Day: 2 aprile 2022

EFFETTI DELLE PRINCIPALI SOSTANZE INQUINANTI SULLA SALUTE UMANA NEGLI AMBIENTI URBANI ITALIANI

Vasto, lì 2 Aprile 2022 ore 22.15

Amici ed amiche, un caro saluto, buonasera a tutti voi.

E’ da un anno ormai che sono approdato nella città di Vasto assieme alla mia famiglia e, da quando sono approdato nella mia nuova casa sita a 50 metri da circonvallazione istoniense, una via perimetrale che permette agli automobilisti di evitare di passare in centro lungo Corso Mazzini, ho notato una maggiore presenza di traffico veicolare proprio lungo questa circonvallazione di 3 km, che collega via dell’Incoronata a Viale Perth, come si vede dalla seguente immagine.

https://www.google.it/maps/place/Circonvallazione+Istoniense,+66054+Vasto+CH/@42.1211865,14.6976606,2219m/data=!3m1!1e3!4m5!3m4!1s0x1330ddb42cb2cf4d:0xc8ff90c8757c5b46!8m2!3d42.1190936!4d14.7011153

Grazie all’installazione di una app per smartphone, Air Quality, che mi consente di misurare i livelli delle principali sostanze inquinanti da monitorare costantemente per la verifica dell’Indice di Qualità dell’Aria (AQI Air Quality Index), mi sono accorto che i livelli di sostanze inquinanti in città più alti qui a Vasto sono il biossido di azoto (NO2), associato ad una eccessiva presenza in città di autoveicoli diesel perché probabilmente, quasi tutte le persone in età da lavoro qui lavorano fuori città ed usano la propria automobile a combustibile fossile diesel nei tragitti a medio e lungo raggio in itinere casa-lavoro, la maggior parte di loro sono rappresentanti di vendita che usano auto personali o aziendali diesel, ma sarebbe il caso che comincino a passare ad autovetture elettriche proprio per impedire al tasso di inquinanti, di aumentare ulteriormente nei prossimi mesi. La misurazione odierna è pari a 60 μg/m3, ben al di sopra dei limiti di legge, pari a 40 μg/m3.

Ossidi di azoto

Inquinante
Gli NOX si formano da processi di combustione alle alte temperature, che avvengono nei motori delle automobili (il traffico è di gran lunga la sorgente più importante per queste emissioni) oltre che nelle industrie e, in particolare, nelle centrali per la produzione di energia. Le altre fonti sono le caldaie, alcune pratiche usate in agricoltura e sorgenti naturali come i vulcani o i processi metabolici di certi batteri. In generale, il 90% degli ossidi di azoto emesso dalle sorgenti inquinanti è composto da monossido di azoto (NO) e per il restante 10% da biossido di azoto (NO2): fanno eccezione, però, i motori diesel, per i quali l’NO2 rappresenta anche il 70% delle emissioni totali di questa famiglia di gas. Nonostante il contributo delle sorgenti naturali di NO2 (intrusione dalla stratosfera, eruzioni vulcaniche, fulmini) sia superiore a quello delle attività umane, i processi di combustione legati alla produzione di calore o energia (caldaie domestiche a gas) e al traffico autoveicolare (soprattutto veicoli diesel) contribuiscono notevolmente ad aumentare la concentrazione dell’NO2 nelle aree urbane, al punto che l’NO2è ragionevolmente considerato un tracciante dell’inquinamento da traffico. Sebbene il biossido di azoto sia uno dei principali inquinanti degli ambienti esterni, questo gas può essere presente in concentrazioni piuttosto alte anche nei luoghi chiusi; le principali sorgenti di NO2 sono il fumo di tabacco, le stufe a cherosene, legna o carbone, i fornelli delle cucine, le candele profumate e i bastoncini di incenso.

Effetti sulla salute
La concentrazione di fondo dell’NO2 ha un range da 0,4 a 9,4 μg/m3; il limite che l’OMS suggerisce di non superare, a tutela della salute umana, è di 40 μg/m3 come media annuale e di 200 μg/m3 come concentrazione media oraria. I meccanismi mediante cui l’NO2 induce i suoi effetti tossici nell’uomo sono stati ipotizzati da modelli sperimentali animali e possono essere descritti in termini di irritazione delle vie aeree fino al broncospasmo negli asmatici e di mantenimento dello stato di infiammazione cronica. In sintesi, gli effetti acuti dell’NO2 sull’apparato respiratorio comprendono: riacutizzazioni di malattie infiammatorie croniche delle vie respiratorie, quali bronchite cronica e asma; riduzione della funzionalità polmonare; possibili danni riguardanti l’apparato cardiovascolare, per esempio la capacità di indurre patologie ischemiche del miocardio, scompenso cardiaco e aritmie cardiache. Gli effetti a lungo termine includono: le alterazioni polmonari a livello cellulare e tessutale; l’aumento della suscettibilità alle infezioni polmonari batteriche e virali.

Suscettibili
Il gruppo di popolazione a maggior rischio è costituito dai bambini, dalle persone con asma o con malattie respiratorie croniche o con malattie cardiache.

L’altra sostanza inquinante che ad un livello medio e comunque da tenere sotto controllo, è il PM10 (Particulate Matter 10), il nanoparticolato atmosferico che classifica le proprie particelle aerodiffuse, a seconda del loro diametro, in PM10, PM5 e PM2,5. La misurazione odierna del PM10 è pari a 24 μg/m3 ed il limite massimo di legge consentito negli ambienti urbani, è pari a 100 μg/m3.

l PM è una mistura di particelle solide che contengono materiale carbonaceo, residuo delle combustioni, altre sostanze organiche (come gli idrocarburi policiclici aromatici), metalli e ioni inorganici e sostanze gassose intrappolate nelle particelle come NO2, SO2 e CO. Le polveri totali vengono generalmente distinte in tre classi dimensionali corrispondenti alla capacità di penetrazione nelle vie respiratorie da cui dipende l’intensità degli effetti nocivi. In particolare: PM10: particolato formato da particelle con diametro <10 μm, è una polvere inalabile, cioè in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore (naso, faringe e laringe); PM2,5: particolato fine con diametro <2,5 μm, è una polvere toracica, cioè in grado di penetrare nel tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi, bronchioli); PM0,1: particolato ultrafine: diametro <0,1 μm, è una polvere in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli. Il PM si origina sia per emissione diretta (particelle primarie) sia per reazione nell’atmosfera di composti chimici, quali ossidi di azoto e zolfo, ammoniaca e composti organici (particelle secondarie). Le sorgenti del particolato possono essere naturali (polveri del deserto, aerosol marino, eruzioni vulcaniche) e antropiche (combustioni dei motori, riscaldamento, residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture, emissioni di impianti industriali).

Effetti sulla salute
Gli effetti sulla salute possono essere diretti in particolare sull’apparto cardiovascolare, sul sangue e sui recettori polmonari, ed effetti indiretti attraverso lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria. Effetti diretti possono avvenire con il passaggio attraverso l’epitelio polmonare fino a raggiungere il circolo sanguigno oppure attraverso l’attivazione di riflessi nervosi che comportano alterazioni del tono del sistema nervoso autonomo che possono dare inizio a un’aritmia cardiaca. Effetti indiretti si possono avere attraverso lo stimolo al rilascio di agenti infiammatori che comportano uno stato di infiammazione sistemica. Questi effetti rappresentano una spiegazione plausibile della rapida (entro poche ore) risposta cardiovascolare, come l’incremento nella frequenza di infarto miocardio o di aritmie. Recenti studi indicano, inoltre, che l’esposizione acuta a particelle in sospensione contenenti metalli (come le particelle derivanti dai combustibili fossili usati come carburanti) possono causare un vasto spettro di risposte infiammatorie nelle vie respiratorie e nel sistema cardiovascolare (danneggiamento cellulare e aumento della permeabilità cellulare), verosimilmente in relazione alle loro componenti metalliche.

Suscettibili
Risultano particolarmente sensibili agli effetti del particolato i soggetti anziani e quelli con malattie cardiocircolatorie e polmonari. Anche i neonati e i bambini costituiscono un gruppo potenzialmente sensibile. In particolare, i bambini sono a maggior rischio per alcuni effetti respiratori quali le crisi di asma bronchiale e l’insorgenza di sintomi respiratori, come tosse e catarro.

https://www.arpa.umbria.it/monitoraggi/aria/contenuto.aspx

Ecco i valori delle misurazioni rilevate dalla mia app Air Quality, che indicano una qualità dell’aria mediocre, livello che non dovrebbe essere tollerato specie in una città di mare come Vasto, in cui l’aspetto della tutela ambientale attraverso il monitoraggio della qualità dell’aria in ambiente urbano, dovrebbe rappresentare una delle massime priorità che ogni amministrazione comunale che amministra la città in maniera degna, deve sempre tenere in forte e seria considerazione:

L’altro aspetto da considerare è la correlazione che esiste tra inquinamento atmosferico ed il coronavirus (COVID19), che guarda caso, colpisce in maniera più evidente tutti quei tessuti urbani della Lombardia, dove l’inquinamento atmosferico da NO2, CO2, SO2 e da PM10 è più alto per via del maggior tasso di veicoli circolanti nelle grandi aree metropolitane e nella Pianura Padana, ma credo che il COVID19 abbia colpito qui a Vasto, anche con livelli di gran lunga inferiori a quelli delle città del Nord Italia, proprio a causa dell’NO2 oltre i livelli di legge, delle PM10, avendo qui vicino casa mia a 500 metri in linea d’aria Portobello, una pompa bianca per la distribuzione di benzina, diesel e gas, per cui tra alto tasso di transito di veicoli a diesel e la pompa di carburante in questione, ovvio che i livelli di NO2 e PM10 si alzano in maniera considerevole ed il problema potrà soltanto che peggiorare nei prossimi mesi, se l’attuale amministrazione Menna non sarà in grado o peggio, non vorrà adottare i dovuti provvedimenti per risolvere il problema, cominciando a piazzare sempre più stazioni di ricarica sia a Vasto città che a Vasto Marina, potenziando già quelle presenti alla marina ed installandone di nuove anche qui in città. Si parla tanto qui in Italia di Transizione Ecologica, ma sarebbe più opportuno parlare di Conversione Ecologica alla quale anche la città del Vasto in Abruzzo, si adegui il prima possibile, facendo in modo che vengano dati degli incentivi in denaro diretti ai cittadini per passare dai autoveicoli a diesel a quelli elettrici, molto prima dei prossimi due anni come asserito dal Ministro Cingolani del Governo Draghi: non abbiamo più tempo, il passaggio dalle energie non rinnovabili alle rinnovabili, va avviato ed ultimato entro al massimo un anno da adesso che siamo nel 2022, non possiamo attendere troppo oltre, che non piaccia alle multinazionali del petrolio è un loro problema, non deve ritardare o impedire questo passaggio, si adeguassero anche loro alla rivoluzione delle coscienze in ambito ecologico, diventassero multinazionali che sfruttano energie rinnovabili, invece di quelle non rinnovabili!

Il legame tra inquinamento e Coronavirus è stato un tema fortemente dibattuto in questi mesi. Il rapporto tra la presenza di particolato atmosferico e diffusione della malattia è stato oggetto controverso di molteplici indagini effettuate da ricercatori di tutto il mondo. La domanda a cui si è cercato di rispondere è stata sempre la stessa: l’inquinamento atmosferico favorisce la diffusione del Covid-19?

A dare una risposta forse definitiva, dopo sospetti iniziali, conferme e smentite, è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che a distanza di un anno dalla tragedia della prima ondata in Lombardia ha elaborato uno studio nel quale conferma la probabile correlazione fra la diffusione del virus e l’effetto dell’inquinamento atmosferico.

La ricerca, condotta dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi, dal titolo “Analisi degli aspetti chimico-fisici ambientali che hanno favorito la diffusione della SARS-CoV-2 nell’area lombarda”, è stata pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health ed ha indagato le possibili correlazioni a livello regionale tra inquinamento atmosferico, dati meteorologici e focolai COVID-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia.

Distribuzione nelle diverse province della Lombardia di (a) numero totale di persone infette, (b) tasso di prevalenza giornaliero (infetti / popolazione), (c) concentrazione media di particolato 2,5 (PM 2,5), (d) media concentrazione di particolato 10 (PM10), (e) ozono (O3), (f) monossido di carbonio (CO), (g) ossido nitrico (NO), (h) biossido di azoto (NO2), (i) anidride solforosa ( SO2), (j) ammoniaca (NH3) e (k) acidità atmosferica netta (NAA) durante il periodo di tempo considerato

Nelle conclusioni della ricerca si legge che: “l’inquinamento atmosferico e le condizioni climatiche potrebbero favorire la diffusione di particelle virali attive. La comprensione della complessa interazione tra diversi fattori chimici, fisici e biologici, che può portare allo sviluppo di focolai di malattie (“effetto netto”), è della massima importanza per affrontare la ricerca futura, ma anche per pianificare lo sviluppo e la gestione di interventi per contenere la futura diffusione di infezioni virali. Questi aspetti potrebbero anche avere importanti implicazioni nella gestione della salute pubblica sia per trasmettere e migliorare la ricettività delle comunicazioni e la diffusione relative alla salute alla popolazione generale, sia per definire strategie di prevenzione più efficaci.


Il comunicato stampa del CNR: La prima ondata di SARS-CoV-2 in Lombardia

Da gennaio 2020, milioni di persone in tutto il mondo hanno contratto il virus SARS-CoV-2 con un tasso medio di mortalità compreso tra il 2% e il 5%. Tuttavia, alcune aree del mondo hanno presentato un tasso di contagio superiore alla media.

La Lombardia appartiene a queste aree con circa il 40% dei contagi dell’intero paese (durante la prima ondata dell’epidemia) e un tasso di crescita dell’infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane.

Lavori recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, e le condizioni meteorologiche come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano condizionare la stabilità di MERS-CoV e SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile effetto anche per il SARS-CoV-2.

In questo studio sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti giornalmente da Istituto superiore di sanità e Protezione civile, riportando la distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata dell’epidemia (dal 24 febbraio al 31 marzo 2020).

Nel periodo analizzato è emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).

I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, riferisce Roberto Dragone, ricercatore Cnr-Ismn. “Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie. Le apparenti discordanze, che a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o nelle loro concentrazioni. Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella virale e/o con l’organismo umano. Tale composizione dipende dalla fonte di emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata. Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso, verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure preventive per il contenimento del contagio”.

Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alla temperatura, all’umidità relativa e alla velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio della Regione Lombardia. Inoltre, tramite il monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (CAMS), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), sono stati elaborati i dati satellitari relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2), ozono (O3) ammoniaca (NH3). Per i gas con proprietà acide o basiche è stato valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”.

Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali”, conclude Gerardo Grasso, ricercatore del Cnr-Ismn.

COVID-19 e inquinamento atmosferico: uno studio dell’Università di Harvard

I dati riguardano il 98% della popolazione statunitense

La possibile relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione di COVID-19 è stata oggetto di discussione in queste settimane di propagazione della pandemia. Come noto, il particolato atmosferico (PM) e gli altri inquinanti dell’aria sono causa di effetti avversi sul sistema respiratorio e cardiovascolare. Il quesito scientifico è valutare se l’esposizione cronica a PM e altri inquinanti possa essere, oltre a sesso, età e ad alcune comorbidità (ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e cerebrovascolari), un fattore di suscettibilità per COVID-19 e/o che possa esacerbare la severità della malattia (ricovero in terapia intensiva o decesso). 
È proprio da queste ipotesi che si muove lo studio pubblicato il 5 aprile dai ricercatori dell’Università di Harvard.

Nello studio americano, per ciascuna delle ~3000 contee degli Stati Uniti (98% della popolazione totale), sono stati recuperati i casi di decesso per COVID-19 fino al 4 aprile 2020 e le stime di esposizione di lungo termine a PM2.5, già elaborate in precedenti progetti di ricerca. Nei modelli di stima dell’associazione sono stati inclusi numerosi fattori di confondimento, quali la densità di popolazione, la percentuale di popolazione di età ≥65 anni, la percentuale di persone che vivono in povertà, il reddito medio, l’etnia, il livello di istruzione, il numero di tamponi eseguiti, la disponibilità di posti-letto in ospedale ed altre.

I risultati mostrano che l’incremento di 1 µg/m3 di PM2.5 è associato ad un incremento di rischio di decesso per COVID-19 pari al 15% (intervallo di confidenza: 5-25%). I risultati sono statisticamente significativi e si confermano anche nelle analisi di sensibilità e analisi secondarie. Gli autori, inoltre, mettono a disposizione sul sito tutti i dati e gli algoritmi dei modelli utilizzati.

Come sottolineato anche dagli autori, uno degli elementi di maggiore criticità riguarda le incertezze sulla identificazione di tutti i casi di decesso per COVID-19, essenzialmente dipendenti dalla capacità di esecuzione dei tamponi per la conferma della diagnosi. È questo un argomento di forte dibattito anche in Italia, così come in tutti i paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, da cui dipendono le forti eterogeneità nelle stime dei tassi di letalità e di mortalità da COVID-19.
Una possibile evoluzione nello studio della relazione tra inquinamento atmosferico e severità di COVID-19 è superare l’approccio ecologico, cioè utilizzando dati aggregati come nello studio americano, e focalizzarsi sui dati individuali di COVID-19, che consentono un aggiustamento per fattori confondenti (età, sesso e comorbidità) molto più efficace.

https://www.ars.toscana.it/com_jce/eventi-2017/2-articoli/4298-covid-19-coronavirus-inquinamento-atmosferico-aria-studio-harvard-pm-pm2-5-diffusione-pandemia.html

Inquinamento atmosferico e diffusione del virus SARS-CoV-2

Le ipotesi che suggeriscono correlazioni tra le aree a maggior inquinamento atmosferico e la diffusione del virus responsabile della COVID-19 hanno sollecitato la richiesta di pareri all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e stimolato molti gruppi di studiosi a collaborare per esaminare il problema e le possibili associazioni. Tuttavia, l’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto.

Gli effetti sanitari avversi dell’inquinamento: cosa sappiamo
L’esposizione all’inquinamento atmosferico indoor e outdoor – e in particolare al materiale particellare PM (PM10, PM2,5), agli ossidi di azoto (NO e NO2), nonché all’ozono (O3) – può determinare un insieme di effetti sanitari avversi già ampiamente descritti nella letteratura scientifica accreditata. Nel 2016, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che globalmente sono circa 7 milioni le morti premature all’anno correlate a questo fattore di rischio, con il 91% di questi decessi a carico dei Paesi a basso-medio reddito e relative alle popolazioni delle aree del sud asiatico, sub-sahariane e dell’America latina. In particolare, per la popolazione europea sono state stimate circa 550.000 morti premature.

Inoltre, l’OMS ha dedicato particolare attenzione agli effetti sanitari dovuti ai livelli di inquinamento degli ambienti indoor, determinati principalmente dall’uso di combustibili di bassa qualità per il riscaldamento degli ambienti e dalla preparazione dei cibi, ma anche dall’uso di sostanze chimiche per l’igiene personale e per la pulizia degli ambienti, aromi per la profumazione indoor, pitture, vernici, ecc. Questa componente riveste un ruolo rilevante se si considera che la popolazione trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi (abitazione, scuola, lavoro, solo per citarne alcuni).

A livello globale, i principali effetti sanitari correlati all’inquinamento dell’aria indoor e outdoor sono relativi all’aumento delle malattie non trasmissibili (Non Communicable Diseases, NCD), che includono principalmente le malattie croniche del sistema cardiocircolatorio quali le malattie ischemiche del cuore (infarto miocardico, ictus cerebrale), quelle dell’apparato respiratorio, come l’asma, la bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), che porta a una maggiore predisposizione alle infezioni respiratorie, e il cancro del polmone per esposizioni sul lungo periodo. Più recentemente all’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e al PM2,5 si associano patologie quali il diabete, un ritardo nello sviluppo neurologico dei bambini così come effetti neurologici degenerativi nella popolazione adulta/anziana. Gli effetti a breve termine sono supportati da molti studi dedicati a singole città e/o a aree urbane aggregate e riguardano una ridotta capacità polmonare, aggravamento e complicanze dell’asma e, per esposizione durante la gestazione, un basso peso alla nascita del bambino. L’ampia letteratura scientifica si è anche dedicata a indagare quale sia la popolazione più suscettibile agli effetti dell’esposizione all’inquinamento atmosferico indoor e outdoor. Le caratteristiche di suscettibilità includono principalmente una predisposizione genetica, fattori socioeconomici, età, durata e intensità dell’esposizione, la presenza di malattie preesistenti, come asma, BPCO e fibrosi cistica. Molti studi evidenziano che i bambini, e più in generale la popolazione di età inferiore ai 14 anni, è la più suscettibile agli effetti sanitari acuti delle infezioni alle basse vie respiratorie.

Materiale particellare: quantità ma anche “qualità”
Un altro aspetto da sottolineare è la natura del materiale particellare. Il PM (sia quello emesso direttamente nell’aria, che quello prodotto durante i processi di conversione gas-particelle) è una miscela complessa di inquinanti organici e inorganici, costituito dal materiale carbonioso derivante dai diversi processi di combustione che lo generano (per esempio, nelle aree a intensa urbanizzazione il PM deriva essenzialmente dai processi di combustione di sorgenti mobili e fisse come i veicoli a motore, gli impianti per la produzione di energia), ma anche da un insieme di altre sostanze particolarmente tossiche per l’uomo (microinquinanti inorganici e organici come: metalli, idrocarburi policiclici aromatici, diossine). La composizione qualitativa e quantitativa del PM varia quindi molto in funzione della tipologia di sorgenti di emissione che lo producono. Gli effetti sanitari che ne derivano dipendono non solo dai livelli di concentrazione a cui le popolazioni sono esposte ma anche da molti altri fattori, che includono le sorgenti, le trasformazioni fisiche e chimiche di precursori, il clima, e la specifica situazione locale (orografica e topografica) delle aree urbane e non urbane che ne influenzano la “qualità” e la composizione.

Vivere in aree urbane dove l’inquinamento atmosferico è elevato incide sullo stato di salute generale della popolazione, come dimostrano gli studi di numerosi gruppi di ricercatori scientifici nazionali e internazionali. La popolazione di queste aree presenta alcuni profili di salute particolari, come registra anche il sistema di sorveglianza PASSI dell’ISS. Dai dati PASSI, emerge che nella popolazione adulta che vive nelle città metropolitane è maggiore la prevalenza di persone con sintomi depressivi, con diagnosi di malattia cronica respiratoria (bronchite cronica, enfisema, insufficienza respiratoria o asma bronchiale), diabete e tumore. Questi eccessi risultano statisticamente significativi anche tenendo conto delle differenze nella struttura per età, genere e caratteristiche sociali di chi vive nelle metropoli, rispetto a chi vive in altre aree urbane o rurali del Paese. Gli stili di vita hanno sicuramente un peso nel determinare questo quadro e fra i residenti nelle città metropolitane si osserva una maggiore quota di sedentari e fumatori.

L’Agenzia Ambientale Europea (EEA) ogni anno produce un report sul Burden of Disease dell’inquinamento atmosferico in Europa in base ai livelli di concentrazione dei singoli inquinanti misurati (PM2,5, NO2 e O3) dalla rete di monitoraggio dell’aria presente in ciascun Paese (concentrazioni variabili anche in funzione delle condizioni meteorologiche peculiari registrate ogni anno, oltre al numero e alla qualità di funzionalità delle centraline). Nel report 2019 (dati riferiti al 2017) l’EEA stima per l’Italia, per esposizione a PM2,5, circa 60.000 morti premature. Va ricordato che le misure delle postazioni di monitoraggio dell’aria sono finalizzate alla corretta gestione dei territori per l’individuazione di possibili soluzioni di riduzione dell’inquinamento e rappresentano solo una misura indicativa dell’esposizione, considerando inoltre che ormai la popolazione trascorre la maggior parte del tempo in ambienti indoor.

Infezione da SARS-CoV-2 e inquinamento: quali associazioni?
In merito alla possibilità di un’associazione diretta della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 con le aree a elevato livello di inquinamento atmosferico è necessario porre una particolare cautela, trattandosi di un’infezione virale, sottoposta a meccanismi di trasmissione attraverso il contagio diversi da quelli che caratterizzano la diffusione dell’inquinamento atmosferico. In Italia, l’ipotesi di un’associazione è stata avanzata in virtù del fatto che aree come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, dove il virus ha presentato la maggiore diffusione, si registrano generalmente le maggiori concentrazioni degli inquinanti atmosferici misurati e controllati secondo quanto indicato e prescritto dalla legislazione di settore (DLgs 155/2010).

Tuttavia, la diffusione del virus si è presentata attraverso focolai circoscritti all’interno di zone della macroarea di appartenenza (pianura padana) sottoposta a valori di inquinamento atmosferico elevati e piuttosto omogenei; altre aree a forte inquinamento atmosferico, anche se prossime, sono rimaste inizialmente escluse e interessate, solo successivamente, con minor forza dalla contaminazione del virus. Si osserva, inoltre, che a seguito delle disposizioni governative, la ridotta mobilità delle persone e la chiusura di molte attività produttive, ha portato a una progressiva e significativa riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria (PM10, PM2,5, NO2, benzene).

Va considerato che le aree dove il virus ha evidenziato l’impatto più elevato, sono le aree italiane sia ad elevata densità di popolazione sia a più alta produttività del Paese. In questi territori sono presenti il maggior numero di aziende con vocazione e crescita internazionale che hanno continui e frequenti rapporti con Paesi stranieri (in particolare Stati Uniti, Cina e Federazione Russa), con conseguente alta mobilità dei lavoratori. Infatti, molti approfondimenti epidemiologici in corso per studiare e comprendere come il virus sia entrato e si sia diffuso nell’area evidenziano l’importanza della componente legata ai rapporti di lavoro internazionali e il conseguente contagio diretto tra persone, oltre all’iniziale diffusione del contagio in strutture sanitarie (ospedaliere e residenze sanitarie assistite, RSA), che ha agito quale forte moltiplicatore dell’infezione. Le misure di minimizzazione degli spostamenti e di distanziamento sociale che sono state adottate stanno mostrando tutta la loro efficacia, evidenziando ancora una volta il meccanismo preferenziale di contagio della malattia COVID-19.

Lo studio di eventuali relazioni di causalità tra la diffusione del virus e l’inquinamento atmosferico, in particolare di PM (PM10 e PM2,5), necessita quindi di essere attentamente analizzato, approfondendo la conoscenza di eventuali fattori confondenti che possono suggerire spurie associazioni causa-effetto.

In sintesi, la complessità del fenomeno, insieme alla parziale conoscenza di alcuni fattori che possono giocare o aver giocato un ruolo nella trasmissione e diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, rende al momento molto incerta una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia da COVID-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione. Appare dunque necessario pianificare e realizzare studi caratterizzati da adeguati disegni e protocolli di indagine, e corredati da modelli di analisi che consentano di comprendere il ruolo giocato dalle molteplici variabili coinvolte nel fenomeno, effettuando anche un’analisi comparativa su scala più ampia quale quella europea e internazionale.

Un elemento di sicuro approfondimento potrà essere rappresentato dal ruolo dell’ambiente indoor/outdoor nel suo complesso nel determinare lo stato di salute generale della popolazione, in particolare quella residente nelle aree urbane, e come questo possa aver influito sulla gravità degli esiti dell’infezione da SARS-CoV-2. Per esempio, l’analisi dei decessi su un ampio campione di casi effettuato dall’ISS ha mostrato come la mortalità per COVID-19 sia stata elevata in soggetti che già presentavano una o più patologie (malattie respiratorie, cardiocircolatorie, obesità, diabete, malattie renali, ecc), sulle quali la qualità ambientale indoor e outdoor e gli stili di vita, in ambiente urbano, possono aver giocato un ruolo.

Uno studio che l’Università di Harvard ha presentato come pre-print, fornisce alcuni spunti di riflessione ma si basa su indicazioni parziali e presenta ampie incertezze ancora da risolvere (come gli autori stessi descrivono nei supplementary materials). Tra queste, sicuramente la modalità di conteggio dei decessi per COVID-19 ancora non completamente chiarite e standardizzate nonché la stima delle concentrazioni di PM2,5 sul territorio degli USA che si basa sull’applicazione di modellistica che deve tener conto delle misure effettuate nelle postazioni fisse, le quali non hanno una distribuzione omogenea sul territorio. Questo fattore introduce un’incertezza sulla rappresentatività spaziale delle stime del modello e gli stessi autori evidenziano una ampia variabilità dell’accuratezza del modello per aree geografiche diverse. Il lavoro dei ricercatori di Harvard mostra dunque alcune carenze metodologiche importanti, tra le quali non ultima la mancanza di controllo per autocorrelazione spaziale sia della esposizione a PM atmosferico sia del contagio.

La diversa distribuzione spaziale delle postazioni di misura dell’inquinamento atmosferico che deve tener conto dell’alta disomogeneità dei territori (aree metropolitane, rurali, industriali, montane, costiere), come avviene anche in Italia, rappresenta un elemento di incertezza nella stima dell’esposizione inalatoria al PM2,5 indoor e outdoor della popolazione. La complessità del fenomeno necessita quindi di ulteriori approfondimenti per completare e risolvere le incertezze ed eventuali relazioni spurie, la covarianza tra variabili, il ruolo dei confondenti e dei modificatori di effetto, ecc.

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-inquinamento-atmosferico

Aria.Inquinamento atmosferico e COVID-19

 DettagliCategoria principale: AriaCategoria: DottrinaPubblicato: 30 Dicembre 2021Visite: 914

Inquinamento atmosferico e COVID-19

di Aldo DI GIULIO

La scienza medica si interroga se fra l’inquinamento atmosferico e la pandemia dal Coronavirus, SARS-CoV-2, ci sia un nesso scientifico documentabile. L’esposizione agli inquinanti atmosferici antropogenici può sviluppare reazioni infiammatori polmonari influendo negativamente sullo stato di salute dell’uomo. Ambedue i contaminanti considerati, chimico (PM10, PM2,5) e biologico (coronavirus), hanno la via dell’aria ambiente come mezzo di trasmissione e il bersaglio comune dei polmoni.

Una traccia comparativa è l’effetto del particolato PM2,5 e del SARS-CoV-2, su l’organismo umano che, in modo distinto, può determinare disfunzione endoteliale vascolare, stress ossidativo, trombosi, aggressione al sistema immunitario. Il virus patogeno che determina la malattia, Covid-19, presenta complicanze respiratorie, infarto miocardico, aumento dei biomarcatori che si rilevano anche con elevati livelli di inquinamento atmosferico (1,2). L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, IARC, ha classificato il particolato PM10 e PM2,5, come cancerogeno di classe 1.

Gli inquinanti tossici e nocivi emessi dalle auto, industrie, riscaldamento domestico, biomasse, possono costituire un catalizzatore, un acceleratore che aumenti la capacità infiammatoria del virus?

Un altro indizio fra i contaminanti per il confronto nel mondo, può essere il numero dei decessi registrati sul versante dell’inquinamento atmosferico, oltre 7mln e quelli attribuiti al SARS-CoV-2 >5 mln (OMS, Ministero della Salute).

L’inquinamento da particolato ambientale PM2,5 è stato il principale fattore di rischio di livello 4 per DALY (Disability Adjusted Life years) tra i rischi ambientali con 4,14 milioni (3,45-4,80) di decessi nel 2019. L’inquinamento da ozono ambientale ha rappresentato l’11,1% dei decessi per BPCO a livello globale, per un totale di 365000 decessi (175000-564000). I più alti tassi di mortalità standardizzati per età attribuibili all’ozono si sono verificati nell’Asia meridionale (Lancet3).

Le fonti di inquinamento atmosferico chimico, provengono dalla combustione dei prodotti fossili, (petrolio, carbone, gas naturale), dalle sorgenti naturali (sabbie sahariane, vulcani, pollini); biomasse e incendi. La cattiva qualità dell’aria outdoor e indoor, data dal coronavirus con i provvedimenti conseguenti, lockdown, smart working, mascherina, guanti, didattica a distanza, accessi limitati ai luoghi chiusi, vaccino e super green pass sono atti di prevenzione contro una forma di “inquinamento atmosferico biologico”.

Aspetto giuridico. Le misure adottate nella pandemia trovano riscontro nel DPR 203/88 ove l’inquinamento atmosferico viene definito “ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria, da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente, alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”. L’assenza di adeguate misure di prevenzione e protezione dalla diffusione del coronavirus, da parte dei responsabili della salute pubblica, potrebbe interessare l’Autorità Giudiziaria a far rispondere sulla scorta degli articoli del C.P. 438 (epidemia colposa) e art.452 (delitti colposi contro la salute pubblica).

Studio della ESC European Society of Cardiology.

Un esame multidisciplinare internazionale sull’ipotesi del ruolo dell’inquinamento atmosferico alla mortalità da Covid-19 è stato svolto dai ricercatori del Centro Internazionale di Fisica, Trieste (Italia), l’Istituto Max Planck di Chimica, Maina (Germania), Dipartimento di Biostatistica di Boston (USA), il Centro per il cambiamento climatico, Londra (Gran Bretagna), l’Università di medicina di Berlino (Germania), il Centro per la ricerca cardiovascolare di Mainz (Germania), l’Istituto di clima e atmosfera, Nicosia (Cipro) (1,2).

Metodologia della ricerca. L’ approccio sul rapporto inquinamento atmosferico/Covid-19 è stato lo studio su 65 lavori pubblicati, con criticità in alcuni Paesi. Cina. Una ricerca svolta nel 2003(4) con 5327 casi segnalati e circa 349 decessi, ha presunto che l’incidenza dell’inquinamento atmosferico potesse aggravare gli esiti sanitari dal SARS-CoV-1, antesignano del SARS-CoV-2. I due coronavirus sono simili in quanto “ i loro genomi sono estremamente correlati e i virus entrano nelle cellule ospiti legandosi allo stesso recettore di ingresso angiotensina-enzima di conversione 2” (1) L’ indice di inquinamento atmosferico (API) è stato considerato in base alle concentrazioni del particolato, anidride solforosa, biossido di azoto, monossido di carbonio e ozono al livello del suolo. ” Un’ analisi su l’esposizione a breve termine ha dimostrato che i pazienti con SARS provenienti da regioni con API (indice di inquinamento atmosferico) moderate avevano un rischio dell’84% di morire di SARS rispetto a quelli provenienti da regioni con API basse (RR=1,84, 95%CI:1,41-2,40). I pazienti con SARS provenienti da regioni con API elevate avevano il doppio delle probabilità di morire di SARS rispetto a quelle provenienti da regioni con API basse (RR=2,18, 95%CI:1,31-3,65%) (1,4) ”.

Italia. La Protezione Civile Italiana ha calcolato che al 21 marzo 2020, la mortalità in Lombardia ed Emilia Romagna è stata di circa il 12% mentre nel resto di Italia è stata di circa il 4,5%. Il Royal Netherlands Meteorological Institute studiando il monitoraggio dell’ozono dal satellite della Nasa ha affermato che il Nord Italia rappresenta una delle aree più inquinate di Europa anche a causa della morfologia e orografia del territorio. L’indice di inquinamento utilizzato (AQI) considera gli inquinanti del PM10, PM2,5, SO2, O3 ed NO2 . La popolazione con una età media avanzata e affetta da altre comorbidità che vive in una area fortemente inquinata, “ potrebbe avere le difese delle ciglia e delle vie aeree superiori indebolite sia dall’età che dall’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e l’esposizione al virus SARS-CoV-2 aggravare lo stato di salute. Un sistema immunitario debole, innescato dalla esposizione cronica all’inquinamento atmosferico, può portare a un distress respiratorio acuto (ARDS) e alla morte, in caso di gravi comorbidità respiratorie e cardiovascolari L’alto tasso di inquinamento atmosferico dovrebbe essere considerato come un ulteriore cofattore dell’elevato livello di letalità nelle regioni del Nord Italia (1,5)”.

Inghilterra e Paesi Bassi. Ricerche svolte hanno confermato i riscontri fra la cattiva qualità dell’aria ambiente e il Covid-19(1).

Modello di studio. L’equipe della European Society of Cardiology Cardiovascolar ha stimato l’incidenza dell’inquinamento atmosferico sul tasso di mortalità da Covid-19 utilizzando i dati epidemiologici negli USA e in Cina, i valori del particolato PM2,5 per l’esposizione a medio e lungo termine, con l’impiego di modelli misti binomiali. Il modello adottato di circolazione generale della chimica atmosferica globale (EMAC) ricrea i processi chimici atmosferici, meteorologici e le interazioni con gli oceani e la biosfera, nella stessa rappresentazione degli studi sui cambiamenti climatici e la salute pubblica. L’esposizione al particolato, è stata determinata con i valori annuali di PM2,5 del 2019, acquisiti dai dati satellitari, in prossimità della superfice terrestre, calcolando la frazione antropica, integrati nel modello di chimica atmosferica. La stima dell’inquinante ha ponderato la popolazione tra aree urbane e rurali (1).

Fonte: Cardiovascolar Research Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg.2247-2253. Contributi regionali e globali dell’inquinamento atmosferico al rischio di morte per COVID-19. A. Pozzer, F. Dominici, A. Haines, C. Watt, T. Munzel e J. Lelieveld2020.

L’indagine della ESC, osservata fino al marzo del 2020, ha individuato mediamente l’incidenza percentuale dell’inquinamento atmosferico sui decessi dalla pandemia del Covid-19 nel mondo del 15%, Asia Orientale 27%, Nord America 17%, Asia del Sud 15%, Europa 19%, Sud America 9%, Asia Occidentale 8%, Africa 7%, Oceania 3%; in Italia del 15% (1-2).

Percentuali regionali di mortalità per COVID-19 attribuite a fonti di aria legate ai combustibili fossili e a tutte le fonti antropogeniche di inquinamento
RegionePopolazione (milioni)Frazioni di mortalità per COVID-19 attribuita all’inquinamento atmosferico (%)
Emissioni legate ai combustibili fossiliTutte le emissioni antropogeniche
Europa62813 (6-33)19 (8-41)
Africa13452 (1-19)7 (3-25)
Asia occidentale6276 (3-25)(4-27)
Asia del sud25657 (3-22)15 (8-31)
Asia orientale168515 (8-32)27 (13-46)
Nord America52514 (6-36)17 (6-39)
Sud America5473 (1-23)9 (4-30)
Oceania281 (0-20)(1-23)
Mondo79508 (4-25)15 (7-33)
I livelli di confidenza del 95% sono indicati tra parentesi

I dati dei decessi per il Covid-19 in USA sono stati raccolti dalla Jonhns Hopkinsin University fino al 22 aprile del 2020, in 3087 contee su 3142, il 98% della popolazione, di cui il 42% ha riportato decessi per Covid-19. L’indagine ha considerato 20 potenziali fattori di confusione: la dimensione della popolazione, la distribuzione per età, densità di popolazione, periodo di tempo dall’inizio della pandemia, tempo trascorso ai confinamenti domiciliari, letti ospedalieri, numero di individui testati, condizioni meteorologiche, fattori socioeconomici e di rischio come obesità e fumo.

Lo studio mostra una confrontabilità fra le cause di morte dei pazienti da Covid-19 e quelle che determinano la mortalità da PM2,5. Il rischio di mortalità dal virus è aumentato fino all’8% con l’incremento del contaminante. Una osservazione di 5700 pazienti ricoverati per Covid-19 nel distretto di New York ha rilevato che le comorbilità erano di ipertensione (57%), obesità (42%), e diabete (34%), indici di rischio cardiovascolare, osservati anche in relazione a elevati valori di particolato PM2,5 (1,6).

L’effetto dello smog su gli esiti sanitari della pandemia in Cina nel 2020, è valutato con la correlazione spaziale dell’inquinamento da particolato. Una analisi trasversale è stata eseguita per esaminare il valore giornaliero del PM2,5 e PM10 nello spazio con il tasso di mortalità da Covid-19, attraverso il metodo di regressione lineare multipla. La ricerca ha riguardato 49 città tra cui Wuhan, 15 città all’interno dell’Hubei e 33 città fuori dell’Hubei con non meno 100 casi al 22 marzo 2020, pervenendo alla conclusione che “ il tasso di mortalità da Covid-19 ha una forte associazione con PM2,5 e PM10 sia nella provincia di Hubei che nelle altre città della Cina. Il tasso di mortalità delle città all’interno dell’Hubei era inferiore a quello di Whan”.

L’approfondimento è stato svolto considerando gli studi sulla epidemia della SARS in Cina del 2003, aumentando il tasso di mortalità, considerando che, il Covid-19 è causato da SARS-CoV-2 che condivide il 79,6 di identità di sequenza con SARS-CoV e ha lo stesso recettore di ingresso cellulare, l’enzima di conversione dell’angiotensina II come il SARS-CoV (1,7).

L’influenza dell’inquinamento sulla pandemia dal Covid-19 indica che 7 sui primi dieci Paesi nel mondo sono in Europa (2).

Rischio dall’inquinamento atmosferico. La stima del rischio dell’inquinamento atmosferico al Covid-19 è stata svolta applicando la funzione esposizione-risposta dell’OMS considerando l’esposizione media annua del sito osservato e la concentrazione del PM2,5 al di sotto della quale l’esposizione non ha significato epidemiologico. La frazione della mortalità attribuibile allo smog ha considerato i valori del PM2,5 rispetto alla distribuzione della popolazione sul territorio, città, periferia, aree suburbane. I dati sulla popolazione sono stati forniti dalla NASA e dalla Columbia University Center.

Limiti dell’indagine preliminare. Una conclusione congrua sarà svolta al termine della pandemia in quanto i dati epidemiologici si fermano alla terza settimana di giugno 2020 e i livelli di confidenza al 95%, presentati in tabella, sono considerevoli. I dati per la Cina presentano una incertezza significativa, i valori utilizzati per lo studio provengono da paesi ad alto reddito e la rappresentatività per i paesi a basso reddito può essere limitata. In Africa e in Asia occidentale la contaminazione dell’aria ambiente dalle polveri eoliche può agire sulla mortalità e in Paesi a basso reddito l’inquinamento domestico può influire sui decessi anticipati.

Valutazioni. Le precondizioni broncopolmonari e cardiovascolari, tra cui ipertensione, diabete, malattia coronarica, cardiomiopatia, asma, BPCO e malattie acute delle vie inferiori, tutte influenzate negativamente dall’inquinamento atmosferico, portano a un rischio più elevato in Covid-19. Il rischio di decesso aumenta con l’età, >70 anni. Le frazioni di mortalità per Covid-19 attribuita all’inquinamento atmosferico dato dai combustibili fossili vede il mondo articolato in tre fasce: Asia orientale (15), Nord America (14), Europa (13); Asia del sud (7), Asia occidentale (6); Sud America (3), Africa (2), Oceania (1); mediamente nel mondo (8).

Lo studio suggerisce che l’inquinamento atmosferico è un importante cofattore che aumenta la mortalità dal Covid-19 (1) .

Bibliografia. 1-ESC European Society of Cardiology Cardiovascolar Research Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg.2247-2253. Contributi regionali e globali dell’inquinamento atmosferico al rischio di morte per COVID-19. A. Pozzer, F. Dominici, A. Haines, C. Watt, T. Munzel e J. Lelieveld2020; 2- Cardiovascolar Research “Informazioni supplementari” Volume 116, N.114, 1dicembre 2020, Pagg,2247-2253. Stima delle percentuali di mortalità da COVID-19 attribuite all’inquinamento atmosferico da tutte le fonti antropogeniche; 3- The Lancet.com Vol. 396 17 ottobre 2020; 4- Inquinamento atmosferico e morte del caso di SARS nella Repubblica Popolare Cinese: uno studio ecologico. -Salute ambientale. Cui Y, Zhang Z-F, Froines G, Zhao J, Whang H, Yu S-Z, Detels R; 5-L’inquinamento atmosferico può essere considerato un co-fattore nell’altissimo livello di letalità SARS-CoV-2 nel Nord Italia? E. Conticini, B. Frediani, D. Cario, Inquinamento ambientale. Volume 261, giugno 2020, 114465; 6-Esposizione all’inquinamento atmosferico e alla mortalità da COVID-19 negli Stati Uniti: una analisi nazionale, studio trasversale. Xiao Wu, Rachel C Nethery, M Benjamin Sabath, Danielle Braun, Francesca Dominici; 7-Correlazione spaziale dell’inquinamento atmosferico da particolato e del tasso di mortalità di COVID-19, Yao Y, Pan J; Wang W, Liu X, Kan H, Meng X, Wang W, Università Fuban, Shangai, Cina, 2020.

Aldo Di Giulio

https://lexambiente.it/materie/aria/170-dottrina170/16029-aria-inquinamento-atmosferico-e-covid-19.html

Covid, la ricerca: l’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezione

Lo studio del Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria sulla popolazione adulta della città di Varese

Varese – L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV-2: lo suggerisce una ricerca condotta da Epimed, il Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria i cui risultati sono pubblicati oggi online sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, del gruppo editoriale Bmj.

Lo studio, relativo alla popolazione adulta della città di Varese (62.848 persone), seguita nel tempo da inizio pandemia a marzo 2021, segnala un aumento del 5 per cento nel tasso di infezione per incremento di un microgrammo/metrocubo di PM2.5, 294 casi in più ogni centomila persone/anno. Fin dall’inizio del periodo di pandemia è stato osservato – anche in Italia – che le aree più esposte all’inquinamento atmosferico erano anche quelle con tassi di infettività da SARS-CoV-2 più elevati. Queste osservazioni erano basate principalmente su dati aggregati, come livelli medi di inquinanti atmosferici e numero di casi di Covid-19 per provincia, ed erano limitate alle primissime fasi della pandemia. Sebbene importanti per identificare primi segnali di associazione, avevano bisogno di conferma da studi più robusti, con dati su singoli individui e su orizzonti temporali più lunghi.

Spiega Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro: “Nel nostro studio abbiamo seguito prospetticamente nel tempo ogni adulto residente nella città di Varese, l’ottava città più grande della Lombardia, vicino al confine con la Svizzera, dall’inizio del periodo di pandemia (febbraio 2020) fino a marzo 2021. Per poter realizzare questo, è stato necessario uno sforzo collettivo che ha coinvolto non solo l’Università di Varese e Como e quella di Cagliari; ma anche l’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia e l’Agenzia regionale Aria, che hanno fornito i dati sanitari; e Arianet, una società privata leader nel campo delle modellizzazioni degli inquinanti ambientali, che ha messo a disposizione i dati sull’esposizione ambientale di lungo periodo”.

Dopo aver preso in considerazione molte delle caratteristiche cliniche e demografiche che possono aumentare la suscettibilità a SARS-CoV-2 oltre all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico, i risultati indicano che l’aumento di un microgrammo/metro cubo nel livello medio annuo di PM2.5 era associato ad un aumento del 5% dei tassi di infezione, corrispondente a 294 ulteriori casi di positività da Covid-19 per 100mila abitanti/anno. Relazioni simili valgono per altri inquinanti, come PM10, NO e NO2. Questi valori sono ancora più sorprendenti se si considera che l’esposizione media annua a PM2.5, PM10, e NO2 a Varese per l’anno 2018 (usato per le analisi) era sostanzialmente inferiore ai limiti di legge per la media annua di tali inquinanti. Sottolinea il professor Marco Ferrario, autore senior del lavoro: “È noto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari, attraverso l’infiammazione persistente e compromissione dell’immunità. Presumibilmente, gli stessi percorsi sono coinvolti nel legame tra inquinamento atmosferico ed incremento nei tassi di infezione da Covid-19». E aggiunge: «I nostri risultati da soli non sono in grado di stabilire il nesso di causa-effetto, ma forniscono la prima solida prova empirica in merito al legame finora solo ipotizzato che collega l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico con l’incidenza di Covid-19. Per questo meritano una futura generalizzazione in diversi contesti”. 

Il team di ricerca – composto dai professori Giovanni Veronesi, Sara De Matteis, Giuseppe Calori, Nicola Pepe, Marco Ferrario – è quindi già al lavoro per espandere lo studio, estendendolo all’intera provincia di Varese, a tutto l’anno 2021 e comprendendo anche altri endpoint, quali le ospedalizzazioni e i decessi da Covid19.

https://www.ilgiorno.it/cronaca/covid-inquinamento-1.7236472

Inquinamento e COVID-19: cosa sappiamo

PUBBLICATO IL 25 MAGGIO 2020

Sempre più numerosi studi osservano una correlazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e i numeri dell’epidemia COVID-19. Uno studio del San Raffaele prova spiegarne il meccanismo.

Diversi studi suggeriscono che tra le aree geografiche maggiormente colpite dalla pandemia di COVID-19 a livello mondiale (sia in termini di diffusione del virus che in termini di gravità dei sintomi e prognosi della malattia) ci siano quelle con il più alto tasso di inquinamento atmosferico.

Sappiamo che l’inquinamento atmosferico ha un ruolo nell’esacerbazione di diverse malattie infettive e croniche del tratto respiratorio. Ma è così anche per COVID-19? E se sì, attraverso quale meccanismo? 

Uno studio del San Raffaele, appena pubblicato sul Journal of Infection, indaga il fenomeno in Italia e propone per la prima volta un meccanismo biologico in grado di spiegare il ruolo dell’inquinamento atmosferico.

Lo studio è stato coordinato da Antonio Frontera, cardiologo dell’Unità di Aritmologia ed Elettrofisiologia Cardiaca, e George Cremona, primario del servizio di Pneumologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Cos’è il particolato atmosferico e perché fa male

L’inquinamento atmosferico è caratterizzato dal particolato, l’insieme delle cosiddette polveri sottili presenti nell’aria che respiriamo ogni giorno. A seconda del loro diametro (che può anche essere inferiore ai 2,5 millesimo di millimetro), queste particelle sono in grado di penetrare a diverse profondità dell’apparato respiratorio, danneggiando i tessuti e indebolendo le difese immunitarie.

Come conseguenza, è stato dimostrato che l’esposizione cronica al particolato, anche a bassi livelli, è associata a maggiore incidenza e maggior gravità di diverse malattie: 

  • respiratorie croniche (asma, bronchite, tumori polmonari);
  •  infettive (per esempio, l’influenza).

L’insieme di questi fenomeni rende l’inquinamento atmosferico responsabile, secondo il nuovo report sulla qualità dell’aria in Europa da parte dell’European Environment Agency (EEA), di oltre 370.000 morti premature all’anno.

Il potenziale legame tra particolato e COVID-19

Il team di ricercatori del San Raffaele ha analizzato il numero dei ricoveri di pazienti Covid in terapia intensiva in tutta Italia e il relativo tasso di mortalità, correlando questi dati con i livelli di inquinamento atmosferico nelle diverse regioni, in particolare la concentrazione di PM2.5 (il particolato più fine e pericoloso) nel mese di febbraio 2020, poco prima dello scoppio dell’epidemia.

I dati sulla popolazione sono stati forniti dalla Protezione Civile (aggiornati al 31 marzo 2020), mentre quelli relativi alle emissioni di inquinanti atmosferici provengono dal servizio Air-matters, che raccoglie dati di inquinamento da tutto il mondo.

“Secondo i risultati dello studio le regioni più colpite sono quelle che hanno un livello più alto di particolato: prima fra tutti la Lombardia, con 35 microgrammi per metro cubo di PM2.5, oltre 43.000 casi e 7.000 morti, seguita da Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, e così via a scendere,” spiega George Cremona.

In letteratura, tale disparità geografica nel numero dei casi viene spiegata sulla base del fatto che l’elevato livello di inquinanti può in qualche modo favorire la trasmissione aerea del virus, allungando la distanza minima necessaria per il contagio.

“L’idea che il particolato possa funzionare da trasportatore per virus e batteri è già stato suggerito in passato e ora viene ipotizzato anche per SARS-CoV-2, ma è tutto da dimostrare” specifica Frontera, primo autore dello studio. 

L’ipotesi, però, non spiegherebbe l’alto tasso di mortalità nella aree più inquinate, solo il maggior numero di infetti. Un fenomeno osservato anche negli Stati Uniti da un gruppo di Harvard, la cui ricerca è però ancora in attesa di pubblicazione e non è quindi stata sottoposta a peer-review. 

L’ipotesi sul ruolo dell’inquinamento atmosferico

Per spiegare i risultati di incidenza e mortalità di COVID-19 nelle aree più inquinate i ricercatori del San Raffaele hanno avanzato un’ipotesi innovativa, che prevede due meccanismi congiunti. 

Il primo meccanismo mira a spiegare perché le popolazioni più esposte ad inquinamento sono quelle in cui si è registrato il maggior contagio e si basa sul fatto, già dimostrato in laboratorio sui topi, che l’esposizione cronica al particolato PM2.5 è associata a una iper-espressione polmonare di ACE-2, il recettore noto per essere “la chiave di accesso” del nuovo coronavirus nelle nostre cellule. 

L’ipotesi è che questa sovra-espressione del recettore di accesso renda più facile infettarsi a parità di carica virale e, a seconda della quantità di recettori ACE-2 presenti, possa essere responsabile di forme poco sintomatiche fino alle forme di malattia più grave.

Il secondo meccanismo ipotizzato, sul quale però non ci sono evidenze al momento, potrebbe invece spiegare l’elevata mortalità nelle zone più inquinate ed è legato alla presenza di alti livelli di biossido di azoto, NO2, un altro inquinante gassoso presente in atmosfera. 

“Come è noto nella pratica clinica infatti, un’intossicazione da NO2 è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle forme gravi di COVID19 – spiega Frontera -. 

La nostra ipotesi è che gli effetti di alti tassi di NO2, anche se non equivalenti a un’intossicazione, possano sommarsi all’azione infiammatoria dovuta al virus, rendendo la manifestazione della malattia più aggressiva. Si tratta solo di un’ipotesi per ora, che andrà confermata da successivi studi.”

https://www.hsr.it/news/2020/maggio/inquinamento-coronavirus

Dopo aver letto questi articoli, auspico in una presa di coscienza ambientale sul tema inquinamento atmosferico, unita ad una importante risposta popolare della cittadinanza vastese a tutela della propria salute, che è l’aspetto più importante da salvaguardare, perché senza di essa non esisterebbe la vita, che dovrebbe essere intesa sempre come uno sforzo di gruppo, anche se l’attuale pandemia di COVID19 ci ha reso tutti più egoisti e menefreghisti, ognuno ormai ragiona per sè, pur di salvarsi la pelle. Mi aspetto che presto, come me, inizino a fare pressioni insistenti sull’attuale amministrazione Menna, in modo che quest’ultima, prenda tutta una serie di concreti provvedimenti atti ad adottare una mobilità più sostenibile, disincentivando concretamente l’utilizzo dell’automobile a diesel, dare maggiori incentivi ai cittadini per passare ad auto e bici elettriche, creare un sistema di piste ciclabili che dovranno andare a formare una Rete Integrata alla Mobilità Sostenibile, in modo da contenere concretamente le suddette sostanze inquinanti, a tutela della salute pubblica dell’intera comunità vastese.

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila, tecnico sportivo CSEN Abruzzo

LAURENT FIGNON IL PROFESSORE IN BICICLETTA

Laurent Fignon, il professore che vinse il Tour de France

LAURENT FIGNON IN MAGLIA GIALLA AL TOUR DE FRANCE
https://www.laclassica.com/Magazine/laurent-fignon-il-professore-che-vinse-il-tour-de-france.html?22546

Laurent Fignon vinse il Tour de France per la prima volta a soli ventidue anni, lo chiamavano ‘il professore’ ma la sua indole era tutt’altro che scolastica, come la sua esistenza, vissuta tutta all’attacco.

Era un giorno d’agosto, Laurent Fignon l’aveva detto che stava per morire, lo aveva detto a tutti con la sua voce roca mentre commentava il suo ultimo Tour de France e tutti lo sapevano, l’aveva fatto per prepararli, per preparare forse anche sé stesso. Ma alla fine Laurent se ne era andato davvero e, come spesso succede, nessuno era riuscito a rassegnarsi all’idea di perdere il professore che a soli ventidue anni, quando lo credevano solo un gregario di Hinault, vinse il Tour de France.

Parigino, lo chiamavano i francesi, perché era nato proprio a Parigi città, nel diciottesimo arrondissement, anche se era solo un bambino quando la sua famiglia si trasferì in campagna. Dove cominciò a correre, a piedi prima e in bicicletta poi. Prima gara, prima vittoria: il colpo di fulmine con il ciclismo, improvviso proprio perché aveva accarezzato il suo ego. 
Professore, avevano iniziato a chiamarlo, perché aveva studiato per insegnare matematica e per quegli occhiali con la montatura dorata che ingrandivano il suo sguardo di ghiaccio, affilato come il suo temperamento. Ribelle, di sicuro, e anche totalmente lontano dalla diplomazia che la gente si sarebbe aspettata da uno così. Era indecifrabile, a volte, Laurent. Ma era anche schietto come pochi altri, antipatico a molti perché diceva la verità senza nasconderla mai.  Come quando aveva parlato del suo capitano Bernard Hinault, dicendo che era fortunato ad averlo in squadra perché altrimenti lo avrebbe attaccato e attaccato fino a sfinirlo. Attaccare. Era questo che gli piaceva del ciclismo, diceva che con il tempo si era trasformato in uno sport di difesa, gli avevano rovinato l’anima.

“In bicicletta tutte le facciate svaniscono. Il ciclismo è la verità nuda.”

Il Tour de France è stato una benedizione e una maledizione. Gli otto secondi di quello perso contro Greg LeMond sono stati il suo tormento per una vita: glielo ricordavano tutti ‘“ la più clamorosa sconfitta non annunciata ‘“ e lui, per tutta risposta, ripensava a quando aveva vinto per la prima volta la Grande Boucle. Ventidue anni, gregario di un semidio. Hinault aveva una tendinite, divenne lui capitano e arrivò a Parigi con quattro minuti su Arroyo, tenendosi la maglia gialla per le ultime sette tappe.

Ma Fignon ne sapeva molto anche sulla lealtà e qualche mese più tardi aiutò Hinault a vincere una memorabile edizione della Vuelta per poi riconfermarsi al Tour l’anno dopo. Giusto per dire che non aveva vinto per caso, che era davvero un grande talento. Forte dappertutto, nelle corse a tappe e nelle Classiche, sempre all’attacco, di quei corridori che corrono con cuore e rabbia e competizione, l’ultimo hippie.

Era un campione ma per sua stessa ammissione non era fatto per le luci del palcoscenico. Aveva sempre bisogno di dire quello che pensava, aveva bisogno di silenzio a volte, una malinconica ritrosia che forse disegna la sua personalità divisa tra impeto e riflessione. Come quando salutò il Tour per l’ultima volta, lasciandosi staccare da tutti sul Col de La Bonette, per avere il suo attimo di tristezza e di grazia. Perché la montagna è una delle cose che nel ciclismo è vicina come non mai alla beatitudine e alla sofferenza, perchè a volte i colori dei suoi crepuscoli sono come incendi sulla pietra, esattamente come era stato, esattamente come aveva corso.

LAURENT FIGNON, MISTERO E SOSPETTO

01/09/2010  Il ciclismo mondiale segnala decessi di grandi campioni abbattuti dal male del secolo: da Anquetil all’italiano Nencini. La causa è forse l’assunzione di prodotti pericolosi?

In morte di Laurent Fignon, l’ultimo ciclista francese vincitore di una grande corsa a tappe (il Giro d’Italia 1989), si deve frequentare un sospetto intanto che ci si deve imporre un ragionamento. Fignon aveva cinquant’anni, lo ha ucciso un tumore all’intestino. Il ciclismo mondiale segnala ultimamente decessi di grandi campioni abbattuti dal male del secolo. In Francia Anquetil, Bobet e Rivière e appunto Fignon, in Italia Nencini e Faggin. E lo stesso Fignon si è in un libro confessato colpevole da giovanissimo ventiduenne (vinse il Tour dell’esordio nel 1983) di assunzione di prodotti pericolosi. Come tanti, forse come tutti.

    Questo è il sospetto. Però non si deve però fare una statistica grossolana: sono sempre tumori diversi, siamo sempre ben lontani da cifre percentualmente allarmistiche. Peggiori assai i sospetti sulla sindrome laterale amiotrofica dei calciatori, specialmente in Italia, specialmente quelli della Fiorentina anni ’70. Ma anche qui la scienza seria, non sensazionalistica, parla di mistero e non ammette verdetti.

    Fignon era un’intellettuale in bicicletta. Parigino di modi eleganti, brusco soltanto se necessario, capelli biondi e radi, occhialini da tecnocrate, diploma per insegnare matematica, molto impegnato con e contro Bernard Hinault da lui distrutto nel Tour 1984. In carriera professionistica dal 1982 al 1993. Ha vinto il Tour del 1983 e 1984, il Giro nel 1989, la Milano-Sanremo 1988 e 1989 e tanto altro. Forte in salita più che in pianura, ha perso sul passo, a cronometro nell’ultima tappa e per soli 8 secondi, il Tour del 1989, a pro di Greg LeMond, lo statunitense che in quell’anno lo sconfisse anche sul traguardo mondiale. Ultima fatale tappa a cronometro per Fignon anche quella del Giro 1984, quando lo scavalcò Moser.

    L’intellettuale ha fatto, nell’ultimo Tour, il commentatore televisivo, con pochi cali fisici e con cruda lucidità mentale: annunciando fra l’altro a tutti che un male invincibile lo stava uccidendo. Per la sua breve agonia, il contorno di moglie e figli ed ex colleghi di pedalate. Il giornale l’Équipe gli ha dedicato tutte le pagine dalla prima alla quinta. Una fine, la sua, molto annunciata, contrastata con l’animo e con la scienza, e quasi gloriosa: comprensiva di interviste rilasciate da lui sulla propria sofferenza. Un classico del campione indomito anche sceso di sella e fuori dall’agone. Per questo ci mancherà, ci deve mancare molto: tipi come lui lo sport di oggi forse non riesce a fabbricarne più.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/laurent-fignon-mistero-e-sospetto.aspx

È morto Laurent Fignon

Nella primavera scorsa, a non ancora cinquant’anni, aveva scoperto di avere un cancro ai polmoni e all’apparato digerente

Aveva vinto due Tour de France e un Giro d’Italia, ma soprattutto ne aveva persi immeritatamente altri due

LAURENT FIGNON CON GREG LEMOND, IL GRANDE RIVALE https://www.ilpost.it/2010/08/31/morte-laurent-fignon/

Ogni sport ha il suo professore, nel calcio era Franco Scoglio, nell’automobilismo Alain Prost – il ciclismo aveva Laurent Fignon. Non che Fignon avesse una condotta di corsa particolarmente ragionata, anzi, quando c’era da attaccare non se lo faceva dire due volte; ma correva con gli occhiali per una forte miopia e tanto bastava. Aveva un cancro ai polmoni, scoperto nella primavera scorsa, ed è morto oggi.

Passato professionista all’inizio degli anni ’80, cominciò a distinguersi non soltanto per gli occhialetti rotondi, ma anche per quella coda di cavallo che negli ultimi anni della sua carriera era andata via via scomparendo. Qualcuno disse che fu proprio per quella treccia, così poco aerodinamica, che perse il Tour de France del 1989 per otto secondi – tutt’ora il più piccolo distacco con cui è stato vinto, o perso, un Tour – da Greg LeMond, che nella cronometro finale indossò un caschetto affusolato, come poi cominciarono a fare tutti i corridori.

Era appunto dell’ultima generazione prima dell’avvento del ciclismo tecnologico, ma anche di quello della sfrenata specializzazione: nei suoi dodici anni di carriera vinse anche diverse classiche, due Milano-Sanremo e una Freccia Vallone, su tutte. Il meglio, però, lo dava nelle grandi corse a tappe: assieme a Bernard Hinault è stato l’ultimo corridore francese con un talento puro, ma con un carattere molto più impulsivo del metodico Hinault. Fignon è tutt’ora l’ultimo francese ad aver vinto il Giro d’Italia, nell’89. Ne meritava un altro, quello del 1984, che un percorso particolarmente favorevole – assieme ad alcune opinabili decisioni dei giudici di gara – regalarono al tenace e ostinato Francesco Moser.

Dopo la disfatta dell’89 non riuscì più ad andare forte, e pochi anni dopo si ritirò. Diventò commentatore per la TV francese, conservando la schiettezza che l’aveva contraddistinto negli anni delle corse, che gli valse qualche antipatia e la nomea di criticone. Quest’anno, già malato, aveva commentato il Tour – probabilmente sapendo che sarebbe stato il suo ultimo – con già i sintomi della chemioterapia e la voce mutata. Qualche mese prima aveva pubblicato la propria autobiografia: Eravamo giovani e incoscienti.

Giro di Francia. "Avevo paura di non uscirne mai": la toccante testimonianza di Valérie Fignon
Nel 1997, quattro anni dopo la sua pausa di carriera, Laurent Fignon ha incontrato Valérie Bordes. La coppia si formò nel processo, visse felicemente e si sposò. Il 31 agosto 2010 Laurent è morto di cancro ai polmoni. Fu in questo momento che Valérie Fignon divenne pienamente consapevole dell'aura di suo marito nell'eredità sportiva francese. Lo subisce, poi, nel tempo e nel lutto, lo doma e lo mantiene. Puntata finale della nostra serie dedicata ai compagni dei corridori di ieri e di oggi.
La porta è socchiusa e alcune note jazz emanano da questo appartamento parigino. Appena varcata la soglia, vi accoglie un'enorme tela di Laurent Fignon. Nero, bianco, ombra. Una ciocca di capelli, occhiali rotondi, un sorriso storto. Niente bici, niente maglia gialla. Solo un volto familiare, un ritratto stretto, un'opera magnifica. È l'uomo e la sua aria maliziosa ad essere rappresentato, quello che la proprietaria del locale seppe poi amare, dopo la sua ricca carriera ciclistica, quella che ha accompagnato fino all'ultimo respiro contro il cancro ai polmoni.
Più di dieci anni dopo la sua morte, "c'è Laurent ovunque" da Valérie Fignon, 51 anni, caldo e rilassato, vestito con un maglione bianco e pantaloni neri. Varie coppe e medaglie decorano un ampio ripiano vicino alla finestra. Dall'altro lato del soggiorno, un armadio concentra la maggior parte dei ricordi. Tra le borse sportive piene degli abiti di Laurent, poggiano sulla carta da parati due maglie incorniciate, quella del Tour de France, che conquistò due volte nel 1983 e 1984, e del Giro, che vinse nel 1989. La Still Italy, nella stanza accanto , e una bicicletta Bianchi verde, sella nera e nastro manubrio bianco, con una bomboletta verde affiancata dal logo Gazzetta dello Sport. Fu con lui che "Intello" fece il suo ultimo Tour de France, nel 1993. È intatto, o quasi. Valérie Fignon l'ha fatto rattoppare per le esigenze di un film per la TV.
Valérie Fignon sur le vélo Bianchi de son mari Laurent. C’est avec ce vélo que l’ancien coureur cycliste disputa son dernier Tour de France, en 1993. | OUEST-FRANCE
Valérie Fignon custodisce queste reliquie come la pupilla dei suoi occhi azzurri. "Laurent è un personaggio pubblico, non posso buttare tutto questo nella spazzatura", si difende sorridendo. Diverse volte gli è stato offerto di conservare queste cose in un museo. "Ma non posso separarmene", dice la donna che va in mountain bike con i vestiti della linea omonima del marito. Indossa spesso l'orologio del suo uomo al polso. Indossa ancora l'anello di diamanti che le aveva regalato per chiederle la mano, una sera d'amore a Venezia.
Tuttavia, Valérie Fignon non è una vedova in lutto. O meglio, non lo è più. Per molto tempo, rimaneggiare Laurent è stata una prova dolorosa, cosparsa di lacrime. "Ma vedi, oggi non piango," disse, calmata. Col tempo, attraverso il lutto, ha capito che "la morte di Laurent non apparteneva a (lui). Sono passati quasi undici anni e la gente me ne parla continuamente. Laurent è immortale”, ti dice nel bianco dei suoi occhi.
Dalla sua morte, lei è sempre stata lì per rappresentarlo. A Tolosa, Tournan-en-Brie, Créteil, per inaugurare complessi sportivi, piazze, strade, affreschi e sculture in omaggio al marito. Si sente investita di una missione, un "dovere da ricordare" fino a un'aura che ha a lungo ignorato, sottovalutato prima di prendersela in faccia, il 31 agosto 2010, 13° anniversario della coppia, giorno della morte del marito .

“A volte era capriccioso ed io rispondevo che non ero un suo fan”

Nata a Bordes, Valérie è cresciuta a Nevers, nella Nièvre, in una famiglia mista e felice, che "amava la bicicletta". Suo nonno "ha apprezzato Greg LeMond", fa una smorfia. Ha flirtato con la trentina quando il suo futuro marito ha perso la Grande Boucle per otto secondi leggendari contro l'americano, nel 1989. “L'ho seguito da lontano, conoscevo Laurent per nome. Si è trasferita nella capitale nel cuore degli anni '80 e ha moltiplicato i lavori saltuari negli eventi. Capita di essere una hostess alle gare di bicicletta. Ride: “Un giorno abbiamo trovato una foto in cui offrivo un cesto di gelato Miko, per il quale lavoravo, a Laurent dopo una vittoria. " Un'intervista senza seguito.
Anni dopo, nel giugno 1997, si incontrano di nuovo. Valérie lavora per Peugeot al Roland-Garros. Laurent è presente nei corridoi del torneo di tennis parigino. “Un amico comune mi informa che sta cercando di rafforzare la sua squadra per organizzare gare ciclistiche. Ho fatto un colloquio e ha funzionato subito. Viene assunta come assistente di direzione, gestisce la parte comunicazione e risorse umane. Lei esplode. "Mi è piaciuto lavorare per lui, non mi sentivo come se stessi lavorando. »
Valérie ha qualcuno, Laurent è sposato, ma l'attrazione è evidente e reciproca. Il 31 agosto 1997 si baciano in un ristorante di Plouay, dopo aver assistito alla corsa del Morbihan da cui hanno tratto ispirazione. Si innamora di un "uomo ipersensibile, timido, intelligente, completo, divertente, anche se non tutti capivano il suo umorismo", scivola in un sorriso. “Era qualcuno su cui poter contare. Non si è mai lasciato sconfiggere. Odiava perdere, anche con me. Un giorno mi ha battuto di un punto in Scrabble, è saltato al soffitto. Me lo ha passato. A volte penso a lui che non aveva paura di niente e ci vado, anche se significa perdere... ”La coppia fa girare l'amore perfetto in una vasta residenza a Saint-Maurice, nella Val-de-Marne. Si sono sposati il ​​17 maggio 2008 a Bagnères-de-Bigorre (Alti Pirenei). Questa è una delle rare volte in cui Valérie vedrà Laurent piangere.
Valerie e Laurent Fignon si sono sposati il 17 Maggio 2008 a Bagnères-de-Bigorre (Hautes-Pyrénées). | DR
La 50enne ripete spesso di amare "Laurent, e non Laurent Fignon". Capire: "Non l'ho idolatrato. A volte faceva i capricci e gli dicevo che non ero una sua fan. Era il mio compagno, tutto qui. Non mi sono confrontata con questo popolo, sportivo, ambiente parigino. Lo scopre al suo fianco quando, al ristorante, al supermercato o per strada, viene fermato per una foto o un autografo. “Un giorno un signore gli chiese se fosse Laurent Fignon e lui rispose di no, nonostante la sua insistenza. Il povero! (ride) Laurent si stava nascondendo. Gli piaceva andare in bicicletta, ma non gli piaceva la notorietà.»

«Dal giorno alla notte, il cancro prende il sopravvento»

Nel 2009 le loro vite cambiano. Laurent Fignon scopre di avere il cancro. "La coppia diventa una truppa", dice. “Da un giorno all'altro, la malattia prende il sopravvento. Non appena ti svegli, ci pensi. Mi metto tra parentesi. Ho parlato solo di questo, tutto il tempo. Al telefono, le conversazioni sono iniziate con “Come sta Laurent?" Ero il suo centralino. Con il tempo ci siamo staccati dal mondo, non abbiamo più raccontato storie, perché ci turbava, ci mangiava.
Una sera, andò fuori di testa: “Abbiamo trascorso il nostro tempo a casa. Una volta dovevamo andare al circo... Infine, esci. E ha cancellato all'ultimo momento, perché era troppo cattivo. Sono crollata, gli ho detto tutto, "Sono stufa della tua malattia di merda". Ho sbattuto la porta, ci sono andata da sola, dovevo salvarmi. Si fermò, il viso era pieno di vergogna. “Ah. È orribile. Il cancro è molto duro anche per chi ti circonda. »
Laurent et Valérie Fignon, lors d’un séjour à Barcelone en août 2010. Leur dernière photo de couple.
Laurent e Valérie Fignon, durante un loro soggiorno a Barcellona nell’agosto del 2010. La loro ultima foto da coppia| DR
Ogni estate, Laurent Fignon commenta il Tour de France. Una fuga per la coppia. “Gli ha fatto bene e mi ha permesso di respirare. Il primo anno (nel 2009), l'ho visitato nei suoi giorni liberi. Il secondo, sono rimasta al Sud, con mio padre. Ero così stufa di questo cancro, non volevo più affrontarlo..." La lotta contro la malattia consuma il suo uomo e consuma la sua anima. È terribile, senza tregua, segnato dall'incapacità della professione medica di trovare l'origine del male, un viaggio di andata e ritorno negli Stati Uniti dove un opinionista americano fa capire che non c'è più speranza, e un sms indicibile di un altro esperto, francese, "un bastardo", fece infuriare Valérie fino alla fine dei suoi giorni, dicendo di Laurent a un amico comune: "Lascialo andare e morire altrove. "Valérie, occhi scuri:" Quando Laurent ha letto questo testo, si è lasciato andare.»
La malattia dormiva da otto anni nel corpo di Laurent Fignon. Riuscì a sfuggirgli durante una lunga corsa di diciotto mesi, grazie al suo ottimo stato di salute. Da questi momenti bui, Valérie Fignon cerca di mantenere i momenti di lucidità: “Stava facendo umorismo nero, ci stavamo divertendo. A volte girava per l'ospedale a culo nudo, alla Jean Dujardin”, ride di nuovo, prima di continuare a bassa voce: “Anche lui riceveva delle belle lettere. "Veramente belle parole che testimoniano ciò che ha rappresentato nell'immaginazione di molti francesi."
Da parte sua, Valérie Fignon prende piena coscienza dell'aura del marito "il giorno della sua morte". Ricorda, con sguardo orgoglioso, il cellulare di Laurent che squillava incessantemente, "questa ondata di chiamate, messaggi, persone che volevano solo sentire la sua voce in segreteria". Suoni di grazia in un giorno disastroso.

«Mi parlavano sempre di lui, avevo paura di non uscirne mai»

Il 31 agosto 2010, Valérie Fignon ha perso un marito nello stesso momento in cui la Francia ha perso un'icona del suo patrimonio sportivo. Una doppia perdita che trasforma il suo lutto in un lungo e tortuoso cammino. C'è il dolore spalancato di perdere una persona cara. Per mesi evita, anestetizzata dalle aziende da vendere, gli incarichi amministrativi da gestire. Poi, lo schiva, va a letto con gli amici e fugge dal loro bozzolo a Saint-Maurice, dove "va solo a lavare le cose". Poi, "le persone finiscono per tornare alle loro vite, ed è normale".
C'è anche il dolore, costante, legato alla celebrità del marito. Depressa, Valérie Fignon si ritrova sola di fronte alla sua tristezza, opprimente, perché le ricorda in ogni angolo della sua esistenza. Per anni evita il più possibile La Salpêtrière, dove Laurent è ricoverato in ospedale, il cimitero di Père-Lachaise, dove la sua tomba diventa un'attrazione turistica, e persino il Tour de France, in televisione. “Ho ricevuto un sacco di lettere. Mi parlavano continuamente di lui. Alcuni gentiluomini mi hanno riconosciuto, mi hanno toccato e mi hanno detto che avevano l'impressione di vedere Laurent…” Anche Greg LeMond si è scusato con lei per quei famosi otto secondi. “Tutto questo è carino, ma sto impazzendo. Avevo paura di non uscirne mai.»
Valérie Fignon nel suo appartamento parigino, il 5 Maggio scorso. | OUEST-FRANCE
La sua ricostruzione passa attraverso le sue sessioni con il dottor Fauré. Durano circa un anno. Un giorno, gli disse di aver trovato quattro pagine scarabocchiate nel diario di Laurent, le bozze di un libro che voleva scrivere dopo aver vinto la malattia. “Mi ha fatto girare la testa. Il suo strizzacervelli gli consiglia di scrivere lui stesso. In quattro mesi, con la partecipazione del dottor Michel Cymès e la sapiente assistenza della giornalista Patrice Romedenne, scrive Laurent (Éditions Grasset, 2013), messo a nudo su pagine bianche, dove il dolore è esorcizzato dalle parole. “Mi sono pentito spesso, volevo tornare. Ma mi ha fatto bene. Ho ricevuto molte congratulazioni, grazie. (silenzio) C'è anche un signore che mi ha detto: “Grazie, non mi sono suicidato grazie al tuo libro. Pensava che stesse impazzendo, stava vivendo la mia stessa storia.»
Il percorso del lutto passa anche per le strade della Tanzania, sulle vette del Kilimangiaro, dove Laurent volle che spargesse alcune delle sue ceneri. Rispetta la sua volontà, scopre "una bella pianura con graziose felci" e svuota un po' di polvere dal contenitore della bicicletta.

« Di tanto in tanto ho bisogno di farmi del male, non lo so…»

Col tempo il dolore svanisce, il tempo fa il suo lavoro, Valérie Fignon ricostruisce la sua vita. Cinque anni fa ha incontrato Michel, con il quale ha costruito una nuova storia d'amore. “Riesci a immaginare, adora andare in bicicletta! Ha imparato a convivere con il peso del lutto per il marito campione. Durante una seduta con lo strizzacervelli, il dottor Fauré ha questa formula, che gli è rimasta fedele: "Mi ha spiegato che Laurent doveva essere come una pietra pomice: più ne parliamo, più è liscia. Oggi è così, anche se ci sono e ci saranno sempre ricadute. "Come quando scoppia in lacrime mentre gira una scena in ospedale in The Last Escape, un film per la TV di Fabien Onteniente, un film di fantasia sulla lotta di Laurent Fignon contro la malattia. "Mi sentivo pronto per partire e, wow, accidenti, schiaffeggialo." Samuel Le Bihan (l'attore che interpreta Fignon) era allo stesso modo, a letto, con la stessa camicetta. Abbiamo pianto entrambi. Anche il cast e la troupe.»
Questi momenti di ricaduta svaniscono nel tempo - "ancora felice!" - ma rimani. Valérie Fignon ha imparato ad apprenderli, ad apprezzarli, quasi. "Una volta ogni tanto ho bisogno di farmi male, non lo so..." sorrise. Guardo i suoi video su internet. Senza piangere. Con calma. Non è frenetico, ma ne ho bisogno. » Quali video? “Non quando correva. Quando ha commentato. Per ricordarmi l'uomo che una volta conoscevo. A volte chiamo anche il suo numero per ascoltare la sua segreteria telefonica, mantenere la sua voce nella mia memoria e combattere contro l'oblio mentre combattevamo contro la malattia.
De Laurent, anche Valérie ha mantenuto il nome, senza ombra di esitazione. “Prima della sua morte, mi chiamavo Valérie Bordes-Fignon. Quando è morto, ho licenziato Bordes. Naturalmente. Mi sento come se una parte di lui sopravvive. Si tiene informata di ogni azione, piano, dichiarazione su suo marito. “Sui social metto avvisi per vedere cosa dicono le persone su di lui. Cerco di essere presente ad ogni inaugurazione di un luogo in suo onore. Cerco di rispondere ad ogni richiesta. L'ultimo: un documentario sul Tour 1989 che sarà presto distribuito su piattaforme di streaming come Netflix.
Cyril Guimard al fianco di Bernard Hinault, Franck Pichot, Valérie Fignon e Jean-Claude Moison, durante il Critérium des Champions d’Hier, il 22 ottobre 2016 a Pipriac (Ille-et-Vilaine).| ARCHIVE OUEST-FRANCE
Nel 2014, dopo la diramazione nel settore edile, Valérie Fignon ha fondato l'associazione “Athletes & Partners” con Thierry Braillard, ex Segretario di Stato per lo Sport. Accompagna gli atleti di alto livello nella loro carriera professionale. “Mi dispiace che Laurent non abbia potuto vedere quello che sono diventata. Avrebbe amato questa associazione." Pensò e disse: "A volte mi chiedo se è tutto telecomandato". Ero fuori dallo sport, e ci sto ritornando, negli uffici dell'Insep, dove a Laurent piaceva andare ad allenarsi. Sicuramente mi strizza l'occhio".
Valérie Fignon crede nei sogni. Lo vede spesso. All'inizio di maggio, pochi giorni prima di vederci, ha sognato Laurent. Ha detto: "È passato molto tempo da quando è successo." Dice: “Era molto furtivo. Lui era lì. Ci siamo abbracciati. Fugge: "Ci si sente bene, ci si sente bene, è un peccato non poter controllare i sogni".

Ouest France

LAURENT FIGNON IN POSA MISTICA CON LA MAGLIA DEL TEAM RENAULT

Laurent Fignon dans le Tour de France

Français
© Photo :
Courtesy Marcel Segessemann
www.dewielersite.net
 Né le 12 août 1960 à Paris (Seine)
 
Participations :10
Victoires finales :2_1983 1984
Victoires d’étape :9
Jours en maillot jaune :22
Passages ou arrivées en tête aux cols :6
  
Classements :1 er en 1983 et 1984, 2 ème en 1989
 6 ème en 1991, 7 ème en 1987, 23 ème en 1992
 4 fois non classé en 1986, 1988, 1990 et 1993
10 Tours de France
AnnéesEquipesClassementsVict. d’étapesMaillot jaune
1983Renault-Elf-Gitane1 er1
1984Renault-Elf1 er5
1986Système Unon partant 13 ème étape0
1987Système U7 ème1 
1988Système Unon partant 12 ème étape0 
1989Super U2 ème1 
1990Castorama-Raleighabandon 5 ème étape0 
1991Castorama6 ème0 
1992Gatorade-Château d’Ax23 ème1 
1993Gatorade-Mega Driveabandon 11 ème étape0 


9 victoires d’étapes
AnnéesEtapes remportées
198321DijonDijon50kmclm
19847AlençonLe Mans67kmclm
16Les EchellesLa Ruchère-en-Chartreuse22kmclm
18L’Alpe-d’HuezLa Plagne185,5km 
20MorzineCrans Montana140,5km 
22Villie-MorgonVillefranche-en-Beaujolais51kmclm
198721Le Bourg-d’OisansLa Plagne185,5km 
198918Le Bourg-d’OisansVillard-de-Lans91,5km 
199211StrasbourgMulhouse249,5km

22 jours en maillot jaune
AnnéesMaillot jaune à l’issue des étapesVainqueurs d’étapes
 
 198317La Tour-du-PinL’Alpe-d’Huez223kmPeterWinnen
 18L’Alpe-d’HuezMorzine247kmJacquesMichaud
 19MorzineAvoriaz15kmclmLucienVan Impe
 20MorzineDijon291km PhilippeLeleu
 21DijonDijon50kmclmLaurentFignon
 22Alfortville _____Paris / Champs-Elysées195km GilbertGlaus
 198417GrenobleL’Alpe d’ Huez151km LuisHerrera
 18L’Alpe-d’HuezLa Plagne185,5km LaurentFignon
 19La PlagneMorzine186km AngelArroyo
 20MorzineCrans Montana140,5km LaurentFignon
 21Crans MontanaVillefranche-sur-Saône 320,5 kmFrankHoste
 22Villie-Morgon __Villefranche-en-Beaujolais 51 km clmLaurentFignon
 23PantinParis/Champs-Elysées 196,5 kmEric Vanderaerden
 198910CauteretsLuchon-Superbagnères 136 kmRobertMillar
 11LuchonBlagnac158,5kmMathieuHermans
 12ToulouseMontpellier242kmValerioTebaldi
 13MontpellierMarseille179kmVincentBarteau
 14MarseilleGap240kmJelleNijdam
 17BriançonL’Alpe-d’Huez165kmGert-JanTheunisse
 18Le Bourg-d’Oisans __Villard-de-Lans91,5kmLaurentFignon
 19Villard-de-LansAix-les-Bains125kmGregLeMond
 20Aix-les-Bains _Hewlett-Packard-l’Isle d’Abeau 130 kmGiovanniFidanza
6 passages ou arrivées en tête au sommet d’un col
AnnéesCat. colColsAltitudeEtapes
 
 1984HCLa Plagne1970 m18Bourg-d’OisansLa Plagne
 1 èreCrans-Montana1670 m20Morzine _88888__Crans-Montana
 19872 èmeCôte de Laffrey1430 m19Valréas _888888__Villard-de-Lans
 HC.La Plagne1970 m21Bourg-d’OisansLa Plagne
 19891 èreSt-Nizier-du-Moucherotte 1180 m18Bourg-d’Oisans __Villard-de-Lans
 19921 èreLe Grand-Ballon1360 m11StrasbourgMulhouse
LAURENT FIGNON TOUR DE FRANCE 1984
LAURENT FIGNON LE PROFESSEUR, TOUR DE FRANCE 1984

Tour de France 1983
Etape 17
La Tour-du-Pin – L’Alpe-d’Huez

Spécial Sports – 19/07/1983 – 09’02”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cab8300995601/resume-de-la-17eme-etape

Le peloton à la sortie de La Tour-du-Pin. Echappée de JOURDAN.
Michel LAURENT parle à son directeur sportif tout en roulant
(il abandonnera).

Pascal SIMON peinant; il abandonne dans la côte de La Chapelle Blanche; le champion dans l’ambulance avec le Docteur Porte.

KELLY lâché par FIGNON, BERNAUDEAU, VAN IMPE, CORREDOR, JIMENEZ, WINNEN, VAN DER VELDE.

BERNAUDEAU dans le Glandon avec BAZZO et LE BIGAUT.
VAN IMPE passe le col devant JIMENEZ.
Regroupement dans la descente : BERNAUDEAU, WINNEN, MARTIN, ARNAUD, VELDSCHOTEN,VANDI.

BAZZO, ALBAN, MADIOT roulant.
Foule dans la montée de L’Alpe-d’Huez. BERNAUDEAU, WINNEN, FIGNON, VAN IMPE, CORREDOR, ALBAN.

Le sprint remporté par WINNEN, 1er devant BERNAUDEAU et CORREDOR.

Les arrivées d’ALBAN, FIGNON, VAN IMPE, DELGADO, etc…

Sur le podium, Laurent FIGNON endosse le maillot jaune.

Tour de France 1983
Etape 18
L’Alpe-d’Huez-Morzine

Résumé – 20/07/1983 – 03’38”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00011548/laurent-fignon-s-accroche-dans-l-ascension-de-joux-plane

18 ème étape du Tour de France 1983, une étape de montagne entre l’Alpe-d’Huez et Morzine.

Le maillot jaune Laurent FIGNON rejoint le Néerlandais Peter WINNEN et l’Australien Phil ANDERSON, deux de ses principaux adversaires, dans l’ascension du col de Joux-Plane.

Tour de France 1983
Etape 18
L’Alpe-d’Huez-Morzine

Sports Eté – 20/07/1983 – 05’04”

http://www.ledicodutour.com/coureurs/coureurs_f/fignon.htm

Arrivée de la 18 étape du Tour de France 1983, une étape de montagne entre l’Alpe-d’Huez et Morzine.

Le Français Jacques MICHAUD arrive détaché à Morzine et remporte sa première victoire d’étape dans le Tour de France. L’Espagnol ARROYO arrive en seconde position à plus d’une minute.

Laurent FIGNON, qui arrive en huitième position devant ses principaux adversaires Peter WINNEN et Jean-René BERNAUDEAU , consolide son maillot jaune.

Tour de France 1983
Etape 19
Morzine-Avoriaz contre-la-montre

Spécial Sports- 22/07/1983 – 08’39”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cab8300999901/resume-de-la-19eme-etape

Résumé de la 19 ème étape du Tour de France 1983, un contre-la-montre en côte de 15 kilomètres entre Morzine et Avoriaz
remporté par le Belge Lucien VAN IMPE.

Le Français Laurent FIGNON conserve son maillot jaune.

Morzine – Jacques MICHAUD souriant – L’ accordéoniste Bernard MARLY.

Coureurs en action : Jean-René BERNAUDEAU, Robert ALBAN, Sean KELLY, le maillot jaune Laurent FIGNON (arrivée), Edgar CORREDOR, Patrocinio JIMENEZ, Pedro DELGADO, Joaquim AGOSTINHO, Angel ARROYO (4ème), Peter WINNEN (3ème), Stephen ROCHE (2ème), Lucien VAN IMPE (1er).

Lucien VAN IMPE sur le podium / Laurent FIGNON enfile le maillot jaune.

Tour de France 1983
Etape 19
Dijon-Dijon contre-la-montre

Les Jeux du Stade – 23/07/1983 – 03’50”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010086/laurent-fignon-remporte-le-contre-la-montre-de-dijon

21 ème étape du Tour de France 1983, un contre-la-montre de 50 km couru sur le circuit automobile de Dijon.

Le dernier kilomètre de course et l’arrivée triomphale du maillot jaune Laurent FIGNON, qui remporte l’étape et confirme définitement sa première place au classement général.

Réaction de Laurent FIGNON au micro de Jean-Paul OLLIVIER quelques secondes après son arrivée.

Tour de France 1984
Etape 16
Les Echelles – La Ruchère-en-Chartreuse
contre-la-montre

Stade 2 – 15/07/1984 – 05’49”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cab8401622901/cyclisme-tour-de-france

Résumé de la 16 ème étape du Tour de France 1984, un contre-la-montre montagneux de 22 km entre Les Echelles et La Ruchère-en-Chartreuse.

Laurent FIGNON remporte ce contre-la-montre devant le Colombien Luis HERRERA et l’Espagnol Pedro DELGADO. Il augmente son avance sur son principal adversaire Bernard HINAULT, seulement quatrième de l’étape.

Vincent BARTEAU conserve son maillot jaune.

Plusieurs coureurs pendant ce contre-la-montre : les Espagnols Angel ARROYO, Julian GOROSPE et Pedro DELGADO, le Colombien Luis HERRERA – Bernard HINAULT avant le départ / départ de FIGNON – Duel à distance FIGNON-HINAULT dans ce contre-la-montre – Le maillot jaune Vincent BARTEAU.

Tour de France 1984
Etape 17
Grenoble – L’Alpe-d’Huez

Laurent FIGNON double Bernard HINAULT à l’Alpe d’Huez

Sports été – 16/07/1984 – 05’36”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010121/fignon-double-hinault-a-l-alpe-d-huez

17 ème étape du Tour de France 1984, une étape de montagne entre Grenoble et l’Alpe-d’Huez.

Le Colombien Luis HERRERA lâche Bernard HINAULT dans la montée vers l’Alpe-d’Huez et file vers la victoire d’étape.

Bernard HINAULT, victime d’une défaillance, est alors rejoint puis lâché par son principal adversaire Laurent FIGNON.

Tour de France 1984
Etape 17
Grenoble – L’Alpe-d’Huez

Spcial Tour – 17/07/1984 – 08’55”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cab8400901001/resume-de-la-17eme-etape-grenoble-alpes-d-huez

Résumé de la 17 ème étape du Tour de France 1984, une étape de montagne entre Grenoble et l’Alpe-d’Huez remportée par le Colombien Luis HERRERA et marquée par la prise de pouvoir de Laurent FIGNON.

Ascension de la côte de Laffrey / le Colombien Luis HERRERA et le maillot jaune Laurent FIGNON passe en tête au sommet

Regroupement dans La Vallée de l’Arromanche : le groupe Bernard HINAULT revient sur FIGNON et HERRERA / Bernard HINAULT attaque au moment de la jonction et part seul.

La montée vers l’Alpe-d’Huez : le Colombien Luis HERRERA revient au pied de l’ascension sur Bernard HINAULT puis le lâche.

Commentateurs Colombiens euphoriques – Laurent FIGNON revient à son tour sur Bernard HINAULT, le double et le distance irrémédiablement

Luis HERRERA arrive en vainqueur au sommet de l’Alpe-d’Huez et remporte la première victoire d’étape colombienne dans le Tour de France.

Laurent FIGNON arrive en seconde position à 49 secondes, suivi de l’Espagnol ARROYO à plus de deux minutes, de l’Ecossais Robert MILLAR, de l’Américain Greg LEMOND et de Bernard HINAULT à plus de trois minutes.

Le maillot jaune Vincent BARTEAU arrive en 52ème position et perd la première place du classement général au profit de son coéquipier Laurent FIGNON / les deux hommes en jaune sur le podium.

Tour de France 1984
Etape 18
L’Alpe-d’Huez – La Plagne

Spécial Tour – 18/07/1984 – 08’58”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cab8400902601/resume-de-la-18eme-etape

Résumé de la 18 ème étape du Tour de France 1984, une étape de montagne entre l’Alpe-d’Huez et La Plagne remportée par le maillot jaune Laurent FIGNON. – Ascension du col du Galibier / le Colombien Francisco RODRIGUEZ passe en tête au sommet –
la descente – Le Colombien Luis HERRERA se faisant soigner par le docteur – Attaque de Bernard HINAULT dans La Vallée de la Maurienne / il est repris par le groupe du maillot jaune Laurent FIGNON.

Ascension du col de La Madeleine / l’Espagnol Pedro DELGADO passe en tête au sommet devant son compatriote ARROYO.

Montée vers La Plagne / accélération du maillot jaune Laurent FIGNON qui arrive en solitaire à La Plagne avec une minute d’avance sur le Suisse Jean-Marie GREZET et l’Américain Greg LEMOND / FIGNON remporte l’étape et consolide sa première place au classement général.

Arrivée de Bernard HINAULT en 10 ème position à trois minutes de FIGNON.

FIGNON en jaune sur le podium.

Tour de France 1987
Etape 21
Bourg-d’Oisans – La Plagne

Résumé – 22/07/1987 – 04’30”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010692/victoire-de-laurent-fignon-a-la-plagne

Arrivée de la 21 ème étape du Tour de France 1987, une étape de montagne 185 km entre Bourg-d’Oisans et La Plagne.

Le Français Laurent FIGNON et l’Espagnol Anselmo FUERTE arrivent détachés à La Plagne, au terme d’une difficile montée finale.

Laurent FIGNON se montre le plus rapide au sprint et remporte l’étape.

Le Colombien Fabio PARRA arrive en troisième position à une trentaine de secondes.

Le maillot jaune Espagnol Pedro DELGADO arrive en quatrième position à prés d’une minute, suivi à quelques mètres de son principal adversaire, l’Irlandais Stephen ROCHE, qui est revenu sur lui dans les derniers kilomètres de l’ascension.

Tour de France 1989
Etape 17
Briançon-L’Alpe-d’Huez

Résumé – 19/07/1989 – 04’20”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010937/demarrage-de-laurent-fignon-a-l-alpe-d-huez

17 ème étape du Tour de France 1989, une étape de montagne de 165 km entre Briançon et l’Alpe-d’Huez.

Laurent FIGNON démarre à quatre kilomètres du sommet de l’Alpe-d’Huez et lâche le maillot jaune Greg LEMOND et l’Espagnol Pedro DELGADO.

Tour de France 1989
Etape 17
Briançon-L’Alpe-d’Huez

Résumé – 19/07/1989 – 05’46”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010942/laurent-fignon-s-empare-du-maillot-jaune-a-l-alpe-d-huez

Arrivée de la 17 ème étape du Tour de France 1989, une étape de 165 km entre Briançon et l’Alpe-d’Huez.

Le Néerlandais Gert-Jan THEUNISSE arrive détaché au sommet de l’Alpe-d’Huez et remporte l’étape.

Pedro DELGADO arrive en seconde position à plus d’une minute, accompagné par Laurent FIGNON.

Greg LEMOND arrive en quatrième position à plus de deux minutes et perd, pour une vingtaine de secondes, son maillot jaune au profit de Laurent FIGNON.

Interview de Greg LEMOND quelques secondes après l’arrivée : il déclare que la course est loin d’être finie.

Tour de France 1989
Etape 21
Versailles-Paris Champs-Elysées

Résumé – 23/07/1989 – 08’43”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i00010953/victoire-finale-de-greg-lemond-sur-les-champs-elysees

Arrivée de la 21 ème et dernière étape du Tour de France 1989, un contre-la-montre individuel de 25 km entre Versailles et Paris.

Au départ de l’étape le maillot jaune Laurent FIGNON possède 50 secondes d’avance sur le second, l’Américain Greg LEMOND.

Greg LEMOND termine en trombe ce contre-la-montre et réalise le meilleur temps. Laurent FIGNON peine dans les derniers kilomètres et perd seconde après seconde : à l’arrivée il réalise le troisième meilleur temps, 58 secondes derrière Greg LEMOND, et perd le Tour de France pour huit secondes !

Greg LEMOND, qui assiste à l’arrivée de son rival, explose de joie. Réaction à chaud des deux coureurs quelques secondes après l’arrivée : Greg LEMOND déclare qu’il est “choqué” et Laurent FIGNON, effondré, explique qu’il n’a pas pu pédaler normalement à cause d’une blessure.

Tour de France 1992
Etape 11
Strasbourg-Mulhouse

Résumé – 15/07/92 – 02’24”

https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i13141043/la-deniere-victoire-d-etape-de-laurent-fignon

Après une longue échappée, Laurent FIGNON franchit la ligne d’arrivée avec une confortable avance.
Il s’agit de sa dernière victoire d’étape sur le Tour de France.

FIGNON LAURENT(1960-2010) ENCICLOPEDIE UNIVERSALIS

Deux Tours de France, un Giro, deux Milan-San Remo, un Championnat de France, un Grand Prix des nations figurent notamment au palmarès cycliste professionnel de Laurent Fignon. Pourtant, son nom reste curieusement gravé dans la mémoire collective d’une France que l’on pensait débarrassée du « syndrome de Poulidor » en raison d’une improbable défaite pour 8 secondes lors du Tour de France 1989. Champion atypique, sorte de « hippy du cyclisme » selon sa formule, il fut un trait d’union entre deux époques (à ses débuts dans le peloton, il côtoya Joop Zoetemelk ; en fin de carrière, il roula avec Lance Armstrong) : il fut le premier champion à effectuer des essais en soufflerie très poussés, mais le dernier à respecter l’héritage d’une génération cycliste qui érigeait fraternité, échange, fidélité et partage en leitmotivs.

Né le 12 août 1960 à Paris, Laurent Fignon grandit à Tournan-en-Brie (Seine-et-Marne). Contrairement à la plupart des futurs champions, il ne s’investit pas dans le sport cycliste dès l’enfance ; il intègre le club de Combs-la-Ville à seize ans, mais suit un cursus scolaire complet et obtient un baccalauréat scientifique. En 1982, il rejoint le peloton professionnel, au sein de l’équipe Renault-Gitane dirigée par Cyrille Guimard : il remporte déjà une épreuve prestigieuse, le Critérium international. L’année 1983 marque un tournant. Bernard Hinault, le leader de la formation Renault-Gitane, doit se faire opérer du genou. En l’absence du « Blaireau », le Tour de France privé de « patron » s’avère débridé. Il semble d’abord promis à Pascal Simon, mais celui-ci, victime d’une chute, est contraint à l’abandon. Fignon hérite du maillot jaune et s’en montre digne : il repousse toutes les attaques des grimpeurs et conforte sa victoire dans le contre-la-montre à Dijon. Le public découvre alors ce jeune homme anticonformiste de moins de vingt-trois ans à la franchise cassante : chevelure blonde triomphante, lunettes cerclées, bachelier, parisien, il constitue le contraire de l’archétype du champion cycliste dont l’image demeure alors associée à la ruralité.

L’année 1984 est pour Laurent Fignon celle de la flamboyance. Certes, il ne remporte pas le Giro : l’Italien Francesco Moser, poussé par les tifosi dans les Dolomites avec la complicité de l’organisateur de l’épreuve Vincenzo Torriani, propulsé dans le contre-la-montre de Vérone par les pales de l’hélicoptère de la R.A.I. transformé en aérogénérateur, le dépossède honteusement du maillot rose. Mais, dans le Tour de France, il humilie Bernard Hinault, qui court désormais dans la formation La Vie claire montée par Bernard Tapie : le Breton est débordé vers L’Alpe-d’Huez, où il ne peut opposer que son panache à la force insolente de son rival, et se voit relégué à plus de 10 minutes à Paris. Tous les spécialistes s’accordent : Laurent Fignon va régner sur la Grande Boucle durant plusieurs années.

Mais les chemins de la gloire ne sont pas linéaires. En 1985, il doit se faire opérer du tendon d’Achille gauche, ce qui marque le début de trois années de souffrance. Fignon retrouve un peu de sa splendeur en 1988 : en fin stratège, il remporte Milan-San Remo (il renouvellera ce succès l’année suivante). Il connaît une totale résurrection en 1989, mais le jeune champion insouciant a laissé la place à un homme assombri, hermétique, plus solitaire encore. Il gagne ce Giro qu’on lui avait volé en 1984, puis se présente ambitieux au départ du Tour de France. Cette édition de la Grande Boucle est marquée par de multiples rebondissements, Greg LeMond et Laurent Fignon s’arrachant le maillot jaune à coup de secondes ; néanmoins, à la veille de l’arrivée, le Français possède sur l’Américain une marge (50 secondes) qui semble suffisante pour qu’il puisse préserver son triomphe lors de l’ultime étape, un contre-la-montre de 24,5 kilomètres entre Versailles et Paris. Mais Fignon ne lutte pas à armes égales : il est diminué par une inflammation à la selle et LeMond roule sur un vélo équipé d’un guidon de triathlon qui favorise l’aérodynamisme. La suite est connue. Patrick Chêne, qui commente l’épreuve télévisée sur Antenne 2, égraine les secondes dans un dramatique compte à rebours sur les Champs-Élysées et s’exclame en direct : “Laurent Fignon a perdu le Tour de France pour 8 seconds”.

GREG LEMOND, APPENA COMPLETATA LA CRONOMETRO FINALE AL TOUR DE FRANCE 1989, CAPISCE CHE STA VINCENDO LA CORSA
LAURENT FIGNON, DEVASTATO, SI RENDE CONTO DI AVER PERSO PER 8 SECONDI

https://www.cyclistmagazine.it/lemond-figno-tour-de-france-piu-combattuto-di-sempre-30734

UNA CRONOMETRO, 8 SECONDI: IL GIORNO IN CUI IL CICLISMO SCOPRÌ L’AERODINAMICA CON LEMOND E FIGNON

Benvenuti nella nuova rubrica di Niccolò Campriani! Tre volte oro olimpico nel tiro, Niccolò sbarca su Eurosport per raccontarci l’impatto dell’evoluzione tecnica e tecnologica nel mondo dello sport. Alla vigilia della prima cronometro del Giro del Centenario, ecco a voi un viaggio tra manubri, caschi e… codini!

https://www.eurosport.it/tutti-gli-sport/sport-e-tecnologia-con-niccolo-campriani/2017/una-cronometro-8-secondi-il-giorno-in-cui-il-ciclismo-scopri-l-aerodinamica-con-lemond-e-fignon_sto6167186/story.shtml

MA PERCHÉ NON TI TAGLI QUEL CODINO?

Se solo mamma Fignon fosse riuscita a convincere suo figlio avrebbe riscritto l’albo d’oro del ciclismo. Parliamo del leggendario Tour 1989 che il Francese Laurent Fignon perse all’ultima cronometro per soli 8 secondi di ritardo sull’americano Greg LeMond, il più piccolo margine di vittoria nella storia della Grande Boucle.

Già immagino i volti perplessi: ma questa non dovrebbe essere una rubrica sulla tecnologia nello sport? E infatti nessun timore, il nocciolo della questione non risiede nei nebulosi risvolti psicologici di un nuovo look, bensì nel decisivo ruolo dell’aerodinamica nel ciclismo moderno. Ma prima di approfondire le turbolenze generate dallo sbandierante codino biondo di Fignon è opportuno inquadrare il contesto storico di quel Tour.

L’INTUIZIONE AERODINAMICA CHE CAMBIÒ LA STORIA DEL CICLISMO

Siamo alle porte degli anni ’90, il ciclismo di allora preferiva lavorare sulla potenza generata dal corridore piuttosto che scervellarsi nel tentativo di ridurre le forze in opposizione al moto. In fondo sono questi i due fattori critici che determinano la prestazione. Da una parte si cerca di massimizzare i watt generati dal ciclista attraverso una frequenza di pedalata ottimale per il rapporto scelto mentre dall’altra, nel contempo, si tenta di limitare l’attrito delle ruote e la resistenza aerodinamica. Ed è proprio quest’ultima a giocare un ruolo determinante nelle prove a cronometro in quanto, alla velocità media di 50-55 km/h tipica di una tappa in pianura, incide per il 90% della resistenza totale! In questi termini ogni accorgimento per ridurre l’area frontale esposta al vento gioca un ruolo decisivo.

Purtroppo per Fignon all’epoca lo capì benissimo il meccanico di LeMond, un ex-istruttore di sci di nome Boone Lennon che masticava di aerodinamica meglio di chiunque altro nel ciclismo e che per primo ideò le aero-prolunghe per le prove a cronometro. Proprio queste appendici, che consentono al corridore una posizione sulla bici più raccolta e pertanto più aerodinamica, furono montate in anteprima mondiale sul manubrio dell’Americano al Tour del 1989.

L’ANEDDOTO: QUANDO IL DS SI PRESENTÒ ALL’ALBA DAI COMMISSARI…

L’innovazione fece la sua apparizione già nella quinta tappa, una cronometro di 73km da Dinard a Rennes. In una intervista rilasciata a Cycling Weekly il direttore sportivo di LeMond, Jose De Cauwer, tornò sull’episodio confessando di aver giocato di astuzia nel mostrare la bici con le aero-prolunghe ai commissari di gara già il giorno precedente.

ANDAI DAI GIUDICI PRESTISSIMO COSÌ CHE NESSUNO DELLE ALTRE SQUADRE POTESSE ACCORGERSI DEL NUOVO EQUIPAGGIAMENTO. DISSI SEMPLICEMENTE CHE LEMOND AVEVA INTENZIONE DI MONTARE QUELLE APPENDICI SUL SUO MANUBRIO E IL GIUDICE RISPOSE “OK, LE PUÒ USARE SENZA PROBLEMI”. TANTO PER ESSER SICURO RINCARAI LA DOSE SPIEGANDO CHE LEMOND AVEVA UN PROBLEMA ALLA SCHIENA E CHE QUESTO GLI AVREBBE CONSENTITO DI MANTENERE UNA POSIZIONE PIÙ CONFORTEVOLE. A QUEL PUNTO IL GIUDICE, QUASI SECCATO, CONCLUSE “HO GIÀ DETTO CHE VA BENE, LO AUTORIZZO, ADESSO VADA CHE ABBIAMO MOLTO LAVORO DA FARE” E IO MI ALLONTANAI SEGUENDO L’INVITO.

Quel volpone di De Cauwer… L’Americano finì col vincere quella prima cronometro conquistando la maglia gialla, altro che schiena bloccata. Il Tour era però solo agli inizi e quando la strada cominciò a salire Fignon si riprese la leadership arrivando ai blocchi di partenza dell’ultima tappa, una cronometro parigina di 25 km, con 50 secondi di vantaggio su LeMond. Un margine rassicurante su una distanza così breve. E invece, come un funesto presagio, ecco ricomparire le strampalate appendici sulla bici dell’Americano che si lanciò per gli Champs-Elysées in quella sua posizione accovacciata degna di uno sciatore discesista.

L’ANEDDOTO: QUANDO IL DS SI PRESENTÒ ALL’ALBA DAI COMMISSARI…

L’innovazione fece la sua apparizione già nella quinta tappa, una cronometro di 73km da Dinard a Rennes. In una intervista rilasciata a Cycling Weekly il direttore sportivo di LeMond, Jose De Cauwer, tornò sull’episodio confessando di aver giocato di astuzia nel mostrare la bici con le aero-prolunghe ai commissari di gara già il giorno precedente.

ANDAI DAI GIUDICI PRESTISSIMO COSÌ CHE NESSUNO DELLE ALTRE SQUADRE POTESSE ACCORGERSI DEL NUOVO EQUIPAGGIAMENTO. DISSI SEMPLICEMENTE CHE LEMOND AVEVA INTENZIONE DI MONTARE QUELLE APPENDICI SUL SUO MANUBRIO E IL GIUDICE RISPOSE “OK, LE PUÒ USARE SENZA PROBLEMI”. TANTO PER ESSER SICURO RINCARAI LA DOSE SPIEGANDO CHE LEMOND AVEVA UN PROBLEMA ALLA SCHIENA E CHE QUESTO GLI AVREBBE CONSENTITO DI MANTENERE UNA POSIZIONE PIÙ CONFORTEVOLE. A QUEL PUNTO IL GIUDICE, QUASI SECCATO, CONCLUSE “HO GIÀ DETTO CHE VA BENE, LO AUTORIZZO, ADESSO VADA CHE ABBIAMO MOLTO LAVORO DA FARE” E IO MI ALLONTANAI SEGUENDO L’INVITO.

Quel volpone di De Cauwer… L’Americano finì col vincere quella prima cronometro conquistando la maglia gialla, altro che schiena bloccata. Il Tour era però solo agli inizi e quando la strada cominciò a salire Fignon si riprese la leadership arrivando ai blocchi di partenza dell’ultima tappa, una cronometro parigina di 25 km, con 50 secondi di vantaggio su LeMond. Un margine rassicurante su una distanza così breve. E invece, come un funesto presagio, ecco ricomparire le strampalate appendici sulla bici dell’Americano che si lanciò per gli Champs-Elysées in quella sua posizione accovacciata degna di uno sciatore discesista.

“SILURO VS SCOMPIGLIATO”: IL PROBLEMA DEL CASCO

La differenza di stile nei confronti di Fignon, la cui posizione alta e sgomitante era frutto del classico manubrio ricurvo, fu resa ancor più limpida dalle contrastanti scelte in materia di casco. LeMond optò per un caschetto dal profilo aerodinamico mentre Fignon preferì sciogliere al vento la sua lunga chioma bionda rinunciando a qualsiasi protezione (il casco è diventato obbligatorio solo a partire dal Tour del 2006). Quella che doveva essere una sfida tra due corridori, il “siluro” LeMond e lo “scompigliato” Fignon, diventò in realtà un impietoso confronto tra due concezioni di ciclismo, il passaggio di testimone tra una semplicità di altri tempi e un’innovativa cura del dettaglio. E l’epilogo, per quanto tragico, non poteva che essere uno: rimonta storica di LeMond che dopo aver annullato il ritardo, quei famosi 50 secondi, ne aggiunse altri 8 tra lui e Fignon.

GREG LEMOND CHAMPS ELYSEES, FINAL CRONO TOUR DE FRANCE 1989

IL VANTAGGIO DI LEMOND NELLA CRONOMETRO DECISIVA

Proprio così: a fare la differenza furono 8 miseri secondi rispetto a un totale di 87 ore e 3200 km spalmati su 21 tappe in terra francese. LeMond fu esattamente 0.003% migliore del suo rivale. Come se questo non bastasse il vero dramma sportivo si consumò nelle analisi post-gara. Le tante simulazioni in galleria del vento mostrarono infatti come solo nell’ultima cronometro il vantaggio riconducibile alle aero-prolunghe e alla conseguente posizione del corpo più allungata e ficcante era approssimabile a 1 minuto. Ma non era finita qui: quei sadici degli ingegneri si misero a calcolare anche la resistenza aerodinamica creata dal codino sciolto del Francese nel confronto diretto con il caschetto di LeMond. Risposta? La chioma al vento era costata a Fignon circa 16 secondi, ergo il Tour de France. Alla faccia del peccato di vanità.

Greg LeMondVantaggio aerodinamico
Aero-prolunghe vs posizione standard60 secondi
Caschetto vs codino16 secondi

Al di là del facile umorismo (grande rispetto per un campione come Fignon che di Tour ne vinse due in carriera) questo approfondimento vuole evidenziare come nello sport di élite, dove sempre più assistiamo a un livellamento dei valori in campo, le innovazioni tecnologiche possano fare da ago della bilancia. Il compito di questa mia rubrica che oggi debutta su Eurosport sarà proprio quello di raccontare quel dietro le quinte “scientifico” troppo spesso trascurato. L’obiettivo non è quello di descrivere un futuro distopico, lungi da me rivestire i panni del George Orwell olimpico, ma al contrario mettere in risalto lo straordinario e poliedrico lavoro alla base delle grandi imprese sportive.

Pertanto buon Giro d’Italia a tutti, buona cronometro e che vinca il migliore. Aerodinamica permettendo.

Tour de France 1989: LeMond e Fignon. Il romanzo di due campioni leggendari e di una rivalità unica

Il Tour più bello e avvincente, cui mi sia capitato di assistere, resta quello del 1989. Al via, il grande favorito era il beniamino di casa Laurent Fignon, il professore, così detto per via di occhialini dalla montatura dorata che gli conferivano un’aria molto seria. Fignon era tornato competitivo nelle gare tappe proprio al Giro d’Italia appena vinto su Flavio Giupponi.

Laurent Fignon

Talento precoce, aveva già conquistato, nel 1983 e nel 1984 due Tour de France consecutivi e sembrava destinato a stabilire una lunga tirannia nel mondo delle due ruote: nel 1984 aveva appena 24 anni, essendo nato a Parigi il 12 agosto del 1960. Ecco, quell’anno, il 1984, quello delle Olimpiadi di Los Angeles, Fignon aveva sfiorato anche il Giro, perdendo la maglia rosa nella cronometro finale che giungeva all’Arena di Verona: decisivo l’apporto tecnologico fornito a Moser dalle ruote lenticolari. Al Tour, però, aveva dato dieci minuti a sua maestà Bernard Hinault e undici al campione del mondo in carica Greg LeMond. Invece, da quel momento cominciò un periodo di buio agonistico per Fignon, dovuto anche a ripetuti infortuni. Hinault avrebbe vinto il Tour del 1985, il suo quinto e rimasto l’ultimo per i francesi!, davanti a LeMond, con Fignon assente. Lemond avrebbe vinto, primo americano della storia, il Tour del 1986, Hinault secondo e pronto al ritiro a soli 32 anni. Il professore francese avrebbe dovuto attendere, si diceva, il Giro del 1989 per tornare a fare classifica in un grande giro. Nel frattempo, si era annesso, noblesse oblige, due Milano-Sanremo consecutive (’88 e ’89).

Greg LeMond

Greg LeMond era un predestinato. Ciclista dove, negli Usa, il ciclismo era sport di puro diletto, aveva messo a profitto il fatidico incontro con un italoamericano di origini marchigiane, Fred Mengoni. Suo ispiratore e mentore. LeMond, nato in California il 26 giugno 1961, era stato campione del mondo nel 1983, dopo il secondo posto inflittogli da Saronni a Goodwood nel 1982. Ma, era anche magnifico corridore da gare a tappe. In carriera, faceva il Giro per preparare il Tour. Eppure arrivò con facilità terzo e quarto nella corsa della Gazzetta (’85 e 86). S’è detto del Tour che vinse su Hinault nel 1986. Poi, il fato volle esigere da lui un prezzo elevatissimo dalla gloria ottenuta. Un incidente, un banale incidente di caccia, rimase ferito e forzatamente lontano dalle competizioni per due lunghi anni, essendosi temuto per la sua carriera oltre che per la sua vita. Tornava alle corse proprio nel 1989. Quando comincia la nostra storia.

Tour de France 1989

Dopo anni contrappuntati da assenze dolorose, al via della Grande Boucle, ci sono tutti i migliori. Fignon, appunto, fresco vincitore del Giro, LeMond, risorto, Pedro Delgado, vincitore, tra le polemiche, del Tour del 1988, la corazzata della PDM, che schiera, tutti assieme, TheunisseRooksAlcala Kelly: finiranno tutti e quattro tra i primi dieci della classifica generale, pur mancando il podio. La corsa comincia con un coup de theatre: lo spagnolo Delgado, nel cronoprologo del Lussemburgo, si presenta al via con due minuti e mezzo di ritardo. Perché? Si tireranno in ballo i sospetti di doping che avevano adombrato la sua vittoria dell’anno prima. Delgado dovrà correre in rimonta tutto il Tour e chiuderà terzo, nonostante la superiorità manifesta in salita. La prima maglia gialla è dell’olandese Breuking, classe 1964, uno che aveva più reputazione nelle corse a tappe, allora, dei coetanei Bugno Indurain, luogotenente di Delgado. Fignon prende la maglia gialla alla quinta tappa. LeMond gliela porta via alla decima, dopo una cronometro interminabile, 73 km, che giunge a Futuroscope. Fignon la riprende a Superbagneres, sui Pirenei, e la cede di nuovo a LeMond, a Gap, all’esito della quarta cronometro di quel Tour! Fignon va meglio in salita. E si veste ancora di giallo dopo l’Alpe d’Huez, domata dall’olandese Theunisse. Fino alla cronometro, la quinta, che giunge a Parigi da Versailles, il 23 luglio 1989. La Francia è tutta con Fignon. Con l’eccezione degli inconsapevoli organizzatori, che hanno infarcito il Tour di 190,3 km contro il tempo, cronosquadre compresa! Fignon lotta, ma LeMond vola. E vince il Tour de France 1989 con il vantaggio più esiguo e beffardo della storia del ciclismo: 8″! Otto, tremendi secondi, che porranno fine alla carriera di Fignon ad alti livelli. La seconda beffa per Fignon, dopo quella di Verona 1984. Troppo. LeMond vincerà anche il Tour, il suo terzo, del 1990.

https://tribunasportiva.blogspot.com/2020/04/tour-de-france-1989-lemond-e-fignon-il.html

AMARCORD/82 Tour 1989, il destino in 8 secondi: per Lemond fu la rinascita, per Fignon il declino

https://www.quibicisport.it/2021/11/26/amarcord-82-tour-1989-il-destino-in-8-secondi-per-lemond-fu-la-rinascita-per-fignon-il-declino/

Fu una storia di rinascita e di morte sportiva, riassunta plasticamente dal podio di Parigi: sul gradino più alto, un Greg Lemond raggiante, riemerso da due anni di oblio, dopo un incidente di caccia che lo aveva ridotto in fin di vita. Alla sua destra, un Laurent Fignon spento, avviato da quel giorno a un lungo e inesorabile declino.

Due destini separati da soli otto secondi, maturati nei 3285 chilometri del Tour de France 1989, una delle edizioni più combattute e palpitanti di sempre. I due vi arrivarono da percorsi opposti: Fignon aveva vinto la Milano-Sanremo per la seconda volta consecutiva e festeggiato il suo primo Giro d’Italia, che andava ad aggiungersi ai due Tour de France conquistati nel 1983 e 1984.

In quella stessa corsa rosa Lemond si era confermato lontanissimo dai livelli pre-incidente, salvo battere un colpo nell’ultima crono, con un secondo posto che si rivelò la prima luce in fondo a un lungo tunnel.

Cinque cronometro in ventuno giorni: una manna per Lemond

Furono proprio le cronometro, sparse generosamente lungo il percorso, l’elemento decisivo per la resurrezione dell’americano sulle strade del Tour. Le prove contro il tempo furono addirittura cinque (una a squadre) per complessivi 190 chilometri. Lemond le sfruttò tutte, recuperando a cronometro quello che perdeva in salita.

Fignon gli sfilò la maglia gialla nella tappa dell’Alpe d’Huez e il giorno dopo diede un’altra stoccata, vincendo a Villard-de-Lans. Arrivò così all’ultima crono, da Versailles a Parigi, con 50 secondi di vantaggio. Non pochi, in una prova di 24 chilometri, ma per il parigino, costretto a pedalare scomposto per un grosso foruncolo al soprasella, la probabile festa si trasformò in un incubo.

Lemond volò a 54 e mezzo di media, favorito anche da una nuova diavoleria, il manubrio da triathlon. Una vera persecuzione per Fignon, che cinque anni prima aveva perso il Giro d’Italia nello stesso modo: in una crono finale e contro un avversario, Moser, avvantaggiato dalla tecnologia delle nuove ruote lenticolari.

Il Tour di Delgado: partenza-disastro, poi una splendida rimonta

L’arrivo del francese sul vialone dei campi elisi fu scandito da un drammatico conto alla rovescia, seguito da un verdetto impietoso: Greg Lemond aveva vinto il suo secondo Tour de France per otto secondi, il margine più esiguo nella storia della corsa francese.

Il testa a testa finale fa dimenticare il ruolo del terzo uomo di quel Tour: Pedro Delgado, vincitore un anno prima. Lo spagnolo ebbe una partenza rovinosa: si presentò al via della prima cronometro con 2’40” di ritardo, poi accusò altri cinque minuti nella cronosquadre. Di lì cominciò una rimonta sensazionale, dimostrandosi il più forte di tutti in montagna. A Parigi fu terzo, con un ritardo di 3’34”: senza gli oltre 7 minuti dell’handicap iniziale, probabilmente avrebbe vinto lui.

Laurent Fignon 1960-2010

Biografia
Laurent Fignon (nato il 12 agosto 1960 nel 18° arrondissement di Parigi e morto il 31 agosto 2010 di cancro all'apparato digerente) è stato un ciclista francese. Professionista dal 1982 al 1993, ha vinto in particolare due Tour de France, nel 1983 e 1984, e il Giro d'Italia nel 1989.
Laurent Fignon è nato il 12 agosto 1960 all'ospedale Bretonneau nel 18° arrondissement di Parigi. Suo padre è un caposquadra in una fabbrica di lamiere meccaniche e sua madre una casalinga. Vissero in rue Davy nel 18° arrondissement fino al 1963, quando si trasferirono a Tournan-en-Brie, a Seine-et-Marne.
È stato introdotto al ciclismo nel 1975, vedendo gli amici allenarsi. Ha iniziato sulla bici Vigneron di suo padre. Apprezza subito questo sport e riesce a seguire i suoi amici più esperti. Nel 1976 ha preso la sua prima licenza al Pédale Combs-la-Villaise. Ha preso parte alla sua prima gara a Vigneux-sur-Seine e l'ha vinta. Ne ha vinti altri tre in questa stagione.
Dopo oltre 50 vittorie tra i dilettanti, Laurent Fignon ha iniziato la sua carriera professionale nel 1982 nel team Renault di Bernard Hinault guidato da Cyrille Guimard. Fin dall'inizio si distinse ai massimi livelli vincendo il Critérium International e contribuendo al successo di Hinault al Giro.
Nel 1983, ha aiutato di nuovo Hinault a vincere in una Vuelta molto difficile. Hinault uscirà con un infortunio al ginocchio, Fignon ha dimostrato grandi capacità in un evento di 3 settimane, soprattutto nell'ultima settimana facendo un lavoro che ha salvato la vittoria per il campione bretone. Così, quando Hinault si ritira dal Tour 83, Guimard allinea una squadra senza leader dove tutto è aperto. Dopo una prima parte di gara molto discreta, Fignon accompagna i migliori nella prima tappa dei Pirenei e sale al secondo posto della classifica generale dietro a Pascal Simon. Sfortunato, Simon cade e si rompe la clavicola. Fignon recupera la maglia gialla all'Alpe d'Huez, consolida la sua posizione vincendo l'ultima cronometro e vince il suo primo Tour de France a soli 23 anni.

L'anno 1984 lo vide prendere pieno potere nel team Renault dopo che Hinault partì per La Vie Claire. Hinault è convalescente e non partecipa al Giro d'Italia. Fignon ha combattuto contro gli italiani, in particolare Francesco Moser che, aiutato dall'organizzatore, gli ha rubato la vittoria finale. Successivamente ha schiacciato il campionato francese ed è apparso all'inizio del Tour de France 1984 con la maglia tricolore e uno status di grande favorito. Uno status che lui e la sua squadra onoreranno monopolizzando le vittorie di tappa. In montagna è stato intrattabile l'ultima settimana, sulle Alpi. Hinault non è altro che un tirapiedi, tenta attacchi disperati che verranno derisi da un insolente Fignon di disinvoltura. Vinse così il suo 2° Tour de France e molti altri erano previsti per lui.
Nel 1985 un dolore al tendine d'Achille lo porta al tavolo operatorio e lo spinge a sospendere la stagione. Nel 1986 la sua squadra divenne Système U e nonostante un inizio di stagione incoraggiante (vittoria alla Flèche Wallonne), non riguadagnò il livello del 1984 e abbandonò il Tour de France. Ferito di nuovo, rinuncia a cercare di finire la stagione.

Nel 1987 crediamo sia tornato: 3° alla Parigi-Nizza, poi sale sul podio al Giro di Spagna (3°). Più incostante il suo Tour 87: irriconoscibile e anonimo al via della manifestazione, riesce grazie alle sue doti di recupero a vincere la difficilissima tappa di La Plagne ea finire 7° a Parigi. Nel novembre 1987 il suo compagno di squadra e amico sin dal suo esordio nel 1975, Pascal Jules, rimase ucciso in un incidente stradale, evento che avrebbe ulteriormente intaccato il suo morale già indebolito in questo delicato periodo.

Ha giocato la carta delle classiche nel 1988 vincendo magistralmente Milano-Sanremo davanti al giovane Maurizio Fondriest e finendo 3° alla Parigi-Roubaix. Purtroppo per lui il Tour 88 sarà un disastro: abbandonato dai compagni di squadra nella cronometro a squadre, è costretto al ritiro pochi giorni dopo.
Una doppietta Milano-Sanremo ha aperto la sua stagione 1989. L'Italia è riuscita ancora una volta al Giro dove ha cancellato regolarmente la delusione del 1984 vincendo l'evento sotto il naso e la barba degli italiani. Appare quindi all'inizio dell'89 Tour con uno status di favorito che condivide con Pedro Delgado, il vincitore uscente. Se Delgado sbaglia completamente l'inizio della manifestazione, Fignon si assicura l'essenziale nella cronometro a squadre vinta dalla sua squadra, Super U, e nella cronometro individuale di Rennes, ma assiste alla resurrezione di Greg LeMond. Il resto del Tour sarà un passaggio d'armi permanente tra l'americano e il parigino, offrendo uno spettacolo sportivo antologico. Fignon crede di aver fatto la maggior parte del lavoro per la vittoria finale riprendendo la maglia gialla all'Alpe d'Huez. Ma l'incredibile accade sul marciapiede degli Champs-Elysées a Parigi durante l'ultima tappa contro il cronometro dove Greg LeMond strappa a Fignon per 8 secondi il posto più alto del podio.

Fignon, ferito da questo fallimento che gli sembra un'ingiustizia (i commissari di gara hanno chiuso un occhio sull'uso del manubrio da triatleta da parte di LeMond), riesce a rimotivarsi in vista dei Mondiali che si stanno svolgendo a Chambéry. Alla guida di una squadra francese forte di talenti individuali ma poco uniti, nell'ultima salita della Côte de Montagnole sferra un potente attacco nonostante la presenza in prima linea di Thierry Claveyrolat. Scendendo in cima, vede Greg LeMond, il suo incubo, tornare alla sua altezza. LeMond vince lo sprint a Chambéry. Nonostante questo nuovo fallimento, Fignon ha approfittato della sua forma per battere il record del Grand Prix des Nations a Cannes. Alla fine del 1989 Fignon era il numero 1 della classifica mondiale FICP (ex classifica UCI).
Fignon non riguadagnerà mai il livello del 1984 e del 1989. Il suo Tour de France 1990 terminerà prematuramente in pensione. Il suo rapporto con Guimard si è deteriorato nel 1991, la sua partecipazione al Tour 91 è stata confermata all'ultimo momento, Guimard ha favorito il giovane Luc Leblanc all'interno della squadra di Castorama. Fignon mostra comunque una condizione molto soddisfacente, chiude la tappa pirenaica di Val-Louron dietro al trio che costituirà il podio: Miguel Indurain, Claudio Chiappucci e Gianni Bugno. Una tappa in cui la maglia gialla è stata indossata da... Luc Leblanc. Crediamo sia stato ritrovato. Il suo attraversamento delle Alpi sarà più irregolare. Finirà al 6° posto a Parigi, un posto dietro a Luc Leblanc.

Il suo conflitto con Guimard lo ha portato a lasciare la squadra e unirsi a Gianni Bugno a Gatorade. Nel 1992, ha vinto una tappa finale del Tour de France a Mulhouse dopo una fuga da solista. Sulle Alpi ricopre a pieno il ruolo di compagno di squadra del Bugno, ma le scelte tattiche della squadra portano l'italiano alla sconfitta, soprattutto nella tappa che porta all'Alpe d'Huez. Nel 1993 Fignon si rende finalmente conto che il ciclismo in cui si evolve non è più quello che lo ha visto brillare negli anni 80. Si arrende al Tour de France stanco, ma soprattutto disgustato, e mette fine alla sua carriera. fine agosto al termine del Gran Premio di Plouay.

Laurent Fignon non apparteneva a nessuna categoria specifica di corridori. Né alpinista puro, né velocista, né roller né avventuriero, era servito soprattutto da una classe immensa che, quando la sua condizione fisica era al top, lo rendeva irresistibile. Potrebbe quindi diventare il miglior corridore o uno scalatore eccezionale. Corridore robusto, atletico ed efficiente, aveva ottime doti di recupero che gli hanno permesso di trovare nelle gare difficili o estenuanti un terreno di gioco preferito. Attaccante nato, la sua tattica si è ridotta, quando era in buona forma, a una dimostrazione di forza assumendo a pieno il peso della gara.

Se dobbiamo classificare Laurent Fignon, è quindi nella categoria dei grandi campioni che, come Bernard Hinault, Greg LeMond, si riconoscono per una precocissima emersione ai massimi livelli internazionali e per la capacità di brillare su tutti i terreni, soprattutto i più impegnativi quelli.
Laurent Fignon era un corridore di temperamento, sicuro di sé, senza però manifestare i superbi eccessi di Hinault. La sua freddezza e i suoi morsi hanno contribuito a ritardare la sua popolarità. C'è voluta la tragica sconfitta del Tour 89 per renderlo simpatico agli occhi del pubblico. Fignon passava per un corridore atipico, colto, che sapeva esprimersi. Per questo, e perché portava gli occhiali, la stampa italiana lo soprannominò "il Professore".

La sua carriera è stata segnata da due positivi test antidoping per le anfetamine: nel 1987 durante il Gran Premio di Vallonia e nel 1989 durante il Gran Premio di Eindhoven. Da notare che ha riconosciuto il secondo controllo positivo a differenza del primo. Lo attribuì a una guerra condotta dai due principali laboratori farmaceutici belgi per il monopolio dei controlli in Belgio. Si dichiarerà ferocemente ostile ai controlli antidoping non annunciati.

Alla fine della sua carriera sportiva, Fignon si dedica all'organizzazione di eventi ciclistici. In particolare ha organizzato la Parigi-Nizza nel 2000 e nel 2001 attraverso la “Laurent Fignon Organisation”, prima di rivendere i diritti ad Amaury Sport Organisation.

Il marchio del distributore "Laurent Fignon" è di proprietà di Auchan, che commercializza biciclette con questo marchio.

È stato consulente per diversi anni su Eurosport France.

Ha commentato il Tour de France nel 2006 con Henri Sannier e nel 2007, 2008, 2009 e 2010 con Thierry Adam su France Télévisions. Da settembre 2008 è consulente Europa 1 nella società sportiva guidata da Alexandre Delpérier.

Rivela il 14 giugno 2009 che soffre di "cancro avanzato" del tubo digerente. Non sa se questo possa essere legato alle "dosi ridicole" di prodotti dopanti che ha assunto, "come tutti", nel corso della sua carriera sportiva. A sei mesi dalla diagnosi, grazie alle cure, la malattia sembra stabilizzarsi, addirittura regredendo.

Nonostante questa prova, assume pienamente il suo ruolo di consulente dal vivo per France Télévisions durante il Tour de France 2009. Assume anche il ruolo di consulente durante il Tour de France 2010 nonostante il suo cancro sia ancora presente. Inoltre durante questo Tour de France 2010, la voce di Laurent Fignon è roca a causa di un tumore che preme su un nervo e che ha come conseguenza una disfunzione delle corde vocali.

Alla fine ha ceduto il 31 agosto 2010 all'età di 50 anni.

Laurent Fignon sepolto al cimitero di Père Lachaise

IL QUATTRO VOLTE CAMPIONE DEL MONDO DI F1 ALAIN PROST PARTECIPA ALLA CERIMONIA DI INUMAZIONE DI LAURENT FIGNON, RENDENDO OMAGGIO AL SUO AMICO AL CIMITERO DI PERE LACHAISE
https://www.liberation.fr/sports/2010/09/03/laurent-fignon-inhume-au-pere-lachaise_676456/
Un omaggio semplice e intimo è stato reso all'ex ciclista Laurent Fignon, morto martedì, durante i funerali avvenuti venerdì pomeriggio al cimitero di Père Lachaise a Parigi.

“Rimane un campione e un uomo formidabile, con il suo carattere e molta lealtà. È una persona schietta e onesta, con se stessa e con gli altri. Forse il suo carattere non è sempre passato ma era un personaggio da campione ", ha testimoniato Alain Prost, l'ex campione del mondo di Formula 1, un tempo associato negli affari con Laurent Fignon.

Circa 200 tra parenti e amici, principalmente della cerchia sportiva (Bernard Hinault, Sean Kelly, Jacky Durand, Hubert Auriol) e mediatica (Michel Drucker, Gérard Holtz) si sono riuniti per una cerimonia secolare al crematorio di Père Lachaise, dove sono arrivate le spoglie della doppio vincitore del Tour de France (1983, 1984) intorno alle 14:00 con un applauso rispettoso.

I tributi si susseguono
Per un'ora sono stati realizzati omaggi (discorsi, poesie, musiche e canti) nella Salle des Coupoles, davanti alla quale era stato posto un grande ritratto di Laurent Fignon, in borghese, e due foto, di cui una con la maglia giallo.

Jean-Paul Ollivier, giornalista di France Télévisions, ha parlato della carriera del campione con "il suo primo successo al Gran Premio di Cannes" nel 1982, la sua rivalità con Bernard Hinault ma anche il Giro d'Italia nel 1984 "dove è stato rubato".

“Un cabochard”, “un cuore enorme”
Jean Cormier, giornalista e caro amico, ha parlato del "(suo) Lolo", di un "ragazzo speciale", di un "cabochard" e di un "cuore enorme", insistendo sulle "lezioni di coraggio" del ciclista e « soprattutto l'ultimo».

Doppio vincitore del Tour de France (1983 e 1984) ed ex numero uno del mondo (1989), Laurent Fignon, 50 anni, ha rivelato la sua malattia nella primavera del 2009 ma ha voluto continuare la sua attività pubblica di consulente.

Lo scorso luglio ha commentato per France Télévisions la Grande Boucle, nonostante la stanchezza e la voce roca.

Carattere
“L'ho visto più spesso nelle ultime settimane che negli anni passati. Ha affrontato la malattia con enorme coraggio. Non aveva paura della malattia e ha dimostrato il carattere che aveva dentro e fuori dalla bici", ha aggiunto Alain Prost.

Circa 200 anonimi, curiosi, appassionati di ciclismo e fan di Laurent Fignon, si erano accalcati attorno alle transenne del piazzale del crematorio per rendere un “omaggio finale” e “per ringraziarlo di aver avuto la gentilezza di commentare il Tour de France per il pubblico".

Al termine della cerimonia, la famiglia non ha voluto ricevere le condoglianze e si è offerta di fare donazioni all'Istituto Cervello e Midollo Spinale (ICM) e alla Lega contro il cancro.

AFP

Tomba di Laurent Fignon

https://www.routard.com/photos/paris/1594772-tombe_de_laurent_fignon_.htm
Laurent Fignon (1960-2010), campione di ciclismo, doppio vincitore del Tour de France (1983, 1984), Giro d'Italia 1989, Flèche Wallonne nel 1986 e Milano-San Rémo nel 1988 e 1989. È anche campione di Francia al su strada nel 1984 e nel 1989 al primo posto nella classifica mondiale FICP. Sepoltura colombario di Père-Lachaise.

FIGNON Laurent (1960-2010)

Père-Lachaise – 87ème division, case 1445

È da un po' che i clienti abituali di Père Lachaise aspettano che la targa funebre di Laurent Fignon venga posata. Questo ora è stato fatto.

Oltre alle due vittorie finali al Tour de France, Fignon, corridore professionista dal 1982 al 1993, ha vinto un Giro (1989) e diverse classiche tra cui due volte Milano-Sanremo (1988 e 1989). Perse invece per 8 secondi al traguardo del Tour de France 1989, il margine più piccolo della storia, contro il suo rivale americano Greg LeMond. Tra gli infortuni che hanno segnato la sua carriera e le 76 vittorie che figurano nel suo record, ha segnato profondamente il suo tempo, distinguendosi su tutti i terreni, nelle classiche e nelle corse a tappe. Ha vinto la classica italiana Milano-Sanremo per due anni consecutivi prima di ottenere giustizia nel Giro del 1989, cinque anni dopo essere stato ingiustamente privato della vittoria. Dopo il 1993 si è riconvertito diventando consulente per France Télévisions.

Dal 2009 soffriva di un tumore avanzato dell'apparato digerente: l'ex campione aveva ammesso di aver assunto anfetamine e cortisone durante la sua carriera di corridore, ma non aveva stabilito un legame diretto con la malattia.

https://www.landrucimetieres.fr/spip/spip.php?article2863

Tombe de Laurent Fignon : Cimetière Père-Lachaise - Paris 20

Le ceneri di Laurent Fignon al cimitero di Père Lachaise a Parigi

https://www.ouest-france.fr/sport/les-cendres-de-laurent-fignon-au-cimetiere-du-pere-lachaise-paris-395566
Le ceneri di Laurent Fignon, doppio vincitore del Tour de France (1983-84) scomparso il 31 agosto 2010, in seguito a un cancro all'età di 50 anni, sono state trasferite nel colombario del cimitero di Père Lachaise, a Parigi.

L'urna contenente le ceneri dell'ex campione è stata sigillata in una parete del colombario, e sormontata da tre foto che rappresentano Laurent Fignon in diversi momenti della sua vita, in bicicletta e come consulente.

Fignon, il professore che ha meritato una via

La notizia viene dalla Francia. Hanno intitolato la via che porta al velodromo di San Quentin, vicino a Parigi, a Laurent. Lo chiamavano professore. La sua è la storia di un ciclismo in evoluzione, fra luci e ombre, prossimo a diventare “scientifico”.

http://www.dossiercultura.it/sport-valore/fignon-il-professore-ciclista-che-ha-meritato-una-via.html

Parigi, il ciclismo francese, non dimenticano e  così a Fignon, che se ne è andato qualche anno fa, quando era ancora abbastanza giovane per fare l’eterno ex, invecchiato e bolso, hanno dedicato una via.

Chi era Laurent? Nel mondo dei due pedali era da sempre chiamato il professore, soprannome assai insolito per un pedalatore. I ciclisti sono capaci di scrivere storie, favole, al limite leggende o vita, ma mai, assolutamente mai, verità tanto assolute da entrare nelle aule scolastiche. Eppure a Fignon era stato affibbiato quel soprannome ingombrante, professore accanto ad un altro ancora più impegnativo: filosofo.

Forse Mignon, aveva rappresentato il sessantotto del ciclismo, molti anni dopo, troppi probabilmente. In realtà, facevano più l’aspetto, delle idee, di Laurent, immerso in un ciclismo che cominciava a diventare “scientifico”, fatto chimico da professori veri.

Professore. Filosofo. Titoli altisonanti che venivano da impressioni. Innanzitutto, era nato a Parigi. Un ciclista metropolitano, anomalo in uno sport in cui i campioni sono prodotti caserecci  di provincia, e poi Laurent sembrava un professorino anche per quell’aspetto fisico da quartiere latino: capelli biondi sottili e occhialini tondi. Un ritratto che a vederlo fa immaginare una giacca di velluto con pezze snob sui gomiti e libri sotto il braccio, mica una maglietta colorata, pantaloncini attillati e una bicicletta.

Il professore e  il filosofo del ciclismo, assieme, ci hanno poi lasciato presto, dopo una cronometro finale persa contro il cancro che aveva preso il suo stomaco, male a cui aveva detto di non voler dar tregua ma purtroppo, alla fine, la grinta non è bastata.

Se si deve perdere si perde. Tutto lì.

Comunque, se la filosofia è l’indagine sulla esistenza umana, le sconfitte di Fignon sono un altro senso del suo soprannome. Chissà perché di Laurent vengono, più che i trionfi che pure ci sono stati, le immagini di quando ha perso. L’espressione pegata da labbra amare di tutte le volte che ha allungato il collo ma, lo stesso, non è riuscito ad arrivare primo.

Fignon è stato protagonista e volto degli anni ottanta, illusione di una società matura e pompata artificialmente che i suoi occhialini tondi inquadrarono appieno, basta ricordare l’irruenza con cui sconfisse al Tour un Hinault.

Laurent non era ciclista per vocazione. Uno sportivo nato sì, tanto che i suoi primi sedici anni avevano visto pochi libri e molto agonismo. Aveva provato di tutto, ogni cimento ed ogni tipo di pallone, perché sentiva la voglia di vincere, ignorando, come fanno tutti i ragazzi, che l’altra parte della medaglia è la sconfitta. La bicicletta era arrivata tardi, nella piena adolescenza, ma il suo talento si era sprigionato subito,  tanto che bastarono pochi anni per portarlo al professionismo. Tutti lo aspettavano, e infatti nel 1983 quel ventitreenne dall’aspetto insolito prese la maglia gialla del Tour sull’Alpe D’Huez, cima giusta per incominciare una grande carriera, e se la tenne fino a Parigi.

La Francia ciclistica allora era ancorata ad un mostro sacro, una icona, Hinault, il bretone che pure quell’anno, afflitto da una tendinite, sembrava ormai aver imboccato il viale del tramonto.

No, non era finito Bernard. Comunque Laurent anche l’anno dopo, era il 1984, gli vinse in faccia il Tour con una durezza ed una imperiosità inaudita, esagerata quasi. Poi, però, qualcosa cambiò. La prepotenza divenne sfumatura, dubbio.

Laurent e il peso delle sue sconfitte, dicevamo. Beh, proprio il 1984 dà un primo spaccato di lite con un destino. Sarebbe stato l’anno giusto per entrare nel novero dei grandi, il club di quelli della doppietta Giro e Tour, perché in Italia Laurent c’era ed avrebbe potuto vincere, se non fosse che si trovò contro una intera nazione protesa a difendere Francesco Moser.

Il trentino, si sa, era un treno a vapore inarrestabile quando l’asfalto andava dritto, ma pesante come un paracarro se la strada si impennava. Le altimetrie della edizione del 1984 del Giro, ben “pilotate”, di sicuro non erano hymalaiane e inoltre le volte che Laurent attaccava si trovava contro un gruppo per buona parte proteso a difendere il passista italiano. In più, al passivo di Fignon, bisogna aggiungerci la cancellazione per inagibilità dello Stelvio, impennata che per Francesco non sarebbe stata un rosolio. Ma Laurent, grande cronomen, nell’ultima tappa il Giro sarebbe stato in grado di giocarselo lo stesso, quella Soave-Verona rimasta famosa per un elicottero televisivo che lo perseguitò con il suo fiato ingombrante dall’inizio alla fine. In realtà gli alleati veri di Moser, quel giorno, non furono le telecamere volanti, le pale e lo spostamento d’aria bensì le ruote lenticolari che facevano comparsa nel panorama tecnico  e che garantirono al trentino gli istanti in meno che vollero dire maglia rosa.

Sarà che la tecnologia c’entra poco con la filosofia, ma l’evoluzione tecnica a Laurent costò anche il Tour dell’89, perso per otto secondi, qualche centimetro d’asfalto degli Champs Elisee.

Fignon alla partenza dell’ultima tappa con arrivo sotto la Tour Eiffel aveva 50 secondi di vantaggio su Greg Lemond. Certamente, fossero partiti alla pari, sarebbero bastati, ma già dalle prime pedalate si capì che per il francese la questione si stava facendo complessa. L’americano, quel giorno, era perfetto. Lui e la macchina erano un tutt’uno splendido, composto, efficace, potente, inesorabile. Lemond usava il manubrio a corna di bue, e quell’aggeggio dall’aspetto americano fu a Parigi  ciò che le ruote lenticolari erano state a Verona. Un cazzotto da k.o tecnico.

Si può perdere una corsa di migliaia di chilometri per 8 secondi? Per qualche piega dell’universo, quel giorno accadde, e la vittima fu Laurent Fignon.

Altro addio alla possibile doppietta dei leggendari, dunque, per Fignon, che in quella primavera era riuscito finalmente a vincere il Giro. Così, Laurent sarà per sempre una immagine di campione di mezzo. Non quelli che fanno la storia ma quelli che eternamente navigheranno sul confine fra relativo e assoluto. Il francese chiuse la sua carriera correndo alla soglia degli anni novanta con Gianni Bugno. Avrebbe dovuto essere il consigliere, il luogotenente del monzese, ma non ci riuscì granchè, il mondo del ciclismo stava cambiando un’altra volta, e lui era stato preso in mezzo.

“Eravamo giovani e spensierati“ è il titolo del suo libro. Suona come una giustificazione. Su quelle righe Laurent comunicò al mondo, per la prima volta, la diagnosi di un cancro avanzato. E raccontò che l’essere giovani e spensierati nel ciclismo anni ottanta includeva prendere anfetamine, cortisone e altri additivi chimici  a profusione. Facevamo tutti così, disse.

E subito, fra i tutti che ancora contano, si è sollevato un nugolo di smentite, prese di distanza, precisazioni. Il solito ambiguo dilemma. Come fosse credibile che a mischiarsi sulle stesse strade possano essere le sostanze di due ciclismi diversi. Uno pulito. Uno no. In  conferenza stampa fu chiesto a Fignon se potesse esserci un nesso fra quelle pratiche “giovani e spensierate” e la macchia grigia che si ritrovava nel corpo.

Scosse il capo. “Allora dovrebbero essere ammalati di cancro tutti i ciclisti di quell’epoca. Così non è, mi pare.”

Fignon aveva continuato il ciclismo nelle vesti di commentatore televisivo e radiofonico. Ci azzeccava dimostrando che in fondo almeno alla fine nel suo mondo si era meritato il soprannome che gli era stato assegnato. Professore.

Giovani e spensierati… Chissà se ne è valsa la pena, esserlo, per quella e tutte le altre generazioni ciclistiche. Fignon e gli altri, quelli altrettanto giovani e  spensierati, che dopo la parabola di Laurent probabilmente stanno convivendo con una paura. Ne è valsa e ne vale la pena? Solo loro, possono dare la risposta.

Fignon è stato parte della storia del ciclismo. Se ne era andato a 50 anni. E a contarli, 50 anni, paiono davvero pochi. Adesso cominciano a dedicargli delle vie. In Francia, si capisce. Là sanno ricordare… 

ANNULLATO DASPO A STEFANO PUZZER. SU BYOBLU: “È UNA VITTORIA DI TUTTI!”

https://www.byoblu.com/2022/04/02/annullato-daspo-a-stefano-puzzer-su-byoblu-e-una-vittoria-di-tutti/

È stato annullato il provvedimento di allontanamento, il cosiddetto Daspo che la Questura di Roma aveva emesso nei confronti del portuale Stefano Puzzer, nel mese di novembre 2021.

Il Tar Lazio ha ritenuto infondati ed eccessivi i motivi addotti dalla Questura per allontanare Puzzer da Roma per un anno.

Il portuale era stato accusato di aver organizzato una manifestazione non autorizzata. In realtà si era recato, da solo, nella Capitale con lo scopo di essere ascoltato dalle istituzioni che il 15 ottobre avevano promesso ai portuali di Trieste delle risposte. 

Puzzer è conosciuto ai più per le sue battaglie contro il green pass e le misure governative liberticide. 

Byoblu lo ha raggiunto e ha raccolto per voi le sue dichiarazioni: 

Si tratta di una vittoria di tutti?

“Sì, il Daspo era di tutti non era solo mio dal momento che io ero andato in Piazza del Popolo a rivendicare i nostri diritti e avere quelle risposte che tra virgolette il governo ci aveva promesso in quei giorni a Trieste. E quindi mi sono preso la briga di andare in Piazza del Popolo a nome di tutti. Il fatto che ieri ci sia stata una sentenza positiva, che ha anche condannato il ministero dell’Interno a pagare le spese legali, quindi positiva in tuti i sensi, significa che abbiamo vinto tutti.”

Come prosegue la vostra battaglia? 

Lavoriamo su due binari: la lotta che va avanti e proseguirà e sul binario di aiutare le persone che questo Stato ha lasciato veramente alla frutta. Abbiamo creato anche un Comitato che si chiama La gente come noi e stiamo distribuendo buoni spesa stiamo pagando bollette per aiutare tutte le persone in difficoltà, tutte le persone che stanno assieme a noi al nostro fianco contro questo green pass e il vaccino obbligatorio. 

Quando tornerà a Roma? 

Dopo la sentenza di ieri è già in programma… 

Bisogna riflettere sul fatto che comunque Stefano Puzzer, in maniera assolutamente prevaricatoria è stato allontanato da Roma. Solo dopo mesi il provvedimento è stato annullato. Il Potere ha dunque ottenuto il suo scopo?

Byoblu canale 262 Digitale Terrestre https://www.byoblu.com/

CICLISMO, STAGI: “UN GRUPPO DI MALATI NON PEDALA PIU’, COSA C’E’ DIETRO? MAI ACCADUTO NEGLI ULTIMI 25 ANNI”

IL CAMPIONE EUROPEO DI CICLISMO SU STRADA SONNY COLBRELLI
https://news.superscommesse.it/ciclismo/2022/04/ciclismo-stagi-un-gruppo-di-malati-non-pedala-piu-cosa-ce-dietro-mai-accaduto-negli-ultimi-25-anni-488355/

CICLISMO – Il giornalista italiano Pier Augusto Stagi, ha spiegato nel suo editoriale su tuttobiciweb.it come il ciclismo italiano e non, sia in piena emergenza.

L’editorialista ha spiegato la tensione in mezzo al giro: “Non è un ‘sentiment’, non è nemmeno una suggestione. Quel che colpisce è che si contano decine e decine di corridori che si fermano, uno via l’altro. Il malumore in mezzo al gruppo è crescente, quanto la preoccupazione. Non so il perché, non ne ho le competenze, ma sono in tanti ad avermi manifestato i loro timori: dai corridori ai Team manager, per arrivare ai medici”.

“Il mondo del Ciclismo si riunisca e cerchi di capire”

Pier Augusto Stagi si appella all‘UCI: “Non è un bel momento, c’è qualcosa che non va ed è il caso che il governo della bicicletta mondiale e tutte le componenti che rappresentano la grande famiglia del ciclismo si parlino, per arrivare ad un punto”.

Lo spavento è davvero grande, ma le risposte dal mondo del ciclismo tardano ad arrivare: “Non si è mai vista una cosa simile negli ultimi 25 anni. Metà gruppo è malato, non di Covid, però. Da quello che si legge nei comunicati stampa, siamo di fronte ad una serie di patologie che vanno dalle tracheobronchiti a bronchiti influenzali, fino alle infezioni delle alte vie respiratorie che hanno decimato il gruppo e i soggetti portatori di queste patologie faticano maledettamente a recuperare, tanto è vero che tardano a tornare in gruppo, come ad esempio, il due volte campione del mondo Julian Alaphilippe”. Senza contare tutti gli altri problemi cardiaci gravi e meno gravi che sfortunatamente hanno colpito altri atleti professionisti, in particolare i nostri italiani: Gianni Moscon, Diego Ulissi, Elia Viviani, Sonny Colbrelli. Il penultimo episodio, riguarda la trombosi venosa al braccio destro riscontrata dal belga Tom Van Asbroeck, corridore del Team Israel-PremierTech. E per finire, la miocardite acuta e lo stop forzato per il giovanissimo Gianmarco Garofoli, ciclista dell’Astana Qazaqstan.

La grande paura tra i corridori professionisti

L’ex giornalista de L’Unità e La Notte, si è posto delle domande: “Cosa c’è dietro? Ah, saperlo… Riporto alcune osservazioni che mi hanno fatto in particolare i medici. Sappiamo che non è Covid, e sappiamo che l’incidenza sulla normale popolazione non è di proporzioni del ciclismo: quindi? Può essere che chi ha fatto il Covid ha le difese immunitarie basse (long Covid)? Potrebbe. Possono essere i vaccini? Va chiaramente indagato e studiato. In gruppo stanno emergendo – soprattutto tra i corridori – alcune riflessioni: non siamo forse di fronte a calendario gare troppo affollato? Non è forse che molte corse e moltissimi percorsi sono oramai troppo esigenti? Non è che forse stiamo chiedendo troppo ai nostri ragazzi, sempre più sotto stress per via di preparazioni e lontananze da casa, che si traducono in mancato recupero? Il “leit-motiv” dei ragazzi è: a casa non ci sono mai, tra ritiri, gara e altura, a casa non ci sono più”.

“Le squadre sono decimate e vanno avanti a fatica”

D’altronde, è proprio della Scienza, indagare la natura per ricercarvi delle verità, talvolta dubitando e mettendo in discussione, muovendosi con obiettività e senza chiusure mentali e prese di posizione eccessivamente affrettate, spesso prive di qualsiasi fondamento oggettivo: “Forse è un non problema, ma il punto di partenza è che troppi corridori non riescono più a presentarsi al via. Troppi Team faticano a mettere assieme squadre per svolgere attività. Troppi atleti sono fuori gioco. Troppi gli atleti colpiti da questa influenza che attanaglia non solo le loro gambe. La domanda è: perché? Forse è il caso che qualcuno, e forse anche più di qualcuno, si ponga questa domanda e si interroghi. Nella speranza che altri provino a trovare delle risposte. Non una suggestione, ma una emergenza”.

Biossido di zolfo SO2, monitoraggio aria ARPA Umbria

https://www.arpa.umbria.it/monitoraggi/aria/contenuto.aspx?idpagina=13

Biossido di zolfo (SO2)

Inquinante
L’SO2 è un gas dal caratteristico odore pungente. Le emissioni di origine antropica derivano prevalentemente dall’utilizzo di combustibili solidi e liquidi e sono correlate al contenuto di zolfo sia come impurezze sia come costituenti nella formulazione molecolare dei combustibili. Negli ultimi decenni, nei Paesi economicamente sviluppati, il contenuto in zolfo dei carburanti è stato notevolmente ridotto, quindi la fonte principale del biossido di zolfo è rappresentata dalle navi che usano petrolio grezzo come combustibile e dai processi industriali di fusione dei metalli. Le concentrazioni di fondo del biossido di zolfo in aree rurali sono, in Europa, al di sotto di 5 μg/m3, anche se in prossimità di aree industriali si può osservare un aumento della concentrazione fino a 25 μg/m3. Nelle aree urbane, viceversa, il biossido di zolfo si è ridotto notevolmente e le concentrazioni annuali medie sono attualmente nel range di 12-45 μg/m3.

Effetti sulla salute
I primi sintomi della presenza di SO2 sono avvertiti ad una concentrazione di circa 0,3 ppm, oltre al quale l’odore comincia a raggiungere il limite di tollerabilità. Gli effetti irritanti dell’SO2 sono in genere limitati alla mucosa del naso e del tratto superiore dell’apparato respiratorio, dove provoca lesioni simili a quelle della bronchite. A concentrazioni superiori, a 1,6 ppm per qualche minuto, l’SO2 può produrre una broncocostrizione, con la riduzione degli indici spirometrici di funzionalità polmonare e la comparsa di sintomi quali dispnea e affanno. Effetti simili sulla funzionalità polmonare con aggravamento delle bronchiti croniche, dell’asma e dell’enfisema sono stati osservati anche per esposizioni croniche all’SO2 con livelli di concentrazione pari a 100 μg/m3. I danni al sistema respiratorio dell’SO2 derivano dalla combinazione del gas con il particolato atmosferico. Il PM favorirebbe il trasporto dell’SO2 in zone più profonde dell’albero respiratorio, potenziandone gli effetti. A causa dell’elevata solubilità in acqua, l’SO2 viene assorbito facilmente dalle mucose del naso e del tratto superiore dell’apparato respiratorio, mentre solo piccolissime quantità raggiungono la parte più profonda del polmone (PM 5 e PM 2,5). Fra gli effetti acuti imputabili all’esposizione ad alti livelli di SO2 sono compresi: un aumento della resistenza al passaggio dell’aria a seguito dell’inturgidimento delle mucose delle vie aeree; l’aumento delle secrezioni mucose, bronchite, tracheite, spasmi bronchiali e/o difficoltà respiratorie negli asmatici. Fra gli effetti a lungo termine possono manifestarsi: alterazioni della funzionalità polmonare; aggravamento delle bronchiti croniche, dell’asma e dell’enfisema.

Suscettibili
I principali sottogruppi di popolazione che sono più sensibili all’SO2 sono gli asmatici e le persone con malattie cardiovascolari o malattia polmonare cronica (come la bronchite o l’enfisema polmonare), così come i bambini e gli anziani.

Review of evidence on health aspects of air pollution – REVIHAAP project: final technical report

https://www.euro.who.int/en/health-topics/environment-and-health/air-quality/publications/2013/review-of-evidence-on-health-aspects-of-air-pollution-revihaap-project-final-technical-report

https://projectescape.eu

Dott. Alessio Brancaccio, Università di L’Aquila, tecnico sportivo CSEN Abruzzo

PIANO D’EMERGENZA GAS, ITALIA, GERMANIA E AUSTRIA DICHIARANO “STATO DI PREALLARME”: LE CONSEGUENZE

https://www.byoblu.com/2022/04/02/italia-piano-emergenza-gas-stato-preallarme/

L’Unione europea entra compatta nell’ennesima emergenza, quella degli approvvigionamenti di gas. Nella giornata di mercoledì 30 marzo 2022, Austria e Germania hanno attivato lo “stato di preallarme” relativo alla crisi energetica. Una contromisura che in Europa, guarda caso, è stata presa per prima dall’Italia che lo aveva già dichiarato lo scorso 26 febbraio, appena due giorni dopo l’intervento militare della Russia in Ucraina. Lo stato di preallarme (early warning) è il primo grado di allerta su tre livelli. Al preallarme seguono l’allarme vero e proprio (warning) e infine l’emergenza (emergency). Il Piano di Emergenza del gas naturale è una direttiva europea, che l’Italia ha adottato con decreto ministeriale il 18 dicembre 2019.

L’Autorità competente del Piano di Emergenza del gas

L’Autorità competente per la messa in pratica del piano di emergenza è la Direzione Generale per le Infrastrutture  e la Sicurezza dei Sistemi Energetici e Geominerari del Ministero dello Sviluppo Economico, responsabile della dichiarazione dei livelli di crisi. “Il livello di preallarme sussiste quando esistono informazioni concrete, serie ed affidabili secondo le quali può verificarsi un evento che potrebbe deteriorare significativamente la situazione dell’approvvigionamento e che potrebbe far scattare il livello di allarme o il livello di emergenza”, si legge nel piano d’emergenza dell’Italia. Snam e Terna, due società di infrastrutture energetiche italiane, si coordinano in modo continuativo per monitorare le condizioni e l’evoluzione dell’intero sistema nazionale del gas.

Istituito l’ennesimo Comitato tecnico di emergenza

Istituito anche ai sensi dell’articolo 8 del decreto ministeriale del 26 settembre 2001, un Comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del sistema del gas. Il Comitato, insieme all’Autorità competente, decide l’eventuale passaggio agli altri livelli d’emergenza previsti dal piano: “Il livello di allarme sussiste quando si verificano una riduzione o interruzione di una o più delle fonti di approvvigionamento o una domanda di gas eccezionalmente elevata, tali da deteriorare significativamente la situazione dell’approvvigionamento, ma alle quali il mercato è in grado di far fronte senza dover ricorrere a misure diverse da quelle di mercato”.

Lo stato di emergenza del gas

Lo scenario più preoccupante è lo “stato di emergenza” del gas che scatterebbe nel momento in cui “tutte le misure di mercato siano state attuate ma la fornitura di gas sia ancora insufficiente a soddisfare la domanda rimanente di gas e pertanto debbano essere introdotte misure diverse da quelle di mercato allo scopo di garantire l’approvvigionamento di gas ai clienti protetti”. L’Autorità competente, in collaborazione con il Comitato emergenziale può, tra gli altri, decidere di sospendere l’obbligo di fornitura “da parte dei venditori verso i clienti non tutelati”. Prevista nel piano anche la “definizione di nuove soglie di temperatura e/o orari per il riscaldamento e/o teleriscaldamento nel settore civile, effettuato con uso di gas”. Si tratta della cosiddetta “attivazione di misure non di mercato”, attraverso le quali lo Stato potrebbe direttamente intervenire sui consumi di cittadini e imprese.

Alcuni italiani stanno già mettendo in pratica il terzo livello emergenziale. L’attore Alessandro Gassmann ha infatti scritto sui social: “Il termostato di casa a 18 gradi centigradi, fatto”. Insomma, dal vaccino al maglioncino è un attimo.

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