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RESISTENZA N°5/2024 PARTITO DEI CARC, COMITATI DI APPOGGIO PER LA RESISTENZA DEL COMUNISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/organizzarsi-e-insorgere-contro-la-barbarie/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Viviamo in una situazione di straordinaria gravità e illudersi che si possa in qualche modo “tornare alla normalità” è sbagliato e apre le porte alla sicura disfatta del proletariato. Solo la classe dominante trae vantaggio da queste illusioni. È per questo che – con manovre per intossicare le coscienze, manipolare l’opinione pubblica e nascondere la realtà – investe tanto nell’assuefazione delle masse popolari alla barbarie di cui essa stessa è promotrice.
In Palestina è in corso un genocidio che si svolge sotto gli occhi delle “istituzioni democratiche” del mondo, dei governi, del Papa e del Vaticano, dell’Onu. Ma il massimo che ognuno di essi riesce a esprimere è costernazione e preoccupazione, ma senza nessuna azione concreta per porvi fine.
La barbarie è plateale e nessuno di coloro che avrebbe il ruolo e gli strumenti per porvi fine fa niente.
Anche i nazisti si fecero più scrupoli a condurre lo sterminio degli ebrei di quanto i sionisti se ne fanno oggi a sterminare il popolo palestinese.
I nazisti hanno costruito il grosso dei loro campi di concentramento lontano agli occhi dell’opinione pubblica, al punto che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, prendere atto della sistematica eliminazione di ebrei, comunisti, popolazioni rom, omosessuali e malati psichiatrici fu uno shock per l’opinione pubblica mondiale.
I sionisti no. Ostentano quello che stanno facendo, lo gridano al mondo e lo rivendicano. I soldati sionisti si mettono in posa e scattano foto mentre compiono massacri, i coloni sorridono fieri mentre chiudono con il cemento gli accessi all’acqua potabile dei villaggi palestinesi e attaccano i campi profughi.
La barbarie in diretta Tv serve a terrorizzare le masse popolari di tutto il mondo. E serve a infondere in loro impotenza e rassegnazione.

La normalizzazione della guerra è in pieno corso. Quando il governo Meloni dispone l’organizzazione delle “gite didattiche” nelle basi militari in cui sono stoccate – illegalmente – le bombe atomiche degli Usa (come è successo a Brescia, con gli studenti in visita alla base di Ghedi) o nelle caserme dell’esercito, quanto caldeggia stage di formazione in cui gli studenti imbracciano fucili oppure introduce nel programma scolastico la ginnastica militare, allora la fase in cui il governo dei padroni usa la scuola per formare gli operai da sfruttare si combina con la fase in cui il governo servo della Nato usa la scuola per arruolare carne da macello e da cannone.
E del resto, i giovani delle masse popolari questo devono essere: carne da cannone al fronte oppure carne da macello in un cantiere, in un capannone, in un magazzino o nel reparto di una fabbrica.
Ogni giorno, nella Repubblica Pontificia italiana, muoiono tre, quattro o cinque persone sul posto di lavoro. Ogni giorno fioccano articoli di giornale e moniti affinché “non succeda mai più”. Invece succede ogni giorno. Anzi, aumentano le vere e proprie stragi in cui i morti sono quattro, cinque o sei alla alla volta. Dalla Thyssen Krupp di Torino alla stazione di Viareggio, da Brandizzo a Suviana passando dal cantiere Esselunga di Firenze. Ma per le autorità e istituzioni sono solo “tragiche fatalità”.
Anche i sindacati di regime concorrono alla recita e, anzi, svolgono un ruolo di primo piano nel distogliere le masse popolari dalla lotta di classe: mazzi di fiori al posto di ore e giornate di sciopero e fiacchi presidi sotto le prefetture anziché picchetti, blocchi stradali e delle merci. Tentano di giustificarsi in qualche modo: si possono, forse, organizzare e mobilitare i lavoratori ogni volta che uno di loro muore per il profitto dei padroni, per la mancanza di controlli, per la corruzione, per il sistema degli appalti e dei subappalti? Significherebbe paralizzare le aziende e il paese…
La conclusione che tirano è, dunque, che i morti sul lavoro sono talmente tanti che bisogna imparare a conviverci.
Quando nel 2020 il mondo dei padroni è andato in panne per la pandemia, anche in Italia la propaganda di regime ha messo in piedi il suo teatrino al motto di “andrà tutto bene” e apologia della “resilienza”. Che non è andato tutto bene è evidente come anche il fatto che gli elogi alla resilienza erano solo un martellante invito ad adattarsi al mondo di merda che sarebbe venuto “dopo i lockdown” anziché a organizzarsi e mobilitarsi.

Viviamo in una situazione rivoluzionaria e rassegnarsi all’idea che la classe dominante possa in qualche modo mantenere il controllo della società e l’ordine costituito è sbagliato. Questa convinzione – campata per aria e ampiamente smentita dai fatti – ostacola lo sviluppo della lotta di classe e la convergenza delle numerose proteste, del malcontento e delle mobilitazioni nello sbocco politico che è possibile e necessario.
C’è un nesso fra l’opera di assuefazione alla barbarie che la classe dominante promuove verso le masse popolari e le resistenze del movimento comunista cosciente e organizzato ad assumere coscientemente e chiaramente l’obiettivo di imporre un governo di emergenza popolare come sbocco politico per le mobilitazioni delle masse popolari. È l’assuefazione alla sconfitta che il movimento comunista eredita dalla sinistra borghese.
Per decenni, a colpi di “meno peggio” e illusioni di riformare il capitalismo, la sinistra borghese ha sistematicamente minato la fiducia nel fatto che è possibile vincere.
Tuttavia, in tutto il mondo la classe dominante è seduta su un barile di polvere nera. E anche in Italia i vertici della Repubblica Pontificia e il governo Meloni sono seduti su un barile di polvere nera.
Il movimento comunista italiano e i promotori delle mobilitazioni e delle proteste delle masse popolari hanno davanti due strade.

“La prima è quella di lottare, anche tenacemente, contro il governo Meloni, alimentando l’ingovernabilità del paese nelle aziende, nelle scuole e università, ritorcendo contro il governo Meloni ogni tentativo autoritario di colpire con la repressione le masse popolari in lotta, animando campagne di mobilitazione e organizzazione città per città, quartiere per quartiere, per far fronte ai problemi che attanagliano le masse popolari fino a cacciare questo governo e lo stuolo di scimmiottatori del fascismo riciclati che lo compongono.
Questa strada è giusta e necessaria per assestare un duro colpo ai vertici della Repubblica Pontificia che ripongono fiducia nel governo Meloni affinché prosegua più speditamente l’attuazione dell’agenda Draghi. Ma questa strada è monca, non indica dove andare, a cosa miriamo in prospettiva.
Cacciare il governo Meloni senza porsi il problema di quale alternativa di governo costituire, vuol dire consegnare il paese nuovamente nelle mani del polo Pd delle Larghe Intese o di qualche governo tecnico e di funzionari scelti dai vertici della Repubblica Pontificia.

La seconda è quella di cacciare il governo Meloni e costituire un governo d’emergenza popolare: un governo sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari, già presenti in gran numero in tutto il nostro paese, un governo deciso ad attuare tutte quelle misure che nessun governo espressione dei partiti delle Larghe Intese attua, come la messa in sicurezza del territorio attraverso le centinaia di piccole opere necessarie a impedire le stragi dovute agli eventi climatici estremi; la messa in sicurezza delle aziende per far fronte agli omicidi padronali nei luoghi di lavoro; il blocco dell’esportazione di armamenti; l’interruzione per decreto di tutti gli accordi pubblici e segreti di cooperazione militare, industriale, scientifica e accademica che i governi delle Larghe Intese hanno stipulato nel corso degli anni con aziende, agenzie e istituti dello Stato sionista d’Israele” – da Saluto del (n)Pci all’Assemblea Nazionale “Mobilitiamoci contro il governo Meloni” promossa da Potere al Popolo! – 17 aprile 2024.

Entrambe le strade sono concrete. Ma solo la seconda dà sbocco politico alle principali rivendicazioni delle masse popolari, alimenta il protagonismo degli organismi operai e popolari e la mobilitazione rivoluzionaria. Soltanto la seconda permette di combinare il fatto che viviamo in una situazione di straordinaria gravità con il fatto che viviamo in una situazione rivoluzionaria.

Fonte: Partito dei CARC

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RESISTANCE N°5/2024 CARC PARTY, SUPPORT COMMITTEES FOR THE RESISTANCE OF COMMUNISM

We live in a situation of extraordinary gravity and to delude ourselves that we can somehow “return to normality” is wrong and opens the door to the certain defeat of the proletariat. Only the ruling class benefits from these illusions. This is why – with maneuvers to intoxicate consciences, manipulate public opinion and hide reality – it invests so much in the habituation of the popular masses to the barbarism of which it itself promotes.
A genocide is underway in Palestine which is taking place under the eyes of the “democratic institutions” of the world, governments, the Pope and the Vatican, the UN. But the most any of them can express is dismay and concern, but without any concrete action to put an end to it.
The barbarism is blatant and none of those who have the role and the tools to put an end to it do anything.
Even the Nazis had more scruples about carrying out the extermination of the Jews than the Zionists do today about exterminating the Palestinian people.
The Nazis built the bulk of their concentration camps far from the eyes of public opinion, to the point that, after the end of the Second World War, taking note of the systematic elimination of Jews, communists, Roma populations, homosexuals and psychiatric patients was one shock to world public opinion.
The Zionists do not. They flaunt what they are doing, shout it out to the world and claim it. Zionist soldiers pose and take photos while carrying out massacres, settlers smile proudly as they block access to drinking water in Palestinian villages with concrete and attack refugee camps.
Barbarism on live TV serves to terrorize the popular masses all over the world. And it serves to instill helplessness and resignation in them.

The normalization of war is in full swing. When the Meloni government orders the organization of “educational trips” to the military bases where the US atomic bombs are stored – illegally (as happened in Brescia, with students visiting the Ghedi base) or to the military barracks army, when it advocates training courses in which students take up rifles or introduces military gymnastics into the school curriculum, then the phase in which the bosses’ government uses the school to train workers to be exploited combines with the phase in which the government serves of NATO uses the school to recruit cannon fodder and cannon fodder.
And after all, the young people of the popular masses must be this: cannon fodder at the front or cannon fodder on a construction site, in a shed, in a warehouse or in the department of a factory.
Every day, in the Italian Papal Republic, three, four or five people die at work. Every day newspaper articles and warnings pour in so that “it never happens again”. Instead it happens every day. Indeed, actual massacres in which four, five or six people die at a time are increasing. From Thyssen Krupp in Turin to Viareggio station, from Brandizzo to Suviana passing through the Esselunga shipyard in Florence. But for the authorities and institutions they are just “tragic fatalities”.
Even the regime’s trade unions participate in the play and, indeed, play a leading role in distracting the popular masses from the class struggle: bouquets of flowers instead of hours and days of strike and weak garrisons under the prefectures instead of pickets and road blocks and goods. They try to justify themselves in some way: can we perhaps organize and mobilize workers every time one of them dies for the bosses’ profit, for the lack of controls, for corruption, for the procurement and subcontracting system? It would mean paralyzing companies and the country…
The conclusion they draw is, therefore, that there are so many deaths at work that we have to learn to live with it.
When the world of the bosses collapsed due to the pandemic in 2020, even in Italy the regime’s propaganda set up its little theater with the motto “everything will be fine” and apologia of “resilience”. That everything didn’t go well is evident as is the fact that the praise for resilience was just a hammering invitation to adapt to the shitty world that would come “after the lockdowns” rather than to organize and mobilize.

We live in a revolutionary situation and resigning ourselves to the idea that the ruling class can somehow maintain control of society and the established order is wrong. This belief – unrealized and widely denied by the facts – hinders the development of the class struggle and the convergence of the numerous protests, discontent and mobilizations into the political outlet that is possible and necessary.
There is a connection between the work of indulging in barbarism that the ruling class promotes towards the popular masses and the resistance of the conscious and organized communist movement to consciously and clearly assume the objective of imposing a popular emergency government as a political outlet for the mobilizations of the popular masses. It is the habit of defeat that the communist movement inherits from the bourgeois left.
For decades, with blows of “less worse” and illusions of reforming capitalism, the bourgeois left has systematically undermined confidence in the fact that it is possible to win.
However, all over the world the ruling class is sitting on a barrel of black powder. And even in Italy the leaders of the Papal Republic and the Meloni government are sitting on a barrel of black powder.
The Italian communist movement and the promoters of the mobilizations and protests of the popular masses have two paths ahead of them.

“The first is to fight, even tenaciously, against the Meloni government, fueling the ungovernability of the country in companies, schools and universities, turning against the Meloni government any authoritarian attempt to attack the struggling popular masses with repression, animating mobilization and organization campaigns city by city, neighborhood by neighborhood, to deal with the problems that grip the popular masses to the point of expelling this government and the crowd of recycled fascist apes that compose it.
This path is right and necessary to deal a severe blow to the leaders of the Papal Republic who place their trust in the Meloni government to continue the implementation of the Draghi agenda more quickly. But this road is incomplete, it does not indicate where to go, what we are aiming for in perspective.
Ousting the Meloni government without posing the problem of which government alternative to establish means handing the country back into the hands of the Pd pole of the Broad Agreements or of some technical government and officials chosen by the leaders of the Papal Republic.

The second is to oust the Meloni government and set up a popular emergency government: a government supported by workers’ and popular organisations, already present in large numbers throughout our country, a government determined to implement all those measures that no government expresses of the parties of the Broad Understandings implements, such as securing the territory through the hundreds of small works necessary to prevent massacres due to extreme climatic events; the safety of companies to deal with employer murders in the workplace; the blocking of arms exports; the interruption by decree of all public and secret military, industrial, scientific and academic cooperation agreements that the governments of the Broad Ententes have stipulated over the years with companies, agencies and institutes of the Zionist State of Israel” – from Greetings of the (n)PCI at the National Assembly “Let’s mobilize against the Meloni government” promoted by Potere al Popolo! – April 17, 2024.

Both paths are concrete. But only the second gives a political outlet to the main demands of the popular masses, fuels the protagonism of workers’ and popular organizations and revolutionary mobilization. Only the second allows us to combine the fact that we live in a situation of extraordinary gravity with the fact that we live in a revolutionary situation.

Source: Italian CARC Party

PER UN GOVERNO DI EMERGENZA POPOLARE. PER UNA NUOVA LIBERAZIONE NAZIONALE

https://www.carc.it/2024/04/29/per-un-governo-di-emergenza-popolare-per-una-nuova-liberazione-nazionale/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

L’Italia è a pieno titolo un paese imperialista, un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Questo è ben evidente dal ruolo politico, economico e commerciale che riveste nelle relazioni internazionali e dalla compenetrazione fra interessi nazionali e sovranazionali.
Ma l’Italia è anche un protettorato degli Usa – non una colonia: ha una sua autonomia e indipendenza, ma non può entrare in contrasto con i loro interessi – oltre che un ingranaggio della Ue dominata dai gruppi imperialisti franco-tedeschi.
L’aggravarsi della crisi generale alimenta le contraddizioni fra gli interessi dei gruppi imperialisti Usa e quelli dei gruppi imperialisti Ue – le conseguenze delle sanzioni contro la Federazione Russa ne sono un esempio – e l’Italia è lacerata, storicamente e in modo via via più profondo, da questa contraddizione.
Infine, l’Italia è la sede del Vaticano, il più antico e longevo centro di potere del mondo: affonda le sue radici nella società medievale ed è sopravvissuto alla rivoluzione borghese grazie al fatto di essere riuscito a ostacolare la nuova classe dirigente della società, la borghesia appunto, nella sua ascesa al potere proprio in Italia, dove l’ha costretta a scendere a patti nel corso di quel processo passato alla storia come “la rivoluzione borghese incompiuta”.
Alla vittoria della Resistenza sul nazifascismo, mezza Italia era “occupata dai partigiani in armi”, il Pci era riconosciuto – tanto dalla classe operaia del Nord quanto da parti crescenti dei contadini del Sud – come il principale dirigente della vittoriosa guerra di Liberazione.
Gli imperialisti Usa – che occupavano l’altra metà del paese – hanno affidato al Vaticano il compito di raccogliere i rimasugli delle classi dominanti, combinarli con le organizzazioni criminali (come la Mafia) e dare le gambe al nuovo sistema di potere che ha sostituito il fascismo, ma che allo stesso modo del fascismo, doveva arginare il “pericolo comunista”. L’operazione è riuscita SOLO grazie agli errori e ai limiti del Pci di Togliatti che non volle usare la forza e il prestigio conquistati per fare avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Il sistema di potere istituito in Italia – che ancora oggi costituisce un unicum nei paesi imperialisti – si chiama Repubblica Pontificia.

Come un paese occupato

Da questa particolare struttura di potere, che nel corso del tempo si è consolidata nell’intricata matassa di interessi fra gruppi imperialisti Usa, sionisti, gruppi imperialisti Ue, gruppi capitalisti italiani, organizzazioni criminali e Vaticano, derivano particolari e specifiche conseguenze.
La principale è che, a differenza delle classi dominanti di Germania e Francia, ad esempio, le classi dominanti italiane governano e operano come forze occupanti, cioè piegano il paese a ogni tipo di traffico e speculazione che consente immediati profitti, incuranti delle conseguenze a breve, medio e lungo termine. Ci sono molti esempi di ciò.
Si veda il progressivo smantellamento dell’industria siderurgica, chimica-farmaceutica, dell’automotive e anche le misure per accrescere la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi.
Si veda il più generale smantellamento dell’intero apparato produttivo di cui la cessione di marchi italiani – alcuni definiti “strategici” – è solo una manifestazione che va di pari passo con la distruzione di migliaia di posti di lavoro.
Si veda la distruzione del settore agroalimentare a opera della filiera delle multinazionali della grande distribuzione.
E poi ci sono gli effetti delle privatizzazioni a devastare “i servizi pubblici”: dalla sanità alla scuola, alle pensioni, ai trasporti, alle comunicazioni, alle poste. Un fenomeno tutt’altro che distintivo della Repubblica Pontificia italiana, ma che in Italia ha alcune particolarità: il Vaticano e le organizzazioni criminali pretendono “per diritto naturale” – e in genere hanno ottenuto – una grossa fetta di affari.

La guerra interna

Gli effetti della crisi generale, la guerra per bande fra fazioni di potere della Repubblica Pontificia, le conseguenze della condotta delle classi dominanti come “forze di occupazione del paese” si combinano nel risultato della guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari.
Non tragga in inganno il fatto che il termine “guerra di sterminio” richiama alla mente scene apocalittiche con cumuli di cadaveri per le strade. Le vittime ci sono eccome, ma questa guerra non è dichiarata, pertanto i morti sono accompagnati al cimitero con la tipica liturgia clericale: è stato il destino, è stata una fatalità.
I morti per malasanità o per malattie curabili sono conseguenza delle speculazioni con cui le forze occupanti stanno smantellando la sanità pubblica. I morti sul lavoro, quelli per inquinamento, quelli per incidenti stradali dovuti all’incuria, quelli per alluvioni e frane, la strage di migranti… sono tutte morti evitabili che non hanno nulla a che fare con “la fatalità”.

La guerra esterna

L’Italia è un anello della Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue, dicevamo. Quale che sia il “colore” del governo in carica, l’Italia è naturalmente intruppata nelle manovre belliche della Nato. Il paese è disseminato di basi militari, sistemi radar e centri politico-militari degli Usa e della Nato.
È intruppata sia quando il parlamento viola apertamente la Costituzione e approva ciò che la Nato ordina – come nel caso della missione nel Mar Rosso contro gli Houti – sia quando lo fa in sordina. Lo è quando le basi militari italiane e quelle della Nato in territorio italiano sono coinvolte nelle operazioni belliche, nelle provocazioni, nello spionaggio e nelle comunicazioni militari; quando dai porti italiani transitano armi e quando Leonardo e RFI stipulano accordi per sviluppare il trasporto ferroviario di armi.
Per il 2024 l’Italia ha stanziato per le missioni militari all’estero 1.192 milioni di euro (+ 300 milioni di euro già stanziati per il 2025 – fonte analisidifesa.it). La missione nel Mar Rosso è solo la punta dell’iceberg del coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale in corso.

Una nuova liberazione nazionale

Quanto detto fin qui qualifica il contenuto e le prospettive delle mobilitazioni dei lavoratori e delle masse popolari nel nostro paese e indica il ruolo delle forze comuniste e progressiste del paese.
Date le caratteristiche delle classi dirigenti della Repubblica Pontificia e la singolare natura del sistema di potere vigente, le mobilitazioni di carattere rivendicativo hanno ristretti margini di successo.
Nella lotta degli operai contro la chiusura di un’azienda e per la salvaguardia dei posti di lavoro, ad esempio, incide in modo decisivo il fatto che la proprietà dell’azienda sia di un capitalista (italiano o straniero) o di un fondo di investimento immateriale, irresponsabile, irrintracciabile.
Nella lotta contro le grandi opere speculative incide in modo decisivo il fatto che la controparte siano i vertici delle organizzazioni criminali con la loro rete di relazioni, interessi, intrighi in ogni ambito della vita politica, sociale ed economica del paese.
Nella lotta contro la guerra fa una differenza sostanziale avere come controparte un governo che risponde ai cittadini della sovranità nazionale oppure un governo che maldestramente cerca di giustificare, ad esempio, lo stoccaggio illegale di testate atomiche Usa sul territorio nazionale (nascondendo chissà cos’altro).
Le lotte rivendicative sono importanti, essenziali – sono la prima elementare forma della lotta di classe – e a certe condizioni possono anche raggiungere alcuni risultati. Ma non possono risolvere né la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari né il coinvolgimento dell’Italia nella terza guerra mondiale e le sue ovvie conseguenze: economia di guerra, inquinamento, repressione del dissenso, ecc.
Serve una nuova liberazione nazionale. Non la liberazione da “un nemico straniero” che occupa il paese, ma una liberazione dagli agenti e dai servi italianissimi che per conto della Nato, dei sionisti, della Ue, dei gruppi industriali e speculativi e del Vaticano occupano tutti i gangli del potere, sia quelli palesi che quelli occulti.
Serve raccogliere il malcontento diffuso e far confluire tutte le proteste e le mobilitazioni nella lotta per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare. È l’unica strada per rimettere al loro posto i nostalgici del Ventennio e per sbarrare la strada anche al Pd e ai suoi cespugli.

L’anello debole

Abbiamo detto che l’Italia è un anello della catena della Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE. Più precisamente ne è l’anello debole in ragione anche della natura di protettorato e delle caratteristiche del sistema di potere della Repubblica Pontificia.
Ciò non è ancora abbastanza chiaro né nel movimento comunista cosciente e organizzato italiano né agli organismi politici e sindacali che promuovono le mobilitazioni popolari. La mancanza di questa chiarezza è una delle cause delle difficoltà a superare le tare elettoraliste e movimentiste e, soprattutto, della difficoltà a rompere con l’assuefazione alla sconfitta – vedi Editoriale – ereditata dalla sinistra borghese.
Le caratteristiche della Repubblica Pontificia italiana sono il punto da cui partire per contribuire dal nostro paese alla lotta che sta già animando le masse popolari in tutti i paesi imperialisti e i popoli oppressi del mondo e sono ciò che ci permette di guardare con fiducia al successo della lotta per togliere il governo del paese dalle mani dei vertici della Repubblica Pontificia e imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Le sette misure del programma del Governo di Blocco Popolare:
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la più ampia partecipazione dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

FOR A POPULAR EMERGENCY GOVERNMENT. FOR A NEW NATIONAL LIBERATION

Italy is an imperialist country in its own right, a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. This is clearly evident from the political, economic and commercial role it plays in international relations and from the interpenetration between national and supranational interests.
But Italy is also a protectorate of the USA – not a colony: it has its own autonomy and independence, but cannot conflict with their interests – as well as a cog in the EU dominated by Franco-German imperialist groups.
The worsening of the general crisis fuels the contradictions between the interests of the US imperialist groups and those of the EU imperialist groups – the consequences of the sanctions against the Russian Federation are an example – and Italy is torn apart, historically and increasingly profound, from this contradiction.
Finally, Italy is the seat of the Vatican, the oldest and longest-lived center of power in the world: it has its roots in medieval society and survived the bourgeois revolution thanks to the fact that it managed to hinder the new ruling class of society, the bourgeoisie precisely, in its rise to power in Italy itself, where it was forced to come to terms during that process which went down in history as “the unfinished bourgeois revolution”.
At the victory of the Resistance over Nazi-fascism, half of Italy was “occupied by armed partisans”, the PCI was recognized – both by the working class of the North and by growing parts of the peasants of the South – as the main leader of the victorious war of Liberation.
The US imperialists – who occupied the other half of the country – entrusted the Vatican with the task of collecting the remnants of the dominant classes, combining them with criminal organizations (such as the Mafia) and giving legs to the new system of power that replaced the fascism, but which, in the same way as fascism, had to stem the “communist danger”. The operation succeeded ONLY thanks to the errors and limitations of Togliatti’s PCI who did not want to use the strength and prestige gained to advance the socialist revolution in our country.
The system of power established in Italy – which still today constitutes a unicum in imperialist countries – is called the Papal Republic.

Like an occupied country

Particular and specific consequences derive from this particular power structure, which over time has consolidated itself in the intricate tangle of interests between US imperialist groups, Zionists, EU imperialist groups, Italian capitalist groups, criminal organizations and the Vatican.
The main one is that, unlike the ruling classes of Germany and France, for example, the Italian ruling classes govern and operate as occupying forces, that is, they bend the country to every type of trafficking and speculation that allows immediate profits, regardless of the short-term consequences , medium and long term. There are many examples of this.
See the progressive dismantling of the steel, chemical-pharmaceutical and automotive industries and also the measures to increase Italy’s energy dependence on other countries.
See the more general dismantling of the entire production system of which the sale of Italian brands – some defined as “strategic” – is only one manifestation that goes hand in hand with the destruction of thousands of jobs.
See the destruction of the agri-food sector by the supply chain of large-scale retail multinationals.
And then there are the effects of privatizations that devastate “public services”: from healthcare to schools, pensions, transport, communications and post offices. A phenomenon that is anything but distinctive of the Italian Papal Republic, but which in Italy has some particularities: the Vatican and the criminal organizations demand “by natural law” – and generally have obtained – a large slice of business.

The internal war

The effects of the general crisis, the gang war between power factions of the Papal Republic, the consequences of the conduct of the dominant classes as “occupying forces of the country” combine in the result of the undeclared war of extermination that the dominant class wages against the popular masses.
Don’t be fooled by the fact that the term “war of extermination” brings to mind apocalyptic scenes with piles of corpses in the streets. There are certainly victims, but this war is not declared, therefore the dead are accompanied to the cemetery with the typical clerical liturgy: it was fate, it was a fatality.
Deaths due to medical malpractice or curable diseases are a consequence of the speculations with which the occupying forces are dismantling public healthcare. Deaths at work, those due to pollution, those due to road accidents due to neglect, those due to floods and landslides, the massacre of migrants… they are all avoidable deaths that have nothing to do with “fatality”.

The External war

Italy is a link in the International Community of US, Zionist and EU imperialists, we were saying. Whatever the “color” of the government in office, Italy is naturally involved in NATO’s war maneuvers. The country is dotted with military bases, radar systems and political-military centers of the USA and NATO.
It is trooped both when parliament openly violates the Constitution and approves what NATO orders – as in the case of the mission in the Red Sea against the Houthis – and when it does so quietly. It is when Italian military bases and those of NATO on Italian territory are involved in war operations, provocations, espionage and military communications; when weapons transit from Italian ports and when Leonardo and RFI stipulate agreements to develop the rail transport of weapons.
For 2024, Italy has allocated 1,192 million euros for military missions abroad (+ 300 million euros already allocated for 2025 – source analysisdifesa.it). The mission in the Red Sea is only the tip of the iceberg of Italy’s involvement in the ongoing Third World War.

A new national Liberation

What has been said so far qualifies the content and prospects of the mobilizations of workers and the popular masses in our country and indicates the role of the country’s communist and progressive forces.
Given the characteristics of the ruling classes of the Papal Republic and the singular nature of the current power system, mobilizations of a grievance nature have limited margins of success.
In the workers’ struggle against the closure of a company and to safeguard jobs, for example, the fact that the company is owned by a capitalist (Italian or foreign) or by an investment fund has a decisive impact. immaterial, irresponsible, untraceable.
In the fight against large-scale speculative works, the fact that the counterparts are the leaders of criminal organizations with their network of relationships, interests and intrigues in every area of ​​the country’s political, social and economic life has a decisive impact.
In the fight against war, it makes a substantial difference to have as a counterpart a government that is accountable to citizens for national sovereignty or a government that clumsily tries to justify, for example, the illegal storage of US atomic warheads on national territory (hiding who knows what else). .
Struggles for demands are important, essential – they are the first elementary form of class struggle – and under certain conditions they can even achieve some results. But they cannot resolve either the undeclared war of extermination that the imperialist bourgeoisie is waging against the popular masses or Italy’s involvement in the Third World War and its obvious consequences: war economy, pollution, repression of dissent, etc.
We need a new national liberation. Not liberation from “a foreign enemy” who occupies the country, but a liberation from the very Italian agents and servants who on behalf of NATO, the Zionists, the EU, the industrial and speculative groups and the Vatican occupy all the corners of power, both the obvious ones and the hidden ones.
We need to gather widespread discontent and bring together all the protests and mobilizations in the fight to oust the Meloni government and replace it with a popular emergency government. It is the only way to put those nostalgic for the twenty-year period back in their place and to also block the way for the Democratic Party and its bushes.

The weak link

We have said that Italy is a link in the chain of the International Community of US, Zionist and EU imperialists. More precisely, it is the weak link also due to the nature of a protectorate and the characteristics of the power system of the Papal Republic.
This is not yet clear enough either in the conscious and organized Italian communist movement or in the political and trade union bodies that promote popular mobilizations. The lack of this clarity is one of the causes of the difficulties in overcoming electoralist and movementist flaws and, above all, of the difficulty in breaking with the addiction to defeat – see Editorial – inherited from the bourgeois left.
The characteristics of the Italian Papal Republic are the starting point for our country’s contribution to the struggle that is already animating the popular masses in all the imperialist countries and oppressed peoples of the world and are what allow us to look with confidence to the success of the struggle to take the government of the country out of the hands of the leaders of the Papal Republic and impose an emergency government of the organized popular masses.

The seven measures of the Popular Bloc Government program:

  1. Assign productive tasks to each company that are useful and suited to its nature, according to a national plan. No company should be closed.
  2. Distribute products to families and individuals, companies and collective uses according to clear, universally known and democratically decided plans and criteria.
  3. Assign to each individual a socially useful job and guarantee him, in exchange for its scrupulous execution, the conditions necessary for a dignified life and for participation in the management of society. No worker must be fired, every adult must have a useful and dignified job, no individual must be marginalized.
  4. Eliminate useless or harmful activities and production, assigning other tasks to the companies involved.
  5. Start the reorganization of all other social relations in accordance with the new production base and the new distribution system.
  6. Establish relationships of solidarity and collaboration or exchange with other countries willing to establish them with us.
  7. Purge the senior leaders of the Public Administration who sabotage the transformation of the country, bring the Police Forces, the Armed Forces and the Information Services into line with the democratic spirit of the 1948 Constitution and restore the widest participation of citizens in military activities defense of the country and protection of public order.

Source: Italian CARC Party

https://x.com/bralex84/status/1787240843436298587

LE MOBILITAZIONI CONTRO LA NATO IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE

https://www.carc.it/2024/04/29/le-mobilitazioni-contro-la-nato-in-occasione-del-75-anniversario-della-sua-fondazione/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Dal 4 al 14 aprile si sono svolte in tutta Italia proteste e iniziative in occasione del 75° anniversario della fondazione della NATO. La maggior parte di esse è il risultato di un percorso di coordinamento che – attraverso riunioni pubbliche online – ha visto la partecipazione di numerose realtà locali da Nord a Sud del paese.

Come dichiarato fin dall’appello iniziale del coordinamento promotore, l’obiettivo non era organizzare “grandi manifestazioni”, ma rendere visibile l’opposizione alla NATO attraverso molteplici e capillari iniziative territoriali, anche piccole ma simboliche. Effettivamente, nessuna delle iniziative ha visto una “partecipazione di massa” e questo ha alimentato, a posteriori, un dubbio: quelle iniziative hanno mostrato una vitalità della mobilitazione che deve essere curata e sviluppata oppure hanno messo a nudo “l’esiguità delle forze” disposte a mobilitarsi?

Dare una risposta a questa domanda è utile non solo in termini di bilancio, ma anche e soprattutto per definire le linee di sviluppo. Diamo un contributo in questo senso.

Quella che, per semplificare, definiamo “la settimana di mobilitazione contro la Nato” ha dimostrato che nel paese esiste una schiera di organismi territoriali, movimenti e reti che tengono viva e alimentano la lotta contro la NATO e la guerra. Ciò non è affatto una questione secondaria. In una fase in cui pesano come un macigno sia la sconfitta subita nel 2003 dal movimento contro la guerra (l’enorme mobilitazione che, però, non impedì l’aggressione all’Iraq) che l’asservimento dei tradizionali centri autorevoli della mobilitazione popolare (sindacati di regime, grandi associazioni nazionali) ai governi guerrafondai delle Larghe Intese, l’esistenza di organismi territoriali che lottano contro la NATO, la guerra e la militarizzazione della società è la base – ferma e solida – da cui partire per alimentare una mobilitazione di massa.

Non solo. Il percorso di costruzione delle iniziative ha favorito lo scambio di esperienze e ha permesso di compiere alcuni passi nello sviluppo di un legame tra i vari organismi territoriali. Sarebbe miope valutare i risultati di questa mobilitazione, in questa fase, principalmente usando il metro della partecipazione alle iniziative, ma soprattutto è completamente sbagliato concentrarsi su questo dato, trascurando la cura degli organismi e i passi concreti da fare per promuovere il loro coordinamento.

Le domande da porsi, dunque, sono se, quanto e come gli organismi territoriali sono usciti rafforzati da questa esperienza e se, quanto e come sono state create condizioni più favorevoli al loro coordinamento.

In questo momento non abbiamo risposte esaustive. Ma abbiamo chiaro che l’unica strada per alimentare un movimento di massa contro la guerra, la NATO, le basi, le servitù, i poligoni militari e le armi nucleari è curare il fronte degli organismi che ne sono i promotori. La mobilitazione si sviluppa solo se qualcuno la promuove.

Si sono svolte 25 iniziative “coordinate” a Milano, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Roma, Firenze, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Napoli, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Altre mobilitazioni sono state promosse anche al di là del coordinamento suddetto. Tra queste, il corteo cittadino di Napoli duramente caricato dalla polizia per evitare che i manifestanti raggiungessero il teatro S. Carlo dove si svolgevano le “cerimonie ufficiali”. La repressione non ha, però, impedito che in teatro venisse esposto uno striscione di protesta.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

MOBILIZATIONS AGAINST NATO ON THE OCCASION OF THE 75TH ANNIVERSARY OF ITS FOUNDATION

From 4 to 14 April, protests and initiatives took place throughout Italy on the occasion of the 75th anniversary of the founding of NATO. Most of them are the result of a coordination process which – through online public meetings – saw the participation of numerous local entities from the North to the South of the country.

As stated since the initial appeal of the promoting coordination, the objective was not to organize “large demonstrations”, but to make the opposition to NATO visible through multiple and widespread territorial initiatives, even small but symbolic ones. Indeed, none of the initiatives saw “mass participation” and this fueled, in retrospect, a doubt: those initiatives showed a vitality of the mobilization that must be taken care of and developed or they exposed “the smallness of the forces” willing to mobilize?

Giving an answer to this question is useful not only in terms of budget, but also and above all to define the lines of development. Let’s make a contribution in this sense.

What, to simplify, we call “the week of mobilization against NATO” demonstrated that in the country there is a host of territorial bodies, movements and networks that keep alive and fuel the fight against NATO and the war. This is by no means a secondary issue. In a phase in which both the defeat suffered in 2003 by the anti-war movement (the enormous mobilization which, however, did not prevent the aggression against Iraq) and the enslavement of the traditional authoritative centers of popular mobilization weigh like a boulder ( regime unions, large national associations) to the warmongering governments of the Broad Ententes, the existence of territorial bodies fighting against NATO, war and the militarization of society is the basis – firm and solid – from which to start to fuel a mobilization of mass.

Not only. The process of building the initiatives favored the exchange of experiences and allowed some steps to be taken in developing a link between the various territorial bodies. It would be short-sighted to evaluate the results of this mobilization, at this stage, mainly using the measure of participation in the initiatives, but above all it is completely wrong to focus on this data, neglecting the care of the bodies and the concrete steps to be taken to promote their coordination.

The questions to ask, therefore, are whether, how much and how the territorial bodies have emerged strengthened by this experience and if, how much and how more favorable conditions for their coordination have been created.

At this moment we do not have exhaustive answers. But we are clear that the only way to fuel a mass movement against war, NATO, bases, easements, military ranges and nuclear weapons is to take care of the bodies that are promoting them. Mobilization develops only if someone promotes it.

25 “coordinated” initiatives were held in Milan, Brescia, Solbiate Olona (VA), Bologna, Livorno, Rome, Florence, Perugia, Piazza Armerina (EN), Cagliari, Trento, Naples, Lecce, Catania, Pisa, Trieste, Pontedera (PI), Sigonella (CT), Amendola (FG).
Other mobilizations were also promoted beyond the aforementioned coordination. Among these, the city procession of Naples was harshly attacked by the police to prevent the demonstrators from reaching the S. Carlo theater where the “official ceremonies” were taking place. The repression, however, did not prevent a protest banner from being displayed in the theatre.

Source: Italian CARC Party

TRE INSTANTANEE SUL 25 APRILE

https://www.carc.it/2024/04/29/tre-istantanee-raccontano-il-25-aprile/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

A Milano si è svolta la manifestazione più partecipata, imponente. Tradizionalmente è “la manifestazione di rilievo nazionale del 25 Aprile”, ma a caricare di aspettative il corteo di quest’anno, e dunque la partecipazione, hanno contribuito alcuni fattori.
Il manifesto aveva lanciato l’appello per fare del 25 Aprile 2024 una giornata di mobilitazione contro il governo Meloni così come il 25 Aprile del 1994 fu una giornata di mobilitazione contro il governo Berlusconi. Le polemiche sulla censura a Scurati da parte dei vertici Rai hanno alimentato il tutto. Stiamo parlando di operazioni orchestrate, direttamente o meno, dal PD nel tentativo di strumentalizzare la giornata per fini elettorali che però indubbiamente hanno alimentato la partecipazione di quella parte di masse popolari preoccupata per la via che il governo Meloni sta imponendo al paese.
Il comitato promotore, alla cui testa c’era l’Anpi di Milano, per settimane ha tenuto i piedi in più scarpe per evitare di prendere una posizione chiara contro il genocidio in Palestina, dovendo ammettere che la presenza della Brigata ebraica – travestimento della comunità sionista – era fuori luogo (come d’altronde lo è da quando, a partire dal 2004, la sua presenza è stata imposta con i cordoni di celere e le manganellate).
Anche i tentennamenti – ma è più corretto dire il doppio gioco – del comitato promotore e dell’ANPI milanese hanno certamente avuto un ruolo nell’accendere la determinazione di moltissime persone a essere in piazza per esprimere solidarietà al popolo palestinese.
Pertanto a Milano è successo questo: decine di migliaia di persone (i giornali dicono 100 mila) hanno manifestato contro il governo Meloni e le sue politiche antipopolari e guerrafondaie e in solidarietà con il popolo palestinese.
Da molti anni il corteo del 25 Aprile a Milano non aveva una caratterizzazione politica tanto netta e una partecipazione così elevata.
L’intero corteo, dalla testa alla coda, è stato un tripudio di bandiere della Palestina che sventolavano accanto a bandiere di ogni tipo. Alla testa del corteo, circondati dalla polizia privata che va sotto il nome di City Angels, dalla digos e dalla celere, c’è stata la comunità sionista con le bandiere dello Stato genocida d’Israele, le bandiere ucraine infarcite di simboli nazisti, le bandiere di Azione, Italia Viva e + Europa. Fra questi, per non farsi mancare niente, anche un paio di bandiere della NATO.

Ecco la prima istantanea, la prima fotografia della giornata: un plotone greve, estraneo e ostile al corteo, che ha ostentato vessilli di morte e di sterminio, strenuamente difeso dallo Stato italiano, IMPOSTO manu militari alla testa dello stesso, ma al contempo assediato dai manifestanti antifascisti e antisionisti. Tutt’intorno, per chilometri – alle 13:30 Piazza Duomo era già piena di bandiere palestinesi e così fino alla coda che alle 17 doveva ancora partire – un tripudio di bandiere, striscioni, cartelli, cori, canzoni e slogan, moltissimi dei quali a sostegno della resistenza del popolo palestinese che oggi incarna i valori della vittoriosa Resistenza contro il nazifascismo.
Che i media di regime parlino di “contestazioni e offese alla Brigata ebraica” e di “aggressioni” è soltanto un’ulteriore dimostrazione del peso di quel plotone mortifero imposto alla testa del corteo, che ha cercato in ogni modo di passare come la reale vittima dell’intolleranza.

Da Roma viene la seconda istantanea. È utile analizzarla alla luce del vittimismo, amplificato a reti unificate, che la comunità sionista ha sparso a piene mani per “gli insulti e le aggressioni” che sostiene di aver subito a Milano.
Cordoni di celere che accerchiano il concentramento del corteo antifascista e antisionista a “protezione” del concentramento dei fascisti sionisti da cui parte il lancio di quattro bombe carta, sassi e barattoli di metallo. I fascisti sionisti cercano persino di aggirare i cordoni della celere per caricare il concentramento antifascista e, mentre col megafono augurano alle donne antifasciste di essere stuprate, aggrediscono i giornalisti che a loro avviso non danno una corretta versione di quello che sta accadendo.
In diretta televisiva, su Rai 3, l’inviata viene accerchiata e aggredita per aver detto che “è appena partito un tentativo di carica verso il corteo antifascista”. La conduttrice in studio si è subito allineata, affermando che “dalla comunità ebraica non parte nessuna carica”.

La terza istantanea è una foto panoramica. Da Roma a Milano, da Torino a Catania, da Firenze a Napoli, dalle metropoli ai piccoli centri il 25 Aprile sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone contro il governo Meloni, contro la guerra e i guerrafondai, in solidarietà con il popolo palestinese.
In mille posti e in mille modi hanno preso forma i contenuti e i valori della Resistenza contestualizzati alla situazione e alla lotta di classe di oggi. Rivendicazioni, ambizioni e obiettivi che concorrono, tutti, allo sbocco politico che serve al paese: una nuova liberazione dagli imperialisti USA e UE, dai sionisti e dalla NATO.

Il PD e i suoi cespugli avevano predisposto tutto affinché le celebrazioni del 25 Aprile diventassero una grande speculazione in chiave elettorale contro “il moderno fascismo del governo Meloni”.
A tal proposito hanno sfruttato fino in fondo i numerosi assist che gli esponenti del governo Meloni hanno offerto loro, dalle polemiche sulla censura della Rai a Scurati alle esternazioni di Salvini. Tuttavia l’operazione non è riuscita, come speravano.
È riuscita solo nella misura in cui i principali organi di informazione hanno dato spazio e fiato a questa pantomima.
C’è da dire che il cavallo su cui il PD ha puntato per denunciare “la censura” era un cavallo zoppo. Scurati è megafono quotidiano delle “ragioni” dei sionisti, è un detrattore della resistenza palestinese, è un negazionista del genocidio in corso il Palestina, è un sostenitore del governo ucraino e della NATO, è un sostenitore dell’intruppamento dell’Italia nella guerra contro la Federazione Russa.
Tuttavia, non è principalmente questo che ha fatto fare cilecca alla manovra orchestrata. Il colpo di grazia lo ha dato la grandiosa mobilitazione del 25 Aprile milanese.
Le larghe masse non si sono lasciate intruppare nelle file dell’antifascismo padronale.
In molte piazze il PD è stato contestato e in alcuni casi ha addirittura ammainato bandiere e striscioni.
Se si guardano le piazze anziché i commenti dei pennivendoli sui giornali, è evidente che la grande maggioranza di chi ha manifestato lo ha fatto contro le Larghe Intese e il loro programma comune. Il 25 Aprile è stata una plateale dimostrazione del diffuso rifiuto di ogni guerra e dell’economia di guerra che tanto il governo Meloni che il PD e i suoi cespugli perseguono.
La mobilitazione in cui questo rifiuto si è espresso ha bisogno di trovare una direzione per trasformarsi in una corrente politica strutturata e organizzata.
Darle sbocco politico è il compito del movimento comunista cosciente e organizzato e delle forze anti Larghe Intese.
A questo proposito, una riflessione.
Anche quest’anno si sono riproposte, in particolare a Milano, ma non solo, le annose questioni rispetto alla necessità di organizzare un corteo alternativo “per non portare acqua al mulino del PD”.
Ma anche quest’anno, ancor più degli altri anni, tali questioni sono state spazzate via dall’evidenza pratica.
È compito dei comunisti dare voce a quei sentimenti diffusi che, se nessuno li prende in mano, non sono che sterili lamenti. È compito dei comunisti promuovere e organizzare le manifestazioni di malcontento e di protesta che altrimenti sono destinate a spegnersi. È compito dei comunisti organizzare questa protesta e questo malcontento e indirizzarli e coordinarli verso un comune sbocco politico.
Andare da un’altra parte e lasciare campo libero alle Larghe Intese, ai guerrafondai, ai sostenitori e complici della NATO, dei sionisti e della UE è un errore. È un errore quando a contestarli siamo in pochi, ed è un errore ancora più grave quando è evidente che la volontà di contestazione è ampia e diffusa e cerca solo una strada per manifestarsi.

È utile riprendere – e comprendere – l’esperienza del vecchio movimento comunista nel nostro paese. Quando sotto il fascismo i partiti d’opposizione – e in particolare il Pci – erano banditi, per svolgere il lavoro di organizzazione, di agitazione e di propaganda i comunisti entravano e operavano nei sindacati fascisti, che erano l’unica forma di organizzazione operaia permessa. È facile immaginare quale tipo di contributo possono aver dato anche allora i sostenitori della tesi “nel sindacato fascista no, perché si porta acqua al mulino del regime”. Ecco, con le dovute differenze, uno spunto per riflettere sul ruolo dei comunisti e sul fatto che essi devono stare fra le masse “come pesci nell’acqua”.
A essere pesci fuor d’acqua sono le Larghe Intese e i loro esponenti, sono i sostenitori della Nato e i complici dei sionisti. Ogni centimetro di terreno che non si contende loro, è un centimetro di terreno che perdiamo noi.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

THREE SNAPSHOT PICTURES OF APRIL 25TH

The most popular and impressive demonstration took place in Milan. Traditionally it is “the event of national importance on April 25th”, but some factors contributed to filling this year’s procession with expectations, and therefore the participation.
The manifesto had launched the appeal to make 25 April 2024 a day of mobilization against the Meloni government just as 25 April 1994 was a day of mobilization against the Berlusconi government. The controversy over the censorship of Scurati by Rai leaders fueled everything. We are talking about operations orchestrated, directly or otherwise, by the PD in an attempt to exploit the day for electoral purposes which however undoubtedly fueled the participation of that part of the popular masses worried about the path that the Meloni government is imposing on the country.
The promoting committee, headed by the Anpi of Milan, kept its feet in different shoes for weeks to avoid taking a clear position against the genocide in Palestine, having to admit that the presence of the Jewish Brigade – a disguise for the community Zionist – was out of place (as indeed it has been since 2004 when its presence was imposed with police cordons and truncheons).
Even the hesitations – but it is more correct to say the double game – of the promoting committee and the Milanese ANPI certainly played a role in igniting the determination of many people to be in the streets to express solidarity with the Palestinian people.
Therefore this happened in Milan: tens of thousands of people (the newspapers say 100 thousand) demonstrated against the Meloni government and its anti-people and warmongering policies and in solidarity with the Palestinian people.
For many years the April 25th procession in Milan had not had such a clear political characterization and such high participation.
The entire procession, from head to tail, was a riot of Palestinian flags waving alongside flags of all kinds. At the head of the procession, surrounded by the private police who go by the name of City Angels, the Digos and the police, there was the Zionist community with the flags of the genocidal State of Israel, the Ukrainian flags filled with Nazi symbols, the flags of Action, Italia Viva and + Europa. Among these, so as not to miss anything, also a couple of NATO flags.

Here is the first snapshot, the first photograph of the day: a heavy platoon, alien and hostile to the procession, which flaunted banners of death and extermination, strenuously defended by the Italian State, IMPOSED by military force at its head, but at the same time besieged by the anti-fascist and anti-Zionist demonstrators. All around, for kilometers – at 1.30pm Piazza Duomo was already full of Palestinian flags and so on up to the queue which still had to leave at 5pm – a riot of flags, banners, placards, chants, songs and slogans, many of which support for the resistance of the Palestinian people who today embody the values ​​of the victorious Resistance against Nazi-fascism.
That the regime media speak of “disputes and offenses against the Jewish Brigade” and of “assaults” is only a further demonstration of the weight of that deadly platoon imposed at the head of the procession, which tried in every way to pass itself off as the real victim of intolerance.

The second snapshot comes from Rome. It is useful to analyze it in light of the victimhood, amplified in unified networks, that the Zionist community has spread liberally due to the “insulting and aggression” it claims to have suffered in Milan.
Police cordons surrounding the concentration of the anti-fascist and anti-Zionist procession to “protect” the concentration of Zionist fascists from which the launch of four paper bombs, stones and metal cans began. The Zionist fascists even try to get around the police cordons to charge the anti-fascist concentration and, while with the megaphone they wish the anti-fascist women to be raped, they attack the journalists who in their opinion do not give a correct version of what is happening.
On live television, on Rai 3, the correspondent was surrounded and attacked for having said that “an attempt to charge towards the anti-fascist march has just started”. The studio presenter immediately aligned herself, stating that “no charge comes from the Jewish community”.

The third snapshot is a panoramic photo. From Rome to Milan, from Turin to Catania, from Florence to Naples, from metropolises to small towns, on April 25th hundreds of thousands of people took to the streets against the Meloni government, against the war and the warmongers, in solidarity with the Palestinian people.
In a thousand places and in a thousand ways the contents and values ​​of the Resistance have taken shape contextualized to the situation and class struggle today. Claims, ambitions and objectives that all contribute to the political outcome that the country needs: a new liberation from the US and EU imperialists, from the Zionists and from NATO.

The PD and its bushes had arranged everything so that the celebrations of April 25th would become a great electoral speculation against “the modern fascism of the Meloni government”.
In this regard, they took full advantage of the numerous assists that members of the Meloni government offered them, from the controversy over RAI censorship to Scurati to Salvini’s utterances. However, the operation was not as successful as they had hoped.
It succeeded only to the extent that the main media outlets gave space and breath to this pantomime.
It must be said that the horse on which the PD relied to denounce “censorship” was a lame horse. Scurati is a daily megaphone of the “reasons” of the Zionists, he is a detractor of the Palestinian resistance, he is a denier of the ongoing genocide in Palestine, he is a supporter of the Ukrainian government and of NATO, he is a supporter of Italy’s involvement in the war against the Russian Federation.
However, this is not primarily what caused the orchestrated maneuver to fail. The coup de grace was given by the grandiose mobilization of April 25th in Milan.
The broad masses did not allow themselves to be drawn into the ranks of the employers’ anti-fascism.
In many squares the PD was contested and in some cases it even took down flags and banners.
If you look at the squares rather than the comments of the street vendors in the newspapers, it is clear that the vast majority of those who demonstrated did so against the Broad Agreements and their common program. April 25th was a dramatic demonstration of the widespread rejection of any war and of the war economy that both the Meloni government and the PD and its bushes pursue.

The mobilization in which this refusal was expressed needs to find a direction to transform itself into a structured and organized political current.
Giving it a political outlet is the task of the conscious and organized communist movement and the anti-Broad Understanding forces.
In this regard, a reflection.
This year too, the age-old questions regarding the need to organize an alternative procession “so as not to bring grist to the PD’s mill” have arisen again, particularly in Milan but not only.
But this year too, even more than other years, these questions have been swept away by practical evidence.
It is the task of communists to give voice to those widespread feelings which, if no one takes them into account, are nothing but sterile complaints. It is the task of communists to promote and organize demonstrations of discontent and protest which otherwise are destined to die out. It is the task of the communists to organize this protest and this discontent and direct and coordinate them towards a common political outcome.
Going elsewhere and leaving the field open to the Broad Ententes, the warmongers, the supporters and accomplices of NATO, the Zionists and the EU is a mistake. It is a mistake when there are few of us who contest them, and it is an even more serious mistake when it is clear that the will to contest is broad and widespread and is only looking for a way to manifest itself.

It is useful to revisit – and understand – the experience of the old communist movement in our country. When under fascism the opposition parties – and in particular the PCI – were banned, to carry out the work of organisation, agitation and propaganda the communists entered and operated in the fascist trade unions, which were the only form of workers’ organization allowed . It is easy to imagine what kind of contribution the supporters of the thesis “not in the fascist union, because it brings grist to the regime’s mill” may have made even then. Here, with the necessary differences, is a starting point to reflect on the role of communists and on the fact that they must be among the masses “like fish in water”.
Those who are fish out of water are the Broad Ententes and their exponents, they are the supporters of NATO and the accomplices of the Zionists. Every inch of land that they don’t compete for is an inch of land that we lose.

Source: Italian CARC Party

LE UNIVERSITA’ IN RIVOLTA

https://www.carc.it/2024/04/29/le-universita-in-rivolta/

Il testo che segue è tratto da un articolo di Milos Skakal pubblicato il 20 aprile su Dinamopress.

***

Da due mesi nelle università di tutta Italia le studentesse e gli studenti, ma anche il corpo accademico, dalla docenza alla ricerca, nonché lavoratrici e lavoratori delle utenze degli atenei stanno protestando contro il genocidio in corso in Palestina. La mobilitazione è portata avanti da collettivi e associazioni studentesche di orizzonti diversi, che però si raggruppano intorno all’idea che le università non possono essere complici del massacro in corso a Gaza e dell’escalation bellica in Medio Oriente. Le richieste si sono quindi definite in modo omogeneo nelle varie città dove si sono svolte le proteste e vertono in particolare intorno a tre temi.

Il primo riguarda la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani inquadrata all’interno dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele stipulato per le rispettive parti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dal Ministero dell’Innovazione, scienza e tecnologia (Most). (…)

La seconda rivendicazione è invece legata ai rapporti che alcune rettrici e alcuni rettori hanno con il comitato scientifico della Fondazione Med-Or, nata, come si legge sul sito, “per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del 2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)”. Leonardo, si ricorda, è una delle principali aziende belliche italiane e intrattiene rapporti commerciali correnti con Israele.

La terza richiesta riguarda più in generale di interrompere i rapporti e i finanziamenti tra le università e le aziende italiane fortemente coinvolte con lo Stato israeliano, come per esempio l’Eni, che si avvia a sfruttare i giacimenti di gas a largo della costa di Gaza, oppure la stessa Leonardo che vende armamenti all’esercito israeliano.

(…) A Roma, il 5 marzo, un corteo interno all’Università La Sapienza ha protestato contro la partecipazione dell’ateneo al bando Maeci e ha chiesto alla rettrice Polimeni di dimettersi dal board scientifico della Fondazione Med-Or. La manifestazione si è svolta mentre all’interno del rettorato si teneva il Senato accademico, che ha rifiutato di ascoltare una delegazione di studentesse e studenti.

Il 19 marzo, il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato che non rinnoverà il bando del Maeci. (…)

Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, gli studenti dell’Università di Bologna hanno protestato per chiedere lo stop agli accordi tra l’ateneo e le università israeliane, oltre a richiedere il cessate il fuoco a Gaza. Il corteo è stato represso con cariche della polizia. In contemporanea, è stato permesso a due studentesse di intervenire durante la seduta istituzionale. Mentre una di loro parlava, il rettore l’ha interrotta togliendole il microfono.

All’Università La Sapienza a Roma, il 25 e il 26 marzo le studentesse e gli studenti hanno occupato il rettorato e impedito così che si potesse svolgere in quei luoghi il Senato accademico, il quale ha continuato a ignorare le proteste. Sempre il 26 marzo la Scuola Normale superiore di Pisa ha approvato un documento che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza e ha preso piede un dibattito interno per riconsiderare le collaborazioni scientifiche applicabili anche in campo militare con le università israeliane.

L’8 aprile le studentesse e gli studenti dell’Università di Napoli Federico II hanno occupato il rettorato del loro ateneo per protestare contro la collaborazione scientifica con le università israeliane. (…)

Il 9 aprile, il Senato accademico dell’Università di Bari si è convocato per parlare unicamente della partecipazione al bando Maeci. Nessun docente ha partecipato al bando, mentre il rettore ha sottolineato l’importanza di una ricerca libera e collaborativa con gli atenei di tutto il mondo, ispirandosi al principio di pace sancito dall’articolo 11 della Carta. Inoltre il rettore si è dimesso anche dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or a seguito delle richieste delle studentesse e degli studenti.

Il 16 aprile, dopo un corteo che in mattinata ha chiesto di nuovo al Senato accademico di prendere posizione sulle stragi che avvengono in Palestina, nel pomeriggio per quattro volte le studentesse e gli studenti sono stati manganellati dalla polizia mentre provavano a uscire in corteo dall’università. Alla fine della giornata risulteranno due persone arrestate. (…)

Ma la risposta delle istituzioni, anche ai più alti livelli, sembra voler fermare questa mobilitazione in modo chiaro. Proprio questa settimana la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), per bocca della sua presidente Giovanna Iannantuoni, ha ribadito che “non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti scientifici esistenti con le università israeliane”. Inoltre, anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini si è più volte espressa contro le richieste di sospensione degli accordi tra atenei italiani e israeliani.

A tal proposito, nella lettera aperta dello scorso 8 aprile, docenti, ricercatrici e ricercatori contro il bando Maeci sostengono che “la questione della collaborazione universitaria con istituzioni di ricerca implicate nella sistematica violazione di diritti umani, sociali e civili – come lo sono  le università e i centri di ricerca israeliani – dovrebbe sempre accompagnare la nostra professione. A oggi, non esiste alcuna istituzione israeliana che si sia dissociata dalla linea governativa e non abbia sostenuto la continuazione dell’attacco militare contro Gaza. Le colleghe e i colleghi che hanno osato dissentire sono stati prontamente puniti dalle loro istituzioni con sospensioni, licenziamenti e, nel caso della collega Shalhoub-Kevorkian della Hebrew University, come è ormai noto, persino con la detenzione temporanea e la confisca temporanea del passaporto”.

***

Le università sono uno specchio del paese. Gli interessi della cricca sionista sono strenuamente difesi dal governo, dalle Forze dell’Ordine, da una parte del mondo accademico e dalle baronie, dai media. Ma se la mobilitazione continua, le crepe nel muro di gomma della Repubblica Pontificia si allargano. Se la repressione colpisce chi si mobilita, le crepe si allargano ancora di più. Se le mobilitazioni non si fermano, le autorità devono iniziare a cedere, perché le università diventano ingovernabili. Devono ingoiare il rospo.
Ciò che le autorità sono costrette a ingoiare non mette certamente fine alla complicità della Repubblica Pontificia italiana con i criminali sionisti, ma rafforza tutto il movimento delle masse popolari.
Pertanto, avanti studenti! Per far saltare tutte le collaborazioni dell’Italia con lo Stato sionista d’Israele, per la liberazione della Palestina e per la liberazione del nostro paese dai vertici della Repubblica Pontificia.

Fonte: Partito dei CARC

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UNIVERSITIES IN REVOLT

The following text is taken from an article by Milos Skakal published on April 20 on Dinamopress.


For two months in universities across Italy, students, but also the academic staff, from teaching to research, as well as university workers and utility workers have been protesting against the ongoing genocide in Palestine. The mobilization is carried out by student collectives and associations of different horizons, who however group together around the idea that universities cannot be complicit in the ongoing massacre in Gaza and the escalation of war in the Middle East. The requests were therefore defined in a homogeneous way in the various cities where the protests took place and focused in particular on three themes.

The first concerns the scientific collaboration between Italian and Israeli universities framed within the Italy-Israel industrial, scientific and technological cooperation agreement stipulated for the respective parties by the Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation (Maeci) and by the Ministry of Innovation, Science and Technology (Most). (…)

The second claim is instead linked to the relationships that some rectors have with the scientific committee of the Med-Or Foundation, created, as stated on the website, “on the initiative of Leonardo Spa in the spring of 2021 with the aim of promoting activities cultural, research and scientific training, in order to strengthen ties, exchanges and international relations between Italy and the countries of the Mediterranean area extended to the Sahel, Horn of Africa and Red Sea (“Med”) and of Middle and Far East (“Or”)”. Leonardo, it should be remembered, is one of the main Italian war companies and has current commercial relations with Israel.

The third request concerns more generally the interruption of relations and financing between Italian universities and companies heavily involved with the Israeli state, such as Eni, which is starting to exploit the gas fields off the coast of Gaza, or Leonardo herself who sells armaments to the Israeli army.

(…) In Rome, on March 5, a procession inside La Sapienza University protested against the university’s participation in the Maeci tender and asked the rector Polimeni to resign from the scientific board of the Med-Or Foundation. The demonstration took place while the Academic Senate was being held inside the rectorate, which refused to listen to a delegation of students.

On March 19, the Academic Senate of the University of Turin decided that it will not renew the Maeci tender. (…)

The following day, on the occasion of the inauguration of the academic year, students of the University of Bologna protested to ask for a halt to the agreements between the university and Israeli universities, as well as requesting a ceasefire in Gaza. The demonstration was repressed with police charges. At the same time, two female students were allowed to intervene during the institutional session. While one of them was speaking, the rector interrupted her by taking away the microphone.

At La Sapienza University in Rome, on 25 and 26 March the students occupied the rector’s office and prevented the Academic Senate from taking place there, which continued to ignore the protests. Also on March 26, the Scuola Normale Superiore of Pisa approved a document calling for a ceasefire in Gaza and an internal debate took hold to reconsider scientific collaborations also applicable in the military field with Israeli universities.

On April 8, students of the University of Naples Federico II occupied the rector’s office of their university to protest against scientific collaboration with Israeli universities. (…)

On 9 April, the Academic Senate of the University of Bari convened to talk solely about participation in the Maeci call. No professor participated in the call, while the rector underlined the importance of free and collaborative research with universities around the world, drawing inspiration from the principle of peace enshrined in Article 11 of the Charter. Furthermore, the rector also resigned from the scientific committee of the Med-Or Foundation following requests from students.

On 16 April, after a procession in the morning which once again asked the Academic Senate to take a position on the massacres taking place in Palestine, in the afternoon the students were beaten four times by the police as they tried to march out of the school. university. At the end of the day two people will be arrested. (…)

But the response of the institutions, even at the highest levels, seems to clearly want to stop this mobilization. Just this week the Conference of Rectors of Italian Universities (Crui), through its president Giovanna Iannantuoni, reiterated that “there is no boycott by Italian universities in existing scientific relations with Israeli universities”. Furthermore, the Minister of University and Research Anna Maria Bernini has also repeatedly spoken out against requests for the suspension of agreements between Italian and Israeli universities.

In this regard, in the open letter of last April 8, teachers, men and women researchers against the Maeci call argue that “the issue of university collaboration with research institutions implicated in the systematic violation of human, social and civil rights – as universities are and Israeli research centers – should always accompany our profession. To date, there is no Israeli institution that has dissociated itself from the government line and has not supported the continuation of the military attack on Gaza. Colleagues who dared to disagree were promptly punished by their institutions with suspensions, dismissals and, in the case of my colleague Shalhoub-Kevorkian of the Hebrew University, as is now known, even with temporary detention and temporary confiscation of her passport.”

Universities are a mirror of the country. The interests of the Zionist clique are strenuously defended by the government, by the police, by a part of the academic world and by the baronies, by the media. But if the mobilization continues, the cracks in the rubber wall of the Papal Republic will widen. If repression hits those who mobilize, the cracks widen even further. If the mobilizations do not stop, the authorities must begin to give in, because the universities become ungovernable. They have to bite the bullet.
What the authorities are forced to swallow certainly does not put an end to the complicity of the Italian Papal Republic with the Zionist criminals, but it strengthens the entire movement of the popular masses.
Therefore, forward students! To blow up all Italy’s collaborations with the Zionist State of Israel, for the liberation of Palestine and for the liberation of our country from the leaders of the Papal Republic.

Source: Italian CARC Party

I SIONISTI STANNO PERDENDO LA GUERRA CONTRO HAMAS

https://www.carc.it/2024/04/29/i-sionisti-stanno-perdendo-la-guerra/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 14 aprile ci siamo svegliati con la notizia dell’attacco condotto dall’Iran contro Israele con più di trecento tra droni e missili, come ritorsione al bombardamento da parte dei sionisti dell’ambasciata iraniana in Siria il 1° aprile.

Questo scambio di attacchi tra Israele e Iran rappresenta una svolta nel processo di allargamento del conflitto, che si realizza però in un contesto ben più ampio: in questi mesi gli imperialisti hanno messo il piede sull’acceleratore nelle loro manovre per portare il mondo intero verso la guerra, in un crescendo di provocazioni condotte su tutti i fronti.

Nell’ultimo periodo, infatti, è sempre più evidente la debolezza degli imperialisti, paralizzati dalla guerra per bande al loro interno, dall’opposizione delle masse popolari dei loro stessi paesi alla guerra, dalla crescente ribellione dei popoli di tutto il mondo al loro dominio.

Nelle istituzioni internazionali, dove prima facevano il bello e il cattivo tempo, si moltiplicano ora le risoluzioni contro il massacro perpetrato dai sionisti a Gaza, la Corte Internazionale di Giustizia ha accettato la richiesta del Sud Africa di processare Israele per genocidio e il 2024 si è aperto con l’ingresso nei Brics di cinque nuovi paesi (Etiopia, Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti).

Sugli stessi giornali dove fino all’anno scorso leggevamo articoli che ci spiegavano come fosse imminente la sconfitta dei russi, leggiamo ora titoli che prevedono il probabile crollo delle truppe del regime Zelensky questa estate.

E sul fronte della guerra in Medio Oriente, addirittura il quotidiano israeliano Hareetz l’11 aprile ha titolato: “Dire ciò che non si può dire: Israele è stato sconfitto – una sconfitta totale. Gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti, gli ostaggi non saranno restituiti attraverso la pressione militare, la sicurezza non sarà ripristinata e l’ostracismo internazionale di Israele non finirà”.

Insomma, gli imperialisti sono in crescente difficoltà. Impantanati a Gaza e in Yemen, con il fronte ucraino che sembra sul punto di crollare, e sempre più isolati a livello internazionale. Provano, quindi, a rilanciare con una nuova stagione di provocazioni, nella speranza di compattare il fronte interno e far valere il proprio potenziale militare arrivando a uno scontro diretto con i bersagli “di grosso calibro” della guerra che promuovono in tutto il mondo: Iran, Federazione Russa e, soprattutto, Repubblica Popolare Cinese.

Riportiamo, di seguito, gli avvenimenti principali.

A dicembre dello scorso anno il Mossad assassina due membri delle Guardie della Rivoluzione in Siria.

Il 3 gennaio, a Kerman, in Iran, un’attentato fa 84 morti e 284 feriti tra la folla che si era radunata presso la tomba del generale Soleimani per l’anniversario della sua morte (avvenuta a opera degli Usa nel 2020). L’azione è rivendicata dall’Isis, ma Teheran non ha dubbi: i responsabili sono gli imperialisti Usa e sionisti.

L’Iran reagisce il 16 gennaio, bombardando una base del Mossad in Iraq.

Nel frattempo, sul fronte della guerra in Ucraina, gli attacchi in territorio russo si spingono sempre più in profondità, fino al bombardamento del 15 marzo sulla raffineria di Rjazan, a 200 chilometri a sud di Mosca. Sempre nel mese di marzo vengono pubblicate le dichiarazioni di Macron, che paventa l’invio di truppe Nato in Ucraina, e dei vertici della commissione Ue, che dichiarano che l’Europa deve prepararsi a un conflitto aperto contro la Russia.

Il 22 marzo uomini armati sparano sulla folla nella sala concerti del Crocus City Hall a Mosca, dopodiché danno fuoco all’edificio, causando oltre 140 morti e centinaia di feriti. L’attentato è ancora una volta rivendicato dall’Isis, ma le autorità russe accusano il regime Zelensky, gli imperialisti Usa e Ue.

Il 1 aprile i sionisti bombardano l’ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo tredici persone, tra cui un generale delle Guardie della Rivoluzione. È un attacco verso quello che formalmente è suolo iraniano e in aperta violazione della sovranità siriana.

L’Iran reagisce nella notte tra il 13 e il 14 aprile, lanciando più di 300 tra missili e droni contro Israele. L’attacco è una ritorsione dovuta, ma non ha chiaramente l’intenzione di scatenare un’escalation e le seguenti dichiarazioni del governo iraniano confermano questa linea.

Nella notte tra il 17 e il 18 aprile i sionisti rilanciano, bombardando con droni una base militare sul territorio iraniano, nei pressi di impianti nucleari.

Il giorno dopo, il 19 aprile, viene bombardata una base delle Forze di mobilitazione popolare irachene, milizia sciita inquadrata nello Stato iracheno. Imperialisti Usa e sionisti negano ogni responsabilità, che invece viene loro addebitata dalle forze della Resistenza Islamica in Iraq, che rispondono il giorno stesso con un attacco di droni contro Israele.

Nel frattempo si intensificano anche le manovre per preparare lo scontro contro la Repubblica Popolare Cinese. L’11 aprile Biden incontra il presidente giapponese Kishida e quello filippino Marcos per rafforzare l’alleanza e la cooperazione militare in funzione anti cinese. Nei giorni successivi rilascia dichiarazioni in cui annuncia che triplicherà i dazi sull’acciaio e alluminio cinesi.

Infine, il 20 aprile, il Congresso Usa approva quattro disegni di legge che rappresentano una sintesi della politica bellicista di Washington: 60 miliardi per finanziare il regime Zelensky e la guerra contro la Federazione Russa, 26 per finanziare i sionisti e il genocidio palestinese, 8 per finanziare Taiwan e preparare la guerra contro la Repubblica Popolare Cinese. Il tutto condito con nuove provocazioni: la messa al bando di Tik Tok, l’utilizzo degli asset russi congelati per promuovere la guerra in Ucraina, l’imposizione di nuove sanzioni a Mosca, Teheran e Pechino.

Come possiamo vedere, le difficoltà degli imperialisti, la crescente forza dei paesi che si oppongono al loro dominio, determinati a non subire più passivamente ogni provocazione, non ci portano verso un più pacifico mondo multipolare, ma verso una nuova guerra mondiale, perché gli imperialisti non hanno altra strada per uscire dalla propria crisi che estendere il conflitto.

Le condizioni che alimentano la guerra sono però le stesse che concorrono a creare una situazione rivoluzionaria. Solo la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può anticipare o mettere fine alla guerra. Quale via imboccherà la storia dipende da noi comunisti.

Fonte: Partito dei CARC

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ZIONISTS ARE LOSING THE WAR AGAINST HAMAS

On April 14th we woke up to the news of the attack conducted by Iran against Israel with more than three hundred drones and missiles, in retaliation for the bombing by the Zionists of the Iranian embassy in Syria on April 1st.

This exchange of attacks between Israel and Iran represents a turning point in the process of widening the conflict, which however takes place in a much broader context: in recent months the imperialists have put their foot on the accelerator in their maneuvers to bring the whole world towards the war, in a crescendo of provocations conducted on all fronts.

In the last period, in fact, the weakness of the imperialists is increasingly evident, paralyzed by the gang war within them, by the opposition of the popular masses of their own countries to the war, by the growing rebellion of the peoples of the whole world against their domination .

In international institutions, where previously there was good and bad weather, resolutions against the massacre perpetrated by the Zionists in Gaza are now multiplying, the International Court of Justice has accepted South Africa’s request to try Israel for genocide and 2024 has opened with the entry into the Brics of five new countries (Ethiopia, Egypt, Iran, Saudi Arabia, United Arab Emirates).

In the same newspapers where until last year we read articles explaining to us how the defeat of the Russians was imminent, we now read headlines predicting the probable collapse of the Zelensky regime’s troops this summer.

And on the front of the war in the Middle East, even the Israeli newspaper Hareetz on April 11 ran the headline: “Saying what cannot be said: Israel has been defeated – a total defeat. The objectives of the war will not be achieved, the hostages will not be returned through military pressure, security will not be restored and Israel’s international ostracism will not end.”

In short, the imperialists are in growing difficulty. Bogged down in Gaza and Yemen, with the Ukrainian front appearing on the verge of collapse, and increasingly isolated internationally. They therefore try to relaunch with a new season of provocations, in the hope of compacting the internal front and asserting their military potential by arriving at a direct clash with the “large caliber” targets of the war they promote all over the world: Iran , Russian Federation and, above all, the People’s Republic of China.

Below we report the main events.

In December last year, the Mossad assassinated two members of the Revolutionary Guards in Syria.

On January 3, in Kerman, Iran, an attack left 84 dead and 284 injured among the crowd who had gathered at the tomb of General Soleimani for the anniversary of his death (which occurred at the hands of the USA in 2020). The action is claimed by ISIS, but Tehran has no doubts: those responsible are the US and Zionist imperialists.

Iran reacts on January 16, bombing a Mossad base in Iraq.

Meanwhile, on the front of the war in Ukraine, the attacks on Russian territory are pushing ever deeper, up to the bombing on March 15 on the Ryazan refinery, 200 kilometers south of Moscow. Also in March, statements were published by Macron, who feared the sending of NATO troops to Ukraine, and by the leaders of the EU commission, who declared that Europe must prepare for an open conflict against Russia.

On March 22, gunmen fired into a crowd at the Crocus City Hall concert hall in Moscow, then set fire to the building, causing over 140 deaths and hundreds of injuries. The attack is once again claimed by ISIS, but the Russian authorities blame the Zelensky regime, US and EU imperialists.

On April 1, Zionists bomb the Iranian embassy in Damascus, killing thirteen people, including a general of the Revolutionary Guards. It is an attack on what is formally Iranian soil and in open violation of Syrian sovereignty.

Iran reacts on the night between 13 and 14 April, launching more than 300 missiles and drones against Israel. The attack is a necessary retaliation, but it clearly has no intention of triggering an escalation and the following statements from the Iranian government confirm this line.

On the night between 17 and 18 April the Zionists relaunched, bombing a military base on Iranian territory, near nuclear plants, with drones.

The following day, April 19, a base of the Iraqi Popular Mobilization Forces, a Shiite militia within the Iraqi state, was bombed. US imperialists and Zionists deny any responsibility, which instead is attributed to them by the Islamic Resistance forces in Iraq, who respond the same day with a drone attack against Israel.

In the meantime, maneuvers to prepare for the clash against the People’s Republic of China are also intensifying. On April 11, Biden meets Japanese President Kishida and Philippine President Marcos to strengthen the alliance and military cooperation with an anti-Chinese function. In the following days he released statements announcing that he would triple the duties on Chinese steel and aluminium.

Finally, on April 20, the US Congress approves four bills that represent a synthesis of Washington’s warmongering policy: 60 billion to finance the Zelensky regime and the war against the Russian Federation, 26 to finance the Zionists and the Palestinian genocide, 8 to finance Taiwan and prepare for war against the People’s Republic of China. All seasoned with new provocations: the banning of Tik Tok, the use of frozen Russian assets to promote the war in Ukraine, the imposition of new sanctions on Moscow, Tehran and Beijing.

As we can see, the difficulties of the imperialists, the growing strength of the countries that oppose their domination, determined to no longer passively suffer any provocation, do not lead us towards a more peaceful multipolar world, but towards a new world war, because the imperialists they have no other way out of their crisis than to extend the conflict.

However, the conditions that fuel war are the same that contribute to creating a revolutionary situation. Only the victory of the socialist revolution in the imperialist countries can anticipate or put an end to the war. Which path history will take depends on us communists.

Source: Italian CARC Party

9 MAGGIO, LA GIORNATA DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO

https://www.carc.it/2024/04/29/9-maggio-la-giornata-della-vittoria-sul-nazifascismo/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Il 9 maggio si celebra la Giornata della Vittoria sul nazifascismo. Attorno a questa data e a ciò che essa rappresenta la borghesia da tempo alimenta un’opera di revisionismo storico: cerca con ogni mezzo di demonizzare il comunismo, equiparando l’Urss di Stalin alla Germania di Hitler, e di intestare agli imperialisti Usa e del Regno Unito i maggiori meriti nella sconfitta del nazifascismo.
Questa ricorrenza deve essere, invece, occasione per riaffermare la verità storica e celebrare l’eroico sacrifico del popolo sovietico e del movimento comunista, veri artefici della liberazione dal nazifascismo.
La realtà storica è che i nazisti sono saliti al potere e hanno scatenato la guerra con il preciso intento di annientare l’Unione Sovietica e il movimento comunista, cioè di realizzare quello che era il sogno di tutta la borghesia imperialista. E, infatti, per lungo tempo gli imperialisti Usa, britannici e francesi hanno sostenuto, finanziato e appoggiato Hitler nel suo progetto.
Solo la mobilitazione antifascista delle masse popolari, alimentata dal movimento comunista, e le manovre dell’Urss per rompere il fronte imperialista (fino a firmare un patto di non belligeranza con la Germania nel 1939, il patto Molotov-Ribbentrop), li costrinsero, infine, a dichiarare guerra ai nazisti. Guerra nella quale, comunque, non si impegnarono se non quando la sconfitta dei nazisti era oramai evidente e con il principale obiettivo di non lasciare spazio ai sovietici.
Francia e Regno Unito dichiararono guerra alla Germania il 1° settembre 1939 (gli Usa solo nel 1941), giorno in cui comincia l’invasione nazista della Polonia. Ma per mesi rimasero pressoché immobili, dando ai nazisti tutto il tempo per completare la conquista della Polonia, invadere la Danimarca e la Norvegia e, infine, nel maggio del 1940, entrare in Francia passando per i Paesi Bassi e il Belgio, senza incontrare praticamente nessuna resistenza. D’altronde il motto che circolava nell’alta borghesia francese a quei tempi era: “meglio Hitler che il governo del Fronte Popolare” (che aveva vinto le elezioni nel 1936). E non è un caso se i nazisti non ebbero grandi difficoltà nell’installare un regime collaborazionista nel paese (la Francia di Vichy).
Da quel momento gli imperialisti del Regno Unito e dal dicembre del 1941 quelli Usa, entrati formalmente in guerra contro l’Asse dopo l’attacco di Pearl Harbour, resteranno sostanzialmente alla finestra, impegnandosi al massimo su fronti secondari come quello africano. Sperando in un crollo del regime socialista, lasciarono ai nazisti, oramai padroni dell’Europa, tutto il tempo per preparare e portare avanti l’invasione dell’Unione Sovietica.
Solo nel luglio del 1943, quando oramai era già cominciata la travolgente controffensiva sovietica, gli Alleati sbarcarono in Italia, dove si ritrovarono però subito impantanati (Roma sarà liberata solo il 4 giugno del 1944). E solo il successivo 6 giugno, con lo sbarco in Normandia, apriranno un vero e proprio secondo fronte nel cuore dell’Europa, come Stalin chiedeva loro di fare fin dalla fine del 1941.
È stato, invece, il movimento comunista, con l’URSS di Stalin alla testa, che fin da subito promosse la mobilitazione delle masse popolari contro il fascismo e operò per contrastarne l’ascesa; che inviò armi e mezzi e organizzò le Brigate Internazionali in sostegno alla Repubblica spagnola in quello che fu il primo vero confronto militare con i nazisti e i fascisti: la guerra civile spagnola (1936-1939).
E dal momento in cui i nazisti, oramai padroni dell’Europa, si sentirono forti abbastanza per lanciare, nel giugno del 1941, l’invasione dell’URSS, furono i sovietici a sopportare tutto il peso della guerra. Il paese fu invaso da una coalizione che comprendeva eserciti di praticamente tutti i paesi europei sotto il giogo nazista, per un totale di oltre 3 milioni di soldati e 600 mila veicoli corazzati: la più grande forza d’invasione della storia militare. Le armate di Hitler riuscirono a penetrare in profondità nel paese, arrivando in pochi mesi fino ai sobborghi di Mosca.
Ma il Partito comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica fu capace di mobilitare tutte le forze del popolo in un immenso sforzo collettivo per fermare le armate naziste, aumentare la capacità industriale e smontare e ricostruire migliaia di fabbriche dai territori occupati a quelli orientali. In breve tempo l’Urss riuscì a colmare il distacco industriale e militare nei confronti dell’impero nazista che andava da Parigi a Varsavia.
Il 28 luglio del 1942 Stalin emanò l’ordine “Non un passo indietro!”. I nazisti furono fermati nella città di Stalingrado, che divenne per le masse popolari di tutto il mondo il simbolo stesso della resistenza al nazifascismo.
Nell’inverno del 1943 si scatenò poi la controffensiva sovietica: l’assedio di Stalingrado venne rotto, centinaia di migliaia di soldati della coalizione nazista furono catturati. Cominciava l’avanzata che avrebbe portato in due anni i sovietici a liberare tutta l’Europa dall’occupazione nazista, fino a entrare, tra aprile e maggio del 1945, nella capitale tedesca: il 30 aprile Hitler si suicida in una Berlino oramai condannata a cadere in mano ai sovietici e il 9 maggio i nazisti firmano la resa.

30 aprile 1945 – l’Armata Rossa issa la bandiera della vittoria sul Reichstag a Berlino.

L’Unione Sovietica alla testa del movimento comunista – che aveva promosso eroicamente la resistenza partigiana in tutti i paesi occupati – aveva liberato l’umanità dall’incubo nazista, dimostrando la superiorità del sistema socialista e ampliando il campo comunista a mezza Europa.
Il prezzo pagato dal popolo sovietico fu altissimo: 27 milioni di morti tra cui 18 milioni di civili. E ancora oggi questo immenso sacrificio sta lì a dimostrare che comunismo e nazifascismo non solo non sono equiparabili, ma al contrario sono agli opposti, perché il movimento comunista è la sola alternativa alla barbarie del capitalismo di cui il nazifascismo è figlio e strumento.

Fonte: Partito dei CARC

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MAY 9, THE DAY OF VICTORY OVER NAZI-FASCISM

Victory Over Nazi-Fascism Day is celebrated on May 9th. Around this date and what it represents, the bourgeoisie has long been fueling a work of historical revisionism: it tries by every means to demonize communism, equating Stalin’s USSR with Hitler’s Germany, and to name the US and UK imperialists United the greatest merits in the defeat of Nazi-fascism.
This anniversary must, instead, be an opportunity to reaffirm the historical truth and celebrate the heroic sacrifice of the Soviet people and the communist movement, the true architects of liberation from Nazi-fascism.
The historical reality is that the Nazis came to power and unleashed the war with the precise intent of annihilating the Soviet Union and the communist movement, that is, of realizing what was the dream of the entire imperialist bourgeoisie. And, in fact, for a long time the US, British and French imperialists supported, financed and supported Hitler in his project.
Only the anti-fascist mobilization of the popular masses, fueled by the communist movement, and the maneuvers of the USSR to break the imperialist front (to the point of signing a non-belligerence pact with Germany in 1939, the Molotov-Ribbentrop pact), finally forced them to declare war on the Nazis. War in which, however, they did not engage until the defeat of the Nazis was now evident and with the main objective of leaving no room for the Soviets.
France and the United Kingdom declared war on Germany on 1 September 1939 (the USA only in 1941), the day on which the Nazi invasion of Poland began. But for months they remained virtually immobile, giving the Nazis plenty of time to complete the conquest of Poland, invade Denmark and Norway and, finally, in May 1940, enter France via the Netherlands and Belgium, practically without encountering no resistance. On the other hand, the motto circulating among the French upper class at that time was: “better Hitler than the Popular Front government” (which had won the elections in 1936). And it is no coincidence that the Nazis did not have great difficulty in installing a collaborationist regime in the country (Vichy France).
From that moment on, the imperialists of the United Kingdom and from December 1941 those of the USA, who formally entered the war against the Axis after the attack on Pearl Harbour, essentially remained on the sidelines, committing themselves to the maximum on secondary fronts such as the African one. Hoping for a collapse of the socialist regime, they left the Nazis, now masters of Europe, plenty of time to prepare and carry out the invasion of the Soviet Union.

Only in July 1943, when the overwhelming Soviet counteroffensive had already begun, did the Allies land in Italy, where they immediately found themselves bogged down (Rome was only liberated on 4 June 1944). And only on the following 6 June, with the landing in Normandy, will they open a real second front in the heart of Europe, as Stalin had asked them to do since the end of 1941.
It was, however, the communist movement, with Stalin’s USSR at its head, which immediately promoted the mobilization of the popular masses against fascism and worked to counter its rise; who sent weapons and equipment and organized the International Brigades in support of the Spanish Republic in what was the first real military confrontation with the Nazis and fascists: the Spanish Civil War (1936-1939).
And from the moment the Nazis, now masters of Europe, felt strong enough to launch the invasion of the USSR in June 1941, it was the Soviets who bore the full weight of the war. The country was invaded by a coalition that included armies of practically all the European countries under the Nazi yoke, for a total of over 3 million soldiers and 600 thousand armored vehicles: the largest invasion force in military history. Hitler’s armies managed to penetrate deep into the country, reaching the suburbs of Moscow within a few months.
But the Communist Party (Bolshevik) of the Soviet Union was able to mobilize all the forces of the people in an immense collective effort to stop the Nazi armies, increase industrial capacity and dismantle and rebuild thousands of factories from the occupied territories to the eastern ones. In a short time, the USSR managed to bridge the industrial and military gap with the Nazi empire that stretched from Paris to Warsaw.
On July 28, 1942, Stalin issued the order “Not a step back!”. The Nazis were stopped in the city of Stalingrad, which became the very symbol of resistance to Nazi-fascism for the popular masses all over the world.
In the winter of 1943, the Soviet counteroffensive was unleashed: the siege of Stalingrad was broken, hundreds of thousands of soldiers of the Nazi coalition were captured. The advance began which would lead the Soviets to liberate all of Europe from Nazi occupation in two years, until they entered the German capital between April and May 1945: on 30 April Hitler committed suicide in a Berlin now condemned to fall into Soviet hands and on May 9 the Nazis sign the surrender.

April 30, 1945 – The Red Army raises the victory flag over the Reichstag in Berlin.

The Soviet Union at the head of the communist movement – which had heroically promoted partisan resistance in all occupied countries – had freed humanity from the Nazi nightmare, demonstrating the superiority of the socialist system and expanding the communist camp to half of Europe.
The price paid by the Soviet people was very high: 27 million deaths, including 18 million civilians. And even today this immense sacrifice is there to demonstrate that communism and Nazi-fascism are not only not comparable, but on the contrary they are opposites, because the communist movement is the only alternative to the barbarism of capitalism of which Nazi-fascism is the son and instrument.

Source: Italian CARC Party

PERCHE’ E’ IMPORTANTE INTERVENIRE NELLE PIAZZE DELLA CGIL

Alla luce del sole tutto prende colore

https://www.carc.it/2024/04/29/perche-e-importante-intervenire-nelle-piazze-della-cgil/

di Teresa Noce Aprile 29, 2024

Spesso abbiamo scritto articoli sul ruolo e il valore delle mobilitazioni organizzate dalla CGIL. É necessario tornare a parlarne, perché molti compagni svalutano e disertano queste mobilitazioni e molti altri sono tentati costantemente di farlo.

Di motivi per giustificare una simile condotta se ne possono trovare quanti se ne vogliono, la storia dei sindacati di regime degli ultimi quaranta e più anni ne offrono di molteplici. Ma per chi vuole dare il suo contributo a costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese o più semplicemente contribuire a costruire una prospettiva di riscossa per le masse popolari, astenersi dall’intervenire nelle piazze della CGIL equivale a una resa, all’abbandono di migliaia di lavoratori nelle mani di Landini, lasciando a lui l’iniziativa e il lusso di decidere cosa fare o non fare.

Questo ragionamento è valido sempre, ma lo è a maggior ragione in questa fase. Non viviamo episodi di rivolta generalizzata, ma molteplici sono i segnali, certo ancora slegati fra loro, di un sommovimento generale nel campo delle masse popolari per fare fronte agli effetti della crisi, alla spirale di guerra in cui la Comunità Internazionale degli imperialisti USA, sionisti e UE sta trascinando il mondo e alle misure antipopolari (l’agenda Draghi aggravata dall’economia di guerra) del governo Meloni.

In questo contesto la campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno (e le amministrative, laddove si terranno) sono un’occasione in cui il nemico di classe scopre il fianco e si acuiscono le contraddizioni fra le varie fazioni della classe dominante.

Dato questo scenario, le iniziative e le mobilitazioni che i vertici della CGIL stanno portando avanti sono contemporaneamente tre cose:

– un ingrediente della campagna elettorale del polo PD delle Larghe Intese (quindi PD e tutti i suoi cespugli, di cui i vertici della CGIL sono parte integrante);

– una possibilità di mobilitazione su ampia scala dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Meloni e contro il corso disastroso delle cose;

– una enorme potenzialità per trasformare la partecipazione a quelle manifestazioni in un’irruzione degli organismi operai e popolari nella campagna elettorale in corso.

La prima è ciò che i vertici CGIL e il PD hanno pianificato e perseguono, le altre due sono potenzialità e possibilità su cui i comunisti possono e devono intervenire affinché si sviluppino.

Per parlare chiaramente, la collusione dei vertici CGIL con il sistema delle Larghe Intese che governa il nostro paese e la sua collaborazione nello smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dai lavoratori nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, sono dati di fatto indiscutibili.

Ma allo stesso tempo è un dato di fatto indiscutibile anche che la massa di iscritti alla CGIL è costituita da lavoratori e da una grossa fetta della classe operaia del nostro paese. Si tratta di gente che ha oggettivamente interesse a combattere i governi delle Larghe Intese per imporre un governo che attui le misure che (a parole) rivendica anche Landini.

Di fronte a questa natura e composizione, come devono porsi i comunisti e chi vuole realmente darsi i mezzi per cambiare e vincere?

Alla luce del sole tutto prende colore: chi vuole cambiare le cose deve essere quel sole che permette al colore di manifestarsi, di sviluppare le sue potenzialità.

Il discorso sul rapporto fra vertici sindacali e iscritti è valido anche per gli altri sindacati di regime, ma qui ci concentriamo sulla CGIL in virtù del suo ruolo politico particolare. Un ruolo politico che è dato principalmente proprio dalla composizione della sua base, che è fatta di lavoratori che spesso hanno la falce e il martello nel cuore e che aspirano (seppur in molti casi confusamente) a cambiare lo stato di cose presente.

Questo ruolo è dimostrato dal fatto che più la CGIL si instrada su un cammino di opposizione aperta al governo Meloni, nel solco di parole d’ordine politiche, maggiore è la partecipazione che riesce a promuovere. In questo senso, l’esempio eclatante viene dalla partecipazione popolare alla manifestazione “La Via Maestra” dello scorso 7 ottobre che ha visto scendere in piazza 200 mila persone sulla parola d’ordine “applicare la Costituzione”.

Applicare la Costituzione significa lavorare per dare al paese un governo che attui quello che i vari organismi operai e popolari sparsi in tutto il paese rivendicano. Attuare coerentemente queste rivendicazioni è darsi un programma politico, di governo: è quello che noi sintetizziamo con le sette misure del Governo di Blocco Popolare (GBP).

Per i comunisti e anche per i militanti delle organizzazioni sindacali di base, porsi in modo settario verso gli iscritti ai sindacati di regime è un grave errore. Anche quando questi ripongono cieca fiducia nei vertici delle loro organizzazioni, la loro collocazione di classe ci pone il dovere di intervenire su di loro: è la nostra gente.

É sbagliato, dannoso, confondere gli iscritti con i vertici della CGIL. Hanno fiducia in Landini? Bene, allora dobbiamo puntare a organizzarli e mobilitarli sulle stesse parole d’ordine che lui solleva, sviluppare la loro autonomia d’azione, dare le gambe a quanto Landini spara solo per fare la voce grossa.

Il fattore rivoluzionario non è spararla più grossa di lui, ma sviluppare organizzazione e spirito di iniziativa. Questo emancipa realmente i lavoratori da una dirigenza parolaia e inconcludente. Dobbiamo contrastare la tendenza alla delega a cui i lavoratori sono costantemente educati e utilizzare la propaganda che i vertici sindacali sono costretti a fare per mantenere il loro ruolo, trasformandola in un programma di lotta, di organizzazione e di governo.

Fonte: Partito dei CARC

English translate

WHY IT IS IMPORTANT TO INTERVENE IN THE SQUARES OF THE CGIL

In the sunlight everything takes color

We have often written articles on the role and value of the mobilizations organized by the CGIL. It is necessary to talk about it again, because many comrades devalue and desert these mobilizations and many others are constantly tempted to do so.

You can find as many reasons to justify such conduct as you like; the history of the regime’s trade unions over the last forty or more years offers many. But for those who want to give their contribution to building the socialist revolution in our country or more simply to contribute to building a prospect of recovery for the popular masses, abstaining from intervening in the CGIL squares is equivalent to a surrender, to the abandonment of thousands of workers in Landini’s hands, leaving him the initiative and the luxury of deciding what to do or not do.

This reasoning is always valid, but even more so at this stage. We are not experiencing episodes of generalized revolt, but there are many signs, certainly still unrelated to each other, of a general upheaval in the field of the popular masses to deal with the effects of the crisis, the spiral of war in which the International Community of US imperialists, Zionists and the EU is dragging the world and the anti-popular measures (the Draghi agenda aggravated by the war economy) of the Meloni government.

In this context, the electoral campaign for the European elections on 8 and 9 June (and the local elections, where they will be held) are an occasion in which the class enemy exposes its side and the contradictions between the various factions of the ruling class become more acute. .

Given this scenario, the initiatives and mobilizations that the CGIL leaders are carrying out are three things at the same time:

– an ingredient of the electoral campaign of the PD pole delle Larghe Intese (therefore PD and all its bushes, of which the leaders of the CGIL are an integral part);

– a possibility of large-scale mobilization of workers and the popular masses against the Meloni government and against the disastrous course of things;

– an enormous potential to transform participation in those demonstrations into an irruption of workers’ and popular organizations in the ongoing electoral campaign.

The first is what the CGIL and PD leaders have planned and are pursuing, the other two are potentials and possibilities on which the communists can and must intervene so that they develop.

To speak clearly, the collusion of the CGIL leaders with the system of Broad Understandings that governs our country and its collaboration in the dismantling of the rights and conquests obtained by workers during the first wave of the proletarian revolution, are indisputable facts.

But at the same time it is also an indisputable fact that the mass of CGIL members is made up of workers and a large portion of the working class of our country. These are people who objectively have an interest in fighting the governments of the Broad Ententes to impose a government that implements the measures that (in words) Landini also demands.

Faced with this nature and composition, how should communists position themselves and who really wants to give themselves the means to change and win?

In the light of the sun everything takes color: whoever wants to change things must be that sun that allows color to manifest itself, to develop its potential.

The discussion on the relationship between union leaders and members is also valid for other regime unions, but here we focus on the CGIL by virtue of its particular political role. A political role that is mainly given by the composition of its base, which is made up of workers who often have the hammer and sickle in their hearts and who aspire (albeit in many cases confusedly) to change the present state of affairs.

This role is demonstrated by the fact that the more the CGIL follows a path of open opposition to the Meloni government, following political slogans, the greater the participation it manages to promote. In this sense, the striking example comes from the popular participation in the “La Via Maestra” demonstration last 7 October which saw 200 thousand people take to the streets under the slogan “apply the Constitution”.

Applying the Constitution means working to give the country a government that implements what the various workers’ and popular organizations spread across the country demand. To consistently implement these demands is to give ourselves a political, government program: this is what we summarize with the seven measures of the Popular Bloc Government (GBP).

For the communists and also for the militants of the basic trade union organizations, approaching the members of the regime’s trade unions in a sectarian manner is a serious mistake. Even when they place blind trust in the leaders of their organizations, their class position places on us the duty to intervene on them: they are our people.

It is wrong, harmful, to confuse members with the leaders of the CGIL. Do they trust Landini? Well, then we must aim to organize and mobilize them on the same slogans that he raises, develop their autonomy of action, give legs to what Landini uses only to raise his voice.

The revolutionary factor is not to be louder than him, but to develop organization and a spirit of initiative. This truly emancipates workers from a talkative and inconclusive management. We must counter the tendency to delegate which workers are constantly educated in and use the propaganda that union leaders are forced to do to maintain their role, transforming it into a program of struggle, organization and government.

Source: Italian CARC Party

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente dalla Geoingegneria Solare SRM

SCATTANO IL 1 GENNAIO 2024 I LICENZIAMENTI ALLA EX-GKN DI FIRENZE: PRESIDIO DEI LAVORATORI LA NOTTE DI CAPODANNO

Imminenti i 185 licenziamenti alla Gkn di Firenze, effettivi il 1 gennaio 2024. Il Collettivo di Fabbrica organizza un Capodanno di protesta

Pubblicato il: 26-12-2023 17:48

Autore: Gabriele Silvestri

Il 1 Gennaio 2024 rappresenterà il momento cruciale per i lavoratori dell’ex GKN di Campi Bisenzio (Firenze), poiché i 185 licenziamenti annunciati da Qf diventeranno ufficiali a mezzanotte, tra domenica e lunedì. Mentre la Fiom ha presentato un ricorso per comportamento antisindacale, nella speranza che il giudice del lavoro possa intervenire prima della scadenza, il Collettivo di Fabbrica ha organizzato una manifestazione di protesta per la notte di Capodanno, con interventi, concerti e un dj set per mobilitare il territorio.

Il futuro dei lavoratori Gkn

Il countdown verso la mezzanotte del 1 gennaio non rappresenta solo il passaggio al nuovo anno per i lavoratori dell’ex Gkn, ma segna anche l’inizio di una svolta cruciale.

La decisione della Qf di procedere con i 185 licenziamenti sarà effettiva dal primo gennaio, a meno che la FIOM non ottenga una vittoria in tribunale per il comportamento antisindacale, come già accaduto nel 2021.

Il Collettivo di Fabbrica ha invitato la città di Firenze ad abbracciare la protesta dei lavoratori dell’ex-GKN https://notizie.virgilio.it/scattano-il-1-gennaio-i-licenziamenti-alla-ex-gkn-di-firenze-presidio-dei-lavoratori-la-notte-di-capodanno-1599522

In quella occasione, centinaia di lavoratori videro sfumare il proprio posto di lavoro da un giorno all’altro, con l’avvenuto licenziamento comunicato semplicemente attraverso una e-mail.

Manifestazione di Capodanno

Dario Salvetti, del Collettivo di Fabbrica, ha espresso incertezza sulla tempistica della sentenza, ma nel frattempo la mobilitazione continua.

Il Collettivo ha infatti programmato un Capodanno di protesta, definito una “gioiosa barricata” che inizierà alle 18 con interventi significativi, seguiti da un concerto con The Magnetics e I Meganoidi tra gli altri, e un dj set a seguire.

L’obiettivo è coinvolgere la comunità locale in un momento di consapevolezza e solidarietà per affrontare insieme la sfida dei licenziamenti imminenti.

Il commento

“Il 31 dicembre sarà una serata difficile da prevedere, la più strana di tutta questa nostra vicenda” ha spiegato Dario Salvetti. “Una serata di lotta, veglia, comizio e concerto. Non abbiamo voglia di divertirci perché dal primo gennaio scattano i licenziamenti, ma sarà comunque una festa. E siamo sereni, perché non possiamo fare altro”.

Il Collettivo ha da tempo denunciato il rischio di speculazione sullo stabilimento di Campi Bisenzio, e la situazione si è complicata ulteriormente con le variazioni societarie di inizio ottobre.

Nel frattempo, il silenzio della politica di fronte alla richiesta di un intervento pubblico ha alimentato le preoccupazioni dei lavoratori. “Questo governo ha gettato la maschera, è complice nella chiusura di Gkn, non lo diciamo noi, ma la sua azione” ha dichiarato Salvetti.

La sentenza attesa

La sentenza del giudice del lavoro, se arriverà entro il 1 gennaio, sarà decisiva per il futuro dei licenziamenti alla Gkn. Tuttavia, il Collettivo di Fabbrica considera molteplici fattori nella decisione sul proseguimento del presidio di viale Fratelli Cervi, inclusa la loro stanchezza e la situazione del territorio.

Nonostante la resistenza eroica dei lavoratori, è evidente la necessità di coinvolgere l’intera società per affrontare le sfide future: “Siamo sereni, ma è giusto richiamare l’intera società alle proprie responsabilità. Sentiamo la vicinanza del territorio, che però si sta ammalando della stessa stanchezza” ha spiegato Salvetti.

Fonte: Virgilio Notizie

Italy’s Longest-Ever Factory Occupation Shows How Workers Can Transform Production

BY FRANCESCA GABBRIELLINI GIACOMO GABBUTI

The dismissed workers of the GKN factory take part in a protest against the G20 World Leaders Summit in Rome, Italy, October 30, 2021. (Stefano Montesi / Corbis via Getty Images)
https://jacobin.com/2023/04/italy-gkn-factory-occupation-transform-production-workers-jobs-climate-change

For two years, the GKN auto parts plant in Florence, Italy, has been occupied by laid-off workers. It’s the longest factory occupation in Italian history — and its retooling for green production shows how workers can reorganize the economy while saving jobs.

n Saturday, March 25, the streets of Florence were filled with thousands of people from all over Italy, marching in solidarity with workers from the former GKN factory in nearby Campi Bisenzio. The struggle at the plant had begun on July 9, 2021, when the auto parts producer’s 422 workers were abruptly dismissed. Contrary to the plans of the owner — British investment fund Melrose Industries — the workers occupied the plant, and they have been keeping it (and the millions of euros’ worth of machinery it contains) in order ever since. It is now the longest factory occupation in Italian history.

In that time, the workers at the ex-GKN plant have launched a massive solidarity movement, fighting to prevent the plant from being yet another milestone in Italy’s long deindustrialization. As we explained in an article last summer, this dispute is remarkable for many reasons. It comes amidst a political situation where the Left in its various forms has been shut permanently out of Parliament and increasingly marginalized in society, and indeed where post-fascist movements have extended their grip. It also confronts the generally dismal power relations in the world of labor — Italy is the only Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) country where wages have fallen in real terms over the last three decades.

But the period since last summer has also seen many developments: not only because of the broader solidarity for the workers, but also because this dispute is combined with the fight for a just transition. Tellingly of this broader cause, the call for the March 25 march was signed by hundreds of associations — from unions to movement spaces, via students, parties, social centers, civic lists, and personalities, including international figures such as Miguel Benasayag, Adrian Lyttelton, and João Pedro Stedile. It closed with the slogan: “Let’s break the siege, let’s try to make the future.”

The ”siege” against these workers takes the form of the nonpayment of their salaries for some six months — a “de facto dismissal,” which has put them in the absurd condition of having neither social security nor salary, even as they deal with soaring inflation. The “future” here invoked means public intervention so that the liquidation procedure by the new owners is stopped, and the workers are allowed to pursue their own “reindustrialization from below.”

Indeed, for decades, Italian institutions have given up on any attempt at industrial policy — a situation that hasn’t changed with Europe’s post-pandemic recovery plans. The ex-GKN Factory Collective and those in solidarity with it are instead taking their own initiative to move toward a green transition. The aim: to reverse the spiral of relocations, divestments, and starvation wages that Italy has been heading down for at least three decades. To avoid a once great factory ending up as an empty shed, ready to become an eco-monster or the latest site of real estate speculation, the workers are striving to recover it on a cooperative basis, advancing their own plan to produce photovoltaic panels, batteries, and cargo bikes.

The workers’ collective has created broad alliances, with movements ranging from feminists to green causes. This is particularly visible in the climate strikes it has organized together with youth-led movements over the last two years. The ex-GKN struggle thus combines what is also called an “old” form of mobilization — the defense of workers’ jobs and a distinct class-based view of social relations — with a “new” one, i.e., the fight against climate change. For want of public intervention, it has launched a crowdfunding drive also supported by the Italian wing of Fridays for Future, with a view to “popular shareholding” in the future cooperative. But to understand why this support is important, it is worth explaining how we got to this point.

Boiled-Frog Tactic

When we last wrote about this dispute in summer 2022, dark clouds were already gathering that would soon bring Giorgia Meloni’s post-fascist Fratelli d’Italia to high office. By a curious twist of history, this happened almost upon the centenary of the March on Rome, the fascist takeover in October 1922.

In the early 1920s, Benito Mussolini’s regime first appeared in the guise of liberal free-marketeer austerity before veering toward more interventionist policies after the Great Crash. This may itself have raised some doubts over what attitude Fratelli d’Italia would take toward industrial policies. Yet, the list of new ministries produced in October was enough to dispel any uncertainty about the new right’s cultural subalternity to neoliberalism. The ministry responsible for dealing with industrial policies and crises, known since 2008 as the “Ministry of Economic Development,” has tellingly been renamed the “Ministry of Enterprises and Made in Italy” (in English, despite the government’s recently launched battle against the public use of foreign languages). Meanwhile, the former Environment Ministry, in 2021 becoming the Ministry of Ecological Transition, has now been more autarkically renamed “Ministry of Environment and Energy Security.”Right from the start, the workers’ collective suspected that the new owner’s operation was only about buying time — moreover, with the aid of public money.

In such conditions, the first industrial “plan” launched by the ex-GKN workers and supportive researchers in December 2021 (an English presentation will soon be available here) as well as the call for a new public engagement in industrial policies, has been permanently shelved. The steadily widening solidarity network has thus instead gone back to work on a bottom-up conversion plan.

In fact, the lack of even potential institutional aid contrasts with the rather peculiar “presence” of the new ownership: the president of Unindustria Cassino, Francesco Borgomeo. Initially an advisor to Melrose in seeking to find buyers, he reinvented himself as savior: on December 23, 2021, saving Christmas and the factory, he announced he would himself be the buyer and was awaiting investors and business plans. Maximum secrecy had to be maintained on both fronts, but they were enough to bring Fiducia (Confidence) and a “Future” to the Florence Factory. From these four “F”s came the company’s new, rather absurd name QF Spa — literally, “Four F Co.”

Right from the start, the workers’ collective suspected that the new owner’s operation was only about buying time — moreover, with the aid of public money. This would mean getting staff layoff funds from the state, stripping the plant of millions of euros’ worth of machinery, waiting for the workers’ mobilization to wind down, and gradually waiting for them to leave, after a year of uncertainty at 60 percent salary.

Taking a metaphor from Noam Chomsky, the workers’ collective has since described this as the principle of boiling a frog without it noticing the water heating up. As one Christian Democratic premier, Giulio Andreotti, once put it, “To think badly of people is a sin, but is often bang on the money.” Since January 2022, when it signed the framework agreement with the then Ministry of Economic Development, QF has failed to meet any deadlines. The new ownership’s inconsistency reached its height in July 2022 when, instead of industrial plans, admirable slides were presented to ministers, outlining the possibility of collaboration with a consortium of innovative companies. This was supposed to mean installing “a research and development center on mechatronics and industrial electronics” at the factory; but once again, the announcement was not followed by any concrete measures, never mind flesh-and-blood investors.

Workers’ Mutual Aid

These months, in which Borgomeo shunned engagement with the workers but reassured them that things would soon get going again, were used to reorganize the support groups, starting with the creation of a legal team. Activities ranged from the Food Brigade, which keeps the workers’ canteen open on the three shifts of the permanent occupation, to Cultural Convergence: self-education activities open to the public. These latter are anchored in the right to 150 hours’ study (generally every three years) provided for by the Workers’ Statute (the state labor code) and the metalworkers’ collective bargaining agreement.

Locals in solidarity with the workers as well as national-level writers and intellectuals took part, together with Edizioni Alegre — publisher of Jacobin Italia — organizing the first Italian Festival of Working-Class Literature between March 31 and April 2 in the occupied factory itself. Funded by a two-week crowdfunding campaign, the festival brought together Italian authors such as co-organizer Alberto Prunetti and working-class voices such as Cash Carraway, D. Hunter, Cynthia Cruz, and Anthony Cartwright. During the second day — attended by some fourteen hundred people, after the six hundred of the first day — the workers could read the solidarity message from director Ken Loach, who highlighted the importance of working-class writing to the class struggle.The workers’ assembly expresses its intention to recover values of reciprocity, solidarity, and mutualism, deeply rooted in the labor movement since the nineteenth century.

The “reindustrialization from below” is also following a new course. The Solidarity Research Group has in recent months transformed into a broader Reindustrialization Group, putting together the factory’s “CV,” mapping the factory layout and inventorying all the machinery and logistical infrastructure. It is also scouting projects to make use of its machinery and skills and to concretize the objectives outlined in the “plan”: the reconversion toward sustainable mobility and renewable energy.

At the same time, the collective began to think about mutualist approaches, which would allow at least a minority of them to reactivate micro-production (for instance, a brewery). But they also began thinking about the agri-food chain, and what and how we consume. In October, the workers’ assembly also launched the Soms Insorgiamo Social Promotion Association to regularize these activities. Officially established in January 2023, right from its name Soms (Società Operaia di Mutuo Soccorso; Workers’ Mutual Aid Society), it expresses its intention to recover values of reciprocity, solidarity, and mutualism, deeply rooted in the labor movement since the nineteenth century.

Reindustrialization From Below

This brings us to November 2022, a new watershed for the dispute. Indeed, since this point, the workers have received neither their salaries nor pay slips certifying their wages. Access to records by the legal team reveals QF’s repeated attempts to obtain Cassa integrazione ordinaria — that is, redundancy payments from the state — have been rejected due to the lack of a business plan. Apart from a threat to clear out the occupied plant, contacts with the ownership have become almost nil: the labor court has granted dozens of injunctions for the payment of overdue wages.

All that was being waited for was an announcement of the company’s liquidation: this came on February 21, three days after yet another ministerial discussion, attended by a commissioner who could only admit that he had not had time to look into the matter in depth, before he was replaced on March 7. Borgomeo, meanwhile, accuses the ex-GKN workers’ “Insorgiamo movement” of driving away investors by occupying the factory. They had, however, also been occupying the factory back in December 2021, when Borgomeo himself cited the experienced and motivated workforce as an asset of the factory he had decided to buy.

The work groups at the plant soon undermined his claims: from December 2022, a German-Italian startup engaged in new technologies and products related to clean energy production began close talks with the Factory Collective — exploring the possibility of producing cutting-edge photovoltaic panels and batteries at the plant. By this they meant products whose production would not involve the use of rare earths — with obvious reduction of the social impact and supply difficulties of the current geopolitical period — and which would even have the certification of ordinary waste, also averting the problem of disposal.

Taking up René Goscinny and Albert Uderzo’s famous characters from Asterix the Gaul, this summer cartoonist Zerocalcare depicted the factory as the small Gallic village, which, with the magic potion of organization and solidarity, resists the aggression of Julius Caesar’s Roman legions. The Factory Collective not only withstands the siege, but seems to succeed in achieving the objectives so bombastically declared in National Agendas and Plans.From December 2022, a German-Italian startup engaged in new technologies and products related to clean energy production began close talks with the Factory Collective.

Parallel to the technical issues surrounding industrial plans and labor organization, the work groups focused on the issue of ownership structure, including by studying the possibility of a worker buyout. In Italy such operations are regulated by the Marcora Law of 1985, which provides for public funds to safeguard workers affected by attempts at industrial relocation or liquidation and who intend to take over ownership in a cooperative structure. Usually, with such processes, the startup capital is built up through workers investing their severance pay. But in the GKN case, the idea is that local supporters should play a leading role in reactivating production, as in the struggle itself. Thus the idea of the popular shareholder campaign was born, and dialogues began with Banca Etica (an Italian ethical finance body, which has been in solidarity with the GKN struggle since the opening of the Resistance Fund) and other such institutions.

Alongside the identification of the plant’s future core business, involving the initial employment of 110-120 workers, other projects have been developing. In terms of sustainable mobility, the possibility of developing cargo-bikes was studied, both for proximity logistics and for handling items within large warehouses. Again, working groups interacted with companies already engaged in the sector to develop a concrete development plan, with the hope of employing up to thirty to forty people across production and sales.

The first cargo-bike prototype entirely “made in GKN,” painted in the same purple as Florence’s Serie A soccer team, was presented with great enthusiasm in February, complete with reviews from trade magazines such as Bike Italia. That was also when the third “leg” of the workers’ proposal was presented to citizens: the transformation of the plant into a Renewable Energy Solidarity Community, in synergy with the production of solar panels, which will also serve to achieve the plant’s energy autonomy. Once the core business is up and running and it is calculated how much energy is needed to keep it running, the surplus production can be put back into the general grid, benefiting the whole territory.

The Frog’s Jump

wenty months after the first layoff, and after more than a year of boiling in the pot of new ownership, the frog is exhausted, under pressure psychologically as well as in terms of its income. But the months of “waiting” have served to find energy, allies, and ideas. The answer to the siege, in March 2023 as in July 2021, is to go on the counterattack. If the ownership retreats, and institutions continue to be unable to provide solutions, it will be the workers of the former GKN who will again have to be the “experts.”

One demand is the payment of what is owed to the workers — just on the eve of the demonstration, on March 23, the court held its first hearing on the nonpayments. Once again, despite accusations of “illegality” often leveled against the workers, the courts agreed with their claims. But as one of the workers said at the demo, “if I don’t pay my bills, the next day they’ll cut off my electricity, and yet when I haven’t been paid for six months, even if the court agrees with me, I don’t get a single euro.”

At the same time, the Florence protest called for reindustrialization from below. On March 16, amidst preparations for the march, the “Ex GKN for Future” crowdfunding campaign was launched, building toward the popular shareholding that will support the factory’s future. It is a campaign that anyone can back on the portal Produzioni dal Basso (English, French, German, and Spanish translations are also available) and that has raised almost €60,000 in two weeks. The support comes from across Italy, but also beyond: contacts with the startup also allowed a worker delegation to meet German environmentalists in Leipzig and Berlin during the last climate strike.

The first phase, so-called reward crowdfunding, aims to raise many small shares, which will make up the first core of capital, to meet the startup costs of the new cooperative and to cover the first dues for its final legal establishment. Next, equity crowdfunding will be launched, aimed at finding larger investors. Finally, having started panel production, it will be time for so-called product crowdfunding — getting in orders, especially from other recovered enterprises and production cooperatives, who will find in the ex-GKN a powerful ally on the road to the just transition.

Already on March 25, thousands of us flocked to Florence to defend the workers. But with the crowdfunding and popular shareholder campaign, it’s time for those in solidarity with the dispute — even people who can’t physically attend protests — to rally around the cause. As the Factory Collective puts it, “It’s time that the frog jumps. Either the worst defeat or a leap into the future.” So let us attempt this future. All we have to lose, after all, is starvation wages and climate catastrophe.

Source: Jacobin

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

FRANCIA: “PREFERIAMO MANGIARE PATATE CHE CREPARE AL LAVORO”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/04/08/francia-preferiamo-mangiare-patate-che-crepare-al-lavoro-0159096

Giovedì 6 aprile si è svolto l’undicesimo sciopero inter-professionale e l’undicesima mobilitazione nazionale contro la riforma pensionistica con manifestazioni in tutto l’Esagono.

Il giorno precedente, il capo dell’esecutivo Elisabeth Borne aveva ricevuto, senza che ciò sortisse alcun esito positivo, le otto organizzazioni sindacali che hanno fin qui guidato la protesta.

L’incontro, è stato un vero e proprio «fallimento» dal punto di vista dei sindacati. Da una parte i membri dell’intersindacale chiedevano il ritiro della riforma, a cui Borne ha risposto picche; dall’altra il Primo Ministro avrebbe voluto “superare” il dossier sulle pensioni ed avviare la discussione su altri cantieri che il governo ha intenzione di aprire ricevendo a sua volta un netto rifiuto.

Cyril Chabanier, presidente confederale della CFTC – il sindacato dei “quadri” – ha affermato a nome di tutta l’intersindacale: «Noi abbiamo ribadito alla prima ministra che non ci sarebbe altra soluzione democratica che non sia il ritiro del testo. La prima ministra ha risposto che lei ha intenzione di mantenere il suo testo. Una decisione grave».

Un testo, è sempre bene ricordarlo, che non è stato votato in Assemblea Nazionale per il timore che fosse bocciato da un governo che ha poi evitato di un soffio la sfiducia.

E’ significativo che anche il leader di una delle formazione sindacali più “moderate” come la CFDT, ribadisca un concetto già espresso e nuovamente attaccato anche dal presidente Macron: «stiamo vivendo una grave crisi democratica, avevamo una crisi sociale che si trasforma in crisi democratica».

Ancora più chiara la nuova leader della CGT, Sophie Binet, per cui «il governo è barricato in un bunker» ed è «in aperta rottura nei confronti del paese»

La torsione autoritaria della Francia si esprime sostanzialmente in due forme: la sordità del Presidente e dell’Esecutivo di fronte alle richieste della piazza, con milioni di persone che da tre mesi scendono in strada sostenute dalla maggioranza della popolazione, da tutto l’arco sindacale e dall’opposizione politica – sia di sinistra (NUPES, guidata da Mélénchon) che di estrema destra (RN di Marine Le Pen); dall’altra l’escalation della repressione.

Un sondaggio Viavoce pubblicato giovedì dal quotidiano “Libération” certifica il livello di delegittimazione del “Presidente dei Ricchi”.

Il 65% giudica negativamente l’operato di Macron – il 43% lo considera “molto negativo” ed il 22% “abbastanza negativo” – mentre solo un 26% lo giudica positivamente ed “entusiasma” solo il 4% degli intervistati (gli imprenditori, insomma)!

Il 75%, ad un secondo quesito più articolato, dichiara che il Presidente “non è vicino alla gente”, ed ad una terza domanda – anch’essa più articolata – il 69% ha risposto che “non rispetta le opposizioni politiche”.

A parte ciò che concerne la politica estera per cui, comunque, solo il 36% – contro il 53% – dei francesi intervistati ha fiducia che “promuoverà il posto della Francia a livello internazionale”, su tutti i principali dossier del quinquennio viene espressa una sfiducia netta, con un picco del 68% rispetto alle questioni sociali.

Tutti i sondaggi sono sempre da prendere “con le pinze”, ma in questo caso sembrano fornire un sismografo molto attendibile sulla profonda sfiducia nei confronti del “Presidente dei Ricchi” comunque abbondantemente bocciato dalla piazza.

Un dato colpisce particolarmente: il 55% degli intervistati pensa che “le libertà”, dal 2017 – anno in cui è stato eletto per il suo primo mandato presidenziale -, siano regredite.

Anche chi è d’accordo con le mobilitazioni, che sempre più spesso vedono scontri violenti con forze dell’ordine, ha timore a manifestare per timore dell’azione repressiva.

A questa percezione contribuisce l’attuale Ministro Gérald Darmanin, che è arrivato addirittura a criticare la Lega dei Diritti dell’Uomo per i rilievi fatti rispetto all’operato delle forze dell’ordine.

Le sue parole sibilline, con le quali lasciava intravedere una revisione delle sovvenzioni statali nei confronti della storica associazione che difende i diritti civili, ha spinto un centinaio di esponenti del mondo della cultura a scrivere una lettera aperta al presidente Macron affinché condanni pubblicamente le proposizioni di Darmanin.

Scrivono tra l’altro in questo appello i firmatari: «Noi non faremo l’affronto di rimproverarvi di ignorare che questi stessi militanti furono tra i bersagli principali della repressione del regime di Vichy».

Parole come pietre. Ma è chiaro che il semplice “monitoraggio” degli abusi in divisa è considerato un delitto di lesa maestà.

La solita geniale vignetta di Allan Barte immagina uno scambio tra il Presidente, preoccupato che le persone possano essere indignate per le posizioni del suo Ministro dell’interno, supponendo che vogliano instaurare «un regime non troppo democratico». Darmanin risponde: «Sì ma se lasciamo la Lega dei Diritti dell’Uomo lavorare, le persone sapranno che instauriamo un regime non molto democratico».

Per descrivere il personaggio, un ex gollista passato armi e bagagli alla Macronie per un posto da ministro, basti dire che è andato al congresso nazionale del maggiore sindacato della polizia a Parigi – Alliance Police – declamando tra l’entusiasmo dei 400 convenuti: «j’aime les flics», traducibile con «amo gli sbirri»!

Lui e Macron si sono scagliati in toni pesantissimi contro “l’ultra-sinistra” ed il suo “terrorismo intellettuale”, ma sono silenti sul montante fenomeno del terrorismo di estrema-destra, nonostante le ripetute avvisaglie sulla sua pericolosità.

Tornando alla mobilitazione di giovedì, il Ministero dell’interno ha contato 570mila persone, mentre gli organizzazioni hanno stimato a 2 milioni il numero dei partecipanti.

Al di là dei numeri è chiaro che, al di là della leggera flessione dopo 3 mesi di mobilitazione, che non si può assolutamente parlare di riflusso. Anche perché rimangono fortemente mobilitati i settori strategici che fino a qui sono stati la colonna vertebrale degli scioperi, e le casse di solidarietà hanno visto affluire e ridistribuire cifre record per i lavoratori che hanno perso più giornate di lavoro, come quelli del petrolchimico o gli operatori ecologici.

Diamo qualche numero su alcune di queste iniziative.

La cassa di resistenza creata alcuni anni fa dalla CGT Info’com ha raccolto e già versato 3,5 milioni d’euro, cioè 250 mila in più della mobilitazione precedente.

Un Piquet de Stream su Twitch, dal 18 gennaio al 20 marzo, aperto da alcune persone impegnate nella mobilitazione, ha totalizzato 90 mila euro.

La “Caisse de grève insoumise” di LFI ha raccolto e messo a disposizione 850 mila euro, distribuiti ai lavoratori dei tre inceneritori di Parigi (Ivry-sur-senne, Issy-les-Moulineaux, Saint-Ouen) che per tre settimane hanno messo in ginocchio il sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti, e che dal 13 aprile saranno ancora in sciopero prolungato a tempo determinato.

Tra i molti che sostengono lo sciopero con questa modalità ci sono persone che non possono più scioperare, come i pensionati (anche loro in grandissima maggioranza contrari alla riforma), o che hanno difficoltà a farlo per la posizione che rivestono, come i quadri aziendali.

L’intersindacale – composta da 8 organizzazioni sindacali e da 5 organizzazioni giovanili – nella serata di giovedì ha chiamato ad una ennesima giornata di sciopero “inter-professionale” e di mobilitazione nazionale per il 13 aprile, un giorno prima del pronunciamento della Consiglio Costituzionale sulla costituzionalità della riforma, e sulla possibilità di avviare la raccolta firme per la sua abolizione.

È chiaro che, come ha dichiarato Olivier Mateu, segretario della UD13 della CGT, serve un cambio di strategia da parte dell’intersindacale per un passaggio coordinato allo sciopero prolungato.

Il leader sindacale della regione marsigliese ha ben espresso il cambio di passo necessario affermando che: «è un bene essere popolari, ma è ancora meglio essere efficaci».

Fa appello alla classe nel suo insieme affermando che: «se i lavoratori pensano che le organizzazioni sindacali faranno tutto, si sbagliano. Noi, sindacati, non abbiamo degli scioperanti nel congelatore che possono uscire al momento della lotta. Se la legge non viene ritirata sarà una sconfitta per tutti i lavoratori che dovranno lavorare due anni in più».

Esprime un sostanziale scetticismo sulla possibilità che il Consiglio Costituzionale bocci la proposta, ma è fiducioso sulla possibilità di vincere la battaglia.

Dopo più di tre mesi di mobilitazione lo spirito resta lo stesso, soprattutto tra gli studenti e le frange più militanti, che danno diva ad azioni dirette piuttosto impattanti (come i blocchi del traffico e le operazioni “ville morte” in varie città) o decisamente spettacolari, come l’occupazione dell’Arco di Trionfo da parte della CGT Culture e l’invasione degli uffici parigini del fondo d’investimento Blackrock da parte dei ferrovieri della capitale.

Come ha dichiarato un manifestante ad un giornalista di “Le Monde”: «Scioperando si perde del salario, ma non importa, preferiamo mangiare delle patate che crepare al lavoro».

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

SIAMO LA MAGGIORANZA!

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza!

di Compagno P-Marzo 5, 2023

https://www.carc.it/2023/03/05/siamo-la-maggioranza/

La maggioranza delle masse popolari italiane è contro il coinvolgimento del nostro paese nella guerra che la Nato sta conducendo in Ucraina contro la Federazione Russa, è contro l’invio di armi all’Ucraina e le sanzioni alla Federazione Russa, ma ciò non impedisce al governo Meloni di continuare a obbedire a Washington.

La maggioranza delle masse popolari è contraria alla devastazione dell’ambiente, allo smantellamento della sanità pubblica, allo svuotamento della scuola pubblica e dell’università, è contraria all’attuale regime pensionistico, alla precarietà del lavoro. In sintesi, le masse popolari sono contrarie al programma comune della classe dominante (quello che oggi viene chiamato “agenda Draghi”). Eppure, nonostante le masse popolari siano maggioranza, non hanno la forza di far valere i loro interessi. E le elezioni non servono allo scopo. O meglio, non bastano.

Dall’inizio degli anni Novanta – dopo il crollo del regime DC e Tangentopoli – si sono alternati governi di Centro destra e governi di Centro sinistra (i governi dei partiti delle Larghe Intese), ma entrambi hanno fatto le stesse cose; uno ha preparato la strada all’altro nello smantellamento dei diritti e delle conquiste, nelle privatizzazioni, nella progressiva sottomissione del paese ai circoli della finanza e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, europei e sionisti.

Nel 2018 aveva vinto le elezioni il M5S, ma anche in quel caso – nonostante le potenzialità – è cambiato poco. E questo sia perché il governo Conte 1 è stato ostacolato in mille modi (vedi le minacce della Commissione Europea di aprire una procedura di infrazione del Patto di Stabilità), sia – e soprattutto – perché il M5S stesso non ha avuto il coraggio e non si è dato i mezzi per rompere con i ricatti e le pressioni: farlo voleva dire, innanzitutto, mobilitare i meet-up e le masse popolari per l’attuazione del programma con cui aveva vinto le elezioni.

È stato, quindi, “cotto a fuoco lento” (governo Conte 2) e poi inglobato al polo PD delle Larghe Intese, di cui oggi prova a fare “la sinistra”.

La storia degli ultimi 30 anni, l’aggravamento della crisi generale, la progressiva perdita di ruolo politico e di rilevanza dei partiti della sinistra borghese hanno alimentato il distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante, con i suoi partiti, sindacati di regime e grandi associazioni, con le “liturgie” della democrazia borghese.

Le elezioni politiche del 25 settembre scorso avevano già espresso questa tendenza (36% di astensione) che le elezioni regionali in Lombardia e Lazio hanno confermato e reso ancora più evidente con il 60% di astenuti.

La maggioranza delle masse popolari italiane contraria all’agenda Draghi ha deciso di disertare le urne, di mandare a quel paese le elezioni e tutto il sistema politico della classe dominante. Ma questo è un segnale positivo?

Da una parte è una manifestazione dello scollamento delle larghe masse dalla classe dominante, dal suo sistema politico e dai partiti delle Larghe Intese e pertanto sì, è un elemento positivo.

D’altra parte è anche la manifestazione di un vuoto da riempire, che chiama alla responsabilità e al cambiamento anzitutto noi comunisti e quanti vogliono assumere un ruolo positivo nella lotta di classe in corso nel paese.

Per alimentare il movimento che trasforma la società non è sufficiente lo scollamento fra le larghe masse e la classe dominante. Questo scollamento, spontaneamente, non diventa mobilitazione per rovesciare la classe dominante; la protesta non diventa automaticamente mobilitazione per sostituire le autorità della classe dominante con le nuove autorità pubbliche che sono espressione delle masse popolari organizzate.

La verità è che senza un progetto per riempire quel vuoto c’è poco di cui essere soddisfatti di fronte all’avanzata dell’astensionismo.

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza

Nel nostro paese i tradizionali e principali centri di organizzazione e mobilitazione delle masse popolari (i sindacati di regime, le grandi associazioni nazionali, i partiti della sinistra borghese), i cui vertici sono stati progressivamente integrati nel sistema politico della classe dominante, svolgono principalmente la funzione di pompieri della mobilitazione operaia e popolare.

Questo ha portato i lavoratori e le masse popolari a cercare una strada per organizzarsi in modo indipendente e autonomo (anche il progressivo distacco fra i lavoratori e i sindacati di regime rientra nel più generale distacco fra le masse popolari e la classe dominante).

In questi anni hanno assunto un ruolo sempre più importante tanto i sindacati alternativi e di base che i movimenti (si pensi ai No Tav); nascono continuamente coordinamenti di varia natura, tutti con lo scopo di chiamare le masse popolari a organizzarsi per fare fronte agli effetti della crisi (vedi il coordinamento Noi Non Paghiamo).

Posto che l’unione fa la forza e che, per dirla come Marx, “i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall’organizzazione e guidati dalla conoscenza”, tutte le spinte a organizzarsi per fare fronte a questo e a quel problema sono giuste, vanno sostenute e da comunisti le sosteniamo. Da comunisti, tuttavia, dobbiamo aggiungere un pezzo.

Organizzarci e far valere tutta la nostra forza per imporre un governo di emergenza popolare

Per ottenere aumenti salariali, i lavoratori devono organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative che portano la controparte a cedere.

Per ottenere la revoca di una misura antipopolare bisogna organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative per costringere le autorità e le istituzioni a fare marcia indietro.

Il pezzo in più che dobbiamo mettere da comunisti alla giusta organizzazione sul campo rivendicativo consiste nel portare un contenuto superiore e una prospettiva: portare gli organismi operai e popolari a ragionare e confrontarsi su un loro “programma comune” basato sugli interessi generali delle masse popolari; portarli a coordinarsi fra loro per attuarlo, in modo da moltiplicare la capacità di mobilitazione e organizzazione fino a diventare quel “grande centro autorevole” in grado di dispiegare su ampia scala la mobilitazione necessaria per costituire il governo di cui c’è bisogno.

In questo modo ogni mobilitazione di tipo rivendicativo – grande o piccola – rientra in un movimento più ampio e unitario.

In questo modo ogni organismo operaio e popolare diventa articolazione di un organismo più grande, capace di rispondere insieme alle manovre della classe dominante e di pensare (e passare) insieme al contrattacco.

Questo è il movimento pratico attraverso cui gli organismi operai e popolari diventano le nuove autorità pubbliche che con la loro azione pratica riempiono lo spazio vuoto creato dal distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima Generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus

IL 18 NOVEMBRE GLI STUDENTI INSORGONO!

Studenti e operai contro l’ennesimo governo del pilota automatico

Il Partito dei CARC aderisce e partecipa alle mobilitazioni che si terranno in tutta Italia domani, venerdì 18 novembre, per la Giornata Internazionale degli Studenti.
La crisi del sistema capitalista (proprio quello che il nuovo Ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, indica come “il migliore dei mondi possibili” nella sua infame circolare alle scuole) ha, ormai da decenni, effetti nefasti sulla pelle degli studenti delle scuole superiori e università.

https://www.carc.it/2022/11/17/il-18-novembre-gli-studenti-insorgono/

Essere uno studente proletario oggi -in Italia e nel 2022- significa uscire di casa per andare a scuola senza sapere se si tornerà, dato che, dall’inizio del 2022, tre sono stati gli studenti uccisi sull’alternanza scuola-lavoro, mentre i feriti non si contano. Significa, di nuovo, rischiare tutti i giorni la pelle perché le aule sono abbandonate all’incuria e potrebbero cadere in testa, com’è successo a Cagliari col crollo dell’Aula Magna dell’Università. Significa dover sputare sangue per riuscire a mantenersi gli studi universitari, fare continui sacrifici per l’affitto di una stanza se si è fuorisede, mentre le città universitarie sempre di più pullulano di alberghi di lusso per i figli dei ricchi. Significa doversi adeguare ad un modello di istruzione che è ben lontano da quello che serve, perché è sempre più piegato agli interessi delle grandi aziende, che entrano a gamba tesa nelle collaborazioni con scuole e università, così come lo fanno Unione Europea, NATO e gruppi sionisti.

Gli studenti di tutta Italia, negli scorsi mesi, sono stati in grado di coordinarsi ed insorgere contro il Governo Draghi, il Governo del pilota automatico dell’UE e della NATO, un governo sostenuto dai “democratici” del PD che oggi si strappano le vesti per la repressione verso gli studenti della Sapienza, ma ieri non si facevano problemi a mandare la celere a picchiare gli studenti a Torino che gridavano vendetta per l’uccisione di due giovani sull’alternanza scuola-lavoro. Mille sono state le forme di protesta e mobilitazione, dalla lotta contro la misura criminale del Green Pass imposto per andare a studiare nelle università alle mobilitazioni per una riapertura totale e sicura delle scuole e università. La costante che le ha unite? Il grido di lotta “Insorgiamo!”, lanciato dal Collettivo di Fabbrica della GKN e raccolto dai collettivi studenteschi di tutto il paese.

Oggi, all’indomani della formazione del “nuovo” governo è ancora necessario gridare e dare contenuto alla parola d’ordine “Insorgiamo!”. Il Governo Meloni non è il governo più reazionario della storia (bisogna essere chiari, Meloni è fascista quanto Letta è comunista!), semmai è il governo che attua lo stesso programma del governo Draghi, con tutte le conseguenze che questo ha in termini di smantellamento dell’istruzione pubblica. L’abbiamo visto bene con la prosecuzione dei provvedimenti repressivi come quello “anti-rave”, con le manganellate sugli studenti della Sapienza, con la nomina di Valditara e Bernini (due nomi tristemente noti) come ministri rispettivamente dell’Istruzione e dell’Università.

Il marasma derivante dalla crisi generale del capitalismo crea una situazione di straordinaria stabilità, una situazione in cui ciò che è determinante non è quello che farà o non farà il Governo Meloni, ma quanto e come gli operai, gli studenti, le masse popolari organizzate si porranno come nuova classe dirigente. In sintesi, succederà quello che gli studenti e i lavoratori organizzati faranno succedere!

Di seguito le manifestazioni alle quali parteciperemo:
Milano, corteo “No Meloni day”, Largo Cairoli, ore 9:30.
Bologna, corteo studentesco, Piazza Verdi, ore 10.
Firenze, presidio studentesco e operaio “#Insorgiamo per il nostro futuro”, Piazza
Duomo (sede dalla Regione Toscana), ore 9:00.
Pisa, corteo studentesco, Pizza Vittorio Emanuele II, ore 9:40.
Napoli, corteo studentesco, Piazza Garibaldi, ore 9.30.

Partecipiamo, quindi, in massa, alle piazze del 18 novembre, facciamo vivere la parola d’ordine “operai e studenti uniti”! Cacciamo Giorgia Meloni e tutti gli altri servi della NATO, della UE e di Confindustria dal governo del paese! Imponiamo un governo d’emergenza popolare che attui le misure necessarie a rimettere in piedi il diritto all’istruzione!

Fonte: CARC – Comitato di Appoggio per la Resistenza del Comunismo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo

TORINO, GRU CROLLA SU DI UN PALAZZO A VIA GENOVA: TRE OPERAI MORTI. LE MORTI BIANCHE CONTINUANO, ANCHE IN PIENA PANDEMIA COVID19

Vasto (CH), lì 18 Dicembre 2021 ore 23.02

Amici ed amiche, buonasera a tutti voi.

Purtroppo per altre famiglie italiane sarà la serata peggiore della loro vita ed appena prima di apprestarci a vivere un secondo Natale veramente assurdo, ancora nel bel mezzo di una pandemia globale di COVID19 che al momento, non ne vuole sapere di andarsene.

Oggi è avvenuta l’ennesima strage sul lavoro in via Genova a Torino: Roberto Peretto, Marco Pozzetti, Filippo Falotico tre operai di rispettivamente 52, 54 e 20 anni, sono deceduti cadendo da un cestello di una gru posta a 36 metri di altezza e la stessa è crollata su di un palazzo. Questa ennesima tragedia sul lavoro, testimonia quanto né questo Governo Draghi preso per le palle da Confindustria, né tutti quelli precedenti a questo, abbiano mai avuto a cuore temi fondamentali da tenere sempre in forte e seria considerazione per rendere il lavoro sicuro per tutti: la prevenzione, la manutenzione regolare e la sicurezza sui luoghi di lavoro e quanto ci sia ancora da fare per tornare a rendere sicuri i luoghi di lavoro in Italia.

I tre operai morti oggi in via Genova a Torino: si trattava di Roberto Peretto 52 anni, Marco Pozzetti 54 anni e Filippo Falotico 20 anni
Via Genova Torino 18 Dicembre 2021: lle prime immagini della gru caduta da 36 metri e che è crollata su di un palazzo uccidendo tre operai al lavoro nella zona

https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/piemonte/torino-gru-crolla-su-un-palazzo-un-morto-e-un-ferito-grave_43305906-202102k.shtml

https://www.lastampa.it/cronaca/2021/12/18/news/chi_sono_le_vittime-1744452/

https://video.repubblica.it/edizione/torino/gru-caduta-a-torino-il-capo-dei-vigili-del-fuoco-cedimento-strutturale-alla-base/404087/404797

https://www.leggo.it/italia/torino/torino_tre_operai_morti_selfie-6392131.html

Il mio ultimo tweet è stato più uno sfogo personale, perché sono stufo di assistere sempre alle soliti morti bianche sul lavoro senza che nessuno faccia mai niente per tentare almeno di fermare questa assurda mattanza: soltanto in questo mese in Piemonte sono morti 40 operai sul lavoro, l’anno scorso in tutta Italia sono stati più di 200! Dove vogliamo arrivare di questo passo? Fino a che punto potrà spingersi la follia umana? Neanche un ultimo omaggio alla decenza umana!

Desidero esprimere le più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime cercando di trasmettere da qui tutto il mio calore umano, in un’Era tecnologica e digitale odierna in cui è diventato impossibile anche poter dare un abbraccio a qualcuno quando ne ha bisogno. Che fine sta facendo la razza umana! Comunque la vogliamo noi questa situazione e continuerà finché non prenderemo coscienza di questo problema e torneremo in massa nelle piazze a manifestare tutto il nostro dissenso ad un sistema di potere che si rende debole con i forti e forte con i deboli, il tutto è dimostrato dal modo di gestire questa emergenza sanitaria da pandemia di coronavirus e di non voler gestire efficientemente emergenze morti bianche sul lavoro che continuano ad aggiungere altri nomi all’elenco degli operai vittime da sacrificare sull’altare dell’economia e del profitto, delle logiche del mercato che hanno finito per prevalere sul diritto delle persone, di lavorare e di poterlo fare in totale sicurezza. E’ inutile varare leggi come la 626 e poi non delegare nessuno ai controlli per farla osservare in ogni cantiere italiano! Cominciamo ad investire realmente sulla sicurezza, assumendo più ispettori che vigilino, verifichino sul campo, in ogni cantiere, se le ditte private si adeguino a tutti gli standard di conformità, altrimenti da parte degli operai prima o poi, ci sarà soltanto rivolta.

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila, Fratelli d’Italia Vasto