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IL SARGASSO, L’ALGA BRUNA MALEODORANTE PRESENTE NEI MARI TROPICALI DI TUTTO IL MONDO E CHE SI STA RINVENENDO ANCHE NEI MARI ITALIANI

MESSICO E SARGASSO: LA VERITÀ SUL PROBLEMA CHE AFFLIGGE LA RIVIERA MAYA

https://www.guidaviaggi.it/2023/09/08/messico-e-sargasso-in-riviera-maya/

Una grande quantità di alghe continua a flagellare le coste del Messico, e in particolare quelle dello Stato di Quintana Roo dove si trovano alcune delle destinazioni turistiche più popolari al mondo.

L’alga in questione si chiama sargasso e quando arriva sulle spiagge della Riviera Maya oltre a rappresentare un serio problema per la balneazione, le trasforma in distese brune maleodoranti a causa del cattivo odore che l’alga stessa emette quando si secca al sole. Per non parlare degli effetti collaterali per l’ambiente, visto che quando si deposita sul fondale il sargasso soffoca il corallo tipico della costa caraibica e accumulandosi sulla sabbia impedisce la nidificazione delle tartarughe.

Anche se non è un problema sorto quest’anno quello delle alghe in Messico, è certo che rappresenta ormai un gran bel cruccio per la destinazione, considerando che queste fioriture anomale di piante marine sono aumentate spropositatamente nel corso degli ultimi 10 anni e proprio non sembrano arrestarsi.

In questo scenario, non è difficile comprendere come la domanda turistica stia mostrando segni di sofferenza. Per questa ragione abbiamo chiesto ad alcuni tour operator che propongono la Riviera Maya di aiutarci a comprendere le reali dimensioni del fenomeno e di chiarirci in che modo stia impattando sulla richiesta di viaggi da parte della clientela italiana.

Un problema discontinuo e imprevedibile

“Il fenomeno dell’arrivo del sargasso sulle spiagge della Riviera Maya si è intensificato negli ultimi 5 anni – spiega Matteo Bolognesi, Caribbean & South America destination manager per il cluster Mainstream di Alpitour – si tratta di un fenomeno occasionale, per lo più estivo, ma che in forma sporadica si presenta anche nella stagione invernale, generalmente dopo forti temporali per via delle importanti maree che ne conseguono. Lo scorso inverno fortunatamente è risultato abbastanza raro. L’area dove il fenomeno si intensifica maggiormente è verso il sud della Riviera Maya, inclusa l’area di Tulum, dove l’evidenza maggiore è anche generata dall’assoluto divieto di ogni intervento da parte dell’uomo, trattandosi di una zona naturale protetta, la più estesa di tutto il Messico caraibico. Meno colpita risulta invece l’area nord della Riviera Maya, tra cui la zona di Punta Maroma dove è presente uno dei nostri principali prodotti”.

L’effetto sulle prenotazioni

“Effettivamente abbiamo assistito ad un periodo di flessione – ha spiegato ancora Mattei Bolognesi – ma oggi troviamo un cliente più informato e preparato e nelle ultime stagioni l’interesse verso una delle destinazioni più eclettiche dei Caraibi sta tornando perché cresce la consapevolezza di poter visitare in Messico anche splendide città coloniali, scoprire usi e costumi delle haciendas, avventurarsi tra i siti Maya immersi nella natura, tuffarsi in cenotes unici al mondo oltre a rilassarsi sulle spiagge di sabbia bianca”.

“Fortunatamente l’area in cui si trovano le nostre strutture quest’anno non è stata particolarmente colpita dal sargasso, ad eccezione forse di 2-3 settimane – ha detto Simone Cacciotti, operation manager della Divisione Villaggi Veraclub -. Solitamente il momento più critico cade sui mesi di aprile e maggio, sui quali ne consegue un rallentamento della domanda. Il periodo che va da ottobre a dicembre invece, è quello meno interessato”.

La balneazione non è mai stata a rischio

È importante sottolineare che la balneabilità di fronte ai resort commercializzati dai tour operator italiani è sempre garantita, perché vengono predisposti costanti e rapidi interventi di rimozione delle alghe in caso di eventuale presenza di sargasso. Tutti gli alberghi sono organizzati infatti con trattorini specializzati e personale addetto. Va detto inoltre che le spiagge di Isla Mujeres, Cozumel ed Hollbox, le tre isole di fronte alla Riviera Maya, fino ad oggi non sono mai interessate dalla presenza di sargasso, e sono da considerarsi quindi validissime mete per le escursioni balneari.

Alessandra Tesan

Fonte: Guida Viaggi

Sargasso, una macchia nera soffoca il Caribe messicano

REPORTAGE. Una quantità mai vista prima di un’alga fluttuante sta sconvolgendo l’ecosistema marino. Tra le cause le acque sempre più calde, la deforestazione e lo sversamento di petrolio.

https://ilmanifesto.it/sargasso-una-macchia-nera-soffoca-il-caribe-messicano

Autore: Giuditta Pellegrini

Dalla sua casetta spoglia di fronte ai Caraibi messicani Maria Aguilar, venditrice di cocchi, ha visto i profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella cittadina di Mahahual. L’orizzonte le ha riservato parecchie sorprese, come la costruzione del porto in cui ogni giorno approdano una decina di navi da crociera, riversando gruppi di turisti a bordo di monopattini elettrici sulla strada sterrata che costeggia il mare. Ma non è niente a confronto con il mutato paesaggio causato dall’arrivo massivo del sargasso, l’alga che dal 2011 ha invaso la costa messicana fino a cambiarne profondamente l’aspetto.

«È ARRIVATA E DA ALLORA NE ABBIAMO AVUTA sempre di più» racconta mentre affonda il machete nel frutto per estrarne il  succo, con lo sguardo che sbircia il mare trasformato in un prato galleggiante. In circa un decennio una quantità mai conosciuta prima di macroalghe fluttuanti del tipo Sargassum natans e Sargassum fluitans si è estesa in un’ampia zona che comprende anche le coste brasiliane, della Florida e dell’Africa occidentale. Le cause della crescita eccezionale del vegetale marino sono ancora al vaglio dei ricercatori che sono però unanimi nel riconoscere l’importanza nel favorirla dell’innalzamento della temperatura superficiale del mare osservata nell’Atlantico tropicale.

«QUESTE CONDIZIONI FAVOREVOLI SONO STATE poi alimentate da ulteriori apporti di nutrienti continentali, provenienti principalmente dal Rio delle Amazzoni», come «conseguenza della deforestazione e delle attività agroindustriali nella foresta amazzonica», puntualizza il report On the potential causes of the recent Pelagic Sargassum blooms events in the tropical North Atlantic Ocean pubblicato nel 2017 su Biogeosciences. Le fonti più ufficiose citano anche un’altra possibile causa scatenante: quella correlata all’incidente che nel 2010 causò l’esplosione della piattaforma BP Deepwater Horizon, causando la fuoriuscita di circa 500 milioni di litri di petrolio nel golfo del Messico, in uno dei disastri ambientali più gravi della storia contemporanea. Il proliferare delle alghe potrebbe essere scaturito, secondo alcuni ricercatori, dalla presenza di idrocarburi e dai batteri in grado di degradare alcune componenti del petrolio che qui sono stati impiegati per limitare i danni dello sversamento. Le correnti che avrebbero favorito il movimento dei «nutrienti» verso la costa messicana sono le stesse che la rendono particolarmente soggetta al fenomeno del sargasso, spingendo la massa di alghe dall’Atlantico orientale verso l’Africa e la foce del fiume Congo, passando per il litorale brasiliano e entrando all’altezza di Cozumel.

IL SISTEMA DI ALLERTA PRECOCE SATELLITARE Sargassum (SATsum) messo a punto dalla Comisión Nacional para el Conocimiento y Uso de la Biodiversidad (CONABIO) del Governo messicano e ora integrato con il sistema di monitoraggio Sentinel 3, ha permesso di identificare 4 milioni di tonnellate di massa algale che giornalmente si accumulano lungo gli 800 km di spiagge della regione del Quintana Roo. Avvistato per la prima volta da Colombo nell’omonimo mare al largo della costa orientale degli Stati Uniti, il sargasso, con grappoli di foglie rigide e piccoli frutti rotondi, si raccoglie in gigantesche isole galleggianti, habitat di un ricco ecosistema che fornisce nutrimento ai pesci e rifugio alle tartarughe appena nate. Il problema quindi non è la pianta in sé, ma le quantità anomale che sta raggiungendo, grazie alla sua capacità di riprodursi velocemente e ricoprire 20 metri quadrati di superficie in soli 15 giorni.

LE CONSEGUENZE SONO ENORMI. Le analisi delle acque in cui permane il sargasso hanno rivelato la presenza di arsenico e metalli pesanti rilasciati dalla pianta. Per il momento le concentrazioni non si sono mostrate pericolose per il corpo umano, ma il dato è di particolare rilevanza in una zona come quella della cosiddetta Riviera Maya, una delle più battute dal turismo di massa. L’impatto sui 5 milioni di visitatori che vi approdano ogni anno di trovare un mare nero e spiagge ricoperte di alghe maleodoranti al posto del tipico paesaggio caraibico rischia di infondere un colpo profondo all’economia dell’intero Paese, in cui il turismo del Quintana Roo incide sul Pil in maniera determinante.

A POCO SERVONO I NUMEROSI OPERAI che raccolgono montagne di sargasso per nasconderlo alla vista dei lussuosi resort. Il problema è anche quello di smaltire una tale massa vegetale che, in fase di decomposizione, oltre a emanare un odore pungente, rilascia liquami tossici e sostanze nocive come l’idrogeno solforato e gas a effetto serra quali il metano: una presenza ingombrante che coinvolge l’intero ecosistema marino, dalle scogliere alle zone umide, come i boschi di mangrovie, con un impatto diretto su pesca e fauna.

IL SARAGASSO, CHE SPESSO DOPO ESSERE STATO RACCOLTO viene abbandonato sulla spiaggia e ricoperto di sabbia, diviene un pericoloso ostacolo alla deposizione delle uova delle tartarughe marine, come ha spiegato Hector Antonio Lizárraga Cubedo, oceanologo e Direttore esecutivo del centro ecologico di Akumal. Per cercare di produrre un’agenda standardizzata di azioni coerenti nel trattamento del sargasso, il Governo ha creato, sotto la supervisione del Consejo Nacional de Humanidades, Ciencias y Tecnologías (Conahcyt), un gruppo di lavoro formato da esperti di diverse discipline che si confrontano a cadenza regolare. Numerose sono le ricerche sullo sfruttamento del sargasso in termini monetari, dall’utilizzo per la produzione di biodiesel all’impiego nell’industria alimentare e cosmetica, ma per il momento la presenza dei metalli pesanti e l’incapacità di verificare la disponibilità nel tempo dell’alga non hanno ancora prospettato una valida soluzione.

L’IMPORTANZA DI STILARE UN PROTOCOLLO comune che agisca sia sulla contingenza che sulle cause più profonde del problema è stato ribadito da più voci: «Molte specie di fauna compiono almeno una parte del loro ciclo vitale associata al sargasso, il quale sta assorbendo la grande eccedenza di nutrienti che altrimenti permarrebbero creando problemi ancora peggiori per le specie marine» ha fatto notare Jose Adan Caballero Vasquez, del Centro de Investigación Científica dello Yucatán. Secondo Sergio Cerdeira Estrada, vicedirettore del Sistema di Informazione e Análisi Marina di Conabio, «non è corretto parlare di invasione, ma è importante osservare il problema da un punto di vista della complessità del mondo naturale in cui viviamo», portando attenzione su come il fenomeno necessiti di essere affrontato a livello internazionale. Osservandolo come una sorta di risposta immunitaria che la natura mette in atto per difendersi, il fenomeno del sargasso diviene emblematico della necessità di volgere uno sguardo più complesso sui territori globali, che siano terrestri o marini, per ripensarli non solo in base alle emergenze, ma secondo una visione più lungimirante verso un modello non più vorace a livello di turismo, estrattivismo e fruizione.

Fonte: Il Manifesto

Florida, dietro l’invasione di alghe nel mare due azioni dell’uomo sulla terraferma

https://resoilfoundation.org/ambiente/alghe-sargasso-fertilizzanti-deforestazione/

Le coste dello Stato USA e di altri stati caraibici sono invase da quantità abnormi di sargassi: si stima che le alghe sfiorino i 9mila chilometri di lunghezza e le 20mila tonnellate di peso. Alla base del fenomeno però ci sono l’abuso di fertilizzanti agricoli e la deforestazione. Una conferma del legame che unisce la salute dei suoli con quella degli oceani

di Emanuele Isonio

Che la porzione di Oceano Atlantico settentrionale, compresa tra le Azzorre a Est e le Antille a Ovest fosse caratterizzata dalla presenza di grandi banchi di alghe non lo scopriamo certo oggi. Il Mar dei Sargassi, che rimanda alle storie fantastiche di pirati ed esploratori, deve il suo nome proprio a quel tipo di vegetali. Talmente diffusi in alcuni periodi dell’anno da rallentare la navigazione dei velieri. Se ne lamentava già Cristoforo Colombo: sembra – raccontava nei suoi diari di bordo il navigatore genovese – di essersi arenati su immensi banchi di sabbia.

Un “blob” galleggiante

Secoli dopo, però, la presenza di queste leggendarie alghe appare però fuori controllo: molto più grande in quantità (la marea di sargassi si protrae per circa 8850 chilometri, per un peso approssimativo di 22 milioni di tonnellate di materia). E soprattutto si sta moltiplicando in periodi insoliti. Troppo presto, in mesi che dovrebbero ancora essere tardo invernali. Tanto da aver invaso, nei giorni e settimane scorse, molte spiagge della Florida e dei Caraibi settentrionali.

Da risorsa a patologia

E così, la presenza dei sargassi – che in quantità “normali” sono essenziali per la biodiversità di quella porzione di Atlantico, producendo ossigeno e garantendo un habitat ideale per la fauna marina. – diventa patologica. Mettendo a rischio la salute dei coralli, delle spiagge, delle preziose mangrovie, ma anche della salute umana e dell’indotto economico assicurato in quelle aree da pesca e turismo. Lo sanno bene i titolari delle strutture ricettive delle coste interessate, che hanno constatato una diminuzione di turisti e prenotazioni man mano che il fenomeno è cresciuto. Lungo le spiagge tra Miami a Jacksonville temono che quest’anno verrà superato il record (22 milioni di tonnellate) registrato l’anno scorso.

L’immagine satellitare mostra l’estensione dell’area coinvolta dalla crescita anormale delle alghe nell’Oceano Atlantico a gennaio 2023. I colori più caldi indicano una presenza più massiccia di sargassi. FOTO: South Florida University.

Ma che cosa c’è alla base di questa insolita proliferazione? I ricercatori del Dipartimento di biologia marina dell’University of South Florida stanno studiando il fenomeno da diversi anni. Utilizzando anche i dati satellitari forniti dalla NASA, hanno oosservato un aumento della fioritura dei sargassi almeno dal 2011. Secondo il team guidato dai professori Mengqiu Wang e Chuanmin Hu, il fenomeno è collegato con quanto accade in Amazzonia.

I principali indiziati sono infatti l’aumento della deforestazione (ripresa a pieno regime in Brasile con il presidente Bolsonaro) per far posto ad ampie distese di suolo coltivabile e l’uso massiccio di fertilizzanti chimici. Questi ultimi infatti, sono progettati per favorire la crescita rapida dei prodotti agricoli. Ma quelle stesse sostanze finiscono poi per arrivare nei corsi d’acqua fino al grande Rio delle Amazzoni. E da lì fino al mare. Le correnti oceaniche hanno fatto il resto, provocando un aumento incontrollato delle alghe sargasso. Fattori che fanno dire al professor Hu che “le fioriture ricorrenti dei saraggi nell’Atlantico tropicale e nel Mar dei Caraibi possono diventare la nuova norma”.

I collegamenti con lo slash and burn africano

Un altro ateneo della Florida – quello di Miami – ha aggiunto un ulteriore tassello alla ricerca delle cause principali della proliferazione dei sargassi. E l’avrebbe individuato in Africa, dove è molto utilizzata ancora la pratica dello slash and burn: una superficie forestale viene sottoposta a taglio e ripulita del sottobosco; la ramaglia viene disposta a strisce e bruciata, mentre con la legna viene prodotto del carbone. Le superfici aperte vengono coltivate per uno/due anni sfruttando la fertilità del suolo ereditata durante la fase forestale, per essere poi abbandonate alla ricolonizzazione della vegetazione naturale fino al ripristino di livelli di fertilità idonei a una nuova coltivazione.

Ma tale pratica, oltre a stressare i suoli (la crescita demografica ha ridotto il tempo tra un taglio e l’altro, rendendo difficile il recupero forestale), causerebbe il rilascio in atmosfera di nutrienti, a partire dal fosforo. L’ipotesi è stata avanzata da Cassandra Gaston, professore associato all’università di Miami ed esperta di chimica atmosferica. “Il fumo sprigionato da quegli incendi sta certamente apportando nutrienti che sono prontamente disponibili dopo che, trasportati dai venti, si depositano nell’oceano” spiega Gaston. E così facendo diventano un involontario acceleratore della moltiplicazione delle alghe sargasso.

Fonte: Re Soil Foundation

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

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https://actionnetwork.org/fundraising/aiutaci-a-difendere-laura-davide-e-alessandro-dal-carcere/

Aiutaci a difendere Ester e Guido con un ricorso

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Mentre il Governo ci etichetta come eco-vandali e si adopera per creare leggi ad hoc per inasprire le pene, l’Onu lancia l’allarme sul rischio di persecuzione dei difensori dell’ambiente da parte delle istituzioni.

“Come Laocoonte cercò di mettere in guardia i cittadini di Troia dall’inganno dei greci senza essere ascoltato, così oggi le persone che protestano per chiedere azioni contro la crisi climatica vengono silenziate e represse. “

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Oltre che per i processi, stiamo raccogliendo fondi pure per altre attività della campagna: per maggiori informazioni visita il nostro sito http://www.ultima-generazione.com

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus