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GENERE, OCCUPAZIONE ED ADVOCACY: LE DONNE PALESTINESI RIVENDICANO LA LORO VOCE

Confronto tra una donna palestinese ed una militare israeliana https://www.invictapalestina.org/archives/36587

Vivere da donna queer in Palestina presenta una serie di elementi particolari che, sebbene possano sovrapporsi con le narrazioni di altre donne, costituiscono allo stesso tempo una lotta e un’esistenza diversa.

Oggi, i diritti delle donne e quelli delle persone gender e queer  sono sotto i riflettori dei media mainstream. Con movimenti come la campagna #metoo e  i “Pride” come quelli di New York, Madrid o Tel Aviv ampiamente documentati, in un contesto globale questi temi stanno guadagnando il centro della scena.

Tuttavia, le esperienze di donne e di persone queer non sono uguali dappertutto. In Palestina, non solo queste persone affrontano strutture patriarcali ed etero-normative, ma devono anche lottare con l’occupazione illegale israeliana.

La Palestinian Working Woman Society for Development (PWWSD) lavora nel campo dei diritti delle donne in Palestina dal 1981. In una conversazione con Sandie Hanna,  responsabile dell’Advocacy di PWWSD,  è stata affrontata la  complessità della questione del genere nel contesto palestinese.

“C’è sempre gente che pensa che i diritti delle donne siano un privilegio”, ha detto Hanna a Palestine Monitor.

Discutendo della frequenza con cui i media occidentali descrivono le donne arabe, e principalmente palestinesi,  come vittime da salvare, Hanna ha affermato che “noi non  abbiamo mai considerato le donne come vittime, le donne agiscono e non possiamo aspettare fino a che ci venga data la parola”.

“Andiamo avanti, poniamo delle rivendicazioni e partecipiamo, anche se è un processo lungo”, ha continuato Hanna.

Tuttavia, Hanna ha spiegato che il lavoro svolto dall’organizzazione deve affrontare più livelli, il che lo rende un compito complesso, specialmente nel contesto della Palestina come Stato occupato.

“È una sfida, perché la portata è enorme: l’occupazione, le strutture patriarcali”, ha  detto Hanna, sottolineando che “l’occupazione è patriarcale”.

Questi strati multipli operano su tre livelli principali: l’occupazione stessa, la politica interna palestinese e il contesto internazionale.

Sebbene l’occupazione colpisca tutti i Palestinesi, le donne spesso subiscono conseguenze supplementari a causa di disuguaglianze strutturali.

Nel discutere alcuni esempi, Hanna ha spiegato: “la forza che viene utilizzata [nell’occupazione] è illegale, letale, eccessiva e non si cura degli effetti  nei confronti dei civili”.

“Le donne sono colpite in modo sproporzionato perché portano un doppio fardello, infatti non solo vengono colpite direttamente, ma devono sostenere anche il peso sociale di essere la moglie o la figlia del martire. Perdono i figli, sono colpite economicamente, sono escluse in diversi modi “. Ha proseguito dicendo che la situazione in Palestina  non è omogenea, infatti “Hebron è probabilmente il Governatorato più colpito della West Bank”.

Un altro settore in cui l’occupazione colpisce in particolare le donne (e i bambini) è quello della violenza di genere e domestica. L’occupazione e la militarizzazione naturalizzano la violenza, che viene poi applicata nello spazio domestico.

In questo senso, ha spiegato Hanna, se gli uomini sono per esempio “costantemente esposti alla violenza ai posti di blocco, il tipo di violenza e di umiliazioni a cui sono esposti quotidianamente li rende aggressivi e fa sì che incanalino questa energia negativa verso le loro famiglie”.

A causa della terribile situazione economica e degli elevati tassi di disoccupazione in Cisgiordania, molti uomini palestinesi lavorano in Israele e devono quindi attraversare più checkpoint ogni giorno.

Inoltre, ” nella nostra cultura si suppone che gli uomini non si esprimano con facilità,  a causa anche di un certo modello di mascolinità”. PWWSD lavora su questo tema fornendo consulenza Psico-sociale alle donne e ai bambini in particolare, ma anche agli uomini.

Riguardo alla politica interna palestinese, anche se la Palestina ha sottoscritto la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” (CEDAW) del 2014, Hanna ha dichiarato che “la legislazione non è conforme al livello internazionale e noi riteniamo che la procrastinazione di leggi che proteggono le donne sia intenzionale “.

Spiegando che nelle elezioni municipali il PWWSD è stato in grado di sostenere 75 donne che hanno ottenuto dei seggi, ha commentato che questo è “a volte una pura formalità, dal momento che le donne sono  strumentalizzate per avere i loro nomi sulle liste ma poi sono escluse”. Ha proseguito dicendo che a volte “i politici maschi programmano incontri alle 23:00 in modo che le donne non possano presenziare”.

Anche il livello internazionale pone una serie di sfide alle donne palestinesi. Hanna ha ricordato che “il taglio dei fondi statunitensi all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha colpito maggiormente e in modo più grave le donne” .

Alla domanda su cosa dovrebbe fare la comunità internazionale, Hanna ha detto che occorrerebbe fare più pressione sul governo. “Abbiamo bisogno che la società civile faccia pressione per ottenere  azioni più concrete e per assicurarsi che vengano applicate le risoluzioni, le  convenzioni e i trattati esistenti”.

Hanna ha riassunto dicendo che sarà la prossima generazione  a guidare ulteriori cambiamenti. “Le giovani generazioni, con la loro  visione illuminata di come occorra opporsi collettivamente alla violenza sia patriarcale che occupazionale,  saranno in grado di apportare significativi cambiamenti”.

Queerness e donne: vulnerabilità che si intersecano

Vivere da donna queer in Palestina presenta una serie di elementi particolari che, sebbene possano sovrapporsi con le narrazioni di altre donne, costituiscono allo stesso tempo una lotta e un’esistenza diversa.

Alla domanda su cosa dovrebbero fare i media quando si affronta la questione del genere e della queerness in Palestina, Rima, un’attivista lesbica palestinese di 25 anni il cui nome è stato cambiato per motivi di sicurezza, ha detto che “i media dovrebbero ascoltare,  prima di parlare in nome delle donne palestinesi”.

Sebbene l’attenzione si concentri di solito sui tabù che circondano l’essere queen, Rima  afferma che la vita quotidiana ha le sue sfumature basate sulla percezione delle relazioni di genere.

Rima ha dichiarato; “Vorrei che i lettori sapessero che non è facile essere una donna queer, ma in un certo senso è anche conveniente qui per me come donna lesbica avere una fidanzata, perché possiamo vivere nella stessa stanza senza che nessuno lo metta in discussione”. Tuttavia, ha detto, “allo stesso tempo, ricevi molta pressione dalla famiglia e  da ciò che la società si aspetta”.

L’occupazione influisce sulla vita dei Palestinesi in numerosi aspetti. Per quanto riguarda l’essere queer, l’attivista lesbo palestinese di 26 anni, Noor (anche il suo nome è stato cambiato), ha fatto riferimento alla posizione di Israele sulla queerness all’indomani del Pride  di Tel Aviv. A questo riguardo, ha affermato che “[gli Israeliani] stanno dicendo al mondo che sono di mentalità aperta e che Israele  è come se fosse tutto “unicorni e arcobaleni”, mentre non è così”.

Noor si riferiva a quello che molti definiscono “pinkwashing”, una tattica propagandistica usata da Israele per dipingere  il Paese come progressista in termini di genere e sessualità, mentre maschera le sue sistematiche violazioni dei diritti umani e presenta le società palestinesi, arabe e musulmane come intrinsecamente arretrate e intolleranti.

Ha continuato dicendo: “Penso che lo facciano solo per coprire i loro crimini. Se quello che stanno facendo fosse per la comunità [queer], allora perché io come donna palestinese non posso entrare in Israele  e partecipare al Pride? ” Noor ha affermato, riferendosi a come i Palestinesi possano entrare in Israele solo se ottengono i documenti richiesti. Noor ha riassunto insistendo: “Sono tutte cazzate, questo è quello che penso”.

Sebbene concordino  sul fatto che l’occupazione sia un’enorme sfida e debba essere fermata, Noor e Rima si sono rifiutate di addossarle  la colpa di tutti i problemi riguardanti l’essere queer. In questo senso, Rima ha affermato che “[l’occupazione] è solo uno dei nostri problemi, ma non l’unico come società”. Noor ha spiegato che “che la  società sia dominata dagli uomini, non ha a che fare con l’occupazione. Se guardi ad altre comunità arabe, vedrai che come persone queer in Medio Oriente siamo oppresse ovunque “.

Discutendo su come affrontare l’occupazione e su come l’obiettivo da raggiungere sia un futuro Stato indipendente ed inclusivo, Rima ha dichiarato che “i diritti non possono essere separati” e che il processo di pace deve essere “di genere  e queer” .

Ha spiegato che “le questioni relative alla diversità sessuale e all’uguaglianza dovrebbero essere portate al tavolo della discussione in quanto altrettanto importanti quanto il resto degli argomenti”, riferendosi al diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi, allo status di Gerusalemme e al controllo delle frontiere. Ha continuato affermando che “per essere indipendenti dobbiamo prendere in considerazione tutti questi problemi”.

Per quanto  la loro condizione di donne lesbiche in Palestina sia complessa, non è però del tutto negativa e alcuni avvenimenti hanno influito positivamente sulla loro vita. Sia Rima che Noor sono state coinvolte in una ONG locale che lavora con la diversità sessuale e di genere, contribuendo attivamente alla costruzione di una collettività intorno a persone queer palestinesi.

Le attività di tale gruppo  nell’azione di advocacy e  il senso di comunità, sono state per loro esperienze essenziali. In questo senso, Noor ha detto che “per me, quello che mi ha aiutato è stato vedere altre persone che erano come me”. Rima conclude la conversazione affermando che dal momento del suo coinvolgimento nel processo di costruzione di una comunità queer, “non mi sono più sentita sola”.

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Fonte: Invictapalestina.org

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila

IL PORTOGALLO E’ AL 100% RINNOVABILE

PER UN MESE L’ELETTRICITÀ DELLA NAZIONE IBERICA È STATA PRODOTTA SOLO DA RINNOVABILI, CON VANTAGGI SU TUTTI I FRONTI: AMBIENTALI, OCCUPAZIONALI E DI PREZZO

https://www.sergioferraris.it/il-portogallo-e-al-100-rinnovabile/

È il sorpasso rinnovabile. In Portogallo. Durante il mese di marzo 2018, infatti, la nazione iberica ha prodotto elettricità da rinnovabili più di quanto a consumato in termini assoluti, raggiungendo il 100% rinnovabile. Durante questo mese, infatti le rinnovabili elettriche hanno prodotto 4.812 GWh superando i consumi di elettricità che sono stati pari a 4,647 GWh. E di tratta di un traguardo mai raggiunto negli ultimi 40 anni. A rilevare ciò è stata l’Apren, l’associazione portoghese per le energie rinnovabili citando i dati della Ren, la rete energetica nazionale, ed evidenziando che la produzione di rinnovabili ha rappresentato il 103,6% dei consumi di elettricità, mentre il massimo precedente si era verificato nel febbraio del 2014 con un 99,2%.

L’Apren, però precisa che: «ci sono state alcune ore in cui le centrali termoelettriche fossili e le importazioni sono state necessarie per integrare la fornitura elettrica del Portogallo. Tuttavia quelle ore sono state completamente compensate dalla maggiore produzione di rinnovabili». Nel periodo in esame, la quota giornaliera di elettricità rinnovabile nel consumo ha avuto un minimo dell’86%, il 7 marzo, e ha raggiunto un massimo del 143%, l’11 marzo.

A contribuire al raggiungimento del risultato delle rinnovabili, a marzo, sono stati soprattutto l’idroelettrico, con un 55% e l’eolico, con un 42%. Quindi un 55% dell’elettricità prodotta è arrivata da una delle poche rinnovabili in grado di generare con continuità energia compensando l’intermittenza delle altre rinnovabili. E visto il surplus prodotto la nazione iberica ha anche un elevato livello d’esportazione pari al 19% dei consumi, ossia 878 GWh. Ma i vantaggi non finiscono qui. «L’elevata penetrazione delle fonti rinnovabili ha influito in maniera molto positiva sul prezzo medio del mercato elettrico giornaliero, con una media di 39,75 € a MWh che è inferiore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente che è stato di € 43,94 / MWh, quando il peso delle rinnovabili sul consumo è stato del 62%», spiegano da Apren.

Ma non finisce qui. Lo scenario 100% rinnovabili al 2050 disegnato alcuni mesi fa da una ricerca dell’Università di Stanford, infatti, assegna un guadagno netto sul fronte dei posti di lavoro derivati al passaggio dai fossili alle rinnovabili di oltre 45mila unità. Un traguardo che potrebbe già essere stato raggiunto.

E infine c’è la questione del clima. La produzione totale di rinnovabili, infatti, in questo periodo ha evitato l’emissione di 1,8 milioni di tonnellate di CO2, che si è tradotto in un risparmio di 21 milioni di euro nell’acquisizione delle quote di emissioni.

Portogallo, “Rinnovabili creeranno posti di lavoro e ridurranno le bollette”

L’intervento del CEO di WindEurope Giles Dickson al vertice sulle Fer in Portogallo organizzato dall’Associazione Portoghese per le Energie Rinnovabili (APREN)

https://www.canaleenergia.com/rubriche/scenari/portogallo-rinnovabili-creereranno-posti-di-lavoro-e-ridurra-le-bollette/

Il Green deal europeo e il Piano di ripresa possono rappresentare una grande opportunità per il Portogallo. E l’energia eolica potrebbe giocare un ruolo chiave in questa partita. Tuttavia questo meccanismo virtuoso potrebbe non innescarsi in mancanza di una semplificazione delle procedure di autorizzazione per i nuovi parchi eolici e rinnovati. Ma anche in assenza di una maggiore visibilità agli investitori. A tracciare questo quadro è stato il ceo di WindEurope Giles Dickson, intervenuto qualche giorno fa al vertice sulle energie rinnovabili in Portogallo organizzato dall’Associazione portoghese per le energie rinnovabili (Apren).

Nel 2019 in Portogallo più del 50% del fabbisogno di elettricità dalle Fer

Secondo i darti citati dal numero uno di Wind Europe l’energia rinnovabile ha coperto più del 50% del fabbisogno di elettricità del Portogallo. In questo contesto l’eolico da solo ha rappresentato il 23% del totale. Il tutto posizionando il Portogallo tra i primi paesi europei per l’energia eolica.

Obiettivi al 2030 del Portogallo

A ciò si aggiunge il fatto che il governo portoghese intende portare l’energia rinnovabile a coprire l’80% del fabbisogno elettrico del paese entro il 2030. Di questa percentuale il 31% dovrebbe provenire dall’eolico.

Bollette meno care per i consumatori

Più energia prodotta in Portogallo significa che i consumatori portoghesi non dovranno più pagare per importare combustibili fossili dall’esterno dell’Europa. E poiché l’energia rinnovabile è la forma più economica di nuova generazione di elettricità, significa nel complesso bollette più economiche”, spiega Wind Europe in nota.

Più posti di lavoro

“Più energia rinnovabile – aggiunge inoltre l’associazione – significa anche più posti di lavoro e una base industriale più forte per paesi come il Portogallo. Circa 22.000 persone già lavorano per l’industria eolica in Portogallo. E le fabbriche in luoghi come Viana do Castelo o Vagos contribuiscono in modo determinante alle infrastrutture locali, all’occupazione e all’economia”.

I nodi da affrontare

Tuttavia per dispiegare appieno il potenziale delle Fer è fondamentale intervenire su punti specifici. In primo luogo, il Portogallo deve dare agli investitori sicurezza e visibilità. Inoltre dovrebbe fornire dettagli sulle politiche che adotterà per raggiungere i suoi obiettivi climatici. Altro punto chiave è la necessità di sostenere la crescente domanda di energie rinnovabili nell’economia. Il tutto aumentando la tracciabilità e le garanzie di origine dell’elettricità consumata. E garantendo parità di condizioni nel trattamento fiscale del gas e dell’elettricità. Infine, il Portogallo e l’Europa devono sostenere la catena di approvvigionamento eolica. investendo di più nell’innovazione, anche per l’eolico onshore.

Costa Silva: “Con le rinnovabili il Portogallo punta all’indipendenza energetica, il gas russo non ci serve”

Intervista al ministro dell’Economia. Il Paese, che ha avuto la crescita più alta del Pil nella Ue nel primo trimestre (+2,6% rispetto al trimestre precedente) e con le previsioni di primavera Ue ha incassato una revisione al rialzo per le previsioni 2022 al 5,8%

IL MINISTRO DELL’ECONOMIA DEL PORTOGALLO, ANTONIO COSTA SILVA https://www.repubblica.it/economia/2022/05/16/news/intervista_antonio_costa_silva-349817391/

Fonti: Sergio Ferraris, Canale Energia, Repubblica

LA BANDIERA NAZIONALE DEL PORTOGALLO

“TENETE BENE A MENTE QUESTA BANDIERA PERCHE’ ADESSO FARO’ DI TUTTO PER TRASFERIRMI IN PORTOGALLO A PARTIRE DAL PROSSIMO 2025, PERCHE’ NON HO NESSUNA INTENZIONE DI CONTINUARE A SOPRAVVIVERE E A MORIRE IN UN PAESE COME L’ITALIA CHE HANNO AVUTO INTERESSE A RENDERE OSTAGGIO DELLA FALSITA’ E DELLA RIDICOLEZZA!”

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila e tecnico sportivo CSEN Abruzzo