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SOLIDARIETA’ ALLE PERSONE E ALLE COMUNITA’ COLPITE DA ALLUVIONI E SICCITA’! COMUNICATO COMITATO CENTRALE 11/2023 DEL 17 MAGGIO, NUOVO PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Comunicato CC 11/2023 – 17 Maggio 2023

Alluvioni e siccità sono entrambe manifestazioni della devastazione dell’ambiente in cui vivono che gli uomini stanno facendo da quando la borghesia imperialista domina il corso della loro storia.

Mobilitare e organizzare le masse popolari a far fronte a ogni manifestazione concreta dell’opera catastrofica della borghesia imperialista, mirando a creare le condizioni necessarie a far avanzare la rivoluzione socialista che porrà fine al suo dominio!

Grazie alla borghesia e al modo di produzione capitalista gli uomini hanno raggiunto un dominio quasi completo sulla natura. Finché la borghesia europea ha impiegato nella produzione di merci il capitale che accumulava e ha combattuto contro la nobiltà e il clero, essa ha avuto un ruolo positivo nella storia del genere umano. La produzione dei beni usati dagli uomini nella loro vita si è moltiplicata, la quantità di servizi si è enormemente sviluppata, la conoscenza della natura, l’impiego delle risorse naturali e le condizioni generali della civiltà si sono estese. È da quando la società borghese è entrata nell’epoca dell’imperialismo che invece la borghesia europea e nordamericana ha assunto un ruolo principalmente distruttivo. Chiamiamo imperialismo l’epoca iniziata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando il capitale che la borghesia accumulava sfruttando il proletariato divenne talmente grande che se avesse continuato a impiegarlo principalmente nella produzione di merci essa ne avrebbe tratto un profitto minore: iniziava la crisi generale del sistema borghese sovrapproduzione assoluta di capitale. Era il punto d’arrivo della società borghese che Marx ed Engels avevano indicato nel capitolo 2 del Manifesto del partito comunista (1848) e che Marx aveva spiegato e descritto nei capitoli 13, 14 e 15 del libro III di Il capitale. Le operazioni finanziarie e speculative divennero in misura via via crescente il campo principale dell’attività della borghesia. Il colonialismo, la guerra, la produzione di beni e servizi nocivi, la costruzione di opere pubbliche inutili quando non addirittura nocive, la gentrificazione delle città, il turismo di massa e i grandi avvenimenti, l’abbrutimento delle menti e dei cuori delle masse popolari dei paesi imperialisti, la manipolazione delle informazioni, delle idee e dei sentimenti, la distruzione delle altre specie animali e vegetali, l’inquinamento della Terra (del terreno, delle acque e dell’aria), la produzione e la diffusione irresponsabile e incontrollata di sostanze non esistenti in natura e altre analoghe attività divennero aspetti ineliminabili del dominio della borghesia.

Da allora instaurare il socialismo, transizione dal capitalismo al comunismo, è diventato indispensabile non solo per lo sviluppo ma anche per la sopravvivenza del genere umano. E in effetti iniziò l’epoca delle rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia. Lenin e poi Stalin sono stati gli esponenti principali del movimento comunista cosciente e organizzato che ha dato inizio alla rivoluzione socialista con la vittoria dell’Ottobre 1917 in Russia, la costruzione dell’Unione Sovietica e la sua resistenza vittoriosa alle aggressioni di tutti i gruppi imperialisti del mondo. Mao Zedong è stato il loro principale successore con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Noi comunisti italiani siamo onorati dall’opera di Antonio Gramsci, il maggiore esponente del primo partito comunista (PCI) del nostro paese.

 Forti delle lezioni che abbiamo tratto e traiamo dal bilancio della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976), esposte nel nostro Manifesto Programma, nei 73 numeri della rivista La Voce e nei Comunicati e Avvisi ai naviganti diffusi dal CC del (n)PCI, noi comunisti italiani dobbiamo mobilitare le masse popolari a far fronte a ognuna delle manifestazioni concrete dell’opera nefasta della borghesia imperialista nel nostro paese, mirando a creare le condizioni necessarie per costituire il Governo di Blocco Popolare, tappa della rivoluzione socialista che porrà fine al dominio dei gruppi imperialisti italiani e stranieri nel nostro paese e contribuirà all’avanzata della rivoluzione proletaria nel mondo intero.

La prevenzione di inondazioni e siccità e la solidarietà con le persone e le comunità colpite si aggiungono oggi alla lotta per porre fine alla partecipazione del nostro paese alla guerra USA-NATO contro la Federazione Russa e alle altre guerre promosse dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti ed europei, alla discriminazione di genere e nazionale, al neocolonialismo e alle altre cause dell’emigrazione di massa, allo smantellamento dell’apparato produttivo di beni (deindustrializzazione), alla privatizzazione dei servizi pubblici, all’eliminazione delle industrie pubbliche (iniziata trent’anni fa con l’eliminazione dell’IRI diretta da Romano Prodi, Mario Draghi e altri criminali agenti dei vertici della Repubblica Pontificia), alla delocalizzazione delle aziende, al lavoro precario (contratti a termine, voucher, lavoro in nero e affini), all’eliminazione del reddito di cittadinanza, alla riduzione dei salari reali e della validità dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Si aggiungono alla lotta generale contro l’eliminazione delle conquiste che le masse popolari dei paesi imperialisti hanno strappato nel secondo dopoguerra, nel periodo 1945-1976 del “capitalismo dal volto umano” a cui la borghesia dovette rassegnarsi per far fronte alla vittoria e al prestigio dell’Unione Sovietica: istruzione pubblica realmente gratuita, statuto dei lavoratori e giusta causa nei licenziamenti, scala mobile contro l’inflazione, servizio sanitario nazionale, equo canone, pensioni e assistenza agli anziani e agli invalidi, istituti a favore della maternità e dell’infanzia e altre istituzioni sociali di cui l’Unione Sovietica dava l’esempio.

 Noi chiediamo a ogni membro avanzato delle masse popolari e a ogni individuo consapevole del corso catastrofico delle cose imposto dai gruppi imperialisti, di arruolarsi nel nuovo Partito Comunista Italiano, dando in questo modo anche un senso alla propria vita. Il (n)PCI ha assunto il compito di orientare organismi e individui del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO) e della sinistra borghese (SB) a far fronte uniti a ognuna delle manifestazioni dell’opera catastrofica della borghesia imperialista: il governo di Giorgia Meloni, servo dei gruppi imperialisti USA, continua l’opera distruttiva del governo di Mario Draghi e dei governi dei partiti delle Larghe Intese tra il polo Berlusconi e il polo del PD e dei suoi associati contro la quale in definitiva a nulla è valsa la breccia aperta da Beppe Grillo e dal suo M5S nel 2018. Ci distingue dagli organismi del MCCO e della SB e dai gruppi movimentisti il fatto che seguiamo una linea bene definita (la creazione delle condizioni per la costituzione del GBP) e miriamo a fare di ogni mobilitazione particolare una scuola di comunismo, un passo per elevare la resistenza spontanea delle masse popolari e far avanzare la rivoluzione socialista.

Crescono tra le masse popolari del nostro paese l’indignazione e la rottura nei confronti delle istituzioni e degli istituti della Repubblica Pontificia: lo confermano non solo gli scioperi e le manifestazioni di piazza e di strada, ma anche i risultati delle elezioni comunali di questi giorni e più chiaramente ancora quelli delle elezioni del 25 settembre 2022. Ma le masse popolari per avanzare, vincere e instaurare il socialismo hanno bisogno della direzione di un partito comunista che agisce sulla base di una comprensione adeguata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta del proletariato contro la borghesia: quella che è mancata al vecchio PCI di Togliatti e Secchia e, peggio ancora, al PCI di Berlinguer e Cossutta. Anche per questo è preziosa l’opera del Partito dei CARC che nel suo VI Congresso nazionale tenuto nello scorso aprile ha confermato lo storico legame in termini di concezione comunista del mondo, di bilancio della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria e di linea che ne fa il nostro partito comunista fratello.

La nostra impresa è difficile ma la vittoria è possibile.

Combattere a modo nostro fino a vincere! Osare sognare! Osare lottare per realizzare il nostro sogno! Osare vincere!

Apprendere, assimilare, applicare la concezione comunista del mondo!

Fare di ogni lotta una scuola di comunismo!

Costituire clandestinamente Comitati del Partito in ogni azienda e in ogni centro abitato!

Per iniziare formare gruppi di studio del Manifesto Programma del (nuovo)PCI

Fonte: Nuovo Partito Comunista Italiano

http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2023/com11-23/Com.CC_11-2023_Diluvio_Siccit_Devastazione.html

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

FRANCIA: “PREFERIAMO MANGIARE PATATE CHE CREPARE AL LAVORO”

di Giacomo Marchetti

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/04/08/francia-preferiamo-mangiare-patate-che-crepare-al-lavoro-0159096

Giovedì 6 aprile si è svolto l’undicesimo sciopero inter-professionale e l’undicesima mobilitazione nazionale contro la riforma pensionistica con manifestazioni in tutto l’Esagono.

Il giorno precedente, il capo dell’esecutivo Elisabeth Borne aveva ricevuto, senza che ciò sortisse alcun esito positivo, le otto organizzazioni sindacali che hanno fin qui guidato la protesta.

L’incontro, è stato un vero e proprio «fallimento» dal punto di vista dei sindacati. Da una parte i membri dell’intersindacale chiedevano il ritiro della riforma, a cui Borne ha risposto picche; dall’altra il Primo Ministro avrebbe voluto “superare” il dossier sulle pensioni ed avviare la discussione su altri cantieri che il governo ha intenzione di aprire ricevendo a sua volta un netto rifiuto.

Cyril Chabanier, presidente confederale della CFTC – il sindacato dei “quadri” – ha affermato a nome di tutta l’intersindacale: «Noi abbiamo ribadito alla prima ministra che non ci sarebbe altra soluzione democratica che non sia il ritiro del testo. La prima ministra ha risposto che lei ha intenzione di mantenere il suo testo. Una decisione grave».

Un testo, è sempre bene ricordarlo, che non è stato votato in Assemblea Nazionale per il timore che fosse bocciato da un governo che ha poi evitato di un soffio la sfiducia.

E’ significativo che anche il leader di una delle formazione sindacali più “moderate” come la CFDT, ribadisca un concetto già espresso e nuovamente attaccato anche dal presidente Macron: «stiamo vivendo una grave crisi democratica, avevamo una crisi sociale che si trasforma in crisi democratica».

Ancora più chiara la nuova leader della CGT, Sophie Binet, per cui «il governo è barricato in un bunker» ed è «in aperta rottura nei confronti del paese»

La torsione autoritaria della Francia si esprime sostanzialmente in due forme: la sordità del Presidente e dell’Esecutivo di fronte alle richieste della piazza, con milioni di persone che da tre mesi scendono in strada sostenute dalla maggioranza della popolazione, da tutto l’arco sindacale e dall’opposizione politica – sia di sinistra (NUPES, guidata da Mélénchon) che di estrema destra (RN di Marine Le Pen); dall’altra l’escalation della repressione.

Un sondaggio Viavoce pubblicato giovedì dal quotidiano “Libération” certifica il livello di delegittimazione del “Presidente dei Ricchi”.

Il 65% giudica negativamente l’operato di Macron – il 43% lo considera “molto negativo” ed il 22% “abbastanza negativo” – mentre solo un 26% lo giudica positivamente ed “entusiasma” solo il 4% degli intervistati (gli imprenditori, insomma)!

Il 75%, ad un secondo quesito più articolato, dichiara che il Presidente “non è vicino alla gente”, ed ad una terza domanda – anch’essa più articolata – il 69% ha risposto che “non rispetta le opposizioni politiche”.

A parte ciò che concerne la politica estera per cui, comunque, solo il 36% – contro il 53% – dei francesi intervistati ha fiducia che “promuoverà il posto della Francia a livello internazionale”, su tutti i principali dossier del quinquennio viene espressa una sfiducia netta, con un picco del 68% rispetto alle questioni sociali.

Tutti i sondaggi sono sempre da prendere “con le pinze”, ma in questo caso sembrano fornire un sismografo molto attendibile sulla profonda sfiducia nei confronti del “Presidente dei Ricchi” comunque abbondantemente bocciato dalla piazza.

Un dato colpisce particolarmente: il 55% degli intervistati pensa che “le libertà”, dal 2017 – anno in cui è stato eletto per il suo primo mandato presidenziale -, siano regredite.

Anche chi è d’accordo con le mobilitazioni, che sempre più spesso vedono scontri violenti con forze dell’ordine, ha timore a manifestare per timore dell’azione repressiva.

A questa percezione contribuisce l’attuale Ministro Gérald Darmanin, che è arrivato addirittura a criticare la Lega dei Diritti dell’Uomo per i rilievi fatti rispetto all’operato delle forze dell’ordine.

Le sue parole sibilline, con le quali lasciava intravedere una revisione delle sovvenzioni statali nei confronti della storica associazione che difende i diritti civili, ha spinto un centinaio di esponenti del mondo della cultura a scrivere una lettera aperta al presidente Macron affinché condanni pubblicamente le proposizioni di Darmanin.

Scrivono tra l’altro in questo appello i firmatari: «Noi non faremo l’affronto di rimproverarvi di ignorare che questi stessi militanti furono tra i bersagli principali della repressione del regime di Vichy».

Parole come pietre. Ma è chiaro che il semplice “monitoraggio” degli abusi in divisa è considerato un delitto di lesa maestà.

La solita geniale vignetta di Allan Barte immagina uno scambio tra il Presidente, preoccupato che le persone possano essere indignate per le posizioni del suo Ministro dell’interno, supponendo che vogliano instaurare «un regime non troppo democratico». Darmanin risponde: «Sì ma se lasciamo la Lega dei Diritti dell’Uomo lavorare, le persone sapranno che instauriamo un regime non molto democratico».

Per descrivere il personaggio, un ex gollista passato armi e bagagli alla Macronie per un posto da ministro, basti dire che è andato al congresso nazionale del maggiore sindacato della polizia a Parigi – Alliance Police – declamando tra l’entusiasmo dei 400 convenuti: «j’aime les flics», traducibile con «amo gli sbirri»!

Lui e Macron si sono scagliati in toni pesantissimi contro “l’ultra-sinistra” ed il suo “terrorismo intellettuale”, ma sono silenti sul montante fenomeno del terrorismo di estrema-destra, nonostante le ripetute avvisaglie sulla sua pericolosità.

Tornando alla mobilitazione di giovedì, il Ministero dell’interno ha contato 570mila persone, mentre gli organizzazioni hanno stimato a 2 milioni il numero dei partecipanti.

Al di là dei numeri è chiaro che, al di là della leggera flessione dopo 3 mesi di mobilitazione, che non si può assolutamente parlare di riflusso. Anche perché rimangono fortemente mobilitati i settori strategici che fino a qui sono stati la colonna vertebrale degli scioperi, e le casse di solidarietà hanno visto affluire e ridistribuire cifre record per i lavoratori che hanno perso più giornate di lavoro, come quelli del petrolchimico o gli operatori ecologici.

Diamo qualche numero su alcune di queste iniziative.

La cassa di resistenza creata alcuni anni fa dalla CGT Info’com ha raccolto e già versato 3,5 milioni d’euro, cioè 250 mila in più della mobilitazione precedente.

Un Piquet de Stream su Twitch, dal 18 gennaio al 20 marzo, aperto da alcune persone impegnate nella mobilitazione, ha totalizzato 90 mila euro.

La “Caisse de grève insoumise” di LFI ha raccolto e messo a disposizione 850 mila euro, distribuiti ai lavoratori dei tre inceneritori di Parigi (Ivry-sur-senne, Issy-les-Moulineaux, Saint-Ouen) che per tre settimane hanno messo in ginocchio il sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti, e che dal 13 aprile saranno ancora in sciopero prolungato a tempo determinato.

Tra i molti che sostengono lo sciopero con questa modalità ci sono persone che non possono più scioperare, come i pensionati (anche loro in grandissima maggioranza contrari alla riforma), o che hanno difficoltà a farlo per la posizione che rivestono, come i quadri aziendali.

L’intersindacale – composta da 8 organizzazioni sindacali e da 5 organizzazioni giovanili – nella serata di giovedì ha chiamato ad una ennesima giornata di sciopero “inter-professionale” e di mobilitazione nazionale per il 13 aprile, un giorno prima del pronunciamento della Consiglio Costituzionale sulla costituzionalità della riforma, e sulla possibilità di avviare la raccolta firme per la sua abolizione.

È chiaro che, come ha dichiarato Olivier Mateu, segretario della UD13 della CGT, serve un cambio di strategia da parte dell’intersindacale per un passaggio coordinato allo sciopero prolungato.

Il leader sindacale della regione marsigliese ha ben espresso il cambio di passo necessario affermando che: «è un bene essere popolari, ma è ancora meglio essere efficaci».

Fa appello alla classe nel suo insieme affermando che: «se i lavoratori pensano che le organizzazioni sindacali faranno tutto, si sbagliano. Noi, sindacati, non abbiamo degli scioperanti nel congelatore che possono uscire al momento della lotta. Se la legge non viene ritirata sarà una sconfitta per tutti i lavoratori che dovranno lavorare due anni in più».

Esprime un sostanziale scetticismo sulla possibilità che il Consiglio Costituzionale bocci la proposta, ma è fiducioso sulla possibilità di vincere la battaglia.

Dopo più di tre mesi di mobilitazione lo spirito resta lo stesso, soprattutto tra gli studenti e le frange più militanti, che danno diva ad azioni dirette piuttosto impattanti (come i blocchi del traffico e le operazioni “ville morte” in varie città) o decisamente spettacolari, come l’occupazione dell’Arco di Trionfo da parte della CGT Culture e l’invasione degli uffici parigini del fondo d’investimento Blackrock da parte dei ferrovieri della capitale.

Come ha dichiarato un manifestante ad un giornalista di “Le Monde”: «Scioperando si perde del salario, ma non importa, preferiamo mangiare delle patate che crepare al lavoro».

Fonte: Contropiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

SIAMO LA MAGGIORANZA!

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza!

di Compagno P-Marzo 5, 2023

https://www.carc.it/2023/03/05/siamo-la-maggioranza/

La maggioranza delle masse popolari italiane è contro il coinvolgimento del nostro paese nella guerra che la Nato sta conducendo in Ucraina contro la Federazione Russa, è contro l’invio di armi all’Ucraina e le sanzioni alla Federazione Russa, ma ciò non impedisce al governo Meloni di continuare a obbedire a Washington.

La maggioranza delle masse popolari è contraria alla devastazione dell’ambiente, allo smantellamento della sanità pubblica, allo svuotamento della scuola pubblica e dell’università, è contraria all’attuale regime pensionistico, alla precarietà del lavoro. In sintesi, le masse popolari sono contrarie al programma comune della classe dominante (quello che oggi viene chiamato “agenda Draghi”). Eppure, nonostante le masse popolari siano maggioranza, non hanno la forza di far valere i loro interessi. E le elezioni non servono allo scopo. O meglio, non bastano.

Dall’inizio degli anni Novanta – dopo il crollo del regime DC e Tangentopoli – si sono alternati governi di Centro destra e governi di Centro sinistra (i governi dei partiti delle Larghe Intese), ma entrambi hanno fatto le stesse cose; uno ha preparato la strada all’altro nello smantellamento dei diritti e delle conquiste, nelle privatizzazioni, nella progressiva sottomissione del paese ai circoli della finanza e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa, europei e sionisti.

Nel 2018 aveva vinto le elezioni il M5S, ma anche in quel caso – nonostante le potenzialità – è cambiato poco. E questo sia perché il governo Conte 1 è stato ostacolato in mille modi (vedi le minacce della Commissione Europea di aprire una procedura di infrazione del Patto di Stabilità), sia – e soprattutto – perché il M5S stesso non ha avuto il coraggio e non si è dato i mezzi per rompere con i ricatti e le pressioni: farlo voleva dire, innanzitutto, mobilitare i meet-up e le masse popolari per l’attuazione del programma con cui aveva vinto le elezioni.

È stato, quindi, “cotto a fuoco lento” (governo Conte 2) e poi inglobato al polo PD delle Larghe Intese, di cui oggi prova a fare “la sinistra”.

La storia degli ultimi 30 anni, l’aggravamento della crisi generale, la progressiva perdita di ruolo politico e di rilevanza dei partiti della sinistra borghese hanno alimentato il distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante, con i suoi partiti, sindacati di regime e grandi associazioni, con le “liturgie” della democrazia borghese.

Le elezioni politiche del 25 settembre scorso avevano già espresso questa tendenza (36% di astensione) che le elezioni regionali in Lombardia e Lazio hanno confermato e reso ancora più evidente con il 60% di astenuti.

La maggioranza delle masse popolari italiane contraria all’agenda Draghi ha deciso di disertare le urne, di mandare a quel paese le elezioni e tutto il sistema politico della classe dominante. Ma questo è un segnale positivo?

Da una parte è una manifestazione dello scollamento delle larghe masse dalla classe dominante, dal suo sistema politico e dai partiti delle Larghe Intese e pertanto sì, è un elemento positivo.

D’altra parte è anche la manifestazione di un vuoto da riempire, che chiama alla responsabilità e al cambiamento anzitutto noi comunisti e quanti vogliono assumere un ruolo positivo nella lotta di classe in corso nel paese.

Per alimentare il movimento che trasforma la società non è sufficiente lo scollamento fra le larghe masse e la classe dominante. Questo scollamento, spontaneamente, non diventa mobilitazione per rovesciare la classe dominante; la protesta non diventa automaticamente mobilitazione per sostituire le autorità della classe dominante con le nuove autorità pubbliche che sono espressione delle masse popolari organizzate.

La verità è che senza un progetto per riempire quel vuoto c’è poco di cui essere soddisfatti di fronte all’avanzata dell’astensionismo.

Dobbiamo organizzarci per far valere tutta la nostra forza

Nel nostro paese i tradizionali e principali centri di organizzazione e mobilitazione delle masse popolari (i sindacati di regime, le grandi associazioni nazionali, i partiti della sinistra borghese), i cui vertici sono stati progressivamente integrati nel sistema politico della classe dominante, svolgono principalmente la funzione di pompieri della mobilitazione operaia e popolare.

Questo ha portato i lavoratori e le masse popolari a cercare una strada per organizzarsi in modo indipendente e autonomo (anche il progressivo distacco fra i lavoratori e i sindacati di regime rientra nel più generale distacco fra le masse popolari e la classe dominante).

In questi anni hanno assunto un ruolo sempre più importante tanto i sindacati alternativi e di base che i movimenti (si pensi ai No Tav); nascono continuamente coordinamenti di varia natura, tutti con lo scopo di chiamare le masse popolari a organizzarsi per fare fronte agli effetti della crisi (vedi il coordinamento Noi Non Paghiamo).

Posto che l’unione fa la forza e che, per dirla come Marx, “i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall’organizzazione e guidati dalla conoscenza”, tutte le spinte a organizzarsi per fare fronte a questo e a quel problema sono giuste, vanno sostenute e da comunisti le sosteniamo. Da comunisti, tuttavia, dobbiamo aggiungere un pezzo.

Organizzarci e far valere tutta la nostra forza per imporre un governo di emergenza popolare

Per ottenere aumenti salariali, i lavoratori devono organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative che portano la controparte a cedere.

Per ottenere la revoca di una misura antipopolare bisogna organizzarsi e mettere in atto una serie di iniziative per costringere le autorità e le istituzioni a fare marcia indietro.

Il pezzo in più che dobbiamo mettere da comunisti alla giusta organizzazione sul campo rivendicativo consiste nel portare un contenuto superiore e una prospettiva: portare gli organismi operai e popolari a ragionare e confrontarsi su un loro “programma comune” basato sugli interessi generali delle masse popolari; portarli a coordinarsi fra loro per attuarlo, in modo da moltiplicare la capacità di mobilitazione e organizzazione fino a diventare quel “grande centro autorevole” in grado di dispiegare su ampia scala la mobilitazione necessaria per costituire il governo di cui c’è bisogno.

In questo modo ogni mobilitazione di tipo rivendicativo – grande o piccola – rientra in un movimento più ampio e unitario.

In questo modo ogni organismo operaio e popolare diventa articolazione di un organismo più grande, capace di rispondere insieme alle manovre della classe dominante e di pensare (e passare) insieme al contrattacco.

Questo è il movimento pratico attraverso cui gli organismi operai e popolari diventano le nuove autorità pubbliche che con la loro azione pratica riempiono lo spazio vuoto creato dal distacco fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante.

Fonte: Partito dei CARC (Comitati di Appoggio per la Resistenza del Comunismo)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima Generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus