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LA NUOVA VARIANTE JN.1 DEL COVID19 SI DIFFONDE RAPIDAMENTE IN 41 PAESI: QUANTO PUO’ PREOCCUPARCI? PER L’OMS E’ “VARIANTE DI INTERESSE”

New COVID strain JN.1 is spreading fast. How worried should we be?

The new variant has spread across 41 countries as the WHO categorises it as a ‘variant of interest’.

JN.1 has been detected in the US, India, China, France, Canada and many other countries [File: Petr David Josek/AP Photo]
https://www.aljazeera.com/news/2023/12/22/new-jn-1-covid-variant-how-worried-should-we-be

A new strain of SARS-CoV-2the virus that caused the coronavirus pandemic four years ago, has been detected in dozens of countries.

The World Health Organization (WHO) on Tuesday categorised the JN.1 as a “variant of interest”. After first being spotted in the United States in September, the variant has spread across 41 countries.

The new variant is now being closely monitored by public health agencies across the world due to its increased transmission rate.

Here’s what there is to know about the strain and its current risk.

What is the new COVID-19 strain JN.1?

The new coronavirus strain, JN.1, has arisen from the most recent variant before it, named BA 2.86. The latter is itself part of the lineage of the “Omicron” variant – a more severe strain of COVID-19 that peaked last year.

Each virus has its own unique “spike proteins” enabling them to infect cells and cause certain symptoms. Additional changes or “mutations” in the DNA sequence of those spikes indicate the emergence of a new “variant” of the virus.

Variants can differ in terms of their severity, contagion and response to treatments for symptoms.

“The new variant exhibits a greater genetic divergence from its predecessors, signifying an ongoing evolution of the virus,” said Laith Abu-Raddad, professor of healthcare policy and research, at Weill Cornell Medicine in Qatar.

While BA 2.86 has 20 mutations in its spike proteins, JN.1 has 21. The Centers for Disease Control and Prevention (CDC) in the United States have named this additional mutation L455S and said it may be helping the virus to evade responses from our immune systems.

Experiencing a COVID-19 infection or getting vaccinated typically enables the immune system’s antibodies to fight off the virus when exposed to it again.

Where has JN.1 been detected?

JN.1 was first detected in the US in September, a month after its parent variant, BA 2.86, was recorded in the country. It has since spread across 41 countries, the WHO reported on Monday, based on 7,344 sequences that were submitted to them.

Sequences of viruses from PCR tests are regularly analysed to detect new strains.

For the first month or so, JN.1 only accounted for 0.1 percent of coronavirus transmissions in the US. As of December 8, however, it is responsible for between 15 and 29 percent of COVID cases, according to the CDC.

However, the agency also noted that the coronavirus has a pattern of peaking around the new year.

Other countries with a large number of cases include France, Singapore, Canada, the United Kingdom and Sweden, according to WHO. China also detected seven cases last week.

In early December, JN.1 was also found in the Indian state of Kerala. A 79-year-old female patient had mild, influenza-like symptoms and has since recovered. On Monday, neighbouring Karnataka state’s health minister made masks mandatory for those above the age of 60, as well as people with heart or breathing issues. India has reported 21 cases of the JN.1 virus so far.

Should we be concerned about JN.1?

The CDC has not found evidence suggesting that JN.1 poses an increased risk to public health compared with other variants, and experts say the rise in cases may be part of winter season trends and conditions.

For instance, people across the world are spending more time indoors allowing pathogens to spread more efficiently. “The need for heating often leads to reduced ventilation in homes, presenting an environment conducive to increased virus transmission,” said Abu-Raddad.

Types of symptoms are expected to be the same as COVID-19, and pandemic-era measures such as social distancing and wearing masks have been encouraged as precautions.

“While there may be an increase in infections, the vast majority of cases are not anticipated to be severe,” noted Abu-Raddad.

What has the WHO said about JN.1?

The WHO also said on Tuesday that its risk in terms of severity is currently evaluated as low and will be updated if needed. Its growth advantage has been categorised as “high” owing to the rising number of cases over the last few weeks.

The agency noted that other respiratory diseases such as influenza are also on the rise amid the onset of winter in the northern hemisphere, and that JN.1 transmission may further burden health facilities.

The WHO’s technical lead for COVID-19, Maria Van Kerkhove, said in a public statement that the agency has asked member states to closely monitor coronavirus cases and share data on samples when available so that they can better assess circulation and “potentially modify what we are advising to the world”.

Vaccines will also continue to protect from severe effects of the variant, said WHO.

What are the symptoms of JN.1?

Like other COVID-19 variants, symptoms will differ based on a person’s immunity and overall health, according to the CDC.

Common symptoms include fever or chills, cough, fatigue and body aches.

Source: Al Jazeera

Il nuovo tipo covid JN1 si sta diffondendo rapidamente. Quanto dovremmo preoccuparci? | Notizie sulla salute

Dicembre 22, 2023 Arzu

Spiegatore

La nuova variante si è diffusa in 41 paesi, e l’OMS la classifica come “variante di interesse”.

Un nuovo ceppo di SARS-CoV-2, che causò la pandemia di coronavirus quattro anni fa, è stato rilevato in decine di paesi.

Martedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato JN.1 come una “variante di interesse”. Dopo essere stata individuata per la prima volta negli Stati Uniti a settembre, la variante si è diffusa in 41 paesi.

Questa nuova variante viene ora attentamente monitorata dalle agenzie sanitarie pubbliche di tutto il mondo poiché il suo tasso di prevalenza aumenta.

Ecco cosa sapere sul ceppo e sul suo pericolo attuale.

Qual è il nuovo ceppo covid-19 JN.1?

Il nuovo ceppo di coronavirus, JN.1, è stato denominato BA 2.86 da una recente variante che lo ha preceduto. Quest’ultimo fa parte del lignaggio della variante “Omicron”, il ceppo più virulento di COVID-19 che ha raggiunto il picco lo scorso anno.

Ogni virus ha le sue “proteine ​​​​spike” uniche che infettano le cellule e causano determinati sintomi. Ulteriori cambiamenti o “mutazioni” nella sequenza del DNA di questi picchi indicano l’emergere di una nuova “variante” del virus.

Le varianti possono differire in base alla gravità, all’infezione e alla risposta al trattamento sintomatico.

“La nuova variante mostra una maggiore diversità genetica rispetto ai suoi predecessori, indicando la continua evoluzione del virus”, ha affermato Laith Abu-Radat, professore di politica sanitaria e ricerca presso la Weill Cornell Medicine in Qatar.

BA 2.86 ha 20 mutazioni nelle sue proteine ​​​​spike, rispetto alle 21 di JN.1. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) negli Stati Uniti hanno chiamato questa ulteriore mutazione L455S e affermano che aiuta il virus a eludere le risposte dei nostri sistemi immunitari.

Dove viene rilevato JN.1?

JN.1 è stato rilevato per la prima volta negli Stati Uniti a settembre, un mese dopo che la sua variante madre, BA 2.86, era stata registrata nel paese. Si è diffuso in 41 paesi, ha affermato lunedì l’OMS, sulla base di 7.344 sequenze presentate loro.

Le sequenze di virus provenienti dagli esperimenti PCR vengono costantemente analizzate per rilevare nuovi ceppi.

Nel primo mese JN.1 Negli Stati Uniti si è diffuso solo lo 0,1% dei contagi da coronavirus. Tuttavia, secondo il CDC, all’8 dicembre è responsabile dal 15 al 29% di tutti i casi di Covid-19.

Tuttavia, l’azienda ha anche notato che nel nuovo anno si verificherà un picco del coronavirus.

Secondo l’OMS, altri paesi con il maggior numero di casi sono Francia, Singapore, Canada, Regno Unito e Svezia. Anche la Cina ha segnalato sette casi la scorsa settimana.

All’inizio di dicembre il JN.1 è stato rilevato anche nello stato indiano del Kerala. Una paziente di 79 anni presentava lievi sintomi simil-influenzali e da allora si è ripresa. Lunedì, il ministro della sanità del vicino stato del Karnataka ha reso obbligatorie le mascherine per le persone con più di 60 anni e per coloro che hanno problemi cardiaci o respiratori. Finora in India sono state infettate dal virus JN.1 21 persone.

Dovremmo preoccuparci di JN1?

Il CDC non ha trovato prove che JN1 rappresenti un rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ad altri ceppi e gli esperti affermano che l’aumento dei casi potrebbe essere dovuto in parte alle tendenze e alle condizioni invernali.

Ad esempio, le persone in tutto il mondo trascorrono più tempo in ambienti chiusi consentendo agli agenti patogeni di diffondersi in modo più efficiente. “La necessità di riscaldamento spesso porta a una ridotta ventilazione nelle case, fornendo un ambiente favorevole alla diffusione del virus”, ha affermato Abu-Radat.

Si prevede che i tipi di sintomi saranno simili a quelli del COVID-19 e le misure del periodo pandemico come il distanziamento sociale e l’uso di maschere sono state incoraggiate a titolo precauzionale.

“Potrebbe esserci un aumento delle infezioni e non si prevede che la maggior parte dei casi sarà grave”, ha osservato Abu-Radat.

Cosa ha detto l’OMS su JN.1?

Martedì l’OMS ha dichiarato che il rischio in termini di gravità è attualmente basso e verrà aggiornato se necessario. Il suo vantaggio di crescita è stato classificato come “elevato” poiché il numero di casi è aumentato nelle ultime settimane.

L’agenzia ha osservato che anche altre malattie respiratorie, come l’influenza, sono in aumento con l’arrivo dell’inverno nell’emisfero settentrionale, e la diffusione di JN.1 potrebbe gravare ulteriormente sulle strutture sanitarie.

Il responsabile tecnico dell’OMS per il COVID-19, Maria van Kerkhove, ha dichiarato in una dichiarazione pubblica che l’agenzia ha chiesto agli Stati membri di monitorare da vicino i casi di coronavirus e condividere i dati sui campioni quando disponibili in modo che possano valutare meglio la circolazione e “possiamo adattarci, consigliare il mondo.” (Adattarci? Ancora con questa storia della convivenza col virus! Conviveteci voi virologi che ci lavorate ogni giorno con queste merde artificiali di laboratorio, io non ci voglio convivere, lo voglio combattere e voi non avete volontà ancora di combatterlo, con tutte le tecnologie sanitarie che abbiamo oggi a disposizione, bastardi!)

Secondo l’OMS i vaccini continuano a proteggere dagli effetti gravi della variante.

Quali sono i sintomi di JN.1?

Come con altri tipi di COVID-19, secondo il CDC, i sintomi varieranno in base al sistema immunitario e alla salute generale di una persona.

Fonte: Telepace

https://telepacenews.it/il-nuovo-tipo-covid-jn1-si-sta-diffondendo-rapidamente-quanto-dovremmo-preoccuparci-notizie-sulla-salute/

Covid, variante JN.1 aumenta il rischio contagio a Natale: la nota dell’OMS

20 Dicembre 2023 – 09:04

“Sulla base delle prove disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato dalla variante JN.1 è attualmente valutato come basso – ha spiegato l’Organizzazione Mondiale della Sanità -. Nonostante ciò, con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, la variante potrebbe fare aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi”

Rischio basso, ma potenziale aumento dei contagi. È in sintesi il contenuto della nota pubblicata dall’Oms in merito alla variante del Covid JN.1 che si sta diffondendo rapidamente e che ora è stata classificata come ‘Variante di interesse’ (Voi), separatamente dagli altri membri della famiglia BA.2.86.

La nota dell’OMS

“Sulla base delle prove disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato dalla variante JN.1 è attualmente valutato come basso – ha spiegato l’Organizzazione Mondiale della Sanità -. Nonostante ciò, con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe fare aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi”. L’Oms sta comunque “monitorando continuamente le evidenze e aggiornerà la valutazione del rischio JN.1 se necessario”.

La raccomandazione

L’Oms ha poi ricordato che al momento “i vaccini continuano a proteggere dalle malattie gravi e dalla morte dovute a JN.1 e ad altre varianti circolanti”. In ogni caso, è sempre opportuno “adottare misure per prevenire infezioni e malattie gravi utilizzando tutti gli strumenti disponibili (Dispositivi di Protezione Individuali DPI)”, tra cui “indossare una maschera quando ci si trova in aree affollate, chiuse o scarsamente ventilate e mantenere il più possibile una distanza di sicurezza dagli altri (3-4 metri ed oltre)”.

Covid, arriva la nuova variante JN.1: i sintomi e cosa sappiamo

Inizialmente diffusasi in Lussemburgo, poi emersa con parecchi casi in Gran Bretagna fino ad arrivare in Francia, ha la peculiare abilità di agganciarsi con facilità alle cellule umane. Si tratta della variante Covid JN.1, al vaglio degli esperti per comprenderne meglio caratteristiche e specificità.

DAL LUSSEMBURGO

  • Con tratti distintivi simili alle varianti che hanno colpito più duramente all’inizio della pandemia, ovvero Alpha e Beta, la variante Covid JN.1 in arrivo dal Lussemburgo, si sta diffondendo dalla Gran Bretagna al resto d’Europa

DIFFUSIONE

  • Al momento in Italia la principale sottovariante diffusa è Eris EG5, discendente di Omicron che rappresenta quasi il 60% dei casi, seguono altre sottovarianti della stessa Omicron, ovvero JG.3, XBB 1.5 (Kraken),  XBB 1.9, HV.1 e BA.2.86 (Pirola)

JN.1

  • Tra queste si va a inserire quindi anche JN.1, che in Gran Bretagna la UK Health Security Agency ha sottocategorizzato il 4 dicembre scorso a causa della mutazione della proteina spike che la caratterizza e della crescente prevalenza nei dati del Regno Unito e internazionali

DA OMICRON

  • La sottovariante JN.1 è una sottocategoria della variante Omicron Pirola BA 2.86, dopo essere emersa in Lussemburgo nello scorso agosto si è diffusa negli Stati Uniti, Regno Unito poi principalmente in Francia

MUTAZIONE

  • JN.1 ha una mutazione nella sua proteina spike che le permette di infettare facilmente le cellule, riuscendoci anche con un certo successo, considerando che al 4 dicembre scorso, si contano 302 casi sequenziati di JN.1 nel Regno Unito e 3.618 globalmente, ma con tendenza ad un forte rialzo

SISTEMA IMMUNITARIO

  • Le varie mutazioni di JN.1, comprese alcune mai viste dalle varianti Alpha (inglese) e Beta (sudafricana) nel 2020 e 2021, potrebbero significare che JN.1 sfugga più facilmente al sistema immunitario, riuscendo a replicarsi più velocemente

NESSUN ALLARME

  • Secondo quanto gli esperti hanno evidenziato sino ad oggi, JN.1 tuttavia non genererebbe una sintomatologia più grave o fondamentalmente diversa rispetto a quella innescata da altre varianti Covid (da verificare maggiormente in caso di pazienti affetti da comorbosità e dal quadro clinico medico alterato o compromesso, come nel caso di fragili immunodepressi ed anziani)

SINTOMI

  • In pratica, causerebbe generalmente gli stessi sintomi di Omicron o Pirola, ossia febbre e brividi, tosse, stanchezza, mancanza di respiro o difficoltà a respirare, dolore muscolare (mialgia), mal di testa (cefalea), perdita del gusto (disgeusia), oppure perdita dell’olfatto (anosmia), congestione nasale e diarrea

Fonte: Sky TG24

Covid, i nuovi sintomi che colpiscono l’intestino della variante JN.1. «Ecco come il virus aggira l’immunità ibrida»

Storia di Simone Pierini  

Variante JN.1, i nuovi sintomi che colpiscono l’intestino. «Ecco come il Covid aggira l’immunità ibrida»
https://www.msn.com/it-it/salute/other/variante-jn1-i-nuovi-sintomi-che-colpiscono-lintestino-ecco-come-il-covid-aggira-limmunit%C3%A0-ibrida/ar-AA1lTy2c

Gli scienziati di tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, stanno rilevando tracce di Covid in quantità molto maggiori nelle acque reflue. Questo elemento li sta spingendo a considerare se il virus stia ora prendendo di mira l’intestino delle persone. Il Covid infetta tradizionalmente le persone attraverso il naso e la bocca e si moltiplica nelle vie respiratorie, talvolta migrando verso i polmoni. Ma alcuni virologi ritengono che il virus abbia alterato le sue esigenze per entrare nelle cellule, il che significa che può infettare più facilmente l’intestino

Le acque reflue

Marc Johnson, virologo molecolare e professore di microbiologia molecolare e immunologia presso l’Università del Missouri, parlando con il Daily Mail ha dichiarato che «ci sono stati alcuni enormi picchi nelle acque reflue in Europa, e molti di noi stavano riflettendo su quali potrebbero essere le possibili spiegazioni, se si tratta di solo un aumento di casi o se ci sia qualche altra spiegazione». In Austria, ad esempio, i livelli di Covid nelle acque reflue sono aumentati da quasi zero nel luglio di quest’anno a circa 700 copie genetiche per persona, il che indica la carica virale. Una delle idee è che la nuova variante JN.1 abbia modificato i suoi requisiti per entrare nelle cellule, forse per aggirare l’immunità vaccinale o delle infezioni precedenti. 

L’intestino

Il professor Johnson ha ammesso come sia possibile che la nuova variante JN.1 sia più focalizzata sull’intestino, ma ha aggiunto che vi erano ancora prove dirette per confermare teoria. «Ma molti altri coronavirus infettano l’intestino, quindi non sarebbe così sorprendente», ha sottolineato.

Le caratteristiche di JN.1

A causa della sua rapida diffusione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la variante di Sars-CoV-2 JN.1 come ‘ variante di interesse’ (VOI) separata dal lignaggio BA.2.86, alias Pirola. In precedenza era stata classificata Voi come parte dei sottolignaggi BA.2.86. Lo rende noto l’Oms sottolineando che, «sulla base delle evidenze disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato da JN.1 è attualmente valutato come basso. Nonostante ciò – ammonisce però l’agenzia – con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi». 

Fonte: MSN

Covid, arriva la variante JN.1 che mette in crisi il Natale. L’OMS la classifica come “di interesse”

Emersa in Lussemburgo, è osservata speciale in Gran Bretagna dove i contagi stanno aumentando

21/12/2023 Mariavittoria Savini

Non solo COVID, in aumento anche RSV e polmoniti

A causa della sua rapida diffusione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la variante di Sars-CoV-2 JN.1 come “variante di interesse” (Voi) separata dal lignaggio BA.2.86, alias Pirola. In precedenza era stata classificata Voi come parte dei sottolignaggi BA.2.86. Lo rende noto l’Oms sottolineando che, “sulla base delle evidenze disponibili, il rischio aggiuntivo per la salute pubblica globale rappresentato da JN.1 è attualmente valutato come basso. Nonostante ciò – ammonisce però l’agenzia – con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale, JN.1 potrebbe aumentare il carico di infezioni respiratorie in molti Paesi“.

L’OMS “sta monitorando continuamente le evidenze e aggiornerà la valutazione del rischio JN.1 se necessario”, riferisce la nota. L’agenzia ONU sottolinea inoltre che “gli attuali vaccini continuano a proteggere dalla malattia grave e dalla morte, da JN.1 e da altre varianti circolanti di SarS-CoV-2″. 

Non solo Covid, in aumento anche Rsv e polmoniti

L’OMS ammonisce infine che “Covid-19 non è l’unica malattia respiratoria in circolazione. L’influenza, il virus respiratorio sinciziale (Rsv) e la polmonite infantile comune sono in aumento“. 

Quasi un milione gli italiani a letto durante le feste

Quasi un milione di italiani, “passeranno le feste di Natale a letto ammalati, tra Covid e influenza”. A dirlo è il virologo Fabrizio Pregliasco, Direttore IRCSS dell’Istituto San Raffaele di Milano. “Siamo in una fase di crescita di tutte le infezioni, soprattutto di quelle respiratorie. Specialmente il virus H1N1 è in costante crescita e anche il Covid è molto più contagioso ma più buono, anche se non troppo. Soprattutto questi ultimi casi sono sottostimati, perché il tampone non viene eseguito”, continua Pregliasco che spiega come “nonostante il leggero arresto della scorsa settimana anche il dato dell’occupazione degli ospedali, dei ricoveri e delle morti è in crescita e desta preoccupazione”.

Le misure di prevenzione

La Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (SIMG) e della Società italiana malattie infettive e tropicali (SIMIT) raccomandano una prevenzione vaccinale e una gestione mirata dei pazienti con Covid-19. Da qui il consiglio alla popolazione di adottare misure per prevenire infezioni e malattie gravi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili: indossare una mascherina quando ci si trova in aree affollate, chiuse o scarsamente ventilate e mantenere una distanza di sicurezza dagli altri se possibile; pratica il ‘galateo respiratorio’, coprendo con il gomito tosse e starnuti; lavarsi le mani regolarmente; tenersi aggiornato con le vaccinazioni anti Covid e l’influenza, soprattutto se sei ad alto rischio di malattia grave; restare a casa se si è malati e sottoporsi al test se si hanno sintomi o se si è stati vicini o a contatto con qualcuno con Covid-19 o influenza.

Tornano i tamponi per entrare in ospedali e RSA

Torna l’indicazione per i test alle persone con sintomi Sars-CoV-2 che accedono alle strutture sanitarie. Lo prevede la nuova circolare ‘Indicazioni per l’effettuazione dei test diagnostici per Sars-CoV-2 per l’accesso e il ricovero nelle strutture sanitarie’, firmata dal direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute, Francesco Vaia. L’obiettivo è ampliare e potenziare il monitoraggio dei virus per andare a rintracciare tutte le malattie respiratorie che stanno circolando.

Fonte: Rainews

Covid e Voce – Patologie vocali come conseguenza del virus

10 Mar 2021

https://istitutosantachiara.it/covid-e-voce-patologie-vocali-come-conseguenza-del-virus/

Intervista alla dott.ssa Rosanna De Vita, foniatra presso Istituto Santa Chiara di Roma

La dottoressa De Vita si occupa di prevenzione, diagnosi e trattamento delle patologie e delle malattie della voce parlata e cantata, con particolare interesse per la foniatria artistica.

La trasmissione per via aerea, probabilmente, rappresenta la maggior parte della diffusione del virus SARS-CoV-2.
Quali sono le particelle più pericolose e perché?

Il SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, può essere trasmesso in tre modi: contatto direttocontatto indiretto o attraverso le particelle sospese in aria.
La trasmissione per contatto diretto avviene attraverso il contatto da persona a persona (una stretta di mano).
Il contatto indiretto si verifica quando le particelle virali atterrano su oggetti che vengono comunemente toccati.
La trasmissione per via aerea probabilmente rappresenta la maggior parte della diffusione della SARS-CoV-2.
La carica virale (ovvero la quantità di virus a cui una persona è esposta), il tempo di esposizione e la suscettibilità individuale giocano un ruolo determinante nella trasmissione.
Gli spazi più piccoli, con meno ventilazione e carica virale più elevata e con più persone presenti, portano a tassi di infezione più elevati tramite aerosol.
Gli aerosol, particelle più piccole delle goccioline, trasmettono SARS-CoV-2 su distanze e tempi maggiori perché galleggiano e possono rimanere sospesi nell’aria per ore.
Inoltre, più piccola è la particella, più è probabile che raggiunga il tratto respiratorio inferiore quando viene inalata.
Le particelle di medie dimensioni sono in grado di galleggiare per ore e presentano una maggiore probabilità di infettare con successo un ospite sensibile.

Perché i cantanti potrebbero essere a rischio di trasmissione?

Le particelle di “medie dimensioni” (tra 1 e 5 µm) sono prodotte in proporzione maggiore durante il discorso e il canto. Respirare e parlare, poi, portano all’aerosol delle particelle.
La vibrazione delle corde vocali contribuisce alla generazione di particelle di medie dimensioni.
Questo potrebbe essere il motivo per cui gli atti del parlare e cantare producono più aerosol di medie dimensioni e perché i cantanti potrebbero essere a rischio di trasmissione.

Quali potrebbero essere gli effetti del Covid a lungo termine, in particolare per gli artisti della voce?

Gli effetti a lungo termine includono problemi respiratori, fisici, cognitivi e psicologici.
L’87,4% dei pazienti ha manifestato almeno un sintomo dopo il recupero, con affaticamento (53%) e dispnea (43%).
Gli studi suggeriscono che possono verificarsi conseguenze respiratorie anche a seguito di infezione da COVID-19 in persone senza sintomi gravi.
Le evidenze hanno mostrato che molti soffrono di una persistente riduzione della funzione respiratoria e fonatoria.
Le lesioni polmonari associate a COVID-19 possono causare fibrosi polmonare che può irrigidire i polmoni e causare difficoltà respiratorie.
Riduzioni lievi o moderate della funzione respiratoria potrebbero essere non debilitanti, tuttavia potrebbero determinare importanti problematiche per cantanti e insegnanti di canto.
Gli effetti cronici di lesioni da intubazione includono anomalie della mucosa, della vibrazione delle corde vocali, cicatrici e insufficienza fonatoria.
La paralisi e la ipomotilità delle corde vocali possono derivare anche da brevi periodi di intubazione o da un danno virale al nervo vago. Le neuropatie sensoriali della laringe sono associate a infezioni virali.
Le manifestazioni più comuni della neuropatia sensoriale laringea sono la tosse cronica, la disfunzione della deglutizione la perdita di sensibilità e propriocezione nella laringe, che potrebbe portare a una diminuzione del controllo motorio fine con effetti negativi sulle capacità di cantare.

Come cambia la voce?

L’affaticamento cronico post COVID-19 può rivelarsi abbastanza comune e, logicamente, può avere un impatto significativo sui cantanti con elevate esigenze vocali, mentali ed emotive e, quindi esso, può essere associato a disturbi della voce.

Dal punto di vista medico, così come a livello di best practice da osservare nel quotidiano, cos’è consigliato fare per chi abbia contratto l’infezione da coronavirus e sia guarito?  

Fondamentale è che, chi abbia contratto l’infezione da coronavirus e sia guarito, effettui, tra gli altri controlli, una visita foniatrica con una laringostroboscopia per valutare quanto prima un eventuale coinvolgimento delle corde vocali, soprattutto se si presentano sintomi quali disfonia, raucedine, abbassamento di voce, stanchezza e fonoastenia e difficoltà nel canto.

Fonte: Istituto Santa Chiara

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

INFARTI ED ISCHEMIE “INVISIBILI”, I SINTOMI DA NON TRASCURARE: DONNE A RISCHIO

04 ottobre 2023 | 14.43

Redazione Adnkronos

Un esame in ospedale
https://www.adnkronos.com/salute/infarti-e-ischemie-invisibili-3-pazienti-su-4-lasciano-o-riducono-lavoro_5OXXQRhtiBCij7d3IL8wPA

In gergo tecnico si chiamano Inoca e Minoca, sono ischemie e infarti ‘invisibili’. Macigni che non si vedono, ma pesano eccome sulla vita di tutti i giorni dei pazienti colpiti, i quali convivono per anni con dolore e oppressione, e in 3 casi su 4 arrivano persino a lasciare il lavoro, o si vedono costretti a ridurne l’orario. L’impatto di queste condizioni sull’esistenza delle persone è stato fotografato da una recente ricerca. E il tema è sotto i riflettori anche in questi giorni, in occasione del 44esimo Congresso nazionale della Società italiana di cardiologia interventistica (Gise), che si tiene a Milano fino a venerdì 6 ottobre.

Cosa sono gli infarti e le ischemie invisibili

La ricerca pubblicata sull’International Journal of Cardiology è stata condotta su quasi 300 pazienti con Inoca, cioè ischemia senza malattia coronarica ostruttiva, e ha rilevato che il 34% di loro ha convissuto con dolore toracico, oppressione o disagio per oltre 3 anni prima di ricevere una diagnosi. Al 78% è stato erroneamente detto, a un certo punto, che i loro sintomi non erano legati al cuore. Il 75% è stato costretto addirittura a ridurre il proprio orario di lavoro o a licenziarsi a causa della propria condizione. Circa il 70% ha affermato che la propria salute mentale e le proprie prospettive di vita sono peggiorate e più della metà (54%) ha affermato che i propri sintomi hanno influenzato negativamente la relazione con il partner o coniuge.

Considerata la somiglianza dei sintomi e il ritardo diagnostico, evidenziano gli esperti, questi risultati possono essere estesi anche al Minoca, cioè infarto del miocardio senza ostruzione. “I disturbi cardiovascolari continuano a essere una delle principali cause di ricovero in ospedale e di morte sia per gli uomini che per le donne – afferma Giovanni Esposito, presidente Gise e direttore della UOC di Cardiologia, Emodinamica e Utic dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli – In molti casi, specialmente nelle donne, ischemie e infarti del miocardio non presentano occlusioni significative nelle arterie che irrorano il cuore (malattia coronarica ostruttiva)”. L’ischemia senza la malattia coronarica ostruttiva Inoca è una patologia che colpisce principalmente le donne, ed è probabilmente il motivo per cui per anni molte pazienti che si sono presentate in ospedale con dolore toracico sono state dimesse e rimandate a casa perché non vi era alcun blocco evidente nelle loro arterie coronarie, spiegano gli specialisti.

“Tuttavia – puntualizza Esposito – negli ultimi anni l’Inoca è stata riconosciuta come una condizione reale ed è ora argomento di discussione nella maggior parte dei convegni mondiali di cardiologia. Oggi si stima che può riguardare il 62% delle donne che si sottopongono ad angiografia coronarica per sospetta angina, con un’accentuata prevalenza di quelle con 45-65 anni d’età. In passato, non avevamo gli strumenti giusti per fare la diagnosi, ma ora sappiamo che la maggior parte di questi pazienti ha una disfunzione microvascolare coronarica, dove i piccoli vasi non sono in grado di dilatarsi completamente per aumentare il flusso sanguigno a causa dello stress o dell’esercizio fisico. Oppure soffrono effettivamente di una costrizione o un vasospasmo, dove può esserci un restringimento significativo delle arterie coronarie e quindi i pazienti presentano dolore toracico”.

In alcuni casi, l’ischemia può avere come esito un vero e proprio infarto miocardico, pur in assenza di ostruzioni evidenti delle arterie coronarie, condizione chiamata Minoca: si stima succeda nel 6% dei casi, più frequentemente tra le donne. “Un sottogruppo di casi di Minoca è dovuto alla dissezione spontanea dell’arteria coronaria (Scad), che è una rottura che si forma all’interno della parete di un vaso coronarico – evidenzia Francesco Saia, presidente eletto Gise e cardiologo interventista all’Irccs Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola – Nella maggior parte dei casi di Minoca, è difficile identificare la causa. Così succede che, poiché non si riscontrano ostruzioni nelle arterie coronarie principali, i pazienti spesso lasciano l’ospedale incerti su cosa abbia causato il loro attacco cardiaco Minoca e su come prevenirne un altro”.

Si stima che nei 4 anni successivi a un evento di questo tipo, ci sia il 13% di probabilità di morire per qualsiasi causa e il 7% di probabilità di avere un altro attacco cardiaco. “La buona notizia è che con l’applicazione su ampia scala di raffinate tecniche di fisiologia coronarica e/o di imaging aumentano le probabilità di ottenere una diagnosi corretta e cure appropriate nella maggior parte dei casi – conclude Saia – Questo argomento ha altri risvolti, oltre a quello clinico. Queste procedure, infatti, non hanno un rimborso ad hoc. Il Gise sta lavorando da tempo a un riconoscimento economico che faccia sì che l’applicazione di questi presidi non sia economicamente svantaggiosa per le strutture sanitarie e che ne venga quindi allargato l’accesso su tutto il territorio nazionale”.

Fonte: Adnkronos

#Salute #Infarti ed #ischemie invisibili: 3 pazienti su 4 lasciano o riducono il #lavoro. #adnkronos

https://x.com/bralex84/status/1709873387688939944

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

COVID, MONITORAGGIO SETTIMANALE DELL’ISS: L’INCIDENZA BALZA A 325 CASI OGNI 100 MILA ABITANTI

L’indice RT sale a 1. Il tasso di occupazione in terapia intensiva è stabile all’1,4%, l’occupazione dei reparti sale al 6%

Operatori sanitari in una foto d’archivio
https://www.rainews.it/articoli/2022/09/covid-monitoraggio-settimanale-iss-balzo-dellincidenza-da-215-a-325-casi-ogni-100mila-abitanti-2328d489-d930-41b5-b13c-8582df5a62ba.html

Balzo dell’incidenza dei casi di Covid in Italia che in una settimana raggiunge quota 325 ogni 100 mila abitanti, da 215 registrata nel monitoraggio della scorsa. Lo evidenzia il monitoraggio settimanale Iss-Ministero della Salute sull’andamento dell’epidemia da Covid-19.

In salita anche l’indice di trasmissibilità (Rt) che passa da 0,91 a 1. È dallo scorso luglio che l’indice non raggiungeva la soglia epidemica dell’unità. Nel periodo 6 – 19 luglio 2022, l’Rt ha infatti raggiunto un valore medio calcolato sui casi sintomatici pari a 1,03 (range 1,02-1,04), in diminuzione rispetto alla settimana precedente. La settimana successiva, il valore di Rt è nuovamente sceso collocandosi a 0,90.

Il tasso di occupazione in terapia intensiva è stabile all’1,4% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 29 settembre ) come lo scorso 22 settembre.

Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale sale invece al 6,0% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 29 settembre) contro il 5,3% (rilevazione giornaliera al 22 settembre).

“Cinque regioni, tutte per la presenza di molteplici allerte di resilienza, sono classificate a rischio alto, le restanti 16 a rischio moderato. Quattordici regioni riportano almeno una allerta di resilienza. Cinque regioni riportano molteplici allerte di resilienza”, si legge nel report.

Nelle Province autonome di Trento e Bolzano l’incidenza dei casi di Covid-19 supera questa settimana la soglia di 600 per 100 mila abitanti, quasi il doppio rispetto alla media nazionale di 325: è infatti pari a 637,6 a Bolzano e 633 a Trento. La terza Regione con la maggiore incidenza è il Veneto con 557. Per l’occupazione dei reparti ospedalieri, in 5 Regioni si supera la soglia di allerta del 10%: PA Bolzano (20,2%), Umbria (17,8%), Valle d’Aosta (16,4%), Calabria (12,9%), Friuli Venezia Giulia (10,6%).

La percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è stabile rispetto alla settimana precedente (11%), mentre è in leggero aumento la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (54% contro 53%). Diminuisce leggermente la percentuale dei casi diagnosticati attraverso attività di screening (35% contro 36%).

Fonte: Rai news

Covid, il ritorno a scuola fa impennare i contagi: +34% in soli sette giorni

In calo le terapie intensive (-14,7%) e i decessi (-8,1%). In Italia i nuovi casi settimanali da poco meno di 108mila sfiorano quota 161mila

https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2022/09/30/news/covid_il_ritorno_a_scuola_fa_impennare_i_contagi_34_in_soli_sette_giorni-10077402/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo

LONG COVID. UN PAZIENTE SU QUATTRO MOSTRA ALMENO UN SINTOMO DOPO UN ANNO

A distanza di un anno dall’infezione, una persona su quattro lamenta almeno uno dei tre principali sintomi del Covid: tosse, affaticamento e mancanza di respiro. I sintomi persistenti sono associati a malattie autoimmuni e a un aumento di citochine, causa di infiammazioni. E’ quanto emerge da uno studio canadese  pubblicato dall’European Respiratory Journal.

https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=107500

Gran parte delle persone infettate dal virus Sars-CoV-2, il 75%, si riprende dai sintomi più comuni del Covid nell’arco di 12 mesi, indipendentemente dalla gravità della malattia. Tuttavia, dopo un anno, un paziente su quattro mostra ancora uno dei tre principali sintomi della patologia, ovvero tosse, affaticamento e mancanza di respiro.

È quanto emerge da uno studio condotto da un team della McMaster University, in Canada, guidato da Manali Mukherjee. I ricercatori hanno anche evidenziato che i sintomi persistenti sono associati a malattie autoimmuni, così come a un aumento di livelli di citochine, causa di infiammazioni. Lo studio è stato pubblicato dall’European Respiratory Journal.

La ricerca è stata condotta su 106 persone guarite dal Covid, valutate a tre, sei e 12 mesi dopo aver contratto l’infezione. Tutti i pazienti erano sani prima di contrarre il Covid.

Chi mostrava una riduzione degli autoanticorpi e delle citochine faceva registrare un miglioramento dei sintomi. Viceversa, i pazienti che avevano elevati livelli di autoanticorpi e citochine dopo un anno erano quelli i cui sintomi persistevano.

Sulla base di questi risultati, secondo Mukherjee, i pazienti con sintomi persistenti di long Covid dovrebbero consultare un reumatologo, specializzato in malattie autoimmuni, che può valutare meglio lo sviluppo di complicanze reumatologiche e l’eventuale necessità di un intervento precoce.

Fonte: European Respiratory Journal 2022

23 Settembre 2022

Long Covid, test del sangue lo prevede: lo studio

Livelli alti di 20 proteine sono risultati associati a sintomi persistenti a un anno dal contagio

https://www.adnkronos.com/long-covid-test-del-sangue-lo-prevede-lo-studio_5uQuWzTcyiIixFdhhF1wP5

Un esame del sangue eseguito al momento dell’infezione da Sars-CoV-2 promette di prevedere la sindrome Long Covid, individuando i pazienti più a rischio di disturbi a un anno dal contagio. E’ la novità che emerge da uno studio pubblicato su ‘eBioMedicine – The Lancet‘, condotto da ricercatori dell’University College London (Ucl) su piccoli numeri. Se i risultati verranno confermati da indagini più ampie, gli autori prospettano la possibilità di predire la sindrome post Covid-19 offrendo un test già al momento della diagnosi di positività al coronavirus pandemico. Il futuro esame misurerebbe i livelli di una serie di proteine, le cui concentrazioni plasmatiche sono risultate particolarmente alte nei contagiati con sintomi persistenti dopo 12 mesi dall’infezione.

Gli scienziati hanno analizzato campioni di plasma di 54 operatori sanitari con Covid confermato da tampone molecolare o test degli anticorpi, prelevati ogni settimana per 6 settimane nella primavera 2020, confrontandoli con campioni raccolti nello stesso periodo su 102 sanitari che non erano stati contagiati da Sars-CoV-2. Attraverso tecniche mirate di spettrometria di massa, gli autori hanno studiato come Covid-19 influenzava i livelli di proteine plasmatiche nell’arco delle 6 settimane. Hanno così rilevato concentrazioni anomale, molto elevate, per 12 proteine su 91 valutate, evidenziando che il grado di anomalia nelle concentrazioni proteiche era associato alla gravità dei sintomi. Il team ha inoltre osservato che, al momento della diagnosi di positività a Sars-CoV-2, livelli anomali di 20 proteine erano predittivi di disturbi che permanevano a un anno dal contagio. La maggior parte di queste proteine ‘spia’ erano legate a meccanismi anticoagulanti e antinfiammatori.

I ricercatori hanno quindi chiesto aiuto all’intelligenza artificiale, addestrando un algoritmo di apprendimento automatico che ha imparato a esaminare i profili proteici dei partecipanti ed è stato in grado di distinguere tutti gli 11 operatori che 12 mesi dopo l’infezione riferivano almeno un sintomo persistente. Un altro strumento di apprendimento automatico è stato usato per stimare la probabilità che il test avrebbe di sbagliarsi, indicando un possibile tasso di errore del 6%.

“Il nostro studio mostra che anche un’infezione Covid lieve o asintomatica altera il profilo proteico del plasma sanguigno”, spiega Gaby Captur, autrice principale del lavoro che è stato finanziato dal National Institute for Health and Care Research, Great Ormond Street Hospital Biomedical Research Center (Nihr Gosh Brc), dalla British Heart Foundation e dall’ente di beneficenza Barts.

“Il nostro strumento di previsione del Long Covid deve essere validato in un gruppo di pazienti indipendente e più ampio – precisa la scienziata – Tuttavia, secondo il nostro approccio un test che prevede il rischio di Long Covid al momento dell’infezione iniziale” da Sars-CoV-2 “potrebbe essere implementato in modo rapido ed economico. Il nostro metodo di analisi è infatti prontamente disponibile negli ospedali ed è ad alto rendimento, nel senso che può analizzare migliaia di campioni in un pomeriggio”.

“Se riusciamo a identificare le persone che potrebbero sviluppare Long Covid – commenta l’autrice senior Wendy Heywood – questo aprirà la strada alla sperimentazione di trattamenti come antivirali somministrati nelle fasi iniziali dell’infezione, per capire se riescono a ridurre il rischio di Long Covid”.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo