“Nessuno ha pagato per la morte di mio fratello Ayrton”

ESCLUSIVA – LEONARDO SENNA: «NESSUNO HA PAGATO PER LA MORTE DI AYRTON»

La statua in bronzo di Ayrton Senna posta dietro la curva del Tamburello nel circuito di Imola a San Marino, dove Ayrton morì il 1 Maggio del 1994
Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’onore ed il piacere di trascorrere del tempo con Leonardo Senna, fratello minore di Ayrton. Basterebbe già questo a tradurre la nostra emozione, senza bisogno di altra spiegazione. Tanti gli argomenti affrontati…
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By: Daniele Muscarella 04/12/2023 07:00:00

Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’onore ed il piacere di trascorrere del tempo con Leonardo Sennafratello minore di Ayrton. Basterebbe già questo a tradurre la nostra emozione, senza bisogno di altra spiegazione.

Non possiamo che continuare a ringraziare Leonardo per averci poi concesso un’emozionante intervista, esclusiva, in cui abbiamo affrontato tanti argomenti, dall’Ayrton pilota, pluri-campione e idolo di un Paese intero; all’Ayrton uomo, soprattutto: amorevole fratello, figlio e zio, uomo di casa che a casa non poteva essere spesso, ma che colmava d’amore gli spazi d’intimità concessi.

Non potevano mancare le schegge di dolore; quel 1° maggio maledetto col suo strascico di amplificata sofferenza dato dal processo che ancora oggi, a quasi trent’anni di distanza, lascia dei dubbi che pesano come macigni sulle cause e le responsabilità della morte di Ayrton.

Ci sono momenti che in modo molto particolare segnano la vita di tutti noi, istanti indelebili stranamente incisi in una memoria tanto affaticata dai ritmi frenetici della vita moderna. Eppure, se provaste a domandare, qualsiasi appassionato di motorsport riuscirà a descrivere con dovizia di particolari dove si trovava e cosa stava facendo quel maledetto 1° maggio, nel momento in cui la Williams FW16 si andava a schiantare violentemente contro il durissimo muro della curva del Tamburello e in tutti gli interminabili minuti successivi, fino al comunicato della morte di Ayrton, e questo vale anche per i non appassionati, massima testimonianza della sua grandezza.

Cosa è successo? E’ forse la domanda a cui ancora oggi si fa molta fatica a rispondere, nonostante i tre livelli di giudizio e le tante testimonianze e ricostruzioni. Sappiamo con relativa certezza cosa causò la morte, la decelerazione all’impatto e un braccetto delle sospensioni che trafisse da sotto in su il casco giallo del campione brasiliano. Abbiamo meno certezze su cosa provocò l’uscita di pista e soprattutto se quel piantone spezzato, con ancora attaccato il volante e adagiato dai soccorsi accanto alla Williams, si sia rotto dopo l’impatto o come sembra prima, per una non perfetta saldatura effettuata a poche ore dalla gara.

In ogni caso, come avrà modo di dirci Leonardo, con la voce spezzata e un nodo alla gola, nessuno ha poi pagato davvero per la morte di suo fratello.

Tante le ipotesi di responsabilità, che fanno principalmente capo alla Williams, nelle persone dell’allora direttore tecnico Patrick Head e del progettista Adrian Newey, ma in tanti puntano il dito anche verso gli organizzatori del Gran Premio, rei di aver lasciato “nudo” quel muro a destra di una curva velocissima che già in passato aveva visto bruttissimi incidenti.

Il processo

Nella sentenza del secondo processo di appello, la Corte d’Appello di Bologna giudica il tecnico aerodinamico Adrian Newey innocente “per non aver commesso il fatto” e stabilisce il “non doversi procedere” per Patrick Head, “per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione“.

Una sentenza che di fatto riconosce la tesi dell’accusa e indica come causa dell’incidente mortale il cedimento del piantone dello sterzo, come ipotizzò fin dal giorno dopo Autosprint, pubblicando lo scatto di Angelo Orsi dello sterzo rotto accanto ai soccorritori. Altri scatti Angelo li tenne per sé, rinunciando ai guadagni che a fatica potreste immaginare; per questo gli appassionati di tutto il mondo non dovrebbero mai smettere di essergli grati.

Il volante e il piantone dello sterzo insolitamente poggiati per terra – Credit autosprint.corrieredellosport.it – Photo Angelo Orsi

Nell’ultimo grado di giudizio, la terza sezione penale della Corte di Cassazione rigetta la richiesta di assoluzione piena per Patrick Head e conferma la sentenza e la prescrizione, ribadendo chiaramente le modalità e le responsabilità dell’incidente. Un lunghissimo procedimento giudiziario giunge così a conclusione dando un responsabile in pasto ai media, ma nessuno ha di fatto scontato una pena. E’ questo, forse, l’aspetto che più addolora Leonardo quando ce ne parla e ricorda quel maledetto weekend di gara dove, va ricordato, il giorno prima perse la vita anche Roland Ratzenberger.

Leonardo, che era solito accompagnare il fratello in tutte le gare fin dalle categorie inferiori, era con lui anche in quel weekend: “Io ed Ayrton stavamo nello stesso hotel, e siamo andati insieme in pista la mattina. Era molto teso quel giorno, con uno stato d’animo che gli pesava come un macigno, e anche nei primi giri c’era molta tensione. Io ero lì quando c’è stato l’incidente ed è stato portato all’ospedale, subito dopo è arrivata la notizia della sua morte”.

Le immagini di repertorio di quella domenica e del sabato precedente immortalano un Ayrton molto cupo, ovviamente pesantemente scosso per la morte di Roland, ma anche per l’incidente del venerdì dal quale uscì quasi miracolosamente indenne Rubens Barrichello. E’ in una tale atmosfera che si corre il Gran Premio di Imola del 1994, atmosfera che in qualche modo sedimenterà al punto tale da non scomparire nemmeno dopo l’ultimo grado di giudizio.

Quando chiedo a Leonardo se la sua famiglia abbia mai accettato quella sentenza, mi risponde così: “È un po’ complicato, non possiamo essere sicuri di ciò che è successo, ma c’è stato un problema, una rottura dello sterzo. Hanno fatto alcuni interventi nella scatola dello sterzo e infelicemente c’è stata questa rottura che ha causato l’incidente. Sfortunatamente non c’è stata una sanzione per nessuno, ma non avevamo più altri tentativi da fare“.

Ancora oggi in tanti non accettano l’esito di quelle indagini, anche perché la sequenza di eventi collegati e ricollegabili all’incidente è talmente lunga da risalire fino alla probabile bassa qualità della lega usata per saldare il piantone dello sterzo, a sua volta accorciato su richiesta di Ayrton che su quella Williams progettata da Newey proprio non ci entrava, tanto che lui, magro com’era, aveva paura di aumentare anche di un solo chilogrammo il suo peso corporeo.

In ogni caso quell’incidente e la tragica morte di Ayrton cambiarono la Formula Uno per sempre, per certi versi in meglio, grazie a nuovi standard di sicurezza tra cui l’obbligo di protezioni in tutti i muretti in prossimità delle curve, con barriere in grado di assorbire gli urti, controlli molto più severi e nuovi crash test sulle monoposto e l’obbligo di salvaguardare maggiormente la testa del pilota. La Federazione comprese poi che la repentina eliminazione dei drive-aid e delle sospensioni attive, avvenuta l’anno prima, aveva causato uno squilibrio in quelle potentissime e contemporaneamente divenute instabili monoposto. Per questo motivo si intervenne parzializzando la potenza dei motori (a quei tempi di 3500cc), riducendo l’effetto suolo alzando le vetture da terra e aggiungendo la skid block in legno sul fondo, limitandone i consumi.

Anche se quel giorno ci portò via il Campione e la sua possibilità di continuare a scrivere la storia della Formula Uno, coinvolgendo peraltro sempre di più le masse popolari, quella stessa storia e Ayrton sono legati per sempre: avremo modo di parlarne nei prossimi articoli dedicati all’emozionante intervista a Leonardo Senna, in esclusiva formula.it

Fonte: Formula1.it

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto