allevamenti intensivi

PERCHE’ GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI INQUINANO?

Roberta Favazzo 25 Ottobre 2023 16:00

Gli allevamenti intensivi inquinano principalmente a causa delle elevate densità di animali, che generano grandi quantità di deiezioni contenenti metano e ammoniaca. La produzione di mangimi richiede vasti terreni e risorse e per questo porta alla deforestazione e all’uso eccessivo di acqua e fertilizzanti. Inoltre, il trasporto di animali e prodotti animali comporta emissioni di carbonio. Tutto ciò contribuisce negativamente all’impatto ambientale sull’aria, l’acqua e il suolo.

https://www.greenstyle.it/perche-allevamenti-intensivi-inquinano-409113.html

Indice

  1. Cosa sono gli allevamenti intensivi?
  2. Perché gli allevamenti intensivi inquinano?
  3. Quanto inquinano gli allevamenti intensivi?

Gli allevamenti intensivi svolgono un ruolo cruciale nell’approvvigionamento di carne, latte e uova in tutto il mondo per soddisfare la crescente domanda alimentare della popolazione globale. Ma non sono privi di “effetti collaterali”: oltre che l’estrema sofferenza e le pessime condizioni nelle quali gli animali sono costretti a vivere, c’è anche la devastante conseguenza dell’impatto ambientale che esercitano. In questo articolo approfondiamo come e perché gli allevamenti intensivi inquinano e perché il loro impatto è rilevante per il cambiamento climatico.

Cosa sono gli allevamenti intensivi?

Prima di entrare nel vivo della questione, è bene approfondire in cosa consistono. Gli allevamenti intensivi costituiscono un metodo di produzione agricola che si caratterizza per l’alta densità di animali o coltivazioni all’interno di uno spazio relativamente ristretto. Si tratta di approccio sviluppato per massimizzare la produzione di prodotti animali, di origine animale o agricoli in genere riducendo al minimo i costi operativi e aumentando l’efficienza.

Proprio per tali caratteristiche, ad essi sono legate sempre più crescenti preoccupazioni relative, oltre al benessere animale e all’impatto ambientale, anche alla salute pubblica. Le condizioni stressanti nelle quali sono mantenuti gli animali possono portare a problemi di salute, e l’uso massiccio degli antibiotici può contribuire alla diffusione di batteri resistenti a questi ultimi. Vediamo come influisce negativamente l’allevamento intensivo sull’ambiente.

Perché gli allevamenti intensivi inquinano?

Cosa provocano gli allevamenti intensivi? Tale modello di produzione comporta una serie di impatti ambientali negativi, ad iniziare dal consumo di risorse idriche. Gli animali richiedono notevoli quantità di acqua per l’abbeveraggio e la pulizia dei locali. Inoltre, producono enormi quantità di rifiuti organici, che spesso finiscono per contaminare le risorse idriche sotterranee e superficiali danneggiando di fatto gli ecosistemi acquatici e minacciando la qualità dell’acqua per l’uso umano.

Non solo: la sempre più massiccia richiesta di terreni per l’allevamento ha portato alla deforestazione di vaste aree di foresta pluviale, causando la perdita di biodiversità e la liberazione di grandi quantità di carbonio nell’atmosfera. Infine, l’emissione di gas nocivi come ammoniaca e metano nell’atmosfera (il sistema digestivo degli animali li produce durante la digestione) contribuiscono all’inquinamento dell’aria.

Quanto inquinano gli allevamenti intensivi?

Quando si valuta l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi, sono numerosi i fattori che bisogna tenere in conto e che vanno ben oltre le sole emissioni generate all’interno delle strutture destinate all’allevamento. Questi includono anche la coltivazione e la produzione di mangimi per il bestiame, che a loro volta richiedono terreni agricoli, acqua, fertilizzanti e pesticidi. Processi che portano inevitabilmente a emissioni di gas serra, alla perdita di biodiversità e alla degradazione del suolo. Da non sottovalutare la deforestazione, che contribuisce alle emissioni di carbonio dovute alla perdita di copertura forestale. C’è anche il trasporto degli animali tra le diverse fasi della catena alimentare, che comporta emissioni legate all’uso di veicoli a motore e alla logistica associata. Così come le loro deiezioni, altamente inquinanti, ricche di azoto, fosforo e potassio.

Il settore agricolo, l’allevamento in maniera particolare, sono i principali emettitori di ammoniaca e metano in Europa. Ecco qualche dato in merito alle percentuali riportato sul sito della FAO:

  • Le emissioni totali derivanti dal bestiame a livello globale sarebbero pari a 7,1 gigatonnellate di CO2 equivalenti all’anno, ovvero il 14,5% di tutte le emissioni di gas serra di origine antropica.
  • La produzione e la lavorazione dei mangimi (il 45% delle emissioni totali) e la fermentazione enterica dei ruminanti (39%) sono le due principali fonti di emissioni.
  • Il consumo di combustibili fossili lungo le catene di approvvigionamento rappresenta circa il 20% delle emissioni del settore zootecnico.
  • Le intensità delle emissioni variano da prodotto a prodotto. I valori più elevati riguardano la carne bovina, seguita dalla carne e dal latte di piccoli ruminanti. Intensità di emissione medie globali minori sono quelle determinate dal latte vaccino, dai prodotti a base di pollo e carne di maiale
  • Infine, il 44% circa delle emissioni del bestiame sono sotto forma di metano (CH4). Seguono protossido di azoto (N2O, 29%) e anidride carbonica (CO2, 27%).
https://attivati.greenpeace.it/petizioni/stop-allevamenti-intensivi/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus

ALTRO CHE POLLO BIO! FILENI NEL MIRINO DI REPORT

Fileni nel mirino di Report
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/01/09/altro-che-pollo-allevato-bio-fileni-nel-mirino-di-report/6929408/

STASERA SU RAI3 – Animali cresciuti non all’aperto, con mangimi Ogm e maltrattati con pratiche illegali: l’inchiesta sulla carne avicola del gruppo

DI MARCO FRANCHI 9 GENNAIO 2023

Polli che vengono dichiarati allevati all’aperto quando provengono da allevamenti intensivi, rinchiusi nei capannoni mentre dovrebbero razzolare fuori per almeno un terzo della loro vita, e sottoposti a illuminazione artificiale forzata h24 per farli continuare a mangiare e a ingrassare, e arrivare prima al macello, produrre più carne e quindi più profitto. Ma non solo: polli che vengono nutriti con Ogm e grassi animali, nonostante l’azienda dichiari di essere Ogm-free. Farà discutere l’inchiesta in onda stasera a Report, su Rai3, “Che polli!”, a firma di Giulia Innocenzi, volto noto santoriano che sempre su reti Rai firmò anni fa il programma-inchiesta sugli allevamenti intensivi Animali come noi e che oggi è entrata nella squadra di Sigfrido Ranucci.

Nel mondo si macellano 26 miliardi di polli ogni anno, 71 milioni al giorno e, solo in Italia, ne alleviamo 500 milioni. E nonostante il fabbisogno nazionale sia ampiamente soddisfatto continuiamo ad aprire nuovi allevamenti intensivi. Continuiamo a farlo – spiega David Quammen, il giornalista e scrittore diventato famoso con Spillover per aver predetto la pandemia da coronavirus, e intervistato da Report – perché “noi che viviamo nei Paesi più ricchi mangiamo più carne del necessario e questa carne è prodotta in mega allevamenti intensivi. E se continueremo ad allevare 26 miliardi di polli su questo pianeta finiremo nei guai”. Il riferimento è al virus dell’influenza aviaria: “H5N1 è il virus più pericoloso che abbiamo ed è candidato a provocare la prossima pandemia”. Nell’ultimo anno sono stati uccisi 48 milioni di polli affetti da aviaria in Europa: un record, e l’Italia è il secondo Paese per contagi negli allevamenti.

Come e perché questa cosa ci riguarda? Il pollo è l’animale più sfruttato del pianeta. Serve produrre quanti più polli perché il consumatore non si ciba di tutto l’animale, sceglie solo cosce, sovracosce e petto. Così vengono selezionati polli con petti enormi e pesanti, che stentano a stare in piedi. È il mercato che lo impone, così come impone che questi esemplari crescano in fretta, e a poco costo possibilmente. È il paradigma alla base della grande distribuzione organizzata per supermercati e ristorazione: quello magistralmente descritto da Jonathan Safran Foer nel suo Se niente importa. Ma come si concilia questo con la sotenibilità e le pratiche del biologico? L’inchiesta di Report si occupa di un marchio conosciutissimo, quello Fileni, che è uno dei gruppi più grandi in Italia nel mercato della carne di pollo (50 milioni di polli all’anno), famoso soprattutto per la linea dedicata al biologico e che ha ricevuto anche la prestigiosa certificazione B CORPche attesta elevati standard di trasparenza, responsabilità e sostenibilità. Peccato che quello che ricostruisce la rigorosa inchiesta di Report sugli allevamenti bio di Jesi Cannuccia, Falconara Marittima e Ostravetere dica altro.

Tutti gli impianti della filiera biologica dovrebbero assicurare almeno un terzo di vita all’aperto agli animali. Ma le telecamere di Report e la Lav, che ha ricevuto delle immagini filmate da più telecamere fisse posizionate per diversi giorni fuori dagli allevamenti bio Fileni in questione, non vedono mai gli uscioli aperti. Eppure i polli dovrebbero poter razzolare all’aperto, ognuno in un “parchetto” da 4 metri quadri per pollo, ma all’esterno dell’allevamento le telecamere riprendono solo calcinacci e detriti. La denuncia è chiara: ci vorrebbero molti più operai per far uscire e rientrare migliaia di polli ogni giorno. Pubblicamente Fileni dichiara che il 33% delle superfici dei propri allevamenti è bio. Su quanti siano i polli prodotti in maniera biologica, la risposta ufficiale del gruppo a Report è stata: l’11%. La trasmissione si chiede se questo significhi allora che l’89% della produzione viene da allevamenti intensivi, un dato in netto contrasto con la comunicazione di Fileni, tutta basata sul biologico. Così come un’altra informazione in contrasto con quella pubblicizzata è quella relativa ai mangimi con cui vengono allevati i polli: Fileni pubblicamente dichiara che i polli sono OGM free. Tuttavia sulle etichette del mangime attaccate al silos di un allevamento di riproduttori – e riprese dalla trasmissione – è scritto il contrario. E, ancora, quello che testimoniano le immagini raccolte da Report e quelle ricevute dalla Lav, dimostra che negli allevamenti Fileni di Monte Roberto, Ripa Bianca e Mucciolina alcune pratiche sarebbero al limite del maltrattamento animale: operai che mentre girano per il capannone uccidono i polli malati o che non crescono abbastanza, mettendo l’animale sotto i piedi o tirandogli il collo e gettandolo a terra agonizzante. Tutte pratiche non legali, come conferma l’Azienda sanitaria marchigiana addetta alla sicurezza alimentare e alla veterinaria. È un ex operaio Fileni a confidare a Report che tutti i polli devono raggiungere un’altezza standard perché altrimenti, durante la fase di macellazione, non arrivano al taglio del collo e bloccano il processo. Così come che Fileni multerebbe le società fornitrici colpevoli di mandare al macello i polli che crescono meno. È il mercato, bellezza.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila