Pianeta Terra

BRUTTE NOTIZIE PER IL PIANETA: 21 SPECIE ANIMALI SONO STATE UFFICIALMENTE DICHIARATE ESTINTE

Una delle otto specie di rari uccelli hawaiani estinti
https://tecnologia.libero.it/brutte-notizie-pianeta-21-specie-ufficialmente-dichiarate-estinte-77793

Brutte notizie per la biodiversità del nostro Pianeta: ben 21 specie sono state dichiarate ufficialmente estinte e non possiamo più fare nulla per loro.

20 Ottobre 2023

Nicoletta Fersini GIORNALISTA PUBBLICISTA E WEB CONTENT EDITOR

Il Pianeta sta cambiando e a farne le spese sono prima di tutto gli animali. Il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti si occupa da ben 50 anni di salvaguardare le specie degli Stati Uniti considerate in pericolo ha fornito dei dati preoccupanti. Sulla base di analisi e studi rigorosi e seguendo dei criteri ben precisi, 21 specie sono state ufficialmente cancellate dall’elenco dell’ESA – Endangered Species Act. E ciò significa soltanto una cosa: non sono più da considerare in via di estinzione, ma ufficialmente estinte.

Quali sono le 21 specie dichiarate ufficialmente estinte

Nonostante l’impegno e le attività connesse all’ESA, ovvero l’Endangered Species Act, legge federale che dal 1973 obbliga i governi federali e statali a proteggere le specie a rischio di estinzione, per 21 di queste non c’è stato nulla da fare. A comunicarlo è stato il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti che opera per conservare, proteggere e migliorare i pesci, la fauna selvatica, le piante e i loro habitat.

“Per stabilire se le migliori informazioni disponibili indicano che una specie è estinta, abbiamo analizzato i seguenti criteri: rilevabilità della specie, adeguatezza degli sforzi di indagine e tempo trascorso dall’ultima rilevazione”, così ha spiegato attraverso quali criteri abbia deciso di “declassare” gli animali in questione da “specie in via di estinzione” a “specie estinte”.

Le 21 specie di cui si parla sono:

  • Otto varietà distinte di uccelli rampicanti hawaiani;
  • L’uccello imbrigliato dagli occhi bianchi di Guam;
  • Il piccolo pipistrello della frutta delle Marianne (detto anche volpe di Guam);
  • La gambusia di San Marcos, un minuscolo pesce originario del Texas;
  • Lo Scioto madtom, un piccolo pesce gatto che si trovava nel Big Darby Creek in Ohio;
  • L’usignolo di Bachman, un melodico uccello canoro nero e giallo avvistato nel sud e a Cuba;
  • Otto varietà di cozze d’acqua dolce.

Purtroppo era un destino scritto da diverso tempo. Già nel 2021 era stata avanzata la proposta di eliminare queste 21 specie dall’elenco di quelle in via di estinzione, sulla scia di un fatto inequivocabile: nessuna di esse è mai più stata avvistata già da diversi periodi, che coprono un arco temporale che spazia dal 1899 al 2004.

L’impatto dell’attività umana sul declino e l’estinzione delle specie

Il Fish and Wildlife Service ha sottolineato quanto sia importante l’ESA e con esso gli sforzi per conservare le specie prima che il declino diventi irreversibile, ma ha anche evidenziato quanto sia determinante l’attività umana sulla salvaguardia di esse. “Le circostanze di ciascuna di esse sottolineano anche come l’attività umana possa guidare il declino e l’estinzione delle specie, contribuendo alla perdita dell’habitat, all’uso eccessivo e all’introduzione di specie invasive e malattie – si legge in un comunicato del 2021 -. Si prevede che i crescenti impatti dei cambiamenti climatici aggraveranno ulteriormente queste minacce e le loro interazioni. (…) Quasi 3 miliardi di uccelli sono stati persi in Nord America dal 1970. Queste estinzioni evidenziano la necessità di agire per prevenire ulteriori perdite”.

I fattori che hanno contribuito all’estinzione di queste ultime 21 specie, così come delle altre 650 che si contano negli Stati Uniti negli ultimi anni, sono molteplici: l’impatto del cambiamento climatico, l’inquinamento, l’introduzione di specie invasive, la deforestazione. Proprio a causa di quest’ultima, tanto per fare un esempio, sono scomparse otto specie di uccelli rampicanti hawaiani, privati del loro habitat naturale, situazione aggravata ulteriormente dall’arrivo di alcune specie di zanzare alloctone che hanno trasmesso loro il vaiolo e la malaria aviarie.

Se non vengono compiuti urgentemente sforzi concertati per proteggere le specie attualmente minacciate e in via di estinzione, molte altre potrebbero presto andare perdute perdute per sempre e a farne le spese sarebbe la biodiversità del nostro Pianeta.

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Fonte: Libero Tecnologia

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

STIAMO ELIMINANDO INTERI RAMI DELL’ALBERO DELLA VITA, AD UN RITMO MAI VISTO IN PRECEDENZA

di Simone Valesini

Un esemplare di baiji, o delfino dello Yangtze (Lipotes vexillifer) 
https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/21/news/estinzione_specie_animali_a_un_ritmo_mai_visto_in_precedenza-415061746/

In 500 anni abbiamo portato all’estinzione un numero di generi animali che avrebbe impiegato 18mila anni a sparire per cause naturali

21 SETTEMBRE 2023 ALLE 05:00

Le estinzioni avvengono più o meno da quando esiste la vita sul nostro pianeta. Ma la nostra specie sta facendo di tutto per renderle più comuni, e drammatiche, di quanto non sia mai stato in passato. La velocità con cui si estinguono le specie animali da quanto l’Homo sapiens è entrato in scena sta portando infatti alla sparizione di interi generi di creature viventi con una velocità 35 volte superiore a quella registrata in media nell’ultimo milione di anni. E il risultato, stando a uno studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences da un team di ricercatori americani e messicani, è un’impressionante “mutilazione dell’albero della vita”, da cui la biodiversità del nostro pianeta rischia di impiegare milioni di anni per riprendersi.

Fino ad oggi, l’attenzione della comunità scientifica si era concentrata fondamentalmente sul monitoraggio dello stato di conservazione delle specie. Ma la tassonomia del mondo animale è più complessa di così. E se ogni estinzione è un evento drammatico per la conservazione della biodiversità del nostro pianeta, alcune lo sono forse più di altre. Prendiamo alcune delle più recenti vittime dell’attività umana: i piccioni migratori (Ectopistes migratorius), le tigri della Tasmania (Thylacinus cynocephalus) e i baiji, o delfini dello Yangtze (Lipotes vexillifer). Tutte specie estinte (o quasi, nel caso dei delfini di acqua dolce cinesi), che erano anche l’unica specie conosciuta all’interno del proprio genere, cioè di quel raggruppamento tassonomico che contiene le specie strettamente imparentate tra loro, ma abbastanza diverse da non potersi più riprodurre tra loro dando origine a prole fertile (almeno nella maggioranza dei casi).

La cosa è rilevante, perché – come fanno notare gli autori del nuovo studio – la scomparsa di una specie può essere rimpiazzata con relativa facilità dall’evoluzione, visto che le specie appartenenti allo stesso genere sono estremamente simili sul profilo genetico, e possono facilmente riempire la nicchia ecologica lasciata vacante, mantenendo un potenziale evolutivo più o meno identico a quello della specie estinta.

Quando è un genere intero a sparire – o ancora peggio, intere famiglie o ordini di esseri viventi – servono invece milioni di anni perché l’evoluzione plasmi un sostituto funzionalmente paragonabile, e il potenziale evolutivo che racchiudeva in sé è perso per sempre. La perdita in termini di biodiversità che avviene quando è un intero ramo dell’albero della vita a sparire, quindi, è ben più drammatica, e impiega molto più tempo per essere compensata dall’evoluzione.

Sollevando lo sguardo dalle singole specie, il nuovo studio ha indagato lo stato di salute dell’albero della vita guardando ai suoi rami, generi, famiglie e così via, trovando purtroppo una situazione desolante. Negli ultimi 500 anni, infatti, all’interno dei tetrapodi (cioè della superclasse di cui fanno parte mammiferi, uccelli, rettili e anfibi) sono andati estinti due ordini, 10 famiglie, e 73 generi di essere viventi. Basandosi sui tassi storici di estinzione dei generi nei mammiferi, i tassi degli ultimi 500 anni sono 35 volte superiori a quelli visti nell’ultimo milione di anni. In cinque secoli, l’uomo ha fatto quello che catastrofi e altri fenomeni naturali impiegano più di 18mila anni a fare. Una situazione per la quale gli autori della ricerca ritengono riduttivo utilizzare il termine “estinzione di massa”, e che preferiscono definire un autentico “annientamento biologico”.

“In qualità di scienziati, dobbiamo cercare di essere cauti ed evitare gli allarmismi”, commenta Gerardo Ceballos, dell’Istituto di Ecologia dell’Università nazionale autonoma del Messico. “Ma la gravità dei nostri risultati in questo caso ci obbliga ad usare un linguaggio più forse del solito: sarebbe poco etico non spiegare la magnitudine del problema, visto che sia noi che gli altri scienziati siamo molto preoccupati”.

Che fare dunque? Da un lato, bisognerebbe concentrare gli sforzi di conservazione dove hanno più probabilità di fare la differenza: quindi ai tropici, dove si concentrano la maggior quantità di generi andati estinti, e di animali che rappresentano l’ultima specie vivente all’interno del proprio genere. Dall’altro – come nel caso dei cambiamenti climatici – il problema andrebbe risolto modificando radicalmente le nostre società e il nostro stile di vita e di crescita. “La dimensione e la crescita costante della popolazione umana, la scala in continuo aumento dei suoi consumi, e il fatto che vi siano enormi disuguaglianze in questi consumi, sono tutti parte integrante del problema”, scrivono gli autori dello studio. “L’idea che si possa continuare in questo modo, e salvare al contempo la biodiversità, è priva di senso”.

Fonte: Repubblica

Stiamo eliminando interi rami dell’#alberodellavita, a un ritmo mai visto in precedenza #SimoneValesini #Repubblica

https://x.com/bralex84/status/1706576037558059151

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

LA FOTOSINTESI E’ A RISCHIO? COSA SAPPIAMO DEGLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE SULLE PIANTE

di Paola Arosio

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/18/news/fotosintesi_a_rischio_causa_cambiamenti_climatici-414478820/

Un esperimento condotto nelle foreste di Sud America, Africa e Sud-Est asiatico dimostra che l’attività vitale della vegetazione rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7°C

18 SETTEMBRE 2023 ALLE 03:00

Deforestazione, incendi, siccità sono i principali nemici delle foreste tropicali, il polmone verde del nostro pianeta. A queste minacce si aggiunge ora una nuova insidia: il riscaldamento globale, che potrebbe mettere a rischio la fotosintesi, processo attraverso il quale le piante convertono anidride carbonica, luce del sole, acqua in energia necessaria per crescere, fissando il carbonio nelle foglie, negli steli, nelle radici. Un’attività vitale, che rischia di essere compromessa quando il fogliame raggiunge i 46,7 gradi.


In un recente studio pubblicato su Nature, un gruppo internazionale di scienziati ha misurato le temperature raggiunte nella parte superiore delle chiome degli alberi, esposte direttamente ai raggi solari, nelle foreste di Sud America, Africa, Sud-Est asiatico. La rilevazione è stata effettuata combinando i dati derivanti dall’Ecosystem spaceborne thermal radiometer experiment on space station (Ecostress), un satellite della Nasa, che possiede un’elevata risoluzione spaziale e temporale, a 400 chilometri dalla Terra, e le osservazioni effettuate sul campo, applicando appositi sensori al fogliame. “Ci siamo focalizzati non sulle temperature medie, ma sugli estremi. E abbiamo scoperto che le prime si aggirano intorno ai 34 gradi, mentre i picchi superano i 40 gradi”, rendo noto Christopher Doughty, professore di eco-informatica alla Northern Arizona University e uno degli autori della ricerca.


Dall’analisi è emerso che lo 0,01% delle foglie supera, almeno una volta all’anno, la soglia di temperatura critica con danni irreversibili alla capacità di fotosintesi. “Quando ciò accade le foglie imbruniscono, i loro pori si chiudono e la traspirazione si riduce, impedendo loro di raffreddarsi. Fino a che sopraggiunge la morte”, spiega Martijn Slot, eco-fisiologo vegetale allo Smithsonian Tropical Research Institute di Panama, che ha firmato lo studio.
 

L’attuale percentuale, sebbene esigua, potrebbe aumentare. I ricercatori hanno svolto, in proposito, tre esperimenti, uno in Brasile, un altro in Australia, un altro ancora a Porto Rico, in cui foglie e rami sono stati riscaldati per valutare gli effetti. È stata così evidenziata una relazione non lineare tra l’aumento della temperatura dell’aria e l’incremento di quella delle foglie. Per esempio, una crescita della temperatura atmosferica di 2-3-4 gradi mostra un innalzamento della temperatura delle foglie rispettivamente di 8,1-6,1-8 gradi. Secondo il modello, se l’aria dovesse innalzarsi di circa 4 gradi, l’1,4% delle foglie supererebbe il livello critico, causando potenzialmente un’ampia perdita di fogliame e la morte dell’albero.


“Il rischio è significativo se si considera che le foreste tropicali coprono circa il 12% della superficie del pianeta e ospitano una moltitudine di specie”, afferma Doughty. Altri esperti sono più cauti. Chloe Brimicombe, scienziata del clima all’Università di Graz, in Austria, afferma che, “considerato il numero limitato di foglie che raggiungono la temperatura critica e l’elevato riscaldamento che sarebbe necessario raggiungere prima di provocare un danno su vasta scala, le foreste tropicali dovrebbero essere, almeno in teoria, abbastanza resilienti al cambiamento climatico”.
 

Un plauso al lavoro svolto viene dal Centro di ricerca tedesco per le geoscienze di Potsdam, dove la ricercatrice Viola Heinrich, non coinvolta nello studio, sostiene che “l’analisi è approfondita” e i dati “sono precisi, il che corrobora la validità dei risultati complessivi e le loro implicazioni”. Di parere analogo è Stephanie Pau, scienziata alla Florida State University, che ribadisce che la ricerca è “innovativa e preziosa”, svolta “con una metodologia solida”.

Gli autori concludono che, nonostante le incertezze, lo studio fornisce spunti importanti, da tenere in considerazione. Joshua Fisher, scienziato del clima alla Chapman University, in California, coinvolto nel lavoro, chiosa: “è importante rilevare un fenomeno critico prima che si diffonda, quando ancora possiamo agire”. Il futuro degli alberi (e dell’intero pianeta) è nelle nostre mani.

Fonte: Repubblica

La #fotosintesi è a rischio? Cosa sappiamo degli effetti del #riscaldamentoglobale sulle #piante #Repubblica

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

AGGIORNAMENTI MOBILITAZIONI ULTIMA GENERAZIONE GIUGNO 2023

Ester e Guido condannati a 9 mesi di carcere per aver fatto la cosa giusta tramite disobbedienza civile, ribadendo il fatto che il nostro Paese è il sesto finanziatore di combustibili fossili al Mondo e per questo noi “Non paghiamo il fossile”
Ester attivista di Ultima Generazione condannata a 9 mesi di reclusione e a 28000€ di risarcimento danni al Vaticano per la sua irruzione ai Musei Vaticani con Guido, assieme al quale si incollò la mano sul basamento della scultura del Lacoonte nell’Agosto del 2022
Guido, attivista di Ultima Generazione condannata a 9 mesi di reclusione e a 28000€ di risarcimento danni al Vaticano per la sua irruzione ai Musei Vaticani con Ester, assieme alla quale si incollò la mano sul basamento della scultura del Lacoonte nell’Agosto del 2022
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/06/29/attivisti-di-ultima-generazione-sdraiati-a-terra-come-morti-di-fronte-a-san-pietro-contro-le-condanne-intervenga-il-papa/7212681/

Attivisti di Ultima Generazione sdraiati a terra “come morti” di fronte a San Pietro contro le condanne: “Intervenga il Papa”

di Angela Nittoli | 29 GIUGNO 2023

Nel giorno dell’Angelus e in occasione delle celebrazioni di San Pietro e Paolo, patroni della città di Roma, gli attivisti di Ultima Generazione si sono stesi in strada, in via della Conciliazione, per protestare contro la sentenza del Tribunale vaticano, che ha colpito i due militanti Guido Viero e Maria Rosa Ester Goffi, condannati a nove mesi di carcere con pena sospesa, 1500 euro di multa a testa e 28mila euro per danni, per essersi incollati al basamento della statua del Laocoonte nell’agosto del 2022. “Ci sembra una pena smisurata per quello che è stato un atto legittimo – dice al megafono un’attivista – Guido ed Ester volevano solo manifestare la loro eco-ansia, il loro timore per questa crisi climatica”. I membri di Ultima Generazione si sono sdraiati a terra “come se fossero morti” per esprimere metaforicamente la situazione di vulnerabilità in cui versa l’umanità di fronte alla crisi ecologica e climatica.

I manifestanti hanno inoltre srotolato uno striscione con il volto di Papa Francesco e la scritta “Vi auguro di fare chiasso, fatevi sentire”, richiamando le parole espresse dal Papa durante un incontro privato in Vaticano con 50 ragazzi dell’Earth Day e l’ex ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. “Se il Santo Padre rappresenta i valori più nobili, quelli del cattolicesimo – dichiara Azaria, attivista del movimento ambientalista – dovrebbe pronunciarsi, prendere parola in questo momento, perché quello che stiamo facendo dovrebbe sollevare la sua attenzione”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

CONDANNATI A 9 MESI PER AVER FATTO LA COSA GIUSTA: AIUTATECI A DIFENDERE DAL CARCERE GLI ATTIVISTI DI ULTIMA GENERAZIONE ESTER, GUIDO, DAVIDE, LAURA ED ALESSANDRO

https://actionnetwork.org/fundraising/aiutaci-a-difendere-laura-davide-e-alessandro-dal-carcere/

Aiutaci a difendere Ester e Guido con un ricorso

Ester e Guido sono stati condannati a 9 mesi e a pagare una multa 1500 euro per essersi incollati al basamento del Laocoonte ai Musei Vaticani.

Alessandro, Davide e Laura affronteranno la prima udienza questo 18 ottobre, e rischiano fino a 5 anni di carcere.

Mentre il Governo ci etichetta come eco-vandali e si adopera per creare leggi ad hoc per inasprire le pene, l’Onu lancia l’allarme sul rischio di persecuzione dei difensori dell’ambiente da parte delle istituzioni.

“Come Laocoonte cercò di mettere in guardia i cittadini di Troia dall’inganno dei greci senza essere ascoltato, così oggi le persone che protestano per chiedere azioni contro la crisi climatica vengono silenziate e represse. “

Noi continueremo ad agire finché la nostra richiesta non verrà concretizzata. Ma abbiamo bisogno del tuo aiuto per poter andare avanti.

Ci restano 4000€ da raccogliere per garantire una difesa ai cittadini e alle cittadine che stanno affrontando i processi.

Oltre che per i processi, stiamo raccogliendo fondi pure per altre attività della campagna: per maggiori informazioni visita il nostro sito http://www.ultima-generazione.com

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

IL MONDO È ALLE SOGLIE DI UNA GUERRA NUCLEARE?

https://www.byoblu.com/2023/06/02/il-mondo-e-alle-soglie-di-una-guerra-nucleare/

L’apocalisse nucleare non è quella che siamo abituati a vedere nei film e non è nemmeno quella che viene mostrata nelle ormai lontane immagini del bombardamento americano di Hiroshima e Nagasaki in Giappone.

La tensione internazionale che si sta raggiungendo in questi mesi potrebbe sfociare in una guerra nucleare che sarebbe innumerevoli volte più tragica di quello che si possa pensare. Gli Stati Uniti hanno promesso che forniranno all’Ucraina gli F-16.

Questi aerei sono in grado di portare e sganciare ordigni nucleari.

All’addestramento degli ucraini per l’utilizzo di questi caccia parteciperanno diversi paesi europei della Nato: Danimarca, Olanda, Polonia, Norvegia, Belgio, Portogallo. Vladimir Kozin – esperto capo del Centro Studi Politico-Militari di Mosca – dichiara, in una intervista a Grandangolo di Manlio Dinucci, che vi è il profondo sospetto, basato su precisi fatti, che le armi nucleari statunitensi siano state dispiegate anche in Lettonia, Lituania ed Estonia, o possano essere rapidamente inviate nei loro territori e anche in quello della Polonia.

Questi Paesi partecipano al “pattugliamento aereo del Baltico”, a ridosso del territorio russo, con aerei a duplice capacità convenzionale e nucleare. Inoltre, bombardieri strategici statunitensi, certificati per il trasporto di armi nucleari, sono impegnati in “esercitazioni” sul Baltico e altre zone limitrofe al territorio russo. Con tali premesse è facile immaginare che la Russia non rimarrà a guardare.

Dopo aver inutilmente proposto a Stati Uniti e Nato un negoziato per ridurre il rischio di un conflitto nucleare in Europa, Mosca sta schierando, in accordo con Minsk, armi nucleari tattiche in Bielorussia, in posizione ravvicinata rispetto alle basi nucleari statunitensi e Nato in Europa.

Alla domanda posta da Manlio Dinucci: “Le armi nucleari tattiche schierate dalla Russia in Bielorussia hanno un raggio d’azione che va oltre la Polonia e quindi costituiscono un deterrente per le armi nucleari statunitensi schierate in Italia e in altri Paesi europei?”, Vladimir Kozin, capo del Centro Studi Politico-Militari di Mosca, risponde: “Sì, le armi nucleari tattiche russe che saranno dispiegate in Bielorussia e, eventualmente, nella regione di Kaliningrad e nella penisola di Crimea, possono raggiungere diversi obiettivi militari in Polonia, Italia e in molti altri Paesi europei membri della Nato”.

Insomma, gli ordigni nucleari russi e degli Stati Uniti-Nato non sono mai stati così vicini, così tanti e così in grado di provocare un conflitto di proporzioni difficilmente immaginabili.

Su tutto questo però vi è da registrare il totale silenzio dei mezzi di informazione “di regime” che non hanno nessuna intenzione (e volontà) di rendere conto all’opinione pubblica del baratro verso cui la follia guerrafondaia sta portando il mondo.

Fonte: Byoblu, la TV libera dei cittadini canale 262 DTV

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

CLIMATE CHANGE – THE ECONOMIST, LONDON UK

Our latest coverage of climate change

Analysis of the science, politics and economics of the climate

Climate change affects everything from geopolitics to economies to migration. It shapes cities, life expectancies and wine lists. And because it touches everything The Economist reports on, we examine it from every angle imaginable. Register to receive The Climate Issue, our fortnightly newsletter

The world has to adapt to the climate change it will not avoid

And poor countries will need help to do so

https://www.economist.com/special-report/2022/11/01/the-world-has-to-adapt-to-the-climate-change-it-will-not-avoid

November 1st 2022

“Barren” does not begin to describe Abu Ayman’s small patch of land in southern Iraq. The sun pounds down, sometimes pushing the temperature above 50°C (122°F). Dry earth and withered weeds crackle underfoot. It used to be a palm plantation, but no trees remain—just rows of untopped trunks. Of uneven height and listing at odd angles, they look like ruined columns from some grand old temple, razed by long-forgotten calamity.

Except that the calamity is still unfolding, and Abu Ayman has certainly not forgotten. Twenty years ago, he says, the canopy of palm fronds above was so thick that no direct sunlight reached the baking soil on which he is standing. Farming dates and other fruit earned him a good living, he adds as he snaps a salt-bleached twig off a desiccated shrub. Water from a canal fed by the Shatt al-Arab waterway, which glistens in the glare just a kilometre away, was adequate for his needs.

What to read to understand climate change

Seven texts that explain how the climate is changing—and what to do about it

https://www.economist.com/the-economist-reads/2022/10/28/what-to-read-to-understand-climate-change

October 28th 2022

Climate change touches everything. It is reshaping weather systems and coastlines, altering where crops can be grownwhich diseases thrive, and how armies fight. Rising temperatures affect geopolitics, migration, ecosystems and the economy. It will remake societies and the world. In November, delegates will flock to Egypt for cop27, this year’s edition of the annual un climate confab. The science, economics and politics of climate change are so legion, complicated and interconnected they can be hard to get a handle on. These six books and one report offer an excellent introduction to the climate crisis.

What We Know About Climate Change. By Kerry Emanuel. MIT Press; 88 pages; $15.95. Blackwells; £11.99

Climate change is likely to increase migration

But three-quarters of such migrants stay within their own country

https://www.economist.com/the-world-ahead/2022/11/18/climate-change-is-likely-to-increase-migration

November 18th 2022

By Rachel Dobbs: Asia news editor, The Economist, Singapore

Every morning scores of buses roll into Dhaka, Bangladesh’s sprawling, sinking capital. Their passengers, laden with bundles, step out into a new life. By one estimate, some 2,000 migrants arrive in the city each day. Almost all come from elsewhere in the country and most have, at least in part, been pushed by the impacts of a changing climate—either because of a sudden disaster, or because environmental shifts have made their livelihoods untenable.

Such scenes will become more common in 2023 and beyond. Sub-Saharan Africa, East Asia and the Pacific, and South Asia are most affected. The most visible migrants will be those forced from their homes by extreme-weather events exacerbated by rising global temperatures, such as the extraordinary floods in Pakistan in August and September 2022, which displaced 33m people. The natural climate system known as La Niña, which affects rainfall patterns across the world, is thought to have been a contributing factor. In poor countries, the accumulation of catastrophe chips away at resources and makes each successive disaster more damaging.

Why climate change is intimately tied to biodiversity

There is a financial case for investing in biodiversity

https://www.economist.com/leaders/2022/12/20/why-climate-change-is-intimately-tied-to-biodiversity

December 20th 2022

The natural world is a source of beauty and wonder, but it also provides humans with essential services. Jungles, savannahs and mangroves act as buffers against infectious diseases and storm surges. Forests channel moisture into rivers that irrigate crops, while their roots prevent landslides. At a gathering on Monday in Montreal, 196 governments from around the world pledged to protect and restore 30% or more of the Earth’s water and land by 2030.

Lofty promises about preserving the world’s biodiversity have been made and broken many times before. One step towards avoiding yet more disappointment is to emphasise the close link between preserving biodiversity and the widely held goal of reaching net-zero carbon emissions.

A different way to measure the climate impact of food

Introducing The Economist’s banana index

April 11th 2023

Eating a juicy steak is worse for the environment than frying up some tofu: that much should come as no surprise. Going vegan can dramatically cut the carbon footprint of your diet. But what about the fewer calories, and lower levels of protein, found in most plant-based foods when compared with meat? That makes it hard to compare emissions of meals that are equally nutritious.

To make the relative carbon impact of foods easier to digest, The Economist proposes a banana index (see our interactive chart below). It compares popular foodstuffs on three metrics—weight, calories and protein—indexed to the humble banana, a fruit of middling climate impact and nutritional value.

Leaders | A warming world

The climate issue

Climate change touches everything this newspaper reports on. It must be tackled urgently and clear-headedly

https://www.economist.com/leaders/2019/09/19/the-climate-issue

September 19th 2019

From one year to the next, you cannot feel the difference. As the decades stack up, though, the story becomes clear. The stripes on our cover represent the world’s average temperature in every year since the mid-19th century. Dark blue years are cooler and red ones warmer than the average in 1971-2000. The cumulative change jumps out. The world is about 1ºC hotter than when this newspaper was young.

To represent this span of human history as a set of simple stripes may seem reductive. These are years which saw world wars, technological innovation, trade on an unprecedented scale and a staggering creation of wealth. But those complex histories and the simplifying stripes share a common cause. The changing climate of the planet and the remarkable growth in human numbers and riches both stem from the combustion of billions of tonnes of fossil fuel to produce industrial power, electricity, transport, heating and, more recently, computation.

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

EARTH HOUR WWF INTERNATIONAL, MARCH 25TH 2023 8.30-9.30 PM

https://www.earthhour.org
https://www.earthhour.org/take-part/give-an-hour

Join us tonight as we create the Biggest Hour for Earth – switch off your lights and spend 60 minutes doing something positive for our planet!

Don’t know where to start? Read on for a few ideas of what you can do!

Learn more about our planet

A little extra knowledge can go a long way – awareness is after all the first step before action. So spend the Hour deepening your understanding of our planet, the threats we face, and what you can do to help!

Plan on giving your Hour?
Let us know and stand a chance to win an Earth Hour prize!

Over 410,406 people in 182 countries & territories are pledging to give.

Your hour, your power. 

Earth Hour believes that each and every one of us has the power to make a positive impact on our planet, but it’s up to us as individuals to decide how we do so. So if you’ve thought of another way to give your hour for Earth that’s not listed above, go for it! 

Spread the word on social  – use the hashtag #MyHourForEarth

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus

L’ASSE VAGANTE, LA ROTAZIONE MUTEVOLE DELLA TERRA E LA VARIAZIONE DEL MOMENTO ANGOLARE DEL SOLE TRA I FATTORI ESTERNI AL PIANETA CHE CONTRIBUISCONO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

L’asse di rotazione della Terra, lungi dall’essere un riferimento geometrico fisso, oscilla e vaga lentamente sulla superficie del nostro pianeta. L’origine del suo vagabondare può essere una chiave per comprendere meglio il cambiamento climatico.

di Gaia Soldati

Like a rolling stone

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… anzi, nella nostra galassia, si formava il sistema solare dal collasso gravitazionale di una nube di gas. Il sistema solare neonato aveva un sacco di momento angolare, una quantità che descrive la tendenza degli oggetti a mantenere il moto di rotazione. Come conseguenza, i pianeti che si andavano formando ruotavano tutti nello stesso verso. Poiché non c’è un granché nello spazio che possa rallentare le cose, una volta che un corpo inizia a ruotare di solito continua a farlo. Ecco perché ci ritroviamo oggi coi piedi su una sfera rocciosa! Essa gira intorno al proprio asse a 1600 km all’ora e intorno al Sole ad una velocità 100 volte più alta!

L’asse è mobile, qual piuma al vento

In realtà la forma della Terra è solo approssimativamente sferica. Ha uno schiacciamento ai poli ed un rigonfiamento all’equatore, sul quale Sole e Luna esercitano un’attrazione gravitazionale. Questa attrazione tende a raddrizzare l’asse rispetto al piano dell’orbita sul quale è inclinato di 23° e 27’.

La Terra, ruotando intorno al proprio asse, si oppone a questa duplice attrazione. Il risultato è che il suo asse si muove nello spazio come farebbe quello di un trottola. Questo moto è quasi circolare e viene chiamato precessione luni–solare. Poiché l’attrazione di Sole e Luna varia, ad esempio al variare della loro distanza dalla Terra, al semplice moto conico dell’asse terrestre si sovrappongono delle piccole oscillazioni, dette nutazioni.

I moti di rotazione, precessione e nutazione (Credit: Wikipedia)

Precessione e nutazione descrivono il moto del nostro pianeta nello spazio. Tuttavia l’asse istantaneo di rotazione si muove anche rispetto alla superficie terrestre, o rispetto all’asse principale di inerzia (asse di simmetria passante per il baricentro).

Il moto dell’asse di rotazione terrestre, il cosiddetto moto del polo, avviene su scale temporali diverse. Nel breve termine consiste in un moto a spirale: combinazione di una componente ellittica con periodo 1 anno e una componente circolare con periodo di circa 14 mesi, detta oscillazione di Chandler.

Sul lungo termine, nel XX secolo il polo ha avuto una deriva secolare verso sud lungo la longitudine 75°ovest (cioè verso il Canada) di circa 10 cm all’anno.

Moto del polo dal 1900. La posizione istantanea del polo dal 2008 al 2014 è mostrata in blu (oscillazione annuale e di Chandler)., quella media (il centro della spirale) dal 1900 al 2014 è mostrata in verde (da: IERS Annual Report 2013)

La posizione istantanea del polo terrestre Nord è il punto in cui l’asse di rotazione della Terra interseca la superficie nell’emisfero settentrionale. E’ determinata da un organismo chiamato IERS (International Earth Rotation and Reference System Service) tramite tecniche satellitari basate sulla stima della posizione geocentrica dei satelliti. Per ricostruire il moto del polo prima degli anni ‘70 si utilizzava invece la posizione relativa delle stelle.

Da cosa dipende il moto dell’asse di rotazione terrestre?

Poiché le componenti del moto del polo hanno scale temporali diverse, possiamo supporre che diversi siano i fenomeni ad originarle.

Nel caso dell’oscillazione di Chandler, è stato dimostrato che è causata da una combinazione di fluttuazioni di pressione sul fondo oceanico e di variazioni di pressione atmosferica. I due fenomeni sarebbero responsabili rispettivamente di 2/3 e 1/3 dell’effetto, ma la loro importanza relativa può variare nel tempo.

Per quanto riguarda la deriva del polo di più di 10 metri osservata nell’ultimo secolo, gli scienziati della NASA hanno identificato tre processi su larga scala, ognuno responsabile di circa 1/3 del fenomeno.

  • Fusione dei ghiacciin particolare quelli della Groenlandia che, per motivi geometrici, hanno un impatto maggiore. L’aumento di temperatura globale di circa 1°C rispetto ai livelli preindustriali ha trasferito una massa enorme dalla superficie della Terra agli oceani.
  • Sollevamento post-glaciale, ritenuto il maggiore responsabile del moto del polo sul lungo termine. E’ in grado di spiegare solo il 30% di questo moto nell’ultimo secolo.
  • Convezione nel mantello, cioè la circolazione di materiale indotta dal calore del nucleo terrestre, simile a quella di un pentolone di zuppa che ribolle se messo a scaldare sul fornello.

Diventa quindi possibile distinguere le cause su cui abbiamo poco o nessun controllo da quelle di origine antropica, relative al cambiamento del clima.

Estensione dei ghiacci artici relativa a Settembre 2021, confrontata con la mediana relativa al periodo 1981-2010 (linea gialla). (Credit: NASA Scientific Visualization Studio)

Moto dell’asse di rotazione terrestre e cambiamento climatico

Lo stretto legame fra moto del polo e cambiamento climatico nel recente passato è testimoniato da un altro caso significativo.

Nel secolo scorso la deriva del polo era in direzione del Canada. A partire dal 2000 ha deviato bruscamente, puntando verso la Gran Bretagna. Questo repentino cambio di direzione è dovuto all’altrettanto rapida diminuzione del contenuto di acqua nei continenti, col conseguente trasporto di massa su scala globale verso gli oceani. Dalla seconda metà del 1900, infatti, la quota di ghiacciai persa ogni anno è cresciuta a una velocità sempre maggiore, con un aumento del 57% dagli anni ‘90 al 2017. Questa accelerazione è dovuta al surriscaldamento di atmosfera e oceani. La fusione dei ghiacci artici e antartici spiega solo 2/3 della perdita di acqua totale. Il resto è dovuto alla diminuzione della quantità di acqua immagazzinata nei continenti (in particolare l’Eurasia), soggetti a impoverimento degli acquiferi e siccità. La fisica degli oggetti rotanti ci dice che le latitudini che più influenzano il moto dei poli sono quelle vicine ai +/- 45°. Tali regioni corrispondono proprio alle aree dove è più evidente la perdita di acqua.

Direzione media di deriva del polo sulla superficie terrestre (da Chen et al., 2013). La freccia lunga si riferisce al XX secolo, quella corta al periodo 2006-2011.

E i terremoti come contribuiscono?

Tutte le instabilità rotazionali della Terra sono causate da variazioni del momento d’inerzia. Tale grandezza misura la resistenza di un corpo, in questo caso la Terra, a ruotare rispetto ad un asse di riferimento. Il momento d’inerzia dipende dalla distanza delle masse dall’asse di rotazione: più le masse sono lontane dal centro, maggiore è il momento di inerzia. Imponenti spostamenti di massa, sia sulla superficie della Terra che al suo interno, possono modificare il momento d’inerzia. Tra le varie cause possibili ci sono i terremoti. Diversi studi hanno rivelato che due sono gli effetti fisici riconducibili ad essi.

Primo: poiché alcuni terremoti spostano grandi masse di roccia dalla superficie verso il centro della Terra, tendono a renderla più compatta diminuendo così il momento d’inerzia. Per la legge di conservazione del momento angolare – una forma di conservazione dell’energia – quando la rotazione terrestre accelera parallelamente la durata del giorno diminuisce.

Secondo: globalmente i terremoti inducono un moto del polo in direzione 140° E, opposta a quella osservata. Ciò risulta dal fatto che i terremoti più forti sono solitamente terremoti di subduzione conseguenza dell’immersione di una placca tettonica oceanica sotto una continentale. Nell’ultimo secolo questi terremoti si sono concentrati prevalentemente nelle zone di subduzione del Pacifico occidentale.

Per quanto riguarda l’entità di questi effetti, un singolo forte terremoto è in grado di deviare istantaneamente il moto del polo di qualche decina di cm al massimo. Inoltre è in grado di accorciare la durata del giorno di pochi microsecondi, con conseguenze per noi impercettibili.

Moto del polo cumulativo (in millisecondi di arco, o mas) calcolato come risposta a 20 anni (1977-1997) della sismicità globale, considerando separatamente terremoti superficiali e profondi (>100 km). La figura a destra, non in scala, mostra la proiezione di questo moto sul globo terrestre e, in rosso, la direzione del polo osservata. (Figura modificata da Soldati et al., JGR 2001 e Wikipedia)

Gli tsunami possono contribuire?

Poiché i terremoti più forti si registrano in corrispondenza delle zone di subduzione, spesso essi generano degli tsunami. Può la propagazione di un’onda di tsunami – con la ridistribuzione di una grande massa d’acqua che comporta – influenzare il moto del polo? Nel caso del terremoto di Sumatra del 2004 (di magnitudo 9.3), la variazione temporale del moto del polo, calcolata sulla base dello tsunami generato, è qualitativamente in accordo con quella osservata (ha la forma di un gradino), ma anche in questo caso 100 volte più piccola.

Ricapitolando

Le irregolarità mostrate dalla Terra nel suo moto di rotazione possono essere spiegate come effetto di molteplici cause, dall’attrazione gravitazionale esercitata dai corpi celesti agli spostamenti di massa interni al pianeta e sulla sua superficie. Ne segue che una interpretazione comprensiva deve tenere conto di una moltitudine di aspetti che vanno dalle caratteristiche e dalle dimensioni dei diversi gusci che compongono il nostro pianeta ai fenomeni che modificano anche solo uno di essi. Da qui l’importanza di considerare la Terra come un insieme delicato e complesso, in cui la salvaguardia delle varie “geosfere”, dalla Terra solida, all’idrosfera, alla criosfera e all’atmosfera, è di vitale importanza per garantire l’equilibrio degli ecosistemi dell’intero pianeta.

Per approfondire: 

Velocità angolare

https://www.youmath.it/lezioni/fisica/cinematica/3240-velocita-angolare.html

2 ITALIANS ACROSS THE US: DA SAN FRANCISCO A MIAMI IN NOME DELL’AMBIENTE CON GIVI-BIKE

https://www.givi-bike.com/2023/02/02/italians-across-the-us/

Due cicloviaggiatori italiani, Pietro Franzese ed Emiliano Fava si mettono alla prova per un viaggio che unisce la passione per l’avventura e la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento da plastica.

Partiti il 16 gennaio alla volta di San Francisco da li’ inizierà il coast to coast di 6000 km in bicicletta che li porterà fino a Miami, documentando il loro viaggio che hanno battezzato “2 Italians Across the US“.

Viaggeranno in autonomia, campeggeranno e cucineranno da soli, raccogliendo e riciclando i rifiuti di plastica incontrati lungo la strada.

Per questo viaggio Emiliano sarà equipaggiato con un un setup completo GIVI-Bike Adventure mentre Pietro utilizzerà in anteprima nel suo set up assemblato la nuova borsa da sottosella impermeabile porta attrezzi GATEWAY dotata del nuovo sistema di attacco Givi CONTATTO / Saddle Fitting System.

La loro missione è sostenere Plastic Free, raccogliendo fondi attraverso GoFundMe per i progetti ambientali dell’associazione dedicati al Kenya.

Sabato 14 gennaio, un evento organizzato con il patrocinio del Comune di Milano, li ha visti coinvolti pedalando dalla Darsena a Malpensa per 50 km lungo la ciclabile del Naviglio Grande, lanciando la raccolta fondi e facendo un’azione di pulizia.

Affronteranno salite difficili e passaggi impegnativi come El Camino Del Diablo o le Everglades in Florida, ma hanno l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della plastica negli Stati Uniti, il paese con il più alto uso pro capite di plastica monouso.

Potete seguire la loro impresa diventando loro followers su Instagram e godervi le loro stories e i loro post. Sarà come pedalare insieme a loro e vivere la loro avventura.

Quì trovi il profilo Instagram di Pietro Franzese

Quì trovi il profilo Instagram di Emiliano Fava

Fonte: GIVI Bike

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila