Day: 11 aprile 2023

SWISS COURT CASE TIES HUMAN RIGHTS TO CLIMATE CHANGE

29 March 2023

Climate Change

Glaciers in the Alps are at particular risk of rising temperatures due to climate change
https://www.bbc.com/news/world-europe-65107800

By Imogen Foulkes & Adam Durbin

BBC News

More than 2,000 women are taking the Swiss government to court claiming its policy on climate change is violating their right to life and health.

The case is the first time the European Court of Human Rights (ECHR) will hear a case on the impact of climate change on human rights.

It follows six years of unsuccessful battles through the Swiss courts.

Temperatures in Switzerland are rising faster than the global average and there are ever more frequent heatwaves.

The Swiss women – who call themselves the Club of Climate Seniors and have an average age of 73 – say climate change is putting their human rights, their health and even their lives at risk. Their evidence to the court includes their medical records.

They want the ECHR to order Switzerland to work harder at reducing greenhouse gas emissions.

One of the campaigners, Elisabeth Stern, told the BBC: “Due to climate change, we have more heatwaves and older women suffer more. They die more often during these heatwaves than they otherwise would.

“Some people say, why are you complaining, you’re going to die anyway. But we don’t want to die just because our Swiss government has not been successful in coming up with a decent climate policy.”

The European Climate and Health Observatory says that projected increases in average temperature are likely to have “serious impacts on public health” across Europe, particularly among elderly people.

In the last 20 years, heat-related mortality in people older than 65 in Europe has increased by more than 30%, it says.

The Swiss government does not deny that climate change can affect health – but says it cannot be tied specifically to older women’s health.

If the women are successful, the case could set a precedent for every one of the European court’s 46 member states.

World temperatures are rising because of human activity, and climate change now threatens every aspect of human life.

Temperature rises must slow down if we want to avoid the worst consequences of climate change, according to climate scientists. They say global warming needs to be kept to 1.5C by 2100.

According to the UN climate body, the IPCC, if global temperature rise cannot be kept within 1.5C, Europe will be vulnerable to flooding caused by extreme rainfall.

Extreme temperatures can also increase the risk of wildfires – as seen in Europe last summer. France and Germany recorded about seven times more land burnt between January and the middle of July 2022, compared with the average.

Fonte: UNCS News

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

ADDIO DARIO ACQUAROLI. MALORE FATALE PER IL CAMPIONE

Conquistò per due volte il titolo iridato con la sua mountain bike, nel 1993 e nel 1996. Professionista già a 16 anni, è stato stroncato a 48 anni mentre pedalava in Val Brembana

di Marco Marangoni

aggiornato alle 20:43 09 aprile 2023

© AFP – Dario Acquaroli, a destra, in una foto del 1997 ai campionati mondiali di mountain bike
https://www.agi.it/sport/news/2023-04-09/ciclismo_morto_per_malore_ex_iridato_mountain_bike_acquaroli-20893019/

AGI – Dario Acquaroli, ex campione del mondo di mountain bike, è morto nel pomeriggio di Pasqua a causa un malore mentre stava pedalando in Val Brembana. IL 48enne bergamasco di San Giovanni Bianco, il miglior specialista delle ruote grasse in Italia negli anni ’90, si era laureato due volte campione del mondo di mountain bike, nel 1993 tra gli juniores e nel 1996 tra gli Under 23.

Quella di Acquaroli è stata una carriera ricca di successi. Già a all’età di 16 anni il primo contratto da professionista con il team Bianchi. Nel suo palmares, 19 partecipazioni ai Campionati mondiali di mountain bike tra cross-country e distanze marathon, due ori iridati (1993 e 1996) e due europei (1992 e 1993).

Per cinque volte si è laureato campione italiano (1992, 1993, 1996, 2000, 2005) e nella sua carriera ha indossato le maglie di diverse squadre (Team Bianchi, Full-Dynamix e Sintesi Larm). Lo sport italiano lo ha insignito del Collare d’Oro al Merito Sportivo dal Coni. 

Fonte: AGI

Dario Acquaroli, il campione di mountain bike morto come suo padre per un malore alla stessa età

di Donatella Tiraboschi 

Il racconto di Bruno Zanchi, che con Dario Acquaroli condivise la carriera: «Dario aveva 16 anni, fu il primo a soccorrere il papà e a praticargli il massaggio cardiaco»

Il campione di mountain bike Dario Acquaroli, in alto a destra in compagnia di Felice Gimondi ed in basso a destra testimonial di Vittoria, l’azienda italiana produttrice di componenti per il ciclismo
https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/23_aprile_10/dario-acquaroli-il-campione-di-mountain-bike-morto-come-suo-padre-per-infarto-alla-stessa-eta-921b40c7-ff09-4c3b-b48a-5401ed852xlk.shtml

Non avrebbe mai pensato Bruno Zanchi che quella telefonata dello scorso venerdì, per parlare di una fornitura di biciclette, sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe sentito la voce di Dario Acquaroli. Più che un compagno di carriera, quasi un fratello con cui aveva diviso tanto. Chilometri, gare, fatiche e gioie assolute come, la più grande di tutte, quella di trovarsi sul tetto del mondo: lui campione iridato di downhill e Acquaroli di cross country, la disciplina dove si pedala di più. «Siamo brembani tutti e due, fieri e battaglieri. E di battaglie ne abbiamo fatte tante». 

L’amico: «Sembra che il destino ti aspetti per sfidarti»

Zanchi parla al presente, non al passato. «Sono incredulo. Sembra che il destino ti aspetti per sfidarti e per lasciare senza parole chi ti vede andare via». Dario se ne è andato il giorno di Pasqua, in una mattina di festa che aveva deciso di passare facendo quello che più ha amato al mondo. Lui e la sua bici su per qualche sentiero della valle, prima del pranzo con tutta la famiglia. Che lo ha aspettato prima di dare l’allarme non vedendolo rientrare, quando erano passate le 13. Dario era già morto. Accanto alla sua bicicletta era stato trovato da alcuni passanti lungo una mulattiera che da Cespedosio porta a Camerata Cornello. 

«Anche il papà morì per un infarto»

Un malore all’origine della caduta, il caschetto rotto sul terreno, i tentativi disperati delle squadre territoriali del Soccorso alpino e speleologico della VI Delegazione Orobica, con tredici tecnici, (a supporto dell’équipe dell’elisoccorso decollato da Como). Dario Acquaroli se ne è andato così e l’unica consolazione è che la morte lo abbia colto mentre era in sella felice per l’uscita di primavera, dopo una vita che,seppur di successo, resta breve. Quarantotto anni sono troppo pochi anche se il destino crudele aveva già colpito la sua famiglia. «Anche il suo papà era morto così improvvisamente, per un infarto  – ricorda Zanchi –  anche lui, quando successe la cosa, aveva più o meno 47 anni e Dario, che allora aveva solo 16 anni, fu il primo a soccorrerlo e a praticargli il massaggio cardiaco».

Il legame con Felice Gimondi 

 Era l’inverno del 1991, la famiglia Acquaroli gestiva l’hotel La Ruspinella all’ingresso di San Pellegrino e di lì a qualche settimana Dario, che fino ai 14 anni era stata una giovane promessa dello Sci Club Selvino, sarebbe approdato alla Bianchi trovando la sua strada (sportiva) e un secondo «papà» in Felice Gimondi, pronto a dargli consigli e ad affiancarlo in una carriera a dir poco esplosiva. 

Le vittorie europee e mondiali 

Una bacheca straordinaria la sua: due titoli europei (1992 e 1993), due mondiali (1993 e 1996) e cinque titoli italiani (1992, 1993, 1996, 2000 e 2005), correndo inoltre 19 mondiali con la Nazionale Italiana tra cross-country e marathon. Insomma, il più forte di tutti. E senza mai tirarsela. «Gentile, cordiale, misurato. Da lui mai una parola di troppo, anche se spesso gli si leggeva un velo di tristezza negli occhi, dovuta proprio al fatto che a soli 16 anni, da solo, aveva dovuto affrontare una carriera impegnativa», rimarca Carlo Brena, a capo dell’agenzia che cura la comunicazione di Merida Italia realtà del mondo bike dove Acquaroli ricopriva da tempo il ruolo di marketing manager, dopo aver lavorato per Sidi e Vittoria. 

Un omaggio dello scultore Luigi Oldani a Dario Acquaroli

Il ritorno sui libri durante il Lockdown

«Dario aveva conseguito solo il diploma di terza media, forse un po’ questa cosa gli pesava, ma la sua volontà di mettersi alla prova era stata la molla che, durante il lockdown, lo aveva fatto tornare sui libri. Aveva, infatti, frequentato un corso di marketing per affrontare al meglio la sua sfida professionale»,  conclude Brena a cui, proprio lo scorso venerdì, Acquaroli aveva consegnato una sua bicicletta in vista di una gara che Brena affronterà presto. 

Merida: «Una passione straordinaria»

Anche Merida Italia lo ha ricordato con parole dolci con un post sui social: «Quando sei arrivato da noi hai portato competenza, precisione, attaccamento al lavoro e passione, tanta e straordinaria passione. Ci hai spronato a sviluppare nuovi progetti e a guardare oltre gli ostacoli, ma soprattutto hai sempre iniziato tutto con un sorriso: che fosse un’azione di marketing o una spedizione urgente, hai sempre voluto fare tutto con l’obiettivo di raggiungere il massimo». 

I funerali mercoledì mattina 

Si stenta a credere che Dario riposi adesso in quella bara, ricoperta dalle sue maglie, nella chiesetta di San Nicola a San Pellegrino dove è stata allestita la camera ardente. Quando mercoledì mattina verranno celebrati i funerali , saranno in molti a pensarlo così. Con il sorriso «guascone» con cui lo piange Zanchi, adesso impegnato in un viaggio bellissimo, fatto di pedalate leggere, tonde. Infinite.

10 aprile 2023 ( modifica il 12 aprile 2023 | 17:27)

Fonte: Bergamo Corriere

https://www.tuttobiciweb.it/article/2023/04/10/1681150877/podcast-blablabike-ghirotto-acquaroli

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalsta Ultima Generazione e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

NEL 2022 TOCCATO IL MINIMO DELLE NASCITE IN ITALIA, SOTTO I 400 MILA

07 aprile 2023 | 11.55 Redazione Adnkronos

I dati Istat indicano il numero più basso dall’Unità d’Italia

https://www.adnkronos.com/istat-nel-2022-toccato-il-minimo-delle-nascite-sotto-le-400mila_7vGkv1KoT6PiBnZ6P4BUxl

Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.E’ quanto emerge dal report dell’Istat sugli ‘Indicatori demografici 2022’. sottolineando che questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni).

Se nel corso del 2022 si fosse procreato con la stessa intensità e lo stesso calendario del 2019, il calo dei nati sarebbe stato pari a circa 22mila unità, totalmente attribuibile, pertanto, alla riduzione e all’invecchiamento della popolazione femminile in età feconda. La restante diminuzione, di circa 5mila nascite, risulterebbe invece causata dalla reale diminuzione dei livelli riproduttivi.

Fonte: Adnkronos

L’agghiacciante profezia di Elon Musk sul destino dell’Italia

I nuovi dati forniti dall’Istat sul numero di nascite in Italia hanno fatto il giro del mondo, fino ad arrivare agli occhi di Elon Musk, che si è lasciato andare a un’agghiacciante profezia sul destino del nostro Paese (come, del resto, aveva già fatto in passato).

CROLLO DELLE NASCITE IN ITALIA: GLI ULTIMI DATI DELL’ISTAT

In base agli indicatori demografici dell’Istat relativi all’anno 2022 risulta che la natalità in Italia ha raggiunto i minimi storici, mentre la mortalità nel nostro Paese resta ancora alta: meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti è il dato aggiornato fornito dall’Istituto Nazionale di Statistica.

Nel 2022 si è registrato anche un record negativo: per la prima volta dall’Unità d’Italia, il numero dei bambini nati in Italia è sceso sotto il limite delle 400mila unità. Nello specifico, nel 2022 questo numero si è attestato a quota 393mila. A partire dal 2008, cioè dall’ultimo anno in cui in Italia si è rilevato un aumento delle nascite, il calo è pari a circa 184mila unità, di cui circa 27mila dal 2019 in poi.

Stando a quanto reso noto dall’Istat, risulta in calo anche la popolazione residente nel nostro Paese: in Italia, nel 2022, la popolazione era di 58 milioni e 851mila unità, 179mila in meno rispetto all’anno precedente. In 20 anni, inoltre, risulta triplicato il numero di ultracentenari, che alla data del 1° gennaio del 2023 erano 22mila. Per quanto riguarda, invece, la speranza di vita alla nascita, in Italia risulta essere pari a 82,6 anni. Questo dato è in crescita per gli uomini e stabile per le donne.

LE REGIONI ITALIANE DOVE SI NASCE DI PIÙ E DI MENO

La situazione relativa alle nascite non è omogenea in tutto il Paese: ci sono regioni d’Italia dove si nasce di più e altre, invece, dove il crollo è più accentuato. Nello specifico, stando nuovi dati diffusi dall’Istat, la Sardegna risulta essere la regione in cui si nasce meno. Non solo: la Sardegna è anche l’unica regione con una fecondità inferiore all’unità (il suo valore è pari a 0,95 figli per donna). La regione con la fecondità più alta è, invece, il Trentino-Alto Adige: il valore, in questo caso, è pari a 1,51 figli per donna. A seguire, in questa speciale classifica, ci sono la Sicilia e la Campania, che hanno valori pari, rispettivamente, a 1,35 e 1,33.

LA PROFEZIA DI ELON MUSK SUL DESTINO DELL’ITALIA

Su Twitter (il social network di sua proprietà), Elon Musk ha commentato i recenti dati Istat rispondendo all’analista Andrea Stroppa, che aveva scritto: “Novità: ‘La natalità in Italia è ai minimi storici e la mortalità resta alta, ha reso noto venerdì l’Istituto nazionale di statistica Istat’. La situazione sta peggiorando. Stiamo andando a tutta velocità verso il declino e il potenziale dimezzamento della popolazione italiana”. L’imprenditore nato a Pretoria, in tutta risposta, ha profetizzato in maniera secca: “L’Italia sta scomparendo!“.

La frase di Elon Musk non sorprenderà i più attenti: già il ‘New York Times’ aveva ipotizzato la scomparsa dell’Italia e lo scorso anno, sempre su Twitter, lo stesso Elon Musk aveva già commentato il calo delle nascite nel nostro Paese. Sempre in risposta a un tweet di Andrea Stroppa, Elon Musk, in quell’occasione, aveva scritto: “Se continua così, l’Italia non avrà più abitanti“.

Fonte: Initalia Virgilio

https://initalia.virgilio.it/profezia-elon-musk-italia-71008

Si fanno sempre meno figli. Ma c’è omertà sul perché

di Francesco Piccioni

https://contropiano.org/news/politica-news/2023/04/08/si-fanno-sempre-meno-figli-ma-ce-omerta-sul-perche-0159095

Avevamo promesso di tornarci perché eravamo certi che l’”allarme poche nascite” si sarebbe ripetuto sempre uguale, ad ogni rapporto dell’Istat. E infatti eccoci qui, puntuali come la siccità.

Viene pubblicato il rapporto e veniamo travolti da riassuntini, grafici, citazioni, immagini immaginifiche che tutto descrivono ma niente spiegano.

Anzi, dilagano “narrazioni” che vorrebbero in qualche modo colpevolizzare soggetti o fasce sociali che – a ben guardare – sono le prime vittime di questa situazione: giovani “sul divano che non vogliono lavorare”, anziani “egoisti che prendono la pensione”, donne “che non vogliono responsabilità”,  immigrati “che ci rubano il lavoro” (che non c’è, e infatti pure loro vanno altrove insieme ai “nostri” giovani).

Prendiamo ad esempio il lancio dell’Agenzia Agi, dal titolo per cinefili (L’Italia è un paese per vecchi), visto che la pigrizia mortale dei sedicenti giornalisti italiani è prontissima a copiare, riprendere, sintetizzare, fantasticare proprio a partire dai lanci delle principali agenzie stampa (Ansa, AdnKronos, Agi, Dire).

L’agenzia controllata dall’Eni ci dice subito che “Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.”

Per somma sfortuna anche l’Istat semina parecchia confusione, sottolineando che “questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni)“.

Ma se è dovuta “solo in parte” a questi due fattori – che peraltro dipendono anche loro da altre cause – a cosa si deve questo calo pluridecennale delle nascite?

Silenzio…

Però subito dopo l’anonimo cronista indugia sui dettagli che dovrebbero aiutare ad indicare qualche “colpevole”.

Un italiano su quattro ha almeno 65 anni. Nonostante l’elevato numero di decessi avvenuto in questi ultimi tre anni, oltre due milioni e 150mila, di cui il 90% riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito – spiegano i ricercatori – portando l’età media della popolazione da 45,7 a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.”

Si noterà il velato sollievo con cui si registra che, “per fortuna”, negli ultimi anni – complice la pandemia e le politiche dei governi in materia – sono morti più anziani del solito. “Purtroppo” (immaginiamo…) un sacco di anziani sono rimasti lo stesso vivi, e dunque “il processo di invecchiamento della popolazione è continuato”.

Altro “colpevole” potenziale sono ovviamente le donne. E anche in questo caso il solerte raccoglitore di senso comune spicciolo ci ricorda che “Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità, il cui valore si attesta nel 2022 a 1,24, tornando così al livello registrato nel 2020.

Prosegue quindi la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni.”

Un essere umano pensante si chiederebbe come mai le donne abbiano – senza peraltro mettersi d’accordo tra loro – “scelto” di fare più figli proprio “tra il 2020 e il 2021”. E, se non è decerebrato o immemore, si risponderebbe che probabilmente i lunghi lockdown hanno contribuito a tenere più a lungo le coppie in casa, “liberandole” – paradossalmente – dal dover correre tutto il giorno in giro per lavoro, magari con orari diversi e non coincidenti.

Insomma, un essere umano pensante comincerebbe a sospettare che la dinamica delle nascite non dipende dalle “scelte ideologico-culturali” (rifiuto di assumersi la responsabilità genitoriale, voglia di divertirsi, e stupidaggini simili) ma da condizioni sociali, lavorative, reddituali decisamente stringenti. E che ostacolano grandemente le possibilità di riproduzione.

Restando al lancio di agenzia, sorvoliamo sulla lunghissima disamina delle differenze e similitudini tra regioni italiane, perché non restituisce alcuna informazione indicativa sulle possibili cause di un disastro demografico che sta portando questo paese verso un punto di non ritorno.

Non è un’esagerazione: i nuovi nati sono attualmente il 40% di quelli sbocciati negli anni del “boom” (1948-1964). Non è complicato immaginare quale deserto sociale attende le nuove generazioni (peraltro protagoniste di una nuova emigrazione di massa verso paesi che pagano salari meno infami), e soprattutto quali conseguenze economiche avrà questa “carenza oggettiva di manodopera”.

Dal canto nostro, a meno di tre anni di distanza da analoghe “notizie” su numeri situati lungo l’identica linea discendente, non possiamo che riproporre la stessa spiegazione.

In fondo stiamo parlando di fenomeni di lungo periodo, con cause strutturali che non vengono minimamente toccate – anzi: peggiorate – dalle politiche economiche e sociali imposte dal capitale multinazionale e dai governi italioti. Dunque sono ancora, purtroppo, valide.

Buona lettura.

*****

Si fanno meno figli. Perché?

Francesco Piccioni

I numeri sono sempre ostici, specie quando rappresentano una situazione reale, in termini statistici. Girarci intorno non si può, a meno di non rifugiarsi nei giochi (matematici) o truccare i dati.

E dunque ha sollevato preoccupazione il report dell’Istat sul censimento permanente della popolazione italiana. Durerà un giorno, questa preoccupazione, come tutto ciò che dovrebbe essere meditato perché segnala che viviamo in un sistema malato.

Non se ne parlerà più, se non come battuta da talk show, fino al prossimo report, che descriverà una situazione peggiorata, ancora più grave e irrimediabile nel breve periodo. Ma anche allora tutto durerà un giorno.

E allora.

I motivi di preoccupazione sono due. Da un lato il numero dei morti, dall’altro quello delle nascite. Stiamo parlando di demografia, del resto…

Nel 2020, ancora non concluso «supereremo i 700 mila morti, come nel 1944 quando eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale».

Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat e demografo di professione, ha scelto l’analogia bellica per dare più forza emotiva ai dati. L’anno scorso erano stati 647mila, non pochi. Ma quest’anno il Covid ha fatto strage, soprattutto – ma non solo – nella popolazione anziana: le oltre 65.000 vittime della pandemia si aggiungono a tutte quelle, incalcolabili, per patologie che non hanno potuto essere affrontate adeguatamente a causa del collasso del sistema sanitario sotto le due ondate, primaverile ed autunnale.

E’ chiaro che gli oltre 700.000 morti di oggi hanno un peso diverso rispetto all’analoga cifra degli anni di guerra. La popolazione attuale è molto più numerosa (59,6 milioni contro i 45,5 del 1945), e dunque la percentuale attuale è minore.

Ancor più importante è la composizione anagrafica delle perdite, visto che in guerra sale drasticamente la percentuale di giovani che perdono la vita, soprattutto maschi (anche se i bombardamenti e la fame hanno falciato senza troppi riguardi per l’età).

Dunque la situazione demografica bellica era certamente più grave, perché si usciva da un disastro con minori “forze fresche” da impegnare nella ricostruzione.

Ma proprio questa constatazione dovrebbe far saltare sulla sedia: se stiamo facendo questi paragoni, la situazione deve certamente essere terribile.

Lo capiamo subito vedendo che le nascite sono ulteriormente diminuite – in termini assoluti e dunque anche percentuali – collocandosi al punto più basso del dopoguerra: poco più di 400.000 l’anno, mentre erano state circa un milione dal ‘45 fino alla fine degli anni ‘70 (709.000 nel 1978).

E’ lampante che un Paese con questa dinamica non può sopravvivere a lungo. Le vecchie generazioni, ancorché costrette al lavoro da continui aumenti dell’età pensionabile, dovranno prima o poi uscire di scena (la dinamica è stata accelerata dal Covid, come sappiamo), mentre le nuove sono numericamente insufficienti a coprire i vuoti che si aprono.

Peggio ancora: le classi di età in maturità riproduttiva (under 45, soprattutto per le donne) sono anche quelle con la situazione reddituale peggiore. Anche quando vanno a coprire un posto di lavoro lasciato scoperto da un lavoratore andato in pensione, la loro retribuzione è molto minore. E la speranza di migliorarla praticamente nulla.

Chi non ha un reddito sufficiente neanche per sostenere se stesso (la situazione non migliora molto “facendo coppia”, perché al massimo si dimezzano le spese fisse per casa e bollette) difficilmente può programmare la nascita di un figlio. E meno ancora penserà a farne un secondo o un terzo.

Questa situazione ha spiegazioni politiche ed economiche di lungo periodo. Dipendono insomma dalle “riforme” messe in atto – guarda caso – dal 1980 in poi, quando una/un lavoratrice/ore dipendente poteva con un solo stipendio mantenere tutta la famiglia.

Oggi, anche lavorando in due, si fa fatica ad arrivare a fine mese.

La precarietà contrattuale, divenuta la “nuova normalità”, ha ridotto a zero il potere di contrattazione dei lavoratori dipendenti. Sia per quanto riguarda le condizioni di lavoro (orario, turni, festività, periodi di malattia, ecc), sia e soprattutto per quanto riguarda l’entità del salario.

Nel linguaggio marxiano, si può dire, quel salario è sceso sotto il livello di riproduzione della forza lavoro. E se a livello individuale la situazione può apparire meno drammatica – il “welfare familiare”, finché ci saranno pensionati a integrare i redditi di figli e nipoti, attenua percentualmente la percezione della miseria profonda dei lavoratori precari – a livello collettivo è chiarissima: le nuove generazioni di lavoratori e disoccupati si riproducono molto meno.

Perché non possono, non perché non vogliano (siamo pur sempre dei normali esseri viventi, con le stesse finalità delle altre specie).

E’ comprensibile – ma da maiali, sul piano intellettuale – che i media di regime diano ai giovani “la colpa” di non fare figli per motivi “culturali”, edonistici (“ve la volete spassare senza prendervi responsabilità”), egoistici e quant’altro.

Ma proprio questo denota la follia di un sistema malato. Che non riesce più a riprodursi perché l’ansia di profitto vede ogni cosa naturale o relazione umana come un “elemento della merce”. Insomma: solo un modo per fare soldi.

Possiamo affrontare questo problema epocale dal punto di vista del clima e dell’ambiente (l’insieme entro cui possiamo sopravvivere oppure estinguerci come genere umano), oppure dal punto di vista sanitario (la gestione della pandemia ha fatto strage soprattutto nel cuore del neoliberismo occidentale, mandando in crisi profonda proprio quell’economia che si intendeva anteporre alla salute e alla vita). O anche da altri punti di vista.

In tutti i casi arriviamo allo stesso punto: la riproduzione (quella umana e quella della natura) è ormai negata dallo sviluppo capitalistico. Questo, sì, irresponsabile.

Viene da pensare a quei maiali – sul piano intellettuale – che ci smenano continuamente con la solfa del “debito pubblico che lasciamo ai nostri figli”.

A quei figli stanno lasciando – loro che lo difendono a suon di bigliettoni, non certo noi che lo combattiamo – un mondo invivibile. Dentro cui è già ora diventato impossibile riprodursi.

(17 dicembre 2020)

Fonte: Contropiano, 8 Aprile 2023

https://www.la7.it/intanto/video/il-razzo-di-spacex-esplode-in-volo-le-immagini-incredibili-20-04-2023-481497

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e mebro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus