Musica

ROGER WATERS SI UNISCE AL CONCERTO “ROCK FOR PALESTINE”: IL 21 GIUGNO IL CONCERTO IN LIVE STREAMING

Roger Waters di nuovo in concerto a difesa della Palestina e dei Palestinesi
https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2024/06/20/news/roger_waters_un_concerto_per_la_palestina_in_live_streaming-423262920/

Al concerto prenderanno parte anche Cat Stevens e il rapper Lowkey

20 GIUGNO 2024 ALLE 13:28


Roger Waters
 torna in campo per la difesa della Palestina. L’ex Pink Floyd ha annunciato la sua presenza all’evento in live streaming Rock for Palestine, in programma il 21 Giugno alle 21.30.

Lo show, su cui sono stati diffusi pochissimi dettagli, è stato definito “un concerto unico a favore della pace, della libertà e della giustizia in Palestina”.

Oltre a Waters si esibiranno Yusuf Islam / Cat Stevens e il rapper di Long Live Palestine Lowkey, ma il cast è ancora in via di definizione.

Questo il link per seguire la diretta su YouTube:

Negli ultimi mesi, Roger Waters si è più volte schierato contro la politica di Israele nei confronti dei palestinesi. Lo scorso novembre si era espresso sugli attacchi del 7 ottobre affermando che “Hamas aveva l’obbligo morale di resistere all’occupazione”. Una posizione, la sua, che aveva attirato molte critiche.

Fonte: Repubblica

A noi non ce ne frega niente di cosa pensano gli altri di noi, non poteva dire frase più giusta su Hamas!

English translate

ROGER WATERS JOINS THE “ROCK FOR PALESTINE” CONCERT: THE CONCERT IN LIVE STREAMING ON JUNE 21

Roger Waters again in concert to defend Palestine and Palestinians
https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2024/06/20/news/roger_waters_un_concerto_per_la_palestina_in_live_streaming-423262920/

Cat Stevens and rapper Lowkey will also take part in the concert

JUNE 20, 2024 AT 1.28 PM

Roger Waters returns to the field for the defense of Palestine. The former Pink Floyd has announced his presence at the Rock for Palestine live streaming event, scheduled for June 21st at 9.30 PM.

The show, about which very few details were released, was defined as “a unique concert in favor of peace, freedom and justice in Palestine”.

In addition to Waters, Yusuf Islam / Cat Stevens and Long Live Palestine rapper Lowkey will perform, but the cast is still being finalized.

This is the link for follow the concert on air:

In recent months, Roger Waters has repeatedly spoken out against Israel’s policy towards the Palestinians. Last November he spoke out about the October 7 attacks, stating that “Hamas had a moral obligation to resist the occupation”. A position, his, which had attracted much criticism.

Source: Repubblica

We don’t give a damn about what others think of us, he couldn’t have said a more correct sentence about Hamas!

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila dal 2013, membro ed ideologo del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 in Italia dal 2022, collaboratore esterno dell’associazione caritatevole Al-Rahma di Khan Younis nella Striscia di Gaza, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus dal 2023

“BACK TO BLACK” IL NUOVO FILM DEDICATO ALLA BREVE VITA DI AMY WINEHOUSE AL CINEMA DAL 18 APRILE 2024

https://www.mymovies.it/film/2024/back-to-black/news/il-trailer-ufficiale-del-film-hd/
La notte della cinquantesima edizione dei Grammy Awards 2008 in cui Amy Winehouse vince il premio per la sua canzone Rehab. The night of 50th edition of Grammy Awards 2008 when Amy Winehouse won the price for his song Rehab.

Articolo dedicato al nuovo film “Back to Black” dedicato alla breve vita della famosa cantante britannica Amy Winehouse, morta il 23 Luglio 2011 a soli 27 anni nella sua città natale Camden Town vicino Londra. Il film sarà disponibile nelle sale cinematografiche in anteprima mondiale a partire dal prossimo 18 Aprile.

“BACK TO BLACK” THE NEW FILM DEDICATED TO THE SHORT LIFE OF AMY WINEHOUSE

Article dedicate to the new film “Back to Black” dedicate to the short life of Amy Winehouse, the famous british singer died in July 23rd 2011 at only 27 in her hometown Camden Town near London. The film will be available in cinemas in world première from next April 17.

ALESSIO BRANCACCIO YOUTUBE PLAYLIST DEDICATE TO “BACK TO BLACK”, THE NEW FILM DEDICATE TO FAMOUS BRITISH SINGER AMY WINEHOUSE DIED IN JULY 23RD 2011 AT 27

In loving memory of Amy Winehouse (Enfield 14 Settembre 1983 – Camden Town 23 Luglio 2011)

Amy Winehouse, tra soul e jazz una vita raccontata attraverso una voce

MUSICA. Ristampa in vinile dell’album d’esordio «Frank», in occasione dei 20 anni dalla pubblicazione

https://ilmanifesto.it/amy-winehouse-tra-soul-e-jazz-una-vita-raccontata-attraverso-una-voce

di Stefano Crippa

Anche lei nella lista interminabile (e terribile) dei maledetti 27 anni di Janis Joplin, Jimi Hendrix, Kurt Cobain e molti altri. Il 23 luglio del 2011 se ne andava anche Amy Winehouse, forse la cantante più intrigante di inizio millennio. Sul suo percorso esistenziale si sono mobilitati scrittori e registi con esiti spesso altalenanti e lo stesso padre di Amy, Mitch, che nella primavera 2012 dava alle stampe Amy, my daughter.
In occasione del ventesimo anniversario dalla sua uscita, la Umr/Island ha annunciato per il 2 febbraio 2024 la ripubblicazione su vinile doppio – a tiratura limitata per collezionisti – del suo disco d’esordio Frank. Un lavoro fondamentale, riconosciuto subito da tutti, perché in un gioco di rimandi e allusioni esprimeva già tutto il potenziale della Winehouse. Uno stile vocale che ha forgiato attraverso ascolti ripetuti di grandi dive del jazz, come Sarah Vaughan – con quelle chiuse sensuali e prolungate – ma soprattutto il canto prorompente di Dinah Washington.

AD AIUTARLA in questo progetto dal gusto vintage ma dalle sonorità sorprendenti e moderne, il produttore hip-hop Salaam Remi che crea arrangiamenti perfetti per la sua voce con dodici brani dodici che già sono testimonianza di tutta la sua versatilità interpretativa. Spicca Stronger Than Me che – per molti e a ragione – segna un’epoca e che resterà per sempre nella storia del Rock. Ma in una scaletta ottimamente studiata, a risaltare sono molti altri pezzi come Take the Box, che affronta temi di relazioni complesse e le separazioni dolorose.

IL DISCO non vive solo di inediti, c’è una sorta di salto nel passato quando decide di rileggere due strandard jazz. Il primo è (There is) No Greater Love, scritto nel 1936 da Isham Jones e da Marty Symes, fra le prime a interpretarlo Billie Holiday, ballad su cui si sono cimentati in versioni strumentali anche Miles Davis, Gene Ammons, Sonny Shift. Amy si trasforma e nel breve intermezzo della melodia (due minuti) racconta una storia d’amore con passione e una determinazione che non teme confronti anche in campo jazz.
L’altra è un classico più conosciuto Moody’s Mood, un pezzo del 1952 da Eddie Jefferson la cui melodia deriva da un’improvvisazione del sassofonista James Moody. Una passione – il jazz – che segnerà anche il capitolo discografico finale: l’incisione prima della morte è infatti un duetto con Tony Bennet sulle note di Night and Day. Lei è instabile, insicura, rimanda continuamente la registrazione ma quando arriva in studio l’incanto di quella voce fragile accanto al maestro crooner, risulta di una bellezza abbacinante. L’ultima danza di Amy.

Fonte: Il Manifesto

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

HEGEL E BATTISTI COSA HANNO IN COMUNE?

Due personaggi diversi, eppure con cose in comune?

Hegel Tubinga e Battisti, due personaggi diversi. Cos’hanno in comune?
https://midiconoche.com/2017/01/12/hegel-e-battisti-cosa-hanno-in-comune/

Hegel e Lucio Battisti hanno in comune una canzone:

Hegel – Battisti

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nasce il 27 agosto 1770 a Stoccarda, capitale del ducato del Wuerttemberg. Dopo aver compiuto studi regolari, approda, sempre nella sua città natale, in un istituto di carattere umanistico-religioso, dove si dimostra uno scolaro modello; prende anche lezioni private di geometria, astronomia e agrimensura da un colonnello d’artiglieria. Ma che cosa vuol dire Lucio Battista nella sua omonima canzone?

HEGEL

Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato
la sua tuta da ginnastica.

La storia va avanti ricordando i suoi anni trascorsi all’Università di Tubinga. Il giovane Hegel si iscrive nel 1788 per studiarvi teologia, dividendo il suo alloggio con Holderlin e Schelling, ossia rispettivamente uno dei più grandi poeti della Germania e di un altrettanto grande filosofo. **

Il nome se lo prese in prestito dai libri
e fu come copiare di nascosto,
fu come soffiare sul fuoco.

Come le celebri lezioni di Hegel, docente alla cattedra universitaria di Berlino, raccolte e trascritte segretamente dai suoi ex allievi. Sta di fatto che quella che noi chiamiamo Estetica è la rielaborazione di un discepolo (Hotho) basata sugli appunti raccolti dalla viva voce di Hegel, ma anche con delle aggiunte ritenute necessarie per rendere leggibili quelle pagine. Il trattato venne dato alle stampe da Gustav Hotho nel 1835, solo dopo la morte del grande filosofo.

Cataste scolastiche: perché?
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l’amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.

Jena ,è ancor oggi una piccola città della Germania dell’Est, molto bella e moderna, concentrata tipicamente per studenti universitari. Hegel per ottenere l’abilitazione all’insegnamento, vi soggiornò per un lungo periodo, dal 1801 al 1807. Fu qui, che conobbe l’unico amore della sua vita, Charlotte, sua affittacamere e governante, dalla quale ebbe un figlio. Ma il drammatico susseguirsi degli eventi politico-militari, fecero ben presto precipitare la situazione: le inarrestabili guarnigioni napoleoniche avevano preso il cuore della città, piegando il fiero orgoglio teutonico. Sotto il fuoco delle armi, Hegel fu costretto ad abbandonare il tetto dell’amata per riparare altrove.

Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l’impero

La Fenomenologia dello Spirito è una tra le opere più importanti nella storia della filosofia moderna classica. Nella descrizione del processo che porta il soggetto verso la verità, Hegel illustra le due celebri figure del servo e del padrone, secondo il quale, il padrone, una volta raggiunto il suo scopo, non ha più bisogno di affermarsi, mentre lo schiavo deve autoaffermarsi molto lentamente attraverso il proprio lavoro. Il padrone però, non riuscirà più a fare a meno del servo, il quale costruisce gli oggetti di cui egli ha bisogno. Dunque la subordinazione si rovescia. Il ribaltamento dialettico hegeliano trova una sua perfetta sintesi nella teoria che anche il padrone è servo e anche il servo è padrone. Ma in queste frasi sibilline di Panella (autore della canzone), sembra celarsi allo stesso tempo il triste epilogo: anche la Prussia come tutta l’Europa dovette inchinarsi allo strapotere di Napoleone.

Erano gli esercizi obbligatori estetici,
le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro;
c’eravamo capiti, capiti all’inverso.

Si torna ancora a citare l’opera di Hegel con le lezioni di estetica e le varie visioni del mondo, ma nello stesso tempo della conoscenza sulla funzione insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo della realtà, e non come semplice negazione. La logica hegeliana si contrappone alla logica tradizionale, fondata sul principio di identità e di non contraddizione. Il grande filosofo mette in discussione il principio di non contraddizione tra due poli., secondo il quale la possibilità che una cosa si muti in una cosa diversa, risiede proprio all’interno della cosa stessa. All’interno delle cose esiste questo rapporto di contraddizione tra lo yin e lo yang. Lo yin e lo yang sono uniti ed al tempo stesso in lotta. La teoria hegeliana, per conseguire l’unità di opposti, si basa sulla convinzione dell’uno bisognoso dell’altro per realizzarsi: da ciò consegue che la realtà si attua in un processo dove termini opposti si negano reciprocamente e si integrano in una nuova e più ricca unità.*

Ci diventammo leciti per questo.
D’altronde, d’altro canto.
A volte essere nemici facilita.
Piacersi è così inutile.

Un “opposto”, è tale in quanto non è solo se stesso, ma allo stesso tempo altro: A è non A e viceversa. La conclusione di Hegel è che il negativo è insieme anche postivo e tutte le cose sono in se stesse contradditorie.**

Un bacio dai bei modi grossolani
sfuggì come uno schiaffo senza mani.

Un bacio non dura che un istante ma il suo significato è infinito. Simbolicamente rappresenta un incontro tra gli opposti, e ci offre l’opportunità di affrontare e riconoscere l’altro in quanto altro. E’ l’inizio del superamento conflittuale, in cui cominciamo la scoprire la natura profonda e familiare del Sé, attraverso il confronto e il riconoscimento dell’Altro.*

Talmente presi ci si rese conto
d’essere un’allegoria soltanto quando
ci capitò di dire, indicando il soffitto col naso,
di dire “Noi due” e ci marmorizzammo.

Una metafora sulla difficoltà comunicativa tra due opposti – come qui si potrebbe arguire – è sottintesa nell’opera di rinnovamento compiuta da Battisti e Panella, e che il fruitore non sembra accettare assolutamente. Di fronte a questo ermetismo il grosso del pubblico si è rifiutato di varcare la fatidica soglia, non ha capito la portata innovativa introdotta dai due artisti. Davanti a questo scoglio di non ricezione l’armonia degli opposti è venuta meno, non si è verificato un’ ideale sintonia tra le parti. I due poli si sono quindi pietrificati, l’uno di fronte all’altro, come una allegorica visione di stalattiti e stalagmiti negli anfratti di una grotta.

La corda tesa, amò l’arco
e la tempesta la schiuma,
il cuore amò se stesso,
ma noi non divagammo.

L’armonia è la sintesi perfetta indispensabile per creare l’unità nella diversità e arrivare al nostro vero essere. Eraclito sosteneva: gli ignoranti non sanno che ciò che è differente, concorda con noi stessi, dato che l’armonia dei contrari equivale all’armonia dell’arco e della lira. La bellezza è come un fulmine, la bellezza è tensione, è il mantenimento degli opposti. L’arco e la lira sono stati visti da Eraclito come esempi di un equilibrio di forze che proprio la loro opposizione tiene insieme: un arco funziona fin tanto che la struttura data dal contrasto e dalla tensione degli opposti regge. Il pensiero di Hegel si accosta ad Eraclito per quanto riguarda la visione dell’armonia dei contrari : non c’è tempesta senza quiete, non c’è vita senza morte, non c’è bianco senza nero…

L’animo umano è nulla se non
una pietra da scalfire ricavando
i capelli e il suo bel piede.

Il carattere peculiare della filosofia hegeliana fu quello di affermare la razionalità della storia. Mentre l’eredità del pensiero greco fu quella di cogliere la ragione nella natura, Hegel ha cercato di riconoscere la stessa razionalità anche nel campo della storia. La sua tesi fu che anche nella storia dell’uomo, dove nell’apparente caos delle vicende umane, si manifesta una razionalità analoga a quella presente nella natura.*

Era la collisione, il primo scontro epico,
perché non scritto ma cavalcato a pelo,
ed ognuno esigeva
la terra dell’altro,
le mani, la terra, la carne, il terreno.

Il rombo dei cannoni coincise con la stesura finale della Fenomenologia dello Spirito. Il giorno prima della carneficina di Jena del 14 ottobre 1806 – una battaglia epocale che costò un numero spaventoso di vite – Hegel si confida privatamente, con una lettera indirizzata all’amico Niethammer, di aver visto sfilare per le vie della città, quel Napoleone a cavallo, da lui considerato come il “punto” in cui si concentra ” l’anima del mondo” che “s’irradia per il mondo e lo domina”, ovvero colui che doveva reggere il mondo, colui che rovesciando il vecchio, doveva regolare il nuovo, promulgando costituzioni e codici legislativi. Ma si sbagliava.
Da lì a poco, il 10 dicembre 1812, in una gelida giornata d’inverno, Napoleone giunse in slitta a Varsavia con 10.000 uomini dalle divise lacere ed in preda alla fame. Era quello che rimaneva dei 600.000 dell’invincibile armata e l’inizio della sua inarrestabile caduta. L’epopea di Napoleone segnò una profonda inquietudine intellettuale in Europa. Non è dunque eccessivo dire che ancor oggi la storiografia risente di quell’evento epocale e di quel mito. Il destino però si diverte alle spalle degli uomini, è sempre in agguato, bastava un niente per cambiare il corso della storia. Se Bonaparte non avesse intrapreso la campagna di Russia, probabilmente il mondo oggi non sarebbe questo. Tutto passa, passano le guerre, ritornano al trono monarchi e presidenti, passano le mode, tutto cambia, tutto … tranne la canzonetta ! Lei no, è rimasta immutata nel corso dei secoli, sempre uguale a se stessa. Davanti alle spallate messe in atto nella storia per demolire il suo mito presso gli uomini, ne è sempre uscita indenne.

( Nozioni dal trattato di filosofia di Ernesto Riva *)
( Nozioni dal libro ” Dieci canzoni per te ” di Francesco Marchetti **)

English translate

HEGEL AND BATTISTI, WHAT DO THEY HAVE IN COMMON?

Hegel and Lucio Battisti have a song in common:

Hegel – Battisti, 1994

Georg Wilhelm Friedrich Hegel was born on 27 August 1770 in Stuttgart, capital of the Duchy of Wuerttemberg. After completing regular studies, he landed, again in his hometown, in a humanistic-religious institute, where he proved to be a model pupil; he also takes private lessons in geometry, astronomy and land surveying from an artillery colonel. But what does Lucio Battisti mean in his song of the same name?

HEGEL



I remember his beautiful name: Hegel Tübinga
and I would have chewed

his tracksuit.



The story goes on recalling his years spent at the University of Tübingen. The young Hegel enrolled in 1788 to study theology, sharing his accommodation with Holderlin and Schelling, respectively one of Germany's greatest poets and an equally great philosopher. **



He borrowed the name from books

and it was like secretly copying,

it was like blowing on fire.



Like the famous lessons of Hegel, professor at the university chair of Berlin, collected and transcribed secretly by his former students. The fact is that what we call Aesthetics is the reworking of a disciple (Hotho) based on the notes collected from Hegel's voice, but also with additions deemed necessary to make those pages readable. The treatise was published by Gustav Hotho in 1835, only after the death of the great philosopher.



School registers: why?

When all is lost all that remains is ash and love;

and she in her beautiful name was a Jena.



Jena is still a small city in Eastern Germany, very beautiful and modern, typically concentrated for university students. To obtain his teaching qualification, Hegel stayed there for a long period, from 1801 to 1807. It was here that he met the only love of his life, Charlotte, his landlady and housekeeper, with whom he had a son. But the dramatic succession of political-military events soon caused the situation to worsen: the unstoppable Napoleonic garrisons had taken the heart of the city, breaking the proud Teutonic pride. Under gunfire, Hegel was forced to abandon his beloved's roof to take refuge elsewhere.

Which of us is the governed and which is the governor

they are facts that pertain to history.

Who was the province and who was the empire



The Phenomenology of Spirit is one of the most important works in the history of modern classical philosophy. In the description of the process that leads the subject towards the truth, Hegel illustrates the two famous figures of the servant and the master, according to which, once the master has achieved his goal, he no longer needs to assert himself, while the slave must assert himself very slowly through your work. The master, however, will no longer be able to do without the servant, who builds the objects he needs. So the subordination is reversed. The Hegelian dialectical reversal finds its perfect synthesis in the theory that the master is also a servant and the servant is also a master. But in these cryptic phrases by Panella (author of the song), the sad epilogue seems to be hidden at the same time: Prussia, like all of Europe, had to bow to Napoleon's excessive power.



They were the obligatory aesthetic exercises,

the sideways glances, and you looked back;

we understood each other, understood backwards.



We return again to cite Hegel's work with the lessons of aesthetics and the various visions of the world, but at the same time of knowledge of the irrepressible function of contradiction as a law of development of reality, and not as simple negation. Hegelian logic contrasts with traditional logic, founded on the principle of identity and non-contradiction. The great philosopher questions the principle of non-contradiction between two poles, according to which the possibility that one thing changes into a different thing resides precisely within the thing itself. Within things there is this relationship of contradiction between yin and yang. Yin and yang are united and at the same time in conflict. The Hegelian theory, to achieve the unity of opposites, is based on the belief that one needs the other to realize itself: from this it follows that reality occurs in a process where opposite terms negate each other and integrate into a new and richest unit.*



We became legitimate because of this.

On the other hand, on the other hand.

Sometimes being enemies makes it easier.

Liking yourself is so useless.



An "opposite" is such in that it is not only itself, but at the same time other: A is not A and vice versa. Hegel's conclusion is that the negative is also positive at the same time and all things are contradictory in themselves.**

A kiss with beautiful coarse manners

it escaped like a slap without hands.



A kiss lasts only an instant but its meaning is infinite. Symbolically it represents a meeting between opposites, and offers us the opportunity to face and recognize the other as other. It is the beginning of overcoming conflict, in which we begin to discover the profound and familiar nature of the Self, through comparison and recognition of the Other.*



So taken we realized

of being an allegory only when

we happened to say, pointing to the ceiling with our noses,

to say “The two of us” and we marveled.



A metaphor on the communication difficulty between two opposites - as one could argue here - is implied in the renovation work carried out by Battisti and Panella, and which the user does not seem to accept at all. Faced with this hermeticism, the majority of the public refused to cross the fateful threshold, they did not understand the innovative scope introduced by the two artists. Faced with this obstacle of non-reception, the harmony of opposites has failed, an ideal harmony between the parties has not occurred. The two poles then petrified, one in front of the other, like an allegorical vision of stalactites and stalagmites in the ravines of a cave.



The tight string, he loved the bow

and the storm foams it,

the heart loved itself,

but we did not digress.



Harmony is the perfect synthesis indispensable for creating unity in diversity and arriving at our true being. Heraclitus argued: the ignorant do not know that what is different agrees with ourselves, given that the harmony of opposites is equivalent to the harmony of the bow and the lyre. Beauty is like lightning, beauty is tension, it is the maintenance of opposites. The bow and the lyre were seen by Heraclitus as examples of a balance of forces that precisely their opposition holds together: a bow works as long as the structure given by the contrast and tension of the opposites holds. Hegel's thought is similar to Heraclitus regarding the vision of the harmony of opposites: there is no storm without calm, there is no life without death, there is no white without black...



The human soul is nothing if not

a stone to be scratched by obtaining

her hair and her beautiful foot.

The peculiar character of Hegelian philosophy was that of affirming the rationality of history. While the legacy of Greek thought was to grasp reason in nature, Hegel sought to recognize the same rationality also in the field of history. His thesis was that even in the history of man, where in the apparent chaos of human affairs, a rationality similar to that present in nature is manifested.*



It was the collision, the first epic clash,

because not written but ridden bareback,

and everyone demanded

the land of the other,

the hands, the earth, the flesh, the soil.



The roar of the cannons coincided with the final draft of the Phenomenology of the Spirit. The day before the carnage of Jena on 14 October 1806 - an epochal battle that cost a frightening number of lives - Hegel privately confided, in a letter addressed to his friend Niethammer, that he had seen Napoleon parade through the streets of the city horse, which he considered as the "point" in which "the soul of the world" is concentrated which "radiates throughout the world and dominates it", or rather the one who had to rule the world, the one who, overthrowing the old, had to regulate the new, promulgating constitutions and legislative codes. But he was wrong.

Shortly thereafter, on 10 December 1812, on a freezing winter day, Napoleon arrived by sleigh in Warsaw with 10,000 men in tattered uniforms and in the throes of hunger. It was what remained of the 600,000 of the invincible army and the beginning of its unstoppable fall. Napoleon's epic marked a profound intellectual restlessness in Europe. It is therefore not excessive to say that even today historiography is affected by that epochal event and that myth. However, destiny has fun behind men's backs, it is always lurking, nothing was enough to change the course of history. If Bonaparte had not undertaken the Russian campaign, the world would probably not be this today. Everything passes, wars pass, monarchs and presidents return to the throne, fashions pass, everything changes, everything... except the song! No, she has remained unchanged over the centuries, always the same. Faced with the pushes made in history to demolish its myth among men, it has always emerged unscathed.



(Notes from Ernesto Riva's philosophy treatise *)

(Notes from the book "Ten songs for you" by Francesco Marchetti **)


Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto al Cambiamento Climatico in atto

ROGER WATERS: “UNDER THE RUBBLE”

Roger Waters and his new song “Under the Rubble” for Gaza
Roger Waters, “Under the Rubble”
https://pinkfloyditalia.wordpress.com/2023/12/30/roger-waters-under-the-rubble/comment-page-1/#respond

Il regalo di natale di Roger Waters ai sui fan, è un breve video di un demo tratto da un nuovo pezzo intitolato “Under The Rubble” (sotto le macerie). Nel video che ha condiviso c’è anche una kefiah (simbolo palestinese) drappeggiata sullo schermo e sembra che ci sia un’altra versione della sua demo sul desktop del suo computer, salvato come “Its Dark here mama“. Il brano è una struggente ballata al pianoforte, al momento non si hanno ulteriori dettagli se questo brano sarà un pezzo a se stante o se farà parte di un nuovo progetto (the Bar?)..

Il testo:

“Papa, I want to go home now,
papa please take me home,
mama please tell me I’m dreaming,
and ill wake up somewhere and I won’t be alone,
mama its dark here,
dad has stopped breathing,
mama
mama”
.

(“Papà, voglio andare a casa adesso,
papà, per favore portami a casa,
mamma, per favore dimmi che sto sognando,
e mi sveglierò da qualche parte e non sarò solo,
mamma, è buio qui,
papà ha smesso di respirare,
mamma
mamma”.)

Shine On!
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/98592-under-the-rubble-il-nuovo-e-straziante-singolo-di-roger-waters-per-gaza.html

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto al Cambiamento Climatico in atto

MOGOL: “LUCIO BATTISTI ED IO CHIAMATI FASCISTI”/ “IL NOSTRO ERA INNO ALLA LIBERTA’”

Pubblicazione: 13.03.2023 – Marta Duò

Mogol ricorda la musica del passato e analizza le minacce al cantautorato del presente rappresentate soprattutto dal social: “sono un danno per la musica”

Mogol Rai 1
https://www.ilsussidiario.net/news/mogol-lucio-battisti-ed-io-chiamati-fascisti-il-nostro-era-inno-alla-liberta/2504490/

Giulio Rapetti, più conosciuto come Mogol, parla della musica di ieri e di oggi, tra nomi indimenticabili e canzoni destinate a essere presto dimenticate. “Io figlio di un antifascista mi sentivo dare del fascista insieme a Lucio (Battisti, ndr) semplicemente perché non facevamo canzoni politiche, perché non avevamo scritto ‘Contessa’  – ricorda Mogol al quotidiano La Verità – Mi angosciai e mi stupii perché facemmo un concerto al Covent Garden a Londra e ci accolsero nel silenzio più rispettoso dove la musica e le parole creavano emozioni e armonia. Mentre in Italia per aver scritto “Volando sopra un bosco di braccia tese” siamo stati accusati di fascismo. Se uno vede la copertina del disco si accorge che ci sono due braccia protese verso il cielo. Era un inno di libertà. Allora abbiamo scelto di non cantare più in pubblico. Per me è stato un dolore perché credo che la democrazia sia l’unica forma possibile di governo”.

A oggi, Mogol ritiene che “non ci sono canzoni memorabili, che la gente ricorda come succede con le canzoni di Lucio” e che “quando la musica e il testo sono un’espressione poetica c’è un evoluzione culturale nella gente. Per saper discernere tra le canzoni che hanno molte visualizzazioni sui social e le canzoni che si radicano nella memoria delle persone serve competenza. La parola è centrale nella cultura popolare che ha mille espressioni”.

Mogol, “i social minacciano il diritto d’autore: sono un danno perché…”

Mogol, all’anagrafe Giulio Rapetti, nella sua intervista a La Verità vuole anche commentare il modo in cui i social possono mettere in pericolo la musica e il cantautorato, anziché contribuire alla diffusione di nuovi brani. “La tutela del diritto d’autore è fondamentale e la minaccia è continua” spiega, perché “il pericolo viene dalle piattaforme digitali che sono quelle che usano la musica e la gettano. Perciò serve una tutela forte. Prima della Siae nacque la società degli autori francesi e andò così; tre autori pranzarono in un gran ristorante di Parigi e al momento del conto non pagarono dicendo: voi sfruttate la nostra musica e noi sfruttiamo la vostra cucina. Con i social bisogna fare la stessa cosa. Sono un danno per la musica perché non riconoscono i dritti degli artisti”.

E a conclusione del suo dialogo, Mogol vuole concludere con un messaggio per il futuro: “dobbiamo avere due convinzioni: accettare qualsiasi cosa il destino ci riservi perché questo vale più di una preghiera; essere consapevoli che al momento di andarcene l’unica cosa che portiamo via e per la quale saremo giudicati è come abbiamo agito nella vita. Se siamo intelligenti dobbiamo dimostrare di aver vissuto degnamente. Tutto il resto è polvere”.

Fonte: Il Sussidiario

https://midiconoche.com/2017/01/12/hegel-e-battisti-cosa-hanno-in-comune/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

SATRIANI-VAI US TOUR 2024: CELEBRATING 50 YEARS OF FRIENDSHIP

SATCH VAI US TOUR 2024
https://www.jambase.com/article/joe-satriani-steve-vai-tour-dates-2024

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

ROGER WATERS ANSWERS THE CAMPAIGN AGAINST ANTISEMITISM – ROGER WATERS RISPONDE ALLA CAMPAGNA CONTRO L’ANTISEMITISMO

https://rogerwaters.com/roger-waters-answers-the-campaign-against-antisemitism/

September 29, 2023

Earlier this month the Campaign Against Antisemitism contacted me about a film they have made. They gave me seven days to respond to multiple questions about matters dating back to 2002 and 2010. Initially I took the view that their attacks on my character did not deserve a response. However, now that the attacks are in circulation, I want to put my response on record.

All my life I have used the platform my career has given me to support causes I believe in. I passionately believe in Universal Human Rights. I have always worked to make the world a better, more just and more equitable place for all my brothers and sisters, all over the world, irrespective of their ethnicity, religion or nationality, from indigenous peoples threatened by the US oil industry to Iranian women protesting for their rights.

That is why I am active in the non-violent protest movement against the Israeli government’s illegal occupation of Palestine and its egregious treatment of Palestinians.

Those who wish to conflate that position with antisemitism do a great disservice to us all.

People need to know about the CAA, the organisation that made this film. Following complaints to the Charity Commission the CAA is facing scrutiny. Its core purpose is waging partisan political campaigns against critics of the state of Israel. So I knew their questions were not asked in good faith.

Truth is, I’m frequently mouthy and prone to irreverence, I can’t recall what I said 13 or more years ago. I’ve worked closely for many years with many Jewish people, musicians and others.  If I have upset the two individuals who appear in the film I’m sorry for that. But I can say with certainty that I am not, and have never been, an antisemite – as anyone who really knows me will testify. I know the Jewish people to be a diverse, interesting, and complicated bunch, just like the rest of humanity. Many are allies in the fight for equality and justice, in Israel, Palestine and around the world.

The film totally distorts and misrepresents my views about the Israeli state and its political ideology, Zionism. It relies on a definition of antisemitism that sees criticising Israel as inherently antisemitic and assumes that Zionism is an essential element in Jewish identity. These opinions, clearly shared by the presenter and the two interviewees, are widely contested by many, including many Jewish people.

The CAA film manipulates footage and quotations to serve its agenda and is seriously misleading in many respects. What it says about my latest tour,  This Is Not A Drill,  repeats a series of falsehoods that have already been debunked, many times, not just by me, but in the German courts, after attempts were made to have my show banned there. The offensive words I referenced in quotes in an email 13 years ago, were my brainstorming ideas on how to make the evils and horrors of fascism and extremism apparent and shocking to a generation that may not fully appreciate the ever-present threat.   They are not the manifestation of any underlying bigotry as the film suggests.   Quite the opposite.  I have been trying to expose the evils of fascism ever since learning of my father’s death fighting fascists in World War II.

In summary, the film is a flimsy, unapologetic piece of propaganda that indiscriminately mixes things I’m alleged to have said or done at different times and in different contexts, in an effort to portray me as an antisemite, without any foundation in fact.

END

Source. Roger Waters official website

Traduzione in italiano

All’inizio di questo mese la Campagna contro l’Antisemitismo mi ha contattato riguardo a un film che hanno realizzato. Mi hanno dato sette giorni per rispondere a molteplici domande su questioni risalenti al 2002 e al 2010. Inizialmente ho ritenuto che i loro attacchi al mio personaggio non meritassero una risposta. Tuttavia, ora che gli attacchi sono in circolazione, voglio mettere agli atti la mia risposta. Per tutta la vita ho utilizzato la piattaforma che la mia carriera mi ha dato per sostenere le cause in cui credo. Credo appassionatamente nei diritti umani universali. Ho sempre lavorato per rendere il mondo un posto migliore, più giusto e più equo per tutti i miei fratelli e sorelle, in tutto il mondo, indipendentemente dalla loro etnia, religione o nazionalità, dalle popolazioni indigene minacciate dall’industria petrolifera statunitense alle donne iraniane protestando per i propri diritti.

Questo è il motivo per cui sono attivo nel movimento di protesta non violento contro l’occupazione illegale della Palestina da parte del governo israeliano e il suo trattamento vergognoso nei confronti dei palestinesi. Coloro che desiderano confondere questa posizione con l’antisemitismo rendono un pessimo servizio a tutti noi. La gente deve conoscere la CAA, l’organizzazione che ha realizzato questo film. A seguito dei reclami alla Commissione di beneficenza, la CAA si trova ad affrontare un esame accurato. Il suo scopo principale è condurre campagne politiche partigiane contro i critici dello Stato di Israele. Quindi sapevo che le loro domande non erano state poste in buona fede. La verità è che sono spesso chiacchierone e incline all’irriverenza, non riesco a ricordare cosa ho detto 13 o più anni fa. Ho lavorato a stretto contatto per molti anni con molti ebrei, musicisti e altri. Se ho fatto arrabbiare le due persone che compaiono nel film mi dispiace. Ma posso dire con certezza che non sono, e non sono mai stato, un antisemita – come potrà testimoniare chiunque mi conosca veramente. So che il popolo ebraico è un gruppo diversificato, interessante e complicato, proprio come il resto dell’umanità. Molti sono alleati nella lotta per l’uguaglianza e la giustizia, in Israele, Palestina e nel mondo. Il film distorce e travisa totalmente le mie opinioni sullo stato israeliano e sulla sua ideologia politica, il sionismo. Si basa su una definizione di antisemitismo che considera la critica a Israele come intrinsecamente antisemita e presuppone che il sionismo sia un elemento essenziale dell’identità ebraica. Queste opinioni, chiaramente condivise dal conduttore e dai due intervistati, sono ampiamente contestate da molti, compresi molti ebrei.

Il film della CAA manipola filmati e citazioni per servire i suoi scopi ed è seriamente fuorviante sotto molti aspetti. Ciò che dice del mio ultimo tour, This Is Not A Drill, ripete una serie di falsità che sono già state sfatate, molte volte, non solo da me, ma anche nei tribunali tedeschi, dopo che lì sono stati fatti tentativi per bandire il mio spettacolo. Le parole offensive a cui ho fatto riferimento tra virgolette in un’e-mail di 13 anni fa, erano le mie idee di brainstorming su come rendere i mali e gli orrori del fascismo e dell’estremismo evidenti e scioccanti per una generazione che potrebbe non apprezzare appieno la minaccia sempre presente. Non sono la manifestazione di un fanatismo di fondo come suggerisce il film. Piuttosto il contrario. Ho cercato di denunciare i mali del fascismo sin da quando ho saputo della morte di mio padre combattendo i fascisti nella seconda guerra mondiale. In sintesi, il film è un fragile e impenitente pezzo di propaganda che mescola indiscriminatamente cose che si presume abbia detto o fatto in momenti diversi e in contesti diversi, nel tentativo di dipingermi come un antisemita, senza alcun fondamento di fatto. FINE

Fonte: Roger Waters sito ufficiale

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

GLI ULTIMI ANNI DI LUCIO BATTISTI

Quelli dell’isolamento, delle attenzioni morbose dei media e soprattutto dei suoi dischi più sperimentali, fino alla morte avvenuta 25 anni fa

Una foto di Lucio Battisti in auto nel 1997 a Molteno. (A.Catalano / FARABOLAFOTO/Ansa) https://www.ilpost.it/2023/09/09/lucio-battisti-ultimi-dischi-anni/

Il 4 febbraio del 1980 fu pubblicato Una giornata uggiosa, il quattordicesimo disco di Lucio Battisti, che morì oggi 25 anni fa, e l’ultimo realizzato con la collaborazione del paroliere Giulio Rapetti, conosciuto con lo pseudonimo di Mogol. La complicità artistica tra Battisti e Mogol era durata quindici anni, e aveva creato alcune delle canzoni più amate della storia della musica leggera italiana, come “Fiori rosa fiori di pesco”, “Il tempo di morire”, “Ancora tu” e “Emozioni”. I motivi che portarono alla fine di una collaborazione così lunga e proficua non sono chiari.

Nel libro del 2016 Mogol. Il mio mestiere è vivere la vita, Mogol stesso ha spiegato che il rapporto con Battisti si incrinò per ragioni economiche, legate alla ridefinizione di accordi contrattuali sulle percentuali dei diritti d’autore da spartirsi. A questo proposito, Mogol ha scritto: «Allora c’era questa formula per cui il musicista prendeva l’8% e il paroliere il 4%, la Siae voleva così. Battisti quando ha iniziato era un dilettante, eppure io non ho mai voluto fargli firmare nessun documento sotterraneo. Sempre il 4% a me l’8% a lui. Quando abbiamo venduto i diritti dei brani alla Numero Uno ho detto che avrei scritto alla pari: 6% a lui e 6% a me, altrimenti non avrei più scritto. Da allora Lucio ha cominciato a lavorare con altri».

Battisti non si espresse mai direttamente sulla questione, ma in un’intervista del 1979, data al giornalista svizzero Giorgio Fieschi, parlò dell’esigenza di rinnovarsi, trovare altri stimoli professionali e realizzare dischi diversi dai precedenti, con nuovi suoni e nuovi testi. Disse di volere prendere una direzione artistica differente, insomma.

In effetti, dopo la fine della collaborazione con Mogol, Battisti aprì una nuova fase della sua carriera, più sperimentale in termini musicali e linguistici. Una fase che iniziò nel 1982, con la pubblicazione dell’album E già, prodotto e arrangiato dal polistrumentista inglese Greg Walsh, che aveva assistito Geoff Westley nella produzione dei due dischi precedenti, Una donna per amico e Una giornata uggiosa. Il disco fu registrato in parte agli studi della RCA di via Tiburtina a Roma e in parte agli studi Trident Studios di Londra. Il missaggio fu supervisionato dal fonico inglese Mark Ellis, conosciuto con lo pseudonimo “Flood”, un nome importante dell’industria musicale britannica: aveva infatti lavorato ad album come Movement dei New OrderAll Fall Down dei The SoundUntitled, il primo album solista di Marc Almond, già cantante dei Soft Cell.

– Leggi anche: Un po’ di canzoni di Lucio Battisti

Spesso si parla di E già come di un album “fatto in casa”, ossia senza la collaborazione di altri musicisti. Come ricorda il giornalista Francesco Mirenzi nel libro Battisti talk. La vita attraverso le sue parole: interviste, dichiarazioni, pensieriE già fu composto interamente con strumenti elettronici, programmati da Battisti insieme a Walsh sulla base di una serie di provini. I provini vennero elaborati in una prima fase nello studio casalingo del cantante e, in un secondo momento, furono replicati con una strumentazione più professionale, senza un lavoro ulteriore di produzione e arrangiamento. Il risultato fu un album ricercato e dai suoni elettronici, caratterizzato dall’uso dei sintetizzatori e influenzato da generi che andavano moltissimo nel Regno Unito, come la new wave e il synth pop.

E già segnò una discontinuità anche dal punto di vista dei testi, più spensierati e diretti rispetto a quelli di Mogol. Alcuni sono testi autobiografici: ad esempio, “Windsurf windsurf” parla della passione di Battisti per questo sport, condivisa con l’amico e collega Adriano Pappalardo, mentre in “Registrazione” parla direttamente dei suoi gusti musicali e degli artisti che l’hanno ispirato, come Paul McCartney, Bob Dylan e Ray Charles. Furono scritti da Grazia Letizia Veronese, la moglie di Battisti, che li firmò con lo pseudonimo “Velezia” (anche se è opinione comune che Battisti partecipò alla loro stesura).

Il vero cambio di direzione, però, arrivò nel 1986 con la pubblicazione di Don Giovanni. Un album importante perché fu il primo realizzato con la collaborazione del poeta e paroliere romano Pasquale Panella. I due si erano conosciuti tre anni prima, quando Battisti stava lavorando alla produzione e agli arrangiamenti di Oh! Era ora, il sesto album di Pappalardo.

La prima grande novità rispetto ai dischi prodotti negli anni Sessanta e Settanta riguardò proprio i testi: se quelli di Mogol erano incentrati su spaccati di vita quotidiana e prediligevano parole semplici in cui tutti potessero facilmente identificarsi, la scrittura di Panella era decisamente più “misteriosa”, ricca di giochi di parole spesso al limite della comprensione. Canzoni come “Le cose che pensano”, “Fatti un pianto” e “Madre pennuta” spiazzarono gli ascoltatori tradizionali di Battisti per la loro complessità: i versi erano surreali e inaccessibili, quasi ermetici, simili a flussi di coscienza pieni di libere associazioni, calembour e nonsense.

Se i testi segnarono una rottura rispetto alla produzione precedente, la musica di Don Giovanni non aveva lo stesso livello di sperimentazioni di E già, e fu un parziale ritorno a ciò a cui erano abituati gli ascoltatori di vecchia data, di nuovo con una prevalenza di strumenti analogici rispetto a quelli elettronici. La supervisione fu affidata nuovamente a Walsh, ma all’album presero parte diversi musicisti: Ray Russell alla chitarra, Robin Smith al pianoforte, Andy Pask al contrabbasso, Gavyn Wright al violino, Guy Barker alla tromba, Phil Todd al sax, Ted Hunter al corno e Skaila Kanga all’arpa.

L’incontro con Panella diede inizio a un nuovo periodo nella carriera musicale di Battisti, quello dei cosiddetti “dischi bianchi”, chiamati così per via delle copertine minimaliste e, per l’appunto, su sfondo bianco. A Don Giovanni seguì L’apparenza, album del 1988 in cui di nuovo tornarono le influenze del synth pop e dell’elettronica di E già e che diede ancora più centralità alla scrittura criptica e surreale di Panella.

Tra le altre cose, L’apparenza fu l’album che ribaltò lo schema compositivo che Battisti aveva seguito fino a quel momento: se in Don Giovanni Panella scrisse le parole sulla musica composta con Battisti, proprio come faceva Mogol, a partire da questo album furono le musiche a venire adattate ai testi.

L’apparenza fu inoltre il primo lavoro di Battisti a uscire su compact disc, supporto che nel mercato discografico all’epoca cominciava a sostituirsi al vinile, e l’ultimo, per una parentesi di sei anni, a portare il marchio Numero Uno, l’etichetta per cui Battisti incideva dal 1971. A L’apparenza seguirono La sposa occidentale (1990)Cosa succederà alla ragazza (1992) e l’ultimo album di Battisti, Hegel (1994).

In tutti i casi si trattò di album complessi e sperimentali, difficili da apprezzare al primo ascolto e poco convenzionali per il panorama discografico italiano di quel periodo. La struttura delle canzoni era molto diversa da quella tipica dei tormentoni del tempo: non c’erano quasi mai ritornelli, le melodie erano spesso poco orecchiabili, la voce di Battisti quasi asettica e, soprattutto a partire da La sposa occidentale, venne soppresso l’utilizzo di strumenti non elettronici.

Escludendo E già e Don Giovanni, che però beneficiarono di un pubblico ancora molto affezionato alla discografia di Battisti e Mogol, gli album bianchi non ottennero un buon riscontro in termini di vendite, anche per la mancanza quasi assoluta di promozione. Se oggi la maggior parte delle persone parla di questi dischi in termini entusiastici, quando uscirono furono accolti con grande scetticismo dalla critica e soprattutto dal pubblico, che li considerava troppo cervellotici e indecifrabili e desiderava un ritorno di Mogol e delle atmosfere degli anni Sessanta e Settanta.

Anche i testi di Panella ricevettero diverse stroncature: spesso la critica musicale, sforzandosi di attribuire un qualche tipo di significato alle canzoni del “periodo bianco”, le liquidava frettolosamente come senza senso. Intervistato da Rolling Stone, Panella ha detto che il suo obiettivo era quello di «liberare Battisti dai falò, dai pianobar e dalle parole dei critici» attraverso i suoi testi.

Già qualche anno prima che iniziasse il periodo dei “dischi bianchi”, della vita privata di Lucio Battisti si sapeva pochissimo. L’intervista con Fieschi del 1979 viene citata moltissimo ancora oggi anche perché coincise con la scomparsa mediatica del cantante, che aveva deciso di interrompere ogni collaborazione con le televisioni e le radio italiane già agli inizi degli anni Settanta. L’ultima apparizione in Rai fu quella del 23 aprile 1972, durante la trasmissione Teatro 10 condotta da Alberto Lupo, in cui Battisti si esibì nel famoso (e unico) duetto con Mina.

Nel libro Quel gran genio, la giornalista musicale Marta Blumi Tripodi ricorda come, agli inizi della sua carriera, Battisti fosse ben disposto a parlare con radio e giornali: «C’è chi sostiene che si rese addirittura volontariamente protagonista di alcuni finti scoop orchestrati ad arte: il caso più celebre è quello del presunto flirt con la cantante inglese Julie Driscoll, che nacque e tramontò nell’arco di un istante, ma durò a sufficienza per finire al centro di un servizio fotografico posato di Tv Sorrisi e Canzoni». Il suo atteggiamento cambiò agli inizi degli anni Settanta, perché «si era reso conto che la sua franchezza veniva spesso travisata sia dai cronisti che dai lettori».

L’allontanamento di Battisti spinse i media a ricercare, spesso in maniera morbosa, qualsiasi tipo di informazione relativa all’intimità del cantante. Come scrive ancora Tripodi, «giornalisti e fotografi vivevano il suo rifiuto come un insulto al loro mestiere, una minaccia all’esistenza stessa delle cronache di costume. Come se Battisti non capisse che anche loro dovevano lavorare, e che il loro lavoro era parlare di lui».

– Leggi anche: Ho un anno di più

Spesso i paparazzi si appostavano davanti alla villa in cui viveva con sua moglie a Molteno, in provincia di Lecco, sperando di fotografare qualche attimo della sua vita privata. «Quando non riuscivano a reperire informazioni di prima mano, chiedevano a chi sembrava saperla un po’ più lunga: vicini di casa, conoscenti, amici, impiegati dell’etichetta di Mogol e Battisti. I resoconti che ne risultavano erano spesso coloriti e fantasiosi».

Quando Battisti rifiutava di farsi intervistare, i giornali non la prendevano per nulla bene. A questo proposito, nel suo libro Tripodi cita alcuni articoli che rendono l’idea di quali fossero i toni che la stampa del tempo riservava a Battisti.

Ad esempio in uno di questi, pubblicato sulla rivista Sogno nel 1972, si legge: «Night club (un ritrovo assai esclusivo, nel cuore di Milano), notte alta. Lucio è seduto a un tavolo con un gruppo di amici. Fotografo e redattrice (a una voce): “Scusi, Battisti, dovremmo rivolgerle qualche domanda e scattarle alcune foto. Sa, il nostro direttore…”. Battisti (secco): “Non faccio mai foto. E non concedo interviste. Ho altro da fare”. Niente foto, dunque, niente intervista. Perfino Bob Dylan, perfino Donovan, perfino i Beatles in talune occasioni sono usciti dai loro fortini dorati, ma lui no, lui non si concede. Il signor Battisti non ha tempo da perdere. Viene da chiedersi perché questa divinità vaga e irraggiungibile dell’olimpo canzonettistico abbia scelto di fare il cantante». «Quando era agli inizi, e le interviste le cercava anche se già cercava di condizionarle parlando soltanto della sua bravura e delle sue idee artistiche», scriveva sempre Sogno, «non smentiva la versione (fornita dagli uffici stampa) che avesse compiuto severi studi musicali diplomandosi in un Conservatorio, e avesse anche perfezionato la sua esperienza all’estero. C’era ben poco di vero».

In un altro articolo, pubblicato su Novella, i toni erano questi: «È individualista, orso e non si affeziona quasi a nessuno. Ha pochissimi amici e anche con quelli non è molto espansivo. Loro però, pur conoscendo tutti i suoi difetti, lo amano lo stesso e di tanto in tanto cercano la sua compagnia. Non è generoso, non è buono ma non è neppure cattivo, dicono. Nel lavoro è estremamente intransigente e poco comprensivo per gli errori degli altri» E ancora: «Vive esattamente come non piace alle femministe. È il maschio di casa, autoritario ed esclusivista. Fa le vacanze sulla riviera adriatica in un posticino riservato e tranquillo, dal quale non escono né sua moglie né suo figlio per paura di essere sorpresi da qualche fotografo. In casa gira in ciabatte e con un paio di vecchi pantaloni. Con lo stesso abbigliamento qualche volta va a fare la spesa. È parsimonioso, quasi tirchio. Non è colto ma è estremamente intelligente».

L’ingresso della casa di Lucio Battisti dopo la sua morte, il 9 settembre 1998. (PINO FARINACCI / ANSA)

Anche la morte di Battisti, avvenuta il 9 settembre del 1998 quando aveva 55 anni, fu molto dibattuta dalla stampa, che la descrisse come “misteriosa”. Questo perché, sebbene fosse ricoverato all’ospedale San Paolo già dal 29 agosto, non si conoscono tuttora con certezza le cause della morte. Il bollettino medico del ricovero non fu mai reso pubblico, e la famiglia ha sempre mantenuto riserbo sulla questione. Ai tempi si susseguirono diverse voci, che però non furono mai confermate e crearono grande confusione: all’inizio i giornali parlarono di un linfoma maligno al fegato, mentre nei giorni successivi si sparse la voce di una glomerulonefrite, una malattia che colpisce i reni.

Repubblica nel 1998 scrisse che l’ultimo aggravamento era avvenuto la notte prima della sua morte. Sempre stando a quanto riportato da Repubblica, il cappellano del San Paolo che gli diede l’estrema unzione parlò di «un viso scavato e di occhi che non cercavano più nulla». Il quotidiano descrisse anche un Battisti «intubato, appeso a fili», che durante il ricovero avrebbe accettato di sottoporsi a «una terapia sperimentale». Repubblica parlò anche dell’atteggiamento della moglie e della sua scelta di non parlare con la stampa: «la moglie Grazia Letizia Veronese ribadisce: nessun contatto con i cronisti e con nessuno. Alla camera mortuaria viene affisso un cartello che dice: la salma può essere “vegliata e visitata” solo da Luca Battisti (il figlio), Grazia Letizia Veronese (la moglie), Alba Rita Battisti (la sorella), Marco e Sergio Veronese (due cognati). Aumenta l’avvilimento in tutti, che rischia di portare al peggio: nella camera ardente c’è anche un ragazzo di 19 anni, morto la notte precedente». Ai funerali, che si celebrarono in forma privata a Molteno, furono ammesse soltanto 20 persone, tra le quali Mogol.

Dopo la morte di Battisti, i diritti sulla sua musica sono stati gestiti dalla società Edizioni Musicali Acqua Azzurra, presieduta dalla moglie. La storia dei diritti sulle canzoni di Battisti è spesso discussa perché, per anni, Edizioni Musicali Acqua Azzurra si è rifiutata di renderle disponibili sui servizi di streaming musicale, scelta molto insolita e secondo molti controproducente in termini economici.

Nel luglio del 2016 il tribunale di Milano accolse parzialmente una causa di Mogol, che aveva chiesto un risarcimento di 8 milioni di euro alla società per avere ostacolato il suo sfruttamento commerciale del repertorio di Battisti. A Mogol furono concessi 2,8 milioni di euro di risarcimenti, e visto che la Edizioni Musicali Acqua Azzurra non poteva pagarli fu messa in liquidazione nella primavera del 2017.

Nel 2019 la società decise di affidare alla SIAE il mandato per raccogliere e ripartire i diritti degli album realizzati con Mogol sulle piattaforme online. Continuano invece a non essere disponibili le canzoni scritte con Pasquale Panella, quelle dei “dischi bianchi”, perché fanno capo a un altro editore, Aquilone, che non ha ancora dato mandato per le piattaforme online.

Si è tornati a parlare dei diritti sulle canzoni di Battisti anche in settimana, quando la Corte d’appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la richiesta di risarcimento da 8,5 milioni avanzata dalla Sony Music ai danni di Grazia Letizia Veronese e del figlio di Battisti, Luca. I fatti risalgono al 2017, quando l’etichetta fece causa agli eredi di Battisti per aver opposto un diritto di veto a qualsiasi forma di sfruttamento economico delle opere musicali del cantante: un’accusa simile a quella avanzata da Mogol.

Fonte: Il Post

Gli ultimi anni di #LucioBattisti #IlPost 9 Settembre 2023

https://x.com/bralex84/status/1702834257566093574

Mogol “Lucio Battisti ed io chiamati fascisti”/ “Il nostro era inno alla libertà”

Pubblicazione: 13.03.2023 – Marta Duò

Mogol ricorda la musica del passato e analizza le minacce al cantautorato del presente rappresentate soprattutto dal social: “sono un danno per la musica”

Mogol Rai 1
https://www.ilsussidiario.net/news/mogol-lucio-battisti-ed-io-chiamati-fascisti-il-nostro-era-inno-alla-liberta/2504490/

Giulio Rapetti, più conosciuto come Mogol, parla della musica di ieri e di oggi, tra nomi indimenticabili e canzoni destinate a essere presto dimenticate. “Io figlio di un antifascista mi sentivo dare del fascista insieme a Lucio (Battisti, ndr) semplicemente perché non facevamo canzoni politiche, perché non avevamo scritto ‘Contessa’  – ricorda Mogol al quotidiano La Verità – Mi angosciai e mi stupii perché facemmo un concerto al Covent Garden a Londra e ci accolsero nel silenzio più rispettoso dove la musica e le parole creavano emozioni e armonia. Mentre in Italia per aver scritto “Volando sopra un bosco di braccia tese” siamo stati accusati di fascismo. Se uno vede la copertina del disco si accorge che ci sono due braccia protese verso il cielo. Era un inno di libertà. Allora abbiamo scelto di non cantare più in pubblico. Per me è stato un dolore perché credo che la democrazia sia l’unica forma possibile di governo”.

A oggi, Mogol ritiene che “non ci sono canzoni memorabili, che la gente ricorda come succede con le canzoni di Lucio” e che “quando la musica e il testo sono un’espressione poetica c’è un evoluzione culturale nella gente. Per saper discernere tra le canzoni che hanno molte visualizzazioni sui social e le canzoni che si radicano nella memoria delle persone serve competenza. La parola è centrale nella cultura popolare che ha mille espressioni”.

Mogol, “i social minacciano il diritto d’autore: sono un danno perché…”

Mogol, all’anagrafe Giulio Rapetti, nella sua intervista a La Verità vuole anche commentare il modo in cui i social possono mettere in pericolo la musica e il cantautorato, anziché contribuire alla diffusione di nuovi brani. “La tutela del diritto d’autore è fondamentale e la minaccia è continua” spiega, perché “il pericolo viene dalle piattaforme digitali che sono quelle che usano la musica e la gettano. Perciò serve una tutela forte. Prima della Siae nacque la società degli autori francesi e andò così; tre autori pranzarono in un gran ristorante di Parigi e al momento del conto non pagarono dicendo: voi sfruttate la nostra musica e noi sfruttiamo la vostra cucina. Con i social bisogna fare la stessa cosa. Sono un danno per la musica perché non riconoscono i dritti degli artisti”.

E a conclusione del suo dialogo, Mogol vuole concludere con un messaggio per il futuro: “dobbiamo avere due convinzioni: accettare qualsiasi cosa il destino ci riservi perché questo vale più di una preghiera; essere consapevoli che al momento di andarcene l’unica cosa che portiamo via e per la quale saremo giudicati è come abbiamo agito nella vita. Se siamo intelligenti dobbiamo dimostrare di aver vissuto degnamente. Tutto il resto è polvere”.

Fonte: Il Sussidiario

https://midiconoche.com/2017/01/12/hegel-e-battisti-cosa-hanno-in-comune/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network

PINO SCOTTO, CONTRO TUTTO E TUTTI

Il famoso rocker ed ex-leader dei Vanadium Pino Scotto, nato a Monte di Procida vicino Napoli l’11 Ottobre 1949. Oggi è un 73enne in splendida forma!
http://www.metalhammer.it/interviste/2018/04/18/pino-scotto-contro-tutto-e-contro-tutti/

Il 18/04/2018, di Fabio Magliano

L’intervista a Pino Scotto non è mai qualcosa di banale. Perchè volenti o nolenti l’ex singer dei Vanadium è tutto fuorchè una persona banale, perchè ciò che dice, tra un insulto e un improperio arriva sempre diritto al centro come una pallottola, ma soprattutto perchè le sue uscite saranno condivisibili o meno, però hanno il merito di fare parlare, di fare discutere e, soprattutto, di fare riflettere. Sempre in guerra contro tutto e contro tutti, il buon Pino oggi non si limita a lanciare i suoi strali attraverso radio e televisioni, ma è tornato a riversare la sua rabbia anche in ciò che sa fare meglio: la musica, confezionando per Nadir un nuovo lavoro, ‘Eye For An Eye’, nel quale trova sfogo tutta la sua incazzatura, attorno alla quale è stata tessuta una perfetta colonna sonora che attinge a piene mani dal miglior rock d’annata. Un’occasione perfetta, questa, per intavolare una lunga chiacchierata con il singer partenopeo, un faccia a faccia che non poteva e non doveva limitarsi ad un discorso puramente musicale, visti gli svariati fronti che vedono coinvolto Pino Scotto, quindi spazio alle sette note, ma largo anche a Cristina Scabbia, Al Bano e The Voice, alla politica, ai progetti umanitari e a quei rocker che troppo presto hanno salutato questa terra…

Come ho scritto in fase di recensione, il disco fa incazzare perchè è uno di quei lavori che ti riconcilia con il caro e vecchio rock, eppure finirà per passare in secondo piano davanti alle tue sparate televisive e agli strali che lanci da sempre verso tutto e verso tutti…
“Io ci tengo al mio lato televisivo. Io non ho mai preso un euro dalle mie apparizioni televisive né da quelle radiofoniche, io lo faccio solo per passione. Poi bisogna dire che quello che si vede in televisione sono sempre io, un italiano incazzato con questo Paese di merda, che per colpa della massa ha mandato a puttane arte, dignità, onestà, politica… Quello che si vede è il Pino uomo, poi c’è il Pino musicista…”

…che rischia di uscire svilito da questo confronto perché nonostante decenni passati sui palchi di tutta Italia e in sala di incisione a registrare ottimi lavori, tutti parlano di te come quello del “datti fuoco” e del “vai a fare in culo papà di Jimme”…
“Ma quella è la massa italiana che non capisce e non capirà mai un cazzo. Non puoi farci niente, non li cambi. Come la gente che continua a credere ancora che Berlusconi possa essere un politico, come la gente che continua a votare ancora quella politica che li ha fregati per quarant’anni, come la gente che crede che Salvini sia il salvatore del popolo, specialmente in Meridione dove fino a qualche anno fa la cosa più gentile che diceva era ‘i meridionali puzzano e devono essere bruciati vivi’. Purtroppo non ce la fai a cambiare la testa della gente, ma a me di quello che pensa la gente non frega e non è mai fregato un cazzo. Io al mattino quando mi alzo ho una faccia sola da lavare, nel bene e nel male. Mi sono sempre esposto e l’ho fatto anche con i testi in questo album”.

Quindi addentriamoci e partiamo proprio da ‘Eye For An Eye’, un titolo che se non suona come una minaccia, poco ci manca…
“Qualcuno ha detto che ‘Eye For An Eye’ è un messaggio violento. Violento un cazzo, gli italiani si sono rotti i coglioni, e bisogna restituire al quadrato, al cubo a quella gente tutto quello che ci ha fatto nel corso degli anni. Basta, occhio per occhio, questo è il messaggio. In ‘Two Guns’ invece mi sono esposto in modo molto forte: se tu vieni in casa mia non invitato a rubare, sappi che io non ho una ma due pistole, quindi tu entri in piedi ma non so come esci da casa mia. Non esiste che ci siano queste leggi di merda in Italia che se tu entri in casa mia io ti devo chiedere che cosa vuoi fare… in piena notte, magari mentre ho moglie e figli nel letto che dormono. Questa gente dell’Est che ha massacrato di botte intere famiglie nelle ville della Bergamasca e del Veneto per rubare un pugno di euro… Se tu vuoi entrare in casa mia, io ho due pistole che ti aspettano. Sappilo…”

Un’altra traccia dal titolo che ben poco spazio lascia all’interpretazione è ‘One Against the Other’…
“In questo pezzo ho parlato di chi si fa sopraffare dai falsi ideali, dall’inutilità della vita. Non parlo altro che della guerra dei poveri. Ci facciamo guerra tra di noi senza capire invece che il male sta da un’altra parte.”

Con ‘Angel Of Mercy’ invece si entra nel personale. Ti metti a nudo e lo fai con un brano decisamente toccante…
“Io ho sempre fatto delle ballad nei miei dischi, sin dai tempi dei Vanadium, ma non ho mai scritto di una donna. Questa volta, invece, in ‘Angel Of Mercy’ l’ho fatto, ma l’ho fatto perchè la canzone è dedicata a mia mamma che ci ha lasciato due anni fa e non pensavo che mi sarebbe mancata così tanto. E’ mancata a 90 anni, la sua vita l’ha fatta. E’ stata una donna meravigliosa che ha avuto cura di noi cinque figli, con mio padre che è morto giovanissimo ed è stata una mamma stupenda. Mi manca, mi manca davvero tantissimo.”

Uno dei pezzi che più ho apprezzato del tuo ultimo disco è ‘Cage Of Mind’, forse uno dei brani più strani all’interno del lavoro, quello che stilisticamente si discosta maggiormente da quel rock selvaggio che caratterizza ‘Eye For An Eye’ ma che, alla luce dei fatti, funziona decisamente bene…
“‘Cage Of Mind’ parla delle gabbie in cui a volte ci chiudiamo. Io sciolti i Vanadium avrei potuto benissimo fare un disco in quello stile ma con su il mio nome, ed invece mi sono messo a cantare in italiano e mi sono dato al blues e al rock’n’roll… Io non sono come quelle band che si fossilizzano su uno stile e che vanno avanti su quel binario, con tutto quello che di buono c’è attorno. E’ assurdo fare dei dischi sempre uguali, quando hai un mondo a disposizione dal quale attingere. Questa volta ho voluto fare un disco di sano hard rock vecchio stile, con canzoni da cantare, con belle melodie, come non se ne fanno più da tempo. E neanche le band famose lo fanno più…i soldi, il successo è quello che fa male. Come quando ho cercato di contaminare un po’ il rock con rap collaborando con J-Ax, con Caparezza, con i Club Dogo… secondo me erano ottimi brani, ma in Italia guai a proporre una cosa simile, perché non devi contaminarti, non devi cambiare… cazzo, io dopo due giorni mi rompo le palle… sai perché io non leggo mai le biografie dei grandi artisti? Perché dopo tre pagine mi rendo conto che hanno fatto tutto quello che ho fatto io, uguale… stessa sofferenza, stesse gioie, stesso percorso…a parte qualcuno che si è perso in brutte cose. Ci sono caduto anche io, però fortunatamente oggi sto bene.”

Cambiando discorso e addentrandoci in un terreno minato. Negli anni ti sei sempre scagliato contro i talent musicali. Ora che la tua amica Cristina Scabbia è stata chiamata a far da giudice a The Voice, è cambiata la tua opinione riguardo questi format?
“Secondo me hanno chiamato Cristina per far diventare anche il mondo del metal un fenomeno da baraccone. Io ti dico solo questo: anni fa un talent molto grande mi aveva chiamato, ed io avrei accettato. Io ho in piedi il progetto umanitario Rainbow a favore dei bambini disagiati, e visto che in ballo c’erano cifre grosse, a cinque zeri, avevo chiesto che tre quarti del mio compenso venissero destinati a quel progetto. Poi ho chiesto di poter decidere io che giudici coinvolgere, e ho detto che non avrei voluto karaoke li dentro, con gente che veniva a scimiottare questo o quel cantante. Volevo artisti veri, con qualcosa da dire, in grado di scrivere e cantare le proprie canzoni. Mi sono sentito dire ‘Pino, se facciamo così non ci guarda nessuno’. E avevano ragione loro. Perché la gente, come nei locali, vuole le tribute band, non gli interessa la vera musica.”

Non pensi invece che un personaggio come Cristina possa fungere da “cavallo di Troia” per portare il rock e il metal attraverso un format popolare come The Voice, là dove rock e metal solitamente non sarebbero entrati, facendolo conoscere, portandolo alla ribalta e portando quindi giovamento a tutto il movimento?
“Sai cosa succederà? Succederà quello che è successo a me: la gente non parlerà di Cristina per quanto è brava (perchè lei è molto brava), ma delle cazzate che fa in televisione, come le corna che fa con Al Bano. Al Bano…se penso che qualche anno fa sono andato a suonare a Cellino San Marco e lui se ne era uscito dicendo che facevamo la musica di Satana, e ora lo vedo li che fa le corna con Cristina, mi viene voglia di mandarlo affanculo… Succederà quello, che anche i bimbi minchia che guardano The Voice, gente che non sa cosa è il metal o il rock, parleranno di Cristina come ‘quella che fa le corna con Al Bano’…è questo lo scopo di questa trovata, e diventerà un fenomeno da baraccone anche questo”.

Rimanendo in tema di quella “mercificazione del metal” che, personalmente, mi crea non poco fastidio, che idea ti sei fatto della nuova tendenza di “riesumare” cantanti defunti e riportarli in tour sotto forma di ologramma? Lo hanno fatto con Freddie Mercury, lo hanno fatto con Ronnie James Dio…e l’onda non pare volersi arrestare…
“È una cosa pietosa, il peggiore schifo del business. È un offesa alla memoria di questi cantanti. È giusto che vivano nei nostri ricordi una volta scomparsi, mentre in questo caso si sfrutta in modo schifoso la loro immagine. Io ricordo la prima volta che ho incontrato Ronnie James Dio, ad un Monsters of Rock a Reggio Emilia…TV Sorrisi e Canzoni mi aveva stampato delle cartoline promozionali e Ronnie me lo sono trovato davanti al camerino, dopo la mia esibizione, con una di quelle cartoline a chiedermi l’autografo. Io mi sono messo in ginocchio davanti a lui, altroché… una persona di una gentilezza, di un’umiltà, un rispetto per i fan immenso. Tanto basso di statura quanto grande di cuore… E poi lui aveva ancora una voce eccezionale, fino alla fine. Ci sono cantanti che non ce la fanno più, né dal vivo né su disco e se ne vanno in giro ragliando alla faccia dei fan che non capiscono nulla. Invece Ronnie se n’è andato con la stessa voce del primo giorno. Un grande”.

Rimanendo in tema artisti scomparsi, so che la morte di Lemmy è uno di quegli eventi che ti ha particolarmente colpito e che, a modo suo, ti ha cambiato la vita…
“Si, è vero. È da quando è morto Lemmy che non tocco più nulla. Prima bevevo due bottiglie di Jack al giorno, poi quando è mancato ho detto basta, ed ora sto bene. Io mi conoscevo con Lemmy sin dal 1985 quando facemmo il primo tour insieme con i Vanadium, e lui è rimasto sempre uguale. E’ uno dei pochi che è rimasto sempre coerente nei discorsi con se stesso, nelle passioni…e quando è morto mi è mancato tantissimo, come se mi fosse mancato un fratello. Noi avevamo suonato insieme l’anno prima a Milano e si stava già spegnendo. Io la bestia la conosco purtroppo bene, ho visto mio padre, mia nonna morire di quel male…era spento, eppure l’orgoglio, la passione, la voglia di non mollare fino alla fine non lo ha mai abbandonato”.

Cambiando discorso. Tu sei da sempre molto impegnato nel campo del sociale…
“Il cuore viene prima di tutto. Ci vuole passione, rispetto, anima…tutte cose che la razza umana si è dimenticata di avere. Noi ci lamentiamo di dove viviamo e dimentichiamo che c’è un Terzo Mondo dove i bambini muoiono come mosche, per strada, di malattie assurde, e il mondo, Papa compreso, se ne frega. Io vengo in un paesino in provincia di Napoli, Monte di Procida, e la sera, quando ero ragazzino, mi mettevo sulla loggia insieme a mio nonno, lui fumava la pipa e mi raccontava le storie della guerra. E quando parlava degli esseri umani mi diceva ‘ma sta gente e’merda, o’sanno ch’hanno a’murì?’. Mio nonno aveva già capito tutto e purtroppo la razza umana non lo ha smentito. Guarda cosa sta capitando con la Siria…non c’è mai limite all’orrore”.

…l’ultimo progetto che ti ha visto coinvolto è stato il Rainbow Project, un progetto di educazione, sanità e sviluppo umano nelle comunità indigene della Cambogia, Guatemala e Belize. Come sei entrato in contatto con questa realtà?
“Io sin dagli anni Settanta ho sempre fatto parte di progetti benefici…per tredici anni ho fatto parte di un altro progetto che non voglio nominare, rinunciando ai miei concerti per dedicarmi a loro, ma va beh…comunque qualche anno fa ho conosciuto la dottoressa Caterina Vetro e lei che già partecipava a missioni umanitarie un giorno è andata in Guatemala e qui ha conosciuto Padre Sergio, un sacerdote che era venuto in Italia per fare carriera ecclesiastica ma dopo due anni in Vaticano se ne era scappato disgustato. Ritornato in Guatemala ha aperto una scuola in un luogo dove c’è una grande discarica e dove i bambini lavorano per un dollaro al giorno, anche 12 ore di fila in mezzo all’immondizia e ad elevatissimo rischio di malattie. Insieme a Padre Sergio là, dove c’è la discarica, è stata costruita una clinica per dare un primo soccorso a quei bambini. Io dall’Italia ho fatto la mia, ho organizzato concerti coinvolgendo amici, da Enrico Ruggeri a Caparezza ai Modena City Ramblers e tutti hanno risposto con il cuore e con i soldi raccolti abbiamo dato una mano a Padre Sergio con la sua clinica, abbiamo aperto una scuola di musica in Belize…con poco si possono fare tante cose, ma purtroppo il mondo se ne fotte, e secondo me tutti i progetti umanitari alla fine fanno sparire il 70% delle donazioni e a chi ha realmente bisogno arrivano le briciole”.

In chiusura, sono andato a scorrere le date del tuo nuovo tour e ho visto che non ti è passata la voglia di esibirti in ogni angolo di Italia, anche nei locali più piccoli e fuori mano. Non hai mai pensato di dedicarti unicamente a date selezionate, magari in eventi mirati visto che le richieste non ti mancano?
“Non mi è mai interessato, perché quello che muove tutto è semplicemente la passione. La voglia di suonare, di cantare, va oltre le dimensioni del palco. Può essere quello del Gods Of Metal come quello di un piccolo pub, non me ne fotte un cazzo, a me basta suonare”.

Fonte: Metalhammer

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

ROGER WATERS: “LOCKDOWN SESSIONS” IN CD & VINILE!

Roger Waters pubblicherà a Giugno un nuovo mini-album intitolato The Lockdown Sessions.

Si tratta di ri-registrazioni di vecchie canzoni, tre delle quali tratte da The Wall dei Pink Floyd, due dall’ultimo album dei Floyd con Roger Waters, The Final Cut del 1983 e un brano (“The Bravery of Being Out of Range”) dall’album solista di Waters Amused to Death del 1992.

Anche se “Lockdown Sessions” fa pensare a performance acustiche solitarie e spogliate, in realtà non è così. Queste registrazioni sono state prodotte da Roger Waters e Gus Seyffert e hanno visto la partecipazione di tutti i musicisti. Gli interpreti sono: Roger Waters – voce, chitarra e pianoforte; Gus Seyffert – basso, violoncello e voce; Joey Waronker – batteria e percussioni; Dave Kilminster – chitarra e chitarra ritmica; Jonathan Wilson – chitarra e voce; Jon Carin – tastiere e voce, Lucius (Jess Wolfe e Holly Laessig) – voce; Bo Koster – Hammond (in tutti i brani tranne “Mother”) e Ian Ritchie – sassofono (“Two Suns In The Sunset”).

Waters ha commentato: “Il nostro Us and Them Tour è durato tre anni… A ogni concerto facevamo un bis dopo che lo show principale si chiudeva con Comfortably Numb… il bis era sempre Mother… Non ricordo perché ho deciso di iniziare a fare altre canzoni.. Comunque, a un certo punto dopo la fine del tour… ho iniziato a pensare: “Potrebbero fare un album interessante, tutti quei bis”… “The Encores”. “Sì, suona bene!”. Poi… mi ritrovo in Inghilterra a fare il concerto tributo a Ginger Baker un martedì sera all’Hammersmith Odeon con Eric Clapton e… il sabato successivo a marciare dall’ambasciata australiana a Piazza del Parlamento per fare un discorso a sostegno di Julian Assange, quando, porca miseria, Covid… Schlummmm! Per me è stato venerdì 13 marzo 2020. Chiusura! Alla faccia del progetto “Encores”. A meno che… Abbiamo aggiunto C. Numb alla fine della raccolta, come punto esclamativo appropriato per chiudere questo cerchio d’amore“.

Per le canzoni sono stati realizzati dei video, prodotti e diretti da Sean Evans. This Is Not A Drill di Roger è attualmente in tournée in Europa e sappiamo che ha altre registrazioni in attesa di essere pubblicate, in particolare la sua rielaborazione di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.

The Lockdown Sessions uscirà in CD Vinile il 2 Giugno 2023, via Colubmia/Sony Music.

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Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus