte del clero e delle istituzioni cattoliche e perfino da una parte delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine (in proposito si vedano le numerose critiche pubbliche di ex generali e persino di generali tutt’ora in servizio).

La classe dominante cerca di soffocare la nostra voce. Per tutto un periodo ci ha provato con la censura (ricordate le “liste di proscrizione dei sostenitori di Putin”?) e cercando di coprire il sostegno al governo ucraino e ai battaglioni nazisti con rivendicazioni pacifiste (ricordate le “manifestazioni per la pace” a cui interveniva Zelensky in video conferenza o in cui campeggiavano le bandiere del battaglione Azov e dei partiti neonazisti ucraini?).

Adesso, non riuscendo più a soffocare il sentimento popolare di opposizione alla guerra, la classe dominante lo ignora, semplicemente. Fa finta che non esista. Non riesce a debellarlo e prova a silenziarlo. E in parte vi riesce perché è un sentimento che ancora non ha trovato una forma adeguata per essere manifestato, rappresentato e organizzato in maniera dispiegata; non ha ancora trovato la strada per diventare mobilitazione organizzata di tutti coloro che si oppongono alla guerra e ai burattinai che muovono i fili del nostro paese.

Parliamo di noi, dei comunisti. Siamo la minoranza di quella maggioranza di popolazione che non vuole la guerra e l’economia di guerra. Siamo minoranza, ma dipende dall’azione dei comunisti se le masse popolari trovano le forme e il modo per manifestare e organizzare la loro opposizione alla guerra e trovano la prospettiva verso cui incanalarla.

Le illusioni di cambiare il corso delle cose con le preghiere, con le richieste e con le manifestazioni di indignazione sono poco efficaci.

Se nel corso di un anno di “guerra dispiegata nel cuore dell’Europa” il sentimento prevalente fra le masse popolari non ha trovato la strada e le forme per manifestarsi efficacemente, questo è avvenuto per la combinazione di due fattori:

– le masse popolari NON hanno più fiducia nella sinistra borghese. Pesa ancora come un macigno la sconfitta del movimento contro la guerra in Iraq (2003): nonostante fosse oceanico, generale e capillare, esso fu sconfitto. E i suoi promotori, che all’epoca non si presero la responsabilità di portarlo a compiere il salto di qualità necessario per rendere ingovernabile il paese al governo della guerra (quello di Berlusconi), oggi non si prendono la responsabilità neppure di protestare apertamente contro gli Usa per paura di essere messi all’indice come “filorussi” e si nascondono, nel migliore dei casi, dietro un’ipocrita equidistanza, dietro la politica del “né, né”;

– i partiti e le organizzazioni del movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese sono ancora troppo legati alle tare ideologiche del vecchio movimento comunista dei paesi imperialisti: l’economicismo e l’elettoralismo. Questo impedisce di promuovere l’organizzazione delle masse popolari, di mettersi alla testa della loro mobilitazione, di valorizzare le lotte rivendicative e incanalarle nella lotta per il potere: in sintesi, di costruire passo dopo passo la rivoluzione socialista con le forze a disposizione, senza nascondersi dietro la tesi che “ci vorrebbe un partito comunista grande e forte”. Il partito comunista che nasce già grande e forte non esiste, non è mai esistito. Il partito diventa tale solo se si pone alla testa della mobilitazione delle masse popolari che attorno a esso si organizzano.

Parliamo della nostra lotta. A un anno dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, è evidente che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti non ha alcuna intenzione di recedere dai suoi passi. La suggestione che possa esistere un “mondo multipolare” si infrange contro la realtà. Le masse popolari dei paesi imperialisti, anche quelle italiane, sono destinate a diventare carne da macello e da cannone al servizio degli imperialisti Usa e dei loro lacché della Ue.

C’è solo una strada, solo una, per cambiare il corso delle cose: aprire in ogni paese imperialista il “fronte interno” della guerra, rendere ognuno di essi ingovernabile alla classe dominante.

Per quanto riguarda l’Italia, ciò significa mobilitarsi per rendere ingovernabile il paese al governo Meloni fino a cacciarlo; impedire che sia sostituito da un altro governo di servi della Nato e della Ue e sostituirlo con un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

“Sarebbe bello, ma non è possibile” è la risposta più comune che incontriamo di fronte a questa prospettiva. Ma, compagni e compagne, partiamo dall’esperienza pratica e guardiamo la realtà: coloro che solo due anni fa andavano ripetendo che la guerra nel cuore dell’Europa non sarebbe stata possibile, sono gli stessi che oggi dicono che non è possibile cacciare i servi della Nato e della Ue dal governo del paese e che non è possibile costituire il Governo di Blocco Popolare.

Il domani sarà diverso dall’oggi. Quello che sarà domani dipende da quello che si fa oggi. Succederà quello che faremo succedere.

Non si tratta di armarsi di speranza e confidare nella provvidenza, ma di darsi i mezzi per condurre fino in fondo la nostra lotta, consapevoli che la classe dominante sta facendo sprofondare il mondo nella guerra e l’unica alternativa realistica è che siano, al contrario, le masse popolari a fare sprofondare la classe dominante.


Gli occhi chiusi sul massacro di palestinesi

Dalla fine del 2022, con l’insediamento del nuovo governo capeggiato da Netaniayhu, lo Stato d’Israele ha lanciato una nuova offensiva contro il popolo palestinese: bombardamenti, fucilazioni sommarie per strada, attacchi alle carceri, torture dei prigionieri. A corollario, a fine febbraio il governo ha approvato un disegno di legge che prevede la pena di morte per chi “uccide un cittadino israeliano”, ma solo in caso che “l’assassino sia un palestinese”.
Con l’insediamento di quello che viene definito anche dalla stampa “il governo più reazionario della storia di Israele” c’è stato, effettivamente, un salto di qualità. Tuttavia la persecuzione dei palestinesi è il tratto distintivo della classe dominante sionista.
“Nel solo 2022, in Palestina, Israele ha commesso circa 13.000 violazioni [dei diritti umani, NdR] complessive contro i palestinesi. Le forze dell’esercito israeliano continuano le loro gravi violazioni del diritto alla vita e all’integrità fisica, oltre ad arrestare e molestare i palestinesi. E’ quanto emerge da un rapporto predisposto dalla Europeans for al-Quds Organization e presentato alla Camera dei Deputati di Roma” – scrive sul proprio sito Pressenza il 28 febbraio 2023.
“L’Organizzazione Europei per al-Quds ha, a conclusione del rapporto, rinnovato il proprio invito alla comunità internazionale, ad assumersi la responsabilità e proteggere la città di Gerusalemme e la sua popolazione palestinese in quanto abitanti di un territorio occupato, secondo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima Generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus

FARE I CONTI CON LA REALTA’

Sui risultati delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio

https://www.carc.it/2023/02/14/fare-i-conti-con-la-realta/

I risultati delle elezioni regionali in Lombardia e in Lazio chiudono il cerchio sulla narrazione dell’ascesa di Giorgia Meloni, un cerchio idealmente aperto dallo scorso luglio con la convocazione delle elezioni politiche e artificiosamente allargato dalla propaganda di regime.
L’ascesa di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia e la pletora di nostalgici del Ventennio era ed è tutt’altro che irresistibile. Anzi, a ben vedere esiste solo come fenomeno mediatico.
Se i risultati delle elezioni politiche del 25 settembre avevano già fatto emergere lo scollamento fra le larghe masse popolari e la classe dominante, i suoi partiti (in particolare con i rappresentanti dell’Agenda Draghi), il suo sistema politico e le sue “liturgie democratiche” (l’astensione fu del 36%), le elezioni regionali in Lombardia e Lazio aggravano il distacco e, con esso, le tensioni e le contraddizioni nella maggioranza di governo.

Per quanto riguarda l’allargamento del distacco è eloquente il dato dell’astensione record, intorno al 60%. Troppo alta per non creare il cortocircuito fra la realtà e la propaganda, in particolare con il commento di Giorgia Meloni: “il governo esce rafforzato da queste elezioni”. I partiti di governo “escono rafforzati” solo in termini percentuali, in verità il numero assoluto dei voti dimostra proprio il contrario.

Per quanto riguarda le tensioni e le contraddizioni nella maggioranza di governo, ce ne sono alcune palesi e altre sotto traccia. Le dichiarazioni di Berlusconi sul sostengo del governo italiano a Zelensky e all’esercito ucraino, a urne ancora aperte, appartengono alle prime. L’inizio della resa dei conti – che parte dalla Lombardia – per la spartizione di poltrone e traffici fra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia appartiene alle seconde.

Pertanto no, il governo Meloni non esce rafforzato dalle elezioni regionali, esce ulteriormente indebolito. Ma siccome la cosiddetta “opposizione” dell’altro polo delle Larghe Intese (dal PD al M5S) ne esce con le ossa rotte, allora Meloni, Fontana, Rocca & C. possono permettersi di cantare vittoria. Ma i fatti hanno la testa dura.

Le Larghe Intese in Lombardia

PartitoRisultati regionali 2018 affluenza 73,1%Risultati politiche 2022 affluenza 70,1%Risultati regionali 2023 affluenza 41,6%
FdI190.800 (3,6%)1.443.692 (28,5%)725.500 (25,2%)
Lega1.533.787 (26,6%)671.814 (13,3%)476.175 (16.50%)
FI750. 739 (14,30%)398.554 (7,9%)208.420 (7,2%)
PD1.008.560 (19,2%)961.894 (19,0%)628.774 (21,8%)
Alleanza verdi / sinistra/192.939 (3,8%)93.019 (3,2%)
M5S (nel 2018 e nel 2022 si presentava da solo)933.382 (17,8%)378.885 (7,5%)113.229 (3,9%)

Per Attilio Fontana le cose sono andate “talmente bene” che ha perso un milione di voti rispetto alle precedenti elezioni regionali (2.793.369 i voti che ha raccolto nel 2018, 1.774.477 nel 2023). I tre partiti principali della coalizione di Centro destra perdono, insieme, circa un milione di voti rispetto al 2018. Se ci limitiamo a Fratelli d’Italia, ha perso oltre 700mila voti in soli 5 mesi (di governo!).
Il PD ha perso più di 350mila voti in 5 anni e nella caduta libera si è portato appresso il M5S, per la prima volta alleato elettorale (il M5S perde più di 800mila voti in 5 anni). Tutti i voti che mancano all’appello sono quelli degli astenuti.

Le Larghe Intese in Lazio

PartitoRisultati regionali 2018 affluenza 66,3%Risultati politiche 2022 affluenza 64,3%Risultati regionali 2023 affluenza 37,2%
FdI220.460 (8,7%)844.939 (31,2%)519.633 (33,6%)
Lega252.772 (9,9%)170.384 (6,3%)131.631 (8.50%)
FI371.155 (14,6)185.540 (6,8%)130.638 (8,4%)
PD539.131 (21,2 %)523.083 (19,3%)313. 023 (20,5%)
Alleanza verdi / sinistra/104.572 (3,9%)42.314 (2,7%)
M5S559.752 (22%)406.065 (15%)132.041 (8,5%)
Polo progressista//18. 727 (1,2%)

Per inquadrare i risultati nel Lazio va tenuto conto che l’affluenza al voto (37,2%) è stata inferiore rispetto alla Lombardia (41,7%). Alle regionali del 2023 i principali partiti della coalizione di Centro destra perdono, insieme, più di 62mila voti rispetto al 2018. Fratelli d’Italia perde 325mila voti rispetto alle elezioni politiche dello scorso settembre. Il PD perde più di 200mila voti in 5 anni.
Da segnalare la batosta del M5S: benché corresse da solo (e non alleato al Pd come in Lombardia), ha perso 400mila voti rispetto a 5 anni fa.

La sintesi è che non solo il governo di Giorgia Meloni, ma tutto il sistema politico delle Larghe Intese esce con le ossa rotte. Tuttavia, è opportuno fare un ragionamento sull’astensione. Il 60% di astenuti è un dato positivo?
Se da una parte è la manifestazione dello scollamento delle larghe masse dalla classe dominante, dal suo sistema politico, dai partiti delle Larghe Intese – e pertanto sì, è un elemento positivo – dall’altra è anche la manifestazione di un vuoto da riempire e un’occasione persa, che chiama alla responsabilità e al cambiamento noi comunisti e quanti vogliono assumere un ruolo positivo nella lotta di classe in corso nel paese.

Per quanto riguarda il vuoto da riempire, il ragionamento è il seguente.
Per alimentare il movimento che trasforma la società non è sufficiente lo scollamento fra le larghe masse e la classe dominante. Quello scollamento, spontaneamente, non diventa mobilitazione per rovesciare la classe dominante; la protesta non diventa automaticamente mobilitazione per sostituire le autorità della classe dominante con le nuove autorità pubbliche che sono espressione delle masse popolari organizzate.
Soltanto gli ingenui, gli illusi, gli avventuristi e più in generale chi non ha fatto un bilancio della storia del movimento comunista (del nostro paese e internazionale) collegano automaticamente il crollo della fiducia e del legame fra le larghe masse e la classe dominante alla “rivoluzione che scoppia”.
La verità è che quel vuoto va riempito, la verità è che il nuovo potere delle masse popolari organizzate deve svilupparsi fino a soppiantare il potere dell’attuale classe dominante.
C’è davvero poco di cui essere soddisfatti di fronte all’avanzata dell’astensionismo, senza un progetto, un piano, una prospettiva per trasformare l’astensione elettorale (che è solo una delle molte manifestazioni dello scollamento fra masse popolari e classe dominante) nella condizione per incanalare la protesta, il disinteresse e il distacco in organizzazione, mobilitazione e coordinamento, in lotta per la costruzione del nuovo potere (leggi “Il nuovo potere, il potere degli organismi operai e popolari”).

Per quanto riguarda l’occasione persa, il discorso è il seguente.
Se vogliamo vedere in faccia la realtà, con le elezioni regionali non si chiude solo il cerchio della propaganda di regime sull’irresistibile ascesa di Giorgia Meloni, si chiude anche il cerchio delle irresponsabili velleità di essere “l’unica vera opposizione” dei partiti e delle organizzazioni anti Larghe Intese che invece di coalizzarsi vanno ognuno per conto proprio.
Già dai risultati delle elezioni politiche del 25 settembre, con il fallimento rispetto alla possibilità di riempire il parlamento di persone esterne al circolo di pressioni, ricatti, “mercato delle vacche” a cui i partiti delle Larghe Intese hanno ridotto le assemblee elettive nel processo di progressivo svuotamento del loro ruolo (leggi “Non piangere sulla disfatta elettorale. Fare un bilancio serio per avanzare!” Comunicato della Direzione Nazionale del P.CARC del 25.9.2022 ) erano emersi insegnamenti chiari, in particolare due:

– i promotori delle liste anti Larghe Intese devono urgentemente avviare un percorso di confronto e trattare apertamente e fino in fondo tutti i temi spinosi, le questioni su cui non c’è accordo, devono metterle nero su bianco e aprire la discussione alle masse popolari (iscritti, elettori, organismi operai e popolari, movimenti) per superarle in modo trasparente e democratico, per arrivare a una sintesi che sia coerente con le aspirazioni delle masse popolari (come fece NUPES per le elzioni legislative del 2022 in Francia);

– le liste anti Larghe Intese devono condurre la campagna elettorale con iniziative di rottura, senza limitarsi alle comparsate in Tv, ai comizi, agli aperitivi e ai piagnistei. Se è vero – ed è vero – che il meccanismo elettorale è un a farsa, un sistema antidemocratico, allora quella farsa va rovesciata con iniziative che rompono le liturgie e mettono al centro l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari. Se accettano di rispettare le regole antidemocratiche, i lamenti per “il poco spazio”, “il poco tempo” e “la legge elettorale ingiusta” lasciano il tempo che trovano, sono manifestazione di impotenza (del resto le “regole” sono già note prima che inizi la campagna elettorale!).

Liste anti Larghe Intese in Lombardia

PartitoRisultati regionali 2018 affluenza 73,1%Risultati politiche 2022 affluenza 70,1%Risultati regionali 2023 affluenza 41,6%
Unione Popolare
(nel 2018 si considera la lista “Sinistra per la Lombardia”)
35.714 (0,68%)57.490 (1,1%)39.913 (1,39%)

Liste anti Larghe Intese in Lazio

PartitoRisultati regionali 2018 affluenza 66,3%Risultati politiche 2022 affluenza 64,3%Risultati regionali 2023 affluenza 37,2%
Unione Popolare (nel 2018 si considera la lista “Potere al Popolo”)33.372 (1,32%)46.538 (1,7%)10.289 (0,67%)
PCI//10.212 (0,66%)

I risultati delle lista anti Larghe Intese in Lombardia e in Lazio sono solo l’ulteriore conferma di quanto e come la tara dell’elettoralismo danneggia chi la pratica e allontana militanti ed elettori da queste liste. L’elettoralismo offusca, immobilizza e relega all’angolo i promotori delle liste anti Larghe Intese.
In Lombardia si è presentata solo Unione Popolare, ma il perseverare sulla stessa strada fallimentare (una campagna elettorale di fatto inesistente tra i lavoratori e le masse popolari) già seguita per le elezioni politiche del 25 settembre ha prodotto un risultato dietro il quale i promotori non possono più nascondersi.
In Lazio si sono presentate, divise, PCI e Unione Popolare. Il risultato?
Sia il Lombardia che in Lazio, nessuna lista anti Larghe Intese ha approfittato dell’astensionismo diffuso, nessuna ha fatto una campagna per trasformare l’astensione di protesta in mobilitazione; in entrambi i casi hanno contribuito ad aumentare l’astensione.

Tiriamo una conclusione. Per fare i conti con la realtà vanno banditi disfattismo e attendismo
Anche i risultati delle elezioni regionali dimostrano che la via elettorale NON è (e non può essere) la via principale per imporre il governo che serve ai lavoratori e alle masse popolari. Le elezioni e la campagna elettorale possono e devono essere usate per allargare la mobilitazione e l’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari.
Concludiamo su questo punto, su questo aspetto, perché anche dopo questa ennesima “batosta elettorale” per la sinistra, nella base dilaga il disfattismo.

“L’idea che per formare un governo bisogna passare per le elezioni, vincerle e poi, se si riesce a ottenere più del 50% dei voti, allora è possibile formare un governo è stata smentita più volte dall’esperienza. I casi più recenti in cui i vertici della Repubblica Pontificia, trovatisi in difficoltà per governare il paese, hanno cambiato governo senza passare per elezioni e hanno “convinto” lo stesso Parlamento a votare un nuovo governo sono:

1. la messa fuori gioco di Bersani che aveva vinto le elezioni del 2013 e sua sostituzione con Letta;

2. la sostituzione di Berlusconi con Monti nel dicembre 2011;

3. la sostituzione di D’Alema a Prodi nel novembre 1998;

4. la sostituzione di Dini a Berlusconi nel gennaio 1995;

5. la sostituzione di Fanfani a Tambroni nel luglio 1960.

La lezione è che occorre che gli organismi operai e popolari, in combinazione con gli esponenti democratici della società civile, i dirigenti della sinistra sindacale, gli esponenti non anticomunisti della sinistra borghese creino nel paese una situazione ingestibile dai vertici della Repubblica Pontificia con la soluzione di governo in carica, per indurli a installare un governo con cui “sedare (calmare) la piazza”, convinti di riuscire a riprendere in mano le cose. (…)

Rendere ingovernabile il paese significa in primo luogo mobilitare i lavoratori avanzati e combattivi a costituire in ogni azienda capitalista e pubblica organismi che prendono in mano le aziende, escono dalle aziende, prendono via via la testa di tutti i lavoratori (compresi i precari, le partite IVA e i lavoratori autonomi sostenendo le loro iniziative di disobbedienza alle autorità statali e locali, di sciopero fiscale e altre): agiscono cioè da nuove autorità pubbliche. Nel nostro paese basta un centinaio o anche meno di

– organismi aziendali come il Collettivo di Fabbrica della GKN che fanno delle aziende minacciate di delocalizzazione, chiusura, ristrutturazione dei centri promotori della lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese e come il CALP di Genova che bloccano i porti italiani al traffico di armi,

– organismi territoriali come i NO TAV della Val di Susa che impediscono o boicottano la realizzazione di grandi opere speculative di devastazione del territorio,

– organismi come il Movimento Disoccupati 7 Novembre e il Cantiere 167 di Napoli,

– organismi come Fridays For Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione,

– come i Comitati per l’Acqua Pubblica, i comitati per la casa e altri,

coordinati tra loro e orientati a costituire un governo d’emergenza di loro fiducia, per rendere ingovernabile il paese dai vertici della Repubblica Pontificia e costringerli a ingoiare (provvisoriamente nei loro propositi) un governo d’emergenza. Due sono le strade possibili.

a) Pensiamo alle “accampate” promosse negli anni passati dai coordinamenti No Debito, Eurostop, No Monti Day e simili, però organizzate in un contesto in cui 1. un certo numero di organismi operai e popolari agiscono da nuove autorità pubbliche e 2. i personaggi di loro fiducia si sono costituiti in un organismo (in passato lo abbiamo chiamato comitato di salvezza o di liberazione nazionale, ma quello che conta è la sostanza, non il nome) che nega ogni legittimità del governo in carica e il suo diritto a governare, che lotta per affermarsi come governo legittimo del paese in nome degli interessi delle masse popolari, che assume di rappresentare, e che sono calpestati dal governo in carica (quindi un organismo costituto non per contrattare e rivendicare al governo in carica, ma con l’obiettivo di cacciarlo e di mobilitare le masse popolari a sviluppare su scala crescente tutte le iniziative di cui sono capaci, fino alla vittoria). In una situazione del genere, se proprio serve, possiamo anche indurre un Parlamento formato da gente in vendita al miglior offerente ad avallare un governo composto da persone designate dalle organizzazioni operaie e popolari.

b) Un’altra strada è quella che ha fatto il M5S da noi nel 2018 e Syriza in Grecia nel 2015: stante l’avanzare della crisi del sistema politico, una coalizione anti Larghe Intese si afferma alle elezioni e riesce ad andare al governo. Se ha a che fare con organismi come il Collettivo di Fabbrica della GKN, organizzati e con iniziativa, difficilmente potrà prescindere da essi, dalle loro rivendicazioni, dai decreti anti-delocalizzazione e dai piani per la mobilità sostenibile che presentano. Anziché calare le braghe, come hanno fatto sia il M5S sia Syriza, dovrà avanzare. Non vuol dire che al GBP si arriva attraverso le elezioni: quello che fa la differenza non è la vittoria alle elezioni, ma l’esistenza di un certo numero di organizzazioni operaie e popolari, il loro coordinamento e il loro orientamento a prendere in mano le sorti del paese costituendo un proprio governo d’emergenza.

La possibilità di imboccare una di queste due strade si è presentata più volte nel nostro paese, in particolare nel 2010 con il movimento messo in moto dalla resistenza degli operai di Pomigliano al piano Marchionne ed esteso a livello nazionale dall’iniziativa della FIOM e nel 2018 con la breccia aperta nel sistema politico delle Larghe Intese con l’affermazione del M5S” – dalla Dichiarazione Generale in discussione al VI Congresso del P.CARC.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila

VIA IL GOVERNO DELLA GUERRA

https://www.carc.it/2023/01/29/via-il-governo-della-guerra/

La guerra ibrida che la Nato sta conducendo contro la Federazione Russa dal 2014 ha subito una svolta il 24 febbraio 2022, quando è iniziata l’operazione speciale russa in territorio ucraino. Nel nostro paese il governo era nelle mani di Mario Draghi.

Tutti i lettori ricorderanno che, quando Draghi fu installato con un colpo di mano di Mattarella (nel febbraio 2021), la manovra fu giustificata dal fatto che al paese serviva “il migliore” interprete del programma della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti. Un governo “dei migliori” avrebbe creato le condizioni per intascare i soldi del Pnrr e rimettere in sesto il paese dopo la pandemia.

Cosa si celasse dietro la propaganda di regime è ormai evidente: il Pnrr era un ricatto della Ue per imporre a tappe forzate lo smantellamento delle residue conquiste delle masse popolari e favorire le speculazioni finanziarie. E il governo Draghi aveva il compito di aumentare la sottomissione e la dipendenza del nostro paese ai circoli internazionali della speculazione finanziaria. La cosa è diventata palese dal 24 febbraio 2022.

Il governo italiano è stato fra i più solerti e zelanti a mettere in pratica le indicazioni della Nato: invio di armi all’esercito ucraino, invio di denaro al governo ucraino, applicazione di sanzioni contro la Federazione Russa, accordi capestro per forniture di gas, avvio di un vasto piano di opere inutili e dannose “per fare fronte alla crisi energetica” (vedi i rigassificatori). Il tutto accompagnato da una martellante propaganda bellica e atlantista, con messa alla gogna dei non allineati.

Sotto il profilo tecnico, il governo Draghi ha più volte violato la Costituzione, ha agito in modo illegale.

Un parlamento appena un po’ democratico (non certo “rivoluzionario”, ma ispirato alla Costituzione) avrebbe avuto ampi margini per ostacolare Draghi. Ma il parlamento italiano, al netto di qualche ininfluente eccezione, si è limitato a poche “critiche”, inutili sul piano pratico, ma sufficienti a spingere i vertici della Repubblica Pontificia italiana a immaginare – e pretendere – un parlamento ancora più asservito.

Da qui la decisione di Mattarella di indire a luglio le elezioni politiche del 25 settembre. Elezioni indette in fretta e furia, appositamente per ostacolare la partecipazione di liste anti Larghe Intese. Un colpo di mano riuscito solo in parte e solo per gli errori delle liste anti Larghe Intese che si sono presentate alle elezioni divise e in concorrenza fra loro.

Le elezioni del 25 settembre le ha “vinte” Fratelli d’Italia, alla testa di una coalizione che aveva promesso agli elettori discontinuità e cambiamento. Ci hanno creduto in pochi: con un tasso di astensione al 36%, FdI ha raccolto solo il 14.4% dei voti, l’intera coalizione il 24.8%. Ma Giorgia Meloni era già stata scelta per formare il governo e proseguire nell’attuazione dell’agenda Draghi.

A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina e a cinque mesi dall’installazione del governo Meloni, i nodi vengono al pettine. Il governo Meloni ha dimostrato di essere uguale al governo Draghi.

Ha aggirato il parlamento e determinato per decreto la prosecuzione della fornitura di armi italiane all’esercito ucraino. Su quali e quante siano le armi vige il più stretto riserbo.

Ha rinnovato l’impegno a sostenere economicamente il governo ucraino, ma anche in questo caso non è dato conoscere le cifre.

Ha rinnovato l’adesione alle sanzioni contro la Federazione Russa, nonostante siano un flagello per il nostro paese.

Ha fatto ulteriori passi per la realizzazione delle opere necessarie a “fare fronte alla crisi energetica” a dispetto dell’opposizione di intere comunità e nonostante il loro impatto sui territori sia devastante e la loro pericolosità certificata.

Ha proceduto con le manovre per rafforzare e ampliare (o costruire da zero, come a Coltano) basi militari italiane e Usa.

Tuttavia, una differenza fra il governo Draghi e il governo Meloni c’è ed è importante.

Il governo Draghi è stato imposto “dall’alto” e non ha mai dovuto rendere conto della sua opera alle masse popolari.

Giorgia Meloni sostiene di aver vinto le elezioni, di avere il mandato delle masse popolari per governare. Ma la maggioranza delle masse popolari è contro la partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato, è contro le sanzioni alla Federazione Russa, è contro la sottomissione e la dipendenza del paese alla Nato e alla Ue. E di questo Giorgia Meloni dovrà, prima o poi, rendere conto.

Al momento, nel nostro paese non c’è una mobilitazione generale e dispiegata contro la guerra e contro il governo della guerra. Questo permette a Giorgia Meloni di arrampicarsi sugli specchi: colleziona “figure barbine” (vedi le promesse non mantenute sulle accise sul carburante) e incolpa altri delle sue responsabilità (ad esempio i benzinai per i rincari sul carburante). Ma la mobilitazione delle masse popolari cresce, anche se non c’è ancora un centro autorevole che si faccia carico di svilupparla pienamente, ed è destinata a svilupparsi.

La questione di fondo, quindi, NON è sperare che la mobilitazione si estenda e salga di tono e aspettare che succeda, ma partecipare attivamente al movimento che la fa crescere. A questo proposito, la linea del P.ARC è chiaramente indicata nella Risoluzione n. 1 in discussione al VI Congresso Nazionale.

“I comunisti devono mettersi alla testa per sviluppare in ogni settore della popolazione operazioni specifiche dirette a

1. denunciare le operazioni militari delle Forze Armate (FFAA) italiane, la promozione del reclutamento di volontari e di mercenari nelle milizie ucraine, il sostegno logistico e informatico alle operazioni militari ucraine;

2. denunciare le operazioni di sostegno alle forze armate ucraine svolte a partire dalle basi Usa-Nato posizionate in Italia;

3. denunciare e lottare contro la moltiplicazione delle esercitazioni militari e l’ampliamento delle basi militari Usa, Nato e italiane;

4. denunciare e sabotare le sanzioni commerciali, monetarie e finanziarie contro la Federazione Russa (grande produttore ed esportatore mondiale di grano e fertilizzanti, nonché primo esportatore di gas naturale e petrolio per l’Italia e la gran parte del continente europeo) che si ritorcono contro le masse popolari italiane: aumento dei prezzi, carovita, riduzione delle esportazioni con smantellamento di strutture produttive;

5. protestare contro queste operazioni militari ed economiche e contro il riarmo che sottrae risorse alle masse popolari (servizio sanitario, sistema scolastico e università e altre strutture dello “Stato sociale”);

6. boicottare e sabotare le operazioni militari;

7. far partecipare sia la truppa che gli ufficiali alla lotta contro la guerra (anche solo attraverso denunce circostanziate relative alle modalità e alle operazioni con cui il governo italiano invia armi e sistemi di armi all’Ucraina e truppe nei paesi vicini) facendo leva sulle contraddizioni già esistenti nelle FFAA.

Porre fine alla partecipazione dell’Italia alla guerra in corso in Ucraina è l’azione più efficace che le masse popolari italiane possono fare a tutela dei propri particolari interessi e per porre fine o almeno ostacolare la continuazione della guerra e quindi venire in aiuto alle popolazioni colpite”.

Contro la propaganda di guerra a Sanremo e in tutta Italia!

https://www.carc.it/2023/02/09/contro-la-propaganda-di-guerra-a-sanremo-e-in-tutta-italia/

Sabato 11 febbraio, davanti alla sede Rai delle principali città del paese, il Partito Comunista, insieme a organizzazioni come Fisi, Ancora Italia per la sovranità democratica e altre, ha organizzato la mobilitazione Spegni Sanremo per manifestare contro la partecipazione del presidente ucraino al Festival della canzone italiana e più in generale contro la guerra che l’Italia, al fianco della Nato, sta portando avanti contro la Federazione russa. Nonostante la presenza di Zelensky sia saltata, come anche la messa in onda del suo video messaggio, sarà Amadeus a fare le sue veci leggendone il discorso in prima serata su Rai uno, seguito da milioni di telespettatori.

È questa l’ultima trovata della classe dominante per tentare di mantenere la fiducia delle masse popoli verso le manovre di guerra del governo Meloni, proprio in questa fase in cui la quota dei contrari all’invio di armi all’Ucraina è la più alta dall’inizio del conflitto, circa il 52% secondo un sondaggio Euromedia.

In Italia aumentano i poveri, altro che spese militari!

Mentre in televisione va avanti lo show necessario a giustificare l’aumento delle spese militari, che con la Legge finanziaria del 2023 hanno visto un incremento di 800 milioni di euro, per un totale di 26,5 miliardi, i salari non accennano ad aumentare e le spese per servizi e beni di prima necessità continuano ad aumentare, tanto che oggi nel nostro paese anche chi ha un lavoro rasenta la soglia di povertà. Per un approfondimento vedi l’articolo Mobilitazione generale per l’aumento di salari, stipendi e pensioni • Partito dei CARC

La mobilitazione indetta per sabato 11 febbraio deve essere solo uno dei passi con cui i lavoratori, i giovani e i comunisti di questo paese avanzino uniti per cacciare i guerrafondai dal governo del paese. Il prossimo passo è mobilitarsi al fianco dei lavoratori del CALP di Genova che hanno indetto una mobilitazione per il 25 di febbraio nella loro città. Opporsi alla propaganda e alle politiche di guerra della classe dominante è necessario, come è necessario legare queste mobilitazioni a quelle contro il carovita e a tutti gli effetti della guerra interna promossa dai padroni. Avanti uniti verso un obiettivo comune: cacciare il governo Meloni e imporre un governo di emergenza popolare che prenda le misure necessarie e urgenti di cui le masse popolari hanno bisogno!

Il Partito dei CARC aderisce all’appello dei promotori della mobilitazione di sabato 11 febbraio e partecipa ai presidi Spegni Sanremo per la costruzione di un fronte che abbia la forza di spezzare le catene Ue e Nato.
Avanti uniti per il governo di blocco popolare, verso il socialismo!

Lombardia. Un convegno contro la guerra e la Nato

https://www.carc.it/2023/01/29/lombardia-un-convegno-contro-la-guerra-e-la-nato/

Qual è oggi il ruolo della Nato nel mondo e nel nostro paese? Con quale legittimità opera sul nostro territorio? Quali sono le sue finalità, i suoi obiettivi e a quali interessi rispondono? Quali sono i risvolti politici, economici, ambientali, culturali e informativi legati alla sua esistenza?

“Il futuro è Nato?” è il titolo scelto, come sintesi di queste e altre questioni, per una conferenza e assemblea programmata il 4 e 5 febbraio 2023, presso il Castello dei Missionari Comboniani a Venegono Superiore (VA).

Lo sviluppo della lotta contro l’asservimento alla Nato nel nostro paese e contro la guerra per interposta persona che questa sta combattendo contro la Federazione Russa in Ucraina ha visto un appuntamento significativo il 17 settembre del 2022, durante la campagna per le elezioni politiche, con la manifestazione all’esterno della base militare di Ghedi (BS).

Ricordiamo che in quella base, formalmente dell’Aeronautica Italiana, sono ospitati ordigni nucleari statunitensi. Una circostanza mai confermata dalle autorità italiane, ma indirettamente ammessa dagli stessi vertici militari Usa, che proclamano e pubblicizzano la sostituzione in corso delle vecchie bombe con altre di nuova generazione: le B61-12, studiate appositamente per essere caricate sugli F35.

In quell’occasione si è svolta anche un’ispezione popolare effettuata da esponenti del movimento contro la guerra assieme a Yana Ehm e Simona Suriano, allora parlamentari e candidate nelle liste di Unione Popolare.

Facendo il bilancio di quella iniziativa è emersa la necessità, da un lato di proseguire sulla strada della mobilitazione di piazza, dall’altro di costruire un confronto a livello nazionale, con l’obiettivo di unire le forze che si pongono sinceramente contro la guerra e cercare un orientamento comune.

Gli organizzatori del Convegno sono: il centro di documentazione Abbasso la Guerra di Varese, il Centro Sociale 28 Maggio di Rovato (BS), l’Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito (Anvui) e il comitato Donne e Uomini Contro la Guerra di Brescia. Oltre a loro, in veste di co-organizzatori, sono presenti le seguenti realtà: Comitato Pace Subito e sindacato Asia di Bergamo, Disarmisti Esigenti e Loc di Milano, Kinesis e Punto Pace di Pax Christi di Tradate (VA), Rete Varese Senza Frontiere e sindacato Adl di Varese, Tavola della Pace e Unione Popolare Val Brembana.

Mentre scriviamo è in crescita il numero di organismi, associazioni, organizzazioni operaie e popolari che stanno comunicando la loro adesione o partecipazione: A Foras, Madri Contro la Repressione e Comitato No Rwm dalla Sardegna; il Collettivo Autonomo Lavoratori Porto (Calp) da Genova; la Federazione Lombardia del Partito dei Carc.

Fra i relatori invitati ci sono i nomi di Manlio Dinucci, padre Alex Zanotelli, Antonio Mazzei, mons. Luigi Bettazzi, Alberto Negri e altri.

La costruzione dell’iniziativa ha le sue radici nel lavoro comune fra le diverse componenti del movimento contro la guerra, lavoro che vede confrontarsi organismi in lotta contro la presenza Nato in Italia, esponenti del pacifismo cattolico, soggetti democratici della società civile, parenti e amici di vittime dell’uranio impoverito, giornalisti attivi nella difesa della libertà di informazione e contro la censura, operai promotori di organizzazioni sul proprio posto di lavoro, compagni attivi nel movimento sindacale e comunista.

Riveste una particolare importanza la partecipazione di un organismo come il Calp di Genova, da anni in prima linea nella lotta contro l’invio di armi in teatri di guerra (prima Yemen, ora Ucraina) attraverso azioni di sciopero e boicottaggio del carico e scarico di armi.

Ampliare quanto più è possibile il fronte contro la guerra e la Nato è un obiettivo importante. Lo schieramento della classe operaia in esso è un elemento imprescindibile per costruire una partecipazione di massa a questa lotta.

Sardegna. NO alle servitù militari

Il caso della penisola Delta

https://www.carc.it/2023/01/29/sardegna-no-alle-servitu-militari/

Il 14 gennaio si è svolto, nella Mediateca del Mediterraneo di Cagliari, l’incontro “Tutela dell’ambiente o poligoni militari? Il caso della penisola Delta” promosso da Italia Nostra Sardegna, Cagliari Social Forum, Usb Sardegna e Cobas Cagliari-Comitati di Base della Scuola e Madri Contro la Repressione- Contro l’Operazione Lince.

La penisola Delta è dal 1952, all’interno del Poligono di Capo Teulada, il bersaglio di bombardamenti di ogni genere nell’ambito delle esercitazioni militari delle forze Nato e di altri paesi che affittano il poligono (in particolare Israele). La quantità di materiale esplosivo utilizzato è enorme e l’area non è mai stata bonificata. Una situazione questa che ha comportato la distruzione dell’habitat naturale e l’inquinamento a lungo termine dovuto ai residui dei bombardamenti. A ciò si aggiungono la pericolosità degli enormi quantitativi di ordigni inesplosi e l’elevata incidenza di malattie cardiovascolari e tumorali negli abitanti delle zone limitrofe, causate dai metalli pesanti dispersi nell’ambiente.

A seguito di un’indagine della procura di Cagliari del 2017 si è imposto lo stop alle esercitazioni, riconosciute come illegali, sono stati indagati per disastro ambientale i vertici militari del poligono e si è ordinata la bonifica del sito.

A seguito di ciò i vertici militari hanno finalmente presentato un progetto di bonifica. Nel corso dell’iniziativa del 14 gennaio il piano è stato esaminato e considerato lacunoso, vago, superficiale e del tutto inadeguato. Una delle criticità rilevate sta nel fatto che la bonifica dovrebbe essere effettuata per intero dagli artificieri dell’Esercito e non prevede in alcun modo la presenza di esperti ambientali e naturalistici civili. Inoltre, essa riguarderebbe solo gli inerti bellici e non il suolo, l’aria e le acque contaminati.

Ma non è tutto, oltre al danno c’è anche la beffa! Il fine dichiarato è quello di rimettere in sicurezza l’area, oggi interdetta al passaggio degli stessi militari per la sua pericolosità, non per restituirla alla collettività, ma per potere riprendere le esercitazioni “a norma di legge”!

“Le persone intervenute hanno sì espresso il desiderio di vedere l’area del poligono di Teulada finalmente ripulita da bombe e rifiuti radioattivi, ma solo a condizione che alle “bonifiche” segua un piano di ripristino della fauna e della flora del territorio e uno smantellamento della servitù militare. Il progetto non prevede niente di tutto questo: solo una presunta “bonifica” della penisola Delta per poter riprendere i bombardamenti. Inoltre, si ha l’impressione che si tratti di un contentino nei confronti della Procura di Cagliari che ha indagato i vertici militari per disastro ambientale. (…)

Tra gli interventi (…) pubblichiamo l’audio del commento di un attivista di Sardinia Aresti.

L’attivista ha ricordato la recente perquisizione subita da una giovane compagna del movimento contro le basi. L’indagine per un presunto danneggiamento, aggravata dalla pesantissima ipotesi di associazione sovversiva con finalità di terrorismo, oltre a imbrattamento e manifestazione non autorizzata – come emerso da vari comunicati e notizie stampa – è stata avviata dal pm Emanuele Secci della procura di Cagliari. Lo stesso Secci, che in passato ha richiesto (senza successo) l’archiviazione per il disastro ambientale del poligono di Teulada, ora vorrebbe procedere contro gli antimilitaristi: un po’ di vernice su un muro diventa un’azione terroristica, mentre distruggere delle aree naturali uniche al mondo con bombe e ordigni radioattivi per settant’anni, non aver mai effettuato vere e proprie bonifiche degli esplosivi e aver fatto ammalare le persone, che intorno al poligono vivono e lavorano, non sarebbe disastro ambientale.

(…) Non c’è alcun dubbio che si voglia cancellare ogni opposizione a un sistema economico e sociale che fomenta le guerre, distrugge l’ambiente, compromette la salute delle persone, crea disuguaglianze e alimenta lo scontro tra le classi più deboli. In questo quadro inquietante si muove l’informazione dei media mainstream, tutta (o quasi) allineata alle narrazioni fornite dalle procure che fanno delle/degli attiviste/i dei pericolosi sovversivi, se non proprio dei terroristi.

Per questo esprimiamo solidarietà alla compagna che qualche giorno fa ha subito una perquisizione nella sua casa, a tutte le persone denunciate, a tutte quelle persone che subiscono la repressione di uno Stato che ha a cuore solo gli interessi del complesso militare-industriale.” (brano tratto dal sito della Campagna Stop Rwm).

Genova. L’appello dei portuali a mobilitarsi contro la guerra

https://www.carc.it/2023/01/29/genova-lappello-dei-portuali-a-mobilitarsi-contro-la-guerra/

Il 28 gennaio, a Genova, si è svolta un’assemblea pubblica indetta dai lavoratori del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) finalizzata alla costruzione di una giornata di mobilitazione contro la guerra per il 25 febbraio. L’obiettivo è coinvolgere tutti i lavoratori, i cittadini, i sindacati, le organizzazioni, i collettivi, i centri sociali e le forze politiche nella costruzione di questa giornata.

L’attività dei portuali del Calp contro le guerre degli imperialisti e il traffico di armi nei porti italiani proseguono da anni. Alla denuncia della presenza di mezzi militari e armi, destinati a guerre come quella in Yemen in barba alla legislazione nazionale vigente in materia, uniscono da sempre scioperi e mobilitazioni per impedire il carico e scarico delle navi della morte. Una lotta in cui sono stati capaci di coinvolgere decine di organismi, associazioni di lavoratori, sindacati, partiti e perfino ambienti legati alla Chiesa!

Tutto questo è costato al Calp varie denunce, tra cui quella per “associazione a delinquere” (!) nel 2021, ma quando la classe dominante colpisce vuol dire che la via intrapresa è quella giusta! Le denunce non hanno fermato i compagni impegnati a costruire un coordinamento dei portuali a livello nazionale e internazionale, a tenere dibattiti nelle università, a sostenere le mobilitazioni contro la costruzione di nuove basi militari e contro i produttori di armi.

Con lo sviluppo del conflitto in Ucraina, in cui è coinvolto anche il nostro paese, i portuali del Calp hanno intensificato la loro attività relazionandosi con altre organizzazioni delle masse popolari. Da qui l’adesione al Convegno contro la guerra del 4-5 febbraio a Varese e la partecipazione a iniziative internazionali come la Conferenza Intersindacale contro la Guerra di Londra del 21 gennaio.

Nel loro appello alla mobilitazione per il 25 febbraio scrivono giustamente:

“In Italia il Governo Meloni continua la politica “filoatlantista” del Governo Draghi dimostrando che non esiste nessuna possibilità né volontà di disubbidire a una politica sanguinosa e fallimentare anche per lo stesso futuro della Ue.

I lavoratori e gli sfruttati di ogni paese non hanno nulla da guadagnare. La guerra non è soltanto un enorme macello per i popoli ma porta con sé anche devastazione sociale, tagli di risorse per il lavoro e per il welfare per sostenere le spese militari. Porta ad aumenti delle tariffe che si scaricano sulle popolazioni mentre le speculazioni sui prezzi fanno lievitare i profitti di pochi soggetti economici. Risorse pubbliche a favore della guerra tolte a quelle che sono le richieste dei lavoratori come il riconoscimento dei lavori usuranti o gli aumenti salariali in base anche all’aumento dell’inflazione. O come le risorse negate al “reddito di cittadinanza” e la “disoccupazione”. Soldi che vengono meno per la pubblica istruzione o la pubblica sanità. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri territori. Boicottando la guerra cominciando da casa nostra”.

Hanno ragione i portuali: la mobilitazione dal basso delle masse popolari può e deve fermare la guerra imperialista! E lo farà se i collettivi di lavoratori come il Calp assumeranno un ruolo sempre più di spinta per l’organizzazione del resto dei lavoratori e di coordinamento con altre esperienze a livello nazionale e non solo. La via maestra è rafforzare il legame con gli operai delle grandi fabbriche genovesi come la Fincantieri, l’Ansaldo o la Leonardo, con il Collettivo di Fabbrica Gkn, con il Movimento Disoccupati 7 Novembre di Napoli, e via dicendo.

Quanto più organismi come il Calp assumeranno questo ruolo, tanto più crescerà il coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari del paese. Questi sono i presupposti che daranno alla mobilitazione contro la guerra imperialista la base necessaria per svilupparsi e porre fine alla partecipazione dell’Italia ai conflitti in cui la classe dominante ci ha imbarcati.

Come P.CARC sosteniamo la manifestazione e la lotta dei compagni del Calp, invitando tutti i nostri lettori a fare altrettanto.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, Università degli Studi di L’Aquila

MOBILITAZIONE GENERALE PER L’AUMENTO DI SALARI, STIPENDI E PENSIONI

Se non ora quando?

di Teresa Noce

Gennaio 29, 2023

https://www.carc.it/2023/01/29/mobilitazione-generale-per-laumento-di-salari-stipendi-e-pensioni/

In Italia aumentano i poveri. Non parliamo di chi un lavoro non ce l’ha, ma di chi è povero perché lavora pochissimo e guadagna poco, di chi lavora tanto e guadagna poco, di chi lavora tantissimo – fino a spaccarsi la schiena – e riesce appena a mantenere la famiglia e, ancora, di chi deve sopravvivere con la pensione minima o il Reddito di Cittadinanza.

Vediamo alcuni dati.

– I salari sono bloccati da oltre 30 anni. Rispetto al 1990, l’Italia è l’unico paese Ue con salari addirittura in discesa (-2,9%) a fronte di incrementi corposi negli altri paesi (Francia + 31,1%; Germania + 33,7%; Grecia 30,5%; Spagna 6,2% – fonte Openpolis).

– La disoccupazione (non) diminuisce. Confrontando i dati di novembre 2021 con quelli dello stesso mese del 2022, il numero di occupati ha registrato una crescita di +1,2 punti percentuali. Ma c’è un trucco: risultano occupati anche i lavoratori a chiamata, quelli con contratto a tempo determinato, quelli che lavorano 3 ore al giorno, due giorni al mese, ecc. Insomma, non c’è nessuna relazione fra “l’essere occupati” e avere potere di acquisto.

– I prezzi sono aumentati. L’Istat comunica che l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è aumentato dell’11,3% da dicembre 2021 a dicembre 2022 (+15,5% da dicembre 2020 a dicembre 2022).

– La povertà cresce. Secondo i dati del Censis (2021) le persone che vivono “in povertà assoluta” sono 5,6 milioni. Gli individui a “rischio di povertà o di esclusione sociale” (bassa intensità di lavoro o in condizioni di grave deprivazione), sono il 25,4% della popolazione, 15 milioni di persone).

– Pensioni basse. L’Osservatorio Inps sulle pensioni afferma che 10,6 milioni di pensionati (il 59% del totale delle pensioni erogate) ricevono un importo inferiore a 750 euro al mese (dati 2021).

Questi dati descrivono la situazione di tanti, ma non di tutti. Infatti, la ricchezza nelle mani del 5% più ricco degli italiani, alla fine del 2021 ammontava al 41,7% della ricchezza nazionale netta, ben superiore rispetto a quella disponibile per l’80% della parte più povera della popolazione (che ammontava al 31,4% della ricchezza nazionale netta) – dati Oxfam.

È una situazione che non riguarda solo il nostro paese. Nelle scorse settimane in molti paesi europei i lavoratori hanno scioperato, sono stati protagonisti di vaste mobilitazioni in cui la rivendicazione principale era l’aumento dei salari, che in qualche caso è stato ottenuto. L’immobilismo dei vertici delle organizzazioni sindacali italiane è una delle principali differenze fra il nostro paese e il resto dei paesi europei.

Fior di economisti, analisti, opinionisti e dirigenti sindacali (tutta gente che parla con il conforto di stipendi alti, se non altissimi) spiegano che “non sarebbe saggio” alzare i salari, gli stipendi e le pensioni perché sarebbe un incentivo per l’inflazione: i prezzi già fuori controllo salirebbero ancora, in una spirale senza fine. Chiaro no? Anni di studi e di onorata carriera per concludere che chi è povero deve diventare più povero e chi non ha ancora superato la soglia di povertà assoluta deve rassegnarsi a farlo. Anche se lavora.

In effetti, chi cerca la soluzione alla spirale dell’inflazione nell’economia capitalista è destinato a rimanere a bocca asciutta!

Premesso che Giorgia Meloni e il suo governo (ma il discorso vale per tutti i partiti delle Larghe Intese) non ci pensano nemmeno lontanamente ad adottare spontaneamente misure efficaci per alleviare gli effetti dell’inflazione (lo faranno solo se costretti dalla mobilitazione), il problema è che ogni misura che elude la vera causa dell’inflazione è destinata a fallire. Perché i motivi dell’inflazione non sono la penuria di una merce, la difficoltà nel reperirla, la difficoltà nel distribuirla e neppure le “congiunture del mercato”: la causa principale dell’inflazione è la speculazione finanziaria, il gioco d’azzardo legalizzato e tutelato da governi e istituzioni sovranazionali (dal Fmi alla Bce).

Prendiamo il gas. L’aumento sconsiderato dei mesi scorsi ha poco o nulla a che vedere con il prezzo del gas “a monte” e, per tutto un periodo, ha avuto poco o nulla a che vedere con le sanzioni alla Federazione Russa. L’aumento del prezzo era iniziato già prima dell’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina. È schizzato con le sanzioni, ma il meccanismo perverso affonda le radici nella speculazione sulle quotazioni nella principale Borsa europea che lo tratta, quella di Amsterdam. È lì che “avvengono le scommesse”.

Prendiamo il petrolio. L’aumento sconsiderato dei prezzi del carburante ha poco o nulla a che vedere con il prezzo “a monte” del petrolio. Tanto che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti si permette anche di scegliere chi può venderlo e chi no: per piegare il governo Maduro, per anni al Venezuela è stata pressoché preclusa l’esportazione di greggio. In Italia, poi, sul prezzo del carburante gravano le accise che superano di gran lunga i costi di produzione, distribuzione e commercializzazione.

Nel nostro paese, le principali aziende operanti nel campo dell’energia (Eni, Enel, Snam, ecc.) sono, almeno in parte, ancora di proprietà statale: il governo può non solo tassare i loro extraprofitti, ma anche fissare i prezzi che fanno!

L’aumento del costo dell’energia concorre alla crescita dei prezzi di ogni altra merce. Inoltre, i tentacoli della speculazione finanziaria soffocano “l’economia reale” in ogni settore: nel comparto alimentare, nel mercato immobiliare, nei servizi, nella sanità, nella scuola, ecc.

Veniamo ora al motivo per cui in Italia le organizzazioni sindacali, in particolare i sindacati di regime, fanno letteralmente carte false per eludere la necessità di una grande mobilitazione contro il carovita e per l’aumento di salari, stipendi e pensioni. Una mobilitazione di questo genere, che nasce da rivendicazioni basilari (avere di che vivere dignitosamente), comporta che la soluzione sia – e può essere solo – di tipo politico: serve un governo che abbia il coraggio e la volontà di rompere con il sistema politico della classe dominante e con le catene della speculazione internazionale. Ecco perché i vertici della Cgil ruggiscono come agnellini!

Ruggiscono “parole di fuoco” contro il governo e gli speculatori nel tentativo di non perdere ulteriori adesioni. Nel frattempo – invischiati come sono nel sistema attraverso mille vincoli (i fondi pensione, la sanità integrativa privata, la trasformazione delle sedi sindacali in Caf finanziati dallo Stato e centri servizi, ecc.) – si prostrano alla classe dominante; sono mansueti e accondiscendenti. Come agnellini.

I vertici dei sindacati di regime stanno raccogliendo quanto hanno seminato per decenni con la linea della concertazione e la completa sottomissione agli interessi dei padroni e dei governi delle Larghe Intese. L’ultima lotta di un certo rilievo è stata quella della Fiom (incalzata dai sindacati di base) contro il Piano Marchionne, nel 2010. La riforma Fornero (governo Monti) e il Jobs Act (governo Renzi) sono passati senza alcuna protesta.

Una mobilitazione generale per l’aumento dei salari, degli stipendi e delle pensioni

TUTTE le scuse che i dirigenti dei sindacati di regime e della sinistra borghese accampano per eludere la necessità di una vasta mobilitazione operaia e popolare per l’aumento di salari, stipendi e pensioni hanno una motivazione politica. Temono che essa sfugga loro di mano, si trasformi in una mobilitazione che rovescia il sistema di potere in cui sono invischiati.

Inevitabilmente, tuttavia, la mobilitazione per l’aumento di salari, stipendi e pensioni prenderà piede anche nel nostro paese. Che ciò succeda in tempi brevi e raggiunga obiettivi concreti dipende sia dalla spinta degli iscritti sui sindacati confederali che dalla pressione derivante da due fattori esterni:

– la mobilitazione unitaria dei sindacati di base;

– l’iniziativa comune e coordinata degli organismi operai e popolari (nel solco, ad esempio, della lotta degli operai della ex Gkn, benché il discorso sia più ampio).

La combinazione di questi due fattori, nel dicembre scorso, ha già costretto i vertici di Cgil e Uil a indire uno sciopero generale contro la legge di bilancio. I sindacati di base hanno contribuito con lo sciopero unitario del 2 dicembre e la mobilitazione nazionale del 3; gli operai ex Gkn con il referendum popolare sulla reindustrializzazione dello stabilimento (vedi il numero 1/2023 di Resistenza).

Allo stesso modo possono costringere ancora i vertici dei sindacati di regime a fare ciò che spontaneamente non vogliono fare: promuovere la mobilitazione generale contro il carovita, per l’aumento dei salari, degli stipendi e delle pensioni.

Sarà una mobilitazione vasta? Ancora una volta non bisogna lasciare la scelta a chi ruggisce come un agnellino!

I sindacati di base, i partiti e le organizzazioni comuniste, i movimenti e gli organismi operai e popolari sono chiamati ad assumersi la responsabilità di promuoverla e organizzarla.

Serve una mobilitazione che ottenga risultati e i risultati si ottengono se si “mettono alle strette” il governo e la classe dominante.

Serve una mobilitazione che ottenga risultati immediati e getti le basi per difendere e sviluppare quello che si riesce a conquistare.

È una mobilitazione per il soddisfacimento di una rivendicazione basilare (avere di che vivere dignitosamente), ma che per ottenere risultati duraturi e su ampia scala deve diventare lotta per scalzare dal governo i promotori della speculazione e imporre al loro posto persone che godono della fiducia degli organismi operai e popolari.

Giorgia Meloni dice che i posti di lavoro non si creano per decreto. Sta mentendo!
Un governo che non rende conto del suo operato alle banche, ai fondi di investimento e alle multinazionali, ma alle masse popolari può fare leggi per difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi e mettere un argine alla povertà dilagante. Il Governo di Blocco Popolare può:
“- vietare la vendita di aziende ai gruppi industriali esteri che per loro natura sfuggono all’autorità dello Stato italiano e ai fondi di investimento che usano le aziende come carte nel gioco d’azzardo della speculazione finanziaria; impedire lo smembramento delle aziende, la riduzione del personale, la loro chiusura e delocalizzazione e imporre a ogni azienda che opera in territorio italiano di sottoporre a un vero Ministero dello Sviluppo Economico i propri piani industriali per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione e dell’impatto ambientale;
– porre fine alle grandi opere speculative, inutili e dannose (Tav, Ponte sullo Stretto di Messina, Mose, ecc.) e promuovere invece la creazione di nuove aziende (cooperative, pubbliche, private) dedite alle tante “piccole opere” già oggi assolutamente necessarie e che assorbiranno i disoccupati autoctoni e immigrati nel riassesto del territorio, nel miglioramento idrogeologico, nella produzione e utilizzazione di energie rinnovabili, nel miglioramento dei servizi pubblici, nel miglioramento della sicurezza generale, nell’educazione dei bambini, nella manutenzione e gestione del patrimonio edilizio e artistico, nel risanamento urbano, nei servizi alle persone disabili, anziane e non autosufficienti, nel riassetto forestale e agricolo, in attività sportive, nel turismo, nella prevenzione e repressione di azioni di sabotaggio e di aggressione, nel controllo sugli elementi ostili, ecc.;
– sospendere il pagamento dei mutui bancari, degli affitti alle immobiliari e a tutti i grandi proprietari di immobili, rendere gratuiti i servizi (trasporti, assistenza sanitaria, telefoni, energie, attrezzature ricreative, di riposo, turistiche e sportive, ecc.), sottoporre tutte le agenzie bancarie a controllo pubblico e far dare dalle banche a ogni lavoratore e famiglia carte di credito con cui ognuno può acquistare nella rete delle aziende di distribuzione beni di consumo personale e familiare fino ad un certo ammontare mensile” – dalla Dichiarazione Generale del VI Congresso Nazionale del P.CARC.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila

DELOCALIZZAZIONI E REDDITO DI CITTADINANZA

https://www.carc.it/2022/12/28/delocalizzazioni-e-reddito-di-cittadinanza/

di Teresa Noce – Dicembre 28, 2022

La posta in gioco è un lavoro utile e dignitoso per tutti

Per ragioni di spazio, in questo articolo tralasciamo volutamente analisi e riflessioni sull’utilizzo ricattatorio che le autorità e i padroni hanno fatto e fanno del Reddito di Cittadinanza (RdC).

Ricordiamo solo un episodio per chiarire il concetto: nell’ottobre 2020, a Torino furono arrestati dei ragazzi durante una manifestazione contro la criminale gestione della pandemia da parte del governo (all’epoca era il Conte 2), alle famiglie degli arrestati minorenni il tribunale affibbiò la revoca del RdC come pena “per non aver saputo educare i figli”.

Per le stesse ragioni di spazio, tralasciamo anche la ricostruzione delle manovre che le istituzioni hanno promosso per rendere il RdC completamente inefficace ad assolvere il compito di avviare al lavoro i percettori: pubblicammo sul numero 3/2022 di Resistenza l’intervista a un navigator che chiarisce, perfettamente, il boicottaggio del RdC da parte di quelle stesse istituzioni che avrebbero dovuto garantirne il funzionamento e a quella rimandiamo. Ci concentriamo, invece, su tre questioni che conducono tutte alla seguente conclusione: la mobilitazione contro l’abolizione del RdC può svilupparsi efficacemente solo se diventa parte della mobilitazione più generale contro il governo Meloni, contro il sistema politico delle Larghe Intese e per la costituzione di un governo di emergenza popolare. E del resto, nessun organismo, partito e movimento che aspira alla trasformazione del paese può prescindere dalla lotta contro l’abolizione del RdC e per la creazione di posti di lavoro utili (che servono alla società) e dignitosi (per paga, condizioni di lavoro e diritti).

Il cortocircuito del RdC

Il RdC, con tutti i limiti della sua gestione e applicazione, è l’unica misura economica a favore delle masse popolari povere che un governo italiano abbia varato negli ultimi 40 anni! Per la classe dominante – Confindustria e associati in testa – è stato un boccone indigesto. Non solo perché il RdC ha posto un limite alla concorrenza al ribasso fra disoccupati e alla costante precarizzazione del lavoro, ma anche perché ha mandato in cortocircuito la pluridecennale propaganda di regime: con la sua introduzione ha reso evidente che il leitmotiv “non ci sono i soldi” per misure a sostegno delle masse popolari è una spudorata menzogna. I soldi ci sono eccome! Li ha trovati, all’epoca, il governo Conte 1, motivo per cui è diventato per il padronato italiano il nemico da abbattere.

Oggi che il governo Meloni manovra per abolire il RdC, ecco un altro cortocircuito nella propaganda di regime: i soldi “risparmiati” saranno forse dirottati per politiche attive per il lavoro? No. Per la scuola pubblica? No. Per la manutenzione e messa in sicurezza dei territori? Macché! Saranno “dispersi” fra le coperture per i condoni fiscali, la flat tax, l’aumento delle spese militari e l’invio di armi all’Ucraina, il finanziamento alle scuole paritarie (cattoliche), ecc.

È finita la pacchia” cit. Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri

L’abolizione del RdC non è l’unico servigio che il governo Meloni offre a Confindustria e associati: di simili regalie è piena la legge di bilancio. Ma è quello su cui la propaganda di regime batte maggiormente: “è finita la pacchia”, “torna di moda la voglia di lavorare”…

Quanto più si fa concreta la necessità di nascondere le reali conseguenze dell’abolizione del RdC, tanto più si alza il volume su queste e altre idiozie. Eliminare quello che per molte famiglie è l’unico limite alla miseria significa dare la stura all’aumento della precarietà e dei ricatti, alla guerra al ribasso fra occupati e disoccupati. E questo non solo a danno di quelli che un lavoro non ce l’hanno, ma anche di chi, per mantenerselo il lavoro, sarà costretto a prostrarsi al padrone più di quanto non sia già obbligato a fare.

I fatti hanno la testa dura

Partiamo dal presupposto che chi legge ha già sufficientemente chiaro che l’abolizione del RdC non comporta nessuna boccata d’ossigeno per i conti dello Stato, mentre, al contrario, produce un aumento dei ricatti, della precarietà e dei disoccupati (che adesso il governo chiama “occupabili”). Chi era senza lavoro, senza lavoro rimarrà. E non certo per sua volontà, perché preferisce cullarsi negli agi a cui danno accesso i 500 euro al mese del RdC…

Il fatto è che il governo che toglie il sussidio ai disoccupati non fa niente per difendere i posti di lavoro esistenti e per crearne di nuovi!

Ecco, appunto: il governo che toglie il sussidio ai disoccupati non fa niente per difendere i posti di lavoro esistenti e per crearne di nuovi.

Soffermiamoci su questo.

Giorgia Meloni dice che il lavoro non si crea per decreto. Mente, sapendo di mentire!

Le leggi sono solo uno dei tanti modi (certamente il più efficace) per difendere i posti di lavoro e crearne di nuovi, per migliorare le condizioni di lavoro, la sicurezza, la salubrità, per eliminare la precarietà e i ricatti. Dipende tutto dalla volontà politica.

A inizio dicembre, il governo ha avviato le procedure per espropriare e porre sotto controllo pubblico la Lukoil, azienda petrolchimica di proprietà russa, a Priolo. Non solo per difendere le migliaia di posti di lavoro, ma per aggirare le sanzioni alla Federazione Russa che rischiano di incidere sull’approvvigionamento di petrolio e derivati (dalla raffineria passa il 20% del fabbisogno nazionale). Capito? Se in ballo ci sono gli interessi dei capitalisti, il governo non ci pensa due volte a espropriare e nazionalizzare!

In passato, anche altri governi della stessa pasta di quello di Giorgia Meloni, governi delle Larghe Intese, non ci hanno pensato due volte a salvare le banche (vedi fra tutte il Monte dei Paschi). Anche in questo caso, poiché c’era la volontà politica, hanno recuperato, in men che non si dica, i miliardi necessari per mettere al riparo le banche e i loro “grandi investitori”. Al contrario, non hanno mosso un dito per salvaguardare le aziende in crisi. Hanno tutelato i conti correnti degli speculatori della finanza anziché i posti di lavoro degli operai.

Del resto, il governo Draghi ha approvato la legge Giorgetti/Orlando chiamata “anti delocalizzazioni”. A dispetto del nome, essa è un regalo ai padroni che delocalizzano (al punto che persino il presidente leghista del Friuli Venezia Giulia, Fedriga, lo scorso settembre, vi si è opposto per bloccare il tentativo di delocalizzazione della Wartsila di Trieste). E sempre Draghi ha lasciato nel cassetto il disegno di legge anti delocalizzazioni scritto e presentato dagli operai della ex Gkn di Firenze nel novembre 2021.

Tiriamo una conclusione

Il governo Meloni inizia lo smantellamento del RdC, ma lo dilaziona: ad agosto 2023 l’erogazione viene sospesa agli “occupabili”, dal 2024 a tutti.

La dilazione è indice delle remore del governo a sfidare le mobilitazioni di piazza: un taglio netto provocherebbe una sollevazione. Ma la dilazione è anche la condizione in cui la mobilitazione – che è già iniziata (vedi articolo a pag. 5) – può crescere, svilupparsi e legarsi saldamente a quelle promosse da altri settori delle masse popolari.

Nonostante il fatto che le organizzazioni sindacali – sia quelle di regime che di base – per il momento non hanno promosso alcuna mobilitazione contro l’abolizione del RdC, il naturale alleato dei percettori del RdC è la classe operaia. E, viceversa, il naturale alleato della classe operaia, tanto nelle mobilitazioni contro le delocalizzazioni (Gkn, Wartsila, Whlirlpool, ecc.) quanto nelle mobilitazioni contro le chiusure “per sopraggiunta crisi” (Sanac, Ansaldo energia di Genova, ecc.), sono i percettori del RdC organizzati e in mobilitazione.

Il perimetro di questa lotta comune non è solo la difesa di un sussidio che oggi è il principale argine alla precarietà e ai ricatti, alla guerra fra poveri; questa lotta va oltre, intacca direttamente gli scranni del governo delle Larghe Intese perché a questo paese, ai lavoratori e alle masse popolari tutte, SERVE un governo che difende i posti di lavoro esistenti e ne crea di nuovi, per legge, per decreto, come priorità!

Un governo simile può essere solo un governo di emergenza delle masse popolari organizzate, sostenuto e orientato esattamente da quegli organismi operai e popolari che oggi sono alla testa della mobilitazione contro le misure del governo Meloni e contro gli effetti della crisi.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila