4 Luglio 2023
Gli automobilisti percepiscono i ciclisti come “non umani”? Questa è la triste conclusione di uno studio scientifico australiano. Perché gli automobilisti percepiscono i ciclisti come “non umani” e che implicazione ha questo sulla sicurezza stradale?
Pedali su bici da corsa e indossi il casco? Sei un “non umano”
Lo studio è “The effect of safety attire on perceptions of cyclist dehumanisation” (Transportation Research Part F: Traffic Psychology and Behaviour, 2023). Gli studiosi australiani hanno intervistato 563 automobilisti. Da queste interviste è emerso che gli automobilisti ritengono che i ciclisti non siano degli esseri umani ma dei semplici “intralci” sulla strada, allo stesso modo di un semaforo o di una rotonda. Ma questa non è una novità: chi di noi ciclisti non ha mai vissuto il pericolo di un’auto che sterza all’improvviso e rischia di travolgerci e il conducente ci urla “non ti ho visto”?
Quel “non ti ho visto” non dipende solo dal mare di distrazioni che l’automobile moderna propone al conducente o al fatto che il cuore di un’automobilista batta così intensamente da attivare una risposta fuggi o lotta del sistema nervoso. Quel “non ti ho visto” nasce dal fatto che gli automobilisti percepiscono i ciclisti come “non umani”, quindi come un qualcosa che non dovrebbe essere sulla strada. E questo fa sì che l’attenzione dell’automobilista non si concentri sulla bicicletta che si trova a fianco all’automobile.
Lo studio però sottolinea che la deumanizzazione del ciclista – da parte di chi guida un’auto – aumenta in due casi:
- Quando il ciclista è vestito in maniera sportiva. Quando sono state mostrate agli automobilisti delle foto di ciclisti differenti, la massima deumanizzazione veniva percepita quando questo indossava abiti in lycra. I ciclisti stradisti vengono infatti percepiti come meno umani dei ciclisti urbani;
- Se il ciclista indossa il casco. Il casco infatti tende a occultare il viso, gli occhi e la testa, che sono considerati inconsciamente come segni di umanità. Il fatto che il caschetto riduca la percezione di umanità del ciclista paradossalmente aumenta il rischio di investimento anziché ridurlo.
Il pericolo della deumanizzazione del ciclista
Dallo studio si può comprendere come misure quali l’obbligatorietà del casco, tanto cara al nostro ministro dei trasporti Matteo Salvini, oltre ad essersi rivelata una mossa controproducente dove è stata implementata, portando a una riduzione del numero di ciclisti, non apporta una soluzione concreta al tema dell’incidentalità. (FALSO! Il casco se reso obbligatorio, può salvare la vita a migliaia di ciclisti urbani e sportivi, lungo le strade italiane: su questo punto il sottoscritto Alessio Brancaccio non è d’accordo né con Bike Italia né con FIAB Italia in merito alla racomandazione all’uso del casco protettivo e resta dello stesso parere del Ministro Salvini circa l’introduzione dell’obbligo, pur non potendolo vedere per questioni politiche, ma per questioni legate alla sicurezza dei ciclisti su strade italiane che ad oggi non sono mai state a prova di ciclisti, si è sulla stessa linea di pensiero, tendo bene a specificare questo punto che per me è essenziale, dal momento che io sono vivo per miracolo proprio grazie all’aver avuto in testa un ottimo casco, dopo aver subito una caduta in bicicletta da corsa il 19 Aprile 2019, lungo la SS5 Tiburtina Valeria ad Avezzano nella Marsica in Abruzzo).
Infatti la diffusione dell’obbligatorietà del caschetto tenderà a rendere meno umano il ciclista da parte dell’automobilista e allo stesso tempo ad aumentare la percezione di sicurezza di quest’ultimo. In sostanza, incosciamente, l’automobilista, vedendo il ciclista con il caschetto, si sentirà più sicuro nel fare manovre avventate, poiché presupporrà che il ciclista sia più “sicuro”.
Oltre a questo nasce un altro problema: come racconta benissimo l’antropologo Robert Sapolsky nel libro “Behave: The Biology of Humans at Our Best and Worst”, la deumanizzazione è la base dei comportamenti violenti verso una determinata categoria di persone. In passato è successo con l’Olocausto degli ebrei durante il nazismo, con l’eccidio degli armeni da parte degli ottomani durante la prima guerra mondiale o con la brutale pulizia etnica in Rwanda. Le persone vittime di queste brutalità non erano più mostrate come persone bensì come non umani (i nazisti chiamavano gli ebrei “untermenschen”, cioè sub-umani). Non si trattava più di Mario, Filippo, Rachele ma di un ebreo, un’armena, un tutsi. La deumanizzazione e la spersonalizzazione di questi gruppi ha legittimato rabbia e azioni violente, poiché non veniva più compiute contro persone reali ma contro “oggetti”.
E lo stesso potrebbe avvenire con i ciclisti. Ogni mattina, quando salgo in bici per venire al lavoro, per l’automobilista medio io non sarò Omar, uomo di 38 anni, papà di Fabio, marito di Elena, specialista nel ciclismo per Bikeitalia, bensì sarò “un ciclista” che occupa la strada, che impedisce di arrivare in tempo all’appuntamento e che quindi deve essere punito.
Gli automobilisti percepiscono i ciclisti come “non umani”?
Dallo studio australiano pare proprio di sì. Ve lo ricordate il comico Omar Fantini che aveva basato un intero sketch sul fatto che avrebbe avuto gusto nel montare un mirino sul suo Mercedes e colpire uno per uno tutti i ciclisti sulla strada? Ecco, quello è un caso emblematico di deumanizzazione.
E ciò che emerge dallo studio è che non sarà obbligarci a mettere casco, luci e frecce a risolvere il problema della sicurezza dei ciclisti sulle strade italiane.
Autore: Omar Gatti
Fonte: Bikeitalia
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus