Long COVID

LONG COVID: TESTIMONIANZA ESCLUSIVA DI TRACEY THOMPSON DA TORONTO, ONTARIO CANADA SU AL JAZEERA, 14 MARZO 2024

Minelli, ‘Long Covid non è malattia immaginaria, vasculiti fenomeno chiave’

di Adnkronos   14-03-2024 

https://notizie.tiscali.it/salute/articoli/minelli-long-covid-non-a-malattia-immaginaria-vasculiti-fenomeno-chiave-00001/

Roma, 14 Marzo (Adnkronos Salute) – Oggi chi porta gli effetti del Long Covid “non ha segni oggettivabili (tampone, esami radiologici) di un’infezione virale in corso o di una condizione infiammatoria (Pcr, Ves, D-Dimero), ma questo non vorrà dire affatto che quei pazienti, dopo un’infezione da Sars Cov-2, siano psichicamente tarati o abbiano somatizzato o siano malati immaginari. Di quei pazienti, diversi continueranno a manifestare sensazione generale di malessere, turbe cognitive, astenia e facile stancabilità, dolori articolari di varia intensità assimilabili a quella che più comunemente viene chiamata fibromialgia, discomfort intestinale. Ma sono le vasculiti ad essere un fenomeno cruciale”. Lo afferma all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione per la Medicina personalizzata (FMP), in occasione della Giornata Mondiale dedicata al Long Covid che si celebra domani.

“Fin dagli esordi della pandemia non abbiamo mai smesso di sottolineare, sul versante strettamente clinico, la valenza sistemica della malattia da nuovo coronavirus, dopo aver scartato a priori ogni ipotesi poggiata sul semplicistico sillogismo deduttivo che vorrebbe un virus respiratorio, quindi assunto attraverso le vie aeree, linearmente responsabile di una polmonite e basta. E proprio questa visione allargata del fenomeno Covid ha messo in evidenza alcuni aspetti clinici che hanno finito per rivelarsi di grande rilevanza epidemiologica e che sembrano più fortemente coinvolgere il distretto cardiovascolare”, aggiunge Minelli.

“Ma d’altro canto – osserva – che la storia della Covid-19 non fosse proprio linearmente banale ce l’avevano anche detto i cinesi, quelli di Wuhan e dintorni, che in uno studio pubblicato sul ‘Chinese Journal of Tuberculosis and Respiratory Diseases’ ci avevano parlato di una ‘tempesta citochinica’ caratterizzata da un aumento dei livelli ematici di diversi mediatori della cosiddetta immunoflogosi. Queste citochine, delle quali i medici di Wuhan raccontavano gli effetti, altro non sono se non veri e propri ‘segnali di comunicazione’ tra sistema immunitario e cellule e tessuti dell’organismo e, in alcuni casi, sono in grado di promuovere e mantenere importanti processi infiammatori a carico di diversi organi e apparati. Figura tra questi ultimi il sistema cardiovascolare con possibile diffuso coinvolgimento dei vasi sanguigni, da quelli polmonari a quelli cerebrali, cardiaci, renali e fino ai più periferici”.

Fonte: Adnkronos

English translate

Minelli, ‘Long Covid is not an imaginary disease, vasculitis is a key phenomenon’

Rome, March 14 (Adnkronos Health) – Today those who suffer from the effects of Long Covid “have no objective signs (swab, radiological tests) of an ongoing viral infection or an inflammatory condition (Pcr, ESR, D-Dimer), but this does not mean at all that those patients, after an infection with Sars Cov-2, are psychically impaired or have somatization or are imaginary illnesses. Of those patients, several will continue to demonstrate a general feeling of malaise, cognitive disorders, asthenia and easy tiredness, joint pain of varying intensity similar to what is more commonly called fibromyalgia, intestinal discomfort. But it’s the vasculitis that is a crucial phenomenon.” Immunologist Mauro Minelli, responsible for the South of the Foundation for Personalized Medicine (FMP), stated this to Adnkronos Salute on the occasion of the World Day dedicated to Long Covid which will be celebrated tomorrow.

“Since the beginning of the pandemic we have never stopped underlining, on a strictly clinical side, the systemic value of the new coronavirus disease, after having discarded a priori every hypothesis based on the simplistic deductive syllogism that would have a respiratory virus, therefore assumed through the aerial, linearly responsible for pneumonia and that’s it. And precisely this broadened vision of the Covid phenomenon has highlighted some clinical aspects which have ended up proving to be of great epidemiological relevance and which seem to more strongly involve the cardiovascular district”, adds Minelli.

“But on the other hand – he observes – the Chinese, those from Wuhan and surrounding areas, had also told us that the story of Covid-19 was not exactly linearly banal, in a study published in the ‘Chinese Journal of Tuberculosis and Respiratory Diseases ‘they told us about a ‘cytokine storm’ characterized by an increase in the blood levels of various mediators of the so-called immunophlogosis. These cytokines, whose effects the Wuhan doctors described, are nothing other than real ‘communication signals’ between the immune system and the cells and tissues of the organism and, in some cases, they are able to promote and maintain important inflammatory processes affecting various organs and systems. Among the latter, the cardiovascular system with possible widespread involvement of blood vessels, from those from the lungs to those in the brain, heart, kidneys and up to the most peripheral ones”.

Source: Adnkronos

15 MARZO: LONG COVID DAY

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa a firma di Marta Esperti (MA, PhD candidate), ricercatrice e Long COVID advocate, fondatrice del collettivo di supporto Italiano “Long Covid Italia”, ed Elisa Perego (MA, PhD), ricercatrice e Long Covid advocate.

Il 15 Marzo 2024 i pazienti di tutto il mondo affetti da long Covid organizzano la seconda Giornata internazionale per la sensibilizzazione sulla patologia. Questa importante iniziativa è volta a tenere alta l’attenzione sui rischi di medio e lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2.

Per l’occasione, gli hashtag maggiormente usati sui social media sono: #LongCovidAwareness, #LongCovidAwarenessMonth e #LongCovidAwarenessDay. Numerose le iniziative in tutto il mondo per mobilitare l’opinione pubblica sulla gravità e la persistenza della malattia long Covid, con particolare enfasi sulla richiesta di trattamenti efficaci da parte dell’advocacy mondiale. 

https://nursetimes.org/15-marzo-long-covid-day/173547

Il SARS-CoV-2 è un virus che continua a circolare a livello consistente su scala globale, con continue mutazioni e con conseguenze di alta mortalità e morbilità.

Molti pazienti affetti da long Covid, ancora dalla prima ondata del Febbraio-Marzo 2020, non sono mai guariti e non sono mai potuti tornare alla vita precedente, inclusa quella lavorativa. Inoltre, una percentuale significativa di persone continua a sviluppare la malattia, o a subire peggioramenti di questa patologia, a seguito delle reinfezioni.

E’ importante ricordare che il contributo dei pazienti della prima ondata pandemica è stato pionieristico per la sensibilizzazione, il riconoscimento e la ricerca sull’infezione da SARS-CoV-2, con il prolungamento del Covid-19 in una malattia cronica.

Cosa è il Long Covid? Il termine e il concetto nascono dall’unione dei pazienti colpiti dalla prima ondata pandemica. Il termine “long Covid” viene condiviso per la prima volta su Twitter nella primavera del 2020. In pochi mesi, la comunità internazionale dei pazienti riesce a portare la propria voce davanti all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Il Long Covid viene riconosciuto formalmente dall’OMS il 21 Agosto 2020. La ricercatrice Marta Esperti, fondatrice nel Luglio 2020 del collettivo di sostegno italiano “Long Covid Italia”, e la ricercatrice Elisa Perego (PhD), che ha coniato il termine “Long Covid”, hanno rappresentato l’Italia a questo incontro chiave con l’OMS, e hanno guidato in Italia il riconoscimento del Long COVID con l’Istituto Superiore di Sanità ed il ministero della Salute, nell’ambito della prima giornata italiana dedicata alla sensibilizzazione sulla ricerca bio-medica sul Long Covid, avvenuta il 30 gennaio 2021, alla quale fa seguito una nota dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel Luglio 2021, l’Istituto Superiore di Sanità diffonde un report sulla definizione e gestione del Long Covid nei pazienti adulti e pediatrici.

A partire dall’ottobre 2021 l’OMS comunicava una definizione ufficiale della patologia Long COVID sotto il nome di “post Covid-19 condition” o “condizione post Covid” tramite il metodo DELPHI che vede la partecipazione anche dei pazienti, tra cui per l’Italia, Marta Esperti.

Il Covid-19 è ormai tra le patologie più studiate nella storia della medicina. Ad oggi, 13 marzo 2024, una ricerca sul repository per pubblicazioni medico-scientifiche PubMed, sotto il termine *Covid, produce oltre 410.000 risultati. Tra queste, migliaia sono le pubblicazioni dedicate al Long Covid.

Il Covid-19, con il suo prolungamento nel long Covid, sono stati associati scientificamente a danno e disfunzione in molteplici organi e sistemi organici, dal sistema nervoso a quello cardiovascolare. Sono ben attestati disturbi della coagulazione con micro-coaguli diffusi, macro-embolie e micro-embolie, danni cardiaci e cardio-vascolari, fibrosi e danni multi-organo, conseguenze autoimmuni sistemiche, disfunzione prolungata del sistema immunitario, gravi eventi trombo-embolici ben oltre la fase acuta dell’infezione, patologie metaboliche come il diabete, danni a carico del sistema nervoso centrale e periferico, e patologie gastrointestinali, solo per citare alcune condizioni associate all’infezione da SARS-CoV-2.

Nell’ultimo anno le evidenze scientifiche a favore di una persistenza virale si sono avvalorate, aprendo piste per nuove terapie con anticorpi monoclonali ed antivirali. La patologia Long Covid può presentare un decorso non lineare, con fasi di aggravamento e miglioramento che si alternano, ma con possibile patologia sub-clinica o paucisintomatica.

Decine, se non centinaia di milioni di persone al mondo, soffrono o hanno sofferto di Long Covid. Le ricadute sulla vita personale dei pazienti e sull’economia sono severe. E’ dunque cruciale una presa in carico dei pazienti Long Covid da parte del sistema sanitario nazionale. Questo, anche per evitare ulteriori aggravamenti di condizioni, come le coagulopatie o le patologie endocrine, autoimmuni o cardiometaboliche, per cui possono esistere dei trattamenti clinici adeguati, già disponibili in attesa di una cura risolutiva. 

Auspichiamo un incentivo nel finanziamento della ricerca, in modo da incrementare ulteriormente le nostre conoscenze sulla malattia Long Covid e supportare lo sviluppo di una cura. Il riconoscimento, nei casi opportuni, della disabilità, di codici di esenzione ed altre forme di supporto per il Long Covid e le patologie ad esse associate, è urgente.

Inoltre la possibilità, nel mondo del lavoro, di legittimare la malattia, usufruire di flessibilità degli orari o accesso da remoto è fondamentale per assicurare una vita dignitosa ai malati, allo scopo di una partecipazione quanto più estesa possibile alla vita sociale e lavorativa.

Redazione Nurse Times

Fonte: Nurse Times

English translate

15 MARCH LONG COVID DAY

We receive and publish a press release signed by Marta Esperti (MA, PhD candidate), researcher and Long COVID advocate, founder of the Italian support collective “Long Covid Italia”, and Elisa Perego (MA, PhD), researcher and Long Covid advocate.

On March 15, 2024, patients from all over the world suffering from long Covid will organize the second International Day for Awareness of the Pathology. This important initiative is aimed at keeping attention high on the medium and long-term risks of SARS-CoV-2 infection.

For the occasion, the most used hashtags on social media are: #LongCovidAwareness, #LongCovidAwarenessMonth and #LongCovidAwarenessDay. Numerous initiatives around the world to mobilize public opinion on the severity and persistence of the long Covid disease, with particular emphasis on the request for effective treatments by global advocacy.

SARS-CoV-2 is a virus that continues to circulate at a consistent level on a global scale, with continuous mutations and with high mortality and morbidity consequences.

Many patients suffering from long Covid, even from the first wave of February-March 2020, have never recovered and have never been able to return to their previous life, including working life. Furthermore, a significant percentage of people continue to develop the disease, or experience worsening of the disease, following reinfections.

It’s important to remember that the contribution of patients of the first pandemic wave was pioneering for awareness, recognition and research on SARS-CoV-2 infection, with the prolongation of Covid-19 into a chronic disease.

What is Long Covid? The term and concept arise from the union of patients affected by the first pandemic wave. The term “long Covid” was shared for the first time on Twitter in the spring of 2020. In a few months, the international patient community managed to bring its voice to the World Health Organization (WHO).

Long Covid was formally recognized by the WHO on 21 August 2020. The researcher Marta Esperti, founder of the Italian support collective “Long Covid Italia” in July 2020, and the researcher Elisa Perego (PhD), who coined the term “long Covid”, represented Italy at this key meeting with the WHO, and led the recognition of Long COVID in Italy with the Istituto Superiore di Sanità and the Ministry of Health, as part of the first Italian day dedicated to raising awareness on bio-medical research on long Covid, which took place on 30 January 2021, which was followed by a note from the Istituto Superiore di Sanità. In July 2021, the Istituto Superiore di Sanità released a report on the definition and management of long Covid in adult and pediatric patients.

Starting from October 2021, the WHO communicated an official definition of the long COVID pathology under the name of “post Covid-19 condition” or “post Covid condition” through the DELPHI method which also sees the participation of patients, including for ‘Italy, Marta Esperti.

Covid-19 is now among the most studied pathologies in the history of medicine. To date, March 13, 2024, a search on the repository for medical-scientific publications PubMed, under the term *Covid, produces over 410,000 results. Among these, there are thousands of publications dedicated to Long Covid.

Covid-19, with its extension into long Covid, have been scientifically associated with damage and dysfunction in multiple organs and organic systems, from the nervous to the cardiovascular system. Coagulation disorders with diffuse micro-clots, macro-embolisms and micro-embolisms, cardiac and cardio-vascular damage, fibrosis and multi-organ damage, systemic autoimmune consequences, prolonged dysfunction of the immune system, serious thrombo-embolic events are well established beyond the acute phase of the infection, metabolic pathologies such as diabetes, damage to the central and peripheral nervous system, and gastrointestinal pathologies, just to name a few conditions associated with SARS-CoV-2 infection.

Over the last year, the scientific evidence in favor of viral persistence has gained ground, opening paths for new therapies with monoclonal and antiviral antibodies. Long Covid pathology can present a non-linear course, with alternating phases of aggravation and improvement, but with possible sub-clinical or paucisymptomatic pathology.

Tens, if not hundreds of millions of people in the world suffer or have suffered from Long Covid. The repercussions on patients’ personal lives and on the economy are severe. It is therefore crucial for the national healthcare system to take charge of Long Covid patients. This is also to avoid further worsening of conditions, such as coagulopathies or endocrine, autoimmune or cardiometabolic pathologies, for which there may be adequate clinical treatments, already available while awaiting a definitive cure.

We hope for an incentive to fund research, so as to further increase our knowledge of the Long Covid disease and support the development of a cure. The recognition, in appropriate cases, of disability, exemption codes and other forms of support for Long Covid and associated pathologies is urgent.

Furthermore, the possibility, in the world of work, to legitimize the illness, take advantage of flexible working hours or remote access is essential to ensure a dignified life for the sick, with the aim of participating as widely as possible in social and working life.

Source: Nurse Times

Long Covid Day, mix Arginina e Vitamina C funziona in 8 pazienti su 10 anche contro insonnia e disturbi gastrici

https://nursetimes.org/long-covid-day-mix-arginina-e-vitamina-c-funziona-in-8-pazienti-su-10-anche-contro-insonnia-e-disturbi-gastrici/153317

Lo dimostra uno studio sul Long Covid che ha coinvolto oltre 20 centri di ricerca, coordinato dal Consorzio International Translational Medical Education (ITME), che coinvolge l’Università Federico II di Napoli, l’Albert Einstein College di New York e il Cardiovascular Research Center di Ahalst (Belgio). Secondo la ricerca l’utilizzo di un cocktail di Arginina e Vitamina C è in grado di migliorare la percezione dei sintomi più comuni legati alla sindrome post-Covid nell’87% dei pazienti con disturbi gastrici e nell’80% dei pazienti con insonnia. Alla vigilia di quella che per moltissimi pazienti dovrebbe essere la Giornata internazionale sulla consapevolezza sul Long Covid, la ricerca offre dunque un approccio integrativo, sicuro ed efficace, per contrastare i più comuni sintomi della sindrome post-Covid.

Roma, martedì 14 marzo 2023 – A tre anni di distanza dalla scoperta del Long Covid, dagli Stati Uniti si è diffuso un movimento social che unisce migliaia di pazienti in tutto il mondo e che oggi chiedono alle Nazioni Unite di ufficializzare l’istituzione del Long Covid Awareness Day, Giornata internazionale della consapevolezza sul Long Covid, da celebrare il 15 marzo. L’obiettivo è quello di richiamare l’attenzione su questa “pandemia nella pandemia” che si stima riguardi globalmente ben 63 milioni di persone e che continua ad avere un impatto molto negativo sulla qualità della vita di un esercito di “ex-positivi”. I pazienti chiedono di non essere lasciati soli ad affrontare quella che ancora oggi è a tutti gli effetti una sindrome per molti aspetti misteriosa. Ma la scienza continua a lavorare alla ricerca di nuovi approcci per il Long Covid, contro il quale oggi non esistono terapie mirate.

E’ in questo contesto che si inserisce un nuovo studio multicentrico, pubblicato sulla rivista Pharmacological Research, che ha coinvolto 20 centri italiani, tra cui università ed ospedali, coordinato da un consorzio internazionale composto dall’Università Federico II di Napoli, l’Albert Einstein College of New York e il Cardiovascular Research Center di Ahalst (Belgio). Secondo questa ricerca il mix di Arginina e Vitamina C, dopo essersi rivelato efficace nel contrastare la perdita di forza muscolare nei pazienti post-Covid, ha dimostrato di migliorare in modo marcato anche altri sintomi legati al Long Covid, tra cui in particolare insonnia e disturbi gastrointestinali.

Lo studio

Nello studio sono stati coinvolti in totale 1.390 pazienti con Long Covid, intervistati in relazione ai sintomi manifestati e divisi in due gruppi:  un primo che ha ricevuto una combinazione multivitaminica (tra cui Vitamina B, B1, B2, B6 e acido folico) e un secondo che ha ricevuto il mix di Arginina e Vitamina C liposomiale. “Dopo 30 giorni abbiamo osservato che nell’87% dei pazienti a cui è stato dato il mix di Arginina e Vitamina C, i disturbi gastrici erano assenti contro il 64% dei pazienti che invece ha ricevuto il composto multivitaminico – spiega Gaetano Santulli, tra i principali autori dello studio e professore di Cardiologia dell’Albert Einstein College di New York -. Allo stesso modo per l’insonnia il disturbo è risultato assente nell’80% dei pazienti trattati con il cocktail Arginina + Vitamina C, contro il 40% dei pazienti che ha ricevuto l’altro composto a base di Vitamina B”.

“E’ ormai noto che il Long Covid determina disturbi neurologici, tra cui l’insonnia, e colpisce anche l’intestino con lo sviluppo di sintomi gastrointestinali persistenti, come nausea, diarrea e dolori addominali – spiega Bruno Trimarco, co-autore dello studio e professore emerito di Cardiologia all’Università Federico II di Napoli -. Tra i possibili meccanismi coinvolti vi è l’alterazione della barriera ematoencefalica costituita da cellule endoteliali che può comportare una disregolazione del sistema neurovegetativo. Questa disfunzione altera il ritmo sonno-veglia con sviluppo dell’insonnia e implicazioni anche a livello gastrico-metabolico con l’insorgenza di nausea e crampi addominali”.

 L’arginina è un amminoacido essenziale che ha molteplici funzioni nella reattività endoteliale in risposta all’esigenza dei diversi tessuti. Di conseguenza, ripristinare i valori di Arginina porta a un miglioramento significativo dei sintomi associati alla sindrome post-infezione”, concludono gli esperti.

Redazione NurseTimes

Rimani aggiornato con Nurse Times, seguici su:
Telegram –  https://t.me/NurseTimes_Channel
Instagram –  https://www.instagram.com/nursetimes.it/
Facebook –  https://www.facebook.com/NurseTimes. NT
Twitter –  https://twitter.com/NurseTimes

English translate

Long Covid Day, Arginine and Vitamin C mix works in 8 out of 10 patients also against insomnia and gastric disorders

This is demonstrated by a study on Long Covid involving over 20 research centers, coordinated by the International Translational Medical Education (ITME) Consortium, which involves the Federico II University of Naples, the Albert Einstein College of New York and the Cardiovascular Research Center of Ahalst (Belgium). According to research, the use of a cocktail of Arginine and Vitamin C is able to improve the perception of the most common symptoms linked to post-Covid syndrome in 87% of patients with gastric disorders and in 80% of patients with insomnia. On the eve of what for many patients should be the International Long Covid Awareness Day, the research therefore offers an integrative, safe and effective approach to combat the most common symptoms of post-Covid syndrome.

Rome, Tuesday 14 March 2023 – Three years after the discovery of Long Covid, a social movement has spread from the United States which unites thousands of patients around the world and who are today asking the United Nations to formalize the institution of Long Covid Awareness Day, International Long Covid Awareness Day, to be celebrated on March 15th. The objective is to draw attention to this “pandemic within the pandemic” which is estimated to affect 63 million people globally and which continues to have a very negative impact on the quality of life of an army of “ex-positives”. Patients ask not to be left alone to face what is still to all intents and purposes a mysterious syndrome in many respects. But science continues to work on finding new approaches for Long Covid, against which there are no targeted therapies today.

It’s in this context that a new multicenter study is inserted, published in the Journal Pharmacological Research, which involved 20 Italian centers, including universities and hospitals, coordinated by an international consortium composed of the Federico II University of Naples, the Albert Einstein College of New York and the Cardiovascular Research Center of Ahalst (Belgium). According to this research, the mix of Arginine and Vitamin C, after proving effective in counteracting the loss of muscle strength in post-Covid patients, has also been shown to markedly improve other symptoms linked to Long Covid, including in particular insomnia and gastrointestinal disorders.

The study

A total of 1,390 patients with Long Covid were involved in the study, interviewed in relation to the symptoms experienced and divided into two groups:  a first who received a multivitamin combination (including Vitamin B, B1, B2, B6 and folic acid) and a second who received the mix of Arginine and liposomal Vitamin C. “After 30 days we observed that in 87% of the patients who were given the mix of Arginine and Vitamin C, gastric disorders were absent compared to 64% of the patients who instead received the multivitamin compound – explains Gaetano Santulli, among the main authors of the study and professor of Cardiology at Albert Einstein College in New York-. Similarly, for insomnia, the disorder was absent in 80% of patients treated with the Arginine + Vitamin C cocktail, compared to 40% of patients who received the other Vitamin B-based compound.”

“It is now known that Long Covid causes neurological disorders, including insomnia, and also affects the intestine with the development of persistent gastrointestinal symptoms, such as nausea, diarrhea and abdominal pain – explains Bruno Trimarco, co-author of the study and professor emeritus of Cardiology at the Federico II University of Naples -. Among the possible mechanisms involved is the alteration of the blood-brain barrier made up of endothelial cells which can lead to a dysregulation of the autonomic nervous system. This dysfunction alters the sleep-wake rhythm with the development of insomnia and also has implications at a gastric-metabolic level with the onset of nausea and abdominal cramps.”

“Arginine is an essential amino acid that has multiple functions in endothelial reactivity in response to the needs of different tissues. Consequently, restoring Arginine values ​​leads to a significant improvement in the symptoms associated with post-infection syndrome”, conclude the experts.

Source: Nurse Times

Long Covid: nuove possibilità di cura da farmaci antistaminici e antiulcera

https://nursetimes.org/long-covid-nuove-possibilita-di-cura-da-farmaci-antistaminici-e-antiulcera/162674

Una combinazione di vecchi farmaci antistaminici e antiulcera accende la speranza in coloro che soffrono della sindrome del Long Covid, una malattia multisistemica conseguenza dell’infezione da SARS-Cov-2. A dimostrarlo è uno studio multicentrico coordinato dal professor Carmine Gazzaruso, responsabile Centro di Ricerca Clinico (Ce.R.C.A.) dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Gruppo San Donato) e professore di Endocrinologia dell’Università Statale di Milano, che indaga il ruolo dei mastociti, cellule del sangue, nella fisiopatologia del Long Covid e l’efficacia del trattamento con bloccanti dei recettori dell’istamina, che è una delle sostanze rilasciate dai mastociti.

Il Long Covid è una patologia, talvolta invalidante, che ad oggi non ha una terapia standard ed efficace e può presentare una grande varietà di sintomi: cardiovascolari, psicologici, neurologici, respiratori, gastrointestinali, dermatologici e muscoloscheletrici. Tra queste manifestazioni le più comuni sono tachicardia, palpitazioni, ipotensione posturale, affaticamento, deterioramento cognitivo, mancanza di respiro e tosse.

Il team dei ricercatori guidati dal professor Gazzaruso ha preso in esame quattro gruppi di sintomi caratteristici nel Long Covid: stanchezza e astenia, alterazione cardiaca, nebbia mentale e alterazione della memoria, disturbi gastrointestinali (dolore, meteorismo, gonfiore). È stato quindi selezionato un campione di 27 soggetti affetti da questa condizione, che presentavano però caratteristiche comuni: soffrire di Long Covid da oltre sei mesi, essersi sottoposti a diversi trattamenti – come ad esempio aver assunto multivitaminici, betabloccanti e aver affrontato percorsi riabilitativi – con risultati fallimentari.

“Inoltre i pazienti arruolati per il nostro trial non erano vaccinati contro il SARS-CoV-2, perché il vaccino potrebbe modificare i sintomi del Long Covid, non erano soggetti allergici e non avevano mai sofferto, prima della infezione da SARS-CoV-2, di uno dei sintomi presi in considerazione nello studio – afferma Gazzaruso, principal investigator del lavoro, pubblicato sulla rivista Frontiers in Cardiovascular Medicine -. La stanchezza, che accomunava tutto il campione preso in esame, doveva essere accompagnata, per la validità dello studio, da almeno uno degli altri sintomi. Nella media dei pazienti esaminati il dato è stato confermato, registrando, anzi, la presenza di tre sintomi, se non addirittura dell’intera sintomatologia”.

Studi precedenti, condotti a livello nazionale e internazionale, avevano evidenziato come nei pazienti con Long Covid vi fosse una maggiore attivazione dei mastociti rispetto al normale, reazione simile a quanto avviene nei soggetti allergici con i quali vi è, effettivamente, anche un’assonanza di sintomi. Nel paziente allergico si verifica una grande produzione di istamina e prostaglandine, sostanze liberate in eccesso dai mastociti, esattamente come rilevato anche nel campione dello studio. Si evince quindi che nei pazienti con Long Covid si scateni una reazione cronica infiammatoria sostenuta con un meccanismo tipico dell’allergia.

Questa evidenza ha generato nei ricercatori l’idea di inibire la reazione prodotta, bloccando due dei quattro recettori dell’istamina, detti H1 e H2, mediante l’impiego di due farmaci datati, ormai poco utilizzati nella pratica clinica quotidiana: un antistaminico (la fexofenadina) e un antiulcera (la famotidina), molto usato prima dell’avvento dell’omeprazolo. Nello specifico, l’antistaminico bloccava il recettore H1 dell’istamina, mentre il secondo inibiva il recettore H2.

Il campione è stato poi suddiviso in due gruppi: il primo, formato da 14 persone, ha ricevuto la terapia farmacologica combinata, mentre al secondo, il gruppo di controllo formato da 13 persone, non è stato somministrato nulla. I risultati sono stati promettenti: i sintomi del Long Covid sono scomparsi completamente nel 29% dei pazienti del primo gruppo, dopo soli 20 giorni di trattamento. In tutti gli altri pazienti trattati si è comunque rilevato un miglioramento significativo di ciascuno dei sintomi considerati. Nel gruppo di controllo, invece, non si sono registrate variazioni in merito allo stato di salute.

Lo studio è stato condotto grazie al contributo dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia), dell’Università Statale di Milano, dell’IRCCS MultiMedica di Sesto San Giovanni (Milano) e del Centro Medico Ticinello di Pavia.

“Questa scoperta permetterà alle persone affette da Long Covid, che presentano questo disturbo legato ai mastociti, di guarire o migliorare la propria condizione di salute, attraverso una terapia molto semplice e anche facilmente reperibile – afferma Gazzaruso –. La nostra intuizione è frutto anche del lavoro di tanti colleghi sparsi per il mondo che stanno cercando delle risposte e delle cure per tutti coloro che, a distanza di anni, vivono ancora le conseguenze, talvolta molto gravi e invalidanti, dell’infezione da Covid-19”.

Redazione Nurse Times

English translate

Long Covid: new treatment possibilities from antihistamine and antiulcer drugs

A combination of old antihistamine and anti-ulcer drugs kindles hope in those suffering from Long Covid syndrome, a multisystem disease resulting from SARS-Cov-2 infection. This is demonstrated by a multicenter study coordinated by Professor Carmine Gazzaruso, head of the Clinical Research Center (Ce.R.C.A.) of the Beato Matteo Clinical Institute of Vigevano (San Donato Group) and professor of Endocrinology at the State University of Milan, which investigates the role of mast cells, blood cells, in the pathophysiology of Long Covid and the effectiveness of treatment with blockers of histamine receptors, which is one of the substances released by mast cells.

Long Covid is a pathology, sometimes disabling, which to date has no standard and effective therapy and can present a wide variety of symptoms: cardiovascular, psychological, neurological, respiratory, gastrointestinal, dermatological and musculoskeletal. Among these manifestations, the most common are tachycardia, palpitations, postural hypotension, fatigue, cognitive impairment, shortness of breath and cough.

The team of researchers led by Professor Gazzaruso examined four groups of characteristic symptoms in Long Covid: tiredness and asthenia, cardiac alteration, mental fog and memory alteration, gastrointestinal disorders (pain, meteorism, swelling). A sample of 27 subjects affected by this condition was therefore selected, who however had common characteristics: suffering from Long Covid for over six months, having undergone various treatments – such as having taken multivitamins, beta blockers and having undergone rehabilitation programs – with unsuccessful results.

“Furthermore, the patients enrolled in our trial were not vaccinated against SARS-CoV-2, because the vaccine could modify the symptoms of Long Covid, they were not allergic subjects and had never suffered, before the SARS-CoV-2 infection , of one of the symptoms taken into consideration in the study – says Gazzaruso, principal investigator of the work, published in the journal Frontiers in Cardiovascular Medicine -. Fatigue, which was common to the entire sample examined, had to be accompanied, for the study to be valid, by at least one of the other symptoms. In the average of the patients examined the data was confirmed, recording, indeed, the presence of three symptoms, if not even the entire symptomatology”.

Previous studies, conducted at a national and international level, had highlighted how in patients with Long Covid there was a greater activation of mast cells compared to normal, a reaction similar to what happens in allergic subjects with whom there is, effectively, also an assonance of symptoms. In the allergic patient, there is a large production of histamine and prostaglandins, substances released in excess by the mast cells, exactly as also found in the study sample. It is therefore clear that in patients with Long Covid a sustained chronic inflammatory reaction is triggered with a typical mechanism of allergy.

This evidence generated in researchers the idea of ​​inhibiting the reaction produced, blocking two of the four histamine receptors, called H1 and H2, through the use of two dated drugs, now little used in daily clinical practice: an antihistamine (the fexofenadine) and an antiulcer (famotidine), widely used before the advent of omeprazole. Specifically, the antihistamine blocked the histamine H1 receptor, while the second inhibited the H2 receptor.

The sample was then divided into two groups: the first, made up of 14 people, received the combined drug therapy, while the second, the control group made up of 13 people, was administered nothing. The results were promising: the symptoms of Long Covid disappeared completely in 29% of patients in the first group, after just 20 days of treatment. However, in all the other patients treated, a significant improvement was detected in each of the symptoms considered. In the control group, however, there were no changes in health status.

The study was conducted thanks to the contribution of the Beato Matteo Clinical Institute of Vigevano (Pavia), the State University of Milan, the IRCCS MultiMedica of Sesto San Giovanni (Milan) and the Ticinello Medical Center of Pavia.

“This discovery will allow people suffering from Long Covid, who have this disorder linked to mast cells, to heal or improve their health condition, through a very simple and easily available therapy – says Gazzaruso -. Our intuition is also the result of the work of many colleagues around the world who are looking for answers and treatments for all those who, years later, are still experiencing the consequences, sometimes very serious and disabling, of the Covid19 infection.”

Source: Nurse Times

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

PAROSMIA, COME AIUTARE LE PERSONE CHE SOFFRONO DI DISTORSIONI OLFATTIVE DOPO IL COVID? PAROSMIA, HOW HELP PEOPLE THAT SUFFER OF OLFACTORY DISTORSIONS AFTER COVID?

Agnese Codignola  11 Gennaio 2023

https://ilfattoalimentare.it/parosmia-anosmia-long-covid.html

Per alcuni i pranzi e le cene in compagnia sono un vero incubo, al punto che decidono di evitare la socialità. Sono i parosmici, coloro che soffrono di distorsioni olfattive come postumo del Covid, in alcuni casi senza alcun progresso dopo mesi o anni dai primi sintomi. La perdita dell’olfatto (anosmia) e quella, più rara, del gusto (ageusia) caratterizzano l’infezione da Sars-Cov-2 al punto che, soprattutto con le prime varianti del virus (dopo il fenomeno si è attenuato), erano considerate marcatori infallibili della malattia e interessavano circa il 65% di chi era stato infettato. Ma la parosmia, che si manifesta in genere tre settimane dopo l’infezione, è qualcosa di diverso e associato solo in parte (in un caso su due) all’anosmia: è una delle manifestazioni del cosiddetto Long Covid, la sindrome post virale che colpisce non meno di un infettato su dieci. 

Fin dai primi mesi, soprattutto attraverso i social media, hanno iniziato a fare la loro comparsa testimonianze drammatiche di persone che soffrivano di distorsione olfattiva o, più raramente, che sentivano odori inesistenti (fantosmia), perché il sovvertimento delle esperienze olfattive cui erano abituate aveva pesanti ripercussioni sulla qualità della vita, ed era qualcosa di inedito, inspiegabile e angosciante: tra i parosmici, non a caso, i tassi di ansia e depressione sono altissimi. Poi il fenomeno è stato riconosciuto, ma i passi in avanti sono stati assai modesti.

Tra gli alimenti percepiti come disgustosi (le definizioni variano da animale morto e irrancidito a muffa, da rifiuto sanitario a fogna o vomito) vi sono la carne, i formaggi, il caffè, l’acqua, le uova, l’aglio, e molti altri cibi del tutto normali, ed è quindi evidente che un banchetto natalizio può essere un incubo assoluto. Ma le persone colpite da parosmia hanno difficoltà a spiegare che cosa sentono e l’intensità del disgusto, e per questo possono tendere a isolarsi.

Alcune persone, dopo l’infezione da Covid-19, hanno iniziato a soffrire di parosmia, una distorsione del senso dell’olfatto

Uno dei problemi è che, fino a prima della pandemia, si sapeva pochissimo su questo fenomeno, che colpiva in rarissimi casi, per esempio, persone con un tumore cerebrale. Di conseguenza, non c’erano quasi terapie. Oggi la situazione non è molto diversa, ma con la pandemia sono nati numerosi gruppi di supporto, il più famoso dei quali è il britannico AbScent, che oggi conta più di 22mila aderenti e fornisce consigli su come rieducare l’olfatto (essenzialmente, con lunghe e costanti sedute di esposizione a certi aromi).

Negli ultimi giorni, poi, è stato pubblicato, su Science Traslational Medicine, uno studio della Duke University che inizia a chiarire cosa succede e, di conseguenza, a indicare la direzione verso cui guardare per mettere a punto una cura. I ricercatori hanno infatti analizzato 24 biopsie nasali, di cui nove di persone che soffrivano di perdita dell’olfatto a lungo termine in seguito a Covid, e hanno scoperto che quei tessuti sono infiltrati da un elevato numero di linfociti. L’infiltrazione, segno di una potente risposta immunitaria, ha almeno due tipi di conseguenze: induce uno stato infiammatorio cronico e causa indirettamente la morte di numerosi neuroni olfattivi. La buona notizia è che il nervo olfattivo sembra integro (infatti i parosmici sentono gli odori, ancorché distorti). Il quadro assomiglia molto a quello di una reazione di tipo autoimmunitario, già ipotizzata in numerosi altri studi che stanno cercando di capire cosa sia, dal punto di vista biologico, il Long Covid.

Gli esperti consigliano di preferire cibi leggeri e neutri, come riso, pasta, pane non tostato, yogurt bianco e verdure al vapore

In attesa di giungere a una terapia, ci sono comunque alcuni consigli che possono aiutare i parosmici:

  • Mangiare cibi a temperatura ambiente o freddi;
  • Evitare i cibi fritti, le carni arrostite, le cipolle, l’aglio, le uova, il caffè e il cioccolato, che sono tra i trigger più potenti;
  • Preferire cibi leggeri e dal sapore relativamente neutro come riso, pasta, pane non tostato, yogurt bianco e verdure al vapore;
  • Ricorrere alle spezie per mascherare gli odori spiacevoli;
  • Se le difficoltà sono gravi, ricorrere ai frullati proteici non aromatizzati;
  • Pensare a se stessi come a qualcuno che soffre di una grave allergia alimentare (per evitare di sentirsi esclusi).

English translate

For some people, lunches and dinners in company are a real nightmare, to the point that they decide to avoid socializing. They are the parosmics, those who suffer from olfactory distortions as a result of Covid, in some cases without any progress months or years after the first symptoms. The loss of smell (anosmia) and the more rare loss of taste (ageusia) characterize Sars-Cov-2 infection to the point that, especially with the first variants of the virus (after the phenomenon attenuated), they were considered infallible markers of the disease and affected approximately 65% ​​of those infected. But parosmia, which generally appears three weeks after infection, is something different and only partially associated (in one case out of two) with anosmia: it is one of the manifestations of the so-called Long Covid, the post-viral syndrome that it affects no less than one in ten infected people.

From the first months, especially through social media, dramatic testimonies began to appear from people who suffered from olfactory distortion or, more rarely, who smelled non-existent odors (phantosmia), because the subversion of the olfactory experiences to which they were accustomed had serious repercussions on the quality of life, and it was something new, inexplicable and distressing: among parosmics, it is no coincidence that the rates of anxiety and depression are very high. Then the phenomenon was recognized, but the steps forward were very modest.

Among the foods perceived as disgusting (the definitions vary from dead and rancid animals to mold, from medical waste to sewage or vomit) there are meat, cheeses, coffee, water, eggs, garlic, and many other completely normal foods, and it is therefore clear that a Christmas banquet can be an absolute nightmare. But people affected by parosmia have difficulty explaining what they feel and the intensity of the disgust, and for this reason they may tend to isolate themselves.

One of the problems is that, until before the pandemic, very little was known about this phenomenon, which in very rare cases affected, for example, people with a brain tumor. As a result, there were almost no therapies. Today the situation is not much different, but with the pandemic numerous support groups were born, the most famous of which is the British AbScent, which today has more than 22 thousand members and provides advice on how to re-educate the sense of smell (essentially, with long and constant sessions of exposure to certain aromas).

In recent days, a study by Duke University has been published in Science Translational Medicine which begins to clarify what happens and, consequently, to indicate the direction in which to look to develop a cure. The researchers in fact analyzed 24 nasal biopsies, including nine from people who suffered from long-term loss of smell following Covid, and discovered that those tissues are infiltrated by a high number of lymphocytes. The infiltration, a sign of a powerful immune response, has at least two types of consequences: it induces a chronic inflammatory state and indirectly causes the death of numerous olfactory neurons. The good news is that the olfactory nerve seems intact (in fact, parosmics can smell odors, albeit distorted). The picture is very similar to that of an autoimmune reaction, already hypothesized in numerous other studies that are trying to understand what Long Covid is, from a biological point of view.

While waiting to arrive at a therapy, there are some tips that can help parosmic patients:

Eat foods at room temperature or cold;

Avoid fried foods, roasted meats, onions, garlic, eggs, coffee and chocolate, which are among the most powerful triggers;

Prefer light foods with a relatively neutral flavor such as rice, pasta, untoasted bread, plain yogurt and steamed vegetables;

Use spices to mask unpleasant odors;

If difficulties are severe, resort to unflavored protein shakes;

Think of yourself as someone who has a severe food allergy (to avoid feeling left out).
https://ilfattoalimentare.it/parosmia-anosmia-long-covid.html

Uscire dalla parosmia: come rimettere in sesto l’olfatto dopo COVID-19

16 Dicembre 2021 Cristina Da Rold

Sempre più persone, settimane o mesi dopo la guarigione da COVID-19, iniziano a percepire come fastidiosi o nauseabondi odori del tutto normali. E mentre si indagano cause e meccanismi del fenomeno, farmaci e tecniche di “rieducazione” dell’olfatto già in uso offrono buone possibilità di guarigione

Guarire da COVID-19, rimettersi completamente o quasi, recuperare l’olfatto e il gusto, e poi dopo due-tre mesi o più iniziare a sentire alcuni odori distorti, oppure misti ad altri profumi più o meno cattivi, o ancora percepire odori che in realtà non sono nell’ambiente.

Sempre più persone guarite da COVID-19 vivono questa condizione, in molti casi debilitante per la propria vita: la parosmia. Un sintomo del cosiddetto long COVID di cui si sta iniziando a parlare a distanza di quasi due anni dallo scoppio della pandemia.

C’è Chiara, che sente continuamente odore di bruciato intorno a sé. Marco, che una sera dopo mesi dalla guarigione si è reso conto che non sentiva più l’amato sapore del vino. Agata, che riesce dopo mesi ad affrontarlo, il vino, ma solo al terzo o quarto sorso, dopo mesi di anosmia lentamente recuperata. Anna, che non ce la fa più perché da mesi tutto ciò che odora sa di marcio. Maria che aveva recuperato in fretta l’odorato e che oggi percepisce l’odore della cipolla e dell’aglio come marcio. Chi scrive sente l’odore del caffè, dell’urina e dello scarico delle auto misto a un profumo dolciastro. E tanti altri, ognuno con la propria specifica situazione, che oltre a percepire male alcuni odori, hanno ancora difficoltà a percepire la presenza degli odori e dei gusti.

Secondo un recente studio condotto su pazienti con iposmia post-COVID (riduzione della capacità olfattiva), 400 pazienti su 2000 hanno sviluppato parosmia a distanza di mesi. Ed è sufficiente visitare i vari gruppi Facebook dedicati alla parosmia in Italia, ma anche in altri paesi, per rendersi conto che si tratta di un problema che riguarda moltissime persone.

Le domande sono tante: perché a distanza di tempo dalla guarigione emerge questo problema? Qual è la natura del problema? Si tratta di un fenomeno reversibile? A chi mi posso rivolgere per essere seguito? Ci sono protocolli terapeutici validati?

Abbiamo contattato alcuni dei ricercatori che in Italia si stanno occupando di studiare il fenomeno, e il nocciolo della faccenda che è emerso da ogni chiacchierata è che attualmente i meccanismi esatti con cui il sistema olfattivo si altera non sono ancora chiari, anche se ci sono degli indizi che ci fanno propendere che si tratti di un fenomeno infiammatorio a livello centrale. Ci sono solide evidenze che si tratti di un fenomeno reversibile, cioè che tramite un supporto farmacologico, nutraceutico e di training olfattivo guidato, la stragrande maggioranza delle persone possa recuperare la propria funzionalità a livelli almeno molto buoni.

Che cosa origina la parosmia?
Uno dei gruppi più attivi in Italia nello studiare il problema è quello di Arianna Di Stadio, neuro-otorinolaringoiatra, ricercatrice all’UCL Queen Square Neurology a Londra e professoressa aggiunta di scienze uditive all’Università di Perugia. “I disturbi dell’olfatto in passato erano ritenuti collegati solamente a fenomeni infettivi a livello locale, cioè nel naso. Con COVID-19 abbiamo invece iniziato a osservare che l’anosmia (uno dei primi segnali di infezione) derivava dall’infiammazione causata dal virus a livello centrale, nel cervello, anche se ci sono ancora pareri discordanti nella comunità scientifica su come questo accada.” L’idea più accreditata è che il virus infiammi la struttura olfattiva dalla periferia al bulbo olfattivo. Se il recupero va bene, le fibre si riconnettono normalmente e non vi sono problemi a breve o a lungo termine. Ma se per qualche motivo (non sappiamo ancora quale) vi è una riconnessione sbagliata o un’assenza di riconnessione, si determina la parosmia. La severità dipende da quante di queste strutture si sono riconnesse in modo non corretto.

Alcuni autori ritengono che a seconda della carica virale il virus rimanga o meno nella zona del caso, e nei pazienti in cui persiste si sviluppa la problematica a lungo termine: iposmia (sentire meno gli odori) o parosmia. Altri ancora pensano che il virus non abbia un ruolo, così come il nervo periferico non sia il principale incriminato, ma che si tratti di un processo infiammatorio (virus-indipendente) a carico della corteccia entorinale che processa gli stimoli olfattivi.

Con il passare dei mesi gli scienziati hanno capito che bisogna analizzare i due problemi – mancanza di olfatto e comparsa di olfatto alterato dopo la guarigione – separatamente. “Pare che l’infezione non riguardi i neuroni, ma le cellule che accompagnano i neuroni, le cellule di sostegno. Probabilmente alterando queste cellule si distrugge l’omeostasi dell’epitelio, che trasforma il segnale chimico in elettrico da mandare al cervello. Quando c’è parosmia invece, non è ancora chiarissimo che cosa non funzioni. Ci sono lavori, per esempio, che trovano particelle virali nel cervello e altri che le trovano ferme alle meningi. Per avere un quadro definitivo servirebbero tanti campioni di tessuti umani, cosa che si può avere solo post mortem”, spiega Michele Dibattista, neuroscienziato all’Università di Bari, che da oltre un anno studia i disturbi del gusto e dell’olfatto in pazienti COVID-19, in collaborazione con Anna Menini della SISSA di Trieste e Paolo Boscolo-Rizzo dell’Università di Trieste.

Alcuni dati dalla letteratura suggeriscono anche altre ipotesi, che i ricercatori stanno vagliando. Una è la possibile riattivazione del virus Epstein-Barr (EBV), il virus della mononucleosi, che forse interviene nella genesi dell’infiammazione. Un’altra è la presenza di microangiopatie concomitanti a livello neuronale, piccole trombosi delle arteriole e dei capillari associate a danno dell’endotelio, il tessuto che riveste internamente i vasi sanguigni. In alcuni casi si suggerisce la risonanza magnetica per capire se c’è un danno di vascolarizzazione a livello del nervo.

E se la parosmia fosse un buon segno?
Una domanda che tanti pazienti si fanno è: perché la parosmia compare solo dopo diverso tempo da quando avevo finalmente recuperato l’olfatto e il gusto? Una delle ipotesi che la ricerca dovrà chiarire, è se la parosmia sia un buon segno di recupero per il nostro sistema olfattivo. “Dallo studio di altri virus sappiamo che in alcune persone in situazioni di recupero delle disfunzioni olfattive si possono verificare episodi di parosmia”, spiega Dibattista. Altrimenti detto: la parosmia potrebbe indicare che il nostro organismo si sta “risintonizzando” correttamente, come un televisore. Sarebbe cioè sulla buona strada, anche se ci sta mettendo più tempo di quanto vorremmo.

Per questo si parla di alterazione e non di deficit: la risintonizzazione è qualitativa, non a livello neuronale ma di segnale. “Probabilmente questo accade perché fino a quel momento il sistema non aveva avuto segnali dalla periferia per risintonizzarsi correttamente. La variabilità riscontrata nei pazienti con parosmia sottolinea come il nostro sistema olfattivo non si sintonizzi per tutti allo stesso modo poiché la nostra percezione degli odori è influenzata da esperienze soggettive di vita vissuta.”

I trattamenti disponibili
Mentre la ricerca scientifica per capire che cosa origini la parosmia procede in tutto il mondo con i tempi necessari a studi scientifici seri, è necessario aiutare le persone a risolvere questo sintomo fastidioso o per lo meno a migliorarlo sensibilmente. Sono molti i gruppi di specialisti, anche in Italia, che stanno testando farmaci e protocolli per capire come le persone possano riacquistare l’olfatto e il gusto corretto. Nel complesso, seppure con varie differenze, tutti gli approcci che abbiamo avuto modo di vedere si basano su tre “armi”: farmaci come gli steroidi per contrastare l’infiammazione (per esempio cortisonici), nutraceutica (integratori di vitamine, minerali) e allenamento dell’olfatto tramite smell test.

Un test olfattivo di una paziente guarita da COVID-19, ma ancora affetta da disturbi dell’olfatto (© PAU BARRENA/AFP via Getty Images)

Per quanto riguarda i cortisonici, per molti pazienti sono sufficienti per risolvere il problema perché il farmaco modula la neuroinfiammazione. “I cortisonici per inalazione (spray nasali) sono poco efficaci perché hanno un effetto solo locale, al contrario di quelli quelli assunti per via sistemica (endovena/via orale) che sono più efficaci perché arrivano anche nell’encefalo”, spiega Di Stadio. “Dato che i cortisonici hanno potenti effetti collaterali se usati in modo prolungato, noi stiamo testando il PeaLut, farmaco che contiene palmitoiletanolamide, in grado di modulare la risposta infiammatoria e immunitaria, e la luteolina, un flavonoide che ha un effetto simile al primo ma agisce anche sullo stress ossidativo. Quest’ultimo influenza negativamente l’infiammazione. A oggi abbiamo ottenuto grandi risultati nei nostri pazienti che lo hanno assunto per tre mesi, e stiamo mettendo a punto una posologia. Chiaramente non va bene per tutti: le sostanze contenute (flavonoidi) non vanno bene per i pazienti oncologici perché potrebbero avere un interazione con i chemioterapici. Inoltre abbiamo escluso dallo studio i bambini e le donne gravidanza per motivi etici.”

Accanto al farmaco i pazienti vengono stimolati con test olfattivi basati su essenze tradizionali già usate nella riabilitazione olfattiva, già scientificamente approvate, con fragranze che contengano tutte le note di un odore. Ogni sostanza che annusiamo ha in realtà diverse “note” al suo interno, che compongono l’odore finale che sentiamo. Per questo sarà importante in futuro che i neuroscienziati interagiscano con i chimici per capire che cosa è alterato nella percezione di ogni paziente.

“Questi test sono atti a ripristinare la memoria olfattiva, perché c’è connessione fra memoria dell’olfatto e sistema emotivo. La parte emotiva ha una grande importanza nello sviluppo della parosmia – continua Di Stadio – l’ansia è connessa alla neuroinfiammazione. Infatti le persone ansiose nei nostri studi tendono a recuperare meno. Accanto a steroidi e nutraceutici, la riabilitazione olfattiva è cruciale anche nell’approccio che propongo ai miei pazienti, perché si basa sulla plasticità neuronale, sullo stimolare il nostro naso e i sensi.”

Funziona per tutti? No. Non possiamo a oggi dire che il 100 per cento dei pazienti recupera, perché possono esserci tanti fattori innescati da questa condizione. Sulla parosmia non ci sono ancora tanti dati epidemiologici e clinici, ma con il tempo stanno aumentando gli studi scientifici per chiarirne le cause.

Uno studio aperto è per esempio quello coordinato da Francesca Bisulli, neuroscienziata all’IRCCS Istituto delle scienze neurologiche di Bologna, che si pone l’obiettivo di capire il perché della anosmia e/o parosmia a distanza di mesi dalla guarigione. Lo studio mette a confronto due gruppi di persone: i guariti da COVID-19 con perdita dell’olfatto persistente per oltre un mese, e un gruppo di controllo senza disturbi dell’olfatto.

Ciascun soggetto viene sottoposto a un test per l’olfatto, validato internazionalmente, e poi esegue una risonanza magnetica funzionale, una particolare tecnica di imaging grazie alla quale è possibile studiare sia la struttura che la funzione delle varie porzioni del cervello, nella fattispecie quelle coinvolte nella percezione degli odori. Sappiamo infatti che la risonanza convenzionale è del tutto normale nella maggior parte dei casi.

I risultati di questi esami verranno analizzati da un gruppo composto da neurologi, neuroradiologi e neuropsicologi, che ricercheranno la presenza di alterazioni funzionali della corteccia cerebrale nei pazienti con perdita dell’olfatto correlata a COVID-19 rispetto ai partecipanti sani, sperando di riuscire a comprendere i meccanismi sottostanti a questo invalidante disturbo.

Esistono centri che trattano il problema in tutta Italia, ma devono essere in studi clinici validati. Meglio non riporre troppa fiducia in kit fai da te messi a punto senza una validazione da parte della comunità scientifica. Ci sono centri che stanno testando, per esempio, il protocollo Di Stadio: “C’è una email: trattamento.anosmiacovid@hotmail.com, a cui il paziente può scrivere per essere inviato al centro più vicino per essere assistito”.

Vaccini e parosmia
Alcune persone si spaventano perché lamentano una percezione di peggioramento dei sintomi di parosmia dopo una dose di vaccino anti-COVID. “La buona notizia – conclude Di Stadio – è che un recente studio scientifico serio su questo aspetto mostra che se accade è comunque un fenomeno temporaneo, che dura al massimo un mese nei pazienti osservati finora.” Il vaccino determina la produzione della proteina spike per indurre la risposta immunitaria temporanea. La proteina spike quindi determina un’infiammazione o riattiva l’infiammazione in zone già infiammate, un po’ come accade con altre infiammazioni come la lombo-sciatalgia. Chiaramente, dato che la proteina spike è presente in grande quantità nel virus, non vaccinarsi e quindi essere statisticamente più esposti a SARS-CoV-2, ci rende comunque vulnerabili a una seconda infezione e quindi a nuova infiammazione. L’importante è continuare il proprio trattamento anche dopo la vaccinazione.

Fonte: Le Scienze

https://www.lescienze.it/news/2021/12/16/news/covid-19_parosmia_disturbo_percezione_odori_cattivi_recupero-5478865/

English translate

Getting out of parosmia: how to get your sense of smell back together after COVID-19

More and more people, weeks or months after recovering from COVID-19, begin to perceive completely normal odors as annoying or nauseating. And while the causes and mechanisms of the phenomenon are being investigated, drugs and smell "re-education" techniques already in use offer good chances of recovery.

Recovering from COVID-19, recovering completely or almost completely, recovering your sense of smell and taste, and then after two-three months or more you begin to smell some distorted odors, or mixed with other more or less bad scents, or even perceive odors that they're not actually in the environment.

More and more people who have recovered from COVID-19 are experiencing this condition, in many cases debilitating for their lives: parosmia. A symptom of the so-called long COVID which is starting to be talked about almost two years after the outbreak of the pandemic.

There is Chiara, who constantly smells burning around her. Marco, who one evening, months after his recovery, realized that he no longer felt the beloved taste of wine. Agata, who manages to face it after months, the wine, but only on the third or fourth sip, after months of slowly recovered anosmia. Anna, who can't take it anymore because for months everything that smells has smelled like something rotten. Maria who had quickly recovered her sense of smell and who today perceives the smell of onion and garlic as rotten. The writer smells coffee, urine and car exhaust mixed with a sweetish scent. And many others, each with their own specific situation, who in addition to perceiving some odors badly, still have difficulty perceiving the presence of odors and tastes.

According to a recent study conducted on patients with post-COVID hyposmia (reduction in the ability to smell), 400 out of 2000 patients developed parosmia months later. And it is sufficient to visit the various Facebook groups dedicated to parosmia in Italy, but also in other countries, to realize that it is a problem that affects many people.

There are many questions: why does this problem emerge some time after recovery? What is the nature of the problem? Is this a reversible phenomenon? Who can I contact to be followed? Are there validated therapeutic protocols?

We contacted some of the researchers in Italy who are studying the phenomenon, and the crux of the matter that emerged from every chat is that currently the exact mechanisms by which the olfactory system alters are not yet clear, even if there are some clues that lead us to believe that it is an inflammatory phenomenon at a central level. There is solid evidence that this is a reversible phenomenon, i.e. that through pharmacological, nutraceutical support and guided olfactory training, the vast majority of people can recover their functionality to at least very good levels.

What causes parosmia?
One of the most active groups in Italy in studying the problem is that of Arianna Di Stadio, neuro-otolaryngologist, researcher at UCL Queen Square Neurology in London and adjunct professor of auditory sciences at the University of Perugia. "Smell disorders in the past were believed to be linked only to infectious phenomena at a local level, i.e. in the nose. With COVID-19, however, we began to observe that anosmia (one of the first signs of infection) resulted from the inflammation caused by the virus centrally, in the brain, although there are still conflicting opinions in the scientific community on how this happens." The most accepted idea is that the virus inflames the olfactory structure from the periphery to the olfactory bulb. If recovery goes well, the fibers reconnect normally and there are no short or long-term problems. But if for some reason (we still don't know what) there is a wrong reconnection or an absence of reconnection, parosmia results. The severity depends on how many of these structures have reconnected incorrectly.

Some authors believe that depending on the viral load the virus remains in the area of ​​the case or not, and in patients in whom it persists the long-term problem develops: hyposmia (smelling less) or parosmia. Still others think that the virus has no role, just as the peripheral nerve is not the main culprit, but that it is an inflammatory process (virus-independent) affecting the entorhinal cortex which processes olfactory stimuli.

As the months passed, scientists understood that it was necessary to analyze the two problems - lack of smell and appearance of altered sense of smell after recovery - separately. "It seems that the infection does not concern the neurons, but the cells that accompany the neurons, the support cells. Probably by altering these cells the homeostasis of the epithelium is destroyed, which transforms the chemical signal into an electrical one to be sent to the brain. When there is parosmia, however, it is not yet clear what is not working. There are works, for example, that find viral particles in the brain and others that find them stuck in the meninges. To have a definitive picture, many samples of human tissues would be needed, which which can only occur post-mortem", explains Michele Dibattista, neuroscientist at the University of Bari, who has been studying taste and smell disorders in COVID-19 patients for over a year, in collaboration with Anna Menini of SISSA in Trieste and Paolo Boscolo-Rizzo of the University of Trieste.

Some data from the literature also suggest other hypotheses, which researchers are examining. One is the possible reactivation of the Epstein-Barr virus (EBV), the mononucleosis virus, which perhaps intervenes in the genesis of inflammation. Another is the presence of concomitant microangiopathies at the neuronal level, small thromboses of the arterioles and capillaries associated with damage to the endothelium, the tissue that internally lines the blood vessels. In some cases, MRI is suggested to understand if there is vascular damage at the nerve level.

What if parosmia is a good sign?
A question that many patients ask is: why did parosmia appear only after some time after I had finally recovered my sense of smell and taste? One of the hypotheses that research will have to clarify is whether parosmia is a good sign of recovery for our olfactory system. "From the study of other viruses we know that episodes of parosmia can occur in some people in situations of recovery of olfactory dysfunction", explains Dibattista. In other words: parosmia could indicate that our organism is "retuning" itself correctly, like a television. That is, it would be on the right track, even if it is taking longer than we would like.

This is why we talk about alteration and not deficit: the retuning is qualitative, not at the neuronal level but at the signal level. "This probably happens because until then the system had not had signals from the periphery to retune correctly. The variability found in patients with parosmia underlines how our olfactory system does not tune in the same way for everyone since our perception of odors is influenced from subjective experiences of real life."

The treatments available
While scientific research to understand what causes parosmia proceeds around the world with the time required for serious scientific studies, it is necessary to help people resolve this annoying symptom or at least significantly improve it. There are many groups of specialists, including in Italy, who are testing drugs and protocols to understand how people can regain the correct sense of smell and taste. Overall, albeit with various differences, all the approaches we have seen are based on three "weapons": drugs such as steroids to combat inflammation (for example cortisone), nutraceuticals (vitamin and mineral supplements) and training of smell via smell test.

As for cortisone, for many patients they are sufficient to solve the problem because the drug modulates neuroinflammation. "Corticosteroids for inhalation (nasal sprays) are not very effective because they only have a local effect, unlike those taken systemically (intravenously/orally) which are more effective because they also reach the brain", explains Di Stadio. "Given that cortisone drugs have powerful side effects if used for a long time, we are testing PeaLut, a drug that contains palmitoylethanolamide, capable of modulating the inflammatory and immune response, and luteolin, a flavonoid that has an effect similar to the first but It also acts on oxidative stress. The latter negatively influences inflammation. To date we have obtained great results in our patients who have taken it for three months, and we are developing a dosage. Clearly it is not good for everyone: the substances contained (flavonoids) are not good for cancer patients because they could have an interaction with chemotherapeutics. We also excluded children and pregnant women from the study for ethical reasons."

Alongside the drug, patients are stimulated with olfactory tests based on traditional essences already used in olfactory rehabilitation, already scientifically approved, with fragrances that contain all the notes of an odor. Each substance we smell actually has different "notes" within it, which make up the final odor we smell. This is why it will be important in the future for neuroscientists to interact with chemists to understand what is altered in each patient's perception.

“These tests are suitable for restoring olfactory memory, because there is a connection between smell memory and the emotional system. The emotional part has a great importance in the development of parosmia – continues Di Stadio – anxiety is connected to neuroinflammation. In fact, anxious people in our studies tend to recover less. Alongside steroids and nutraceuticals, olfactory rehabilitation is also crucial in the approach I propose to my patients, because it is based on neuronal plasticity, on stimulating our nose and senses."

Does it work for everyone? No. To date, we cannot say that 100 percent of patients recover, because there can be many factors triggered by this condition. There is not yet much epidemiological and clinical data on parosmia, but over time scientific studies are increasing to clarify its causes.

An open study, for example, is the one coordinated by Francesca Bisulli, neuroscientist at the IRCCS Institute of Neurological Sciences in Bologna, which aims to understand the reason for anosmia and/or parosmia months after recovery. The study compares two groups of people: those who recovered from COVID-19 with persistent loss of smell for over a month, and a control group without smell disorders.

Each subject is subjected to a smell test, validated internationally, and then performs a functional magnetic resonance imaging, a particular imaging technique thanks to which it is possible to study both the structure and the function of the various portions of the brain, in this case those involved in the perception of odors. In fact, we know that conventional resonance imaging is completely normal in most cases.

The results of these tests will be analyzed by a group composed of neurologists, neuroradiologists and neuropsychologists, who will look for the presence of functional alterations of the cerebral cortex in patients with loss of smell related to COVID-19 compared to healthy participants, hoping to be able to understand the mechanisms underlying this disabling disorder.

There are centers that treat the problem throughout Italy, but they must be in validated clinical trials. Better not to place too much trust in DIY kits developed without validation by the scientific community. There are centers that are testing, for example, the Di Stadio protocol: "There is an email: treatment.anosmiacovid@hotmail.com, to which the patient can write to be sent to the nearest center for assistance".

Vaccines and parosmia
Some people are scared because they complain of a perceived worsening of parosmia symptoms after a dose of the anti-COVID vaccine. "The good news – concludes Di Stadio – is that a recent serious scientific study on this aspect shows that if it happens it is still a temporary phenomenon, lasting a maximum of a month in the patients observed so far." The vaccine causes the production of the spike protein to induce the temporary immune response. The spike protein therefore causes inflammation or reactivates inflammation in already inflamed areas, a bit like what happens with other inflammations such as lumbosciatica. Clearly, given that the spike protein is present in large quantities in the virus, not getting vaccinated and therefore being statistically more exposed to SARS-CoV-2 still makes us vulnerable to a second infection and therefore to new inflammation. The important thing is to continue your treatment even after vaccination.

Source: Le Scienze

Long Covid e alterazioni olfattive e gustative

31 Dicembre 2021

https://istitutosantachiara.it/long-covid-come-recuparare-gusto-e-olfatto-lecce/

di Sara Invitto

Presso la sede di Lecce di Istituto Santa Chiara nasce l’ambulatorio per la riabilitazione delle alterazioni delle funzioni olfattive e gustative dovute all’infezione da Covid-19.

La presa in carico è multidisciplinare e coinvolge professionisti sanitari che si occupano di valutazione e riabilitazione.

È ormai constatato il legame tra COVID-19 e alcune alterazioni sensoriali, in particolare alterazioni delle funzioni olfattive e gustative.

Disfunzioni olfattive e impatto sulla vita paziente

Esistono  differenti disfunzioni olfattive e gustative; in riferimento alle disfunzioni olfattive è possibile distinguere:

  • la disosmia, intesa come un’alterazione della percezione olfattiva insorta a causa di determinate condizioni fisiologiche; essa potrebbe indurre a parosmia, ovvero a una distorsione della qualità dell’odore percepito e ad allucinazioni olfattive, ossia la percezione di odori senza che ci sia effettivamente la presenza di uno stimolo olfattivo;
  • l’iperosmia, nota come un’esagerazione nella sensibilità olfattiva;
  • l’iposmia, che coincide con una riduzione della capacità olfattiva;
  • l’anosmia, cioè la totale perdita o assenza della capacità olfattiva rispetto a tutti gli odoranti.

Tutte queste alterazioni hanno un forte impatto sulla vita del paziente, con ricadute maggiormente significative in soggetti con parosmia anziché con iposmia o anosmia, riportando conseguenze sul piano psicologico e alti livelli di stress percepito, incrementati da compromissioni nelle attività quotidiane. Per esempio, la mancanza di consapevolezza del proprio odore, potrebbe generare fenomeni sociali di evitamento e isolamento, così come il momento del pasto potrebbe non essere vissuto serenamente, dal momento che la disfunzione olfattiva incide negativamente sull’appetito e sullo stato nutrizionale del paziente.
Infine, l’individuo potrebbe essere incapace di cogliere la presenza di pericoli (fughe di gas, incendi, ecc.).

Variazioni gustative e conseguenze sulla vita del paziente

Rispetto alle variazioni gustative, invece, si possono evidenziare disfunzioni qualitative (disgeusia e fantogeusia) e quantitative (ipergeusia, ipogeusia e ageusia):

  • la disgeusia corrisponde ad una percezione sgradevole del sapore;
  • la fantogeusia è intesa come la sensazione di percepire uno stimolo gustativo quando questo non è realmente presente;
  • l’ipergeusia rappresenta un innalzamento della sensibilità gustativa;
  • l’ipogeusia si classifica come la riduzione della sensibilità gustativa;
  • l’ageusia si riferisce a una totale perdita della capacità gustativa della lingua.

Non mancano le conseguenze disagianti che tali condizioni patologiche determinano nell’individuo, si pensi, ad esempio, a quanto possa essere pericoloso ingerire alimenti di cui non si riesce a cogliere la qualità nutrizionale e quanto questo possa portare a rischi per la propria salute fisica; si verificherebbe, inoltre, una riduzione dell’interesse verso il cibo con conseguente ritiro sociale.

Queste sintomatologie cliniche sono molto frequenti tra i pazienti che hanno presentato COVID-19  e, ancor più, in coloro che si presume siano asintomatici; l’anosmia, in particolare, sembra prevalere sull’ageusia.

Entrando nel merito, l’anosmia potrebbe evidenziarsi in maniera temporanea o permanente. Tra i fattori eziologici alla base, sono compresi la contrazione di un’infezione, l’infiammazione della mucosa nasale, l’ostruzione delle vie nasali, lesioni al lobo temporale o danni ai nervi olfattivi, la sinusite cronica, il trauma cranico oppure, in altri casi, tale disfunzione potrebbe rappresentare un indicatore precoce di futuri disturbi neurodegenerativi (come il morbo di Parkinson o di Alzheimer).
In letteratura, inoltre, sono stati individuati, inoltre, pazienti affetti da Covid-19 che, successivamente al recupero da distress respiratorio, presentassero anosmia a lungo termine, con un innalzamento, quindi, delle soglie percettive degli stimoli olfattivi. Questo tipo di anosmia post-virale ricopre il 40% dei casi, infatti, la perdita delle capacità olfattive è sicuramente uno dei sintomi che con maggior frequenza si riscontra in soggetti affetti.

Fonte: Istituto Santa Chiara, Lecce Italia

Sara Invitto

Psicologa e psicoterapeuta

La Dott.ssa Sara Invitto (M-PSI/01 SH), Psicologa e Psicoterapeuta, affiliata alla Società Italiana di Analisi Bioenergetica e all’International Institute of Bioenergetical Analysis, è Docente Associata di Psicologia Generale e Sperimentale presso l’Università del Salento. Insegna Psicologia generale, Scienze Cognitive e Psicologia Cognitiva e Sistemi Neurali. I principali temi di ricerca e le pubblicazioni della prof. Invitto sono focalizzate principalmente sulla Chemosensory Cognition e Cognitive Neuro-olfactometry. Ha sviluppato collaborazioni di ricerca internazionali sulla cognizione chemosensoriale. Sara Invitto è stata nel Direttivo della Società Italiana di Psicofisiologia e Neuroscienze Cognitive ed attualmente ne è Segretario. Invitto ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali:

  • Gold Innovator Winner Award da Global Women Inventors & Innovators Network e European Women Innovators and Inventors Network (2017);
  • Premio Italian Women Innovators & Inventors Network con menzione speciale nel campo dell’innovazione (2015)
  • Outstanding review Award di Brain Sciences (2019).

Ha partecipato a progetti italiani e internazionali nel campo delle neuroscienze cognitive. È editor e revisore di riviste internazionali del settore. Si occupa, dal 2010, anche degli aspetti neurocognitivi all’interno dei fenomeni connessi al corpo della donna (Procreazione medicalmente assistita) e alla Violenza di Genere.

English translate

Long Covid and olfactory and gustatory alterations

by Sara Invitto

The clinic for the rehabilitation of alterations in olfactory and gustatory functions due to Covid-19 infection has been created at the Lecce headquarters of the Istituto Santa Chiara.

Management is multidisciplinary and involves healthcare professionals who deal with assessment and rehabilitation.

The link between COVID-19 and some sensory alterations, in particular alterations of olfactory and gustatory functions, has now been established.

Olfactory dysfunctions and impact on patient life
There are different olfactory and gustatory dysfunctions; in reference to olfactory dysfunctions it is possible to distinguish:

dysosmia, understood as an alteration of olfactory perception arising due to certain physiological conditions; it could lead to parosmia, i.e. a distortion of the quality of the perceived odor, and olfactory hallucinations, i.e. the perception of odors without the actual presence of an olfactory stimulus;
hyperosmia, known as an exaggeration in olfactory sensitivity;
hyposmia, which coincides with a reduction in olfactory capacity;
anosmia, i.e. the total loss or absence of the olfactory ability with respect to all odorants.
All these alterations have a strong impact on the patient's life, with more significant repercussions in subjects with parosmia rather than with hyposmia or anosmia, resulting in psychological consequences and high levels of perceived stress, increased by impairments in daily activities. For example, the lack of awareness of one's own smell could generate social phenomena of avoidance and isolation, just as meal times may not be experienced peacefully, since olfactory dysfunction negatively affects the patient's appetite and nutritional status.
Finally, the individual may be unable to perceive the presence of dangers (gas leaks, fires, etc.).

Taste variations and consequences on the patient's life
With respect to gustatory variations, however, qualitative (dysgeusia and phantogeusia) and quantitative (hypergeusia, hypogeusia and ageusia) dysfunctions can be highlighted:
dysgeusia corresponds to an unpleasant perception of taste;
fantogeusia is understood as the sensation of perceiving a gustatory stimulus when this is not actually present;
hypergeusia represents an increase in taste sensitivity;
hypogeusia is classified as the reduction of taste sensitivity;
Ageusia refers to a total loss of the tongue's ability to taste.
There is no shortage of uncomfortable consequences that these pathological conditions cause in the individual, think, for example, of how dangerous it can be to ingest foods whose nutritional quality you cannot grasp and how much this can lead to risks for your physical health; Furthermore, there would be a reduction in interest in food with consequent social withdrawal.

These clinical symptoms are very frequent among patients who have presented with COVID-19 and, even more so, in those who are presumed to be asymptomatic; anosmia, in particular, seems to prevail over ageusia.

Going into detail, anosmia could be highlighted temporarily or permanently. The underlying etiological factors include the contraction of an infection, inflammation of the nasal mucosa, obstruction of the nasal passages, lesions to the temporal lobe or damage to the olfactory nerves, chronic sinusitis, head trauma or, in other cases, this dysfunction could represent an early indicator of future neurodegenerative disorders (such as Parkinson's or Alzheimer's disease).
Furthermore, in the literature, patients affected by Covid-19 have been identified who, following recovery from respiratory distress, presented long-term anosmia, with an increase, therefore, in the perceptive thresholds of olfactory stimuli. This type of post-viral anosmia covers 40% of cases, in fact, the loss of olfactory abilities is certainly one of the symptoms most frequently found in affected individuals.

Sara Invitto
Dr. Sara Invitto (M-PSI/01 SH), Psychologist and Psychotherapist, affiliated with the Italian Society of Bioenergetic Analysis and the International Institute of Bioenergetical Analysis, is an Associate Professor of General and Experimental Psychology at the University of Salento.

She teaches general psychology, cognitive sciences and cognitive psychology and neural systems.
The main research topics and publications of the prof. Invitto are mainly focused on Chemosensory Cognition and Cognitive Neuro-olfactometry. He has developed international research collaborations on chemosensory cognition.
Sara Invitto was on the Board of Directors of the Italian Society of Psychophysiology and Cognitive Neuroscience and is currently its Secretary.

Invitto has received national and international recognition:

- Gold Innovator Winner Award from Global Women Inventors & Innovators Network and European Women Innovators and Inventors Network (2017);
Italian Women Innovators & Inventors Network Award with special mention in the field of innovation (2015)
- Outstanding review Award by Brain Sciences (2019).
- She has participated in Italian and international projects in the field of cognitive neuroscience.
- She is an editor and reviewer of international journals in the sector.
- Since 2010, she has also dealt with neurocognitive aspects within phenomena connected to the woman's body (medically assisted procreation) and gender violence.

Source: Istituto Santa Chiara, Lecce

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto al Cambiamento Climatico in atto

LONG COVID, IL RISCHIO E’ CALATO RISPETTO ALLA PRIMA ONDATA

di Roberta Villa

https://www.repubblica.it/salute/2023/10/27/news/covid_durata_long_covid_varianti-418827421/

Secondo uno studio inglese, la possibilità di trascinarsi il malessere per oltre un anno oggi è inferiore di quasi il 90% rispetto al passato. Ma i casi sono ancora tanti.

27 OTTOBRE 2023 ALLE 05:32

Oltre che con il numero di nuovi casi, decessi e ricoveri ospedalieri, l’impatto a medio e lungo termine di Covid-19 si misura anche con il carico sanitario, umano, sociale ed economico di chi soffre per un malessere cronico capace di incidere, talvolta in maniera significativa, sulla propria qualità di vita. Ma quanti sono i cosiddetti ‘guariti‘, che in realtà, a distanza di mesi, non lo sono affatto, ma, nonostante i tamponi ormai negativi, risentono ancora dell’infezione? E quali sono i fattori che facilitano il passaggio da quel che qualcuno considera solo un raffreddore passeggero a una situazione che talvolta arriva a essere invalidante?

https://www.repubblica.it/salute/2023/10/27/news/covid_durata_long_covid_varianti-418827421/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

REFERENZE STATUNITENSI SUL COVID19

Un nuovo ceppo altamente mutato di COVID19 si sta diffondendo rapidamente in almeno dieci stati degli USA, tra cui New York, Oregon, Texas ed Ohio: si tratta della sotto variante Omicron BA2.86 denominata Pirola. Ne parliamo con il Direttore dell’Istituto delle malattie autoimmuni e reumatiche del Saint Joseph Health del New Jersey, Dott. Bob Lahita.

  1. In cosa differisce questa attuale sotto variante dalle altre precedenti omicron BA1-BA5 e le XBB? L’ultima sotto variante omicron con cui abbiamo avuto a che fare era come una derivazione di Omicron In qualche modo questa sotto variante Omicron BA 2.86 è simile o diversa dalle altre? Riteniamo che la sotto variante BA 2.86 possa diffondersi a livello mondiale, non ci sono evidenze in merito al fatto che causi malattia severa ed i dati in nostro possesso ci indicano che i vaccini booster aggiornati proteggono contro di essa. Questo è un ceppo ad alta capacità di mutazione, è qualcosa di allarmante. Tuttavia, verso la fine di Agosto e l’inizio di Settembre ci aspettavamo un aumento delle infezioni da COVID19. Come sai, sta per uscire un nuovo vaccino booster aggiornato. Questa sotto variante è stata chiamata BA 2.86 è quella in cui sono stato trovato un grande numero di mutazioni (36 rispetto alla precedente XBB) ed è quella che adesso è sotto osservazione. E’ stato trovato nelle acque reflue di molti paesi ed in quelle degli aeroporti di questi paesi, dove arrivano persone, migranti ed altri provenienti da altri Paesi: le acque reflue in aeroporto si sono rivelate positive. Tuttavia, non abbiamo riscontrato alcun problema clinico terribile con questa variante. Anche se BA 2.86 è stata isolata credo in questo momento in due pazienti è presente, come dicevo ed è una sotto variante preoccupante in vista dell’arrivo dell’inverno.
  2. Ok, parliamo del perché dovremmo preoccuparci. Con l’ultima sotto variante (Eris EG5) le persone hanno avuto sintomi influenzali e pensavano che erano coperte (immuni) perché probabilmente era collegata ad Omicron. Questo è collegato agli altri sotto lignaggi? In teoria ci preoccupa il fatto che abbiamo avuto l’ultima dose di vaccino booster così tanto tempo fà da non poter essere protetti? Ci sono sotto varianti chiamate XBB e sono correlate, ecco ciò che attualmente causano le infezioni, la sotto variante omicron. Come sai, il pubblico sa che la maggior parte delle infezioni sono state abbastanza lievi, ciò significa che c’è un’immunità di gregge perché significa che tutti sono esposti o hanno avuto il COVID19 ad un certo punto negli ultimi tre anni (2022), per cui non siamo così preoccupati come non saremmo ordinariamente in inverno. Come abbiamo detto, non abbiamo visto l’inclusione che ci aspettavamo. Vediamo alcuni pazienti nell’unità di terapia intensiva, ma tutti hanno comorbità (la presenza o l’insorgenza di un’entità patologica accessoria durante il decorso clinico di una patologia oggetto di studio), come anche decretato sufficienza, chemioterapia e non vaccinati (diciamo anche vaccinati ma con ultima dose fatta più di un anno fà, il grado di immunizzazione di queste persone è pari a zero, esattamente come chi non è vaccinato) e la maggior parte delle persone over 65 che non godono di una salute migliore, noi ci preoccupiamo di queste categorie di persone. Questo nuovo vaccino booster aggiornato lo consiglio vivamente a tutti gli over 65 o a chi ha comorbità, coprirà molto bene la sotto variante BA 2.86.
  3. E’ possibile che questa non sarà l’ultima sotto variante che vedremo. Quanto è preoccupato, ora che andiamo dritti verso l’inverno e le persone saranno al chiuso? Anche tu hai avuto la minaccia dell’influenza, in particolare chi non è entusiasta di ottenere un’altra infezione da COVID19 che potrebbero vedere? E’ una preoccupazione, Anne-Marie. Ovviamente la grande è la presenza di tre virus attualmente circolanti: l’influenza, il virus respiratorio sinciziale (Respiratory Syncytial Virus – RSV) ed il COVID19, la tripletta. Se questi entrano a contatto con la popolazione e si diffondono rapidamente, perché come dici tu durante le festività e le vacanze cominciamo a raggrupparci, a partire dalla Festa del Ringraziamento (Thanksgiving Day), passando per il Natale e Capodanno, ci raggruppiamo in piccoli spazi e nessuno indossa una mascherina in questi giorni, c’è sempre la possibilità che ci sarà l’esplosione di queste infezioni. Speriamo solo che questo virus non vada avanti e non escluda l’immunità.

Dott. Avindra Nath, India: “Avevamo previsto che ci sarebbero state complicazioni neurologiche sin dall’inizio. Studio i virus dagli anni ’80, quando è iniziata la pandemia di AIDS ed anche lì è stata la stessa storia. Molte persone hanno problemi cognitivi a lungo termine, anche se il virus è ben sotto controllo. Ciò che colpisce il cervello può essere estremamente devastante, perché può influenzare la tua personalità, la tua capacità di pensare, di concentrarti ed il tuo umore, quelle cose che ci rendono una persona nel suo insieme.”

Quando è emerso il virus SARS-COV-2, molti si sono concentrati inizialmente sul suo impatto sui polmoni. Divenne presto evidente che il COVID19 ha un impatto su tutto il corpo, dal tratto gastrointestinale fino al cervello. Le autopsie hanno rilevato danni devastanti nel cervello di coloro che sono morti a causa del COVID19.

Dott. Avindra Nath: “I vasi sanguigni erano danneggiati, c’erano cellule infiammatorie attorno al cervello. Abbiamo scoperto che c’erano cellule immunitarie nel cervello stesso ed abbiamo trovato anticorpi attaccati ai vasi sanguigni, sapevamo che stavano attaccando i vasi sanguigni. Mi aspettavo che avremmo visto molti virus nel cervello, perché il coronavirus colpisce il naso: con nostra sorpresa, non abbiamo trovato il virus nel cervello. Ora, ci sono alcune persone che hanno segnalato il rilevamento di virus nel cervello, ma ne hanno trovate quantità molto, molto piccole e questo non spiega la patologia che vedi.”

La maggior parte di queste autopsie sono state condotte su individui che avevano gravi casi di COVID19. Si sa meno sul danno cerebrale dei pazienti con Long-COVID: sintomi che persistono per settimane dopo quello che è spesso uno stadio relativamente lieve di infezione acuta. Gli studi stimano che fino al 30% delle persone sviluppa un Long-COVID dopo un’infezione iniziale da SARS-COV-2 e che le donne corrono un rischio maggiore rispetto agli uomini. I sintomi possono includere: battito cardiaco accelerato (primi 3-7 mesi dalla guarigione), mancanza di respiro (dispnee acute) e vari problemi neurologici.

Dott.ssa Serena Spudich: “In realtà abbiamo visto nel tempo, ora che abbiamo visto centinaia di pazienti, e molte persone sono state segnalate anche in letteratura, che ci sono questo tipo di categorie principali: uno di questi è ciò che la gente chiama nebbia cerebrale (brain fog), dove in realtà il tuo cervello semplicemente non funziona correttamente per alcuni tipi di compiti cognitivi, cose come concentrazione e memoria. Le persone hanno cambiamenti nella pelle, per cui in pratica dicono: “Wow, la sensazione sulla pelle è davvero anomala”. E poi un’altra categoria importante che abbiamo riscontrato è il mal di testa. Esistono categorie psichiatriche in cu le persone raramente hanno avuto un tipo di sindrome delirante acuta o psicotica molto più acuta e profonda. Penso che sia stata una vera sfida per i pazienti andare dal medico con sintomi ed i test eseguiti sono negativi. Anche cose come la risonanza magnetica nucleare (RMN), che è un test molto sensibile in grado di rilevare molti cambiamenti nel cervello, per molti di questi pazienti sono normali. Da molto tempo utilizziamo strumenti di ricerca che possono esaminare misure più sensibili, che non sono cose che usiamo necessariamente in clinica, ma possono dirci cose come se il sistema immunitario funziona in modo completamente normale e se esiste potrebbe trattarsi di una lesione molto sottile ai neuroni del cervello che semplicemente non puoi vedere osservando una scansione MRI.

Dott.ssa Akiko Iwasaki, immunologa Yale University, New Heaven Connecticut ed Investigatrice Howard Hughes Medical Institute: “Esistono tre ipotesi che possono potenzialmente spiegare per quanto tempo il COVID19 può influenzare il cervello: il primo è l’infezione diretta del virus in alcune cellule del sistema nervoso o in strutture in supporto al cervello, la seconda ipotesi è che esistano risposte autoimmuni che attaccano parti del cervello, ciò potrebbe innescare molti sintomi diversi ed una lunga durata di tali risposte, perché una volta attivate le cellule autoimmuni, è molto difficile disattivarle. La terza possibilità è che si stia verificando un’infiammazione distale in altri organi (sequele) come nel polmone, che potrebbe stimolare le cellule all’interno del cervello ed innescare cambiamenti a lungo termine in tali cellule, quindi potrebbe verificarsi una combinazione di questi eventi o potrebbe trattarsi di un evento sequenziale di cose che accadono e che contribuiscono a tutti questi problemi neurologici.”

Le cliniche Long-COVID di tutto il Mondo stanno provando diversi approcci riabilitativi per migliorare questi sintomi.

Dott. David Putrino, Direttore Innovazione Riabilitazione Monte Sinai Health System: “Il nostro sistema nervoso ha un’intera porzione dedicato a fare tutte le cose che il tuo corpo deve controllare autonomamente. Quando viene perso l’equilibrio, si parla di disautonomia, la quale è stata segnalata anche in altri casi di malattia post-virale, attraverso la riattivazione di malattie virali come l’Enterovirus (EV), Epstein-Barr Virus (EBV o Mononucleosi), Herpes Simplex Virus (HSV), Lyssa Virus (LV). La riabilitazione autonoma è un approccio molto personalizzato e molto delicato per riabilitare il sistema nervoso autonomo: per la maggior parte delle persone che vediamo con Long-COVID, in genere inizia con movimenti molto, molto delicati, abbinati alla respirazione con un paziente disteso sulla schiena, che esegue lentamente movimenti che aumentano il flusso sanguigno nella cavità toracica, non è esercizio, non è aerobico, è molto delicato. Abbiamo avuto una buona risposta ai sintomi cognitivi derivanti dalla riabilitazione autonomica. Penso che valga la pena ricordare che non tutti i sintomi cognitivi derivano dalla disautonomia. Pertanto, in alcuni casi, non spostiamo affatto i sintomi cognitivi.”

I ricercatori stanno anche iniziando a concepire trattamenti farmacologici che potrebbero affrontare le cause alla base del Long-COVID: un team del National Institutes of Health è in attesa dell’approvazione normativa per la sperimentazione di farmaci immunomodulatori.

Dott. Avindra Nath: “Il piano è portare i pazienti, li terremo in ospedale per una settimana: un braccio riceverà un placebo, l’altro braccio riceverà un’immunoglobulina (IGB) per via endovenosa ed il terzo braccio riceverà corticosteroidi per via endovenosa. Sono approcci Sledgehammer. Non sono attacchi molto precisi, giusto? Influenzano il sistema immunitario in molti modi diversi.

Dott.ssa Akiko Iwasaki: “La vaccinazione nei pazienti affetti da Long-COVID ha un impatto sui loro sintomi, Numero uno: alcune persone si sentono meglio grazie alla vaccinazione (40%), ciò potrebbe eliminare la fonte di questi virus persistenti o residui virali o qualcosa che sostanzialmente persiste in questi pazienti e che sta innescando l’infiammazione cronica. Numero due: alcune persone non avvertono alcuna differenza (30%). Numero tre: ci sono alcune persone che si sentono peggio a causa della vaccinazione (15%). Ad esempio, se una persona soffre di malattia autoimmune, l’infiammazione indotta dal vaccino potrebbe esacerbare i linfociti autoreattivi e quindi peggiorare temporaneamente la malattia. L’obiettivo finale è cercare di capire cosa possiamo fare per aiutarli a sentirsi meglio senza usare il vaccino, perché il vaccino non funziona su tutti. Ma se riusciamo a capire cosa innesca il miglioramento dei sintomi, allora possiamo provare ad emularlo con altre terapie.”

Molti sperano che la conoscenza acquisita da una lunga ricerca sul Long-COVID possa essere di beneficio ad altri alle prese con malattie post-virali.

Dott. Avindra Nath: “Abbiamo milioni di persone che soffrono non solo di questo, ma di malattie molto simili: sindrome post-Lyme, sindrome della Guerra del Golfo, ME/CFS. I pazienti vanno da un medico all’altro e nessuno sa cosa c’è che non va in loro. La gente dice loro: “beh, è tutto psicologico” o qualcosa del genere, ma hanno una vera malattia. Ora abbiamo una straordinaria opportunità di mettere a disposizione i migliori strumenti che abbiamo a disposizione per cercare di risolvere la questione. Se potessimo farlo, avremmo un impatto enorme sul campo.

Malattia di Lyme: Sintomi, Come Si Prende e Quanto Dura

di Giulia Bertelli

Generalità

La malattia di Lyme (o borreliosi di Lyme) è una patologia infettiva di natura batterica trasmessa dalle zecche (appartenenti, in particolare, al genere Ixodes).

I sintomi tipici includono eritema migrante (eruzione cutanea caratteristica del morbo di Lyme), febbremal di testa, affaticamento e debolezza.

L’intervento precoce è fondamentale: l’infezione può diffondersi ad articolazioni e cuore e, se non si ricorre alla terapia idonea (generalmente, a base di antibiotici), possono subentrare complicanze neurologiche e altre gravi sequele croniche.

https://www.my-personaltrainer.it/benessere/malattia-di-lyme.html

2. Cos’è

Cos’è la Malattia di Lyme?

La malattia di Lyme è una sindrome multisistemica che può interessare diversi organi e tessuticute, articolazioni, sistema linfaticosistema nervoso centrale e periferico, sistema cardiovascolare e, in misura minore, muscoliocchireni e fegato.

Tuttavia, il quadro clinico può essere molto variabile: i sintomi si presentano con frequenza e intensità diverse in funzione del tipo di Borrelia responsabile dell’infezione (genospecie), oltre che alla tempestività del trattamento.

La fase iniziale di questa malattia è solitamente caratterizzata da un’eruzione cutanea non pruriginosa di colore rosso, simile ad una macchia circolare che tende ad espandersi dal sito di inoculo della zecca. Nel giro di qualche settimana, si sviluppano dolori muscolari ed articolari, spossatezzaingrossamento dei linfonodibrividi, febbre, mal di testa e altri sintomi.

Di norma, la malattia di Lyme è più grave nei soggetti immunodepressi o affetti da altre patologie.

La Malattia di Lyme è un’Antropozoonosi

La malattia di Lyme appartiene alla categoria delle antropozoonosi, cioè quel gruppo di malattie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo. Vettore dell’infezione è una zecca, che si infetta dopo aver morso un animale malato e trasmette l’infezione all’uomo con il morso.

3. Cause

Cosa Provoca la Malattia di Lyme?

La malattia di Lyme è causata principalmente da batteri Borrelia burgdorferi (famiglia Spirochaetaceae). Le borrelie sono state identificate quali agenti causali della malattia di Lyme soltanto nel 1982, grazie agli studi di un biologo della Montana, il Dott. Burgdorfer (al quale si deve il nome). In virtù dell’agente eziologico, la malattia di Lyme è nota anche come borreliosi.

Borrelia burgdorferi in Breve

Shutterstock

Borrelia burgdorferi:

  • Presenta la tipica struttura spiraliforme delle spirochete;
  • È caratterizzato da endoflagelli;
  • È microaerofilo, estremamente sensibile ai fattori ambientali e molto esigente dal punto di vista nutrizionale.

Il genoma è costituito da un cromosoma lineare e da numerosi plasmidi (circolari e lineari).

Della superspecie Borrelia burgdorferi fanno parte altre sottospecie, denominate complessivamente Borrelia burgdorferi sensu lato. Queste si differenziano per caratteristiche genetiche, assetto antigenico di superficie, tipo di vettore e distribuzione geografica; solo alcune causano malattia nell’uomo.

Per esempio:

  • Nel Nord America, la malattia di Lyme è causata essenzialmente da Borrelia burgdorferi sensu stricto e, raramente, da Borrelia mayonii;
  • In Europa sono presenti almeno altre due specie certamente patogene per l’uomo: Borrelia garinii e Borrelia afzelii;
  • In Asia, la malattia di Lyme sembra causata principalmente da ceppi di Borrelia japonica e Borrelia sinica.

4. Contagio

Come Si Prende la Malattia di Lyme?

Il batterio responsabile della malattia di Lyme viene trasmessa all’uomo attraverso il morso di zecche infette.

Le zecche sono parassiti ematofagi obbligati, temporanei, di mammiferi (tra cui piccoli roditori, lepri, volpi e cervi) e uccelli (migratori e stanziali), ma possono approfittare anche di anfibi e rettili. Diverse specie di questi artropodi, in gran parte appartenenti al genere Ixodes (famiglia Ixodidae), possono veicolare numerosi agenti infettivi, tra i quali quelli responsabili della borreliosi di Lyme, della babesiosi, delle rickettsiosi e di alcune encefaliti virali. Le zecche s’infettano alimentandosi con il sangue di animali portatori di patogeni (batteri, virus e protozoi ecc.) e, attraverso i pasti successivi, sono in grado di veicolarli ai nuovi ospiti, uomo compreso.

2 Cose Da Ricordare

  • Le zecche – in particolare del genere Ixodes – rappresentano il vettore della malattia: il batterio è “raccolto” dalle zecche, le quali, succhiando il sangue degli animali infetti, lo trasmettono attraverso il morso all’uomo e ad altri animali.
  • Le zecche che trasmettono la malattia di Lyme possono veicolare diversi agenti infettivi: in pazienti affetti da malattia di Lyme sono state identificate specie di Babesia, Bartonella, Anaplasma, Mycoplasma e diversi virus. Esistendo questa possibilità di coinfezione, il quadro clinico non è sempre di facile interpretazione.

Come Riconoscere le Punture di Zecca?

  1. Riconoscere le punture di zecca – o più correttamente, i morsi di zecca – può essere difficile, poiché, il più delle volte, passano inosservate: le zecche emettono una sostanza leggermente anestetica che rende i morsi indolori. Questo rappresenta un grosso limite, soprattutto per la diagnosi del problema, spesso confusa ed incerta. Dopo la puntura, inoltre, la zecca si può staccare accidentalmente: in genere, la zona intaccata appare leggermente infiammata e gonfia. A distanza di alcuni giorni, l’infiammazione si espande, causando eruzioni più o meno fastidiose.
  2. Ad ogni modo, solitamente, questi parassiti rimangono adesi alla pelle del malcapitato; pertanto, essi saranno visibili sulla superficie cutanea, soprattutto dopo il pasto di sangue in seguito al quale tendono a “gonfiarsi”. I maschi della zecca di colore rosso-marrone scuro sono simili ad un granello di pepe, mentre le femmine sono grigiastre. Le zecche sono dotate di un apparato boccale pungente e succhiatore; il corpo del parassita è ovale, appiattito e dotato di otto zampe.
  3. Le zecche colpiscono soprattutto nella bella stagione, quando si risvegliano dal letargo invernale: si appostano sulle estremità di arbusti o su un filo d’erba, attendendo il passaggio di un animale. Quando avvertono la vicinanza di un potenziale “ospite”, vi si attaccano (è sufficiente vengano sfiorate), quindi si posizionano sulla pelle e la trafiggono, introducendo il rostro (parte del loro apparato buccale). Così ancorate, le zecche iniziano a succhiare il sangue e a nutrirsi per alcuni giorni, fino a che, sazie, si staccano dall’ospite, lasciandosi cadere sul terreno.

Come Si Trasmette la Malattia di Lyme

Per trasmettere l’infezione all’uomo, la zecca infetta deve aderirvi alla cute per più di 24 ore: in questo modo, i morsi ripetuti – comunque indolori – favoriscono la trasmissione di Borrelia tramite il rigurgito, le feci o la saliva nel locus del morso medesimo.

Malattia di Lyme: Ci Si Può Riammalare?

L’infezione da Borrelia burgdorferi non conferisce immunità, quindi la malattia di Lyme può essere contratta più volte nella vita.

Dove Si Trovano le Zecche e Chi è Più Rischio?

Le zecche prediligono vivere nell’erba, nei cespugli, nei margini dei sentieri e negli ambienti boschivi ombreggiati e umidi, ai dove rimangono nascoste in attesa del passaggio dell’ospite da parassitare (animali selvatici o domestici ed, occasionalmente, uomo). La maggiore attività delle zecche si osserva intorno a 600-800 metri di altitudine, ma questi artropodi riescono a vivere anche a 1200 metri. Le zecche possono trovare ambienti dove sopravvivere anche nelle aree periurbane incolte e dismesse (ad esempio, in prati incolti o tra le foglie secche dei giardini).

Il rischio di incontrarle è maggiore per gli amanti del trekking, della campagna e dei boschi, soprattutto da aprile ad ottobre: l’insetto si attacca ostinatamente ai vestiti, quindi passa alla pelle per iniziare il pasto di sangue. Altre categorie a rischio per la Malattia di Lyme sono persone a contatto con la fauna selvatica, guardie venatorie, forestali, allevatori e veterinari.

Luoghi più infestati: Zone Umide e Boscose

Particolare importanza ha l’umidità dell’ambiente in quanto le zecche, soprattutto allo stadio larvale, temono la disidratazione.

5. Incidenza

Distribuzione della Malattia di Lyme

La malattia di Lyme è diffusa soprattutto nella fascia temperata dell’emisfero boreale, in aree dove la zecca, vettore della malattia, trova sia condizioni ambientali idonee per la sopravvivenza e la riproduzione, sia animali che fungono da serbatoio.

Negli USA, l’infezione ha carattere endemico (Cosa Significa Endemia? Vedi l’articolo dedicato), soprattutto negli stati della costa atlantica e nelle regioni umide presso i Grandi Laghi.

Per quanto riguarda la situazione europea, la malattia è attualmente diffusa ovunque e la prevalenza è in aumento, in particolare in Europa Centrale.

Sembra esistere una correlazione tra le manifestazioni cliniche della patologia e la latitudine:

  • Nei Paesi dell’area mediterranea sarebbero prevalenti le forme dermatologiche;
  • Nel Nord Europa sarebbero più frequenti le forme a carattere neurologico.

Malattia di Lyme: Quanto è Diffusa?

Globalmente, la malattia di Lyme è piuttosto comune: viene considerata, infatti, la più frequente patologia umana trasmessa dalle zecche.

La malattia di Lyme fu descritta per la prima volta intorno alla metà degli anni Settanta del Novecento, ma i medesimi sintomi furono descritti nel 1910, in Scandinavia.

Il 1975 viene ricordato come l’anno dell’epidemia della malattia di Lyme, lo stesso in cui furono registrati “inspiegabili” casi di artrite (successivamente rivelatisi conseguenza della malattia di Lyme: artrite di Lyme); in quel periodo, l’epidemia colpì un piccolo centro del Connecticut chiamato Old Lyme (da cui il nome della malattia).
Dieci anni più tardi, le statistiche mediche hanno osservato ben 14.000 pazienti affetti da questa malattia.
Scoperta per la prima volta in America, attualmente la malattia di Lyme presenta focolai endemici in tutti il mondo, spaziando dal Giappone al Canada, dall’Australia all’Europa. Nei soli Stati Uniti vengono diagnosticati circa 15-18 mila casi all’anno.

In Italia, il primo caso clinico umano è stato segnalato nel 1983 a Genova e il primo isolamento del batterio responsabile è avvenuto a Trieste nel 1987.

Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Liguria, Veneto ed Emilia-Romagna sono da anni considerate aree endemiche, ma probabilmente nessuna regione può essere considerata indenne.

Malattia di Lyme: Un Piccolo Morso, Un Grande Problema

La malattia che, negli USA, si diffonde più rapidamente dopo l’AIDS“: è con questa affermazione che il New York Times ha definito la malattia di Lyme.

A livello globale, i casi sono in aumento: negli Stati Uniti, la borreliosi di Lyme rappresenta la seconda malattia infettiva dopo l’HIV, con più di 300.000 nuovi casi stimati ogni anno. Anche personaggi famosi ne sono stati colpiti e testimoniano cosa significhino le sequele di quest’infezione: Victoria Cabello, Bella Hadid, Mary Kate Olsen, Avril Lavigne, Justin Bieber, Richard Gere, Alec Baldwin, Ben Stiller, fino all’ex presidente George W. Bush.

6. Periodo d’Incubazione

Malattia di Lyme: Dopo Quanto Tempo dal Morso di Zecca si manifesta?

Il periodo d’incubazione della malattia di Lyme varia dai 4 ai 30 giorni, più frequentemente dai 7 ai 10 giorni; le manifestazioni cliniche possono essere precoci o tardive.

In genere, i sintomi tipici della malattia di Lyme possono essere riassunti in tre stadi principali.

7. Sintomi Malattia di Lyme

Malattia di Lyme nell’Uomo: Come Si Manifesta?

In relazione al grado di diffusione del batterio nell’organismo, ai tessuti e agli organi colpiti, possono essere individuati tre stadi della malattia, caratterizzati da quadri clinici diversi:

  1. Infezione precoce localizzata;
  2. Infezione precoce disseminata;
  3. Infezione cronica o tardiva.

Stadio I Malattia di Lyme: Infezione Precoce Localizzata

Dopo essere penetrate nell’organismo, favorite dalla scarsa reattività locale indotta da componenti presenti nella saliva della zecca, le borrelie proliferano e si diffondono radialmente nei tessuti circostanti il punto di inoculo (nota: a questo stadio, il batterio è isolabile dai tessuti sottocutanei).

Entro un intervallo di tempo variabile (in media: 7-10 giorni), nel 70- 80% circa dei soggetti infettati compare il caratteristico eritema della malattia di Lyme.

In questa fase, possono essere presenti sintomi simil-influenzali:

Caratteristiche dell’Eritema Migrante = Lesione Cutanea Primaria

L’eritema della malattia di Lyme si presenta come un arrossamento che si espande a partire da una macchia (o una papula) corrispondente al punto di inoculo (morso della zecca); il diametro della lesione può raggiungere dimensioni notevoli, anche superiori ai 5 cm.

Tipico aspetto dell’eritema associato a malattia di Lyme

La lesione primaria (macchia) tende a risolversi nel giro di 3-4 settimane, schiarendosi a partire dal centro.

Tuttavia, l’eritema può:

  • Persistere più a lungo;
  • Ripresentarsi in altre sedi (da qui il termine eritema migrante);

costituendo il “sintomo prodromico” di un’evoluzione sistemica della malattia.

Stadio II Malattia di Lyme: Infezione Precoce Disseminata

Se non trattata con terapie specifiche, in un intervallo di tempo che varia da poche settimane a diversi mesi, l’infezione può progredire interessando più distretti dell’organismo e provocando manifestazioni che dipendono fondamentalmente da:

  • Reazione immunitaria dell’organismo infettato;
  • Invasività della genospecie di Borrelia implicata.

Questa fase della malattia di Lyme è caratterizzata da marcata debolezza e malessere diffuso.

Altri sintomi frequenti sono a carico di:

  • Sistema muscolo-scheletrico (artromialgie migranti, in particolare alle ginocchia)
  • Sistema nervoso (neuropatia craniale, soprattutto paralisi del nervo faccialeradicoloneuropatia acuta; meningite con forti dolori alla testa, rigidità del collo, febbre e malessere).

Meno comuni, invece, sono:

  • Disturbi cardiaci (blocchi atrioventricolari, carditi, frequenza cardiaca anormale)
  • Linfoadenopatia
  • Linfocitoma boreale (comune nei bambini) – macchia da rossa a blu sul lobo dell’orecchiocapezzolo o scroto
  • Neuroborreliosi precoce – riguarda circa il 25% circa dei pazienti non trattati e può comportare:
  • Erythema migrans multiplo (lesioni omogenee e più piccole dell’eritema migrante primario; si verificano nel 20% circa dei pazienti per la disseminazione dei batteri causali nel torrente ematico).

La maggior parte dei sintomi caratteristici del secondo stadio regredisce spontaneamente nell’arco di pochi mesi (anche senza trattamento). In alcuni casi, tuttavia, si può avere cronicizzazione o ricomparsa della malattia di Lyme anche a distanza di tempo, segno di una progressione graduale nel corso dei mesi o degli anni.

Stadio III Malattia di Lyme: Infezione Cronica o Tardiva

Nello stadio tardivo della malattia, che può manifestarsi anche dopo molti anni dall’infezione iniziale o dopo periodi di latenza, i distretti maggiormente coinvolti sono:

  • Articolazioni (artrite di Lyme):
  • Cute (acrodermatite cronica atrofizzante)
  • Apparato nervoso (neuroborreliosi tardiva).

Artrite di Lyme

L’artrite cronica di Lyme comporta gonfiore e attacchi di dolore articolare lancinante e di lunga durata (anche mesi) in una o più grandi articolazioni, principalmente ginocchio. Nei casi più gravi, si manifesta un’erosione delle cartilagini con limitazioni dell’escursione articolare, fino all’anchilosi.

Acrodermatite Cronica Atrofizzante

L’acrodermatite cronica atrofizzante si manifesta con un eritema violaceo, solitamente nella stessa regione nella quale era localizzato l’eritema migrante. A questo segno, può far seguito un’infiltrazione edematosa diffusa e un processo progressivo di atrofizzazione cutanea, che determina modifiche irreversibili della pelle e del tessuto sottocutaneo dell’arto interessato.

Neuroborreliosi Tardiva

Disturbi neurologici cronici della malattia di Lyme comprendono: disorientamento, confusionevertigini, mancanza di concentrazione e perdita di memoria a breve termine.

Le manifestazioni tipiche della neuroborreliosi tardiva comprendono:

Dal 1988 è nota una forma di cerebropatia con deterioramento psichico che può condurre fino alla demenza presenile.

Quanto Dura la Malattia di Lyme?

  • Malattia di Lyme localizzata: 4 ai 30 giorni dopo una puntura di zecca
  • Malattia di Lyme precoce diffusa: da giorni a settimane dopo il morso di zecca
  • Malattia di Lyme tardiva: mesi o anni dopo l’infezione

8. Diagnosi, Cura e Prevenzione

Come osservato, i sintomi che accompagnano la malattia di Lyme sono molteplici ed eterogenei: un paziente può presentare solo alcuni segni, in altri, invece, la malattia può generare disturbi più severi.  Per questi motivi, la diagnosi non risulta sempre immediata e semplice.

Nel prossimo articolo, la malattia di Lyme sarà analizzata dal punto di vista diagnostico, terapico e profilattico. Anticipiamo brevemente che la malattia di Lyme viene diagnosticata dal medico in base ai sintomi, ai reperti fisici (es. eritema migrante), ai test di laboratorio convalidati e alla possibilità di esposizione a zecche infette. La maggior parte dei casi di malattia di Lyme può essere trattata con successo con l’uso di antibiotici diretti contro il batterio causa della sua insorgenza. 

Per maggiori informazioni in merito a diagnosi, cura e prevenzione della malattia di Lyme, si rimanda alla lettura degli articoli dedicati:

Altri Articoli sulla Malattia di Lyme che potrebbero interessarti:

9. Approfondimento: Puntura di Zecca Cosa Fare?

Cosa Fare se si viene punti da una Zecca?

https://www.my-personaltrainer.it/imgs/2022/03/10/puntura-di-zecca-cosa-fare-orig.jpeg

Shutterstock

Come anticipato, la trasmissione del microrganismo responsabile della malattia di Lyme richiede che la zecca rimanga attaccata per un periodo prolungato, superiore alle 24 ore.

Di conseguenza, la rimozione della zecca ricopre un importanza fondamentale e dev’essere effettuata il prima possibile, per evitare che effettui il pasto di sangue, quindi inietti la saliva potenzialmente infetta.

Per Staccare la Zecca – Come Rimuovere una Zecca

Se si trova una zecca attaccata alla pelle, è imperativo non farsi prendere dal panico: solo una bassa percentuale di zecche trasmette malattie e la maggior parte dei patogeni viene inoculata al termine del pasto di sangue.

La rimozione della zecca deve essere immediata, ma è necessario adottare sempre i seguenti accorgimenti:

  • Con le mani protette da guanti o tessuto, afferrare saldamente la zecca con una pinzetta evitando però di schiacciarla; tenendosi il più possibile aderenti alla cute tirare con decisione, ma senza strappi, ruotando con delicatezza.
  • Se durante la trazione il rostro della zecca rimane nella pelle, cercare di estrarlo con un ago sterile e rivolgersi a un medico.
  • Dopo l’estrazione della zecca disinfettare con sostanze non coloranti, per poter evidenziare eventuali segni di infezione successivi.
  • Conservare la zecca in un recipiente chiuso per mostrarla, eventualmente, al medico.
  • Non usare mai acetone, ammoniaca, alcol etilico, etere o vaselina, poiché queste sostanze possono indurre nella zecca un rigurgito riflesso, con forte aumento del rischio di trasmissione di patogeni. Non utilizzare neppure fonti di calore nel tentativo di far staccare la zecca.
  • Dopo la rimozione, per 30-40 giorni, è necessario prestare attenzione alla comparsa di eventuali segni e sintomi di infezione (annotare il luogo e la data in cui si è stati morsi).

Nei 30 Giorni Successivi al Morso di Zecca

  • Consultare un medico (il medico va consultato anche non appena ci si accorge di essere stati morsi o non appena ci si accorge della presenza dell’ectoparassita sulla pelle);
  • Controllare l’area cutanea colpita, ricercando la presenza di una chiazza rossastra attorno alla zona della puntura;
  • Prestare attenzione alla comparsa di affaticamento, febbre, malessere, mal di testa, ingrossamento delle ghiandole e dolori articolari;
  • Non è raccomandata l’assunzione di antibioticiche potrebbero mascherare i sintomi confondendo la diagnosi.

Fonte: My Personal Trainer

Sindrome della Guerra del Golfo, cos’è e tutela legale

Le guerre del Golfo (Prima e Seconda Guerra del Golfo) o guerre in Iraq sono tristemente legate alla cosiddetta Sindrome della Guerra del Golfo che ha colpito i militari impegnati nelle missioni, oltre che la popolazione civile.

Il riconoscimento della Sindrome della Guerra del Golfo da parte delle amministrazioni ha richiesto molto tempo. I militari maggiormente colpiti furono i veterani americani delle guerre del Golfo, che avevano un contingente maggiore di forze impiegate. Seguirono i veterani inglesi. Anche l’Italia partecipò alla coalizione multinazionale guidata dagli USA e anche i militari italiani furono vittime di questa sindrome o di altre malattie causate dall’esposizione a sstanze nocive sul teatro di guerra.

In Iraq sono stati usati proiettili all’Uranio Impoverito. Grazie alla densità di questo materiale la capacità di perforazione del proiettile aumenta e così la sua efficacia distruttiva. L’esposizione all’uranio impoverito è dannosa a causa delle radiazioni ionizzanti, ma lo è soprattutto per l’esposizione a metalli pesanti e particolato di varia dimensione in seguito alle detonazioni.

La combustione ad altissima temperatura di bersagli metallici colpiti dai proiettili all’uranio impoverito disperde infatti nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti. Una volta inalate o ingerite, ma anche attraverso la contaminazione di acqua e suolo e l’ingresso nella catena alimentare, provocano malattie gravissime: una vera e propria epidemia.

In questa guida scopriamo cos’è la sindrome della Guerra del Golfo. Scopriamo anche i numeri di questa epidemia e tutto sulla tutela legale degli esposti. T

L’Avvocato Ezio Bonanni ha seguito personalmente numerosi contenziosi legati al riconoscimento di causa di servizio e vittime del dovere per alcuni militari italiani affetti da malattie correlate all’uso di uranio impoverito e per il risarcimento integrale dei danni alle vittime e ai loro famigliari.

Sindrome della Guerra del Golfo: cos’è?

La sindrome della guerra del Golfo, GWS (Gulf War Syndrome) è un disordine cronico e multi-sintomatico che ha colpitio i veterani militari di ritorno dalla guerra del Golfo. Tra i sintomi della Sindrome della Guerra del Golfo ci sono affaticamento cronico, dolore muscolare, problemi cognitivi, insonnia, eruzioni cutanee e diarrea. Circa 250.000 dei 697.000 veterani statunitensi che hanno prestato servizio nella guerra del Golfo del 1991 sono affetti da patologie croniche a più sintomi, una condizione con gravi conseguenze.

Il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto la causa di servizio ai veterani statunitensi che ne sono affetti, che non hanno quindi bisogno di dimostrare una connessione tra l’impiego militare in Iraq e le seguenti affezioni croniche: CFS, fibromialgia, sindrome dell’intestino irritabile, dispepsia funzionale e altri disordini funzionali dell’apparato gastroenterico. Anche le morti per tumore cerebrale e sclerosi laterale amiotrofica sono state riconosciute dal Defence and Veterans Affairs departments come potenzialmente connesse al servizio durante la guerra.

Oggi il Veterans Affairs Department degli Stati Uniti preferisce servirsi della dicitura “malattia cronica multisintomo” (CMI) piuttosto che Sindrome della Guerra del Golfo.

Cause della Sindrome della Guerra del Golfo

Una ricerca pubblicata a inizio 2016 sulla rivista scientifica Cortex sancisce un nesso causale tra la sindrome e l’esposizione a pesticidi e repellenti per insetti e/o a PB (piridostigmina bromuro, farmaco usato per la protezione contro agenti nervini). Inoltre stabilisce un nesso tra la sindrome e l’esposizione ad agenti nervini sarin/cyclosarin e alle emissioni dovute all’incendio dei pozzi petroliferi.

Al meeting nel dicembre 2005 del Research Advisory Committee on Gulf War Veterans’ Illnesses furono considerate le seguenti cause:

  • prodotti della combustione di munizioni contenenti uranio impoverito
  • malattie infettive provocate da parassiti
  • effetti collaterali dal vaccino contro l’antrace utilizzato nei primi anni ’90
  • armi chimiche come gas nervino o iprite
  • combinazioni dei fattori precedenti

Durante la guerra molti pozzi petroliferi furono dati alle fiamme, e i fumi furono inalati da molti soldati, che soffrirono di polmoniti acute e altri disturbi cronici, tra cui asma e bronchiti. Tuttavia nessun pompiere assegnato a questi incendi, pur respirando i fumi, sviluppò i sintomi della sindrome. Il legame quindi tra fumi dei pozzi e sindrome non è ancora chiaro.

L’uso dell’Uranio Impoverito nel territorio

L’UNIDIR (United Nations Institute for Disarmament Research), con sede a Ginevra, nel suo report “Disarmament Forum – Uranium Weapons” del 2008 riportava le seguenti quantità di Uranio Impoverito utilizzato in munizionamento dagli Stati Uniti:

  • Prima Guerra del Golfo (1991-1992): 286 tonnellate
  • Seconda Guerra del Golfo (2003): 75 tonnellate

Alle quantità sopra riportate devono essere aggiunte quelle utilizzate dalle forze armate del
Regno Unito (UK), sparate soprattutto dai carri armati britannici “Challenger II”.

Dai documenti pubblicati in conformità con il “Freedom of Information Act”, William ARKIN ha
stimato che alla fine della Prima Guerra del Golfo sui campi di battaglia restavano approssimativamente 300 tonnellate di Uranio Impoverito, mentre secondo le stime della LAKA FOUNDATION la quantità di UI dispersa nella regione del Golfo è di 800 tonnellate.

La zona Sud-Est dove operava il contingente italiane risulta una delle più bomborgìdate con proiettili contenenti uranio impoverito.

Uranio impoverito: che cos’è e come è usato?

L’Uranio Impoverito (UI) è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’Uranio, in cui l’Uranio-235 (U235) viene impoverito di due terzi del suo contenuto originario di Uranio naturale.

La Commissione di Regolamentazione del Nucleare degli Stati uniti lo classifica infatti come materiale utilizzabile solo dietro autorizzazioni generali specifiche.

Quando un proiettile di uranio impoverito colpisce un bunker o un carro armato, alla sua esplosione ad alta temperatura rilascia nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti. Tra questi compare il piombo che lo IARC nel volume 77 del 2006 inserisce tra i possibili cancerogeni per l’uomo, di comprovata tossicità e in grado di causare gravi danni biologici, indipendentemente dalla capacità cancerogena.

Se l’uranio impoverito viene inalato, il metallo radioattivo si deposita nei polmoni e in altri organi, causando diversi tipi di cancro.

La puntata di ONA TV: Uranio impoverito, la dura battaglia dei militari italiani approfondisce il tema dei fattori di rischi per i soldati italiani rispetto all’uranio impoverito in ex-Jugoslavia.

Armi all’uranio impoverito: danni alla salute

Gli effetti sulla salute dell’Uranio Impoverito possono essere approfonditi su “Depleted Uranium. Sources, exposures and health effects” , documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tra le patologie che hanno maggiormente colpito gli esposti ad uranio impoverito ci sono:

  • danni renali;
  • cancro ai polmoni;
  • tumore alle ossa;
  • carcinoma all’esofago;
  • problemi alla pelle;
  • disturbi neurocognitivi;
  • anomalie cromosomiche;
  • sindromi da immunodeficienza;
  • rare malattie renali e intestinali;
  • malformazioni genetiche ai nascituri;
  • linfomi di Hodgkin e leucemie.

Leggi tutto sulle: stragi dei militari per uranio impoverito

Che cosa dice la legge internazionale?

Quando la polvere si dissolve, in quanto emittente di particelle alfa, l’uranio impoverito ha una vita media di 4.500 milioni di anni.

Per tali motivi, numerosi governi, organizzazioni umanitarie e organismi internazionali hanno chiesto una moratoria sul loro uso.

L’esercito degli Stati Uniti afferma di “attenersi a statuti, regolamenti e procedure stabiliti”. L’art. 183 di Diritto internazionale suggerisce diversamente:

La sottocommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la protezione delle minoranze, nel 1996 ha approvato una risoluzione che vieta le armi DU.

l’ONU ha dichiarato la preoccupazione per “le attrezzature contaminate abbandonate che [possono] costituire un grave pericolo per la vita” e ha preso atto dei “rapporti ripetuti sulle conseguenze a lungo termine dell’uso di tali armi sulla vita umana e sull’ambiente”.

Ha esortato tutti i Paesi a “frenare la produzione e la diffusione di armi di armi di distruzione di massa o con effetto indiscriminato, in particolare… armamenti contenenti uranio impoverito”.

Tutela legale alle Forze Armate per Sindrome del Golfo e UI

L’Osservatorio Nazionale Amianto, di cui l’Avvocato Ezio Bonnani è Presidente, ha istituito il servizio di assistenza medica e legale per le vittime dell’uranio impoverito e dei vaccini militari.

La Sindrome della Guerra del Golfo infatti non è l’unica forma di multi malattia cronica che ha colpito i materiali. Ricordiamo la Sensibilità Chimica Multipla che ha colpito il Colonnello Calcagni, contaminato da ben 28 metalli pesanti e come lui altri militari., il linfoma di Hodgin e altre malattie e forme di cancro.

È sufficiente contattare l’ONA per ottenere la tutela, prima di tutto medica, e poi legale con riferimento a tutti i danni che i nostri militari, della Marina Militare, dell’Esercito e dell’Aeronautica, e degli altri Corpi dello Stato, hanno subito per aver partecipato alle missioni in territori in cui sono stati utilizzati proiettili all’uranio impoverito e per l’utilizzo di pratiche vaccinali, con somministrazioni multiple e di vaccini con additivi.

Coloro che per esposizione a nanoparticelle di proiettili all’uranio impoverito, ovvero a radiazioni e/o particelle di metalli pesanti, hanno contratto infermità hanno diritto al riconoscimento della causa di servizio e dello status di vittima del dovere.

L’Avv. Ezio Bonanni è stato audito dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta il 06.12.2017 (video dell’audizione dell’Avv. Ezio Bonanni presso la Commissione Uranio Impoverito).

L’avvocato ha illustrato le condizioni di rischio cui sono stati esposti i nostri militari, non solo per la presenza di amianto, ma anche di altri cancerogeni e, a maggior ragione, nei casi in cui sono stati utilizzati proiettili all’uranio impoverito, peraltro senza che i nostri militari ne fossero informati, e dotati di strumenti di cautela e protezione.

Fonte: Avvocato Ezio Bonanni

https://www.avvocatoeziobonanni.it/sindrome-della-guerra-del-golfo/

Sindrome da Stanchezza Cronica

La Sindrome da Stanchezza Cronica, o Sindrome da Fatica Cronica (CFS, acronimo di Chronic Fatigue Syndrome) è un disturbo caratterizzato dalla fatica cronica persistente per almeno 6 mesi e di una serie di sintomi piuttosto eterogenei fra loro. La sindrome colpisce prevalentemente le donne e ha un’incidenza stimata tra 0,4% e 1%, non si tratta quindi di una malattia rara.
Recenti documentazioni internazionali raccomandano di non parlare di CFS, ma di Encefalomielite Mialgica (ME), fisiopatologia sottostante alla Sindrome da Stanchezza Cronica e malattia riconosciuta dall’OMS.

Per ulteriori approfondimenti clicca qui.

Sindrome da Stanchezza Cronica: che cos’è

Autore: Redazione  06 Ottobre 2011

La sindrome da stanchezza cronica (Chronic Fatige Syndorme, o CFS) è un disturbo caratterizzato da una stanchezza prolungata, persistente  e debilitante e una serie di sintomi non specifici correlati. Affligge solitamente soggetti adulti tra i 20 e i 40 anni, che lamentano una stanchezza disabilitante per la quale il riposo non è di alcun aiuto, e che si aggrava con l’attività fisica e intellettuale. Per alcuni pazienti la gravità della sindrome è tale da non permettere loro di portare avanti le proprie attività occupazionali. Colpisce prevalentemente le donne e ha un’incidenza stimata tra lo 0,4 e l’1 per cento. Non è quindi una malattia rara.

I sintomi correlati
I pazienti presentano per almeno 6 mesi una serie di sintomi correlati quali faringite, febbre, dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari, dolori muscolari e articolari, cefalee, sonno non ristoratore, debolezza a seguito di esercizio fisico. Sono comuni i problemi della concentrazione e della memoria. La malattia può condurre alla depressione.
Diagnosi
La sindrome da stanchezza cronica viene diagnosticata per esclusione. La diagnosi differenziale viene effettuata soprattutto con timori maligni, malattie renali ed epatiche, malattie autoimmuni, difetto ormonali e depressione. Una volta escluse queste patologie si diagnostica la CFS se sono presenti almeno 4 dei sintomi correlati per almeno 6 mesi.
Terapia
Per la CFS sono previste terapie a base di antidepressivi e farmaci antinfiammatori non steroidei a basso dosaggio. La terapia congnitivo-comportamentale può aiutare il paziente, e l’attività fisica moderata è quasi sempre consigliata.

Circa la metà dei pazienti si rimette entro 5 anni dalla comparsa dei sintomi iniziali della malattia, ma spesso questa sindrome presenta un decorso ciclico.
Cause

L’eziologia della malattia è tuttora ignota, si presume un’origine multifattoriale. Gli agenti virali che erano stati in passato considerati causa della CFS, quali il virus XMRV, sono stati esclusi. (Vedi l’articolo in merito)

La definizione di Sindrome da Fatica Cronica non è però condivisa all’unanimità dalla comunità scientifica.

Recentemente un gruppo internazionale di medici e ricercatori ha pubblicato i Criteri Internazionali di Consenso sulla ME (Encefalomielite Mialgica), raccomandando di non parlare di CFS ma di Encefalomielite Mialgica. Questa malattia, riconosciuta dall’Oms con codice ICD G93.3, interessa principalmente il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario. La ME fornisce una base per la comprensione della sintomatologia della “stanchezza cronica” così come noi la conosciamo, ma ad oggi dispone di strumenti diagnostici precisi e puntuali.

Fonti e ulteriori informazioni su Orphanet

https://www.osservatoriomalattierare.it/index.php/sindrome-da-stanchezza-cronica-che-cose

Long COVID ed affaticamento surrenale

https://drandrewneville.com/long-covid-and-adrenal-fatigue/

7 Dicembre 2022

Quelli con Long COVID hanno a che fare alla radice con una qualche forma di affaticamento surrenale.

Contenuto dell’articolo

  1. Il COVID colpisce tutti i sistemi del corpo
  2. Perché solo alcune persone contraggono il Long-COVID?
  3. Cos’è la sindrome da stanchezza post-virale?
  4. Fattori che portano a una lunga suscettibilità al COVID
  5. Lo stress altera il sistema immunitario
  6. La sana risposta allo stress acuto
  7. La risposta allo stress disfunzionale e il Long-COVID
  8. Il trattamento dell’affaticamento surrenale riduce gli effetti del Long-COVID
  9. 8.1 Continua a imparare

Non c’è dubbio che il COVID-19 abbia influenzato le nostre vite in modi significativi e forse ancora sconosciuti. Molti di noi sono già stati infettati da un ceppo o da un altro di SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia COVID-19. Se non siamo ancora stati infettati, c’è un’alta probabilità che lo saremo prima o poi, come è tipico di altre infezioni da coronavirus. Nell’80% delle persone infette dal virus si sviluppano solo sintomi lievi, simili a un comune raffreddore o un’influenza. In una percentuale molto più piccola l’infezione è molto più significativa; alcune persone richiedono il ricovero in ospedale e, naturalmente, in alcune altre persone, il COVID-19 causa la morte.

Il COVID colpisce tutti i sistemi del corpo

Gli effetti dell’infezione variano enormemente a seconda degli organi infetti. Le persone svilupperanno una miriade di sintomi in vari sistemi, inclusi i sistemi respiratorio, cardiovascolare, neurologico, gastrointestinale e muscolo-scheletrico. Esistono prove significative e innegabili che nel 15-30% delle persone infette da SARS-CoV-2 i sintomi possono persistere o ripresentarsi per molti mesi dopo l’infezione iniziale, talvolta essendo piuttosto gravi. Questa condizione è stata etichettata come sindrome da COVID lungo, sindrome del lungo trasportatore e sindrome post-acuta da COVID-19.

Perché solo alcune persone contraggono il Long-COVID?

Se è lo stesso virus che ci infetta tutti, allora perché alcuni si ammalano davvero, mentre altri se ne accorgono a malapena? Perché alcuni si ammalano per un tempo molto più lungo, rispetto a quelli che eliminano rapidamente l’infezione e ritornano alla vita normale come se nulla fosse successo?

La ricerca su questa importante questione è ancora agli inizi; tuttavia, c’è un certo consenso. Possibili teorie e risultati includono:

  • Il virus potrebbe essere ancora presente nei tessuti
  • Disregolazione immunitaria e infiammazione post-infezione
  • Aumento della produzione di anticorpi, compresi gli autoanticorpi post-infezione
  • Variabilità genetica
  • Estensione o danno d’organo/lesione durante l’infezione acuta
  • Comorbidità come obesità, ipertensione, età, precedente diagnosi psichiatrica, bassi livelli di vitamina D, danno mitocondriale e immunosoppressione
  • Qualsiasi combinazione di diversi di questi fattori

Cos’è la sindrome da stanchezza post-virale?

L’affaticamento post-virale o sindrome da affaticamento post-virale è stato riconosciuto da tempo come una conseguenza in una percentuale della popolazione sia di infezioni virali epidemiche pregresse (SARS, Ebola, virus del Nilo occidentale, ecc.), sia di infezioni comuni come Epstein Barr (EBV) o malattie trasmesse dalle zecche come la malattia di Lyme e le coinfezioni. La sindrome da stanchezza post-virale può svilupparsi dopo qualsiasi infezione, non solo dopo un virus. La domanda rimane: se si tratta dello stesso agente infettivo presente in tutti noi, allora perché i sintomi persistono in alcuni e non in altri? La risposta logica è la risposta immunitaria dell’individuo all’infezione. Deve esserci una percentuale della popolazione il cui sistema immunitario semplicemente non è efficiente nel combattere le infezioni acute, eliminarle e quindi riprendersi. Cosa potrebbe causare questa drammatica differenza nell’efficienza del sistema immunitario da persona a persona? Perché alcune persone possono ammalarsi solo lievemente di COVID-19 e di altri agenti infettivi, sottoporsi a cure adeguate ed eliminare l’infezione? E perché altri si ammalano più gravemente? E perché alcuni che si ammalano solo lievemente presentano sintomi persistenti per molti mesi?

Fattori che portano a una lunga suscettibilità al COVID

Dobbiamo quindi esaminare il sistema immunitario stesso e determinare cosa rafforza o indebolisce la sua capacità di combattere ed eliminare le infezioni. Ci sono fattori che conosciamo dalla ricerca che aumentano il rischio di infezioni più gravi: Bassi livelli di vitamina D Età avanzata Comorbidità come obesità, ipertensione o precedenti diagnosi psichiatriche Immunosoppressione Al di là di queste condizioni, c’è un aspetto della nostra fisiologia che spesso viene ignorato o trascurato in queste ricerche, ovvero lo stress.

La sana risposta allo stress acuto

Il problema con questo sistema di risposta allo stress disfunzionale è che la fisiologia dello stress è destinata ad essere temporanea. Dobbiamo attivare la risposta allo stress per affrontare una minaccia come una carestia. un predatore, la morte di una persona cara o uno qualsiasi dei numerosi fattori di stress che riempiono la nostra capacità di stress. La nostra fisiologia cambia per essere all’altezza della situazione. Attiva alcuni organi che ci salverebbero la vita in questo caso – il cuore, i polmoni e il nostro metabolismo – e allo stesso tempo sopprime temporaneamente alcuni altri sistemi di organi che sono meno prioritari quando ci troviamo di fronte a una tigre, come il nostro sistema digestivo, immunitario e riproduttivo. Questo cambiamento è mirato ed efficace. Conserviamo l’energia nei sistemi soppressi mentre la deviamo verso meccanismi fisiologici salvavita per affrontare la minaccia. Se fatto temporaneamente e poi riportato in equilibrio, affrontiamo la minaccia e torniamo alla fisiologia normale, attivando gli altri sistemi di guarigione e riparazione. Viviamo per combattere un altro giorno.

La risposta allo stress disfunzionale e il Long COVID

Quando la fisiologia dello stress diventa dominante, allora iperattiviamo quegli organi dello stress mentre sopprimiamo cronicamente gli altri sistemi di organi non essenziali. La fisiologia dello stress porta a un’usura significativa del corpo sotto forma di stress ossidativo, che porta ai numerosi sintomi associati alla condizione di affaticamento surrenale: affaticamento cronico, dolore, insonnia, problemi di peso, confusione mentale, ansia e depressione. Allo stesso tempo, possiamo anche sviluppare sintomi in quegli altri sistemi che vengono cronicamente soppressi. Se il sistema immunitario viene soppresso per un periodo sufficientemente lungo, svilupperai inevitabilmente una capacità indebolita di combattere ed eliminare le infezioni. Con un sistema immunitario soppresso possono verificarsi malattie croniche ricorrenti, si può sviluppare un’infiammazione eccessiva e possono verificarsi persino allergie e sensibilità all’ambiente e agli alimenti. È mia opinione che il COVID lungo e altre sindromi post virali siano il risultato dell’affaticamento surrenale nel tempo e della soppressione cronica del sistema immunitario. Credo che la pandemia COVID stia scoprendo molte migliaia, se non milioni, di persone che hanno a che fare con una qualche forma di affaticamento surrenale, ancora non diagnosticata.

Il trattamento dell’affaticamento surrenale riduce gli effetti del Long COVID

La medicina convenzionale non considera l’affaticamento surrenale una condizione diagnosticabile ufficialmente. La loro posizione è che finché le ghiandole surrenali non hanno ceduto completamente, allora funzionano bene. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Anche se questa condizione di completa insufficienza surrenalica, chiamata morbo di Addison, esiste, è piuttosto rara. Esiste una forma leggermente meno grave di grave disfunzione surrenale chiamata insufficienza surrenalica, che è anche una diagnosi ufficiale; ma anche questa è solo la versione estrema e anche piuttosto rara. Basta guardare i sintomi dell’affaticamento surrenale, dell’insufficienza surrenalica e della malattia di Addison per sapere che queste sono condizioni su un continuum di gravità poiché i sintomi sono identici, solo più gravi nella malattia successiva. Poiché l’affaticamento surrenale non esiste agli occhi della medicina convenzionale, non verrà perseguito, né tanto meno affrontato. Ciò che faranno, tuttavia, è valutare e diagnosticare i sintomi dell’affaticamento surrenale come condizioni in sé e per sé e cercare di affrontarli individualmente senza attenzione a una possibile causa sottostante comune. Quando viene trattato il sistema di risposta iperattiva allo stress, il sistema immunitario diventa più forte e assiste i pazienti alle prese con i vari sintomi del COVID lungo. Il trattamento dell’affaticamento surrenale richiede tempo e un approccio clinicamente testato. Il mio programma di trattamento cura la causa principale dei sintomi, compresi quelli persistenti dovuti alla debolezza immunitaria e al Long COVID.

Fonte: Dr. Andrew Neville
https://drandrewneville.com/category/all-articles/symptoms/

7 principali sintomi di affaticamento surrenale nelle donne

https://drandrewneville.com/7-major-symptoms-of-adrenal-fatigue-in-women/

14 Gennaio 2023

La maggior parte delle persone sa che la stanchezza e i dolori cronici fanno parte dell’affaticamento surrenale. Ciò che la maggior parte non sa è che è anche collegato a disturbi digestivi, disfunzioni immunitarie e altro ancora. Alcuni di questi potrebbero sorprenderti.

Contenuto dell’articolo

  1. Perché l’affaticamento surrenale nelle donne è così diffuso
  2. Come tanti sintomi cronici sono collegati all’affaticamento surrenale
  3. N. 1 Ansia (“cablato” ma stanco)
  4. # 2 Insonnia e risvegli frequenti
  5. #3 Affaticamento cronico (il sintomo caratteristico dell’affaticamento surrenale)
  6. #4 Dolore generalizzato o fibromialgia
  7. #5 Debolezza immunitaria o virus ricorrenti (EBV, Long COVID, Lyme)
  8. #6 Depressione
  9. #7 Disturbi digestivi (IBS e permeabilità intestinale)
  10. Non aspettare per curare i sintomi dell’affaticamento surrenale
  11. La guarigione dalla radice di questi sintomi inizia qui

11.1 Continua a imparare

Perché l’affaticamento surrenale nelle donne è così diffuso

I problemi di salute cronici non trattati possono farti sentire esausto, frustrato e come qualcuno che non riconosci più. Sfortunatamente, è fin troppo comune che i pazienti, soprattutto le donne, vengano fraintesi e maltrattati dai medici. Questo può andare avanti per anni prima che le donne trovino un reale aiuto per i sintomi dell’affaticamento surrenale. La ricerca ha dimostrato che le preoccupazioni per la salute delle donne vengono regolarmente ignorate dai medici. In effetti, molti studi come questo mostrano che le donne che soffrono di dolore possono essere percepite da medici e infermieri come “isteriche, emotive, lamentose, che non vogliono guarire, finte e che inventano il dolore”, come se fosse tutto nelle sue mani. Testa. Altri studi hanno dimostrato che alle donne con dolore cronico vengono assegnate cause psicologiche piuttosto che fisiche per il loro dolore. Naturalmente, se soffri di una malattia cronica, questo può portare ad anni di ricerca di cure adeguate senza ottenere risposte. Finisci per vedere il tuo tempo sprecare, i tuoi sintomi peggiorano e le tue relazioni soffrono.

Come tanti sintomi cronici sono collegati all’affaticamento surrenale

L’affaticamento surrenale non è una diagnosi o una malattia. Si tratta di una disfunzione dell’intero sistema di risposta allo stress e ogni persona che ne è affetta ha un “quadro sintomatologico” molto simile. Sfortunatamente, ciascuno dei sintomi viene spesso erroneamente attribuito a un’altra malattia o condizione.

Uno dei maggiori ostacoli nel trovare il giusto team di assistenza è che i medici tendono a trattare solo in modo sintomatico. Spesso non guardano la persona e i suoi sintomi in modo olistico. Quando i medici sono impegnati a concentrarsi su un sintomo alla volta, non si ottiene alcun progresso di guarigione vero e duraturo.

Ad esempio, se soffri di ansia, riceverai una sceneggiatura per un farmaco anti-ansia. E se hai anche l’IBS, ti rimanderanno a casa con un trattamento farmaceutico o OTC gastrointestinale. Ma non stanno considerando che potrebbe esserci la stessa causa principale per entrambi!

L’affaticamento surrenale è un gruppo comune di sintomi e deve essere trattato come tale. Sì, potresti soffrire di ansia, sindrome dell’intestino irritabile, insonnia e disturbi della tiroide. E sì, possono tutti avere una causa principale.

Ho visto migliaia di pazienti negli ultimi 20+ anni. Mi sono impegnato nella ricerca di ogni aspetto della risposta allo stress, della stanchezza cronica e della miriade di sintomi associati a questa condizione.

Anche se so che non esistono due pazienti con affaticamento surrenale esattamente uguali, tutti condividono 4 o più di questi 7 sintomi principali.

N. 1 Ansia (“cablato” ma stanco)

Gran parte dei miei pazienti non solo sono stanchi, ma sono anche “cablati”. Questo tipo di ansia è uno dei principali sintomi dell’affaticamento surrenale. Quando parliamo di sentirsi “cablati”, intendo sentirsi ipervigilanti, adrenalinici, bloccati in una lotta o fuga o sopraffatti perché l’ansia può far sembrare tutto molto più difficile da fare. Questo stato “cablato” è molto comune se si ha una disfunzione della risposta allo stress, nota anche come affaticamento surrenale. È anche lo stato più spiacevole e debilitante associato a questa condizione, poiché causa ansia, tremori e tremori, pensieri frenetici e ruminanti, preoccupazione e paura. Essere cablati o ansiosi non è solo psicologico; gran parte di esso è fisico, biochimico e neurologico. Questa sensazione cablata è un segno che la tua risposta allo stress è attiva, molto probabilmente iperattiva. Essere cablati ti mantiene ipervigile e ancora più incline allo stress. Significa che il tuo corpo sta pompando ormoni dello stress, come il cortisolo e l’adrenalina. Sono questi ormoni che si diffondono in tutto il corpo e causano tutti i danni associati all’affaticamento surrenale, in particolare questa sensazione di stanchezza ma nervosa.

# 2 Insonnia e risvegli frequenti

Colpisci il cuscino ogni notte e semplicemente non riesci a far rallentare il tuo cervello e lasciarti addormentare. O forse addormentarsi va bene, ma di solito ti svegli ogni notte solo poche ore dopo e ti ritrovi a letto completamente sveglio, esausto e frustrato. Queste notti si trasformano in settimane, mesi e forse anche anni di sonno agitato e interrotto. Lo stress cronico interrompe i ritmi di sonno salutari e impedisce al corpo di “guarire e riparare”. Il sonno è essenziale per il benessere, la guarigione e la riparazione. I meccanismi che controllano il nostro sonno sono complessi. Tutti questi eventi intricati che devono verificarsi per riuscire a chiudere gli occhi sono interrotti dallo stress cronico. Soprattutto in combinazione con altri sintomi di affaticamento surrenale, questi disturbi del sonno possono diventare completamente logoranti e provocanti ansia. La mancanza di un sonno di qualità ti impedisce di vivere la tua vita normale. Il paradosso di questa condizione è che i disturbi del sonno si verificano a causa dell’affaticamento surrenale e l’affaticamento surrenale è peggiorato dai disturbi del sonno. Senza la necessaria guarigione e riparazione che avviene mentre dormiamo, è difficile interrompere questo ciclo dannoso… ma è possibile!

Il tuo corpo ti sta dicendo che l’affaticamento surrenale ha preso il sopravvento.
https://drandrewneville.com/7-major-symptoms-of-adrenal-fatigue-in-women/

#3 Affaticamento cronico (il sintomo caratteristico dell’affaticamento surrenale)

Quando sei più che “semplicemente stanco”, ciò influisce su ogni area della tua vita. Manchi alla tua famiglia. Forse il tuo coniuge non capisce dove è andato il suo partner. La tua carriera ne risente. E la tua casa è più difficile da mantenere ordinata e pulita. A volte anche prendersi cura di sé sembra impossibile. L’affaticamento nei pazienti con affaticamento surrenale è più che “semplice stanchezza”. Forse hai ricevuto qualche consiglio “utile”: fai semplicemente un po’ di esercizio, mangia un po’ di carne rossa o vai da un terapista. Questi commenti sfortunati e ignoranti provengono da persone, spesso ben intenzionate, che semplicemente non capiscono. Non è una scelta. Non puoi spingerti oltre fisicamente o mentalmente. Per la maggior parte di noi, la stanchezza è una condizione difficile da quantificare e descrivere. Siamo stati tutti “stanchi” prima; ma riposiamo, recuperiamo il sonno, ci prendiamo più cura di noi stessi e ci riprendiamo. Quando hai affaticamento surrenale, non è così. Non c’è rimbalzo. Il tuo corpo è stato spinto troppo forte per troppo tempo e ti sta dicendo che non può più funzionare in questo modo.

# 4 Dolore generalizzato o fibromialgia

Se sei andato dal tuo medico lamentando dolori diffusi in tutto il corpo, probabilmente hanno cercato di escludere diverse cause ben note. Hanno eliminato dall’elenco delle diagnosi condizioni come l’artrite, l’osteoartrosi, l’artrite reumatoide e lo stiramento muscolare. Se queste cause vengono escluse, il medico potrebbe dirti che si tratta solo dei dolori e dei dolori dell’invecchiamento. Ti dicono che dovrai prendere alcuni FANS quando va male. Potrebbero anche averti diagnosticato la fibromialgia, soprattutto se sei anche stanco. La fibromialgia è il gergo medico per il dolore cronico transitorio di causa sconosciuta senza alcun trattamento efficace noto. Ti assicuro che c’è una causa per i dolori e i dolori fisici che provi sempre. L’affaticamento surrenale provoca infiammazione. L’infiammazione provoca dolore. L’infiammazione cronica agisce anche come ulteriore stress biochimico, che perpetua la disfunzione dell’intero corpo e lo induce a percepire eccessivamente il suo ambiente. Questa si chiama “sensibilizzazione centrale”. La sensibilizzazione centrale è il fenomeno di un sistema nervoso sovraregolato e di un sistema limbico dal grilletto facile. Fa sì che il corpo sia sempre in allerta. Questo è più facile da osservare nei nervi sensoriali. Questa sovrapercezione crea ipersensibilità al tatto e alle sensazioni fisiche: fibromialgia o dolore cronico, transitorio, diffuso in tutto il corpo. Una volta guarite l’affaticamento surrenale e la disfunzione della risposta allo stress, il dolore cronico si dissipa.

#5 Debolezza immunitaria o virus ricorrenti (EBV, Long COVID, Lyme)

Molti di noi sanno intrinsecamente che lo stress indebolisce il sistema immunitario. Attraversiamo un periodo stressante e ci ammaliamo o ci viene il mal di freddo. La ragione di ciò è che, sebbene gli ormoni dello stress aiutino la nostra fisiologia a essere all’altezza dell’occasione per affrontare qualunque situazione stressante si presenti, lo fanno a un costo. L’eccesso di ormoni dello stress, cortisolo e adrenalina, causano un cambiamento immunologico prevedibile nel corpo. Questo cambiamento indebolisce un lato del sistema immunitario lasciando un altro lato iperattivo.

Un sistema immunitario indebolito spesso consente la recidiva di virus come Epstein-Barr e Lyme cronico. L’immunità compromessa è dovuta all’affaticamento surrenale e alla disfunzione della risposta allo stress.

Il lato indebolito del sistema immunitario è quello che combatte le infezioni. Questo è il motivo per cui molti pazienti che soffrono di affaticamento surrenale prenderanno ogni raffreddore o virus che si presenta. Possono anche avere problemi con virus che possono riattivarsi, come Long Covid, Lyme cronico ed Epstein Barr. La parte del sistema immunitario che viene iperattivata è quella che crea anticorpi. Quando ciò accade, i pazienti svilupperanno reazioni allergiche all’ambiente e al cibo. La chiave per liberarsi da infezioni croniche, allergie e persino malattie autoimmuni è, ovviamente, sostenere ed equilibrare il sistema immunitario. Ma è più efficace e più duraturo trattare l’affaticamento surrenale, la causa sottostante. In questo modo il sistema immunitario torna in equilibrio da solo.

#6 Depressione

I miei pazienti con affaticamento surrenale vengono comunemente liquidati come affetti da depressione. Questo mito deriva dal fatto che la maggior parte dei medici ben intenzionati non trovano alcuna anomalia biologica (sebbene esista) per i vari sintomi che i miei pazienti presentano. Il passo logico successivo, anche se impreciso, per questi medici è presumere e spesso dire al paziente “è tutto nella tua testa” e scrivere una prescrizione per un antidepressivo.

L’eccesso di cortisolo prodotto dalla disfunzione della risposta allo stress finisce per entrare nel cervello e può influenzare i neurotrasmettitori, come la serotonina, la dopamina o il gaba. Mette a dura prova questi neurotrasmettitori e provoca i sintomi della depressione. La depressione è secondaria all’affaticamento surrenale.

Devo costantemente rassicurare i miei pazienti con affaticamento surrenale: “Non è tutto nella tua testa”.

Questo non vuol dire che i miei pazienti non soffrano periodicamente di depressione. Onestamente, inizierei a preoccuparmi per la loro salute mentale se non lo facessero. Un modo per capire se si tratta di depressione clinica o depressione secondaria? Chiediti: “Cosa farei se mi sentissi meglio?” Molto spesso, i pazienti clinicamente depressi non hanno risposta né interesse. D’altra parte, se la depressione è secondaria rispetto ad altri fattori, la risposta è solitamente un lungo elenco di cose che amavi della vita.

#7 Disturbi digestivi (IBS e permeabilità intestinale)

Molti di noi sanno già che lo stress porta a disturbi gastrointestinali. Ma non tutti pensano alla correlazione fisiologica tra la risposta allo stress e il processo digestivo. Lo stress cronico è dannoso per l’intero processo gastrointestinale. Porta a qualcosa di più di una semplice indigestione in una brutta giornata.

La sindrome dell’intestino irritabile e la permeabilità intestinale spesso ci tengono esclusi da situazioni o attività sociali che durano più di un’ora. L’affaticamento surrenale è al centro di questi problemi disfunzionali del sistema digestivo.

La digestione, quando funziona correttamente, è un processo ben orchestrato che coinvolge il sistema nervoso, gli enzimi digestivi e l’acido dello stomaco. Ma se siamo costantemente in risposta allo stress, come nel caso dell’affaticamento surrenale, il sistema limbico del cervello dice al sistema digestivo di spegnersi. Tutte le risorse e l’energia del corpo sono necessarie per combattere qualunque sia lo stress. (Dopo tutto, se sei sotto attacco, sederti per un pasto o andare di corpo non sono le attività ideali.) Se soffri costantemente di stress cronico proveniente da ogni parte, il tuo corpo inizia a pensare che ci siano minacce in agguato dietro ogni angolo. Se percepisce tutto come una minaccia, allora, per impostazione predefinita, sopprimerà continuamente la tua funzione digestiva in modo da poter affrontare tutti quei pericoli. Questa digestione cronicamente soppressa è ciò che porta a IBS, permeabilità intestinale, reflusso acido, diarrea, costipazione (stitichezza) e disbiosi.

Non aspettare per curare i sintomi dell’affaticamento surrenale

Man mano che questi sintomi si manifestano e peggiorano, aumenta l’esaurimento cronico associato all’affaticamento surrenale. Anche le attività più semplici, come salire le scale, piegare la biancheria, andare a fare la spesa, possono lasciarti occupato per il resto della giornata. Ti guidi con caffeina (o zucchero), ma sperimenti solo un breve aumento di energia prima dell’inevitabile crollo. Nemmeno una “disintossicazione” o gli ormoni artificiali da soli risolveranno le cose. Si tratta solo di prodotti ben commercializzati e adatti a tutti, volti ad alleviare temporaneamente i sintomi. Nessuno di questi risolverà la causa principale della tua stanchezza, depressione, insonnia o debolezza immunitaria. I sintomi dell’affaticamento surrenale possono avere un impatto catastrofico sulla qualità della vita. Inoltre spesso vengono ignorati o maltrattati dai medici per anni. Perché? Nella facoltà di medicina, il conglomerato di questi sintomi non è considerato una condizione a sé stante.

La guarigione dalla radice di questi sintomi inizia qui

Riparare l’intero sistema di risposta allo stress, non solo le ghiandole surrenali disfunzionali, guarisce la causa principale di questi sintomi. Dobbiamo bilanciare gli ormoni dell’asse HPA, curare il sistema nervoso autonomo (ANS) e calmare il sistema limbico del cervello. Lo faccio utilizzando il mio approccio “trilaterale” alla guarigione dell’affaticamento surrenale.

https://drandrewneville.com/how-to-heal-adrenal-fatigue-using-my-trilateral-treatment-method/

Fonte: Dr. Andrew Neville

L’affaticamento surrenale provoca la nebbia del cervello ma è assolutamente reversibile

https://drandrewneville.com/brain-fog-brain-damage-and-adrenal-fatigue/

2 Febbraio 2023

La confusione mentale è uno dei sintomi più comuni, frustranti e spaventosi che accompagnano l’affaticamento surrenale. Chiamarla semplicemente “nebbia cerebrale” diminuisce notevolmente gli effetti debilitanti che la disfunzione cognitiva crea nella tua vita.

Contenuto dell’articolo

  1. La nebbia cerebrale dovrebbe far scattare i nostri allarmi sanitari?
  2. Gli effetti debilitanti della nebbia cerebrale
  3. Quali sono le cause della nebbia cerebrale
  4. Come invertire la nebbia del cervello
  5. 4.1 Continua a imparare

Con l’avanzare dell’età, è diventato un luogo comune accettare che la nostra funzione cognitiva diminuisca e che la nostra memoria non sia più acuta come una volta. Alcune parole dimenticate qua e là possono farci ridere del prezzo che paghiamo per l’invecchiamento, ma la perdita di memoria e il declino delle capacità cognitive non dovrebbero essere sempre accettati come normali. In effetti, potrebbero essere riconosciuti come allarmi. Con l’aumento dell’uso delle statine, i sintomi simili all’Alzheimer sono aumentati nei gruppi di età più giovani. Questa può essere una delle ragioni del declino cognitivo. Ma ciò che spesso non si capisce è che gli effetti dello stress cronico nel tempo portano a danni cerebrali, che possono essere erroneamente spiegati come “nebbia” cerebrale.

La nebbia cerebrale dovrebbe far scattare i nostri allarmi sanitari?

Beh… sì e no. Penso che possiamo essere d’accordo sul fatto che non c’è carenza di stress nelle nostre vite. Stiamo vedendo il termine “nebbia cerebrale” essere utilizzato più ampiamente e questi sintomi colpiscono più di noi che mai. Non c’è dubbio che la confusione mentale, la perdita di memoria e il declino cognitivo possano rendere più impegnative le semplici attività quotidiane. Da un punto di vista naturopatico, questi sintomi sono l’allarme che dice: “C’è un problema più profondo che deve essere affrontato”.

Gli effetti debilitanti della nebbia cerebrale

La confusione mentale è uno dei sintomi più comuni, frustranti e spaventosi che accompagnano l’affaticamento surrenale. Chiamarla semplicemente “nebbia cerebrale” diminuisce notevolmente gli effetti debilitanti che la disfunzione cognitiva crea nella tua vita. Il sintomo che chiamiamo “nebbia cerebrale” incorpora in realtà numerosi deficit cognitivi. Questi includono scarsa memoria di lavoro, apprendimento e richiamo. Provoca anche perdita di memoria a breve termine, diminuzione delle funzioni esecutive e pensiero disorganizzato. Se soffri di confusione mentale, potresti anche notare una mancanza di concentrazione, scarsa attenzione, umore basso e incapacità di fare più cose contemporaneamente.

Quali sono le cause della nebbia cerebrale

1) È ben documentato che gli ormoni dello stress creano stress ossidativo nel corpo, compreso il cervello. Puoi pensare allo stress ossidativo come al fatto che il corpo ha pochi “radicali liberi”, come i flipper in un flipper. I radicali liberi sono nel sangue e vanno ovunque nel corpo. Rimbalzano e danneggiano qualsiasi struttura colpiscano: cellule, tessuti, nervi, tessuto cerebrale, mitocondri, ecc.

2) C’è un cambiamento significativo nei neurotrasmettitori che si verifica anche con l’eccesso di ormone dello stress, che porta a sintomi di confusione mentale.

3) Si verificano anche cambiamenti nel modello neurale e il corpo si concentra sulla sopravvivenza piuttosto che sulla memoria.

4) Un volume sanguigno inferiore e problemi di pressione sanguigna significano semplicemente che c’è meno sangue da raggiungere al cervello. È come se l’ascensore non riuscisse ad arrivare all’ultimo piano!

5) Infine, si registra una diminuzione complessiva dell’approvvigionamento energetico. Poiché il cervello richiede circa il 25% della tua indennità giornaliera di energia, non c’è abbastanza carburante per andare in giro.

Come invertire la nebbia del cervello

I nootropi (sostanzialmente cibo per la mente) sono stati pubblicizzati come la soluzione per invertire la nebbia cerebrale. Ho sperimentato diligentemente l’uso dei nootropi insieme ai miei programmi di guarigione. Ho riscontrato che non hanno avuto successo e sono incoerenti come soluzione a lungo termine nella mia popolazione di pazienti. I miei pazienti guariscono efficacemente prendendo di mira il sistema di risposta allo stress nel suo insieme. Ogni piano di trattamento appare leggermente diverso, a seconda delle esigenze specifiche del paziente; ma il mio trattamento aiuta a ridurre al minimo lo stress aggiuntivo sulle ghiandole surrenali, a ricablare il sistema limbico e a bilanciare gli ormoni. Il mio approccio trilaterale arresta i danni cerebrali e riporta il corpo all’omeostasi per ripristinare la funzione cognitiva. Quanto prima disattiviamo l’allarme dei sintomi, tanto minore sarà il danno complessivo.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Sì, il virus Epstein-Barr può rimanere dormiente per tutta la vita

https://drandrewneville.com/epstein-barr-virus-ebv-and-adrenal-fatigue/

12 Febbraio 2023

L’affaticamento e il dolore generalizzato derivanti da ogni recidiva di EBV possono essere inesorabili. Rafforzare la tua immunità curando l’affaticamento surrenale può tenere a bada queste riacutizzazioni.

Contenuto dell’articolo

  1. Quando le riacutizzazioni dell’EBV diventano croniche, è il risultato di una condizione sottostante
  2. Virus Epstein-Barr (la maggior parte di noi ce l’ha)
  3. Chi è a rischio di riacutizzazioni croniche di EBV?
  4. Il legame tra Epstein-Barr cronica e affaticamento surrenale
  5. L’EBV può essere “curato?”
  6. Eliminazione della recidiva del virus Epstein-Barr
    • 6.1 Continua a imparare

Il virus Epstein-Barr (EBV) è una delle malattie più frustranti e onnipresenti con cui abbiamo a che fare oggi. Per molti dei miei pazienti, le riacutizzazioni croniche dell’EBV li hanno afflitti per decenni. I sintomi gravi e familiari del virus Epstein-Barr compaiono in momenti di stress emotivo, psicologico o fisico. Lo stress cumulativo può anche durare così a lungo che anche uno scontro o una discussione con tua sorella è semplicemente l’ultima goccia. Sicuramente, verranno fuori i gravi sintomi simil-influenzali che temiamo. Chiunque soffra di una recidiva cronica di EBV sa quanto è difficile tremare e quanto velocemente prende il sopravvento sulla vita quotidiana. La fatica e il dolore in tutto il corpo possono essere implacabili.

Quando le riacutizzazioni dell’EBV diventano croniche, è il risultato di una condizione sottostante

Durante la prima consultazione con me, molti dei miei pazienti mi parlano del loro risultato positivo al test EBV. Molte volte ricevono la diagnosi da un medico. Hanno sentito da medici o articoli su Internet che il loro virus è la causa principale di tutti i loro sintomi.

With a strong, functional immune system, Epstein-Barr can remain dormant for life.

While this convenient idea of one germ, one disease, and one drug for easy treatment sounds wonderful and simple, it is truly wishful thinking. If we chase after these viruses alone, we’ll be chasing them forever.

I have seen this play out in many hundreds of patients that have come through my clinic. Their stories are all similar: “The doctor diagnosed me with EBV and treated me with antivirals. I felt a little better for a while, but then I ‘caught’ it again the next month!” The patient never makes any permanent progress. 

 Scopri il programma di trattamento dell’affaticamento surrenale del dottor Neville. I pazienti con affaticamento surrenale meritano le migliori cure per riprendersi la vita. Scopri come il Dr. Neville e il suo team di esperti possono aiutarti a superare definitivamente i sintomi debilitanti dell’affaticamento surrenale.

La ragione è semplice: le riacutizzazioni dell’EBV sono il risultato di una debolezza immunitaria sottostante. Un sistema immunitario indebolito è causato dall’affaticamento surrenale (una disfunzione della risposta allo stress). Trattare l’affaticamento surrenale è ciò che apre la strada alla salute immunitaria. Con un sistema immunitario forte e funzionale, Epstein-Barr può rimanere dormiente per tutta la vita.

Virus Epstein-Barr (la maggior parte di noi ce l’ha)

EBV is in the Herpes family of viruses. There are 9 Herpes viruses known to infect humans. Some are known by name, some by number. Human Herpes Virus HHV-1, for instance, is the common cold-sore-causing virus. Epstein-Barr is a virus in the family line HHV-4.

All Herpes viruses have one thing in common: they infect most people in the US, either in childhood or our teenage years. Once infection occurs, these viruses live dormant within the body forever. We are never actually “free” from these viruses.

EBV will most likely reactivate if you are immunologically suppressed.

EBV has an infection rate of approximately 95% of the country. That’s right! Ninety-five percent of us will test positive for having once been infected with EBV. Many us will test positive for having a “past” infection, meaning we once had the virus, our body fought it off, and it is now dormant.

Who’s at Risk for Chronic EBV Flare-Ups?

L’EBV provoca reazioni diverse in persone diverse. Per molti, il corpo lo combatte senza alcun sintomo. Per altri di noi, causerà una lieve infezione di tipo respiratorio superiore che andrà e verrà; potremmo non sapere nemmeno di essere stati esposti al virus. In un terzo di noi, tuttavia, l’EBV causerà i tipici sintomi mono-simili che possono essere gravi e debilitanti. Di queste persone, molto probabilmente l’EBV si riattiverà quando saranno immunologicamente soppresse. Durante questi periodi, la persona svilupperà il “modello” dei sintomi dell’EBV, che si tratti di estrema stanchezza o di “mononucleosi” più grave con sintomi simil-influenzali di lunga durata. La continua riattivazione dell’EBV con estrema stanchezza e altri sintomi è il modo in cui il corpo ci dice che c’è qualcosa che sta succedendo alla radice, e questa è l’affaticamento surrenale.

La riattivazione dell’EBV può causare un affaticamento estremo per mesi. Molte persone contraggono la mononucleosi o l’EBV, ma la maggior parte delle persone non è malata cronica a causa di essa. Questo perché un corpo sano può mantenere il virus dormiente e privo di sintomi. Dopo che una persona viene infettata dall’EBV, il virus diventa dormiente nel corpo. In alcuni di noi è probabile che il virus possa riattivarsi, magari con sintomi simili a quelli sperimentati durante un forte raffreddore. Per quelli con un sistema immunitario indebolito, tuttavia, i sintomi sono più gravi e la stanchezza che li accompagna può durare mesi.

The Link Between Chronic Epstein-Barr and Adrenal Fatigue

L’affaticamento surrenale è il risultato di uno stress cronico e perpetuo nel tempo, grave o prolungato abbastanza da sopraffare la capacità di sopportare quello stress. Mi riferisco alla capacità di stress come a un “secchio” di tolleranza. Man mano che il secchio si riempie, il corpo passa alla fisiologia dello stress “lotta o fuga” e si allontana dalla fisiologia del “riposo e digestione”. Questo cambiamento attiva gli organi di risposta allo stress e disattiva gli organi di guarigione e riparazione (la funzione “riposa e digerisci”). Il sistema immunitario è uno dei principali sistemi di riposo e digestione, insieme al sistema digestivo, riproduttivo e alla tiroide. L’eccesso di ormoni dello stress causa immunosoppressione. L’immunosoppressione che si verifica a causa del rilascio di ormoni dello stress in eccesso – cortisolo e adrenalina – è molto ben documentata, studiata e prevedibile. Molto probabilmente l’EBV si riattiverà se sei immunologicamente soppresso.

L’EBV può essere “curato?”

Non esiste una “cura” per l’EBV. Una volta che lo hai, è con te per tutta la vita. Ma puoi impedirgli di riattivarsi. Quando l’affaticamento surrenale viene adeguatamente valutato e trattato, il virus Epstein-Barr può essere dormiente e innocuo nel corpo. La maggior parte dei miei pazienti con affaticamento surrenale presentano sintomi immunologici e infezioni da EBV attuali o passate. In questi pazienti, mi concentro sulla guarigione del sistema che porta all’immunosoppressione. Senza affrontare e curare la condizione sottostante dell’affaticamento surrenale, tentare di trattare solo la riattivazione del virus Epstein-Barr o di altri virus è uno spreco di tempo, denaro ed energia.

Eliminazione della recidiva del virus Epstein-Barr

Un sistema immunitario forte e funzionale può impedire ai virus di riattivarsi più e più volte. Sicuramente manterrà i sintomi al minimo qualora la riattivazione avvenisse durante periodi di maggiore stress. Realizzare che esiste una vita fuori dall’ombra di queste recidive croniche può essere un punto di svolta per chiunque ne soffra da mesi. . . molto probabilmente anni. Dopo due decenni di pratica lavorando solo con pazienti con affaticamento surrenale, ho scoperto che l’unico modo per guarire da questa condizione frustrante e ostinata – e per far sì che l’EBV rimanga dormiente – è attraverso il mio approccio “trilaterale” alla guarigione.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Cos’è l’affaticamento surrenale

https://drandrewneville.com/what-is-adrenal-fatigue/

4 Marzo 2023

L’affaticamento surrenale permea la società. Colpisce la maggior parte di noi ad un certo punto della nostra vita, anche se solo temporaneamente. Sapere come si manifesta può aiutarti a evitare di essere vittima dei suoi sintomi.

Contenuto dell’articolo

  1. L’affaticamento surrenale è la causa alla base della maggior parte delle malattie
  2. I sintomi più comuni dell’affaticamento surrenale
  3. 2.1 Principali sintomi di affaticamento surrenale
  4. 2.2 Malattie secondarie attribuite all’affaticamento surrenale
  5. 2.3 Segni distintivi della disfunzione del sistema di risposta allo stress
  6. 3. La fisiologia dell’affaticamento surrenale
  7. 4. La maggior parte di noi soffrirà di affaticamento surrenale nel corso della vita
  8. 5. Miti sull’affaticamento surrenale
  9. 5.1 Mito n. 1 Non esiste la “stanchezza surrenale”.
  10. 5.2 Mito n. 2 Non esiste un trattamento efficace noto per l’affaticamento surrenale.
  11. 5.3 Mito n. 3 L’affaticamento surrenale è una condizione permanente.
  12. 5.4 Continua a imparare

L’affaticamento surrenale è la causa alla base della maggior parte delle malattie

L’affaticamento surrenale provoca, contribuisce ed è associato a quasi tutte le principali malattie oggi. È un’affermazione audace, lo so. Innanzitutto, è importante capire che l’“affaticamento surrenale” coinvolge molto di più delle ghiandole surrenali e dell’affaticamento, perché questa condizione è veramente una completa disfunzione del sistema di risposta allo stress (SRD). Quando disfunzionale, il sistema di risposta allo stress è alla radice di un’ampia gamma di malattie e disturbi. Piuttosto che trattare in modo irresponsabile e scorretto queste malattie e disturbi come sintomi in sé e per sé, dovrebbero essere usati come indicatori di una disfunzione più profonda.

Cos’è esattamente l’affaticamento surrenale? Dal dottor Andrew Neville

I sintomi più comuni dell’affaticamento surrenale

Dal cancro e dal diabete alle allergie e alle malattie cardiovascolari, i nostri ormoni dello stress hanno effetti pervasivi sul corpo che sono morbosamente dannosi se lasciati incontrollati. La disfunzione da risposta allo stress è alla radice di un’ampia gamma di malattie.

Principali sintomi di affaticamento surrenale

  • Insonnia e risvegli frequenti
  • Depressione
  • Ansia o sensazione di “carico e stanco”
  • Fatica cronica
  • Dolore generalizzato e fibromialgia

Malattie secondarie attribuite all’affaticamento surrenale

  • IBS o sindrome dell’intestino permeabile
  • Ipotiroidismo
  • Debolezza immunitaria e malattie
  • frequenti infezioni virali ricorrenti come l’EBV

Segni distintivi della disfunzione del sistema di risposta allo stress

  • Bassa pressione sanguigna e vertigini
  • Nebbia cerebrale e declino delle funzioni cognitive
  • Aumento di peso (o perdita di peso inaspettata)
  • Febbre persistente di basso grado
  • Raffreddori e mal di gola frequenti.

La medicina moderna è eccezionale per la cura dei traumi e la chirurgia. Tuttavia, non è in grado di trattare la causa alla base di questi sintomi.

La fisiologia dell’affaticamento surrenale

(Abbi pazienza con un po’ di questioni scientifiche. Sarò veloce!) Per comprendere questa condizione, dobbiamo prima comprendere il ruolo del sistema di risposta allo stress, che comprende le ghiandole surrenali. Il sistema di risposta allo stress comprende l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA), il sistema nervoso autonomo (ANS) e altri centri cerebrali superiori.

Questo sistema risponde allo stress e ha due bracci: il braccio simpatico, chiamato anche “lotta o fuga”, e il braccio parasimpatico, o braccio “riposa e digerisci”. Mi riferisco a questo equilibrio (o squilibrio) come all’altalena della fisiologia del corpo. La medicina allopatica non è in grado di trattare la causa alla base della malattia. Il processo di lotta o fuga è cruciale e salva la vita nelle giuste circostanze. Se non avessimo questi istinti e non fossimo così efficienti nell’utilizzare la risposta allo stress, gli esseri umani non sarebbero qui oggi. Ma nella società moderna attiviamo questa risposta troppo spesso e per troppo tempo. Naturalmente non stiamo più scappando dai leoni; invece combattiamo continuamente piccoli e grandi fattori di stress. Qualsiasi cosa, dal traffico alla perdita di una persona cara, è un fattore di stress. Anche le tossine, la tecnologia, l’economia, il sovraccarico di informazioni, la pianificazione eccessiva, la nostra famiglia e i colleghi, lo studio, la preoccupazione, la depressione e la paura sono tutti elementi ai primi posti. L’attivazione cronica e perpetua di questo sistema di lotta o fuga porta alla sovrapproduzione di ormoni dello stress, e questo crea un modello di sovraregolazione, diminuzione della tolleranza allo stress e forse all’esaurimento dell’intero sistema di risposta allo stress, noto anche come affaticamento surrenale.

La maggior parte di noi soffrirà di affaticamento surrenale nel corso della vita

L’affaticamento surrenale e la disfunzione da risposta allo stress permeano la società e colpiscono la maggior parte di noi ad un certo punto della nostra vita, anche se solo temporaneamente. Le persone sviluppano affaticamento surrenale a causa di una combinazione di predisposizione genetica e stress nel tempo. Un approccio multidisciplinare e multifattoriale alla guarigione aiuta le persone a riprendersi la vita dall’affaticamento surrenale. Alcune persone hanno un’enorme capacità genetica di sopportare lo stress. Queste tendono ad essere le persone che, novantenni, continuano a fumare e bere in buona salute. Eviteranno per la maggior parte l’affaticamento surrenale, a meno che non soffrano di quantità significative di traumi, tragedie o stress cronico perpetuo, sufficienti a sopraffare anche le loro grandi capacità. L’altro estremo sono quelli che sono nati con un sistema di risposta allo stress molto debole, o “surrenali deboli”. Hanno una bassa capacità di stress e lo hanno fin dalla nascita. La maggior parte di noi si trova nel mezzo, perché abbiamo una debolezza genetica e uno stress cronico. La combinazione contribuisce al collasso del sistema di risposta allo stress e, alla fine, questa disfunzione causa una moltitudine di sintomi che vanno dal fastidioso al debilitante.

Miti sull’affaticamento surrenale

Voglio sfatare alcuni miti basilari sull’affaticamento surrenale e sulla disfunzione da risposta allo stress (SRD) che danneggiano le persone ogni giorno. Vedo continuamente queste falsità là fuori e mi sconvolge perché portano le persone a un’inutile disperazione.

Mito n. 1 Non esiste la “stanchezza surrenale”

Studiamo questa condizione da oltre 40 anni e scrivevamo dei suoi sintomi prima ancora che avesse il suo nome. È molto reale. Chiedi a chiunque l’abbia avuto e ne sia guarito. Sebbene sia vero che non troverai un codice medico ICD-9 per l’affaticamento surrenale, esiste come condizione. Poiché la medicina convenzionale si concentra sul trattamento solo dei sintomi, nessuno sembra essere d’accordo su come chiamare o fare il gruppo comune di sintomi dell’affaticamento surrenale nel suo insieme. Quindi, quando leggi che l’affaticamento surrenale “non è reale”, pensa alle centinaia di migliaia di pazienti che sono guariti più o meno dallo stesso insieme di sintomi utilizzando lo stesso protocollo comprovato.

Mito n. 2 Non esiste un trattamento efficace noto per l’affaticamento surrenale

This is an absolute untruth as well. If you know the cause, you can work on a treatment. 

Mainstream medicine isn’t looking for root causes. They are looking to mask symptoms using band-aid solutions, such as analgesics, hormone replacement, and (often unnecessary) surgery.

Since conventional medicine doesn’t understand or believe in the condition as a whole—or the cause of the condition—then of course they’re not looking for a treatment for the condition. 

Adrenal Fatigue, simply put, is a conglomeration of symptoms. Fatigue, body-wide pain, insomnia, depression and anxiety are some of the most common. Reproductive and thyroid hormone disorders, digestive dysfunction, and immune weakness are often present, too. 

It is sometimes a tricky condition to treat, but with a holistic, multidisciplinary, and multifactorial approach, people get their lives back. 

Mito n. 3 L’affaticamento surrenale è una condizione permanente

L’affaticamento surrenale non deve essere un problema permanente. Le persone migliorano. È questione di conoscere il proprio corpo, i suoi limiti e gestire la propria salute entro tali parametri.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Affaticamento surrenale e aumento di peso

https://drandrewneville.com/weight-gain-adrenal-fatigue/

9 Aprile 2023

L’aumento di peso non dipende solo da ciò che mangi. Riguarda anche lo stress in eccesso e il cortisolo. Curare l’affaticamento surrenale aiuterà a bilanciare il metabolismo e la produzione di cortisolo, e il tuo corpo troverà il suo peso sano da solo.

Contenuto dell’articolo

  1. Guai all’aumento di peso da affaticamento surrenale
  2. La disfunzione surrenale porta a problemi di peso
  3. Ragioni comuni per l’aumento di peso dell’affaticamento surrenale
  4. Metabolismo soppresso a causa dell’affaticamento surrenale
  5. Ipotiroidismo collegato all’aumento di peso
  6. Bilancia le ghiandole surrenali per bilanciare il tuo peso
  7. Lo stress cronico porta all’affaticamento surrenale
  8. Aumento di peso e resistenza all’insulina
  9. Il grasso più pericoloso causato dall’aumento di peso
  10. Conclusione sull’aumento di peso
  11. Come invertire i problemi legati all’aumento di peso dovuti all’affaticamento surrenale
  12. Il passo successivo nell’aumento di peso dell’affaticamento surrenale
  13. 12.1 Continua ad imparare

Guai all’aumento di peso dell’affaticamento surrenale

Se soffri di un grave problema di salute, come l’affaticamento surrenale, i tuoi problemi di peso potrebbero semplicemente non essere nelle tue mani. Più insegui la perdita di peso, più problemi metabolici creerai. Troppe donne ignorano i sintomi dell’affaticamento surrenale. Così lottano invano contro l’aumento di peso e altri problemi di salute. I problemi legati alla perdita di peso dovuti all’affaticamento surrenale devono essere affrontati alla radice. Una volta che il corpo è in grado di ritrovare il suo equilibrio, la perdita di peso può avvenire in modo naturale.

La disfunzione surrenale porta a problemi di peso

Esistono diversi meccanismi attraverso i quali l’affaticamento surrenale o una disfunzione della risposta allo stress possono portare a problemi di peso. La maggior parte di questi problemi porta ad un aumento di peso. Esiste anche una percentuale minore di pazienti che perderanno peso e che avranno difficoltà a mantenerlo.

Ragioni comuni per l’aumento di peso dell’affaticamento surrenale

L’aumento di peso correlato all’affaticamento surrenale può essere compreso da tre semplici problemi:

1) La capacità di convertire il cibo in una forma universale di energia nel corpo (la mia definizione di metabolismo) è compromessa.

2) La tiroide, il motore del tuo corpo, viene soppressa.

3) Il cortisolo (il principale ormone dello stress surrenale) ti fa accumulare e trattenere il grasso.

Metabolismo soppresso a causa dell’affaticamento surrenale

In poche parole, siamo tutti progettati per mangiare cibo, digerirlo, assorbirlo e convertire i frammenti più piccoli in una forma universale di energia (ATP). Usiamo quindi questa energia per far sì che il nostro corpo svolga compiti come pensare, camminare, respirare e autoripararsi. Tutto dipende da questa energia. Questo processo metabolico di conversione di questo cibo in ATP viene eseguito dai mitocondri. Alla fine, la fisiologia dello stress iperattivo danneggia in modo significativo i mitocondri. Le ghiandole surrenali e la tiroide lavorano insieme per regolare questo processo. Il nostro processo metabolico è compromesso – in un modo o nell’altro – quando il nostro corpo è in una risposta attiva allo stress. Prima o poi, questo schema metabolico permane anche in caso di stress cronico; anche quando i fattori di stress vengono rimossi.

Ipotiroidismo collegato all’aumento di peso

La tiroide è come il motore del tuo corpo. L’ormone dello stress, il cortisolo, sopprime la tiroide a ogni livello possibile. Il rallentamento del tuo motore significa che anche tutto rallenta. Ciò porta a tutti i sintomi dell’ipotiroidismo come: Fatica Cervello annebbiato Stipsi Depressione Peso in eccesso Ed è così semplice. Questo potrebbe farti venire voglia di accendere il motore; tuttavia, sarebbe un errore. È importante prendere le cose con calma e affrontare la causa principale dei problemi alla tiroide e dell’aumento di peso dell’affaticamento surrenale.

Bilancia le ghiandole surrenali per bilanciare il tuo peso

Le ghiandole surrenali agiscono come l’olio e il gas nel tuo motore: la tiroide. Se accendi il motore senza prestare attenzione all’olio e al gas, prima o poi causerai problemi. Potrebbe non essere per un paio di mesi o anche un paio d’anni, ma quel motore prima o poi finirà completamente il petrolio e il gas, lasciandoti andare di nuovo in panne. Una soluzione sostenibile sarebbe quella di trattare prima il problema surrenale. Fai il pieno di petrolio e gas e il tuo motore, la tiroide, probabilmente si rimetterà in moto da solo.

Lo stress cronico porta all’affaticamento surrenale

Nel corso del tempo, lo stress cronico può sopraffare la capacità surrenale di sopportare lo stress. Le ghiandole surrenali producono elevati ormoni dello stress – come il cortisolo – durante le fasi iniziali della risposta allo stress e dell’affaticamento surrenale. Il cortisolo viene prodotto come risposta appropriata alla stimolazione di lotta o fuga. Durante il combattimento o la fuga, avremmo bisogno di carburante. E il principale combustibile del corpo è il glucosio. Mangiare cibo per fornire glucosio in una situazione di emergenza sarebbe un processo troppo lento. Quindi, il corpo ha sviluppato una forma di deposito di glucosio chiamata glicogeno. Il cortisolo stimola il fegato e le cellule adipose a riconvertire questo glicogeno in glucosio e a rilasciarlo nel flusso sanguigno. Questo è il momento in cui il tuo corpo può usarlo come carburante per combattere la proverbiale tigre (cioè affrontare il tuo capo, il traffico, i social media, le notizie – hai capito).

Aumento di peso e resistenza all’insulina

Durante una situazione di lotta o fuga, il tuo corpo rileva l’aumento del glucosio nel sangue. L’insulina viene quindi rilasciata dal pancreas in risposta all’elevato livello di zucchero nel sangue, per favorire l’eliminazione del glucosio dal sangue. Se ci fosse una vera tigre da combattere o da cui scappare, bruceresti questo zucchero in eccesso nel sangue. Ma se non c’è una vera tigre da affrontare, l’eccesso di zucchero nel sangue può causare danni. Il meccanismo principale utilizzato dall’insulina per abbassare lo zucchero nel sangue è quello di scortare e aprire la porta affinché lo zucchero possa entrare nelle singole cellule. Tuttavia, se le cellule hanno già carburante o zucchero adeguati, manterranno chiusa la porta della cella. Le cellule diventano “resistenti” all’insulina. Durante la resistenza all’insulina, il pancreas produce quantità crescenti di insulina per trasportare lo zucchero dal sangue alle cellule. Se le cellule non assorbono glucosio, l’insulina converte il glucosio in un trigliceride: una molecola di grasso più zucchero. Il corpo immagazzina quindi il trigliceride come grasso per utilizzarlo in un secondo momento. I siti tipici di deposito del grasso includono i fianchi, le cosce e l’addome.

Il grasso più pericoloso causato dall’aumento di peso

Il grasso addominale è particolarmente sensibile al cortisolo. È l’obiettivo preferito per l’immagazzinamento dei trigliceridi durante lo stress. L’aumento dei depositi di trigliceridi nel grasso addominale porta ad un aumento delle dimensioni delle cellule adipose nell’addome. Ciò porta ad un aumento del grasso della pancia. La ricerca mostra che il grasso addominale è la posizione più pericolosa per la deposizione di grasso. La resistenza all’insulina è anche chiamata sindrome metabolica. Ciò aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e diabete. Il pancreas ha una capacità limitata di produrre insulina e può “esaurirsi”. Il pancreas esausto non può produrre quantità adeguate di insulina per gestire il glucosio nel sangue. Lo zucchero nel sangue aumenta, a causa dell’insulina limitata per gestirlo. Questa è la principale causa del diabete.

Conclusione sull’aumento di peso

In definitiva, ci sono solo due modi per aumentare la glicemia e aumentare di peso corporeo mangiare troppo cibo (soprattutto zucchero e carboidrati) essere “stressato” Lo stress aumenterà il cortisolo e il cortisolo aumenta lo zucchero.

Come invertire i problemi legati all’aumento di peso dovuti all’affaticamento surrenale

L’affaticamento surrenale coinvolge diversi sistemi del corpo. Questo è il motivo per cui è importante dare al tuo corpo il tempo di guarire e disattivare la sua risposta iperattiva allo stress.

Ecco l’obiettivo, in poche parole:

  • Rimetti in riga il tuo cortisolo. Fallo affrontando i tuoi fattori di stress, migliorando la tua resilienza allo stress, capendo come funziona il tuo corpo e lavorando con esso.
  • Smetti di sopprimere il motore del tuo corpo (tiroide) rimanendo bloccato in una risposta allo stress. Ciò richiede ricablare il sistema in modo che scelga la calma rispetto allo stress.
  • Segui una dieta ipoglicemica (o quella che mi piace chiamare una “dieta meno stress”). Ciò mantiene lo zucchero e i carboidrati al minimo. Se il tuo peso non vuole cambiare, puoi controllare l’assunzione di zuccheri e carboidrati e tagliarla nuovamente a metà. Di solito questo risolve il problema.

Il prossimo passo verso l’aumento di peso dell’affaticamento surrenale

Oltre un terzo dei miei pazienti con affaticamento surrenale affermano che il loro peso è una delle loro preoccupazioni principali. Curare efficacemente l’affaticamento surrenale e regolare il cortisolo e lo stress sono fattori chiave nel mantenimento del peso.

Quando la fatica è più che “semplice stanchezza”

https://drandrewneville.com/adrenal-fatigue-is-more-than-just-tired/

27 Aprile 2023

Sperimentare un affaticamento estremo per 6 mesi o più può indicare affaticamento surrenale e può accompagnare disturbi della tiroide, del sistema immunitario e del sonno.

Contenuto dell’articolo

  1. Naturalmente, un po’ di stanchezza è normale
  2. Come si avverte la fatica cronica debilitante?
  3. L’affaticamento prolungato è la ragione numero uno per le visite mediche
  4. Perché questa condizione viene così facilmente ignorata e trascurata?
  5. I medici di famiglia tradizionali non offrono mai una valutazione sanitaria completa
  6. Test non necessari prolungano la guarigione della malattia alla radice
  7. L’esaurimento è uno dei primi segnali d’allarme dell’affaticamento surrenale
  8. L’importanza di difendere la propria salute Un’ultima (molto importante) nota: il sonno è il momento in cui il nostro corpo guarisce e ripara
  9. 8.1 Continua a imparare

Certamente, un pò di fatica è normale

Tutti abbiamo sperimentato la fatica nel corso della nostra vita per vari motivi. A volte è a scatti brevi e siamo in grado di riposarci e riprenderci. A volte è dovuto al pianto dei bambini nel cuore della notte o alle notti insonni con bambini malati. Ci sono momenti in cui il lavoro o la famiglia richiedono più ore di veglia di quelle strettamente “salutari”.

Essere esausti non è grave se è occasionale. Ma se non stiamo attenti, la stanchezza costante può insinuarsi in noi ed essere un segno di problemi di salute più preoccupanti, ovunque dalla fibromialgia all’affaticamento surrenale alla sindrome da stanchezza cronica.

Come si avverte la fatica cronica debilitante?

Poiché si tratta di un’esperienza altamente soggettiva e multidimensionale, la “fatica” non è la stessa per tutti. In generale, è percepito come:

  • Stanchezza fisica o esaurimento
  • Necessità di attività ridotte
  • Motivazione ridotta
  • “Burnout” mentale o affaticamento mentale
    Sembrano sintomi abbastanza comuni, vero?

Ma non è semplicemente una questione di bisogno di dormire. Quando l’affaticamento cronico a lungo termine influisce negativamente su tutti i sistemi del corpo, si parla di affaticamento surrenale, che è una disfunzione del sistema di risposta allo stress.

L’affaticamento prolungato è la ragione numero uno delle visite mediche

Nella nostra società stressante e frenetica, non mi sorprende affatto che l’estrema stanchezza sia la ragione principale delle visite mediche. Ciò che sorprende è quanto i trattamenti medici siano diventati apatici nel rispondere alle preoccupazioni del paziente riguardo alla convivenza con la fatica. Se non affrontati, i fattori fisiologici che portano all’affaticamento possono aprire la strada a problemi di salute più gravi nel tempo, tra cui insonnia, dolore cronico, disturbi autoimmuni, squilibri ormonali, confusione mentale e disturbi digestivi.

Perché questa condizione viene così facilmente ignorata e trascurata?

Quando i pazienti affrontano i problemi di stanchezza con il proprio medico, la loro motivazione è una sofferenza a lungo termine. Sono esausti e questo colpisce tutti gli aspetti della loro vita. Durante una breve visita in ufficio, tuttavia, la stanchezza può spesso essere attribuita alla depressione. Per ogni evenienza, il medico ordina i laboratori. Quando questi ritornano “normali”, il medico non riesce a trovare alcuna ragione per l’esaurimento descritto dal paziente. È allora che a tanti pazienti, soprattutto donne, viene prescritto un antidepressivo e rimandati a casa convinti di aver trovato una soluzione. Nel frattempo, le loro condizioni continuano lentamente a peggiorare. Affaticamento e depressione non solo presentano gli stessi sintomi incrociati; sono entrambi sintomi iniziali dell’affaticamento surrenale e devono essere affrontati al livello più profondo. Sono convinto che la disfunzione del sistema di risposta allo stress (affaticamento surrenale) sia la causa numero uno di affaticamento in questo paese. Ho puntato i piedi nella ricerca di ogni aspetto delle ghiandole surrenali e della fatica. È reale e colpisce quasi tutti i sistemi del nostro corpo.

I medici di base tradizionali non offrono mai una valutazione sanitaria completa

Le visite mediche brevi non lasciano molto tempo per valutare lo stile di vita, la dieta e altri fattori che portano a un costante declino della salute. La mancanza di una valutazione sanitaria approfondita può portare a rincorrere i sintomi e a eseguire numerosi test non necessari. Sfortunatamente, l’assicurazione coprirà volentieri infiniti test e prescrizioni di farmaci, ma ai medici è consentito dedicare solo 10-15 minuti per appuntamento con il paziente. Dieci minuti non sono sufficienti per conoscere il paziente, i suoi sintomi e le sue preoccupazioni attuali, per discutere di alimentazione, sonno, esercizio fisico, ecc. Stanno spuntando le caselle… e rapidamente.

Test non necessari prolungano la guarigione della malattia alla radice

Sebbene gli esami del sangue standard siano utili per escludere carenze di vitamine e minerali, ai pazienti viene spesso detto che non c’è nulla di sbagliato se i risultati dei test tornano “a livelli normali”. I test per il virus di Epstein Barr e l’apnea notturna sono altri test comunemente raccomandati, ma non sempre portano i pazienti al trattamento migliore o ad alcun trattamento se anche loro ritornano come “normali”. Questi risultati “normali” dei test possono portare a molti più test non necessari o lasciare ai pazienti il ​​feedback che i loro sintomi sono “tutti nella loro testa”. Se l’insonnia è parte dell’equazione, ai pazienti vengono somministrati farmaci per il sonno. I farmaci per il sonno possono essere una soluzione temporanea per alleviare il problema. E sebbene siano una soluzione apparentemente ovvia per l’affaticamento, questi farmaci non correggono il problema di fondo. Gli ormoni dello stress irregolari devono essere affrontati per prevenire ulteriore usura a lungo termine sul corpo. C’è un semplice test che mi aiuta a interpretare lo stadio di affaticamento surrenale di qualcuno. Non è invasivo e viene eseguito a casa.

L’esaurimento è uno dei primi segnali d’allarme dell’affaticamento surrenale

  • Non funzioniamo più bene al lavoro e le persone iniziano a notarlo.
  • Diventiamo più irritabili e le nostre relazioni iniziano a soffrire.
  • Perdiamo la motivazione e i compiti semplici iniziano a sembrare opprimenti.
  • La confusione mentale può iniziare a influenzare la nostra memoria e le capacità decisionali.
  • Fare progetti inizia a sembrare un compito ingrato e diventiamo più isolati.
  • La depressione insorge e perdiamo il piacere della vita.

I sintomi sono i segnali che il nostro corpo emette per dire che qualcosa richiede la nostra attenzione. Quando ignoriamo questi sintomi, continueranno a diventare più forti finché non prenderemo le misure necessarie per correggere ciò che li sta causando. Se non presa in tempo, la stanchezza può iniziare a influenzare ogni aspetto della nostra vita, segnalandoci che abbiamo una disfunzione della risposta allo stress, altrimenti nota come affaticamento surrenale. Se soffri di estrema stanchezza per più di 6 mesi, ti imploro di ascoltare il tuo corpo e di prestare attenzione ai suoi segnali di allarme.

L’importanza di difendere la propria salute

È stato scoraggiante sentire quanto sia stato difficile ottenere le giuste cure mediche per molti dei miei pazienti con affaticamento surrenale. La maggior parte dei miei pazienti non ha ricevuto cure adeguate e non è colpa loro. Come medico naturopata, il mio appuntamento iniziale con i nuovi pazienti dura 75 minuti. Una valutazione sanitaria approfondita è una parte essenziale del mio programma All Access. È ciò che attribuisco ai risultati positivi dei miei pazienti. Ecco alcune misure che consiglio per ottenere i migliori risultati possibili in termini di salute:

1. Trova un medico che ti ascolti. Se il tuo medico considera i tuoi problemi di salute “tutto nella tua testa”, trova un altro medico che ti ascolterà.

2. Prendi sul serio i tuoi sintomi. Molti di noi ignorano i propri sintomi finché non iniziano a influenzare la qualità della vita. Alcuni di noi sono imbarazzati nel vedere un medico per qualcosa che sembra “leggero”. Rendi la tua salute una priorità e non aspettare ad affrontare i sintomi finché non influenzano pesantemente la tua vita.

3. Fai la tua valutazione della salute. Valuta dove potresti apportare miglioramenti alla tua dieta, al tuo stile di vita e alle tue abitudini per sostenere la tua salute.

4. Diventa curioso. Dico sempre ai miei pazienti di fare il detective e chiedere “perché?” I nostri corpi ci danno sempre feedback. Se hai un nuovo sintomo, esplora cosa è cambiato attualmente nella tua vita.

5. Non cedere alle mode passeggere e alle “soluzioni rapide”. Se soffri di problemi di salute cronici, il corpo deve essere trattato nel suo insieme. Diffida di chiunque venda un integratore panaceo. La guarigione richiede tempo e un approccio sfaccettato.

6. Non arrenderti! Solo perché non hai ancora trovato le risposte, non significa che non siano disponibili.

Un’ultima (molto importante) nota: il sonno è quando il nostro corpo guarisce e ripara

Anche se sembra un cliché, voglio esprimere l’importanza di dormire di buona qualità. È durante un sonno di qualità che il nostro corpo guarisce e ripara. Quando proviamo stanchezza per periodi di tempo prolungati, corriamo il rischio di rimanere bloccati nella fisiologia dello stress, portando a problemi di salute più seri. Ascolta il tuo corpo e lascia che ti guidi verso la salute.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Come Seriphos aiuta il paziente con affaticamento surrenale insonne

https://drandrewneville.com/seriphos-benefits-for-sleep-and-anxiety-in-adrenal-fatigue-patients/

13 Maggio 2023

Seriphos è il mio segreto meglio custodito per aiutare i miei pazienti ad addormentarsi e a rimanere addormentati.

Contenuto dell’articolo

  1. Seriphos: supporto per sonno, sensibilità e stimolazione
  2. Calmare il sistema di risposta allo stress
  3. L’effetto calmante di Seriphos
  4. Cosa si aspettano i miei pazienti da Seriphos
  5. Gli integratori fanno parte di un regime di guarigione completo
  6. 5.1 Continua ad imparare

Seriphos: supporto per sonno, sensibilità e stimolazione

Uno dei sintomi più frustranti tra i miei pazienti è l’incapacità di dormire adeguatamente. I miei pazienti spesso dicono: “Se solo potessi avere un sonno di qualità, sarebbe più facile curare la mia fatica surrenale”. Naturalmente, sono d’accordo sul fatto che la guarigione dell’affaticamento surrenale richiede riposo e sonno sufficienti. Ma è proprio l’affaticamento surrenale che influenza l’architettura del sonno nel cervello e nel sistema limbico. Questi effetti portano all’insonnia e ai disturbi del sonno. L’affaticamento surrenale non colpisce solo le ghiandole surrenali; è una disfunzione dell’intero sistema di risposta allo stress. Ciò può portare a sentirsi “causi e stanchi”, sovrastimolati, maggiore sensibilità e elevata ansia nella mia popolazione di pazienti. Pertanto, Seriphos è diventato uno dei miei consigli principali e preferiti per i pazienti nel mio programma di guarigione.

Calma il sistema di risposta allo stress

L’approccio di maggior successo per curare l’affaticamento surrenale è calmare il corpo prima di aggiungere integratori specifici per supportarne la guarigione. Se non si affronta prima la calma del sistema di risposta allo stress, la guarigione non può avvenire. Esistono diversi modi per aiutare il corpo a calmarsi. Questi includono biodispositivi e stimolazione del nervo vago. Possono anche sembrare esercizi per aiutare a ricablare il sistema limbico e aggiungere integratori. Se non si affronta prima il processo calmante, la guarigione non può avvenire. I pazienti vengono lasciati in uno stato di forte ansia e talvolta anche in sentimenti di panico. Al primo accenno di affaticamento surrenale, spesso vedo gli adattogeni come una raccomandazione principale. Ho riscontrato che gli adattogeni sono eccessivamente stimolanti e inefficaci per la maggior parte della mia popolazione di pazienti altamente sensibili. Uno degli integratori di maggior successo che ho trovato per aiutare il corpo a calmarsi è Seriphos. Seriphos è un integratore naturale che aiuta a controllare e modulare la risposta allo stress. È una combinazione di molecole di serina, colina ed etanolamina (fosfolipidi) fosforilate combinate con magnesio e calcio. Seriphos è abbastanza sicuro e delicato da essere tollerato dalla maggior parte dei pazienti con affaticamento surrenale.

L’effetto calmante di Seriphos

Seriphos aiuta a ridurre i livelli elevati di cortisolo e a bilanciare i livelli irregolari di cortisolo durante lo stress. È determinante nel ridurre l’aumento dei livelli serali di cortisolo, un modello tipico nell’affaticamento surrenale. Questo è il motivo per cui è il mio integratore preferito per il supporto del sonno. Seriphos è un integratore naturale che aiuta a controllare e modulare la risposta allo stress. La ricerca suggerisce che Seriphos agisce a livello ipofisario, attenuando la stimolazione della ghiandola pituitaria sulle ghiandole surrenali. Questo calma l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Sappiamo anche che la serina fosforilata stabilizza le membrane cellulari in queste e altre ghiandole. Ciò rende le ghiandole meno suscettibili alla sovrastimolazione. Seriphos può essere utilizzato di notte per aiutare i pazienti ad addormentarsi e a mantenere il sonno. Raccomando spesso anche l’uso di Seriphos durante il giorno per supportare i pazienti durante gli episodi acuti di ansia. Ho visto Seriphos calmare con successo i pazienti durante un attacco d’ansia in piena regola.

Prima di poter iniziare a curare il corpo e la condizione di affaticamento surrenale alla radice, dobbiamo calmare il sistema di risposta allo stress. Seriphos è spesso un prezioso integratore per avviare questo processo.

Cosa si aspettano i miei pazienti da Seriphos

Gli effetti di Seriphos di solito si avvertono entro 15-30 minuti dall’assunzione. Dovrebbe aiutare a calmare il sistema, controllare i sentimenti nervosi, di panico e di ansia o aiutare a dormire se assunto di notte. Seriphos dovrebbe aiutare a calmare il sistema, controllare i sentimenti nervosi, di panico e di ansia o aiutare a dormire se assunto di notte. Quando consiglio Seriphos per dormire, chiedo ai miei pazienti di non svegliarsi immediatamente “rinfrescati”. Anche se i sintomi dell’insonnia si attenuano, il corpo impiega tempo a recuperare. Seriphos non avrà gli stessi effetti dell’assunzione di farmaci per il sonno prescritti. Alcuni pazienti notano risultati immediati quando usano Seriphos, migliorando drasticamente il loro sonno. Altri pazienti vedranno lentamente miglioramenti minori nel tempo. Chiedo ai pazienti di non scoraggiarsi se non notano cambiamenti immediati nei loro schemi di sonno. Seriphos aiuta a calmare il corpo ed è solo un pezzo del puzzle curativo.

Gli integratori fanno parte di un regime di guarigione completo

L’insonnia, l’eccessiva stimolazione, l’ipersensibilità e l’ansia possono essere tutti il ​​risultato di un sistema di risposta allo stress che è disfunzionale da anni. Sfortunatamente, l’insonnia può essere uno dei sintomi più ostinati da risolvere. Ma con una buona igiene del sonno e sostenendo il corpo nell’uscita dalla fisiologia dello stress, l’insonnia può essere risolta e il sonno profondo verrà ripristinato. Naturalmente, Seriphos da solo non “risolverà” l’affaticamento surrenale e dovrebbe essere utilizzato sotto la supervisione di un medico. Fa un ottimo lavoro come pezzo dell’intero puzzle di guarigione trilaterale.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Guarigione olistica e i miei principi naturopatici

https://drandrewneville.com/holistic-healing-and-naturopathic-principles/

9 Giugno 2023

Questa gerarchia di trattamento naturopatica è una guida perfetta per chi soffre di affaticamento surrenale. Assicura che guariamo prima i nostri livelli fondamentali e non trattiamo in modo puramente sintomatico. Se sei curioso della guarigione olistica, questo è un ottimo modello per capire dove entrano in gioco la dieta, i cambiamenti dello stile di vita e gli integratori.

Contenuto dell’articolo

  1. Equilibrio all’interno del corpo fisico: guarigione olistica per l’affaticamento surrenale
  2. Supporto generale con integrazione
  3. Supporto del sistema: aiuto per il sistema immunitario, l’apparato digerente e la tiroide
  4. Supporto ai sintomi: calmare il nostro corpo prima che la vera guarigione possa iniziare
  5. La mia posizione sulla terapia sostitutiva con ormoni bioidentici (BioHRT)
  6. Ultima risorsa: farmaci da prescrizione e chirurgia
  7. 6.1 Continua ad imparare

Come medico naturopata, ovviamente, credo nella guarigione olistica. Guardo l’intero corpo e ogni cosa nella vita di quella persona. Tutto conta. Ma oltre alla mia fede nella guarigione olistica, utilizzo una versione di una gerarchia naturopatica per il trattamento. Questa Gerarchia Naturopatica del Trattamento è una guida perfetta. Con esso i pazienti vengono trattati a tutti i livelli, non superficialmente o sintomaticamente. Più bassi sono i trattamenti sulla piramide, più importanti sono per la guarigione olistica. Alla base della piramide ci sono lo stile di vita e la dieta. Questi due sono così importanti che dedico loro molti articoli e video. Puoi trovarli cercando su questo sito e sul mio canale Youtube. Per questo articolo inizierò con “Equilibrio”, il terzo fondamento nella mia piramide di guarigione olistica.

Equilibrio all’interno del corpo fisico: guarigione olistica per l’affaticamento surrenale

Il terzo livello è “Equilibrio” dopo che abbiamo lavorato sulle fondamenta della piramide con modifiche allo stile di vita e alla dieta. Questo livello è volutamente ambiguo e aperto. Sei l’unico che sa cosa ha bisogno di equilibrio nella tua vita. L’equilibrio deve esistere nel regno fisico. Talvolta è appropriato il trattamento chiropratico per bilanciare l’integrità strutturale del sistema scheletrico. Il massaggio dei muscoli del corpo può aiutare il metabolismo eliminando i sottoprodotti metabolici. Ciò può anche alleviare gli squilibri muscolari dannosi sviluppati nel tempo attraverso cattive abitudini o posture. Per alcuni, l’agopuntura può portare equilibrio attraverso la manipolazione dei nostri sistemi di meridiani. Pratiche di origine orientale, come Yoga, Tai Chi e Qigong. sono anche utili. Portano equilibrio nel nostro essere a tutti i livelli, specialmente nei nostri muscoli, tendini e organi interni.

Supporto generale con integrazione

Il livello successivo del trattamento di guarigione olistica è quello del supporto generale. Questo livello supporta il benessere generale del paziente da un punto di vista supplementare. In genere, ciò comporta il supporto del corpo attraverso un multivitaminico di alta qualità e facilmente assorbibile. Forniscono nutrienti laddove la nostra dieta tutt’altro che perfetta può lasciare buchi nel nostro stato nutrizionale. La marca delle vitamine utilizzate è fondamentale, poiché aziende diverse hanno standard di controllo qualità diversi. Ho scoperto che molti prodotti devono essere migliorati e quindi producono risultati inferiori. Attraverso ricerche approfondite, ho trovato gli integratori più naturali, più puliti e con la massima potenza. Ciascuno di questi integratori è stato testato in un contesto clinico per verificarne l’efficacia. Anche gli antiossidanti sono importanti nel trattamento. L’aumento dello stress ossidativo (radicali liberi) derivante dall’attivazione della risposta allo stress cronico pone una maggiore richiesta sul tuo stato antiossidante. Gli acidi grassi essenziali (EFA) costituiscono la maggior parte delle membrane cellulari e aiutano a comunicare tra una cellula e l’altra. L’efficienza di questo processo è fondamentale per garantire un’adeguata guarigione. Gli EFA esistono in molte forme. Dalla mia ricerca ed esperienza, la carenza primaria di EFA è quella degli acidi grassi omega-3. Gli acidi grassi Omega-3 si trovano principalmente nel pesce. Gli oli omega-3 contenuti negli oli di pesce sono per noi più biodisponibili rispetto a quelli contenuti in fonti vegetali, come l’olio di semi di lino. Oltre all’olio di pesce, consiglio l’olio di fegato di merluzzo reale di Green Pasture. Oltre agli importantissimi oli omega-3 EPA e DHA, l’olio di fegato di merluzzo reale contiene anche le vitamine liposolubili A e D. Queste vitamine sono cronicamente basse nei pazienti con ghiandole surrenali.

Supporto del sistema: aiuto per il sistema immunitario, l’apparato digerente e la tiroide

Il livello successivo della piramide terapeutica è il supporto dei sistemi corporei. Questo supporto deve essere personalizzato per ciascun paziente. Ognuno è unico nella presentazione, nel gruppo di sintomi, nella genetica e nella biochimica. I sistemi tipici che richiedono supporto o rafforzamento nei pazienti con affaticamento surrenale sono il sistema di risposta allo stress. Il sistema di risposta allo stress è costituito dal sistema limbico nel cervello, dai nervi (ANS) e dagli ormoni (asse HPA, comprese le ghiandole surrenali). Anche i sistemi digestivo, immunitario, riproduttivo e cardiovascolare possono richiedere supporto. Anche la funzione tiroidea e il metabolismo sono spesso compromessi . Come accennato in precedenza, alcune di queste disfunzioni sono secondarie. Potrebbero comunque aver bisogno di un supporto extra per ridurre il carico di stress totale sul corpo. Sostengo questi sistemi nel modo più naturale ma efficace. Lo faccio per non sbilanciare ulteriormente l’equilibrio del corpo. Dobbiamo ancora concentrarci principalmente su dieta, stile di vita ed equilibrio, le basi della mia piramide.

Supporto ai sintomi: calmare il nostro corpo prima che la vera guarigione possa iniziare

Nei miei pazienti, gestisco il supporto del sistema con cura. I sintomi sono semplicemente messaggi provenienti dal corpo di una disfunzione sottostante. Il nostro compito è ascoltare questi messaggi e interpretarli correttamente. Supponiamo di dover interrompere il messaggio, ad esempio, con un analgesico come il Tylenol per il mal di testa. In tal caso, non sarà più possibile valutare l’intervento per il mal di testa e sarà difficile determinarne la causa sottostante. Potrebbe trattarsi di un basso livello di zucchero nel sangue o di disidratazione, ma non possiamo valutarlo se continuiamo a mascherarlo. Questo non vuol dire che permetterei che un mal di testa o qualsiasi altro sintomo si manifesti in modo incontrollato. Vorrei utilizzare l’intervento più delicato e mirato. In questo modo, il feedback che otteniamo dal successo o dal fallimento terapeutico ci fornisce informazioni. Inoltre, mascherando i sintomi, potremmo aver risolto un problema, ma tu potresti averne creato un altro. Alcuni sintomi devono meritare attenzione affinché la persona con affaticamento surrenale abbia una possibilità di guarigione. Sintomi come l’insonnia e l’ansia ne sono un buon esempio. Questi sintomi spesso derivano dallo stesso problema di fondo: una risposta allo stress sovraregolata o “trigger-happy”. Ciò porta a una produzione di ormoni dello stress che spesso è eccessiva e viene rilasciata in momenti inopportuni. Dobbiamo calmare questo sistema di risposta allo stress sovraregolato. Altrimenti, è come cercare di riparare il motore di un’auto mentre la si guida lungo la strada. È molto più semplice spegnere il motore e metterlo su dei blocchi in un posto sicuro in un garage. In quel momento potrai procurarti gli strumenti giusti e, con l’esperienza e lo studio, potrai effettuare le riparazioni appropriate.

La mia posizione sulla terapia sostitutiva con ormoni bioidentici (BioHRT)

La terapia ormonale sostitutiva bioidentica (BioHRT o BHRT) prevede l’uso di ormoni che sono le stesse sostanze del tuo corpo. Le dosi in genere sostituiscono una carenza di un determinato ormone. Gli ormoni variano nella loro forza e funzione. Anche con le dosi sostitutive, possiamo essere delicati ma efficaci. Ciò riduce notevolmente il rischio di effetti collaterali e la soppressione della singola ghiandola presa di mira. Gli ormoni tipici che scelgo per la sostituzione temporanea includono Pregnenolone e DHEA. Questi sono due importanti ormoni surrenalici che agiscono come precursori o elementi costitutivi di molti altri ormoni surrenalici. Quando indicato, posso anche suggerire il BHRT o altri ormoni “steroidi”, come il progesterone, il testosterone o gli estrogeni. Solitamente non si tratta di una prima linea di intervento. Il trattamento generale delle ghiandole surrenali e una BioHRT delicata possono supportare il sistema. Ciò può rendere superflui la BioHRT o altri ormoni più forti. L’approccio ci consente di trattare il sistema a un livello più profondo, lavorando per riparare il problema. Non stiamo semplicemente sostituendo ciò che manca senza prestare attenzione al motivo per cui manca. Consiglio sempre di utilizzare dosi fisiologiche (identiche al livello di produzione dell’organismo) di questi ormoni. Questo approccio riduce o elimina notevolmente il rischio finale di soppressione della singola ghiandola. Inoltre, consiglio ai pazienti di iniziare con basse dosi di un ormone. Quindi possiamo aumentare gradualmente i dosaggi nel tempo per ridurre al minimo eventuali effetti collaterali probabilmente dovuti a cambiamenti nella sensibilità dei recettori cellulari. La ricerca ci fornisce indizi su quanto ormone utilizzare in alcune situazioni, ma questi protocolli devono essere personalizzati e specifici per ciascun paziente. Ho perfezionato questi protocolli in anni di ricerca ed esperienza con oltre 6.000 pazienti.

Ultima risorsa: farmaci da prescrizione e chirurgia

In cima alla nostra piramide, il pezzo più piccolo, ci sono gli strumenti del nostro attuale modello di medicina convenzionale. Spesso non devo raggiungere la vetta e trattare a questo livello. Dedico così tanti sforzi a enfatizzare i livelli più bassi, che influenzano il cambiamento e la guarigione a un livello più profondo. Anche se non sono contrario all’uso di farmaci e interventi chirurgici – siamo fortunati ad averne molti – sono contrario all’uso eccessivo e improprio di questi farmaci e tecniche. Quando l’uso di farmaci peggiora la condizione generale, anche se può alleviare temporaneamente un sintomo, è contro intuitivo rispetto al processo di guarigione complessivo. L’utilizzo di farmaci e chirurgia come modalità di trattamento funziona principalmente per la cura delle lesioni acute e dei traumi. Tuttavia, queste modalità fanno poco bene e tuttavia hanno un grande potenziale di danno in caso di malattie croniche. Ecco una nota finale riguardante la gerarchia di trattamento descritta che potrebbe essere utile per mettere tutto in prospettiva. Più si sale nella piramide, più gli interventi diventano sempre più specifici e mirati. Inoltre sono in genere più costosi, comportano maggiori rischi e sono più invasivi. Richiedono molta meno responsabilità e investimento personale da parte del paziente, il che li rende più facili da impiegare. Quando si tratta dal basso verso l’alto, alla fine si risparmia tempo, denaro ed energia. Effettuiamo anche cambiamenti a lungo termine. Usiamo questa piramide quotidianamente quando io e i miei coach lavoriamo con i pazienti nei nostri programmi di guarigione con l’approccio trilaterale.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Stimolazione del nervo vago e guarigione dall’affaticamento surrenale

https://drandrewneville.com/vagus-nerve-stimulation-healing-adrenal-fatigue/

22 Luglio 2023

Attivando il nervo vago almeno due volte al giorno, metti il ​​tuo corpo in modalità “riposo e digestione”. La stimolazione di questo nervo contribuisce alla guarigione e allevia l’ansia e i sintomi digestivi così comuni nei pazienti con affaticamento surrenale.

Contenuto dell’articolo

  1. La teoria polivagale e il nervo vago
  2. I pazienti con ghiandole surrenali necessitano di stimolazione del nervo vago
  3. Dì al tuo corpo che è sicuro rilassarsi
  4. Quanto spesso dovresti stimolare il tuo nervo vago?
  5. Alcuni ottimi esercizi per il nervo vago
  6. Cosa potresti notare dopo aver praticato la stimolazione del nervo vago
  7. Stimolazione del nervo vago e mia gerarchia terapeutica
  8. 7.1 Continua a imparare

La teoria polivagale e il nervo vago

Il dottor Stephen Porges ha coniato la teoria polivagale, evidenziando i benefici della stimolazione del nervo vago, il principale nervo parasimpatico. Il nervo parasimpatico è, in termini semplici, l’attivatore del sistema di rilassamento del corpo. Il nervo vago inizia nel collo e scende verso vari organi, tra cui cuore, polmoni, fegato e sistema digestivo. Questo nervo viene attivato quando il corpo è rilassato o in modalità “riposo e digestione”.

I pazienti con ghiandole surrenali necessitano di stimolazione del nervo vago

I pazienti affetti da ghiandole surrenali trascorrono troppo tempo in modalità lotta o fuga. Per guarire, devono uscire dalla modalità lotta o fuga e dedicarsi al riposo e alla digestione. Più a lungo e più spesso riescono ad entrare nella modalità riposo e digestione, più velocemente miglioreranno. Per guarire, i pazienti affetti da ghiandole surrenali devono uscire dalla modalità lotta o fuga e dedicarsi al riposo e alla digestione. L’attivazione del nervo vago è in completa opposizione al sistema nervoso simpatico dal grilletto facile quando siamo costantemente in lotta o fuga. Quando il nervo vago viene attivato, regola funzioni corporee cruciali, come la digestione, la frequenza cardiaca, la risposta immunitaria e la disintossicazione. Attivando questo nervo nel tempo, ne aumenti il ​​tono, aumentando così la sua attività e aggiungendo molti benefici positivi.

Dì al tuo corpo che è sicuro rilassarsi

Quando stimoli il nervo vago, invia il messaggio che il tuo corpo può rilassarsi. Questa è la fisiologia completamente opposta dell’affaticamento surrenale. Il nervo vago bilancia l’adrenalina e il cortisolo. Stimola anche i processi corporei critici che l’affaticamento surrenale sopprime, come il sistema digestivo e immunitario.

Quanto spesso dovresti stimolare il tuo nervo vago?

Chiedo ai miei pazienti di praticare i seguenti esercizi più volte al giorno. Più sono, meglio è! Ogni volta che stimoli il nervo vago, aumenti la tua fisiologia di rilassamento, che contrasterà col tempo la fisiologia dello stress. Praticare questi esercizi prima dei pasti è utile se hai problemi digestivi.

Abbracciare e toccare sono modi eccellenti per stimolare il nervo vago e attivare la fisiologia del riposo e della digestione necessaria per la guarigione.

Alcuni ottimi esercizi per il nervo vago

  • Divertirsi e stare nella natura
  • Tenere un diario della gratitudine
  • Trovare fonti di gioia, umorismo o giocosità
  • Cantare o canticchiare
  • Fare stretching o camminare
  • Tirare o massaggiare delicatamente i lobi delle orecchie
  • Toccando, abbracciando, massaggiando
  • Masticare (anche gomme da masticare!)
  • “Assaporando”

Mentre lo assapori, pensa a un momento in cui eri al sicuro, calmo e felice. Vai lì con la tua mente e sii lì con tutti i tuoi sensi. Concentrati sull’attività o sulla sensazione e sii il più presente possibile nel momento. Anche un mantra può aiutare. Se la tua mente vuole ossessionarsi, lascia che sia ossessionata ripetutamente da una singola frase: una preghiera, parte di una poesia o una frase. Esistono anche diversi esercizi di stimolazione fisica. A volte è irragionevole che i miei pazienti lo facciano, soprattutto all’inizio del trattamento, a causa del dolore muscolare, della debolezza e dell’affaticamento. Quando pratichi gli elementi dell’elenco sopra, prova a farlo con intenzione. Concentrati sull’attività o sulla sensazione. Sii il più presente possibile in questo momento.

Cosa potresti notare dopo aver praticato la stimolazione del nervo vago

L’obiettivo della pratica a lungo termine è l’aumento del tono vagale. Col tempo, è stato dimostrato che l’aumento del tono vagale allevia i sintomi di ansia e depressione. Migliora anche la funzione cardiaca e digestiva e riduce l’infiammazione. Se sei un paziente surrenale, noterai un senso generale di calma dopo la pratica e il tempo. Avrai anche più tempo per calmarti, una frequenza cardiaca più lenta e sintomi digestivi ridotti.

Stimolazione del nervo vago e mia gerarchia terapeutica

Attivare la fisiologia del riposo e della digestione nel corpo fa parte del livello “Stile di vita” della mia gerarchia di guarigione. La stimolazione del nervo vago è uno dei tanti esercizi di “stile di vita” che insegno ai miei pazienti mentre guariscono utilizzando il mio approccio trilaterale. Contribuisce alla stabilizzazione del corpo, consentendo così la guarigione.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Diligenza dovuta a multivitaminici e altri integratori di qualità

5 Agosto 2023

Gli integratori di alta qualità offrono diversi benefici curativi se utilizzati correttamente. Ma non ci si dovrebbe fidare di qualsiasi integratore che affermi di curare una condizione complessa e cronica come l’affaticamento surrenale.

Contenuto dell’articolo

  1. Perché abbiamo bisogno dei multivitaminici?
  2. Nutrizione in crescita o al pascolo
  3. Come scelgo i multivitaminici per i miei pazienti
  4. 4. 5 Linee guida per la scelta degli integratori per il tuo regime di guarigione Multivitaminici come parte del puzzle curativo
  5. 5.1 Continua ad imparare

Perché abbiamo bisogno dei multivitaminici?

Oltre al fatto che gli alimenti non sono così ricchi di nutrienti, la digestione è spesso compromessa nei pazienti con affaticamento surrenale. Questa digestione disfunzionale rende più difficile l’assimilazione dei nutrienti. Per questo motivo consiglio un multivitaminico di buona qualità a quasi tutti i miei pazienti.

Nutrizione in crescita o al pascolo

Idealmente, consiglierei a tutti i miei pazienti di assumere i nutrienti seguendo una dieta ricca di nutrienti. Chiedo loro di puntare a un piatto pieno di cibi integrali di diversi colori. Oltre alle raccomandazioni dietetiche ipoglicemiche, esiste una semplice regola pratica. Se lo trovi in ​​crescita o al pascolo, è accettabile mangiarlo come parte di una dieta equilibrata. Questi alimenti “in crescita o al pascolo” possono essere trovati principalmente facendo acquisti attorno al perimetro del negozio di alimentari. Anche quando si prendono le dovute precauzioni dietetiche e si fa di tutto per seguire una dieta ricca di nutrienti, è diventato più difficile ottenere gli stessi nutrienti dal cibo come si faceva una volta. Il nostro suolo e la qualità del cibo si sono impoveriti a causa di alcune pratiche agricole, oltre a vari altri motivi. È qui che entrano in gioco i multivitaminici.

Come scelgo i multivitaminici per i miei pazienti

L’industria degli integratori è un’industria in continua crescita da miliardi di dollari. Gli integratori di qualità sono complementi benefici e complementari ai protocolli di guarigione dei miei pazienti. Gli integratori scadenti, tuttavia, possono essere dannosi per la nostra salute. L’industria degli integratori non dispone di una regolamentazione della qualità. Spetta al professionista e al consumatore prestare la dovuta diligenza nella ricerca degli integratori della massima qualità. Ho controllato ogni singolo integratore trovato nella mia farmacia di integratori.

Assicurati di controllare gli ingredienti e il produttore. Non ci si dovrebbe fidare di qualsiasi integratore che affermi di curare una condizione complessa e cronica come l’affaticamento surrenale. https://drandrewneville.com/adrenal-fatigue-multivitamins/

5 linee guida per la scelta degli integratori per il tuo regime di guarigione

1) “Ottieni quello per cui paghi”: questo vecchio decreto ha un certo credito qui. Le pratiche di controllo della qualità, i test di terze parti, gli ingredienti biologici e le alte concentrazioni di componenti costano denaro. Parte di questo costo deve essere trasferito al consumatore.

2) Fai attenzione al marketing intelligente: sai, quelli che intendo: società di marketing multilivello (network marketing) che vendono integratori e simili. La struttura di partecipazione agli utili di queste società è tale che il costo del prodotto deve essere gonfiato (ancora di più!) per pagare la piramide dei rappresentanti coinvolti nella vendita. Ciò significa anche che di solito iniziano con ingredienti di qualità inferiore, quindi è garantito un margine di profitto maggiore.

3) La missione dell’azienda di integratori: aziende diverse hanno filosofie diverse. Controlla la loro pagina “Informazioni”. Sebbene tutte le aziende debbano realizzare un profitto, alcune puntano prima a trarre profitto. I produttori e i venditori più rispettabili ed etici sono pronti a soddisfare un bisogno. Forniscono integratori di alta qualità che aiutano a guarire le persone. Le materie prime di alta qualità devono essere esenti da contaminazioni da metalli pesanti e pesticidi e contenere solo la sostanza indicata in etichetta. Anche gli integratori di alta qualità contengono la forza e la concentrazione dichiarate sull’etichetta.

4) Sii consapevole dei riempitivi e degli allergeni: molti integratori sono riempiti con “altri” ingredienti per ridurre i costi. Ciò significa anche che negli ingredienti possono nascondersi allergeni comuni. Per i pazienti con affaticamento surrenale, in particolare, questi possono agire come ulteriori fattori di stress invece di supporti curativi.

5) Evita di cadere nella trappola degli “integratori salva la giornata”: gli integratori di alta qualità offrono diversi benefici curativi se usati correttamente. Non ci si dovrebbe fidare di qualsiasi integratore che affermi di curare una condizione complessa e cronica come l’affaticamento surrenale.

Multivitaminici come parte del puzzle curativo

Nei miei oltre 20 anni di esperienza naturopatica, non ho ancora visto gli integratori guarire i pazienti con affaticamento surrenale. Dobbiamo anche affrontare allo stesso tempo le modifiche dello stile di vita e della dieta. I multivitaminici sono un pezzo del puzzle curativo e dovrebbero essere considerati attentamente. Il mio obiettivo come medico naturopata è utilizzare la maggior parte degli integratori come supporto come parte della gerarchia della guarigione. Posso tranquillamente consigliare di aggiungere un multivitaminico di alta qualità a quasi tutti i nostri regimi quotidiani.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Le disintossicazioni più salutari per i pazienti con affaticamento surrenale

30 Agosto 2023

Alcuni metodi di disintossicazione possono aumentare anziché diminuire lo stress sul corpo, soprattutto per i pazienti con affaticamento surrenale. Eccone alcuni che funzionano!

Contenuto dell’articolo

1. La disintossicazione e la pulizia sembrano essere ovunque

2. La disintossicazione per i pazienti con adrenalina non è così semplice

3. 4 motivi per cui i miei pazienti dovrebbero evitare i classici disintossicanti

3.1 Le disintossicazioni possono innescare un’ipoglicemia reattiva

3.2 I percorsi disintossicanti devono essere aperti (e non lo sono durante l’affaticamento surrenale)

3.3 Un sistema nervoso disregolato non può gestire lo stress extra

3.4 Sensibilità stimolate dagli integratori

4. Un modo diverso di pensare alla disintossicazione

4.1 Disintossicazione da frigorifero e dispensa

4.2 Aggiorna i tuoi prodotti per la pulizia

4.3 Disintossicare l’elenco delle attività

4.4 Disintossica la negatività dalla tua vita

5. Disintossicazione quotidiana per sentirsi bene

5.1 Continua ad imparare

La disintossicazione e la pulizia sembrano essere ovunque

Se soffri di una malattia cronica da qualche tempo, probabilmente ti sei già avventurato nel mondo della salute olistica online in cerca di risposte, soprattutto se hai visto un medico dopo l’altro senza alcun sollievo. Probabilmente hai anche trovato molte informazioni sulla disintossicazione e sulla pulizia. La disintossicazione è stata un argomento caldo negli ultimi anni e per decenni. Influencer, personalità della salute e persino “dottori” di Internet promuovono il digiuno o miscele di ingredienti speciali e vendono polveri e concentrati per la pulizia perfetta. La presunta affermazione è che possiamo ripristinare la nostra salute alleggerendo il nostro corpo.

La disintossicazione per i pazienti affetti da ghiandole surrenali non è così semplice

Prima di trovarmi, la maggior parte dei miei pazienti ha sperimentato diversi farmaci, diete e integratori. Spesso le prove li portavano alla disintossicazione. Puoi trovare consigli sulla disintossicazione ovunque, da tua cognata ai social media fino al negozio di alimenti naturali. Sfortunatamente, la disintossicazione e la pulizia possono rallentare i pazienti affetti da affaticamento surrenale quando si tratta di guarigione. Vogliamo eliminare qualsiasi ulteriore fattore di stress dal nostro corpo e i metodi di disintossicazione più diffusi possono aumentare anziché diminuire lo stress sul corpo.

Trasformare i detergenti domestici in semplici prodotti fatti in casa è un ottimo modo per “disintossicare” l’ambiente domestico. Oli essenziali, borace, aceto distillato e bicarbonato di sodio sono ingredienti efficaci! https://drandrewneville.com/the-healthiest-way-to-detox-for-adrenal-fatigue-patients/

4 motivi per cui i miei pazienti dovrebbero evitare i classici disintossicanti

Le disintossicazioni possono innescare l’ipoglicemia reattiva

Most Adrenal Fatigue patients suffer from reactive hypoglycemia.

As part of a multifaceted treatment protocol, we must take the additional burden off of the adrenals and assist them in keeping blood sugars stable.

Juice fasting and water fasting, two standard detox methods, do not support the adrenals in keeping blood sugar balanced. Some patients can tolerate these methods initially but often pay the price later. That results in what I call “an adrenal crash.”

I percorsi di disintossicazione devono essere aperti (e non lo sono durante l’affaticamento surrenale)

La funzione dei nostri organi viene intenzionalmente soppressa quando i nostri corpi rimangono “bloccati” nella fisiologia dello stress per troppo tempo. I percorsi di disintossicazione del corpo devono essere aperti per trasportare le tossine rilasciate dai metodi di disintossicazione. Se il corpo non riesce a espellere correttamente le tossine, il carico tossico liberato causerà ulteriore stress al corpo.

Un sistema nervoso disregolato non può gestire lo stress extra

Sono un grande fan delle saune a infrarossi e persino delle immersioni fredde, ma per i pazienti che soffrono di affaticamento surrenale, le fluttuazioni estreme della temperatura e gli sforzi per la regolazione della temperatura causano uno stress aggiuntivo al corpo. Dobbiamo prima affrontare la disautonomia e regolare il sistema nervoso prima di aggiungere ulteriori oneri che impediscano al corpo di guarire.

Sensibilità stimolata dagli integratori

La mia popolazione di pazienti è sensibile per natura, quindi qualsiasi nuovo integratore contenuto nei prodotti purificanti o disintossicanti deve essere usato con cautela. Molti integratori comunemente usati sono troppo stimolanti per chi soffre di affaticamento surrenale. Possono portare ad un aumento dell’ansia, del disagio e del sonno problematico.

Why intermittent fasting can be problematic for an Adrenal Fatigue patient.

Un modo diverso di pensare alla disintossicazione

I pazienti sono costantemente alla ricerca di modi proattivi per accelerare la guarigione. Sebbene la guarigione avvenga secondo il proprio ritmo, rimuovere gli ostacoli al recupero aiuterà a portare avanti il ​​processo. Queste sono le disintossicazioni che consiglio ai pazienti con affaticamento surrenale.

Disintossicazione da frigorifero e dispensa

Non è necessario eseguire una revisione alimentare tutta allo stesso tempo. Ciò che io e i miei coach consigliamo è di adottare abitudini di acquisto più sane. Un semplice trucco è evitare cibi eccessivamente elaborati con un eccesso di ingredienti sull’etichetta difficili da pronunciare o sconosciuti. Se acquisti alimenti trasformati, gli ingredienti dovrebbero essere minimi. Dovresti sapere cosa è ciascuno. Man mano che gli alimenti eccessivamente trasformati e carichi di sostanze chimiche iniziano a esaurirsi, inizia a sostituirli con alimenti che puoi trovare in crescita o al pascolo. Puoi trovare una lista della spesa e deliziose ricette nel mio ricettario per meno stress, progettato specificamente per i pazienti con affaticamento surrenale.

Aggiorna i tuoi prodotti per la pulizia

La maggior parte dei detergenti domestici sono incredibilmente tossici. L’aceto distillato bianco e il bicarbonato di sodio sono entrambe ottime alternative detergenti. Esistono anche molte ricette per realizzare detergenti domestici utilizzando oli essenziali che si possono trovare online. Il lavaggio delle noci è una fantastica alternativa ai detersivi per bucato tossici e il borace è anche un detergente efficace. Non è necessario buttare via immediatamente i vecchi detergenti, ma essere più attenti ai prodotti per la casa è un ottimo modo per eliminare il carico tossico aggiuntivo dal nostro sistema. È anche più salutare per tutta la famiglia, compresi gli animali domestici.

Disintossica la tua lista di attività

Molti di noi hanno l’abitudine di sentirsi costantemente produttivi, soprattutto i pazienti con affaticamento surrenale. Dico sempre che le persone pigre non soffrono di affaticamento surrenale. Fare meno e permettere al tuo corpo di riposare sarà la cosa più produttiva che puoi fare per te stesso. Se la tua vita sta superando la tua capacità di viverla, è utile rivalutare le priorità e mettere la tua salute e la tua guarigione al primo posto.

Disintossica la negatività dalla tua vita

Siamo costantemente bombardati dalle sofferenze del mondo attraverso le notizie, i social media e talvolta anche le persone nella nostra vita. Aiuta a evitare le notizie, ad allontanarsi dai social media e a limitare il tempo dedicato a tutto ciò che causa stress emotivo. Consiglio anche di implementare una pratica di gratitudine per aiutare a sostenere il sistema limbico. Praticare la gratitudine ricollega il sistema nervoso e aiuta a calmarsi.

Sentirsi bene e disintossicarsi ogni giorno

Non c’è fine alle tossine che incontriamo nella nostra vita quotidiana. Sarebbe impossibile vivere in un ambiente completamente privo di tossine. Ma essere più attenti ai prodotti per la casa, al modo in cui trascorriamo il nostro tempo e alle nostre abitudini di acquisto contribuiscono a eliminare ulteriori fattori di stress dal nostro secchio di stress. La riduzione dello stress derivante da fattori di stress emotivi, chimici e fisici è fondamentale per uscire dalla fisiologia dello stress e supportare il nostro corpo nella guarigione. Piccoli cambiamenti portano a grandi miglioramenti nel tempo. Cambiamenti come questi fanno parte della comprensione della parte relativa allo stile di vita del tuo piano di guarigione nel mio Approccio Trilaterale. Tutto ciò contribuisce a stabilizzare la risposta allo stress, consentendo così la guarigione.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Le fasi dell’affaticamento surrenale: quando chiedere aiuto

1 Settembre 2023

L’affaticamento surrenale ha fasi precoce, media e tardiva, ognuna delle quali ha i suoi sintomi tipici. Indipendentemente dalla tua fase, puoi guarire nel tempo con la guida, la pazienza e la cura adeguate.

Contenuto dell’articolo

1. Le fasi precoce, media e tardiva dell’affaticamento surrenale

2. Progressi e battute d’arresto da uno stadio all’altro

3. Fase iniziale: cortisolo elevato rivelatore

4. Quando la maggior parte delle persone finalmente cerca aiuto per l’affaticamento surrenale

5. Fase avanzata: livelli ormonali al minimo

6. Come fai a sapere che stai guarendo dall’affaticamento surrenale?

6.1 Continua ad imparare

Gli stadi dell’affaticamento surrenale sono correlati a quelli inizialmente stabiliti da un pioniere di questa ricerca, Hans Selye. Il lavoro di Selye non è affatto perfetto e alcuni hanno messo in discussione le sue teorie e i suoi postulati su quella che lui chiamava la “sindrome generale di adattamento”. Ma il concetto generale di Selye secondo cui esistono tre fasi dell’affaticamento surrenale – Allarme, Resistenza ed Esaurimento – si applica ancora oggi. Il suo lavoro ha acceso la spinta verso l’incredibile volume di stress e ricerca surrenalica a nostra disposizione ora.

Le fasi precoce, media e tardiva dell’affaticamento surrenale

Per questo articolo, chiamerò queste fasi Precoce, Intermedia e Tarda. Ciascuna di queste fasi è clinicamente significativa e porta con sé una propria serie di sintomi. Ciascuno produrrà una disfunzione sostanziale. In altre parole, attenzione a chi pensa di essere nella fase iniziale. “Presto” potrebbe sembrare facile, o non dovrebbero sentirsi così male. Inoltre, avverto coloro che si trovano nella fase avanzata di non scoraggiarsi; possono guarire.

Progressi e battute d’arresto da una fase all’altra

Ho visto pazienti che erano passati dallo stadio Tardivo allo stadio Precoce in soli sei mesi. Ne ho avuti altri che sono rimasti nella fase iniziale per molto tempo mentre hanno apportato miglioramenti incrementali nell’arco di un anno o due. Non importa in quale fase ti trovi, la guarigione dall’affaticamento surrenale non è lineare. Ognuno è diverso. I tuoi risultati non sono “buoni” o “cattivi”. Lo stadio della tua malattia ci fornisce informazioni per indirizzare il trattamento.

https://drandrewneville.com/stages-of-adrenal-fatigue/

Fase iniziale: cortisolo elevato rivelatore

I sintomi nella fase iniziale sono tipicamente caratterizzati da ansia, nervosismo, attacchi di panico, insonnia e sensazione di essere “cablati”. Livelli elevati di cortisolo caratterizzano la fase iniziale. Un altro indicatore della velocità con cui si avanza attraverso la fase iniziale è se l’ormone DHEA è alto, normale o basso. Essere nella fase iniziale significa che il tuo corpo è in una risposta attiva allo stress, indipendentemente dal fatto che lo stress sia apparente o residuo. Con lo stress cronico nel tempo, il tuo corpo può rimanere bloccato in una risposta allo stress, anche una volta che lo stress viene rimosso. Il modello è chiamato sensibilizzazione centrale. I sintomi nella fase iniziale sono tipicamente caratterizzati da ansia, nervosismo e insonnia Anche se puoi correlare approssimativamente i valori di cortisolo con la quantità di energia che hai, questa non è una correlazione perfetta, specialmente in questa fase iniziale. La spiegazione più semplice è che se pensi di scappare da una tigre in natura, costantemente, finirai per essere esausto. In poche parole, è incredibilmente impoverente per il corpo essere bloccato in una risposta allo stress. Porterà alla stanchezza e alla debolezza che spesso vediamo in questa fase. Tuttavia, molti si sentiranno anche affaticati a causa dell’esaurimento di nutrienti ed energia derivante dalla costante “fuga dalle tigri”.

Nel tempo, i sintomi diminuiscono progressivamente in frequenza, durata e intensità. Ci sono alti e bassi e potrebbero esserci battute d’arresto. Ma va bene. Starai meglio.

Quando la maggior parte delle persone finalmente cerca aiuto per l’affaticamento surrenale

La fase intermedia è la fase più comune per me che vedo pazienti con affaticamento surrenale. È allora che la maggior parte delle persone decide finalmente di dover chiedere aiuto. In questa fase, probabilmente hai bruciato il tuo ormone DHEA, che ha cercato per troppo tempo di “ripulirsi” dal cortisolo in eccesso. Alla fine, il DHEA diminuisce, mentre il cortisolo rimane da normale a normale. Malato verticale si riferisce allo spingerci in modo tale che, guardandoci, non sembriamo malati. Il cortisolo è un ormone salvavita e abbiamo bisogno del cortisolo per vivere. Il DHEA, tuttavia, è importante soprattutto per vivere bene. Mi riferivo a coloro che si trovano in questa fase come ai “malati verticali”. (Dovrei dire quelli di noi perché questa è la fase in cui mi trovavo quando finalmente ho scoperto i miei problemi.) Malato verticale si riferisce allo spingerci in modo tale che, guardandoci, non sembriamo malati. Nessuno vicino a noi sa quanto ci stiamo spingendo. Ma stiamo fingendo, lottando e spesso cadendo a pezzi all’interno. Dato che molti di noi sono personalità di tipo A, ci piace anche nascondere il “crollo” dopo aver esagerato per troppo tempo. I sintomi durante la fase intermedia possono spaziare dall’ansia, nervosismo e insonnia alla depressione, affaticamento e aumento di peso. Probabilmente puoi funzionare, ma non bene. E presto rinuncerai alle attività non prioritarie se non l’hai già fatto.

Fase avanzata: livelli ormonali al minimo

Anche lo stadio tardivo dell’affaticamento surrenale è tipico nei miei pazienti. Può sembrare più spaventoso che trovarsi nelle altre fasi, ma le persone che arrivano a questa fase possono comunque guarire. Ho visto pazienti con livelli ormonali che avevano toccato il fondo tornare alla normalità nel tempo. Si riprendono la vita. Ci vuole pazienza e un po’ più di tempo. I pazienti nella fase avanzata sono più affaticati e più deboli di quelli negli altri stadi. In genere, la loro capacità funzionale è più limitata. A questo punto riescono a malapena a portare a termine le attività della vita quotidiana. Alcuni sono costretti a letto. I pazienti nella fase avanzata riescono a malapena a svolgere le attività della vita quotidiana. I sintomi durante la fase tardiva sono principalmente affaticamento e debolezza, ma anche dolore e malessere post-sforzo (sensazione di malessere e peggioramento dopo lo sforzo e bisogno di riposo dopo l’attività). I pazienti nella fase avanzata possono ancora presentare alcuni sintomi di “sovrastimolazione” associati alle fasi precedenti, come ansia, nervosismo e insonnia.

Come fai a sapere che stai guarendo dall’affaticamento surrenale?

Nessuna di queste fasi è senza speranza. Tutti possono riprendersi. Potrebbero volerci tre mesi o potrebbero volerci un paio d’anni. Tornare alla “normalità” può succedere. Con il tempo e la pazienza, vivranno in modo vicino alla vita che conoscevano prima che i sintomi cominciassero ad avere un impatto sulle loro vite. Una delle domande più comuni dei miei pazienti è: “Come faccio a sapere che sto guarendo?” Non importa in quale fase ti trovi, la guarigione dall’affaticamento surrenale non è lineare. Durante il recupero, i sintomi vanno e vengono mentre guariamo la causa principale della loro esistenza: l’affaticamento surrenale, una disfunzione del nostro sistema di risposta allo stress. Nel tempo, i sintomi diminuiscono progressivamente in frequenza, durata e intensità. Ci sono alti e bassi e potrebbero esserci battute d’arresto. Ma va bene. Starai meglio.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Scollegarsi dai campi elettromagnetici per i pazienti con affaticamento surrenale (e anche per tutti gli altri)

23 Settembre 2023

I campi elettromagnetici sono un fattore di stress silenzioso e trascurato per molti di noi. Ecco 4 modi consigliati per staccare la spina, soprattutto se soffri di affaticamento surrenale.

https://drandrewneville.com/adrenal-fatigue-and-the-effects-of-emfs/

Contenuto dell’articolo

1. Proliferazione dei campi elettromagnetici

2. Troppo tempo dedicato alla tecnologia?

3. I pazienti con affaticamento surrenale possono essere estremamente sensibili ai campi elettromagnetici

4. Come ridurre al minimo gli effetti dei campi elettromagnetici

4.1 1. Dispositivi EMF indossabili

4.2 2. Disattiva il Wi-Fi di notte

4.3 3. Utilizzare occhiali che bloccano la luce blu

4.4 4. Prova la messa a terra

5. Semplicità nella guarigione aggiuntiva

5.1 Continua ad imparare

Le frequenze elettromagnetiche (EMF) non sono una novità. Con l’avvento del Bluetooth e del Wi-Fi, tuttavia, la tecnologia è diventata parte integrante della nostra cultura frenetica. Anche se non tutti i campi elettromagnetici possono essere evitati, è utile essere consapevoli di come possono avere un impatto sulla nostra salute e di cosa si può fare per evitarne gli effetti negativi.

Proliferazione dei campi elettromagnetici

Siamo costantemente attaccati ai nostri cellulari, utilizziamo video per riunioni di lavoro e dispositivi per tracciare i nostri 10.000 passi. Abbiamo smartwatch per monitorare i nostri ritmi di sonno e modem wireless per rendere Internet più accessibile. I progressi tecnologici sono stati impressionanti, ma presentano anche ulteriori sfide per i nostri corpi già sovraccarichi. La maggior parte dei miei pazienti può dirmi rapidamente qual è la loro principale fonte di stress, che si tratti di famiglia, finanze, carriera o problemi di salute mentale. Ma sono i fattori di stress meno evidenti che spesso vengono trascurati. La tecnologia è un’arma a doppio taglio che funge da fattore di stress per i miei pazienti. Sì, ci dà la possibilità di rimanere in contatto, ma non ci dà abbastanza tempo per disconnetterci. L’altro fattore di stress spesso trascurato è l’impatto che i campi elettromagnetici hanno sulla nostra salute.

Troppo tempo con la tecnologia?

Credo nella forza della semplicità: cibo di qualità, tanto riposo e tutto con moderazione. Chiedere ai pazienti di dire “no” o chiedere aiuto per risparmiare energia quando possono aiuta nella guarigione. Approvo anche trascorrere del tempo nella natura. La semplicità passa anche attraverso l’uso della tecnologia. Anche se apparentemente innocuo, può rappresentare un ulteriore fattore di stress, soprattutto per i pazienti con affaticamento surrenale.

I pazienti con affaticamento surrenale possono essere estremamente sensibili ai campi elettromagnetici

I miei pazienti hanno molte sensibilità, dal cibo e dagli integratori alle emozioni, alla luce, al tatto e ai suoni. Per alcuni pazienti, la sensibilità si estende anche alle onnipresenti frequenze elettromagnetiche che ci circondano. I campi elettromagnetici non nativi, o frequenze elettromagnetiche, provenienti da smartphone, AirPods, Wi-Fi e Bluetooth possono causare o contribuire ad ansia, depressione, mal di testa, dolore agli occhi, formicolio e acufene.

Come ridurre al minimo gli effetti dei campi elettromagnetici

La sensibilità ai campi elettromagnetici non è un sintomo che tratto direttamente. I campi elettromagnetici vengono meglio tollerati agendo sull’intero sistema di risposta allo stress e calmando il sistema nervoso. Detto questo, si possono fare alcune cose per ridurre al minimo gli effetti di questo fattore di stress persistente mentre i pazienti stanno guarendo.

Dispositivi EMF indossabili

Tormalina, cristalli, pendenti e dispositivi di protezione dai campi elettromagnetici domestici sono tutte opzioni da esplorare come ulteriore fonte di protezione da queste frequenze.

2. Disattiva il Wi-Fi di notte

Usa un cavo Ethernet invece del Wi-Fi. Scollega i dispositivi, i dispositivi elettronici, gli orologi e le luci della tua camera da letto prima di dormire. Spegni i dispositivi o passa alla modalità aereo. Conserva i dispositivi o i telefoni che tieni vicino a te mentre dormi nelle borse Faraday. Utilizzare una gabbia di Faraday per contatori intelligenti e schermare tessuti, pellicole e vernici, se possibile.

3. Utilizzare occhiali che bloccano la luce blu

La luce blu proveniente da TV, computer e altri dispositivi sopprime l’ormone melatonina che induce il sonno e guarisce e ripara. Questo può essere un problema per alcuni se esposti alla luce blu la sera. Usare occhiali che bloccano la luce blu mentre si utilizzano gli schermi la sera è una buona pratica di igiene del sonno. La qualità è essenziale con gli occhiali che bloccano la luce blu. Cerca lenti arancioni, che bloccano la maggior parte della luce blu. Raccomando Bon Charge e Swannies.

4. Prova la messa a terra

Il grounding è una semplice pratica quotidiana con benefici significativi, tra cui la riduzione dell’infiammazione, la regolazione dell’umore e la riduzione dello stress. Può anche abbassare la pressione sanguigna nei pazienti ipertesi e aiutare a ridurre il dolore e la qualità del sonno. Potrebbe anche ridurre l’ansia e la depressione. La messa a terra è come collegarsi alla terra, proprio come colleghiamo gli elettrodomestici a una presa per caricarli. Mettere i piedi nudi a terra e connetterci alla terra ci collega agli splendidi benefici forniti dalla natura.

Semplicità nella guarigione aggiuntiva

La tua guarigione non deve essere complicata, deve solo essere intenzionale. Per oltre due decenni ho utilizzato la formazione continua e la mia esperienza clinica per mettere a punto le pratiche atte a supportare i miei pazienti nella guarigione. Il mio protocollo è semplice: rimuovere lo stress dove il paziente può e gettare basi calmanti. Dopo la calma, aggiungo supporti curativi, a seconda delle esigenze specifiche del mio paziente. Iniziamo a svuotare il secchio della tolleranza allo stress riducendo i fattori di stress del paziente. Mettere insieme i pezzi per creare il tuo puzzle di guarigione personalizzato rende possibile il ritorno a una vita senza dolore e piena di vitalità.

Fonte: Dr. Andrew Neville

La personalità di tipo A “stanca”

12 Ottobre 2023

Dimentichiamo che la personalità intraprendente di tipo A è incline al burnout come il resto di noi. L’affaticamento surrenale li colpisce più di quanto vogliano lasciar intendere. Uno dei passaggi più semplici verso la guarigione è per loro il più difficile da affrontare.

https://drandrewneville.com/the-tired-type-a-personality/

Contenuto dell’articolo

1. Che cos’è una personalità di tipo A?

2. Quando “pigro” è una parola di quattro lettere

3. Il burnout non è solo per la personalità di tipo A

4. Come gli ormoni dello stress in eccesso danneggiano il corpo

5. Il primo passo più difficile e “facile”.

6. Come evitare il “crash” surrenale

7. L’importanza del ritmo

7.1 Per quelle personalità di tipo A e altri che potrebbero volere un promemoria…

7.2 Continuare ad apprendere

Cos’è una personalità di tipo A?

I tratti della personalità di tipo A sono adorabili! Queste persone sono ambiziose e tendono a rimanere al passo con le attività quotidiane. Di solito hanno un’intelligenza superiore alla media e sono sensibili ai bisogni degli altri. Forse conosci qualcuno che “fa sempre”, andando oltre, il custode della famiglia e la fonte di aiuto a cui rivolgersi. Ma a volte dimentichiamo che queste persone straordinarie sono anche inclini al burnout e non si fermeranno finché non colpiranno il muro. Fanno anche del loro meglio per non darlo a vedere quando ciò accade.

Quando “pigro” è una parola di quattro lettere

È motivo di vergogna per molti pazienti quando sentono di aver deluso le loro famiglie, amici e colleghi perché non possono fare di più. Temono di essere considerati “pigri” quando la verità è che sono esausti. Dico sempre ai miei pazienti: “Le persone pigre non soffrono di affaticamento surrenale”. Sono coloro che si muovono, coloro che agiscono, i perfezionisti e gli ambiziosi che finiscono con questa condizione. Molti di noi sono stati condizionati a credere che dobbiamo fare di più per avere successo. Ma siamo esseri umani, non azioni umane. Dobbiamo considerarlo mentre ci concentriamo sulla guarigione.

Il burnout non riguarda solo la personalità di tipo A

Tutti noi abbiamo le nostre capacità fisiche, mentali ed emotive. Che siamo di tipo A o relativamente accomodanti, quando andiamo oltre queste capacità per periodi prolungati, mettiamo il nostro corpo in uno stato di stress cronico. Ciò significa che passiamo alla fisiologia dello stress troppo spesso e per troppo tempo. La fisiologia dello stress di per sé non è affatto una cosa negativa. I nostri corpi sono progettati per affrontare lo stress con incrementi brevi e sporadici. Dico sempre ai miei pazienti: “Le persone pigre non soffrono di affaticamento surrenale”. Il problema sorge quando il nostro corpo ha bisogno di aiuto per tenere il passo con un sovraccarico di obiettivi e ambizioni, che comporta un carico di lavoro più significativo.

Come gli ormoni dello stress in eccesso danneggiano il corpo

Poiché questi fattori di stress moderni sono e-mail continue, notizie costanti, lavoro, lavori domestici, allevare figli, finanze, ecc., i nostri corpi non hanno tempo per riprendersi. Questa mancanza di tempi di inattività dice al nostro corpo di continuare a produrre ormoni per tenere il passo con i fattori di stress. Il nostro sistema di risposta allo stress diventa facile da innescare, influenzando tutti i nostri sistemi corporei in modo negativo. Questi ormoni dello stress in eccesso causano danni a tutto il corpo nel tempo. Questo danno porta a dolore, confusione mentale, squilibri ormonali, fluttuazioni di peso, disautonomia, allergie e un sistema immunitario indebolito. Alcuni lo chiamano “burnout”. Altri la chiamano disfunzione del sistema di risposta allo stress, e altri ancora usano il termine più comunemente riconosciuto, affaticamento surrenale. Questo è il motivo per cui è essenziale essere consapevoli di riservare tempo e spazio affinché i nostri corpi possano riposare e uscire dalla fisiologia dello stress. Se non seguiamo il nostro ritmo nel nostro mondo in costante movimento, tutti i meravigliosi meccanismi pensati per salvarci ostacolano invece la nostra salute. Per le personalità di tipo A e altre persone inclini all’affaticamento surrenale, il ritmo e il riposo possono essere una sfida.

Il primo passo più difficile e “facile”

Può essere difficile da credere, ma una delle prime raccomandazioni che faccio nei protocolli di guarigione è il “ritmo”. È proprio come sembra: tieni il ritmo. Per alcuni, il ritmo è relativamente facile perché sono troppo esausti per fare molto di più che riposare. I loro corpi non danno più loro la possibilità di scegliere di “andare avanti”.

La guarigione continuerà se diventerai coerente con il riposo e il ritmo. Prendilo da chi ti circonda!

Per le personalità di tipo A e altre persone soggette ad affaticamento surrenale, tuttavia, questo può essere più una sfida. È difficile anche per coloro che sono a metà dei miei programmi di guarigione. Quando sentono di avere un po’ di energia – per niente – vogliono usarla. Chi non lo farebbe, soprattutto quando l’energia manca nelle loro vite da così tanto tempo! “Dai ritmo” sembra un consiglio che non è più applicabile. Ma è così. E lo farà sempre. È una delle chiavi per gestire questa condizione per la vita. Naturalmente, incoraggio pienamente i miei pazienti a muoversi il più possibile senza spingersi oltre la loro attuale capacità funzionale. È nella natura umana spingere l’involucro energetico, ma ciò si traduce inevitabilmente in un crollo surrenale.

Come evitare il “crash” surrenale

Nella mia pratica, celebriamo il primo incidente di un paziente quando inizia a sentirsi meglio. Gli incidenti non sono piacevoli, ma sono un buon promemoria del motivo per cui sono necessari il riposo e il ritmo. Gli incidenti mi ricordano anche che si è verificata una guarigione sufficiente affinché l’energia del mio paziente possa ritornare. Il primo incidente può essere terrificante. Sembra che tutti i guadagni di guarigione siano andati perduti. Questo non è il caso; è semplicemente che la guarigione dall’affaticamento surrenale non è lineare. La guarigione continuerà se ascolti i bisogni del tuo corpo, rimuovi ulteriori fattori di stress e diventi coerente con il riposo e il ritmo. So che è particolarmente difficile per i miei pazienti di tipo A, ma quando riescono finalmente a rimuovere il senso di colpa legato al rallentamento, è allora che le funzioni di guarigione e riparazione possono mettersi al lavoro!

L’importanza del ritmo

Attraverso il ritmo, possiamo porre fine al nostro deficit di spesa energetica. Possiamo completare ogni giornata con energia sufficiente che il corpo può utilizzare durante la notte per guarire.

Per quelle personalità di tipo A e altri che potrebbero volere un promemoria…

Il ritmo può significare una qualsiasi di queste cose. Rompere l’abitudine di spingere finché non ce la facciamo più e poi schiantarci. Allontanarsi dall’essere orientati al compito, come a tutti noi è stato insegnato che dovremmo ascoltare il nostro corpo. Significa fare un pò’, riposarsi, fare un pò e poi riposarsi ancora un pò, fermarci prima del necessario, prima del punto in cui non possiamo più fare nulla. Prendendo la tua lista quotidiana di ciò che pensi di dover fare, tagliando quell’elenco a ciò che credi di poter fare, e poi tagliando quell’elenco a metà. Quando si tratta di ritmo, la pratica rende perfetti! Scopri altri pezzi del puzzle curativo qui.

Fonte: Dr. Andrew Neville

Fatica surrenale

Scopri la libreria completa di articoli del Dr. Andrew Neville sull’affaticamento surrenale. Condivide la sua vasta conoscenza in un modo facile da comprendere per chiunque soffra di questa condizione cronica.

https://drandrewneville.com/category/all-articles/

Esercizi di rilassamento per gli eternamente ansiosi

19 Febbraio 2023

https://drandrewneville.com/relaxation-exercises-for-anxiety-and-adrenal-fatigue/
Ti senti come se fossi "attivo" tutto il tempo? Preoccupato o ansioso, anche se potrebbe non esserci nulla di cui essere preoccupato o ansioso? Se ritieni che il relax e la calma siano fuori dalla tua portata, c'è speranza! Questi pochi semplici passaggi possono aiutare con l'ansia... e l'affaticamento surrenale.

Contenuto articoli

1. Quando gli esercizi di rilassamento sembrano fuori portata
2. Fisiologia dello stress e del rilassamento
3. Come accedere alla fisiologia del rilassamento
4. Gli esercizi di rilassamento “forzato” possono essere diversi da quelli a cui sei abituato
5. Decidi tu quale esercizio di rilassamento è il migliore
6. Quando e quanto spesso dovresti forzare il rilassamento?
6.1 Continua ad imparare


Quando gli esercizi di rilassamento sembrano fuori portata

Ti senti come se fossi "attivo" tutto il tempo? Cablato o ansioso, anche se potrebbe non esserci nulla per cui essere cablato o ansioso? Forse hai la sensazione che il tuo corpo stia effettivamente vibrando. Se è così, potresti anche considerare gli esercizi di rilassamento con una certa trepidazione.


Non sei solo.

Tutto quel ronzio e queste preoccupazioni derivano da una risposta iperattiva allo stress o, come la maggior parte delle persone sa meglio, da uno stato costante di "lotta o fuga".

Una delle pratiche chiave per calmare e guarire è un regime di esercizi di rilassamento. Adesso potresti deriderlo, ma ti assicuro che è possibile anche per i più ansiosi di noi!

Fisiologia dello stress contro il rilassamento

La fisiologia del tuo corpo è come un’altalena: un lato dell’altalena è la fisiologia dello stress (lotta o fuga), e l’altro è la fisiologia del rilassamento (riposo e digestione). Questi lati dovrebbero essere in equilibrio. Hai bisogno che entrambi lavorino insieme per vivere.

L’affaticamento surrenale è una disfunzione del sistema di risposta allo stress del tuo corpo. Significa che il tuo corpo è rimasto bloccato in una risposta allo stress (lotta o fuga) per troppo tempo e troppo spesso. Il nostro sistema di risposta allo stress si blocca quindi in overdrive. Crea un’enorme usura nel nostro sistema, per non parlare di tutta quell’ansia. Come puoi immaginare, l’eccessiva usura senza un’adeguata guarigione e riparazione non è una ricetta per la salute e il benessere.

La fisiologia del rilassamento è l'opposto, lo stato in cui non solo riposi e digerisci, ma anche guarisci e ripari. Questo è lo stato che stiamo cercando e ti prometto che puoi arrivarci.

Come accedere alla fisiologia del rilassamento

La vita richiede di stimolare la fisiologia dello stress troppo spesso, dallo stare seduti nel traffico all'esposizione alle sostanze chimiche presenti nel cibo fino alla morte di una persona cara. Questo eccesso di stress significa che dobbiamo perseguire il suo opposto, attivamente e con forza.

Il modo più efficace per attivare il riposo e la digestione fisiologica è con una forma coerente di esercizi di rilassamento.

Gli esercizi di rilassamento “forzato” possono essere diversi da quelli a cui sei abituato

Ci sono attività che possono rilassarti, come fare un puzzle, guardare la TV in streaming, fare giardinaggio o cucinare il tuo piatto preferito. Queste cose sono utili e certamente hanno il loro posto, ma ciò a cui devi accedere è qualcosa di molto diverso.

La stimolazione più efficiente ed efficace di ogni singolo meccanismo di guarigione del tuo corpo forzando il riposo e la digestione. Ciò viene fatto mediante specifici esercizi di focalizzazione della mente, in particolare attività come la meditazione, la respirazione profonda, l’immaginazione guidata o la visualizzazione.

Decidi tu quale esercizio di rilassamento è il migliore

Un esercizio di rilassamento non deve essere nulla di complesso. Non devi imparare assolutamente nulla. Tutto quello che fai è trovare un posto tranquillo e comodo, sederti o sdraiarti, chiudere gli occhi e concentrarti su una cosa. Quando la tua mente va alla deriva, cosa che accadrà, afferrala e torna alla tua concentrazione. Semplice.

Alcune persone scelgono di concentrarsi su una parola; possono usarne uno come salute, pace, amore o forza. Questa è la meditazione. Altri scelgono di ripetere frasi memorizzate, come una breve preghiera o un mantra.

Alcune persone si concentrano sul respiro, sulla respirazione profonda. Altri ancora scelgono la visualizzazione e si concentrano su un'immagine. Non importa al tuo corpo su cosa scegli di concentrarti, purché funzioni per te.

Ci sono molte informazioni e istruzioni sui numerosi modi per raggiungere questo obiettivo e tutti sembrano pensare che il loro modo sia il migliore. Alcune fonti potrebbero dirti che se lo fai in altro modo, lo stai facendo nel modo sbagliato. Senza senso. Il modo migliore è quello che funziona per te, il modo in cui lo manterrai.




Quando e quanto spesso dovresti forzare il rilassamento?

Il processo è semplice: concentrazione costante, quotidiana e temporizzata. Questo non è un esercizio di vagabondaggio mentale; questo è un esercizio di concentrazione. Inizia lentamente, ma dedica del tempo! Inizia con 5 minuti due volte al giorno, poi passa a 10 minuti due volte al giorno. Per alcuni di noi, l’atto di stare fermi con pensieri potenzialmente intrusivi sembra insopportabile. È una pratica, un esercizio. E proprio come ogni altra cosa nella vita, la pratica ti rende più abile.

Questa parte della guarigione può sembrare irrilevante. Forse a causa di quanto sia “semplice” o di quanto poco tempo richiede. Ti assicuro, però, che il rilassamento forzato e l'entrata nello stato fisiologico di rilassamento sono importanti quanto molti altri pezzi del puzzle della guarigione.

La guarigione consiste nel mettere insieme abbastanza pezzi del puzzle allo stesso tempo. Quando tutti questi pezzi sono a posto, il corpo entra nella fisiologia del riposo e della digestione e inizia la vera guarigione. Il modo comprovato e clinico con cui lo faccio è il mio approccio di guarigione trilaterale.

Fonte: Dr. Andrew Neville, Adrenalin Fatigue Specialist, Pennsylvania USA

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

COVID19 E COMPLICANZE NEUROLOGICHE: GLI STUDI NE EVIDENZIANO LA COMPARSA

https://www.doctorium.it/covid-19-omplicanze-neurologiche/

Indice dei contenuti

1. Sintomi correlati al SNC

2. Sintomi associati al sistema nervoso periferico (PNS)

3. Somiglianze tra le manifestazioni neurologiche delle infezioni da CoV (SARS-CoV-1, MERS-CoV e SARS-CoV-2)

Oggi abbiamo a disposizione diversi studi che evidenziano la comparsa di complicanze neurologiche legate al COVID-19. Nel nostro articolo faremo riferimento agli studi eseguiti in ben 25 paesi diversi. Da questi studi è emerso che i sintomi neurologici più comuni nel COVID-19 sono mal di testa, vertigini, anosmia e ageusia.

I reperti neurologici più gravi includono ictus, compromissione della coscienza, coma, convulsioni, neuropatia ed encefalopatia.

In presenza di tali sintomi, è sempre bene rivolgersi a un neurologo online per chiedere un consulto tempestivo ed escludere eventuali altre patologie.

Registrati su Doctorium e chiedi un consulto.

Sintomi correlati al Sistema Nervoso Centrale

Mal di testa e vertigini

Mal di testa e vertigini sono stati segnalati come due delle manifestazioni iniziali più comuni in molti pazienti con COVID-19. Il mal di testa è stato riportato in 2073 pazienti in 34 studi. La gravità è stata segnalata come da moderata a grave. Si manifesta come mal di testa di tipo tensivo, il dolore è bilaterale con esacerbazione se ci si piega e per lo più localizzato nella regione temporo-parietale o talvolta più anteriormente verso la fronte.

Sono stati suggeriti diversi potenziali meccanismi fisiopatologici sottostanti. In particolare, potrebbe essere dovuto a un’invasione diretta di SARS-CoV-2 alle terminazioni del nervo trigemino dalla cavità nasale. L’altro possibile meccanismo sottostante è l’attivazione trigemino-vascolare dovuta al coinvolgimento delle cellule endoteliali delle pareti dei vasi con alta espressione dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2). Un terzo meccanismo proposto afferma che il rilascio dei mediatori pro-infiammatori e delle citochine durante COVID-19 potrebbe stimolare le terminazioni del nervo trigemino perivascolare e causare mal di testa.

Le vertigini invece sono state evidenziate in undici studi in 173 pazienti.

Eventi cerebrovascolari

L’ictus ischemico acuto è stato segnalato in circa 1-3% dei pazienti con COVID-19; questo dato è simile con altre infezioni da CoV (come SARS-CoV-1 e MERS-CoV). Si è visto che ben 370 pazienti con infezione da SARS-CoV-2 su 37 studi hanno sviluppato un ictus ischemico acuto o attacco ischemico transitorio (TIA). La maggior parte di questi pazienti presentava diverse co-morbilità sottostanti che li rendevano più suscettibili agli eventi tromboembolici.

Tuttavia, ci sono segnalazioni di ictus ischemico acuto che si verificano in giovani adulti con infezione da SARS-Cov-2 e senza alcuna storia medica passata o fattori di rischio cardiovascolare.

Le cause sono da ricercare nelle anomalie della coagulazione riscontrate in pazienti con COVID 19 in condizioni critiche. Vi è infatti un aumento dei fattori procoagulanti, inclusi i livelli sierici di fibrinogeno (94%), piastrine (62%), interleuchina-6 (IL-6) e D-dimero (100%) che contribuiscono ad elevare il tasso di tromboembolismo e quindi di mortalità e morbilità. Si è visto che livelli elevati di proteina C-reattiva (PCR), interleuchina-7 (IL-7), IL-6 e altri marcatori infiammatori rendono la placca aterosclerotica esistente più suscettibile alla rottura.

Le complicanze aritmiche dovute al COVID-19 possono essere un altro potenziale meccanismo che contribuisce a un più alto tasso di eventi ischemici in questi pazienti.

L’altro meccanismo proposto coinvolge ACE2. È stato dimostrato che il virus SARS-CoV-2 si lega all’ACE2 che si trova nelle cellule endoteliali del polmone, dell’intestino tenue e dei vasi cerebrali. L’esaurimento di ACE2 da parte del virus SARS-CoV-2 può causare uno squilibrio del sistema renina-angiotensina (RAS) che potrebbe provocare una disfunzione endoteliale e conseguentemente eventi ischemici.

L’emorragia intracranica è stata osservata in circa lo 0,5% dei pazienti con COVID-19 in diversi studi effettuati su un’ampia popolazione. Secondo quanto riferito, 61 pazienti in 19 studi hanno sviluppato un’emorragia intracranica. SARS-CoV2 è capace di provocare coagulopatie come CID (coagulazione intravascolare disseminata), trombocitopenia, D-dimero elevato e tempo di protrombina prolungato che può provocare emorragia.

Un altro potenziale meccanismo è l’effetto di SARS-CoV-2 su ACE2. Come accennato in precedenza, SARS-CoV-2 utilizza il recettore ACE 2 per l’ingresso nelle cellule. ACE2 è fondamentale nel sistema renina-angiotensina che è uno dei più importanti sistemi regolatori della pressione sanguigna. La sottoregolazione dell’ACE2 indotta da SARS-CoV-2 può portare a vasocostrizione e disfunzione dell’autoregolazione cerebrale e conseguentemente picchi di pressione sanguigna che possono causare la rottura della parete arteriosa ed emorragia.

La trombosi del seno venoso cerebrale è stata segnalata in 13 pazienti su 9 studi. Nel complesso è stato dimostrato che le complicanze tromboemboliche venose e arteriose sono state osservate nel 5-15% dei pazienti con COVID-19 grave.

Coscienza alterata

Diminuzione del livello di coscienza ed encefalopatia sono state riportate dal 7,5% al 31% dei pazienti con COVID-19 in 22 articoli comprendenti 454 pazienti. Nei pazienti COVID-19, i possibili meccanismi che ne causano l’insorgenza includono danni parenchimali, squilibrio elettrolitico, encefalopatie ipossiche, tossiche e metaboliche e stato epilettico non convulsivo.

La leucoencefalopatia dopo COVID-19 è stata segnalata in 18 pazienti in 3 studi. Probabilmente tale condizione è dovuta all’ipossia che si verifica durante l’infezione che provoca la morte delle cellule oligodendrogliali e successivamente la demielinizzazione. Altre potenziali eziologie possono essere l’infezione cerebrale diretta, l’encefalopatia associata a sepsi, la demielinizzazione post-infettiva e la sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES).

L’encefalopatia necrotizzante acuta è stata riportata in 8 pazienti con COVID-19. Viene provocata probabilmente dalla tempesta di citochine che è stata descritta con SARS-CoV-2. L’intensa ondata di citochine pro-infiammatorie provoca infatti un danno focale alla barriera ematoencefalica e induce edema e conseguente necrosi. L’encefalite a seguito di COVID-19 è stata segnalata in 22 pazienti su 13 studi.

Recentemente, SARS-CoV-2 è stato rilevato nei tessuti cerebrali e nelle cellule endoteliali capillari all’autopsia ed è stata confermata l’infezione virale del SNC. Sono state suggerite due diverse potenziali vie di ingresso del virus. Il primo percorso possibile è attraverso le terminazioni nervose del nervo  trigemino e del nervo olfattivo. Il secondo possibile meccanismo di invasione virale può essere una maggiore permeabilità della barriera emato-encefalica ​​a causa degli alti livelli di citochine pro-infiammatorie nel liquor.

48 pazienti su 20 studi hanno riportato convulsioni. È noto che le infezioni virali del SNC e la successiva attivazione di vie neuroinfiammatorie abbassano la soglia per lo sviluppo di convulsioni e facilitano l’epilettogenesi in alcuni individui. Tralaltro, l’accumulo di marker infiammatori associati all’infezione da SARS-CoV-2, può causare un’irritazione corticale locale che provoca l’insorgenza di convulsioni. I pazienti con COVID-19 in condizioni critiche possono presentare squilibri metabolici/elettrolitici e ipossia che contribuiscono allo sviluppo di convulsioni o comunque ad un EEG anormale.

In un recente studio effettuato da Galanopoulou AS et al. sui risultati dell’elettroencefalografia (EEG) di pazienti COVID-19 si è visto che era presente attività epilettiforme sporadica nel 40,9%, prevalentemente sotto forma di onde acute frontali.

Anomalie dei nervi cranici

La prevalenza di anosmia e ageusia varia ampiamente in diversi studi dal 5% in uno studio cinese a circa l’88% in uno studio italiano. La compromissione dell’olfatto è stata segnalata anche nelle infezioni da SARS-CoV-1 e influenzali. Anosmia è stata segnalata in 3730 pazienti su 28 studi nel caso di SARS-CoV-2.  Nel COVID-19 l’anosmia non è accompagnata da rinite e sulla base dei risultati di diversi studi potrebbe essere la presentazione clinica più precoce in assenza di altri sintomi respiratori. Diversi studi hanno riportato che l’anosmia è più comune tra le donne, tra i pazienti più giovani e tra i non ospedalizzati. Nella maggior parte dei pazienti l’anosmia scompare da sola entro 3 settimane.

Molti studi hanno evidenziato che alla risonanza magnetica si riscontrano anomalie del bulbo olfattivo di pazienti COVID-19. Si può osservare infatti un sottile segnale di iperintensità nei bulbi olfattivi e anche di iperintensità corticale nel lobo frontale destro. Nel follow/up alla risonanza magnetica dopo 28 giorni i bulbi olfattivi si mostrano più sottili e leggermente meno iperintensi e l’alterazione del segnale nella corteccia scompare completamente.

Vari studi hanno suggerito che SARS-CoV2 può invadere direttamente il SNC tramite il bulbo olfattivo.

Sintomi associati al sistema nervoso periferico (PNS)

Anomalie dei nervi cranici

È stato descritto un movimento oculare alterato associato a COVID-19 in 12 pazienti su 4 studi. Invece la neuropatia trigeminale è stata segnalata in 9 pazienti su 2 studi.

Sindrome di Guillain-Barré (GBS)

La Sindrome di Guillain-Barré è una polineuropatia infiammatoria acuta, in genere rapidamente progressiva ma autolimitante caratterizzata da debolezza muscolare e lieve perdita della sensibilità distale. La causa sembra essere di tipo autoimmune e può svilupparsi dopo una malattia gastrointestinale o respiratoria. Il meccanismo suggerito è il mimetismo molecolare. L’agente patogeno probabilmente condivide epitopi simili ai componenti dei nervi periferici. Gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario dell’ospite per combattere il virus reagiscono in modo crociato e si legano ai nervi periferici causando disfunzioni neuronali. 52 pazienti con COVID-19 in 36 studi hanno sviluppato la Sindrome di Guillain-Barré in diverse varianti.

In diversi casi è stata segnalata anche la sindrome di Miller Fisher che interessa i nervi cranici ed è una variante rara della sindrome di Guillain-Barré. Si manifesta con la triade clinica: atassia durante la deambulazione, areflessia e oftalmoplegia.

Inoltre nei pazienti COVID-19 sono stati segnalati danni ai muscoli scheletrici e miopatia. Quest’ultimi si sviluppano maggiormente nei pazienti con grave distress respiratorio, risposta infiammatoria sistemica e sepsi. Come il virus SARS-CoV-1 anche SARS-CoV-2 ha la capacità di penetrare nelle cellule che esprimono i recettori ACE2 che è espresso anche nelle cellule muscolari. Sfrutta pertanto tale recettore per entrare in queste cellule. Inoltre, l’iperinfiammazione e le tempeste di citochine nella fase avanzata di COVID-19 potrebbero causare danni muscolari immuno-mediati. La miopatia può essere considerata una delle principali cause di disabilità fisica a lungo termine nei pazienti guariti dal COVID-19.

Somiglianze tra le manifestazioni neurologiche delle infezioni da CoV (SARS-CoV-1, MERS-CoV e SARS-CoV-2)

Esistono molte somiglianze tra le manifestazioni neurologiche di diverse infezioni da CoV. Per esempio l’encefalite è stata segnalata nelle infezioni da HCoV-OC43, SARS-CoV-1, MERS-CoV e SARS-CoV-2. Cefalea, ictus ischemico, encefalite ed encefalopatia, convulsioni e neuropatia sono stati segnalati in tutte le pandemie associate a CoV (SARS-CoV-1, MERS-CoV e SARS-CoV-2). L’emorragia intracranica è stata riportata in MERS-CoV e COVID-19. La miopatia e l’anosmia sono state riportate in SARS-CoV-1 e COVID-19.

Sicuramente conoscere le possibili complicazioni neurologiche che possono svilupparsi dopo e durante COVID-19 può aiutare a porne diagnosi più tempestiva e quindi a gestirle meglio e più efficacemente.

Nota: Il contenuto del presente articolo non è inteso né raccomandato come sostituto di consigli, diagnosi o trattamenti medici. Pertanto è sempre necessario chiedere il parere di un medico in merito a qualsiasi domanda, condizione clinica, trattamento o argomento trattato nel presente documento. Doctorium non si assume nessuna responsabilità sull’utilizzo autonomo delle informazioni indicate.

Fonte: Doctorium

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

LONG COVID: E’ APPENA ARRIVATA UNA SCOPERTA DA UNO STUDIO CHE SVELA LA POSSIBILE CAUSA; GLI AGGIORNAMENTI

Articolo del 27/04/2023 ore 18:18
di Team iLMeteo.it Meteorologi e Tecnici

Gli effetti del Long-COVID
https://www.ilmeteo.it/notizie/long-covid-appena-arrivata-una-scoperta-da-uno-studio-che-svela-la-possibile-causa-gli-aggiornamenti-072952/

Sono passati tre anni dalla scoperta del Covid ma ancora oggi è oggetto di studio in tutto il mondo. E a tal proposito gli studi di questi ultimi mesi si concentrano sul Long Covid, la misteriosa e debilitante sindrome i cui effetti persistono anche dopo la prima infezione da Covid-19.

Per i milioni di persone che ne sono afflitte la situazione è rimasta pressoché invariata. All’interno della comunità scientifica, oggi si sta finalmente formando un consenso su cosa sia il long Covid. Più che un singolo disturbo, è probabile che si tratti di un insieme di malattie, e questo significa che presumibilmente non ci sarà una terapia valida per tutti i casi.

La causa che scatena la sindrome, come specificato da SkyTg24varia da persona a persona. Secondo una teoria, in un soggetto il long Covid potrebbe essere causato dalla rivolta del sistema immunitario, che inizia ad attaccare il corpo (un fenomeno chiamato autoimmunità). O forse dei frammenti del virus sono rimaste in circolazione nell’organismo molto tempo dopo l’infezione iniziale, portando il sistema immunitario acceso fino all’esaurimento. Un’altra tesi sostiene che il Covid-19 causi danni duraturi a determinati organi o tessuti. O ancora, è possibile che il contagio risveglia virus “dormienti” che il corpo ha incontrato in passato, come il virus di Epstein-Barr, che causa la mononucleosi.

Questo insieme di sintomi però rende molto più complicato progettare studi clinici. Non tutte le persone manifestano la totalità dei sintomi, che possono variare anche per gravità e durata. Inoltre, non c’è consenso sulla definizione di long Covid, afferma Steven Deeks, medico e specialista in malattie infettive presso l’Università della California di San Francisco: “Non c’è un biomarcatore magico, non c’è una radiografia, non c’è un test”. Per questo motivo, capire quali soggetti inserire in uno studio clinico è difficile. Al momento, le diagnosi funzionano per esclusione, ovvero stabilendo cioè che i sintomi non possano essere spiegati da nessun’altra causa.

Altri ricerche in corso si focalizzano su meccanismi alternativi. Alcuni ricercatori stanno studiando il naltrexone a basso dosaggio, un farmaco normalmente usato per la dipendenza da oppioidi, che potrebbe rivelarsi efficace anche contro il long Covid ostacolando l’infiammazione nel corpo dei pazienti. Nel Regno Unito, uno studio chiamato Stimulate-Icp sta esplorando l’uso di un anticoagulante chiamato Rivaroxaban per trattare i micro-coaguli nel sangue, che secondo alcuni causerebbero il long Covid bloccando l’apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo.

Fonte: Il Meteo

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

LONG COVID, SCOPERTO IL MECCANISMO CHE PORTA ALLA STANCHEZZA CRONICA

La fatigue causata da un deficit di arginina. Sintomi post infezione per 1 su 3

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2023/01/28/long-covid-scoperto-meccanismo-che-porta-stanchezza-cronica-2_a974fef6-efbd-403c-8718-ff203367c8a2.html

Scoperto il meccanismo d’azione che porta allo stato di fatigue, o spossatezza invalidante, legato al Long Covid che colpisce 1 persona su 3 vittima dell’infezione da SarsCoV2: è innescato da un deficit di arginina, un aminoacido prodotto naturalmente dall’organismo.

Lo dimostra uno studio sul long Covid condotto dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica Campus di Roma, secondo cui la stanchezza cronica della sindrome post-Covid è associata appunto ad un’alterazione nel metabolismo dell’arginina.

Attualmente, in assenza di approcci terapeutici disponibili su larga scala contro il long Covid, ripristinare i livelli di arginina, affermano i ricercatori, potrebbe rappresentare una nuova strategia integrativa efficace contro la stanchezza cronica.

La fatigue, uno dei sintomi principali e più diffusi del long Covid, su cui la comunità scientifica della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) sta lavorando, potrebbe pertanto non avere più segreti. Il processo di alterazione biomolecolare che è alla base dell’estrema stanchezza legata alla sindrome post-Covid è descritto per la prima volta ed i risultati dello studio sono in corso di pubblicazione sulla rivista International Journal of Molecular Sciences.

Il Covid, sottolineano i ricercatori, difficilmente sarà eradicabile e la nuova emergenza è proprio il long Covid, che colpisce1 persona su 3, anche tra i giovani.
Infatti, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbero 65 milioni nel mondo e 17 milioni in Europa le persone alle prese con la coda di infezione da Coronavirus.
Pochi però le conoscenze e i progressi della comunità scientifica sul fronte dei trattamenti terapeutici disponibili contro la sindrome post-Covid, caratterizzata in molti casi dalla fatigue, che provoca una prolungata e invalidante spossatezza associata a debolezza muscolare, insonnia e tachicardia. Il nuovo studio, coordinato da Francesco Landi, past president SIGG e direttore del Dipartimento di Scienze dell’invecchiamento ortopediche e reumatologiche del Policlinico Gemelli di Roma, ha messo in luce che nei pazienti con long Covid si verifica un’alterazione del metabolismo dell’arginina, la quale stimola l’ossido nitrico, enzima chiave per una corretta funzione immunitaria e vascolare.

I ricercatori hanno inoltre dimostrato che la somministrazione di 1,6 grammi di arginina e 500 mg di vitamina C liposomiale per 28 giorni, riporta il metabolismo dell’arginina a un livello normale e consente di contrastare efficacemente la fatigue. Nello studio sono state coinvolte 57 persone, 46 adulti con long Covid a otto mesi dalla diagnosi e 11 persone abbinate per sesso ed età senza evidenze di precedenti infezioni da Sars-CoV-2. I pazienti con long Covid sono stati divisi in due gruppi: 23 hanno ricevuto il mix di arginina e vitamina C liposomiale e gli altri 23 un placebo per un periodo di 28 giorni.

“Prima di iniziare il trattamento abbiamo misurato le concentrazioni di arginina nel sangue, osservando livelli significativamente più bassi di arginina nei pazienti con long Covid – afferma Landi -. Alla fine dei 28 giorni abbiamo scoperto che le concentrazioni di arginina nel sangue dei pazienti con long Covid è salita, raggiungendo livelli ‘sani’ come quelli rilevati nei pazienti appartenenti al gruppo di controllo”. “Abbiamo dimostrato per la prima volta che il metabolismo dell’arginina è alterato nei pazienti con long Covid rispetto alle persone senza storia di infezione da Sars-Cov-2”, aggiunge Matteo Tosato, coautore dello studio e Responsabile Unità Operativa Day Hospital post-Covid del Policlinico Universitario Gemelli.

Attualmente, “in assenza di trattamenti disponibili contro una sindrome di cui ancora sappiamo ben poco, ripristinare i valori di arginina potrebbe rappresentare una nuova strategia integrativa efficace contro la fatigue da Long Covid, che può essere associata a disfunzioni immunitarie e vascolari, che a loro volta aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari”, conclude Landi. 

Fonte: ANSA

Long Covid, tutte le strategie per contrastarlo (e ci aiuta la stanchezza cronica)

di Fabio Di Todaro

https://www.repubblica.it/salute/2023/01/26/news/affaticamento_long_covid_come_combatterlo-384395875/

Esistono servizi ambulatoriali per pazienti alle prese con i postumi di Covid-19. Ma non c’è un approccio terapeutico standardizzato e dunque utilizzabile su larga scala

Soltanto in Europa – secondo le stime sono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ci sarebbero 17 milioni di persone alle prese con il Long-Covid. Ovvero quella sequela di manifestazioni – principalmente respiratorie, cardiologiche o neurologiche – che rappresentano la coda dell’infezione da coronavirus. E sulle cui caratteristiche – entità dei sintomi, durata, conseguenze a lungo termine per la salute – la comunità scientifica dovrà lavorare ancora per diversi anni prima di giungere a conclusioni definitive.

Fonte: Repubblica

Long Covid, ricercatori italiani scoprono l’origine della ‘fatigue’: è un deficit di arginina

di Irma D’Aria

https://www.repubblica.it/salute/2023/01/31/news/long_covid_ricercatori_italiani_scoprono_lorigine_della_fatigue_e_un_deficit_di_arginina-385770803/

Secondo i ricercatori del Gemelli di Roma la stanchezza cronica della sindrome post-Covid è associata a un’alterazione nel metabolismo dell’arginina, amminoacido prodotto naturalmente dal nostro organismo

Una stanchezza che non cessa neppure dopo una notte di sonno. Debolezza muscolare, scarsa concentrazione e a volte anche insonnia e tachicardia. Il Covid ha mollato la presa ma sta lasciando strascichi da cui è difficile liberarsi anche a distanza di mesi. Tra chi contrae il virus, il Long Covid colpisce 1 persona su 3, anche tra i giovani.

Fonte: Repubblica

Long Covid e Fatigue: scoperta la causa della Stanchezza

di Redazione Mypersonaltrainer

Signora con la sindrome del Long-COVID che può portare a sensazioni di stanchezza cronica, ansia e depressione
https://www.my-personaltrainer.it/2023/02/13/long-covid-e-fatigue_900x760.jpeg

Introduzione

A distanza di oltre tre anni dallo scoppio dall’emergenza Coronavirus, il Covid-19 sta diventando sempre meno pericoloso, tanto che si è passati dalla fase pandemica a quella endemica. Questo non significa che il rischio di ammalarsi, anche gravemente, si sia annullato e che si possa abbassare la guardia, anche perché sono sempre più numerose le persone che dopo essere guarite lamentano disturbi invalidanti.

Oggi, infatti, a spaventare è soprattutto il Long Covid, con tutte le sue manifestazioni, a cominciare dalla fatigue. Un nuovo studio sembra aver individuato la causa della stanchezza invalidante e potrebbe forse aiutare ad affrontare meglio questa complicanza che rischia di incidere in maniera significativa sulla qualità della vita di chi ne soffre.

Cos’è il Long Covid

Ora che il Covid-19 sembra meno aggressivo, esperti e ricercatori si stanno concentrando in maniera particolare sul Long Covid, una sindrome complessa e ancora sconosciuta in parte che subentra dopo la guarigione dell’infezione acuta e che può durare anche diversi mesi.

Il Long Covid è caratterizzato dalla presenza di alcuni sintomi, come stanchezza, affaticamento, problemi di concentrazione e memoria, dolori diffusi, paralisi dei nervi perifericitachicardiadepressionerespiro affannosoinsonniadebolezza muscolare

Stando alle ricerche condotte fino ad ora, sembra che questa complicanza colpisca più le donne degli uomini, soprattutto tra i 40 e i 55 anni e che abbia un andamento altalenante, ossia che alterni momenti in cui i sintomi peggiorano ad altri in cui si attenuano. Secondo le stime dell’Organizzazione della Sanità, il Long Covid riguarda 65 milioni di persone nel mondo e 17 milioni in Europa. 

Il nuovo studio

Il Long Covid è una sindrome ancora poco conosciuta, ma molto studiata. Uno degli ultimi studi condotti al riguardo è quello della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica Campus di Roma, che sembra aver individuato i meccanismi della stanchezza cronica, uno dei sintomi principali e più diffusi della sindrome.

Gli autori della ricerca hanno scoperto che la prolungata e invalidante spossatezza tipica del Long Covid potrebbe dipendere da un mal funzionamento del metabolismo dell’arginina, un amminoacido che viene prodotto naturalmente dall’organismo e che svolge diverse importanti funzioni. Fra le altre cose, stimola la sintesi dell’ossido nitrico, una molecola cruciale per la circolazione, il sistema immunitario e l’endotelio (lo strato di rivestimento dei vasi sanguigni).

Lo studio ha coinvolto 57 soggetti: 46 persone con Long Covid a otto mesi dalla diagnosi e 11 individui paragonabili per sesso ed età ma senza evidenze di precedenti infezioni da Sars-CoV-2. Il primo gruppo è stato diviso in due sotto gruppi: 23 partecipanti sono stati invitati ad assumere 1,6 grammi di arginina e 500 mg di vitamina C liposomiale per 28 giorni, mentre agli altri 23 è stato somministrato un placebo per lo stesso numero di giorni.

Ebbene, i pazienti che hanno ricevuto il mix di arginina e vitamina C liposomiale hanno avuto importanti miglioramenti.

I commenti degli esperti

“Prima di iniziare il trattamento abbiamo misurato le concentrazioni di arginina nel sangue, osservando livelli significativamente più bassi di arginina nei pazienti con long Covid”, ha dichiarato Francesco Landi, coordinatore dello studio e direttore del Dipartimento di Scienze dell’invecchiamento ortopediche e reumatologiche del Policlinico Gemelli di Roma, ordinario di Geriatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Alla fine dei 28 giorni abbiamo scoperto che le concentrazioni di arginina nel sangue dei pazienti con long Covid è salita, raggiungendo livelli ‘sani’ come quelli rilevati nei pazienti appartenenti al gruppo di controllo”.

“Abbiamo dimostrato per la prima volta che il metabolismo dell’arginina è alterato nei pazienti con long Covid rispetto alle persone senza storia di infezione da Sars-Cov-2″, ha affermato Matteo Tosato, coautore dello studio e Responsabile Unità Operativa Day Hospital post-Covid, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. “L’arginina è un indispensabile amminoacido alla base di molteplici funzioni ed è coinvolta principalmente nella sintesi di ossido nitrico, che gioca un ruolo chiave nella reattività endoteliale in risposta all’esigenza dei diversi tessuti, favorendo un corretto apporto di sangue in relazione alle loro necessità, migliorando così la performance funzionale”.

Long Covid: le cure

È la prima volta che viene scoperto un legame fra la fatigue della sindrome post-Covid e l’alterazione biomolecolare nel metabolismo dell’arginina. I risultati dello studio sono in corso di pubblicazione sulla rivista International Journal of Molecular Sciences. Tuttavia, alcune ricerche avevano già mostrato come l’assunzione di arginina e vitamina C fosse utile nel ridurre la stanchezza cronica.

In effetti, quando il virus invade le cellule del corpo utilizza i loro substrati metabolici, soprattutto le proteine, per duplicarsi. Di conseguenza, le cellule vengono derubate delle sostanze di cui hanno bisogno per svolgere le loro funzioni, che vanno dunque reintegrate dall’esterno per ritornare in forze. 

Al momento, non ci sono approcci terapeutici decodificati su larga scala per trattare il Long Covid. Alcuni esperti suggeriscono di ricorrere all’uso di farmaci nutraceutici contenenti le molecole coinvolte nel metabolismo proteico, essenzialmente aminoacidi essenziali e alcune vitamine. Secondo i ricercatori dello studio, ripristinare i livelli di arginina tramite appositi integratori potrebbe rivelarsi una cura molto efficace.

È utile anche concedersi un po’ riposo, ma senza esagerare: l’attività fisica, infatti, sarebbe necessaria per rimettere in moto le cellule.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila

LONG COVID. UN PAZIENTE SU QUATTRO MOSTRA ALMENO UN SINTOMO DOPO UN ANNO

A distanza di un anno dall’infezione, una persona su quattro lamenta almeno uno dei tre principali sintomi del Covid: tosse, affaticamento e mancanza di respiro. I sintomi persistenti sono associati a malattie autoimmuni e a un aumento di citochine, causa di infiammazioni. E’ quanto emerge da uno studio canadese  pubblicato dall’European Respiratory Journal.

https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=107500

Gran parte delle persone infettate dal virus Sars-CoV-2, il 75%, si riprende dai sintomi più comuni del Covid nell’arco di 12 mesi, indipendentemente dalla gravità della malattia. Tuttavia, dopo un anno, un paziente su quattro mostra ancora uno dei tre principali sintomi della patologia, ovvero tosse, affaticamento e mancanza di respiro.

È quanto emerge da uno studio condotto da un team della McMaster University, in Canada, guidato da Manali Mukherjee. I ricercatori hanno anche evidenziato che i sintomi persistenti sono associati a malattie autoimmuni, così come a un aumento di livelli di citochine, causa di infiammazioni. Lo studio è stato pubblicato dall’European Respiratory Journal.

La ricerca è stata condotta su 106 persone guarite dal Covid, valutate a tre, sei e 12 mesi dopo aver contratto l’infezione. Tutti i pazienti erano sani prima di contrarre il Covid.

Chi mostrava una riduzione degli autoanticorpi e delle citochine faceva registrare un miglioramento dei sintomi. Viceversa, i pazienti che avevano elevati livelli di autoanticorpi e citochine dopo un anno erano quelli i cui sintomi persistevano.

Sulla base di questi risultati, secondo Mukherjee, i pazienti con sintomi persistenti di long Covid dovrebbero consultare un reumatologo, specializzato in malattie autoimmuni, che può valutare meglio lo sviluppo di complicanze reumatologiche e l’eventuale necessità di un intervento precoce.

Fonte: European Respiratory Journal 2022

23 Settembre 2022

Long Covid, test del sangue lo prevede: lo studio

Livelli alti di 20 proteine sono risultati associati a sintomi persistenti a un anno dal contagio

https://www.adnkronos.com/long-covid-test-del-sangue-lo-prevede-lo-studio_5uQuWzTcyiIixFdhhF1wP5

Un esame del sangue eseguito al momento dell’infezione da Sars-CoV-2 promette di prevedere la sindrome Long Covid, individuando i pazienti più a rischio di disturbi a un anno dal contagio. E’ la novità che emerge da uno studio pubblicato su ‘eBioMedicine – The Lancet‘, condotto da ricercatori dell’University College London (Ucl) su piccoli numeri. Se i risultati verranno confermati da indagini più ampie, gli autori prospettano la possibilità di predire la sindrome post Covid-19 offrendo un test già al momento della diagnosi di positività al coronavirus pandemico. Il futuro esame misurerebbe i livelli di una serie di proteine, le cui concentrazioni plasmatiche sono risultate particolarmente alte nei contagiati con sintomi persistenti dopo 12 mesi dall’infezione.

Gli scienziati hanno analizzato campioni di plasma di 54 operatori sanitari con Covid confermato da tampone molecolare o test degli anticorpi, prelevati ogni settimana per 6 settimane nella primavera 2020, confrontandoli con campioni raccolti nello stesso periodo su 102 sanitari che non erano stati contagiati da Sars-CoV-2. Attraverso tecniche mirate di spettrometria di massa, gli autori hanno studiato come Covid-19 influenzava i livelli di proteine plasmatiche nell’arco delle 6 settimane. Hanno così rilevato concentrazioni anomale, molto elevate, per 12 proteine su 91 valutate, evidenziando che il grado di anomalia nelle concentrazioni proteiche era associato alla gravità dei sintomi. Il team ha inoltre osservato che, al momento della diagnosi di positività a Sars-CoV-2, livelli anomali di 20 proteine erano predittivi di disturbi che permanevano a un anno dal contagio. La maggior parte di queste proteine ‘spia’ erano legate a meccanismi anticoagulanti e antinfiammatori.

I ricercatori hanno quindi chiesto aiuto all’intelligenza artificiale, addestrando un algoritmo di apprendimento automatico che ha imparato a esaminare i profili proteici dei partecipanti ed è stato in grado di distinguere tutti gli 11 operatori che 12 mesi dopo l’infezione riferivano almeno un sintomo persistente. Un altro strumento di apprendimento automatico è stato usato per stimare la probabilità che il test avrebbe di sbagliarsi, indicando un possibile tasso di errore del 6%.

“Il nostro studio mostra che anche un’infezione Covid lieve o asintomatica altera il profilo proteico del plasma sanguigno”, spiega Gaby Captur, autrice principale del lavoro che è stato finanziato dal National Institute for Health and Care Research, Great Ormond Street Hospital Biomedical Research Center (Nihr Gosh Brc), dalla British Heart Foundation e dall’ente di beneficenza Barts.

“Il nostro strumento di previsione del Long Covid deve essere validato in un gruppo di pazienti indipendente e più ampio – precisa la scienziata – Tuttavia, secondo il nostro approccio un test che prevede il rischio di Long Covid al momento dell’infezione iniziale” da Sars-CoV-2 “potrebbe essere implementato in modo rapido ed economico. Il nostro metodo di analisi è infatti prontamente disponibile negli ospedali ed è ad alto rendimento, nel senso che può analizzare migliaia di campioni in un pomeriggio”.

“Se riusciamo a identificare le persone che potrebbero sviluppare Long Covid – commenta l’autrice senior Wendy Heywood – questo aprirà la strada alla sperimentazione di trattamenti come antivirali somministrati nelle fasi iniziali dell’infezione, per capire se riescono a ridurre il rischio di Long Covid”.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo

LONG COVID, LE CONSEGUENZE NEUROLOGICHE COLPISCONO DI PIU’ LE DONNE

IL LONG COVID COLPISCE MOLTO DI PIU’ LE DONNE DEGLI UOMINI https://www.repubblica.it/salute/2022/09/23/news/covid_conseguenze_neurologiche_donne-366666999/

di Fabio Di Todaro

I risultati di uno studio italiano confermano: il rischio di andare incontro ai postumi di Covid non dipende solo dalla gravità dell’infezione

Prerogativa soprattutto delle ondate di contagi precedenti a omicron, i sintomi respiratori più gravi provocati da COVID19 (dispnea o mancanza d’aria, dolore toracico, palpitazioni, insufficienza respiratoria) rappresentano una caratteristica principalmente maschile. A differenza, invece, della lunga sequela di disturbi neurologici che gli esperti definiscono Neurocovid e che colpisce più di frequente le donne. Questo è quanto si evince da uno studio pubblicato sul….

Fonte: Repubblica

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo