Via Brioschi

16 MARZO 2003-16 MARZO 2023: I PRIMI 20 ANNI DALLA MORTE DEL COMPAGNO DAVIDE CESARE, NOME DI BATTAGLIA “DAX”

Vasto (CH), lì 16 Marzo 2023 ore 15.31

amici ed amiche che seguite il mio blog, un buon pomeriggio a tutti e a tutte voi. Questo articolo voglio dedicarlo al compagno Davide Cesare detto Dax del Centro Sociale Orso, ucciso a coltellate da dei simpatizzanti fascisti in Via Brioschi a Milano il 16 Marzo 2003 ed oggi ricorrono i 20 anni esatti dalla sua morte.

Quando a Milano morì Davide Cesare, detto “Dax”

Fu assassinato in Via Brioschi a Milano con 13 coltellate da un simpatizzante fascista, in una notte segnata da violenze e scontri con le forze dell’ordine

Un murale dedicato a Dax, a Milano (ANSA / MATTEO BAZZI)
https://www.ilpost.it/2023/03/16/omicidio-davide-cesare-dax/

Il 16 marzo 2003, vent’anni fa, Davide Cesare, conosciuto come Dax, fu aggredito a Milano da tre simpatizzanti di estrema destra e assassinato con 13 coltellate. Dax era militante del centro sociale O.R.So. (Officine della resistenza sociale) di via Gola e l’aggressione avvenne tra via Brioschi e via Zamenhof, nella zona sud della città, alle 23:30. Insieme a lui furono aggrediti altri tre ragazzi: Alex Alesi, Fabio Zambetta e Davide Brescancin. Alesi venne ferito in maniera grave da otto coltellate, Zambetta da due coltellate alla spalla e alla schiena. Nella notte vennero feriti molti altri militanti di sinistra, ma anche poliziotti e carabinieri, in seguito a una serie di cariche delle forze dell’ordine avvenute fuori e dentro l’ospedale San Paolo, dove erano stati portati i feriti e dove Dax era stato dichiarato morto.

La polizia in un primo momento disse che era dovuta intervenire perché i compagni del ragazzo ucciso volevano portare via la salma. Quando venne ucciso, Dax aveva 26 anni. Era di Rozzano, in provincia di Milano, e aveva una figlia di sei anni. Lavorava come operaio e camionista ed era militante del centro sociale di via Gola.

Davide Cesare (ALABISO / ANSA / PAL)

Ad aggredire i militanti di sinistra furono Giorgio Morbi, 53 anni, insieme ai suoi figli Federico, 29 anni, e Mattia, 17. Dax venne accoltellato dal figlio più grande, Federico. I tre non appartenevano a nessun gruppo politico ma avevano notoriamente simpatie fasciste. Nel corso della perquisizione a casa loro, non lontano dal luogo dell’aggressione, furono trovati alcuni oggetti celebrativi del fascismo, tra cui busti di Benito Mussolini.

Cinque giorni prima dell’aggressione Federico Morbi era uscito con il proprio cane, diretto a un parco poco distante. Il cane era un rottweiler chiamato Rommel, dal nome di un celebre generale della Germania nazista, comandante dell’Afrikakorps in Nordafrica e poi responsabile della difesa del Vallo Atlantico. Passando in via Zamenhof, Morbi aveva richiamato il cane e qualcuno, sentendo il nome, gli aveva urlato «Nazista!». Dopo pochi minuti venne aggredito, come denunciò lui il giorno dopo alla polizia, da una decina di ragazzi con calci e pugni.

La sera del 16 marzo Federico e Mattia Morbi, seguiti dal padre con al guinzaglio il rottweiler, uscirono di casa e incrociarono i quattro militanti di sinistra: Dax, Alesi, Zambetta e Brescancin. Secondo il racconto dei militanti dell’O.R.So, Giorgio Morbi e i due figli li aggredirono subito a colpi di coltello. Durante il processo il figlio più grande, Federico, lesse una dichiarazione in cui sostenne che le cose andarono diversamente: disse di non aver mai avuto simpatie politiche e che lui e la sua famiglia quella sera erano stati aggrediti.

In ogni caso a essere colpiti furono i quattro militanti, il processo stabilì che Dax venne colpito da Federico Morbi con 13 coltellate: sei alla schiena, sei al torace e una, quella mortale, alla gola. Dopo le coltellate, i tre aggressori si allontanarono. Dax e gli altri due feriti furono portati all’ospedale San Paolo. Qui arrivarono i compagni e gli amici degli aggrediti, ma intanto erano state avvertite le forze dell’ordine e quindi fuori dall’ospedale trovarono schierati una cinquantina di poliziotti e carabinieri.

Il questore di Milano, Vincenzo Boncoraglio, il giorno dopo sostenne che le forze dell’ordine erano intervenute perché i ragazzi volevano portare via la salma di Dax. Polizia e carabinieri caricarono più volte, secondo le testimonianze di medici e infermieri del San Paolo anche inseguendo i militanti di sinistra nei corridoi dell’ospedale. Un video, portato al processo, mostrò un poliziotto e un carabiniere picchiare un ragazzo a terra.

Le indagini su ciò che avvenne quella notte portarono poi alla denuncia di quattro militanti e di tre membri delle forze dell’ordine: il poliziotto e il carabiniere del video e un altro carabiniere che fu trovato con una mazza da baseball. In primo grado due militanti vennero condannati a un anno e otto mesi di reclusione mentre altri due furono assolti. Due esponenti delle forze dell’ordine furono assolti mentre un altro carabiniere fu condannato a sette mesi di reclusione. In appello venne assolto anche il terzo carabiniere mentre le condanne ai due militanti vennero confermate.

Nella sentenza di primo grado i giudici scrissero che le azioni dei compagni di Dax «producevano una reazione da una parte inefficace, dall’altra eccessivamente dura da parte delle forze dell’ordine, culminata nell’inseguimento all’interno del pronto soccorso di alcuni ragazzi che ivi si erano rifugiati e in indiscriminati comportamenti violenti (manganellate, calci e via esemplificando) non giustificati né da un’attuale opposizione dei singoli, né dalla necessità di compiere un atto di ufficio, ma di natura puramente intimidatoria e ritorsiva».

Giorgio, Federico e Mattia Morbi vennero arrestati la mattina del 17 marzo: furono individuati grazie al nome del cane che in zona era molto noto. Il processo si svolse nel maggio 2004, la famiglia di Dax fu rappresentata dagli avvocati Giuliano Pisapia, che sarebbe poi diventato sindaco di Milano, e Mirko Mazzali. Federico Morbi, riconosciuto come autore materiale dell’omicidio, venne condannato a 16 anni e otto mesi di reclusione; il padre fu condannato a tre anni e quattro mesi per il tentato omicidio di un altro dei militanti; per Mattia Morbi, il fratello minorenne, venne deciso l’affidamento in prova in comunità per un periodo di tre anni. Alla madre di Dax vennero riconosciuti 150mila euro di risarcimento, per la compagna e la figlia di Dax vennero decisi 100mila euro a testa.

Il centro sociale O.R.So di via Gola venne sgomberato e chiuso nel 2006.
Sabato 18 marzo, per l’anniversario della morte di Dax, è previsto un corteo che partirà alle 14:30 da piazzale Loreto a Milano. Quel giorno verranno ricordati anche gli omicidi di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio, entrambi assassinati a colpi di pistola il 18 marzo 1978 in via Mancinelli, vicino a dove allora si trovava il centro sociale Leoncavallo. Avevano 18 anni. Le indagini per quell’omicidio, chiuse e riaperte negli anni, non hanno mai portato a un rinvio a giudizio. Furono indagati tre fascisti romani: Massimo Carminati, Mario Corsi e Claudio Bracci. La giudice per l’udienza preliminare Clementina Forleo, accogliendo la richiesta di archiviazione, scrisse:

Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura de relato delle pur rilevanti dichiarazioni.

Fonte: Il Post

Chi era Davide Dax Cesare e cos’è successo il 16 marzo di vent’anni fa

Il centro sociale Orso e lo scontro con la famiglia Morbi in via Zamenhof: ritratto del militante che è diventato un simbolo

Murales per Dax https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/dax-davide-cesare-chi-e-pst25b2u

Milano – Sono passati 20 anni da quella maledetta notte del 16 marzo 2023 quando Milano si ritrovò catapultata in una clima da anni di piombo, quando era il sangue a regolare i conti tra estrema destra ed estrema sinistra. Quella notte di sangue ne venne versato tanto e a perdere la vita fu un giovane militante del centro sociale Orso di via Gola, Davide Cesare, 26 anni, conosciuto da tutti come “Dax”. Un nome, quello di Dax, che in città si incontra ancora oggi: a lui è dedicato il grande murales sulla Darsena, ma anche altri graffiti in via Gola e uno sul cavalcavia Bussa

Il centro sociale Orso

Il destino di Dax viene segnato la notte del 10 marzo 2003, una settimana prima della sua morte. Davide Cesare è un operaio di un’azienda di Vimodrone, padre di una bimba di 5 anni che vive con la madre a Ghedi (Brescia), frequenta il centro sociale Orso (acronimo di Officina di Resistenza Sociale) di via Gola, uno degli ultimi rimasti in città dopo la “normalizzazione” iniziata negli anni 2000 a suon di sgomberi

Murales per Dax in via Gola

Il cane Rommel

Con gli amici si ritrova anche al Tipotà, pub alternativo storico di Milano, in una traversa di corso San Gottardo. Proprio davanti al locale, che si trova a pochi passi dal parco di via Tabacchi, la sera del 10 marzo passa un ragazzo che sta portando a spasso il suo rottweiler. Un gruppo di clienti fuori dal pub sentono il giovane chiamare il cane: “Rommel”. Un nome, chiaro omaggio al generale tedesco icona del Terzo Reich, che ai giovani del Tipotà non sfugge. Parte l’insulto: “Nazista!”. Il diverbio finisce poi con un’aggressione: il ragazzo viene picchiato con calci e pugni, finisce al pronto soccorso. Alla polizia dirà di essere stato aggredito da 10 persone.

Il busto di Mussolini

Il ragazzo con il cane si chiama Federico Morbi, ha 29 anni e gestisce un laboratorio di pelletteria in zona. Abita con la famiglia, mamma Liliana, papà Giorgio, 53 anni, e il fratello Mattia, 17 anni, nei pressi del Tipotà. Il cane, si scoprirà poi, non si chiama così per caso. Federico e Mattia hanno look da naziskin e in casa le simpatie fasciste non sono tenute nascoste. Nelle perquisizioni successive all’omicidio di Dax verranno trovati simboli del ventennio e un busto di Mussolini

La vendetta

L’aggressione davanti al Tipotà non ha conseguenze legali, ma Federico Morbi e la sua famiglia non possono e non vogliono dimenticare. La brace cova sotto la cenere e la notte del 16 marzo ecco la scintilla che fa riesplodere l’incendio. I tre maschi della famiglia Morbi escono di casa con il cane, incrociano Dax con alcuni amici vicino al Tipotà. Volano di nuovo insulti tra i due gruppi. E a quel punto Federico Morbi tira fuori il coltello. Che colpirà Davide Cesare con 13 fendenti. L’amico che era con lui, Antonino Alesi, verrà colpito con 8 coltellate. Mentre Alesi se la caverà con ferite alla schiena e alla spalla, una delle coltellate che ricevute da Dax, alla gola, gli sarà fatale. Dopo lo scontro i Morbi fuggono, nel frattempo arrivano gli agenti e sul posto si ammassano un gran numero di persone. La situazione è esplosiva, gli agenti sono assediati e i soccorsi fanno fatica ad arrivare.

Scontri all’ospedale

La tensione si sposta poi all’ospedale San Paolo, dove Dax è stato trasportato e dove però è arrivato già cadavere. Fuori dall’ospedale arrivano un centinaio di militanti da tutta Milano. Vogliono entrare, vogliono vedere cos’è successo al loro compagno. Scontri e tafferugli con la polizia, arrivata nel frattempo, vanno in scena sul piazzale davanti al Pronto Soccorso. Ci vorrà tutta la notte per riportare l’ordine. E solo gli appelli alla calma della madre di Davide nei giorni successivi eviterà il ripetersi di scontri e tensioni.

I funerali di Davide Cesare. A destra, la mamma di Dax, Rosa Piro

Carcere e (mancato) risarcimento

I membri della famiglia Morbi vengono arrestati poche ore dopo l’omicidio. Dicono di essere stati aggrediti e di aver reagito. Durante il processo, con rito abbreviato, Federico Morbi scrive però una lettera di confessione e chiede perdono. Viene condannato a 16 anni e 8 mesi di carcere. Giorgio Morbi, il padre, viene condannato per il tentato omicidio di Antonino Alesi, a 3 anni e 4 mesi, mentre Mattia, ancora minorenne viene affidato a una comunità. Il giudice fissa in 350mila euro il risarcimento alla famiglia di Cesare: soldi però che gli imputati non hanno ancora versato. 

Un corteo in ricordo di Dax

La fine dei centri sociali

Il centro sociale Orso è stato sgomberato definitivamente con un maxi blitz della polizia nell’ottobre del 2006. Via Gola, oggi una sorta di museo di street art, con tante opere dedicate proprio alla memoria di Dax, resta un caso anomalo nella zona dei Navigli, ormai dedicata anima e corpo al divertimento notturno dei milanesi. Ci sono ancora case occupate ed attivo è un altro centro sociale (Cuore in Gola) che organizza attività e cene sociali nella via. Per quanto riguarda invece i centri sociali cittadini, “l’epoca d’oro” degli anni 90 è uno sbiadito ricordo: in città resistono solo il Leoncavallo in via Watteau, lontano parente però del centro sociale conosciuto in tutta Italia, il Conchetta, vero monumento dell’antagonismo meneghino, la Casa Loca alla Bicocca e il Lambretta in zona Stazione Centrale.  

Fonte: Il Giorno

Davide Cesare «Dax», vent’anni fa l’omicidio: la storia della «notte nera» di Milano

di Giuseppe Scuotri

Il 16 marzo 2003 venne ucciso con tredici coltellate il ventiseienne Davide Cesare, conosciuto dagli amici come Dax. Il suo omicidio, avvenuto all’incrocio tra via Brioschi e via Zamenhof, si lascerà dietro una lunga scia di scontri e tensioni.

Davide Cesare (Ansa, dal nostro Archivio)
https://milano.corriere.it/notizie/23_marzo_15/davide-cesare-dax-omicidio-storia-51805aab-3d91-4741-87e5-95fc801d4xlk.shtml

È bastato uno sguardo, da un capo all’altro della strada. Federico, Mattia e Giorgio Morbi, tre simpatizzanti di estrema destra, scrutano Davide Cesare, Alex Alesi, Fabio Zambetta e Davide Brescancin, militanti del centro sociale Orso di Milano.

Aspettano da giorni l’occasione per vendicare un’aggressione subita. Volano insulti, poi comincia lo scontro.

Sembra di essere negli anni di piombo, ma è il 16 marzo 2003. A farne le spese quella notte è Davide Cesare, per gli amici «Dax».

Il ventiseienne, padre di una bambina di 5 anni e mezzo, viene ucciso con tredici coltellate.

Il suo omicidio si lascerà dietro una lunga scia di scontri e tensioni, segnando una delle pagine più buie nella storia recente del capoluogo lombardo, da molti definita semplicemente «la notte nera».

La vittima
Davide Cesare ha 26 anni e una vita divisa tra lavoro, famiglia e attivismo politico. È cresciuto a Rozzano con papà Angelo, mamma Rosa e due fratelli più piccoli, Daniele e Claudio. La sua militanza è cominciata nel ’95 tra le file di un gruppo giovanile di destra, Studenti in rivolta.

Gli amici lo descrivono come un gigante buono: «Su di lui puoi sempre contare, non ti fa pesare le sue grane perché è troppo occupato a risolvere quelle degli altri». E di prove, nella vita, ne ha affrontate diverse. Sei anni fa Wendy, la sua fidanzata, ha dato alla luce una bambina, Jessica. In quel momento, Dax ha deciso di abbandonare gli studi da ragioniere per mantenere la sua nuova famiglia: si è trasferito a Ghedi, il piccolo centro del Bresciano dove viveva la compagna, lavorando come operaio e camionista per varie imprese. Qui ha iniziato a frequentare la sezione locale di Rifondazione Comunista.

Quando la relazione con Wendy è terminata, due anni fa, Dax è tornato a Milano. Ora divide un appartamento con alcuni amici e ha un impiego in un’azienda siderurgica di Vimodrone. Nel poco tempo libero va a trovare la figlia e frequenta l’Orso, un’officina occupata in via Emilio Gola, a pochi metri dal Naviglio Pavese. Con i compagni del centro sociale è possibile vederlo spesso passeggiare nella zona tra via Brioschi e via Zamenhof.

Il luogo dell’omicidio di Davide Cesare, all’incrocio tra via Brioschi e via Zamenhof

Federico, Mattia e Giorgio Morbi 
La famiglia Morbi abita in un condominio a poche decine di metri da quell’isolato. Giorgio, 53 anni, è un dipendente della Sea, l’azienda che gestisce gli aeroporti di Malpensa, Linate e Orio al Serio. È sposato con Liliana e ha due figli, Federico e Mattia, di 29 e 17 anni. I ragazzi sono artigiani: gestiscono un laboratorio di pelletteria nel quartiere. Nessuno tra loro è iscritto a formazioni politiche, ma le loro simpatie per l’estrema destra non sono un mistero: in casa sono esposti diversi oggetti che rimandano al Ventennio, tra cui un busto in bronzo di Mussolini. Federico e Mattia vanno in giro con il look tipico degli skinhead: bomberone e capelli rasati quasi a zero. Persino il loro cane di famiglia, un rottweiler di ottanta chili, è stato chiamato Rommel, come il generale nazista. Proprio il nome dato all’animale sarà la scintilla della drammatica catena di eventi che porterà alla morte di Dax.

L’antefatto 
È la sera di lunedì 10 marzo. Federico è uscito con Rommel al guinzaglio. È solo, nel breve tragitto da casa sua al parchetto passa  in via Zamenhof. Qualcuno lo sente chiamare il cane. Quel particolare tradisce la sua appartenenza politica. «Ma che nome gli hai dato? Nazista!». Vola qualche insulto, ma la cosa finisce lì e il ragazzo prosegue per la sua strada. Dopo pochi minuti, Federico viene raggiunto e aggredito a calci e pugni da un gruppo di ragazzi. Sono almeno in dieci, dirà alla polizia il giorno dopo. Riporta lesioni di lieve entità, viene medicato al pronto soccorso e dimesso. Si rimetterà completamente in cinque giorni, ma quell’episodio lo segna. Quella storia non finirà lì.

L’aggressione
La settimana passa senza particolari sussulti. Arriva il 16 marzo, una domenica sera come tante, i locali del Ticinese sono pieni. Federico e Mattia escono di casa, seguiti dopo pochi minuti dal padre con Rommel. Davide sta passando quelle ore in compagnia di tre amici dell’Orso. Attorno alle 23.30, i due gruppi si incrociano su via Zamenhof: si riconoscono, partono gli insulti. «Fascista!», «Comunista!». La situazione degenera in pochi minuti, i fratelli Morbi tirano fuori i coltelli. Federico colpisce Davide con tredici fendenti: sei alla schiena, sei al torace, uno fatale alla gola. Lui barcolla, poi si accascia privo di sensi sul marciapiede. 

Nello scontro restano feriti anche Antonino «Alex» Alesi, raggiunto da otto coltellate, e Fabio Zambetta, colpito in modo più lieve alla spalla sinistra e alla schiena. La furia dei Morbi sui tre malcapitati, bersagliati con calci e pugni anche se sanguinanti e riversi a terra, si placa solo al sopraggiungere di altre persone.

Richiamati dalle urla, decine di ragazzi si ammassano attorno ai feriti. Dopo pochi minuti arrivano anche le forze dell’ordine. C’è tensione: gli agenti faticano a tenere il cordone di sicurezza, volano insulti e spintoni. I mezzi di soccorso sono rallentati dalla strada ostruita, cosa che accende ancor di più gli animi. Alla fine i sanitari si districano a fatica tra la folla e caricano i ragazzi sull’ambulanza. I Morbi nel frattempo si sono allontanati, ma nella ressa c’è chi li ha riconosciuti. Di nuovo, c’è chi ha ben impresso un particolare: un cane di nome Rommel.

La targa che ricorda Davide Cesare, ucciso il 16 marzo 2003

Gli scontri al San Paolo 
Mentre l’ambulanza corre verso l’ospedale San Paolo, in città i telefoni dei militanti di estrema sinistra iniziano a suonare. «Hanno accoltellato un ragazzo dell’Orso, scendi!», il passaparola è veloce ed efficace. I primi a presentarsi al pronto soccorso, presidiato da alcune pattuglie di polizia e carabinieri, sono gli amici delle vittime. Diventano quaranta, in meno di un’ora sono quasi un centinaio. Molti cercano di entrare, chiedono con insistenza dei loro compagni. Al San Paolo, però, Dax è arrivato senza vita. Leggendo la situazione, i medici tentano di non far filtrare subito la notizia, finché dall’edificio non esce un ragazzo che grida: «È morto, è morto!».

Questa volta basta poco: qualche provocazione, uno spintone di troppo e il nervosismo della folla esplode in uno scontro aperto. Le forze dell’ordine, inizialmente sopraffatte numericamente, chiamano rinforzi e caricano i presenti. Persone coperte di sangue entrano nel pronto soccorso in cerca di cure e riparo, nascondendosi anche dietro le barelle dei pazienti in attesa. Alla fine si conteranno decine di feriti da entrambe le parti. La situazione si calma solo intorno alle 2 con l’arrivo della Digos: incoraggiati dall’avvocato Mirko Mazzali, molti dei presenti iniziano a collaborare, raccontando agli agenti cos’hanno visto in via Brioschi.

L’arresto 
Sono le cinque del mattino. Il campanello di casa Morbi suona con insistenza. È la Digos: le testimonianze raccolte in poche ore sono bastate a individuare in Giorgio, Federico e Mattia i responsabili dell’aggressione. I tre capiscono subito e fanno poche storie: «Ieri sera siamo stati aggrediti, stai calma», dicono a Liliana che, incredula e spaventata, resta sola in casa con Rommel. Per la seconda volta, il nome del rottweiler si è rivelato una traccia fondamentale per arrivare ai suoi padroni, a cui vengono sequestrati degli abiti macchiati di sangue e una serie di oggetti che rimandano al ventennio.

Una città col fiato sospeso 
Nei giorni successivi su Milano cala una cappa di tensione. Omicidi politici, rossi contro neri: paure che sembravano sopite da decenni serpeggiano di nuovo tra le strade del Ticinese. Sono in molti a temere che la spirale di violenze e ritorsioni possa durare a lungo. Segnali e pretesti non mancano: nel quartiere appaiono numerose scritte contro la famiglia Morbi e il 18 marzo, per un curioso caso, è in programma una manifestazione per ricordare Fausto e Iaio, due militanti di sinistra uccisi venticinque anni prima. In quest’occasione Rosa Piro, la madre di Davide, tenta di placare gli animi: «Al sangue non si risponde col sangue», dirà ai tanti giovani presenti. Un appello, questo, che ha continuato a rinnovare in ogni occasione.

Una scritta in ricordo di Davide Cesare

Il processo 
In tribunale, intanto, gli imputati scelgono la formula del rito abbreviato. Il maggiore dei fratelli Morbi consegna ai magistrati una lettera in cui confessa di aver ucciso Davide e chiede perdono per le proprie azioni. Le sentenze arrivano un anno dopo, nel maggio del 2004: Federico viene condannato a sedici anni e otto mesi di reclusione. Suo padre Giorgio, riconosciuto colpevole del tentato omicidio di Antonino Alesi, a tre anni e quattro mesi di carcere. La sentenza più mite è quella emessa dal Tribunale dei minori per Mattia: tre anni di messa in prova in una comunità di recupero. Alla famiglia Cesare, rappresentata da Mirko Mazzali e Giuliano Pisapia, viene riconosciuto un risarcimento complessivo (mai versato dagli imputati) di 350 mila euro.

L’eredità di Dax 
Oggi è possibile imbattersi in Dax un po’ dovunque a Milano. Il suo nome e il suo volto campeggiano nei murales lungo la Darsena e su volantini e striscioni di tante manifestazioni di sinistra, come quelle in programma in sua memoria il 16, 17 e 18 marzo. La sua è un’eredità complessa, non sempre condivisa, in cui l’aspetto ideologico rischia di prevalere su quello umano. 

«È complicato dire se sia stato un omicidio politico nel senso stretto del termine – afferma Mirko Mazzali –. È vero che i Morbi non avessero alcuna affiliazione politica, ma nessuno tiene in casa un busto di Mussolini per caso. Al di là di tutto, mi piace pensare che il nome di Davide oggi rappresenti valori positivi. Lo scorso otto marzo, ho sentito un corteo femminista gridare “Dax è vivo e lotta insieme a noi”. Erano ragazzine che all’epoca dei fatti non erano ancora nate. Mi è rimasto impresso. Vuol dire che se ne parla ancora, che il ricordo resiste ed è diventato un simbolo».

Il murale per Dax in Darsena, a Milano

Fonte: Il Corriere della Sera

Davide Dax Cesare, 20 anni dalla morte. La madre Rosa: “Il mio ragazzo ammazzato dai fascisti, ricordatelo ma senza violenza”

di Massimo Pisa

Davide Dax Cesare, 20 anni dalla morte. La madre Rosa: "Il mio ragazzo ammazzato dai fascisti, ricordatelo ma senza violenza"
Fotogramma Davide Cesare “Dax” https://milano.repubblica.it/cronaca/2023/03/16/news/dax_davide_cesare_anniversario_morte_milano-392272540/

Era il 16 Marzo 2003 quando il ragazzo, militante del centro sociale Orso, fu ucciso in via Gola a Milano da Federico, Mattia e Giorgio Morbi: “Il mio ultimo giorno felice. Mai avuto le scuse da quella famiglia”.

“Sa perché l’ho fatta venire qui? Perché era uno dei posti di Davide. Non Dax: così lo chiamavano i suoi compagni di militanza. Davide veniva a studiare e giocare con i suoi amici. Era tutto diverso”. Sui prati della Cascina Grande, a Rozzano, giocano pochi bimbi e di certo non la conoscono la storia di Davide Cesare. È incisa sulla pelle di mamma Rosa Piro, che stasera sarà per le strade del Ticinese a ricordare il suo ragazzo, ucciso vent’anni fa a coltellate dai fascisti Federico, Mattia e Giorgio Morbi.

Fonte: Repubblica

Davide Cesare, 20 anni fa l’omicidio. L’avvocato che difese la famiglia: “Da nessuna parte dobbiamo piangere persone che muoiono per le proprie idee politiche”

L’avvocato della famiglia Cesare
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/16/davide-cesare-lavvocato-che-difese-la-famiglia-da-nessuna-parte-dobbiamo-piangere-persone-che-muoiono-per-le-proprie-idee-politiche/7098911/

Mirko Mazzali fu protagonista della trattativa che portò la calma davanti all’ospedale San Paolo quando le forze dell’ordine caricarono le tantissime persone che, in un clima di rabbia e agitazione, erano arrivate a chiedere informazioni. “Ricordo che quando arrivai vidi tanto sangue che mi ricordò il sangue sui muri della Diaz. dove fui tra i primi ad arrivare”. Le forze dell’ordine temono per l’ordine pubbliche per la manifestazioni in programma: “Quello che preoccupa sono gli arrivi da fuori, ma io sono fiducioso che sarà una manifestazione combattiva ma non violenta”.

di Giovanna Trinchella | 16 MARZO 2023

A 20 anni dall’omicidio di Davide “Dax” Cesare, il militante dell’O.R.So (Officina di Resistenza Sociale) accoltellato a morte Milano nella notte tra il 16 e 17 marzo 2003 da militanti di estrema destra, e a 10 da una manifestazione che fu carica di tensione, sono forti le preoccupazioni della Prefettura di Milano e delle forze dell’ordine per quello che potrebbe accadere. Oggi è prevista una commemorazione nell’anniversario dell’omicidio che andrà avanti per tutto il giorno, venerdì è prevista una assemblea antifascista internazionale ed è in programma sabato il corteo nazionale “Antifascismo è anticapitalismo” che partirà alle 14.30 da piazzale Loreto. Mirko Mazzali, che come scrive in un post su Facebook dedicato a Dax ne ha viste “tante, sofferenze, dolori, paure”, è stato insieme a Giuliano Pisapia l’avvocato della famiglia del giovane Dax e fu protagonista della trattativa che portò la calma davanti all’ospedale San Paolo quando le forze dell’ordine, in un clima di rabbia e agitazione generale, caricarono le tantissime persone che erano arrivate a chiedere informazioni tra le lacrime.

Avvocato chi tutela l’ordine pubblico pensa che saranno giorni molto difficili. Lei è preoccupato?
Beh, sì. Oggi però ho letto le parole della mamma di Dax che ha invitato tutti a far sì che le manifestazioni siano non violente e io non posso non condividere. Io penso e spero che quando ci sono manifestazioni per ricordare persone defunte siano fatte per il ricordo. Mi auguro di non sbagliarmi, ma io sono convinto che grosse cose non succederanno. Vero è che questo è un periodo un po’ particolare sia dal punto di vista della politica nazionale e sia per la questione Cospito. Ma spero che non ci siano episodi gravi o rilevanti. Quello che preoccupa sono gli arrivi da fuori, ma io sono fiducioso che sarà una manifestazione combattiva ma non violenta.

Sono passati 20 anni da quell’omicidio di stampo fascista, ma secondo lei – aldilà del governo attuale – il clima è cambiato?
Venti anni dal punto di vista politico sono una cosa enorme. È cambiato tantissimo: il movimento antagonista e il movimento in generale. Ci sono episodi non so se derivanti dal mutamento politico, come i fatti di Firenze, che nel suo contesto destano preoccupazione. Io spero che, da nessuna parte, dobbiamo piangere persone che muoiono per le proprie idee politiche. Spero e credo che questo non si debba più verificare: come piangere la morte di un ragazzo come Dax.

I Morbi – il padre e due figli – furono condannati a vario titolo ma non hanno mai risarcito.
Salvo una piccola somma che veniva prelevata al figlio maggiore (condannato per l’omicidio, ndr) quando lavorava in carcere, non ci sono stati risarcimenti. C’è comunque una causa civile in corso. Dax aveva una bimba piccola che ha potuto studiare grazie agli amici e ai famigliari. Questo mi sembra un fatto particolarmente grave.

La notte della morte davanti all’ospedale San Paolo grazie al suo intervento le tensioni fortissime – tra i militanti e le forze dell’ordine – terminarono. Cosa ricorda di quella notte?

Io conoscevo Dax perché era venuto per qualche consiglio giuridico. Quando mi telefonarono il primo sentimento fu l’incredulità che fosse morto accoltellato da fascisti come mi avevano detto. Soprattutto l’incredulità che fosse stato possibile quello che stava accadendo al San Paolo ovvero che ci fossero state delle cariche all’interno di un pronto soccorso. Ricordo che quando arrivai vidi tanto sangue che mi ricordò il sangue sui muri della Diaz. dove fui tra i primi ad arrivare. Con tutto il dovuto rapporto tra quello accaduto a Genova e quello accaduto all’ospedale. Ma quello che mi è rimasta impressa fu la disperazione dei genitori. Poi chiesi ai ragazzi, che erano stati testimoni oculari e che erano molto arrabbiati, di aiutare la Digos, all’epoca c’era il dottor Bruno Megale, a rendere una testimonianza. Che poi è servita arrestare i responsabili nell’immediatezza e svelenire un clima diventato pesante. Piangevano la morte del loro amico, c’era stata questa colluttazione ed erano stati pestati al pronto soccorso. C’erano stati molti fermi che poi furono trasformate in denunce. Un paio di poliziotti finirono a processo per aver picchiato un ragazzo a terra, ma dopo una condanna in primo grado furono assolti in appello.

C’è qualcosa che vuole aggiungere?
La settimana scorsa sotto il mio studio è passato il corteo dell’8 Marzo mi sono affacciato e ho sentito lo slogan: Dax è vivo e lotta insieme a noi e mi ha fatto venire in mente come in qualche misura la memoria di Dax per la famiglia e amici è stata trasmessa a queste ragazze non erano ancora nate e questo vuole dire che il ricordo è rimasto in un momento in cui la memoria del passato non sembra funziona, basti pensare alla rimozione che avviene sui periodi del fascismo e del nazismo, mi sembra un cosa bella.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Davide Cesare “Dax” 1977-2003

Per chi non lo sapesse, nel frontespizio del libro Qvimera scritto dall’ottimo scrittore e compagno Gino Marchitelli di Carovigno (BR) ed attuale Responsabile della sede di Rifondazione Comunista e Vice Presidente dell’ANPI di San Giuliano Milanese (MI), libro che mi è stato spedito a casa dal suddetto scrittore e mio amico personale, l’autore stesso dedica il libro proprio a Davide Cesare con la seguente frase: “A Dax ucciso per mano fascista”.

Il libro Qvimera, romanzo scritto da Gino Marchitelli sulla base di vicende reali che accadono nell’hinterland milanese
https://igufinarranti.altervista.org/qvimera-di-gino-marchitelli-recensione/
https://www.ibs.it/qvimera-ebook-gino-marchitelli/e/9788891198334
Gino Marchitelli, l’autore del secondo romanzo noir “Qvimera”
https://www.facebook.com/gino230559/
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https://www.morellinieditore.it/autore-gino-marchitelli-380402.html
https://www.unilibro.it/libri/f/autore/marchitelli_gino
https://www.milanotoday.it/eventi/a-casa-dell-autore-noir-gino-marchitelli.html

Dott. Alessio Brancaccio, il compagno “Sirio B”, il “Combattente delle Stelle”, tecnico ambientale Università di L’Aquila, ideologo movimento ambientalista Ultima generazione e membro attivo Fondazione Michele Scarponi Onlus