COP28

IL PRESIDENTE DELLA COP28 E’ IL CAPO DELLA COMPAGNIA PETROLIFERA DEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Il sultano Ahmed Al Jaber, Chief Executive Officer (CEO) della Abu Dhabi National Oil Co. (ADNOC), è il Presidente della COP28 di Dubai 
https://www.lifegate.it/ahmed-al-jaber-presidente-cop28

12 Gennaio 2023 di Tommaso Perrone

Il sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato del gigante petrolifero degli Emirati Arabi Uniti, la Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC)è stato nominato presidente della Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite sul Clima che si terrà a Dubai dal 30 Novembre al 12 Dicembre 2023. È la prima volta che il leader di una società privata guida una COP.

Al-Jaber, già ministro dell’Industria e della Tecnologia e inviato speciale per il clima degli Emirati Arabi Uniti, ora ha il compito di stendere l’agenda della COP28, giocando un ruolo centrale nei negoziati. E quindi raggiungere un consenso sui punti principali, come la riduzione delle emissioni di CO2, l’abbandono progressivo dei combustibili fossili e la messa a terra del nuovo fondo per le perdite e i danni (loss and damage) approvato alla Cop27 di Sharm el-Sheik.

Anche se gli Emirati sono stati il primo paese della regione ad aver ratificato l’Accordo di Parigi sul clima, è inevitabile sottolineare i dubbi e le perplessità sul fatto che il capo di una compagnia petrolifera possa guidare in modo imparziale dei negoziati che hanno come obiettivo la messa al bando di carbone, petrolio e gas.

Nave raffinatrice di petrolio FPSO lunga 330 metri, dalle dimensioni di una portaerei da guerra che sarebbe stata posizionata a soli 6,5 km dalle coste di Vasto in Abruzzo, Italia, a deturpare il paesaggio ma soprattutto ad inquinare uno dei più bei mari di tutta Italia!
http://www.nuovosensocivico.it/ombrina-mare/

Terremoto alla Cop28, il presidente della Conferenza sul Clima Al Jaber difende le fonti fossili. Scontro Emirati-Onu

Eccolo il vero volto della Conferenza Mondiale sul Clima COP28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti
https://www.repubblica.it/esteri/2023/12/03/news/cop_28_dubai_al_jaber_difende_fonti_fossili-421563422/

COP28 UN Climate Change Conference 2023

https://pathforwalkingcycling.com/cop28/

Open letter

The Partnership for Active Travel and Health (PATH), with the undersigned organisations, calls on the UNFCCC, governments and negotiators of the COP28 climate conference to give more priority and investment in walking and cycling to significantly accelerate progress on climate goals and improve people’s lives.

Enabling more people to walk and cycle safely is crucial to decarbonising transport and achieving the Paris Agreement on Climate Change. As PATH’s research demonstrates, the potential for replacing motorised vehicle trips with walking and cycling is huge and within our grasp. Yet active transport still lacks priority in the UNFCCC and wider climate agenda and in commitments in countries’ Nationally Determined Contributions (NDCs).

Although PATH’s latest research on national policy frameworks shows growing momentum for walking and cycling, with two thirds of UNFCCC countries having some kind of active travel policy in place, a closer analysis reveals that much more ambition, action and investment is needed almost everywhere to effectively unlock walking and cycling’s enormous potential to fast track the reduction of transport emissions, air pollution, traffic congestion and road casualties, and at the same time deliver improved public health, stronger economies and fairer societies.

PATH urges the UNFCCC to place a higher priority on walking and cycling in climate negotiations, and urges UNFCCC countries to develop their national policies and NDCs with a common vision: to encourage and enable people to have safe, accessible, comfortable, and enjoyable walking and cycling experiences to mitigate climate change, support public transport, reduce emissions, benefit public health, and create vibrant and inclusive societies.

Enabling more people to walk and cycle safely is a quick, affordable and reliable way to help reduce transport emissions by as much as 50% when the following key actions are adopted in national policies and anchored in their NDCs:

  • Infrastructure – to make walking and cycling safe, accessible and easy to do.
  • Campaigns – to support a shift in people’s mobility habits.
  • Land use planning – to ensure proximity and quality of access to everyday services on foot and by bicycle.
  • Integration with public transport – to underpin sustainable mobility for longer trips.
  • Capacity building – to enable the successful delivery of effective walking and cycling strategies that have measurable impact.

PATH has created the Active Mobility Policy Template to assist governments in developing more effective national walking and cycling policies, reflected in their updated NDCs in advance of the 2025 deadline. Countries are also encouraged to use the template when evaluating their progress in the COP28 global stocktake towards meeting the goals of the Paris Agreement, identifying gaps, strengthening their commitments and taking more decisive action.

We are convinced that placing walking and cycling at the very heart of policies and commitments to address climate change is a fast-track way to achieve urgent climate goals. PATH and its supporters stand ready to support the UNFCCC Parties in this process.

Sottoscrizione della Fondazione Michele Scarponi Onlus alla lettera scritta alla ECF e presentata alla Conferenza Mondiale sul Clima COP28 di Dubai negli Emirati Arabi Uniti (EAU)

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

STANNO UCCIDENDO L’AMAZZONIA

Cari avaaziani,
L’Amazzonia non sta morendo. La stanno uccidendo.

Da 6mila anni, il mio popolo ama e rispetta questa foresta, la più grande manifestazione della vita sul nostro Pianeta. Ma le compagnie petrolifere tutto questo non lo vedono. Trivellano proprio dove è più vitale, riversando la loro nera morte nei nostri fiumi e peggiorando la febbre della Terra. Stanno uccidendo la foresta e tutta la vita che ospita. Ora queste gigantesche compagnie si preparano a “oliare” le trattative durante la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che inizia questa settimana. A guidare la COP di Dubai, assurdo, ci sarà il capo di un colosso del petrolio. E centinaia di lobbisti si preparano a festeggiare.

Non possiamo lasciare che siano loro a parlare per l’Amazzonia.

Le trattative stanno per cominciare, ma noi abbiamo un intrepido piano per intervenire con le nostre voci a sua difesa, perché non solo viviamo nella foresta, ma siamo parte di essa. I Suruí, i Baniwa, i Karipuna, gli Ashinka e molte altri popoli indigeni vogliamo essere TUTTI ascoltati.

Se raccoglieremo abbastanza, potremo mandare al vertice una delegazione di leader indigeni, fiancheggiati da campaigner di Avaaz, per affrontare faccia a faccia i governi e opporci alle più imponenti aziende al mondo davanti alle telecamere. Ma non lasciarci soli in questa impresa.

Ti chiedo di sostenere la ribellione indigena contro i combustibili fossili nell’Amazzonia. Nessuno si batterà quanto noi. Dona ciò che puoi ora con un solo click.

https://secure.avaaz.org/campaign/it/all_out_for_amazon_loc/?bXYtkdb

Mio padre era il grande capo Almir Suruí, lui mi ha insegnato ad ascoltare le stelle, il vento, gli animali e gli alberi. Ora, stanno invocando aiuto insieme a noi.

Il clima ci sta avvertendo. Gli animali stanno scomparendo e le nostre piante non fioriscono più come un tempo. In Amazzonia ci sono più specie di piante di quante stelle nel firmamento, e guarda cosa gli stanno facendo!

La comunità di Avaaz è stata un fedele alleato nella lotta per salvare la foresta. Avete sostenuto le comunità indigene per aiutarci a manifestare, pianificare e parlare con la forza coesa di un’unica voce. Ora abbiamo bisogno del vostro aiuto per far entrare la nostra voce nelle stanze del potere, da soli non ce la faremo. Con il tuo sostegno, Avaaz potrà:

  • Portare le potenti voci degli indigeni direttamente dall’Amazzonia alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Clima;
  • Organizzare azioni incisive per attrarre l’attenzione dei media presenti al vertice, per inserire a tutti i costi le tutele per l’Amazzonia nell’agenda politica;
  • Far fiancheggiare i leader indigeni da brillanti campaigner di Avaaz: per aiutare a vincere le tutele legali sulle terre dell’Amazzonia.
  • Permettere alle comunità dell’Amazzonia di partecipare a tutte le trattative chiave del prossimo anno: lotteremo per la difesa della foresta ad ogni occasione; e
  • Finanziare la campagna di Avaaz per la difesa dell’Amazzonia, costruendo una squadra di campaigner ed esperti legali per contrastare l’industria mineraria, petrolifera e del legname.

L’Amazzonia è l’ecosistema più complesso della Terra e la mia gente fa parte della stessa trama. Se la foresta viene colpita a morte, lo siamo anche noi. Il destino dell’Amazzonia è in pericolo e ci devono dare ascolto.

L’Amazzonia non ha solo bisogno di eroi; ha bisogno di voci sagge. Voci che risuonano della profondità della foresta e delle acque cristalline che la sostengono. Non è mai stato così urgente e dobbiamo continuare ad essere presenti. La sopravvivenza dell’Amazzonia dipende ora dalla nostra unità e il tuo sostegno potrebbe contribuire a innescare una rivolta storica per salvarla.

Per la vita selvatica,

Txai Suruí, della comunità indigena Paiter Suruí del Brasile, e tutto il team di Avaaz

Txai Suruí è un’attivista di 26 anni, ambientalista, protettrice della terra e sostenitrice dei diritti delle popolazioni indigene. Le terre della sua comunità sono tra le più devastate dagli impatti del cambiamento climatico. Ha fondato il Movimento giovanile indigeno di Rondônia, che riunisce i giovani del suo Stato, e coordina l’Associação de Defesa Etnoambiental-Kanindé, un’organizzazione comunitaria che lavora con le popolazioni indigene da oltre 30 anni.

Maggiori informazioni:

  1. AIl presidente della Cop28 è il capo della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti ((Lifegate)
  2. Perché la Foresta Amazzonica è più importante di quanto pensiamo, e come salvarla  (Fan Page)
  3. L’Amazzonia verso il punto di non ritorno entro il 2064, se non si ferma la deforestazione  (Ohga)
  4. Stop di Petrobras in Amazzonia, gli ambientalisti dicono no  (Oilgasnews)
  5. Cop28: Paesi divisi sul futuro del fossile  (La Svolta)
  6. Kanindé (in portoghese, spagnolo e inglese) Associazione di difesa etnoambientale
Cari avaaziani,
L’Amazzonia non sta morendo. La stanno uccidendo.

Da 6mila anni, il mio popolo ama e rispetta questa foresta, la più grande manifestazione della vita sul nostro Pianeta. Ma le compagnie petrolifere tutto questo non lo vedono. Trivellano proprio dove è più vitale, riversando la loro nera morte nei nostri fiumi e peggiorando la febbre della Terra. Stanno uccidendo la foresta e tutta la vita che ospita. Ora queste gigantesche compagnie si preparano a “oliare” le trattative durante la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che inizia proprio domani. A guidare la COP di Dubai, assurdo, ci sarà il capo di un colosso del petrolio. E centinaia di lobbisti si preparano a festeggiare. Non possiamo lasciare che siano loro a parlare per l’Amazzonia.

Le trattative stanno per cominciare, ma noi abbiamo un intrepido piano per intervenire con le nostre voci a sua difesa, perché non solo viviamo nella foresta, ma siamo parte di essa. I Suruí, i Baniwa, i Karipuna, gli Ashinka e molte altri popoli indigeni vogliamo essere TUTTI ascoltati.Se raccoglieremo abbastanza, potremo mandare al vertice una delegazione di leader indigeni, fiancheggiati da campaigner di Avaaz, per affrontare faccia a faccia i governi e opporci alle più imponenti aziende al mondo davanti alle telecamere. Ma non lasciarci soli in questa impresa.
Ti chiedo di sostenere la ribellione indigena contro i combustibile fossili nell’Amazzonia. Nessuno si batterà quanto noi. 

Mio padre era il grande capo Almir Suruí, lui mi ha insegnato ad ascoltare le stelle, il vento, gli animali e gli alberi. Ora, stanno invocando aiuto insieme a noi.

Il clima ci sta avvertendo. Gli animali stanno scomparendo e le nostre piante non fioriscono più come un tempo. In Amazzonia ci sono più specie di piante di quante stelle nel firmamento, e guarda cosa gli stanno facendo!

Foto: @chamiltonjames

La comunità di Avaaz è stata un fedele alleato nella lotta per salvare la foresta. Avete sostenuto le comunità indigene per aiutarci a manifestare, pianificare e parlare con la forza coesa di un’unica voce. Ora abbiamo bisogno del vostro aiuto per far entrare la nostra voce nelle stanze del potere, da soli non ce la faremo. Con il tuo sostegno, Avaaz potrà:

  • Portare le potenti voci degli indigeni direttamente dall’Amazzonia alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Clima;
  • Organizzare azioni incisive per attrarre l’attenzione dei media presenti al vertice, per inserire a tutti i costi le tutele per l’Amazzonia nell’agenda politica;
  • Far fiancheggiare i leader indigeni da brillanti campaigner di Avaaz: per aiutare a vincere le tutele legali sulle terre dell’Amazzonia.
  • Permettere alle comunità dell’Amazzonia di partecipare a tutte le trattative chiave del prossimo anno: lotteremo per la difesa della foresta ad ogni occasione; e
  • Finanziare la campagna di Avaaz per la difesa dell’Amazzonia, costruendo una squadra di campaigner ed esperti legali per contrastare l’industria mineraria, petrolifera e del legname.

L’Amazzonia è l’ecosistema più complesso della Terra e la mia gente fa parte della stessa trama. Se la foresta viene colpita a morte, lo siamo anche noi. Il destino dell’Amazzonia è in pericolo e ci devono dare ascolto.

L’Amazzonia non ha solo bisogno di eroi; ha bisogno di voci sagge. Voci che risuonano della profondità della foresta e delle acque cristalline che la sostengono. Non è mai stato così urgente e dobbiamo continuare ad essere presenti. La sopravvivenza dell’Amazzonia dipende ora dalla nostra unità e il tuo sostegno potrebbe contribuire a innescare una rivolta storica per salvarla.

Per la vita selvatica,

Txai Suruí, della comunità indigena Paiter Suruí del Brasile, e tutto il team di Avaaz

Txai Suruí è un’attivista di 26 anni, ambientalista, protettrice della terra e sostenitrice dei diritti delle popolazioni indigene. Le terre della sua comunità sono tra le più devastate dagli impatti del cambiamento climatico. Ha fondato il Movimento giovanile indigeno di Rondônia, che riunisce i giovani del suo Stato, e coordina l’Associação de Defesa Etnoambiental-Kanindé, un’organizzazione comunitaria che lavora con le popolazioni indigene da oltre 30 anni.

English translate

THEY ARE KILLING AMAZON

Dear avaazians,

The Amazon is not dying. They’re killing her. For 6 thousand years, my people have loved and respected this forest, the greatest manifestation of life on our Planet. But the oil companies don’t see all this. They drill right where it is most vital, pouring their black death into our rivers and worsening the Earth’s fever. They are killing the forest and all the life it supports. Now these giant companies are preparing to “grease” negotiations during the United Nations climate conference, which begins this week. The head of an oil giant will lead the Dubai COP, absurdly. And hundreds of lobbyists are preparing to celebrate.

We cannot let them speak for the Amazon. Negotiations are about to begin, but we have a fearless plan to intervene with our voices in its defense, because we not only live in the forest, but we are part of it. The Suruí, Baniwa, Karipuna, Ashinka and many other indigenous peoples ALL want to be heard. If we raise enough, we can send a delegation of indigenous leaders to the summit, flanked by Avaaz campaigners, to confront governments face to face and oppose the world’s biggest corporations in front of cameras. But don’t leave us alone in this endeavor. I ask you to support the indigenous rebellion against fossil fuels in the Amazon. Nobody will fight like us. Donate what you can now with just one click.

https://secure.avaaz.org/campaign/it/all_out_for_amazon_loc/?bXYtkdb

My father was the great leader Almir Suruí, he taught me to listen to the stars, the wind, the animals and the trees. Now, they are crying out for help along with us. The climate is warning us. Animals are disappearing and our plants no longer flower like they used to. There are more species of plants in the Amazon than there are stars in the firmament, and look what they’re doing to it!

The Avaaz community has been a staunch ally in the fight to save the forest. You have supported indigenous communities to help us demonstrate, plan and speak with the cohesive force of one voice. Now we need your help to get our voice into the halls of power, we won’t be able to do it alone. With your support, Avaaz will be able to:

  • Bringing powerful indigenous voices directly from the Amazon to the UN Climate Conference;
  • Organize incisive actions to attract the attention of the media present at the summit, to include protections for the Amazon on the political agenda at all costs;
  • Have indigenous leaders flanked by brilliant Avaaz campaigners: to help win legal protections for Amazonian lands.
  • Allow Amazon communities to participate in all key negotiations next year: we will fight for the defense of the forest at every opportunity;
  • Funding Avaaz’s campaign to defend the Amazon, building a team of campaigners and legal experts to fight the mining, oil and logging industries.

The Amazon is the most complex ecosystem on Earth, and my people are part of the same fabric. If the forest is struck dead, so are we. The fate of the Amazon is in danger and they must listen to us. The Amazon doesn’t just need heroes; it needs wise voices. Voices that resonate with the depths of the forest and the crystal clear waters that support it. It has never been more urgent and we must continue to be present. The survival of the Amazon now depends on our unity, and your support could help spark a historic uprising to save it.

For wild life,

Txai Suruí, from the indigenous Paiter Suruí Brazil community and the entire Avaaz team

The Amazon is not dying. They’re killing her. For 6 thousand years, my people have loved and respected this forest, the greatest manifestation of life on our Planet. But the oil companies don’t see all this. They drill right where it is most vital, pouring their black death into our rivers and worsening the Earth’s fever. They are killing the forest and all the life it supports. Now these giant companies are preparing to “grease” negotiations during the United Nations climate conference, which begins tomorrow. The head of an oil giant will lead the Dubai COP, absurdly. And hundreds of lobbyists are preparing to celebrate. We cannot let them speak for the Amazon. Negotiations are about to begin, but we have a fearless plan to intervene with our voices in its defense, because we not only live in the forest, but we are part of it. The Suruí, the Baniwa, the Karipuna, the Ashinka and many other indigenous peoples ALL want to be heard. If we raise enough, we will be able to send a delegation of indigenous leaders to the summit, flanked by Avaaz campaigners, to face the governments face to face and oppose them to the most impressive companies in the world in front of the cameras. But don’t leave us alone in this endeavor. I ask you to support the indigenous rebellion against fossil fuels in the Amazon. Nobody will fight like us.

My father was the great leader Almir Suruí, he taught me to listen to the stars, the wind, the animals and the trees. Now, they are crying out for help along with us. The climate is warning us. Animals are disappearing and our plants no longer flower like they used to. There are more species of plants in the Amazon than there are stars in the firmament, and look what they’re doing to it!

The Avaaz community has been a staunch ally in the fight to save the forest. You have supported indigenous communities to help us demonstrate, plan and speak with the cohesive force of one voice. Now we need your help to get our voice into the halls of power, we won’t be able to do it alone. With your support, Avaaz will be able to:

Bringing powerful indigenous voices directly from the Amazon to the UN Climate Conference;

Organize incisive actions to attract the attention of the media present at the summit, to include protections for the Amazon on the political agenda at all costs;

Have indigenous leaders flanked by brilliant Avaaz campaigners: to help win legal protections for Amazonian lands.

Allow Amazon communities to participate in all key negotiations next year: we will fight for the defense of the forest at every opportunity; And

Funding Avaaz’s campaign to defend the Amazon, building a team of campaigners and legal experts to fight the mining, oil and logging industries.

The Amazon is the most complex ecosystem on Earth, and my people are part of the same fabric. If the forest is struck dead, so are we. The fate of the Amazon is in danger and they must listen to us.

The Amazon doesn’t just need heroes; it needs wise voices. Voices that resonate with the depths of the forest and the crystal clear waters that support it. It has never been more urgent and we must continue to be present. The survival of the Amazon now depends on our unity, and your support could help spark a historic uprising to save it.

For wild life,

Txai Suruí, from the Paiter Suruí indigenous community of Brazil, and the whole Avaaz team

Txai Suruí is a 26-year-old activist, environmentalist, land protector and advocate for the Rights of indigenous peoples. His community’s lands are among the most devastated by the impacts of climate change. He founded the Indigenous Youth Movement of Rondônia, which brings together young people from his state, and coordinates the Associação de Defesa Etnoambiental-Kanindé, a community organization that has been working with indigenous populations for over 30 years.
Kanindè, Associacao de Defensa Etnoambiental
https://kaninde.eco.br

Perché la Foresta Amazzonica è più importante di quanto pensiamo e come salvarla

La siccità che colpisce la Foresta Amazzonica in questi mesi è diventata un’emergenza, e ci mostra come il polmone verde del pianeta sia sempre più fragile di fronte ai cambiamenti climatici e la deforestazione. Se l’ecosistema amazzonico collassa, la crisi climatica accelererà pericolosamente.

https://www.fanpage.it/attualita/perche-la-foresta-amazzonica-e-piu-importante-di-quanto-pensiamo-e-come-salvarla/

C’è una notizia di enorme importanza, che comprensibilmente fatica a fare breccia in un periodo tempestato di notizie drammatiche, ed è che il polmone verde del mondo si sta atrofizzando. La foresta amazzonica, da sempre uno dei simboli della resilienza ambientale e dei baluardi della lotta climatica, versa ormai in condizioni talmente critiche da rischiare di andare incontro a un degrado irreversibile.

Quella che oggi si configura come una problematica locale, che sta mettendo in difficoltà centinaia di comunità nel Brasile più profondo e compromettendo una delle zone con maggior biodiversità al mondo, ha infatti ripercussioni globali che non possiamo permetterci di trascurare.

Una distopia in Terra

Se proviamo a pescare nell’album fotografico delle nostre immagini mentali, il termine Amazzonia ci porterà probabilmente a evocare foreste rigogliose e zeppe di animali colorati, distese di alberi fittissimi solcati da fiumi azzurri e lucidi come uno specchi, villaggi portuali attorno a cui orbitano canoe, traghetti e gli onnipresenti delfini fluviali.

Fonte: Fan Page

L’Amazzonia verso il punto di non ritorno entro il 2064, se non si ferma la deforestazione

https://www.ohga.it/lamazzonia-verso-il-punto-di-non-ritorno-entro-il-2064-se-non-si-ferma-la-deforestazione/

Un nuovo studio, firmato da Robert Troovey Walker (professore all’Università della Florida), avverte che ampie porzioni della foresta amazzonica sono destinate al collasso in pochi decenni, se il tasso di disboscamento e di incendi si mantiene inalterato. Oggi più che mai, è importante preservare questo ecosistema vitale per il Pianeta.

Federico Turrisi • 12 Gennaio 2021

Al posto di una lussureggiante foresta pluviale, un’immensa savana: è questo il destino dell’Amazzonia? Se così fosse, sarebbe una tragedia. Perché diremmo addio a uno dei più preziosi tesori di biodiversità e non faremmo altro che aggravare la crisi climatica: come è risaputo, le grandi foreste tropicali danno un enorme contributo nella cattura e nello stoccaggio di anidride carbonica. Eppure, in un futuro neanche troppo lontano, la foresta pluviale più grande del mondo potrebbe raggiungere un punto di non ritorno, e l’incubo potrebbe diventare realtà.

A dirlo è un nuovo studio apparso sulla rivista scientifica Environment – Science and Policy for Sustainable Development e firmato da Robert Troovey Walker, docente di geologia presso l’Università della Florida (negli Stati Uniti), il quale indica anche una data: il 2064. Entro 44 anni, dunque, gran parte dell’Amazzonia potrebbe diventare una distesa arida con vegetazione arbustiva; e da lì non si riuscirebbe più a tornare indietro, o meglio a ripristinare l’ecosistema precedente.

Di chi è la colpa? Ma naturalmente dell’uomo. L’attività di disboscamento e gli incendi appiccati per fare spazio ai pascoli per il bestiame e alle monocolture (per lo più di soia), in aggiunta all’allungamento della stagione secca per effetto del cambiamento climatico (causato a sua volta dalla sempre più elevata concentrazione di gas a effetto serra), stanno peggiorando irrimediabilmente lo stato di salute della foresta amazzonica.

Non è la prima volta che gli esperti ci avvertono del rischio che stiamo correndo, e già qualche mese fa ti avevamo spiegato nel dettaglio quali sono le conseguenze disastrose del circolo vizioso siccità-deforestazionePer evitare il peggio è indispensabile allora porre un freno alla deforestazione, preservare gli ecosistemi e ridurre drasticamente le emissioni di gas climalteranti a livello globale. Sono questi i cardini su cui dovrebbe poggiarsi l’azione politica per dirsi veramente green, parola sulla bocca di tutti che troppo spesso, però, rimane solo sulla carta.

Fonte | “Collision Course: Development Pushes Amazonia Toward Its Tipping Point”, pubblicato su Environment: Science and Policy for Sustainable Development il 23 dicembre 2020.

Fonte: Ohga

Stop di Petrobras in Amazzonia, gli ambientalisti dicono no

By Redazione Maggio 22, 2023

https://oilgasnews.it/stop-di-petrobras-in-amazzonia-gli-ambientalisti-dicono-no/

Nel bacino di Foz do Amazonas, al largo dello stato ai Amapà, in Brasile, si trova un giacimento petrolifero, che copre un’area lunga 2.200 chilometri all’estremo nord del Paese, riguardante anche la foce del Rio delle Amazzoni.

Petrobras, società brasiliana di ricerca, estrazione e raffinazione, ha richiesto l’autorizzazione alla trivellazione e all’estrazione del petrolio per, a detta loro, ottenere l’indipendenza energetica del Paese e per favorire una transizione ecologica sostenibile, ma Ibama, l’istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili sotto la guida di Rodrigo Agostinho, gli ha negato i permessi perché i progetti della società non garantirebbero sicurezze sufficienti per la sopravvivenza di flora e fauna in caso di malfunzionamenti e perdite di petrolio dalle piattaforme.

Questo veto da parte di Ibama potrebbe chiudere per sempre il discorso perforazioni per quella porzione di territorio, sul quale Petrobras aveva progettato investimenti per un totale di 3 miliardi di dollari da qui al 2027.

Petrobras ha prontamente annunciato che farà ricorso, ma per sua sventura, può essere presentato solo alla stessa Ibama che con ogni probabilità non cambierà idea e continuerà a negare il consenso alle trivellazioni.

Il governo appare diviso in due fazioni: da una parte il Ministro delle Miniere e dell’Energia Alexandre Silveira, che invita Petrobras ad impiegare tutti gli sforzi necessari per dimostrare la fattibilità del progetto, fondamentale per creare nuovi posti di lavoro e per raggiungere l’indipendenza energetica.

Dall’altro lato, Marina Silva, Ministra dell’Ambiente, è pronta a tutto pur di difendere l’Amazzonia, forte dell’attenzione mediatica che in questo periodo il mondo ha rivolto al territorio brasiliano.

Nessuna dichiarazione invece dal Premier Lula, nonostante alcune sue dichiarazioni in campagna elettorale – aveva per esempio definito Prè-Sal, uno dei più grandi giacimenti petroliferi brasiliani, “un passaporto per il futuro” – facciano presagire che possa schierarsi a favore dello sfruttamento del giacimento.

Fonte: Oil Gas News

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione appartenente alla Rete Internazionale A22 in contrasto del Cambiamento Climatico in atto

CLIMA, LA UE PROPONE UN AFFARE ALL’AFRICA: INQUINIAMO PAGANDO

NAIROBI, KENYA. Vertice sul cambio climatico, Von der Leyen: “la vostra green economy la finanziamo noi, con i crediti per il carbonio”

https://ilmanifesto.it/clima-la-ue-propone-un-affare-allafrica-inquiniamo-pagando

Luca Martinelli

Ieri la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è volata in Kenya, per partecipare al summit dei Paesi africani sul clima (Africa Climate Summit 23), in corso ancora oggi a Nairobi. «Sono qui non solo per ascoltarvi, ma anche per portare l’offerta dell’Europa di essere vostra alleata alla Cop28 e di lavorare insieme su tutte le questioni all’ordine del giorno.

Perché, per quanto diversi possano sembrare i nostri due continenti, condividiamo gli stessi interessi in materia di azione per il clima» ha detto von der Leyen. Poi, però, quest’alleanza l’ha esemplificata nella possibilità di presentare «una proposta per la tariffazione globale del carbonio» alla prossima Conferenza Onu sul clima che si terrà a Dubai in Emirati Arabi Uniti (UAE) a fine novembre. Sarebbe – secondo von der Leyen – «una soluzione che potrebbe sbloccare enormi risorse per l’azione climatica in Africa», «uno degli strumenti più efficienti ed efficaci a nostra disposizione, perché favorisce l’innovazione da parte del settore privato. La tariffazione globale del carbonio è una soluzione che potrebbe sbloccare enormi risorse, perché fa sì che i grandi inquinatori paghino un prezzo equo e perché le entrate possono supportare la transizione pulita nei Paesi in via di sviluppo» ha concluso la presidente della Commissione Europea, dimenticando forse che una soluzione la suggeriscono le più autorevoli riviste scientifiche, quando da anni dicono che dobbiamo smettere di esplorare e sfruttare giacimenti di risorse fossili come gas e petrolio, ciò che fanno le imprese europee in Africa. Quanto ai prezzi per le emissioni, i meccanismi di scambio delle quote di CO2, come l’Emission Trading Scheme europeo, non riescono ad affrontare in modo radicale il problema fondamentale, che è – per l’UE – una riduzione drastica entro 6 anni e mezzo di nuove emissioni di gas climalteranti in atmosfera.

«Vi ascoltiamo – ha poi aggiunto parlando al presidente keniota William Ruto – quando dite che la prima priorità dell’Africa è far crescere la vostra economia e far uscire dalla povertà il maggior numero possibile di persone», dimenticando però che Africa ed Europa non possono essere alleati, perché la corsa alla crescita, almeno per com’è stata intesa e è tutt’ora intesa, va frenata. Ecco perché non è una buona notizia che uno dei temi centrali dell’Africa Climate Summit sia il finanziamento della green economy in Africa attraverso i «crediti di carbonio», dopo che alla COP27 di Sharm el-Sheikh in Egitto dell’anno scorso Paesi africani e istituzioni finanziarie hanno lanciato la Africa Carbon Markets Initiative: un’alleanza per arrivare nel 2030 all’emissione nel continente di 300 milioni di crediti di carbonio all’anno, per generare 6 miliardi di dollari di reddito annui.

Uno scenario business as usual che non avrà alcun effetto, se è vero – com’è vero – che mentre parliamo bene razzoliamo malissimo. Per dire, ieri il gruppo ambientalista Ember, che si occupa di transizione nella produzione di energia elettrica, ha spiegato che dal 2015 i Paesi del G20 hanno mediamente aumentato le emissioni pro capite di quasi il 7%, a causa dell’energia prodotta usando carbone, con Cina e India che hanno aggiunto nuovi impianti. Il conteggio pro capite di CO2 dell’Australia è quasi tre volte superiore alla media mondiale. Intanto ben sette membri del G20 – Cina, Brasile, India, Giappone, Corea del Sud, Sudafrica e Stati Unitinon hanno ancora elaborato dei piani per ridurre gradualmente l’uso del carbone.

«I Paesi del G20 – informa Ember – rappresentano l’80% delle emissioni del settore energetico mondiale, con una CO2 pro capite derivante dall’energia da carbone pari a 1,6 tonnellate nel 2022, rispetto a 1,5 tonnellate nel 2015 e significativamente superiore ad una media globale di 1,1 tonnellate». Abbiamo tutti gli strumenti, cioè, per capire dove andare ad agire. Non servono passerelle, come quella di Sultan Al Jaber, il presidente petroliere della prossima COP28, che a Nairobi ieri ha detto «il mondo sta perdendo la corsa per raggiungere i suoi obiettivi sul cambiamento climatico», ma azioni: saremo in grado, a dicembre prossimo, di dichiarare finita l’era fossile?

Fonte: Il Manifesto, Quotidiano Comunista

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network