Repubblica

OSCURARE IL SOLE PER RAFFREDDARE LA TERRA? POTREBBE NON ESSERE UNA BUONA IDEA!

di Luca Fraioli

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2024/03/13/news/oscurare_il_sole_per_raffreddare_la_terra_potrebbe_non_essere_una_buona_idea-422289426/

L’utilizzo della Geoingegneria climatica divide i Paesi. Mettere una sorta di ombrello che ci ripari dalle radiazioni solari abbassando la temperatura globale ha molti detrattori. Pasini: “Si mette a rischio il ciclo globale dell’acqua con conseguenze gravissime”.

13 MARZO 2024 ALLE 07:30

Mettere in orbita una sorta di ombrello che ripari la Terra dalle radiazioni solari, e quindi la raffreddi, presenta al momento più rischi che vantaggi. “È noto che potrebbe avere un impatto sulla biodiversità, sugli oceani e sullo strato di ozono atmosferico“, ha dichiarato al Financial Times Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNE, il programma ambientale delle Nazioni Unite. Il tema, assai controverso, della geoingegneria climatica (opere che potrebbero ridurre il riscaldamento a livello globale) è tornato d’attualità nelle settimane scorse. La prima mossa l’aveva fatta il governo svizzero, sostenuto dal Principato di Monaco, dal Senegal, dalla Guinea e dalla Georgia: in vista di una specifica conferenza Onu sul tema a Nairobi, Berna aveva chiesto creare il primo gruppo internazionale di esperti per “esaminare i rischi e le opportunità della gestione della radiazione solare (Srm)”, una serie di tecnologie in gran parte mai sperimentate prima, volte a oscurare il Sole. Il comitato sarebbe stato composto da esperti nominati dagli Stati membri del programma ambientale dell’Unep e da rappresentanti di organismi scientifici internazionali.

Le tecnologie in discussione mirano a ridurre la quantità di luce solare che raggiunge la superficie del Pianeta. Un risultato che potrebbe essere ottenuto, per esempio, pompando aerosol nell’alta atmosfera, oppure rendendo più bianche, e dunque più riflettenti, le nuvole. Chi sostiene queste opzioni, le ritiene un modo relativamente economico e veloce per contrastare il caldo estremo. Sul fronte opposto, chi dice che ridurrebbero solo temporaneamente l’impatto dell’aumento delle emissioni, senza affrontarne le cause profonde. Tanto che nel 2022 una lettera aperta firmata da più di 400 scienziati chiedeva un “accordo internazionale di non utilizzo” della geoingegneria solare. Vi si affermava inoltre che gli organismi delle Nazioni Unite, compreso l’UNEP, “sono incapaci di garantire un controllo multilaterale equo ed efficace delle tecnologie di geoingegneria solare su scala planetaria”.

E in effetti nella conferenza di Nairobi, svoltasi a fine febbraio, non si è trovato l’accordo su come le Nazioni Unite dovrebbero regolare le controverse tecniche di gestione della radiazione solare. La proposta svizzera non è passata per l’opposizione di un gruppo di Paesi africani che temono che possa legittimare metodi di cui non si conoscono le conseguenze nel medio-lungo periodo. Nazioni come il Kenya sostengono che qualsiasi accordo dovrebbe includere un un patto per non utilizzare le tecnologie in esame. Ma senza l’intesa resta in vigore lo status quo. La gestione della radiazione solare è attualmente legale nella maggior parte dei Paesi. Ma esiste di fatto una moratoria globale sulla geoingegneria – che include l’Srm – dal 2010, quando è stata concordata dai governi nell’ambito della Convenzione sulla diversità biologica, con eccezioni per studi di ricerca scientifica su piccola scala. Per esempio la start-up Make Sunsets ha inviato palloncini di zolfo in cielo negli Stati Uniti e in Messico dalla fine del 2022. E il governo britannico ha recentemente annunciato un programma di ricerca quinquennale sulla realizzazione di “analisi rischio-rischio” delle tecniche SRM (Solar Radiation Management).

Fonte: Repubblica

English translate

DARK THE SUN TO COOL THE EARTH? THIS MAY NOT BE A GOOD IDEA!

The use of climate Geoengineering divides countries. Putting up a sort of umbrella that protects us from solar radiation by lowering global temperatures has many detractors. Pasini: “The global water cycle is being put at risk with very serious consequences.”

Putting a sort of umbrella into orbit that shields the Earth from solar radiation, and therefore cools it, currently presents more risks than advantages. “It is known that it could have an impact on biodiversity, oceans and the atmospheric ozone layer,” Inger Andersen, executive director of UNE, the UN environment programme, told the Financial Times. The highly controversial topic of climate geoengineering (works that could reduce global warming) has become topical again in recent weeks. The first move was made by the Swiss government, supported by the Principality of Monaco, Senegal, Guinea and Georgia: in view of a specific UN conference on the topic in Nairobi, Bern had asked for the creation of the first international group of experts to ” examine the risks and opportunities of solar radiation management (SRM), a largely never-before-tried set of technologies aimed at blotting out the Sun. The committee would be made up of experts appointed by member states of the UNEP environmental programme. and by representatives of international scientific bodies.

The technologies under discussion aim to reduce the amount of sunlight reaching the planet’s surface. A result that could be obtained, for example, by pumping aerosols into the upper atmosphere, or by making clouds whiter, and therefore more reflective. Those who support these options believe they are a relatively cheap and quick way to combat extreme heat. On the other side, there are those who say that they would only temporarily reduce the impact of the increase in emissions, without addressing the root causes. So much so that in 2022 an open letter signed by more than 400 scientists called for an “international non-use agreement” on solar geoengineering. It also stated that United Nations bodies, including UNEP, “are incapable of ensuring fair and effective multilateral control of solar geoengineering technologies on a planetary scale.”

And in fact, at the Nairobi conference, held at the end of February, there was no agreement on how the United Nations should regulate the controversial techniques for managing solar radiation. The Swiss proposal did not pass through the opposition of a group of African countries who fear that it could legitimize methods whose consequences in the medium to long term are unknown. Nations such as Kenya argue that any agreement should include a pact not to use the technologies under consideration. But without the agreement the status quo remains in force. Solar radiation management is currently legal in most countries. But there has been a de facto global moratorium on geoengineering – which includes SRM – since 2010, when it was agreed by governments under the Convention on Biological Diversity, with exceptions for small-scale scientific research studies. For example, start-up Make Sunsets has been sending sulfur balloons into the sky in the US and Mexico since late 2022. And the UK government recently announced a five-year research program into carrying out “risk-to-risk analyses” of SRM techniques (Solar Radiation Management).

Source: Repubblica

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

IL PIANO DELL’EUROPA PER GAZA: UNA CONFERENZA DI PACE E MILITARI UE PER GARANTIRE LA NASCITA DEI DUE STATI

EUROPE’S PLAN FOR GAZA: A PEACE CONFERENCE AND UE SOLDIERS FOR GUARANTEE THE TWO STATES BORNING

Joseph Borrell, il catalano Vice Presidente del Consiglio di Sicurezza dell’Unione Europea a Bruxelles
Joseph Borrell, the catalan EU Security Council Vice President in Bruxelles
https://www.repubblica.it/esteri/2024/01/22/news/gaza_ue_conferenza_pace_sostegno_duestati-421949807/

Il summit dovrebbe disegnare una road map per arrivare alla tregua, al rilascio degli ostaggi e a una nuova amministrazione per Gaza


Bruxelles
 – Una «pace globale» stabile da raggiungere attraverso la costituzione di «Due Stati». Ecco il Piano europeo per provare a trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Il documento è stato presentato ieri dall’Alto rappresentante UE ai 27 ministri degli Esteri. Un piano che prevede una tregua da siglare in tempi brevi per consentire l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza, il rilascio degli ostaggi e il rafforzamento dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e della sicurezza per gli israeliani.

English translate

The summit should draw a road map to reach a truce, the release of the hostages and a new administration for Gaza

Brussels – A stable «global peace» to be achieved through the establishment of «Two States». Here is the European plan to try to find a solution to the Israeli-Palestinian conflict. The document was presented yesterday by the EU High Representative to the 27 Foreign Ministers. A plan that provides for a truce to be signed quickly to allow humanitarian aid to arrive in Gaza, the release of the hostages, the strengthening of the Palestinian National Authority (PNA) and security for the Israelis.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

L’EX-MINISTRO ALLA SALUTE ROBERTO SPERANZA INDAGATO PER OMICIDIO

L’ex-Ministro alla Salute del Governo Draghi Roberto Speranza indagato per omicidio
https://www.laverita.info/speranza-indagato-omicidio-2666336469.html

All’ex-Ministro sono stati contestati i reati di somministrazione di medicinali guasti e falso. Con Roberto Speranza, nel registro della Procura di Roma, è finito anche l’ex-Direttore di AIFA Nicola Magrini, che quando gli segnalarono gli eccessi di mortalità cardiovascolare scrisse: “Ma così si uccide il vaccino…”.

Fonte: La Verità, Direttore: Maurizio Belpietro

Vaccini, Speranza indagato. “La Procura di Roma ha già chiesto l’archiviazione”

Dopo alcuni esposti anche l’ex direttore di Aifa Magrini avrebbe ricevuto un avviso di garanzia

23 NOVEMBRE 2023 ALLE 09:21

https://www.repubblica.it/cronaca/2023/11/23/news/vaccini_speranza_indagato_la_procura_di_roma_ha_gia_chiesto_larchiviazione-421039380/

L’ex ministro alla Salute Roberto Speranza è iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma, insieme all’ex direttore di AIFA Nicola Magrini, dopo gli esposti di alcuni sindacati della polizia e guardia di Finanza e del comitato Ascoltami su presunti danni provocati dal vaccino anti Covid.

A dare notizia dell’inchiesta sono stati il quotidiano La Verità e la trasmissione tv Fuori dal coro del giornalista Mario Giordano.

Fonte: Repubblica

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

LONG COVID, IL RISCHIO E’ CALATO RISPETTO ALLA PRIMA ONDATA

di Roberta Villa

https://www.repubblica.it/salute/2023/10/27/news/covid_durata_long_covid_varianti-418827421/

Secondo uno studio inglese, la possibilità di trascinarsi il malessere per oltre un anno oggi è inferiore di quasi il 90% rispetto al passato. Ma i casi sono ancora tanti.

27 OTTOBRE 2023 ALLE 05:32

Oltre che con il numero di nuovi casi, decessi e ricoveri ospedalieri, l’impatto a medio e lungo termine di Covid-19 si misura anche con il carico sanitario, umano, sociale ed economico di chi soffre per un malessere cronico capace di incidere, talvolta in maniera significativa, sulla propria qualità di vita. Ma quanti sono i cosiddetti ‘guariti‘, che in realtà, a distanza di mesi, non lo sono affatto, ma, nonostante i tamponi ormai negativi, risentono ancora dell’infezione? E quali sono i fattori che facilitano il passaggio da quel che qualcuno considera solo un raffreddore passeggero a una situazione che talvolta arriva a essere invalidante?

https://www.repubblica.it/salute/2023/10/27/news/covid_durata_long_covid_varianti-418827421/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

STIAMO ELIMINANDO INTERI RAMI DELL’ALBERO DELLA VITA, AD UN RITMO MAI VISTO IN PRECEDENZA

di Simone Valesini

Un esemplare di baiji, o delfino dello Yangtze (Lipotes vexillifer) 
https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/21/news/estinzione_specie_animali_a_un_ritmo_mai_visto_in_precedenza-415061746/

In 500 anni abbiamo portato all’estinzione un numero di generi animali che avrebbe impiegato 18mila anni a sparire per cause naturali

21 SETTEMBRE 2023 ALLE 05:00

Le estinzioni avvengono più o meno da quando esiste la vita sul nostro pianeta. Ma la nostra specie sta facendo di tutto per renderle più comuni, e drammatiche, di quanto non sia mai stato in passato. La velocità con cui si estinguono le specie animali da quanto l’Homo sapiens è entrato in scena sta portando infatti alla sparizione di interi generi di creature viventi con una velocità 35 volte superiore a quella registrata in media nell’ultimo milione di anni. E il risultato, stando a uno studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences da un team di ricercatori americani e messicani, è un’impressionante “mutilazione dell’albero della vita”, da cui la biodiversità del nostro pianeta rischia di impiegare milioni di anni per riprendersi.

Fino ad oggi, l’attenzione della comunità scientifica si era concentrata fondamentalmente sul monitoraggio dello stato di conservazione delle specie. Ma la tassonomia del mondo animale è più complessa di così. E se ogni estinzione è un evento drammatico per la conservazione della biodiversità del nostro pianeta, alcune lo sono forse più di altre. Prendiamo alcune delle più recenti vittime dell’attività umana: i piccioni migratori (Ectopistes migratorius), le tigri della Tasmania (Thylacinus cynocephalus) e i baiji, o delfini dello Yangtze (Lipotes vexillifer). Tutte specie estinte (o quasi, nel caso dei delfini di acqua dolce cinesi), che erano anche l’unica specie conosciuta all’interno del proprio genere, cioè di quel raggruppamento tassonomico che contiene le specie strettamente imparentate tra loro, ma abbastanza diverse da non potersi più riprodurre tra loro dando origine a prole fertile (almeno nella maggioranza dei casi).

La cosa è rilevante, perché – come fanno notare gli autori del nuovo studio – la scomparsa di una specie può essere rimpiazzata con relativa facilità dall’evoluzione, visto che le specie appartenenti allo stesso genere sono estremamente simili sul profilo genetico, e possono facilmente riempire la nicchia ecologica lasciata vacante, mantenendo un potenziale evolutivo più o meno identico a quello della specie estinta.

Quando è un genere intero a sparire – o ancora peggio, intere famiglie o ordini di esseri viventi – servono invece milioni di anni perché l’evoluzione plasmi un sostituto funzionalmente paragonabile, e il potenziale evolutivo che racchiudeva in sé è perso per sempre. La perdita in termini di biodiversità che avviene quando è un intero ramo dell’albero della vita a sparire, quindi, è ben più drammatica, e impiega molto più tempo per essere compensata dall’evoluzione.

Sollevando lo sguardo dalle singole specie, il nuovo studio ha indagato lo stato di salute dell’albero della vita guardando ai suoi rami, generi, famiglie e così via, trovando purtroppo una situazione desolante. Negli ultimi 500 anni, infatti, all’interno dei tetrapodi (cioè della superclasse di cui fanno parte mammiferi, uccelli, rettili e anfibi) sono andati estinti due ordini, 10 famiglie, e 73 generi di essere viventi. Basandosi sui tassi storici di estinzione dei generi nei mammiferi, i tassi degli ultimi 500 anni sono 35 volte superiori a quelli visti nell’ultimo milione di anni. In cinque secoli, l’uomo ha fatto quello che catastrofi e altri fenomeni naturali impiegano più di 18mila anni a fare. Una situazione per la quale gli autori della ricerca ritengono riduttivo utilizzare il termine “estinzione di massa”, e che preferiscono definire un autentico “annientamento biologico”.

“In qualità di scienziati, dobbiamo cercare di essere cauti ed evitare gli allarmismi”, commenta Gerardo Ceballos, dell’Istituto di Ecologia dell’Università nazionale autonoma del Messico. “Ma la gravità dei nostri risultati in questo caso ci obbliga ad usare un linguaggio più forse del solito: sarebbe poco etico non spiegare la magnitudine del problema, visto che sia noi che gli altri scienziati siamo molto preoccupati”.

Che fare dunque? Da un lato, bisognerebbe concentrare gli sforzi di conservazione dove hanno più probabilità di fare la differenza: quindi ai tropici, dove si concentrano la maggior quantità di generi andati estinti, e di animali che rappresentano l’ultima specie vivente all’interno del proprio genere. Dall’altro – come nel caso dei cambiamenti climatici – il problema andrebbe risolto modificando radicalmente le nostre società e il nostro stile di vita e di crescita. “La dimensione e la crescita costante della popolazione umana, la scala in continuo aumento dei suoi consumi, e il fatto che vi siano enormi disuguaglianze in questi consumi, sono tutti parte integrante del problema”, scrivono gli autori dello studio. “L’idea che si possa continuare in questo modo, e salvare al contempo la biodiversità, è priva di senso”.

Fonte: Repubblica

Stiamo eliminando interi rami dell’#alberodellavita, a un ritmo mai visto in precedenza #SimoneValesini #Repubblica

https://x.com/bralex84/status/1706576037558059151

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

ORSI UCCISI E CONFINI RISTRETTI: IL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO NON E’ PIU’ UN MODELLO

di Corrado Zunino

L’orsa Amarena in una foto di Valerio Minato scattata il 30 giugno 2023 (Ansa)
https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/04/news/orsi_uccisi_e_confini_ristretti_parco_dabruzzo_non_e_piu_modello-413262446/

Sono 153 i marsicani bruni morti dal 1970, l’80 per cento per colpa dell’uomo. L’area resta in bilico tra protezione e sviluppo anti-ambientale. Il direttore Sammarone: “Dove è stata uccisa Amarena troppe catapecchie e pollai abusivi”

04 SETTEMBRE 2023 AGGIORNATO ALLE 16:51

ROMA – Lo sparo che ha bucato il polmone di Orsa Amarena ha lacerato la fama del modello Abruzzo, il Parco in armoniosa sintonia con la popolazione della Marsica. I cervi superstar sulle passeggiate di Villetta Barrea, i grifoni che volano a centinaia nei tramonti del Velino, sono stati reintrodotti trent’anni fa dopo essere scomparsi da tutto l’Appennino centrale. Quindi gli orsi bruni marsicani, che a partire da Amarena, la più bella, e i suoi due cuccioli avevano trovato nel Comune di Villalago, quattrocento abitanti poggiati sulle Gole del Sagittario, un luogo sicuro per scendere dal Monte Argatone… 

https://x.com/bralex84/status/1704503176848720344

Orsi uccisi e confini ristretti, il Parco d’Abruzzo non è più un modello

L’orsa Amarena ed i suoi cuccioli attraversano la strada il 30 Giugno 2023
https://www.informazione.it/a/F803F49F-ABEC-42A7-ACC0-200BB504E417/Orsi-uccisi-e-confini-ristretti-il-Parco-d-Abruzzo-non-e-piu-un-modello

04/09/2023

ROMA – Lo sparo che ha bucato il polmone di Orsa Amarena ha lacerato la fama del modello Abruzzo, il Parco in armoniosa sintonia con la popolazione della Marsica. I cervi superstar sulle passeggiate di Villetta Barrea, i grifoni che volano a centinaia nei tramonti del Velino, sono stati reintrodotti trent’anni fa dopo essere scomparsi da tutto l’Appennino centrale. Quindi… (la Repubblica)

La notizia riportata su altri media

“Dopo 4 giorni di ricerche ininterrotte abbiamo la consapevolezza che i cuccioli dovrebbero essere entrambi ancora vivi e che si sono separati”, si legge in una nota pubblicata su Facebook dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. (la Repubblica)

Ebbene, tanto per essere chiari, mettendo i puntini sulle i, lo sciagurato uccisore dell’orsa Amarena è un “ex” cacciatore, uno che, per l’esattezza, non ha più la licenza di caccia da oltre 15 anni. (BigHunter)

I due cuccioli di Amarena si sono separati. È quanto emerge dal bollettino odierno del Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise sulla ricerca e i tentativi di cattura dei due piccoli orsi marsicani. (La Stampa).

Minacce online all’uomo che ha ucciso l’orsa Amarena: sporge denuncia
Un corteo dedicato a mamma orsa Amarena: sabato nove ettembre, ore 15.30 in Piazza della Pace a Parma. Il corteo è stato organizzato per protestare contro la sperimentazione sui macachi, ma le associazioni animaliste hanno deciso di dedicarlo all’orsa simbolo dell’Abruzzo, con lo slogan “siamo tutti Amarena”. (Sardegna Reporter)

«Dopo 4 giorni di ricerche ininterrotte abbiamo la consapevolezza che i cuccioli dovrebbero essere entrambi ancora vivi e che si sono separati». Così in una nota pubblicata su Facebook il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise riferendosi ai piccoli d’orso bruno marsicano — di circa 8 mesi — fuggiti dopo la morte della mamma Amarena, uccisa con una fucilata, nella radura di San Benedetto dei Marsi, nell’aquilano. (Corriere della Sera)
Sono state inviate minacce di morte all’uomo che ha sparato e ucciso l’orsa Amarena nella notte del 31 agosto 2023. (Kodami)

Fonte: Informazione.it

https://x.com/bralex84/status/1704570817235833034

Ricordo che l’attuale Vice Presidente della Giunta Regionale #Abruzzo #EmanueleImprudente, di cognome e di fatto, è delegato alla #caccia che ha fatto tagliare 10 mila ettari dalla superficie protetta di 70 mila ettari che componevano il #ParcoRegionaleSirenteVelino.

https://x.com/bralex84/status/1704576206274785517

I remember that the current Vice President of the #Abruzzo Regional Council #EmanueleImprudente, in surname and in fact, is delegated to the #hunting who cut 10 thousand hectares cut from the protected area of ​​70 thousand hectares that made up the #SirenteVelinoRegionalPark.

https://x.com/bralex84/status/1704576567978889560

Sirente-Velino, un taglio fuori dalla realtà

STORIE. La Regione Abruzzo motiva il taglio di 10 mila ettari di Parco naturale per presunti «disagi socio-economici e demografici dei comuni inclusi nell’area protetta». Ma sindaci e associazioni denunciano altri interessi

Serena Giannico

Disagi socio-economici e conseguentemente demografici, lamentati nei territori, come diretta conseguenza della loro totale inclusione nel perimetro dell’area protetta».

È LA MOTIVAZIONE con cui la Regione Abruzzo – con ok della maggioranza di centrodestra del Consiglio regionale lo scorso 18 maggio – ha adottato la «Nuova disciplina del Parco naturale regionale Sirente – Velino con revisione dei confini». Una leggina che ha tagliato circa 10mila dei complessivi 54.361,22 ettari del Parco, nato nel 1989 e che annovera Zone speciali di conservazione (Zsc), una Zona di protezione (Zps) e diversi Siti di interesse comunitario (Sic), istituiti dall’Unione Europea. La riperimetrazione, arrivata in barba alle 125 mila firme raccolte dagli ecologisti e ai 18 mila e più emendamenti presentati dai gruppi di opposizione (5Stelle con Giorgio Fedele e Pd con Pierpaolo Pietrucci), era già stata approvata dalla Giunta il 15 giugno dell’anno passato, in piena pandemia da Covid-19, su proposta del vice presidente della Regione, il leghista Emanuele Imprudente, con deleghe ad Ambiente e Parchi e Riserve Naturali, ma pure alla Caccia.

ALLA SUA STESURA HA LAVORATO Igino Chiuchiarelli, agronomo di Ovindoli (AQ), funzionario della Regione, di cui è responsabile dell’Ufficio Parchi e Riserve. Ma lui è anche commissario del Parco Sirente-Velino e, si vocifera, prossimo direttore del Parco. Una leggina il cui testo, almeno quello portato in aula, appare a tratti vago, non definendo neppure l’esatta misura dei tagli. Voluti – a detta di Imprudente – dai Comuni del Parco, sia quelli della Valle Subequana che dell’Alto Aterno, ai quali viene addossata la scelta dell’operazione, che è, nelle intenzioni di chi l’ha avallata, «una revisione dell’apparato normativo a seguito delle mutate esigenze» della realtà; «dell’emergenza dei danni alla fauna selvatica, soprattutto cinghiali, che hanno generato situazioni di conflitto e rilevanti problemi» e «delle difficoltà connesse alla ricostruzione post terremoto che trova rallentamenti procedurali».

INSOMMA I MALI DEL TERRITORIO generati dal Parco: dallo spopolamento, agli assalti degli ungulati; ai centri abitati che, a 12 anni dal sisma del 2009, faticano a ritrovare una propria identità e a rimettersi in piedi, infognate in una stagnazione a causa della burocrazia made in Italy. E allora via, meglio dargli una ridimensionata, per renderlo, come è stato evidenziato, «più funzionale alle esigenze delle comunità locali ed espressione della volontà popolare». Da qui l’accettata che si è abbattuta sulle montagne marsicane, con polemiche fiorite in ogni dove. E col presidente della Regione, Marco Marsilio, che respinge «la presunzione di qualche borghese radical chic che sta nei salotti dei Parioli e pretende di dire a chi vive sul Velino come deve farlo, se può fare una staccionata o se deve adibire un posto a pascolo». «Frase priva di fondamento – ribatte il Wwf – e pronunciata da uno che con l’Abruzzo c’entra come gli arrosticini cotti in padella» (il Presidente della Regione è un tecnico romano “paracadutato” da Giorgia Meloni qui in Abruzzo).

PARTITI, MOVIMENTI E ASSOCIAZIONI contestano la riforma, promettono battaglia e gridano allo scandalo parlando, con l’eliminazione dei vincoli, di «via libera a doppiette, speculatori e disboscamento». La questione è approdata anche in Parlamento con la deputata del Movimento Cinque Stelle Patrizia Terzoni e col segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni che, come sollecitato pure da Legambiente, chiedono al ministro della Transizione ecologica e a quello degli Affari regionali «l’impugnativa davanti alla Corte Costituzionale della norma appena sarà pubblicata sul Bollettino ufficiale» e comunque «quali iniziative il Governo intende assumere».

IN MEZZO, CON LE LORO RAGIONI, ci sono i sindaci dei borghi del Parco ai quali viene addebitata la responsabilità dell’accaduto. Ma non tutti sono per la sforbiciata. L’ex primo cittadino di Acciano (AQ) e consigliere regionale Americo Di Benedetto non l’ha votata, astenendosi: «È un’operazione che interessa una porzione di territorio con equilibri e criticità particolarmente delicati. Occorre quindi che vi sia la piena consapevolezza di ciò che si sta facendo e di quali siano le conseguenze. Prima di qualsiasi modifica serve una valutazione tecnico-scientifica». A Ocre, 23 chilometri quadrati e circa mille residenti, il sindaco, Gianmatteo Riocci, ha invece sollecitato, come fatto anche dal suo predecessore, Fausto Fracassi, l’ampliamento della porzione di territorio ricadente nel Parco. «Vogliamo – fa presente – che la frazione di San Panfilo, il capoluogo, dove ha sede il municipio, e quella di San Martino, già salvaguardati, entrino nel Parco. Siamo convinti della necessità di un futuro ecocompatibile e sostenibile, legato al turismo». E racconta, Riocci, dei sentieri escursionistici, per passeggiate, anche in bici, delle doline, del convento di Sant’Angelo, del monastero di Santo Spirito, delle antiche rovine del castello. Mettiamo in campo la valorizzazione di questo patrimonio che ci è stato donato». Ma nella riforma appena attuata, la richiesta del suo Comune, di includere nel Parco il 40% in più del territorio, è stata dimenticata. O depennata. Sparita, inghiottita tra le scartoffie. «C’era il nulla osta delle varie Commissioni, ma in Consiglio è stato stabilito altro. Mi dovranno spiegare che è successo», chiude Riocci. «I Comuni ascoltati a senso unico…», tuona ancora il Wwf. «L’aspetto amministrativo indecente – rileva Enrico Perilli, della segreteria regionale di Sinistra italiana – è che i Comuni che si sono battuti contro il Parco, hanno però lasciato una piccola parte di territorio al suo interno, al fine di prendere finanziamenti e partecipare alla governance. La Regione ha generato confusione, perché per effettuare interventi nei Sic sarà comunque necessario espletare le procedure di VINCA (Valutazione di INCidenza Ambientale) e VAS (Valutazione Ambientale Strategica), ma senza più i previsti vantaggi in termini di promozione e compensazione dello stare all’interno di un Parco».

POI CI SONO LE PECULIARITÀ ambientali. Ci sono i luoghi di riproduzione del lupo, i corridoi del passaggio dell’orso bruno marsicano, a rischio estinzione; i siti con nidi dell’aquila reale e del gufo reale, gli habitat di chirotteri rarissimi. «Allo stato attuale – riprende Perilli – l’orsa Amarena potrebbe transitare in posti esclusi dal Parco e finire in una braccata al cinghiale, tecnica venatoria aggressiva, ed essere uccisa o separata dai cuccioli (Ha previsto lui la morte di Amarena il 31 Agosto 2023?). È inaccettabile che la Regione, firmataria di protocolli a protezione di questa specie, citiamo ad esempio il PATOM (Piano d’Azione nazionale per la Tutela dell’Orso bruno Marsicano), continui a predicare bene e a razzolare male». Tra l’altro sono stati allentati i divieti in zone dove il bracconaggio non manca. «È di qualche settimana fa – racconta Perilli – il ritrovamento di una cerva stretta in un laccio d’acciaio, pratica primitiva e violenta». Intervenuti Asl e carabinieri forestali. L’animale è stato salvato.

Fonte: Il Manifesto, Quotidiano Comunista

#Extraterrestre #ParcoRegionaleSirenteVelino, un #taglio fuori dalla realtà #IlManifesto 27 Maggio 2021

https://x.com/bralex84/status/1704578349878620417

Personalmente, propongo l’introduzione di due misure urgenti da tenere in forte considerazione per evitare che possano accadere di nuovo simili attentati minanti la vita della fauna selvatica in Abruzzo:

  1. dotare di radiocollari GPS soltanto quegli esemplari che tendono spesso ad uscire dai confini del territorio protetto e l’orsa Amarena era una di questi, avendo sconfinato più volte: tendo a ricordare in tale sede che non esiste la nomenclatura di orso “confidente” o “problematico”, come coniato dal nazista priebkiano Presidente della Provincia Autonoma di Trento Maurizio Fugatti, di problematici esistono soltanto quegli esseri umani che non conoscono il modus comportamentalis da adottare quando avvistano o entrano in contatto diretto con un orso e questo aspetto necessita da parte del Parco il dovere di potenziare le proprie campagne di sensibilizzazione ed informazione della popolazione miranti al rispetto della fauna selvatica, ma anche di lanciare moniti ad agricoltori e a cacciatori di non creare trappole con esche per attirare la fauna selvatica, trasformarla in confidente attirandola a sé per poi ucciderla, come sta succedendo già da mesi in alcuni Parchi del Nord Italia, perché questo è un modo di comportarsi subdolo, meschino, riprovevole e tipico dei criminali da malavita organizzata, non da persone civili e rispettose della vita animale: https://www.055firenze.it/art/203621/Campi-trappole-ed-esche-avvelenate-per-catturare-istrici-denunciato-un-uomo https://twitter.com/bralex84/status/1697602763289465024;
  2. costruire recinti elettrificati attorno ai suoli agricoli ricadenti all’interno del territorio protetto dal Parco a spese del servizio tecnico del Parco stesso, per impedire alla fauna selvatica di entrare nei suoli, di cibarsi dei raccolti agricoli degli agricoltori e doverli indennizzare ogni anno.
https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/abruzzo-corte-costituzionale-stop-legge-taglia-parco/#:~:text=La%20Corte%20Costituzione%20dichiara%20illegittima%20la%20Legge%20Regionale%20che%20voleva,del%20Parco%20Regionale%20Sirente%20Velino.&text=La%20Corte%20Costituzionale%20si%20è,regionale%20Sirente%20Velino%20è%20illegittimo!

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO MANDA IN CRISI LA PRODUZIONE DI OLIO IN EUROPA

di Paola Arosio

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/19/news/cambiamenti_climatici_produzione_olio-414581953/

Le stime si avranno a fine raccolto ma le previsioni sono negative. La siccità e le alte temperature, dalla Spagna alla Grecia e all’Italia, rischiano di far abbassare la raccolta di olive di un terzo rispetto agli anni passati con un conseguente aumento dei prezzi

19 SETTEMBRE 2023 ALLE 03:44

Con l’autunno alle porte, gli agricoltori si preparano per la tradizionale raccolta delle olive, a mano o con l’ausilio di macchinari. Convogliate nelle reti, le drupe finiscono poi nelle ceste o nei sacchi di iuta, iniziando così il loro viaggio verso il frantoio. Quest’anno, però, a causa del caldo estremo e della siccità provocati dai cambiamenti climatici, in Europa la realizzazione di olio è a rischio. In particolare, nonostante l’entità del danno non sarà nota fino al termine del raccolto, gli esperti sostengono che la produzione europea potrebbe diminuire di 700mila tonnellate, un calo di oltre il 30% rispetto alla media degli ultimi cinque anni.


I problemi dell’Andalusia

La nazione più colpita è la Spagna, il maggiore fornitore mondiale di olio di oliva. Qui le ondate di calore sono cominciate ad aprile e si sono susseguite per tutta l’estate, con picchi superiori ai 40 gradi. La situazione era tale che, a maggio, il vescovo Sebastián Chico Martínez della città di Jaén, in Andalusia, ha guidato una processione religiosa durante la quale i fedeli hanno invocato la pioggia per gli uliveti. “Senza acqua non c’è ulivo e, senza ulivi, la nostra provincia soffre”, disse allora il presule. Fatto sta che il prossimo raccolto non promette nulla di buono. “Il clima resta sfavorevole”, considera Kyle Holland, analista di Mintec, azienda di ricerche di mercato. “Pertanto si prevede che la resa sarà di nuovo molto scarsa, ancora una volta al di sotto della media storica”.

Da Creta alla Tracia

Anche in Grecia i produttori sono scoraggiati. “L’aumento termico ha favorito sia la diffusione della mosca dell’olivo, sia la scarsa fruttificazione”, lamenta Ioannis Kampouris, produttore della regione della Corinzia, nel Peloponneso. Secondo le stime, durante la prossima stagione verranno probabilmente prodotte circa 200mila tonnellate di olio, a fronte delle oltre 300mila dello scorso anno. Nel frattempo, a Creta, gli agricoltori attendono uno dei peggiori raccolti mai registrati sull’isola. “Consiglio ai consumatori di risparmiare l’olio di quest’anno per usarlo anche l’anno prossimo”, suggerisce l’agronomo Manolis Gelasakis. Problemi riscontrati anche a Lesbo, dove gli ultimi tre inverni sono stati particolarmente caldi. “La fioritura degli ulivi è ridotta. Anzi, peggio, non tutti i fiori si sono trasformati in frutti”, constata il produttore Stratis Sloumatis. Non va meglio in Tracia, dove scarseggiano le olive Makri, una varietà autoctona che produce l’omonimo olio, certificato con la Denominazione di origine protetta.

Precarietà in Italia

Rispetto a Spagna e Grecia, nel nostro Paese la situazione è meno critica. “Ancora non disponiamo di proiezioni esatte”, spiega Nicola Di Noia, direttore generale del Consorzio olivicolo italiano Unaprol, amministratore delegato di Fondazione Evoo School e presidente del Centro assistenza agricola Coldiretti. “Se prossimamente pioverà la produzione sarà in linea con le aspettative e le annate precedenti. Se, invece, non pioverà avremo difficoltà. Anche se la realtà italiana è a macchia di leopardo, con rilevanti differenze tra le varie regioni e province. Tuttavia, visti i cambiamenti del clima, è ormai indispensabile contrastare l’andamento altalenante e l’incertezza della produzione con politiche più attente all’impiego dell’acqua. Da anni la nostra associazione chiede di mettere in atto procedure finalizzate a raccogliere e conservare l’acqua piovana, per poterla utilizzare nei momenti di criticità. Per fare ciò servono investimenti, attrezzature, infrastrutture, che speriamo vengano implementati grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.


Il “nodo” dei prezzi

Carenze e incertezza avranno effetti sul mercato, facendo probabilmente lievitare i prezzi. Gli analisti si chiedono se, a questo punto, i consumatori continueranno ad acquistare l’olio d’oliva o preferiranno optare per altri oli. “In proposito ci vuole una politica culturale che promuova i prodotti di qualità presso gli acquirenti”, sostiene Di Noia, “perché certamente l’olio extravergine costa di più rispetto alle miscele di oli, ma è un insostituibile alleato del gusto e della salute”. Non per niente è considerato il re della dieta mediterranea, che – portafoglio permettendo – non dovrebbe mai mancare sulla nostra tavola.

Fonte: Repubblica

https://x.com/bralex84/status/1704428845691031588

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

LA FOTOSINTESI E’ A RISCHIO? COSA SAPPIAMO DEGLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE SULLE PIANTE

di Paola Arosio

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/18/news/fotosintesi_a_rischio_causa_cambiamenti_climatici-414478820/

Un esperimento condotto nelle foreste di Sud America, Africa e Sud-Est asiatico dimostra che l’attività vitale della vegetazione rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7°C

18 SETTEMBRE 2023 ALLE 03:00

Deforestazione, incendi, siccità sono i principali nemici delle foreste tropicali, il polmone verde del nostro pianeta. A queste minacce si aggiunge ora una nuova insidia: il riscaldamento globale, che potrebbe mettere a rischio la fotosintesi, processo attraverso il quale le piante convertono anidride carbonica, luce del sole, acqua in energia necessaria per crescere, fissando il carbonio nelle foglie, negli steli, nelle radici. Un’attività vitale, che rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7 gradi.


In un recente studio pubblicato su Nature, un gruppo internazionale di scienziati ha misurato le temperature raggiunte nella parte superiore delle chiome degli alberi, esposte direttamente ai raggi solari, nelle foreste di Sud America, Africa, Sud-Est asiatico. La rilevazione è stata effettuata combinando i dati derivanti dall’Ecosystem spaceborne thermal radiometer experiment on space station (Ecostress), un satellite della Nasa, che possiede un’elevata risoluzione spaziale e temporale, a 400 chilometri dalla Terra, e le osservazioni effettuate sul campo, applicando appositi sensori al fogliame. “Ci siamo focalizzati non sulle temperature medie, ma sugli estremi. E abbiamo scoperto che le prime si aggirano intorno ai 34 gradi, mentre i picchi superano i 40 gradi”, rendo noto Christopher Doughty, professore di eco-informatica alla Northern Arizona University e uno degli autori della ricerca.


Dall’analisi è emerso che lo 0,01% delle foglie supera, almeno una volta all’anno, la soglia di temperatura critica con danni irreversibili alla capacità di fotosintesi. “Quando ciò accade le foglie imbruniscono, i loro pori si chiudono e la traspirazione si riduce, impedendo loro di raffreddarsi. Fino a che sopraggiunge la morte”, spiega Martijn Slot, eco-fisiologo vegetale allo Smithsonian Tropical Research Institute di Panama, che ha firmato lo studio.
 

L’attuale percentuale, sebbene esigua, potrebbe aumentare. I ricercatori hanno svolto, in proposito, tre esperimenti, uno in Brasile, un altro in Australia, un altro ancora a Porto Rico, in cui foglie e rami sono stati riscaldati per valutare gli effetti. È stata così evidenziata una relazione non lineare tra l’aumento della temperatura dell’aria e l’incremento di quella delle foglie. Per esempio, una crescita della temperatura atmosferica di 2-3-4 gradi mostra un innalzamento della temperatura delle foglie rispettivamente di 8,1-6,1-8 gradi. Secondo il modello, se l’aria dovesse innalzarsi di circa 4 gradi, l’1,4% delle foglie supererebbe il livello critico, causando potenzialmente un’ampia perdita di fogliame e la morte dell’albero.


“Il rischio è significativo se si considera che le foreste tropicali coprono circa il 12% della superficie del pianeta e ospitano una moltitudine di specie”, afferma Doughty. Altri esperti sono più cauti. Chloe Brimicombe, scienziata del clima all’Università di Graz, in Austria, afferma che, “considerato il numero limitato di foglie che raggiungono la temperatura critica e l’elevato riscaldamento che sarebbe necessario raggiungere prima di provocare un danno su vasta scala, le foreste tropicali dovrebbero essere, almeno in teoria, abbastanza resilienti al cambiamento climatico”.
 

Un plauso al lavoro svolto viene dal Centro di ricerca tedesco per le geoscienze di Potsdam, dove la ricercatrice Viola Heinrich, non coinvolta nello studio, sostiene che “l’analisi è approfondita” e i dati “sono precisi, il che corrobora la validità dei risultati complessivi e le loro implicazioni”. Di parere analogo è Stephanie Pau, scienziata alla Florida State University, che ribadisce che la ricerca è “innovativa e preziosa”, svolta “con una metodologia solida”.

Gli autori concludono che, nonostante le incertezze, lo studio fornisce spunti importanti, da tenere in considerazione. Joshua Fisher, scienziato del clima alla Chapman University, in California, coinvolto nel lavoro, chiosa: “è importante rilevare un fenomeno critico prima che si diffonda, quando ancora possiamo agire”. Il futuro degli alberi (e dell’intero pianeta) è nelle nostre mani.

Fonte: Repubblica

La #fotosintesi è a rischio? Cosa sappiamo degli effetti del #riscaldamentoglobale sulle #piante #Repubblica

https://x.com/bralex84/status/1704427482466722065

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

IL PROGETTO DI GOOGLE (E BILL GATES) PER CANCELLARE LE SCIE CHIMICHE CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

di Emanuele Capone

https://www.repubblica.it/tecnologia/2023/08/09/news/google_scie_chimiche_geoingegneria_bill_gates_ia-410541984/

Accordo con American Airlines e Breakthrough Energy per ridurre la formazione delle scie di condensazione, facendo volare gli aerei su rotte migliori. Lo scopo è evitare gli effetti negativi sul clima


Scie di condensazione, residui di sostanze diffuse nell’aria da aerei complici, esempio indiscutibile del cloud seeding e della geoingegneria? Le scie chimiche sono fra gli argomenti più discussi dell’ultima ventina d’anni, e probabilmente lo saranno ancora di più ora che Google ha deciso di provare a eliminarle. O almeno a ridurle.

Come anticipato dal New York Times, l’azienda di Mountain View ha firmato un accordo con la compagnia aerea American Airlines e con Breakthrough Energy, un’associazione (fondata da Bill Gates) che raccoglie fondi per contrastare il cambiamento climatico, allo scopo di utilizzare l’intelligenza artificiale per raccogliere immagini satellitari, dati meteorologici e percorsi di volo per sviluppare mappe di previsione delle scie di condensazione (che è poi quello che sono davvero le cosiddette scie chimiche), così che i piloti possano scegliere rotte che evitino di crearle.

Da Google hanno ricordato che quelle sottili linee bianche che spesso si vedono al passaggio degli aeroplani sarebbero responsabili di circa il 35% dell’impatto dell’aviazione sul riscaldamento globale secondo il rapporto IPCC del 2022 (pdf).

Secondo quanto spiegato, un gruppo di piloti di American Airlines ha effettuato 70 voli di prova nell’arco di 6 mesi utilizzando le previsioni basate sull’IA di Google per evitare le altitudini che potessero creare le scie: i voli in cui i piloti hanno usato queste previsioni hanno ridotto le scie del 54% rispetto a quelli in cui i piloti non le hanno utilizzate, dando prova che i voli commerciali possono evitare in modo verificabile le scie di condensazione e quindi ridurre il loro impatto sul clima.

Qual è il problema delle scie di condensazione

Come è noto, queste scie si sviluppano quando gli aerei volano attraverso strati di umidità: si formano dal vapore acqueo, esattamente come le nuvole, e proprio come le nuvole possono restare nel cielo per minuti o anche per ore, a seconda delle condizioni atmosferiche.

Se da un lato possono riflettere la luce solare nello Spazio durante il giorno, dall’altro intrappolano grandi quantità di calore che altrimenti lascerebbero l’atmosfera terrestre: amplificano in qualche modo l’effetto serra, aumentando il riscaldamento. L’idea è che evitare di volare attraverso aree più propense a creare scie di condensazione possa ridurre il riscaldamento con un impatto minimo sul consumo di carburante. Questo è un aspetto che è stato approfondito nei test con gli aerei di AA e che avrebbe dato risultati confortanti: non solo i voli che hanno cercato di evitare la creazione di scie di condensazione hanno bruciato appena il 2% di carburante in più, ma studi recenti hanno dimostrato che basterebbe regolare una piccola percentuale di voli per evitare la maggior parte del riscaldamento dovuto alle scie. In sintesi, l’impatto totale sul carburante potrebbe essere pari allo 0,3% dei voli di una compagnia aerea, pari a 5-25 dollari per tonnellata di CO2 non immessa nell’atmosfera.

Non sono stati forniti dettagli su come l’intelligenza artificiale riuscirà a rendere tutto questo possibile, ma è probabile che lo farà come già lo fa per le previsioni meteorologiche o per stimare (anche in Italia) le precipitazioni e i conseguenti allagamenti: immagazzinando quantità enormi di dati, serie storiche sulla formazione di scie di condensazione a una determinata ora di un determinato giorno di un determinato mese, ora per ora, giorno per giorno e mese per mese, combinando tutto con le varie altitudini cui gli aerei possono volare. Appunto sino a calcolare le rotte migliori per evitarne la formazione. O per nasconderle, come direbbero i complottisti.

@capoema

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

CRISI CLIMATICA, IL SONDAGGIO: L’ECO-ANSIA TOCCA SETTE ITALIANI SU DIECI

Commissionato da Repubblica il test dell’Istituto Noto sul rapporto tra i cittadini e il timore per il futuro. A partire dalle lacrime della giovane Giorgia davanti al ministro Pichetto Fratin

03 AGOSTO 2023 ALLE 01:00

Non sono solo i giovani a soffrire di eco-ansia. Il 72% degli italiani dichiara di essere pessimista per il futuro ed è convinto che la situazione ambientale peggiorerà nei prossimi anni. Il neologismo è entrato a far parte del dibattito pubblico degli ultimi giorni dopo il confronto fra la giovane Giorgia Vasaperna e il Ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, sui timori delle conseguenze della crisi climatica.

https://www.repubblica.it/cronaca/2023/08/03/news/crisi_climatica_sondaggio_ecoansia-409874736/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus