Vicenza

FIERA ORO DI VICENZA, TENSIONE ALLA MANIFESTAZIONE DELLA COMUNITA’ PALESTINESE E DEI CENTRI SOCIALI ALLA PRESENZA DI ISRAELE ALLA FIERA

https://x.com/bralex84/status/1749067874478551467

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/26/no-al-bavaglio-per-chi-manifesta-pro-palestina-cosi-si-da-ragione-a-ben-gvir-e-non-allaja/7423629/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, membro della Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo e membro del movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network per contrastare il Riscaldamento Globale indotto artificialmente

IL MOVIMENTO NO TAV SCENDE IN PIAZZA A VICENZA: LA POLIZIA CARICA CON GLI IDRANTI

https://www.lindipendente.online/2023/07/10/il-movimento-no-tav-scende-in-piazza-a-vicenza-la-polizia-carica-con-gli-idranti/

In centinaia sono scesi in strada a Vicenza per protestare contro la costruzione della linea ferroviaria ad Alta velocità (TAV). Il corteo, organizzato dal movimento NO TAV, da Fridays for Future Vicenza e dai centri socialiha bloccato il Ponte Alto, una delle arterie principali della città. Il coinvolgimento di Vicenza nel tratto Milano-Venezia del TAV è già realtà, con i lavori iniziati nel primo lotto costruttivo. I manifestanti hanno dichiarato che l’iniziativa intende «dare un assaggio» di ciò che succederà se il progetto giungerà al secondo lotto costruttivo (l’attraversamento di Vicenza): blocchi diffusi e danni ambientali. Il Ponte Alto è stato poi sgomberato dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa con l’utilizzo ripetuto dell’idrante.

«Questa città sconta già tanti problemi, i PFAS, le polveri sottili: non può accettare 15 anni di cantiere. Siamo stanchi di vedere la nostra città svilita per interessi di altri. Dobbiamo essere noi come cittadini e cittadine ad alzare la testa a resistere: il TAV lo possono fermare solo le comunità che si ribellano», hanno dichiarato i manifestanti. Una volta sgomberato il Ponte Alto, gli attivisti hanno raggiunto il presidio sottostante, continuando l’attività di protesta. Qui hanno spiegato l’iniziativa ai «cittadini e le cittadine che si sono dimostrati solidali, agitando le mani e suonano il clacson». La popolazione di Vicenza «sa che quest’opera sarà devastante e cambierà la fisionomia della città», hanno infine aggiunto i promotori.

Il Progetto Av/Ac Verona-Padova 2° lotto “Attraversamento di Vicenza” prevede il raddoppio dei binari sulla linea Milano-Venezia, inclusi i tratti che attraversano il centro abitato della cittadina veneta. Per la realizzazione del piano per l’alta velocità sono previste diverse demolizioni abitative, soprattutto nei quartieri di San Lazzaro, San Felice e Ferrovieri, tra i più popolosi di Vicenza. Interi condomini da abbattere, per un totale di circa 62.316 metri quadri di superficie, e decine di famiglie che dovranno abbandonare le proprie case dietro indennizzo. L’opera andrà a modificare 6,2 chilometri di tratto con annessi interventi all’intera viabilità nella parte ovest della città, fino alla stazione ferroviaria nel centro storico. Gli abitanti contrari al TAV hanno accusato l’amministrazione di non aver considerato, oltre all’opinione dei cittadini, l’impatto ambientale dell’opera e le ripercussioni su coloro che vivono nell’area interessata. In questo contesto s’inserisce la protesta degli attivisti che lo scorso ottobre hanno fatto irruzione, in modo del tutto pacifico, nella sede del comune vicentino. Un’azione che è costata 17 denunce per occupazione abusiva di edificio pubblico.

[di Salvatore Toscano]

Fonte: L’Indipendente Online

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus

ADDIO DAVIDE REBELLIN, COMMOZIONE E RABBIA AI FUNERALI DEL CAMPIONE

Nel Duomo di Lonigo (VI) l’ultimo saluto a Rebellin travolto e ucciso da un camion il 30 novembre. Chiesa gremita di parenti, amici e campioni del ciclismo.

23 dicembre 2022

La salma di Rebellin esce dal Duomo (Colorfoto)
https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/davide-rebellin-funerali-addio-tra-rabbia-e-commozione-1.9802400

Un commosso applauso ha salutato l’uscita dal duomo di Lonigo del feretro di Davide Rebellin al termine del rito funebre.L’omaggio è proseguito a lungo sul sagrato del Duomo dove si è radunata una grande folla.

I familiari hanno accolto le condoglianze dei conoscenti e dei campioni di ciclismo presenti al funerale. Per espressa volontà della famiglia il feretro verrà tumulato in forma privata al cimitero di Madonna di Lonigo.

L’omelia: «Una piccola stella che ha illuminato il nostro mondo»

«Una piccola stella che ha illuminato il nostro mondo». Così don Matteo Nicoletti ha ricordato Davide durante l’omelia pronunciata nel corso dei funerali del campione. «Davide – ha aggiunto il sacerdote – ha fatto della sua passione e del suo talento uno strumento per diffondere i valori cristiani nella comunità. La sua è stata una vita umile vissuta con fede e devozione è un esempio per tanti giovani».

ll feretro in chiesa (Colorfoto)

Lonigo saluta Davide, chiesa gremita ai funerali

Una folla commossa sta partecipando nel duomo di Lonigo al funerale di Davide Rebellin. Chi non ha trovato posto all’interno, assiste al rito dal sagrato del tempio e si unisce alle autorità civili e sportive, ai campioni del ciclismo di ieri e di oggi, agli amatori e a tanti leoniceni nel tributare il cordoglio ai famigliari del corridore ucciso da un camion pirata durante un allenamento su strada.

Numerosi i volti noti agli appassionati delle due ruote che partecipano al rito. Tra gli altri, Claudio Chiappucci, Gianni Bugno, Alessandro Ballan, Filippo Pozzato, Franco Pellizzotti e Gilberto Simoni. Con loro anche il ct della Nazionale italiana di ciclismo Daniele Bennati e il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni. È stato il campione trentino a rendersi partecipe del sentimento di sconforto che la sciagura ha provocato nel mondo del ciclismo. «Quanta rabbia – ha affermato Simoni – perdere un amico così, un campione così, un uomo così. Quanti morti dovremo piangere ancora prima che una legge ci tuteli?»

La cerimonia funebre è concelebrata da don Matteo Nicoletti e dai sacerdoti che hanno prestato servizio alla parrocchia di Madonna. Attorno alla salma tutti i familiari: la mamma Brigida e i fratelli Carlo, Simone e Stefano, la moglie Françoise.

La famiglia: «Ciao Davide, pedala tranquillo per la tua ultima volata»

Al sindaco Pierluigi Giacomello sono state affidate le parole della mamma Brigidadella moglie Françoise e dei fratelli Simone, Stefano e Carlo: «Davide sei nato luminoso e hai vissuto per illuminare i nostri cuori. Ora che sei diventato il nostro angelo proteggici con la tua luce. Rimarrai sempre in noi con il tuo splendore. Ciao Davide, pedala tranquillo per la tua ultima voltata: taglia il traguardo con le braccia alzate e il tuo sorriso. Il Cielo ti attende, l’amore ti accompagna».

La dedica dei nipoti. «Rimarrai per sempre un grande campione e una persone speciale unica. Ti vogliamo ricordare felice in sella alla tua cara bici. Non ti dimenticheremo mai, zio».

Il ricordo dei compagni di scuola. «Davide sorrideva sempre e il lunedì, a scuola, ci raccontava delle sue conquiste in bici. Abbiamo capito in fretta che il suo sogno sarebbe diventato realtà. Caro Davide, la tua ultima volata è verso il Cielo, sfreccia veloce guerriero di luce, insieme al tuo papa Gedeone».

Gilberto Simoni: «Quanta rabbia, quanti morti in bici dovremo piangere ancora?»

Gilberto Simoni, commosso, ha avuto parole di affetto per l’amico e di rabbia per la morte di Davide. Gibo ha puntato il dito contro una legge che non ferma la strage dei ciclisti per le strade. Li separavano nove giorni dalla nascita. Davide e Gilberto, nati e cresciuti insieme. Compagni in gruppo. Trattiene le lacrime Gibo: «Una rabbia che non riesco a calmare – ha detto una volta salito sull’altare -. Davide era un amico, un compagno di squadra. Era un onore essere battuto da lui in corsa. Lascia un vuoto incolmabile». Poi aggiunge: «Quasi una morte al giorno in bici sulle strade. Provo vergogna verso uno Stato che non ha il coraggio di fermare questa strage. La tua morte, Davide, non sia vana. Questa strage va fermata».

L’arrivo della salma in Chiesa

È stata accolta con un lungo applauso la salma di Davide Rebellin, coperta da un cuscino di fiori bianchi, giunta alle 9,30 in Duomo a Lonigo accompagnata dalla mamma, dalla moglie e dai fratelli. In chiesa, i banchi già affollati per la veglia del ricordo che precede il funerale. All’esterno, ad attenderlo, i campioni del mondo del ciclismo, ex compagni in gruppo: Bugno, Simoni, Chiappucci con il ricordo dell’amico, del campione, del compagno che oggi si intreccia con il tema della sicurezza dei ciclisti sulla strada.

Lonigo si prepara al funerale di Davide Rebellin. Oggi alle 10, nel Duomo l’addio al campione vicentino travolto e ucciso da un camion il 30 novembre. All’arrivo della bara (prima collocata alla Casa funeraria Santa Maria sulla strada provinciale San Bonifacio-Arcole), alle 9,30, vi sarà spazio per momenti di testimonianza e ricordi di familiari e amici.

Davide sarà poi sepolto al cimitero di Madonna di Lonigo, accanto a papà Gedeone, scomparso nel giugno scorso. In attesa della conclusione delle indagini giudiziarie sull’incidente del 30 novembre, a ventitré giorni dalla sua scomparsa, Davide avrà finalmente pace.

Lutto cittadino oggi a Lonigo, attese migliaia di persone

L’amministrazione della città del Basso Vicentino ha proclamato per oggi il lutto cittadino per l’ultimo saluto al campione. Ai funerali al Duomo di Lonigo, sono attese migliaia di persone e personalità dal mondo del ciclismo e dello sport. E l’amministrazione, guidata dal sindaco Pierluigi Giacomello, si è organizzata per gestire i flussi di tifosi che arriveranno da tutta Italia.

La veglia al Santuario di Madonna al quale Rebellin era devoto

L’altra sera, c’era stata una partecipata veglia di preghiera con la recita del Rosario nel Santuario di Madonna di Lonigo dedicato alla Madonna dei Miracolialla quale il campione scomparso era particolarmente devoto. La chiesa dove Davide aveva fatto il chierichetto negli anni giovanili, dove sempre tornava al suo ritorno nei luoghi natii per un fiore, un ringraziamento, una preghiera.

Sabato scorso, alla Pieve di San Floriano, in Valpolicella, invece tra i presepi esposti nel chiostro, accanto alla capanna, è stata posta una ruota con la foto di “due angeli”, Davide Rebellin e Michele Scarponi. La foto risale al 2009, quando Davide e Michele erano compagni di squadra alla Diquigiovannientrambi uniti poi da un tragico destino (anche Scarponi è morto a pochi passi da casa, investito da un camion)

In attesa della conclusione delle indagini giudiziarie sull’incidente del 30 novembre, a ventitré giorni dalla sua scomparsa, Davide avrà finalmente pace. 

Luisa Dissegna / Lino Zonin / Renzo Puliero

Dopo tanta rabbia e sgomento all’assistere all’ennesimo funerale di un ciclista morto lungo le nostre strade, la mia reazione non si è fatta attendere:

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, tecnico sportivo CSEN Abruzzo e grande ciclista amatoriale abruzzese appassionato di ciclismo su strada e della sua storia italiana

LA MORTE DI DAVIDE REBELLIN, 30 NOVEMBRE 2022: UN MESE FA’ AVEVA APPENA TERMINATO LA SUA INCREDIBILE CARRIERA DI CICLISTA PROFESSIONISTA

Vasto (CH), lì 30 Novembre 2022 ore 20.37

Amici ed amiche, buonasera a tutti e a tutte.

Comunico in questa sede con immenso dolore la morte per un incidente su strada dell’ex-ciclista professionista Davide Rebellin, notizia che ho appreso durante l’edizione serale delle 20.30 del TG5 di Mediaset.

Morto Davide Rebellin: il campione di ciclismo travolto e ucciso da un camion. Si cerca l’autista

L’incidente è avvenuto lungo la Strada Regionale 11 (SR11), a Montebello Vicentino (VI). Il camionista potrebbe non essersi accorto di nulla.

Un sorridente Davide Rebellin, 51 anni: aveva appena terminato la sua carriera agonistica di ciclista professionista appena un mese fà https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/morto-davide-rebellin-ciclismo-investito-ucciso-camion-1.9762592

L’ex campione di ciclismo Davide Rebellin, 51 anni, è morto oggi (mercoledì 30 novembre) in un incidente stradale durante un allenamento in bici. Il dramma si è consumato poco prima di mezzogiorno lungo la Regionale 11, a Montebello Vicentino. Rebellin è stato travolto e ucciso da un camion, che poi si è allontanato. 

Il campione di Lonigo, dopo 30 anni di professionismo, aveva chiuso la propria carriera poco più di un mese fa, con la partecipazione alla Veneto Classic. Classe 1971, nel 2004 vinse in otto giorni Amstel Gold Race, Freccia Vallone (poi conquistata altre due volte) e Liegi.

Montebello Vicentino, i carabinieri sul luogo dell’investimento (Foto ZONIN)

L’incidente è avvenuto lungo la strada Regionale 11, a Montebello, all’altezza del bar ristorante “La Padana”. Secondo una prima ricostruzione, il mezzo pesante nell’uscire dallo svincolo avrebbe colpito e travolto Rebellin, per il quale non c’è stato nulla da fare. L’autista non si è fermato, allontanandosi, ma non è ancora chiaro se si sia accorto o meno di quanto era successo. Sul posto è intervenuto il Suem 118, ma il medico non ha potuto fare altro che constare il decesso dell’ex campione. I carabinieri sono al lavoro per ricostruire la dinamica dell’incidente e rintracciare il camionista. 

Il luogo dell’incidente e la bici di Davide Rebellin (Foto ANSA)

Rebellin, il fratello ha riconosciuto la bici sull’asfalto

I carabinieri stanno setacciando le immagini delle telecamere di sicurezza di un ristorante accanto al luogo dello schianto, per poter individuare targa e modello del mezzo. L’ex campione era uscito con la sua bici da corsa e probabilmente stava percorrendo la regionale 11 Vicenza-Verona per rientrare a casa, a Lonigo. Tragica la circostanza in cui è avvenuto il riconoscimento della vittima. Un fratello di Rebellin, Carlo, aveva appreso dai media che c’era stato un incidente nella zona di Montecchio, un ciclista travolto da un mezzo pesante. Si è recato subito sul posto, forse per una sorta di presentimento, e ha subito riconosciuto la bici del fratello, accartocciata.

Un mese fa l’ultima corsa e l’annuncio del ritiro

Davide Rebellin aveva disputato la sua ultima gara poco più di un mese fa, il 16 ottobre, la Veneto Classic, sulle strade di casa. Aveva chiuso con un trentesimo posto, dopo una carriera straordinaria che ne aveva fatto uno dei ciclisti professionisti più longevo al mondo. E alla fine di quella gara Davide Rebellin, nato il 9 agosto 1971 a San Bonifacio (Verona) ma cresciuto e residente a Madonna di Lonigo ( Vicenza), aveva annunciato il suo ritiro. Anche se ogni giorno, come avvenuto oggi, amava percorrere molti chilometri in bicicletta.

Davide Rebellin, la carriera

Prima corsa con i pro: 5 agosto 1992, quattro giorni prima del suo 21esimo compleanno; ultima corsa, 16 ottobre 2022, a 51 anni compiuti alla Veneto Classic, 197,6 chilometri da Treviso a Bassano del Grappa su strada, pavè e gravel.
In mezzo 70 vittorie, una maglia iridata da junior nella 70 km nel 1989, 6 giorni in maglia rosa al Giro 1996, due partecipazioni ai Giochi olimpici, un periodo da n. 1 al mondo, grande esempio di dedizione alla bici e al ciclismo e uno dei migliori corridori italiani e nel mondo. 
Davide Rebellin aveva chiuso la carriera agonistica dopo 30 stagioni con i big del pedale, ma avrebbe continuato «ad andare in bicicletta». Da lunedì 17 ottobre, aveva detto «non cambierà molto per me, solo non metterò la stessa intensità nell’allenamento, ma in bici andrò sempre». 
Rebellin, aveva cominciato da B2 con la Pizzini di Malcesine dove vinceva cinque-sei gare di media ogni anno. 

La prima volta? A Povegliano il primo anno. Poi, da juniores il passaggio alla Riboli val d’Illasi. Alla “scuola Cordioli”, dove Rebellin crebbe, cominciò a fare le prime gare internazionali. Da Under corse con l’Opel Vighini con Billy Ceresoli diesse. 
Esordio con i prof nel 1992 a Camaiore, come Pantani, prima vittoria nel 1993 all’Hofbrau Cup in Germania. Senza alzare le braccia perché era una corsa a tappe dove non vinse una tappa. La prima a mani alzate è stata nel 1995 in volata su 40 corridori in una tappa del Giro del Trentino, davanti Frattini, Ferrigato, Fondriest, Berzin. 
Rebellin ha avuto una crescita graduale. Con Ferretti, all’Mg, tanti piazzamenti, ma poche vittorie. Al Giro 1996, tappa e sei giorni in rosa avevano fatto pensare potesse diventare corridore da corse a tappe. Anche perché oltre al 6° posto al Giro, era stato 7° alla Vuelta. 
L’anno dopo, nel 1997, la Francaise des Jeux lo prese come uomo di classifica per il Tour. Subito dopo quel Tour, Rebellin vinse la Clasica di San Sebastian e poi a Zurigo, gare di Coppa del mondo. 
Il trittico Amstel-Freccia-Liegi in otto giorni nel 2004 la sua gemma. Ha vinto Parigi-Nizza, Tirreno-Adriatico, Brixia Tour. Ha corso 9 volte i Mondiali. Il rimpianto è per il 2004 al Mondiale di Verona, che non aveva corso. A Verona c’era nel 1999, ma era caduto. Il miglior piazzamento il quarto posto nel 2008, con Ballan primo e Cunego secondo.

Tragedia nel ciclismo: è morto Davide Rebellin, investito da un camion

Il 51enne travolto a Montebello Vicentino. Dalle prime notizie sembra che il camionista non si sia fermato

Ciro Scognamiglio

Davide Rebellin, 51 anni. Bettini

L’ennesima tragedia della strada. Davide Rebellin, 51 anni, è stato travolto da un camion ed è morto lungo la strada Regionale 11, nel territorio del comune di Montebello Vicentino.

Secondo una prima ricostruzione dell’incidente il mezzo pesante uscendo da una rotatoria all’uscita di un ristorante per camionisti appena dopo pranzo avrebbe colpito e travolto l’uomo in sella alla bicicletta, deceduto all’istante. I carabinieri sono al lavoro per ricostruire la dinamica dell’incidente ma dalle prime informazioni sembra che l’autista non si sia fermato, allontanandosi. Ma ancora non è chiaro se si sia accorto dell’impatto con il ciclista oppure no.

Il luogo dell’incidente. Ansa

I SUCCESSI

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Una carriera più che trentennale tra i pro’, dall’agosto 1992 (subito dopo l’Olimpiade di Barcellona) al 16 ottobre 2022, quando aveva corso la Veneto Classic nella sua regione: è stata più unica che rara la carriera di Davide Rebellin, nato il 9 agosto del 1971. La sua prima squadra era stata la GB-MG: tra i suoi compagni di squadra Franco Chioccioli, Mario Cipollini e Franco Ballerini.

Tante le classiche che ha conquistato il vicentino ma su tutto spicca l’annata d’oro del 2004, quando divenne il primo della storia a vincere in 8 giorni Amstel Gold Race, Freccia Vallone (conquistata 3 volte in tutto) e Liegi-Bastogne-Liegi. Ma nel palmares spiccano anche San Sebastian, il Gp di Francoforte, tappe al Giro (fu anche maglia rosa) e alla Vuelta, la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Nel 2008 vinse la medaglia d’argento nella prova in linea all’Olimpiade di Pechino, che gli venne poi tolta per la positività al Cera. Un caso molto controverso, per il quale poi era stato assolto dal Tribunale di Padova sette anni dopo: lui aveva sempre rivendicato la propria innocenza. Tante le maglie vestite da Rebellin, tra cui Francaise des Jeux, Polti, Liquigas e Gerolsteiner. L’ultima era stata quella della Work Service. Tantissime le reazioni di cordoglio sui social, una su tutte quella del c.t. azzurro Daniele Bennati: “Ditemi che non è vero”.

Ciclismo in lutto: è morto Davide Rebellin, investito da un camion

L’incidente a Montebello, l’ex corridore aveva 51 anni

Addio Rebellin: Amstel e Freccia Vallone nel suo palmares
https://www.sportmediaset.mediaset.it/altrisport/ciclismo/ciclismo-in-lutto-e-morto-davide-rebellin-investito-da-un-camion_58072530-202202k.shtml

Mondo del ciclismo sotto shock per la scomparsa di Davide Rebellin. L’ex corridore 51enne era in sella alla sua bici ed è stato travolto da un camion a Montebello vicentino (Vicenza). Secondo le prime ricostruzioni riportate da Il Gazzettino, il mezzo pesante uscendo dal vicino svincolo autostradale ha colpito il veronese che è morto sul colpo. L’autista, che non si sarebbe accorto dell’impatto, non si è fermato e i carabinieri sono al lavoro per rintracciarlo. 

Cinque anni dopo Scarponi, un altro campione italiano del ciclismo perde la vita in bici dopo un incidente. Rebellin ha corso la sua ultima gara da professionista il 16 ottobre scorso sulla strade di casa alla Veneto Classic. Le stesse strade dove oggi ha perso la vita per colpa di un incidente mentre si stava allenando.

Rebellin: le foto sul luogo dell’incidente
La salma di Rebellin stesa sull’asfalto e coperta da un lenzuolo verde
La bicicletta gravel di Rebellin è irriconoscibile, letteralmente maciullata dall’impatto con il camion

L’AUTISTA DEL CAMION NON SI E’ FERMATO
L’autista del camion che ha travolto e ucciso Davide Rebellin non si è fermato a prestare i primi soccorsi al ciclista. Secondo quanto si apprende il mezzo sarebbe uscito da una rotatoria della SR11 nei pressi del ristorante-albergo La Padana (ad un chilometro circa dal casello di Montebello della A4) colpendo il ciclista che è deceduto all’istante. I Carabinieri sono al lavoro per ricostruire la dinamica dell’incidente e per rintracciare l’autotrasportatore. Ancora non è chiaro se si sia accorto dell’impatto con il ciclista oppure no.

LA CARRIERA DI REBELLIN

Professionista dal 1992 al 2022, Rebellin era uno specialista delle classiche, in carriera ha vinto un’edizione dell’Amstel Gold Race (nel 2004), tre della Freccia Vallone (nel 2004, 2007 e 2009) e una della Liegi-Bastogne-Liegi (nel 2004), oltre a una tappa al Giro d’Italia. Dopo una buona carriera da dilettante, medaglia d’argento ai campionati del Mondo. Nel 1992 è l’uomo di punta della nazionale italiana ai Giochi olimpici di Barcellona, ma corre in appoggio del compagno di squadra Fabio Casartelli che vince la medaglia d’oro. Esordisce da professionista dopo i Giochi olimpici, con un brillante nono posto al Giro di Lombardia e coglie il primo successo da professionista l’anno successivo, vincendo la classifica finale della Hofbrau Cup, breve gara a tappe tedesca. Dopo un paio di anni in sordina, si mette in luce nel 1996 al Giro d’Italia, dove trionfa nella tappa con arrivo a Monte Sirino e veste la maglia rosa indossandola per sei giorni consecutivi. Sesto nella classifica finale di quel Giro, si ripeterà con una buona prestazione alla Vuelta a España, che concluderà al settimo posto.

Nel 1997 sigla una prestigiosa doppietta, vincendo nel giro di pochi giorni la Clásica San Sebastián e il Gran Premio di Svizzera a Zurigo sfruttando la condizione raggiunta al termine della Grande Boucle, suo principale obiettivo della stagione. Cosi’, ormai trentenne, dopo diverse stagioni in cui avrebbe potuto vincere molto di più, si specializza finalmente nelle gare in linea e nelle brevi corse a tappe conquistando la Tirreno-Adriatico 2001. Nel 2004 è protagonista di una stagione che lo vede vincente in Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi: diventa così il primo ciclista capace di conquistare le tre classiche delle Ardenne in una sola settimana. Nel 2007 la campagna delle Ardenne lo vede nuovamente protagonista: secondo, primo e quinto posto rispettivamente ad Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Onora poi l’ottava maglia azzurra ai campionati del mondo di Stoccarda, riuscendo a piazzarsi in sesta posizione.

Nel 2008 conquista la sua prima Parigi-Nizza e l’anno successivo vince per la terza volta la Freccia Vallone. Il 9 agosto 2008 ai Giochi olimpici di Pechino, nel giorno del suo trentasettesimo compleanno, si aggiudica la medaglia d’argento nella prova in linea. Medaglia poi revocata per una positività al doping, in particolare al Cera. Dopo sette anni, il 30 aprile 2015, venne assolto dalle accuse di doping ed evasione fiscale in quanto “il fatto non sussiste”. Il 27 aprile 2011, al termine dei due anni di squalifica, rientra alle corse e alla bellezza di 40 anni vince la novantunesima edizione della Tre Valli Varesine. Negli ultimi anni di carriera riesce ancora a vincere alcune classiche italiane come la Coppa Agostoni, termina l’attività agonistica il 16 ottobre 2022 sulle strade di casa alla Veneto Classic, concludendo con un trentesimo posto alla veneranda età di 51 anni. 

Fonti: Il Giornale di Vicenza, La Gazzetta dello Sport, Sport Mediaset

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Davide Rebellin, individuato il camionista pirata che lo ha ucciso. Si è avvicinato al corpo e poi è fuggito

L’uomo, un tedesco di 62 anni, è stato denunciato. Ha già avuto precedenti per omissioni di soccorso.

La bicicletta distrutta di Davide Rebellin dopo il terribile incidente che gli è costato la vita https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/davide-rebellin-morto-camionista-denunciato-pirata-1.9764660

È stato individuato e denunciato in Germania il camionista che mercoledì mattina lungo la Regionale 11, a Montebello Vicentino, ha investito e ucciso l’ex campione di ciclismo Davide Rebellin. Si tratta di un 62enne tedesco. Le autorità italiane e quelle tedesche sono in contatto, ma al momento non può essere arrestato perché in Germania non esiste il reato di omicidio stradale. 

Era sceso dal camion e aveva visto Rebellin a terra

I carabinieri sono riusciti a risalire alla targa del camion dopo aver raccolto ed esaminato numerosi filmati girati sia dalle telecamere del ristorante “La Padana”, sia dagli occhi elettronici di diversi caselli autostradali. La mole di dati è poi stata incrociata con le testimonianze fino a quando si è arrivati a individuare la targa, tedesca, del mezzo pesante. A quel punto, le autorità italiane hanno interessato anche l’Europol oltre alla polizia tedesca.

Il camionista, da quanto è emerso, era del tutto conscio di quanto era successo: dopo l’investimento sulla rotatoria della regionale 11 era infatti sceso dalla cabina di guida del Tir, si era avvicinato alla vittima a terra, poi era risalito sul camion allontanandosi velocemente. Un fatto riferito ai carabinieri da testimoni oculari, alcuni dei quali lo avevano anche fotografato. 

Dopo la fuga era già rientrato in Germania

Stando a quanto riferisce la Procura, il 62enne tedesco era già stato condannato in Italia, a Foggia, nel 2001, per essere fuggito dopo un incidente senza prestare soccorso alle persone coinvolte. La pena è stata successivamente dichiarata estinta per decorso del tempo. Nel 2014, invece, gli era stata ritirata la patente dalla polizia stradale di Chieti per guida in stato di ebbrezza.

Continua senza sosta la caccia al conducente del camion pirata che ieri mattina (mercoledì 30 novembre) ha investito e ucciso a Montebello Vicentino l’ex campione di ciclismo Davide Rebellin, mentre era in bicicletta.

Al setaccio le telecamere

Le indagini dei carabinieri per dare un nome e una nazionalità al conducente dell’autoarticolato si concentrano sui frame delle telecamere di videosorveglianza della zona, in particolare quella puntata sul parcheggio del ristorante “La Padana”, a meno di 100 metri dal luogo della tragedia. Dopo aver passato al setaccio ore e ore di immagini, gli investigatori hanno ristretto la ricerca dapprima ad una decina di automezzi, poi a soli due: i video, emerge dallo stretto riserbo delle indagini, mostrerebbero uno dei due Tir entrare nell’area di sosta nell’orario coincidente con l’incidente. L’autista non sarebbe sceso dal mezzo, e dopo alcuni minuti di fermata sarebbe ripartito, facendo manovra, imboccando la strada nel senso da cui era arrivato. In questo caso, gli sarebbe stato impossibile non accorgersi che a terra c’erano un corpo e una bicicletta schiacciata. I carabinieri – ma questo non è stato confermato – potrebbero essere in possesso di una targa, ed aver così diramato un allarme alle autorità di frontiera. Il camion non è stato finora trovato; l’investitore ha molte ore di vantaggio su chi lo insegue, e

potrebbe essere già lontano dall’Italia.

Intanto la Procura di Vicenza ha aperto un fascicolo, contro ignoti, per omicidio stradale. Si è appreso intanto che, proprio ieri, Rebellin ed un fratello dovevano incontrare il sindaco di Lonigo, paese dove il campione risiedeva, per organizzare ad aprile 2023 una festa celebrativa del suo addio alle corse. Un evento che si doveva concludere con una maxi-biciclettata cui sarebbero stati invitati molti campioni ed ex compagni di maglia di Rebellin. 

Le parole del ministro Abodi e del presidente del Coni Malagò

Sulla tragedia sono intervenuti anche il ministro dello Sport Andrea Abodi e il presidente del Coni Giovanni Malagò.

I numeri degli incidenti sulla strada «sono ogni anno impressionanti», e perciò «non possiamo far finta di niente, ma dobbiamo ripristinare dei presidi educativi», perché occorre agire sul fronte della «responsabilizzazione» di chi si mette alla guida, ha detto il ministro Abodi, commentando la scomparsa di Rebellin. «Dobbiamo fare in modo che chi toglie una vita si assuma sempre la sua responsabilità», chiosa il ministro.

«È la 103esima morte di un ciclista nel nostro Paese dall’inizio dell’anno. Un numero impressionante. Lo si è detto spesso, anche con i migliori presupposti: si deve fare in modo di evitare questi numeri impressionanti. Un abbraccio alla famiglia da parte del Comitato Olimpico», ha invece detto all’Ansa il numero uno del Coni Malagò. «Quando vengono colpiti da questa tragedia – ha aggiunto – protagonisti del nostro mondo, dello sport e del ciclismo, come Davide e come lo è stato Scarponi, c’è una ribalta mediatica. Ma penso si debba agire in fretta. C’è un utilizzo della bicicletta che più o meno ognuno fa a livello ludico, come pratica motoria o addirittura di chi lo fa per lavorare, come in questo caso. È un ulteriore elemento di riflessione».

Valentino Gonzato e Matteo Bernardini

Morte Rebellin: la lettera dei ciclisti alle Istituzioni

Morte Rebellin, la lettera dei ciclisti alle Istituzioni https://www.bicidastrada.it/morte-rebellin-la-lettera-dei-ciclisti-alle-istituzioni/

La morte di Davide Rebellin ha scosso tutto il mondo del ciclismo, e non solo.
Ma il rischio è che, come è già successo altre volte, terminata l’onda emotiva di questo tragico evento tutto finisca nel dimenticatoio. Tutto resti come prima.
Non deve essere così. Va fatto qualcosa di concreto per la sicurezza degli utenti deboli della strada. Ci vuole un cambio di passo culturale, ma ci vogliono anche regole chiare e severe.
Parte da questa consapevolezza, unita alla disperazione nel cuore dovuta alla perdita di un amico, l’appello inviato alle Istituzioni da ACCPI e ciclisti e cicliste professionisti in attività ed ex, ma sottoscritto anche da tanti personaggi dello sport e della cultura.
Di seguito il testo completo, che anche noi di BiciDaStrada.it sposiamo in pieno.

Davide Rebellin in posa con la sua bici da corsa veneta Dynatek

Fino a quando?

Per l’ennesima volta piangiamo un amico morto sulla strada. Michele Scarponi, ora Davide Rebellin ucciso ieri. E sempre ieri un ragazzo di 16 anni ammazzato mentre pedalava a Ferrara. Come Tommaso Cavorso, Silvia Piccini, Thomas Casarotto e tanti, troppi altri amici.

Solo nel 2021 sono morte oltre 200 persone in bicicletta, quasi 500 pedoni, molte di queste vittime di incidenti della strada dovuti a persone che semplicemente non si sono accorte della loro presenza. Non si sono resi conto che erano lì. Distratti dal cellulare, presi dalla frenesia con il piede sempre sull’acceleratore e lo sguardo chissà dove.

La strada non è solo delle automobili. La strada è del bambino che va a scuola, della mamma o del papà che accompagnano i figli in bici o a piedi, degli anziani che si spostano magari con l’unico mezzo che hanno a disposizione, le proprie gambe.

La strada è di tutti, o così dovrebbe essere, ma poi non è assolutamente vero.

Quel che resta della bici di Davide Rebellin. Un’immagine che ha fatto tristemente il giro del web. Foto ANSA/ TOMMASO QUAGGIO

E diventiamo ostacoli al cammino di bolidi impazziti o di persone distratte che non si rendono conto che l’automobile diventa uno strumento di morte se gestita con distrazione e mancanza di rispetto.

Perché tanto la velocità sulla strada è un fattore di successo quanto l’indifferenza per quelli che sono utenti deboli, diventato un fatto ordinario su cui piangere soltanto per qualche minuto nella quotidiana tragedia che tocca le famiglie investite, ed è proprio il caso di dirlo, dalla mala sorte di un pirata che semplicemente non guardava.

La nostra battaglia per imporre nel codice della strada regole più stringenti a tutela dei ciclisti non si fermerà. Ci abbiamo provato più e più volte e ci continuiamo a provare.
Chiediamo ancora una volta che si stabiliscano i limiti minimi per il sorpasso di una bicicletta sulla strada. È un piccolo passo ma un passo importante.
Perché stabilire regole chiare di distanza nel sorpasso dei ciclisti ci salva la vita.

Un metro e mezzo sono centocinquanta centimetri che rappresentano la distanza fra la vita e la morte. E vi assicuro che questo è la grandissima verità.

Non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo smettere di chiedere regole diverse.

Ci eravamo quasi riusciti qualche mese fa, ma ancora una volta la burocrazia e qualcuno in qualche ufficio di una ragioneria ha frenato e ha pensato di dire che mettere una norma semplice produceva un costo non coperto nel bilancio dello Stato.

Il cartello segnaletico del comune di Pinerolo (TO) in Piemonte che indica la distanza di sorpasso di 1,5 metri che devono tenere gli automobilisti quando superano i ciclisti, firmato dalla ultraciclista Paola Gianotti

Ma quale somma, peraltro infinitesimale, può valere la vita di una persona? Chi salva una vita salva il mondo intero. Qui non dobbiamo salvare il mondo intero dobbiamo soltanto scrivere una regola semplice.

Ridateci il diritto di vivere la nostra esperienza sulla strada come ciclisti con serenità e sicurezza. Dateci regole e aiutateci a pedalare in sicurezza.

Un metro e mezzo. Tre passi di cammino. Facciamoli!
Perché dobbiamo fermare questa strage.
Adesso!

Paola Gianotti, Associazione Io Rispetto il Ciclista
Marco Cavorso, Associazione Io Rispetto il Ciclista e ACCPI
Maurizio FondriestAssociazione Io Rispetto il Ciclista
Cristian SalvatoAssociazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani
Tutti i ciclisti e cicliste professionisti in attività ed ex

Foto d’apertura ACCPI – Tim van Wichelen/Cor Vos © 2018

Qui sotto il nostro ricordo di Davide:

Caro Davide…

Il ricordo di Davide Rebellin firmato Bici da Strada https://www.bicidastrada.it/caro-davide/

Caro Davide, ti scrivo, ti scriviamo.
Vogliamo dirti una cosa. Ci siamo e ci saremo ovunque tu sia.
Sappiamo che sei lassù assieme ai Campioni, al fianco di Michele Scarponi.
Campioni del ciclismo e non solo. Uomini e Donne di valore che hanno fatto la storia fosse solo con gesti semplici e quotidiani. Per voi c’è solo un posto: il Paradiso.

Davide Rebellin in maglia Geroldsteiner vince la Liegi-Bastogne-Liegi edizione 2004

Caro Davide, siamo rimasti attoniti. Impietriti di fronte alla notizia battuta dal Giornale di Vicenza. Abbiamo fatto fatica a rilanciare. Abbiamo cercato quella fonte in grado di non confermare il fatto.

Ti abbiamo chiamato, abbiamo chiamato tuo fratello Carlo, abbiamo chiamato al bar di tuo fratello Carlo: “Ultima Tappa”. Anche se un’ultima tappa in fondo non c’è. Perché la corsa per gli agonisti non finisce mai. C’è sempre qualcosa da migliorare, scoprire, esplorare. Come stavi già iniziando a fare tu. Un nuova vita, ma sempre in sella. In sella a quelle bici Dynatek che stavano diventando sempre più “tue” al di là degli affari.
Abbiamo chiamato senza ricevere riscontri. Abbiamo chiesto e richiesto fino a trovare la risposta.

Caro Davide: le strade sono pericolose, per tutti. Per noi ciclisti un po’ di più e sempre di più. Abbiamo dentro tante domande e poche risposte. O meglio, ne abbiamo una. Basta e avanza.

Chi ti ha conosciuto da vicino, in bici, ad un evento, alle corse, lo sa… Rispetto, umiltà, pacatezza, dedizione, altruismo. Abbiamo chiesto anche agli addetti ai lavori. Giornalisti e Direttori Sportivi che ti hanno visto crescere. “Davide? Non lo abbiamo mai visto arrabbiato”. Parere unanime. Ci mettiamo dentro anche quattro parole di Edoardo Zardini, ciclista pro’ del team Drone Hopper-Androni Giocattoli: “Insegnavi stando in silenzio”. Serve tutto questo a conti fatti, ora più che mai.

Raffaele “Lello” Ferrara ha scritto questo messaggio. Tu e lui, in bici e al di fuori, siete sempre stati l’alter e l’ego. Avete condiviso molto.
«Tu che mi chiedevi per cortesia se potevo impegnarmi, fare la vita dell’atleta e allenarmi. Tu che mi dicevi “chiamami RAF se hai bisogno”. Tu che facevi beneficenza senza che nessuno lo sapesse. Tu che mi chiamavi se non mi vedevi in fondo alla strada di casa tua e ti preoccupavi».

Caro Davide, il nostro non vuole essere un ricordo, una memoria.
Sei parte dell’ultima generazione di fenomeni del ciclismo italiano: Pantani, Simoni, Rebellin e tanti altri.
“Rebellin da junior era già due spanne sopra gli altri – ci hanno detto -. Era come veder correre un dilettante contro un allievo. Tanta classe, al punto che era in grado di vincere ogni domenica e forse non lo faceva per rispetto. Perché andava già bene così”.
E poi ancora.
“Al Circuito Internazionale di Caneva. Sulla salita del Castello mi scende la catena. Provo a rimetterla in sede e niente da fare. Un attimo dopo sento il tocco di una mano. Mi volto e vedo Davide, in salita, che mi spinge e mi incita a tener duro nonostante tutto. Non eravamo compagni di squadra”.

Foto: Salvaguardia e Tutela Davide Rebellin

«PERO’ ANCHE VOI CICLISTI…». PERO’ CHE?

Un sorridente Davide Rebellin ritratto accanto alla sua bicicletta gravel della Dinatek, la stessa bicicletta ritrovata sul luog dell’incidente mortale
https://www.tuttobiciweb.it/article/2022/12/03/1670068216/cristiano-gatti-davide-rebellin-pirati-della-strada-ciclabili-piste-ciclabili-comuni-camionista-tedesco

APPROFONDIMENTI | 03/12/2022 | 12:48
di Cristiano Gatti

La prima pulsione, di chiaro stampo animale, è trascinare in Italia l’autista tedesco che ha ammazzato Davide Rebellin e darlo in mano al popolo della bicicletta, magari facendolo risalire a sberle il Passo del Pordoi durante una tappa del Giro. Ma quando scatta la prima pulsione bisogna contare fino a dieci, se necessario fino a venti o a trenta, e poi soffocarla. Perchè non siamo bestie, certo, ma anche perchè dopo la prima pulsione si comincia a ragionare da esseri umani, si apre la porta al raziocinio e al discernimento, e allora entra in scena una sequela di altri pensieri. Inevitabilmente.

Così, dopo aver pensato molto all’assassino tedesco, lasciato in giro a guidare sulle nostre strade nonostante i due precedenti criminali, a me viene subito da pensare a chi ce l’ha lasciato. Alle leggi ridicole che non hanno permesso di ritirargli per sempre la patente in Italia, e a chi ha fatto queste leggi. Assassino lui, ma complici anche quelli che non hanno mai stabilito regole più serie.

Poi i pensieri si inseguono e si legano a catena, uno tira l’altro, e allora ecco subito il pensiero che si allarga a chi in tutte le campagne elettorali, in tutte le riunioni sul clima, in tutti i convegni sul futuro, racconta la balla di puntare sulla bicicletta come mezzo supremo della riscossa ecologica, salvo non muovere un dito perchè questa bicicletta possa essere usata in sicurezza, a tutte le età, in qualunque luogo. La vogliono promuovere e la vogliono rimuovere, questa la verità, inventandosi la colossale menzogna delle piste ciclabili che non sono piste ciclabili, solo quattro strisce dipinte per fare grancassa, a caso, a pezzi, ad arlecchino, a macchia di leopardo, senza un ordine e senza un senso, soprattutto senza mettere mai al primo posto gli utenti di quelle piste, cioè noi ciclisti, magari chiedendo pure qualche parere.

A scendere, penso agli assessori dei nostri comuni, che rifanno strade e rotatorie a getto continuo, per piazzare le loro fibre e per affidare appalti agli amici impresari, ma mai che mettano al centro del progetto anche una vera, sicura, godibile pista per le biciclette. Non è prevista, ops, mi sono scordato, magari la prossima volta.

Penso ai vigili e agli agenti della Stradale, che mai e poi mai, nemmeno sotto tortura, multerebbero un automobilista o un camionista che supera il ciclista sfiorandolo con sinistre e mortifere carezze: non vogliono grane, chi glielo fa fare, i ciclisti sono notoriamente rompiballe indisciplinati e se vogliono stare in strada vedano di cavarsela un po’ da soli. Se ne stiano a casa, questi sfaticati, in strada c’è gente che lavora.

Penso alle sciure che si fermano improvvisamente sulla destra, davanti al negozio, preferibilmente senza freccia, poi mentre finiscono la telefonata aprono la portiera senza guardare nello specchietto, oddio che sbadata, ma quanto mi spiace, l’aiuto a raccogliere i denti, intanto chiamo subito l’ambulanza, per la bici accartocciata mi farà sapere la spesa…

Penso agli autisti dei furgoni che portano in giro i pacchi dell’e-commerce, nuovo flagello del terzo millennio, sempre di più, sempre più scassati e inquinanti, ma soprattutto sempre più guidati da poveracci pagati una miseria, mossi dall’unica missione di fare tante consegno nel minor tempo possibile, il più delle volte extracomunitari senza alcuna conoscenza del territorio, tutti con il telefono in mano per avvertire il prossimo cliente e per seguire le indicazioni di Google Maps, pazienza se nel frattempo non guardano più la strada e piombano alle spalle su noi stupidi gitanti delle due ruote.

Penso persino alle imprese che eseguono i lavori lungo le strade, scavandole come roditori insaziabili, ma lasciandole poi sconnesse e dissestate, con quei tombini profondi una spanna, tutte tagliole che macchine e camion non avvertono, ma che il ciclista teme come la lebbra, perchè costringono a scarti improvvisi e disperati verso il centro della strada, dove la lotteria dell’investimento aumenta vertiginosamente le sue probabilità di successo.

Penso agli automobilisti di nuova generazione, cioè tutti noi dai 18 anni in su, che proprio non ce la facciamo a guidare senza telefonare, qualcuno certo con il bluetooth, qualcuno certo con l’auricolare, ma troppi, dannatamente troppi, ancora in giro con lo smart-phone in mano, postura toast a colazione, distratti di testa e impediti di braccia, tutto fuorchè autisti attenti e responsabili.

Sì, assieme all’assassino tedesco, sono tante le figure che vengono in mente pensando a Michele Scarponi, a Davide Rebellin e a tutti gli altri meno famosi martiri della bici, quanti i ragazzini, Dio santo. L’altra gente dice di noi ciclisti che siamo insopportabili, arroganti, maleducati, soprattutto indisciplinati, con questa mania di viaggiare a gruppi come  greggi allo stato brado, in mezzo alla strada, o a coppie, comunque non in fila indiana, preferibilmente buttandosi nel fossato laterale quando passano i signori motorizzati. Diciamolo: c’è del vero, molti di noi sono perfetti idioti che pretendono a loro volta di fare i propri comodi in strada, forse in virtù di una santità – ecologica, sportiva, ideale, poetica? – che sinceramente suona ridicola. Ma deve essere ben chiaro, diciamolo con rabbia, urlandolo se necessario, che per quanto idioti e incoscienti possano essere i ciclisti, il peggio dei danni che possono arrecare al prossimo è un rallentamento, una perdita di tempo, certo anche un inevitabile livore. Ma niente di più. Nessun  danno materiale, niente sangue, niente lutto. Quando il farabutto è motorizzato, i danni sono incalcolabili. Non c’è paragone, solo uno stupido mentecatto non lo capisce, parlando magari di Rebellin con il commento a gettone “però anche voi ciclisti…”. Però che? Per quattro dementi che vanno in bici da bulli dobbiamo pagare con la condanna a morte? E’ questo il senso del “però anche voi ciclisti”?

Sappiano però una cosa, tutti quelli che ho evocato, dal killer tedesco alla sciura che apre la portiera, agli assessori che se ne impippano delle piste ciclabili: signori, se pensate di risolvere il problema bicicletta sterminandoci tutti, a uno a uno, commettete un tremendo errore di calcolo. Da questa parte c’è un’umanità particolare, mossa da una passione infinita, da un amore folle per la libertà, da una forza e da un coraggio che non si fermano davanti a niente e a nessuno. Non sottovalutateci, non vi conviene. Noi continueremo ad andare in bici, a rischiare, a prendere spaventi, ma soprattutto a pressarvi e a tampinarvi, perchè questa faccenda della sicurezza stradale non può finire così velocemente, a questo modo, due lacrime, due corone di fiori al funerale, due dichiarazioni ipocrite all’Ansa, e poi via come prima, nella vergogna più imperdonabile. La sicurezza in strada non si porta eliminando le biciclette, come state cercando di fare. Ma portando regole, controllori, rispetto, civiltà. A questo, noi gente della bicicletta, puntiamo da sempre. E a questo continueremo cocciuti a puntare. In ogni modo, a qualunque costo. Ce lo insegna la nostra cultura, ma prima ancora ce lo impongono i nostri martiri.

“Il Ciclismo è uno sport pericoloso” la frase detta in Italia, Paese delle panzane, fregnacce per non dire inglesismi “fake news” firmato Davide Petrini

BLABLABIKE, GANNA: «SICUREZZA, SULLE STRADE MANCA IL RISPETTO RECIPROCO»

Filippo Ganna, primatista mondiale su pista ed attuale detentore del Record dell’ora fissato a 56,792 km/h https://www.tuttobiciweb.it/article/1670259864

TUTTOBICI | 07/12/2022 | 08:08
di Nicolò Vallone

Dopo i Beat Yesterday Awards di giovedì scorso, abbiamo raccolto qualche battuta da Filippo Ganna, reduce dall’intervento agli occhi che gli permetterà di affrontare il ritiro Ineos di Maiorca e tutto il resto della sua carriera e della sua vita senza doversi mettere le lenti. I temi affrontati sono: la straordinarietà delle storie premiate nella cerimonia organizzata da Garmin, il suo riposo dopo le imprese nei velodromi europei, la scomparsa di Davide Rebellin e il delicato tema della sicurezza dei ciclisti.

Oltre a Ganna, protagonisti della puntata 143 di BlaBlaBike sono Alberto Villata, Elia Viviani, Alessandro Ballan, Fabio Aru ed Elisa Longo Borghini (+ estratto di marzo 2021 Rebellin-Donati)

L’ORA DEL PASTO. QUELLA BICICLETTA ACCARTOCCIATA È IN OGNI CASO REBELLIN

https://www.tuttobiciweb.it/article/1669895445

APPROFONDIMENTI | 01/12/2022 | 12:44
di Marco Pastonesi

Quella bicicletta accartocciata, flagellata, martirizzata. E’ ciò che rimane di Davide Rebellin nei nostri occhi, nel nostro cuore, nella nostra memoria. Ridotto, trasformato, mutato in una bicicletta accartocciata, flagellata, martirizzata, esanime su un metro quadrato di asfalto. Senza requiem e senza coro, senza incenso e senza candele, senza un medico o un meccanico, senza un pronto soccorso o una ciclofficina, senza un dio che potesse regalare il miracolo.

Quella bicicletta è – e sarà – Rebellin. Lui era un uomo chiamato bicicletta. Cinquantuno anni vissuti a pedali e a pedalate, in allenamento e in corsa, salendo e scendendo di sella, stringendo e scalando i denti. Passione e amore, sovrapposizione e riproduzione, identificazione e incorporazione, fino alla metamorfosi. Sembrava eterno, Rebellin: gareggiava con i figli dei suoi primi avversari. E li batteva. Sembrava mistico, Rebellin: gareggiava sempre con se stesso, non contro se stesso. E si vinceva. Sembrava monastico, Rebellin:

gareggiava con la propria forza di volontà, con il proprio codice di disciplina, con il proprio senso di appartenenza.

Mai conosciuto un corridore così umile: eppure aveva vinto tanto e di tanto prestigio. Mai conosciuto un corridore così rigoroso: nella preparazione (meglio un’ora in più che dieci minuti in meno), nell’alimentazione (fino a diventare vegetariano), dunque nella filosofia (il rispetto per la natura, animale vegetale minerale, senza differenze), nello spirito (di un cattolicesimo convinto, mai di facciata o abitudine o convenienza), nella sincerità (a chi gli chiedeva – me compreso – chi gliela facesse fare, sorridendo rispondeva: “Io”). Mai conosciuto un corridore così educato: ascoltava, rispondeva, si scusava perfino quando, a scusarsi, sarebbe toccato a tutti tranne che a lui.

Aveva il nome di un re e il cognome che sapeva di guerra, rivolta, rivoluzione. Invece era il simbolo della pace. Parlava sottovoce e guardava dritto negli occhi. Non so se il suo sorriso fosse malinconico o se la sua malinconia fosse sorridente. Era così anche prima che la giustizia sportiva (a volte ingiusta, spesso ritardataria, sempre confusa) gli cancellasse l’argento olimpico di Pechino. La riabilitazione (“Il fatto non sussiste”), più per questioni di forma che non di sostanza (Cera), non ha avuto lo stesso peso, la stessa visibilità, la stessa eco dell’accusa di doping. In me rimane l’ombra, forse il fantasma, di un doloroso mistero.

Venerdì 9 dicembre Rebellin sarebbe stato a Pontedecimo, invitato da quei valorosi amici che organizzano il Giro dell’Appennino, ospite d’onore alla festa per i 115 anni dell’Unione sportiva Pontedecimo, organizzata alla Società operaia e cattolica Nostra Signora della Guardia. Un’occasione speciale per stare con un angelo precipitato e riemerso dall’inferno, cui un camion ha accartocciato le ali.

Fonte: TuttoBiciweb

Viaggio nella stanza di Rebellin. «Davide ha sofferto tanto, lui che non faceva male a nessuno»

Coppe e trofei, foto, racconti e interviste nella taverna diventata oggi un museo alla memoria. Il ricordo dei fratelli del campione

14 Dicembre 2022

La stanza, nella casa di Lonigo, in cui sono raccolti i ricordi delle vittorie ma anche delle amarezze del campione
https://www.larena.it/argomenti/sport/altro/museo-alla-memoria-di-rebellin-1.9786394

La morte di Rebellin e la cultura della violenza sui ciclisti

https://www.ultimouomo.com/morte-davide-rebellin-cosa-dice-sulla-cultura-della-violenza-sui-ciclisti-vittime-strada/

È arrivato il momento di fare un ragionamento sulle nostre regole, ma anche sulla nostra sensibilità.

È passata poco più di una settimana da quando Davide Rebellin è stato ucciso mentre era in bicicletta. Aveva 51 anni e da poco aveva dato il suo addio al ciclismo professionistico dopo trent’anni di carriera in cui ha attraversato tutte le fasi possibili della vita di uno sportivo professionista: la giovane promessa nei primi anni Novanta, poi l’affermazione e i grandi trionfi, la consacrazione nella primavera del 2004, quando fu capace di infilare la tripletta vincendo Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi nel giro di una settimana. Da lì in poi vengono gli anni più maturi, in cui Rebellin consolida la sua posizione di stella del ciclismo italiano e Mondiale fino all’argento olimpico di Pechino 2008.

Lì iniziano i problemi: l’argento gli viene tolto per una positività al Cera, un nuovo tipo di eritropoietina che in quel periodo stava facendo ripiombare il ciclismo in un’epoca che sembrava ormai chiusa. Rebellin viene abbandonato, scaricato da tutti mentre tentava di provare la sua innocenza. Scontata la squalifica ha già quasi 40 anni ma decide di tornare a correre e lo farà per i successivi 10 anni. Sempre in squadre minori, sempre con la stessa passione. Nel frattempo, nel 2015, arriva anche la tanto attesa assoluzione per quel caso di doping, ma è troppo tardi per riavere indietro tutto ciò che gli è stato tolto.

Nel 2022 annuncia il ritiro: ha più di 50 anni, ne sono passati 11 da quando è tornato, da quando tutti pensavano che il suo fosse solo un capriccio di chi non voleva darsi per vinto. Undici anni, un anno dopo l’altro in cui ogni volta tutti pensavamo che quello sarebbe stato l’ultimo. Fino al ritiro, a fine stagione 2022. Finalmente aveva deciso di fermarsi, di prendersi del tempo per se stesso. Un tempo che però gli è stato preso da un camionista, in pieno giorno, mentre si allenava come sempre per passione.

Ci sono tanti modi per descrivere questo avvenimento. La maggior parte dei media hanno scritto che Rebellin è morto, altri hanno usato formule più implicite come “si è spento” o “ci ha lasciato”. Entrambi i modi suonano scorretti: Davide Rebellin è stato ucciso. Come altri ciclisti è stato ammazzato per strada, in un giorno qualunque, senza movente ma non casualmente. È stato ammazzato perché andava in bicicletta per strada, per una di quelle strade che ogni giorno delle persone in bicicletta condividono con altri mezzi meccanici più grandi di loro: automobili, camion, furgoni, tir.

Questo ci porta alla seconda parte del modo in cui la notizia di Rebellin è stata data dai media, ovverosia il complemento d’agente: da un camion. Investito da un camion. Ci si sente meglio a dirla così perché un camion è un oggetto inanimato, che è altro da noi. La maggior parte di noi non l’ha mai neanche guidato, un camion, e per questo è più facile distaccarsi, è più facile prendere le distanze da quanto successo. Più facile non sentirsi parte del problema. Suonerebbe diverso se dicessimo che Rebellin è stato ucciso da un uomo che guidava un camion, perché in questo caso l’azione la compie un altro essere umano come noi, che fa un gesto che facciamo tutti noi: guidare, per strada. Ed è più difficile allora sentirsi diversi da quell’uomo.

Nel solo 2021 sono morti in bicicletta, secondo i dati ISTAT, 220 persone e altre 16.057 hanno riportato lesioni in seguito a incidenti stradali. 220 persone sono più di un morto ogni due giorni nel solo 2021. Nel 2019 (l’ultimo anno pre-pandemia) furono 253 i morti in bicicletta, il 15,5% in più rispetto al 2018. Insomma è di questo che parliamo: di una strage continua, quotidiana, silenziosa. Una strage di cui si parla sempre troppo poco, e spesso anche male, in un continuo scontro fra ciclisti e automobilisti, come se poi non fossimo tutti ora da una parte e ora dall’altra.

Ancora più impressionanti sono questi dati messi in relazione con gli altri dati che abbiamo a disposizione. Secondo il Rapporto PATH (Partnership for Active Travel and Health) l’Italia è il paese europeo con il più alto tasso di incidenti mortali in bicicletta per chilometro percorso, come si può facilmente capire dal grafico che riporta i dati per pedoni e ciclisti in cui il pallino raffigurante l’Italia svetta in entrambi i casi solitario lassù in alto a sinistra.

Nei due grafici, il rapporto fra i chilometri percorsi in media da ogni persona – a piedi e in bici –  e il numero di morti per chilometro percorso nei vari paesi europei.

Come è stato ben riassunto in un articolo di Bikeitalia a commento di questo rapporto, «il grafico sull’incidentalità in Europa racconta una storia già sentita ma molto triste: l’italiano medio percorre meno di 100 km in bici in un anno, ma si espone a un pericolo per la sua vita 5 volte superiore rispetto ai suoi coetanei danesi e olandesi». E non è un caso.

Nel rapporto di Legambiente “Clean Cities – Non è un paese per bici” si legge che «il nostro è il paese europeo dove si registra – ormai da un decennio – la maggiore densità di autoveicoli per 100 abitanti. Nel 2020 erano 67, e in costante crescita da diversi anni». Numeri che se non sono direttamente proporzionali a quelli delle persone morte in bicicletta sono però strettamente collegati. Sono dati che seguono gli investimenti fatti dai vari governi che si sono succeduti: «a partire dalla Legge di Bilancio 2018 (L.145/2018) e con vari successivi provvedimenti, il Governo italiano ha stanziato complessivamente quasi 10 miliardi e mezzo di euro per il rinnovo del parco veicolare privato» contro i soli 300 milioni per quel che riguarda il sostegno all’acquisto di biciclette o altri veicoli leggeri.

Sulla costruzione di piste ciclabili invece ci sarebbe da stendere un velo pietoso, ma invece purtroppo abbiamo dati molto chiari che ci indicano sì una costante crescita (nel 2020 – sempre secondo i dati ISTAT – si è registrato un +5,3% rispetto al 2019 e un +20,7% dal 2015) ma anche due grandi problemi: da un lato la spaccatura fra Nord e Sud del paese e dall’altro l’enorme ritardo nei confronti del resto d’Europa. Non serve scomodare il Belgio o i Paesi Bassi, ma anche Varsavia e Cracovia in Polonia hanno un numero di chilometri di ciclabili in proporzione agli abitanti che è nettamente superiore a Torino o Milano (rispettivamente 2,5 e 2,1 chilometri ogni diecimila abitanti contro i 3,8 di Varsavia e i 3,2 di Cracovia. Gent, in cima alla classifica, ne ha 20,2). Sempre secondo il rapporto di Legambiente, solo il 3,8% delle città italiane «hanno già livelli di ciclabili che dovrebbero favorire un utilizzo quotidiano e largamente diffuso della bicicletta» mentre «oltre il 50% delle città hanno infrastrutture ciclabili del tutto insufficienti». Ne viene fuori un quadro drammatico, in cui mancano proprio le fondamenta per un profondo quanto necessario cambiamento culturale che potrebbe salvare la vita a tante di quelle persone che ogni anno muoiono a piedi o in bicicletta.

A questo punto di solito si fanno due obiezioni: la prima è di puro benaltrismo e mira a sostenere che ci sono altri problemi, che i morti sul lavoro sono di più e che dovremmo preoccuparci prima di altre questioni più urgenti o che semplicemente smuovono numeri più consistenti (come per esempio i morti in macchina, che nel 2021 sono stati 1.192 persone, più di 3 al giorno). È vero: ci sono altre situazioni di pericolo che mietono più vittime, ci sono altre questioni di cui la nostra società deve occuparsi. Ma occuparsi di una cosa non vuol dire ritenere meno importanti le altre e anzi, è possibile occuparsi di più cose contemporaneamente. I discorsi sono spesso intrecciati.

Un modo, non l’unico, con cui si possono limitare le morti per incidenti d’auto è usarla meno. Significherebbe ripensare per intero la mobilità urbana, dentro città costruite attorno all’automobile come unico mezzo di trasporto. Negli ultimi anni l’uso della bicicletta in alcuni comuni è cresciuto ed è stato incentivato con la costruzione di percorsi ciclabili. Ma sembra sempre troppo poco, e di recente il nuovo governo ha tagliato uno dei fondi che confluiscono nella costruzione di ciclabili. C’è un importante lavoro sulle infrastrutture, ma ce n’è anche una sulla sensibilità al tema della sicurezza, al rispetto reciproco fra utenti – leggeri e pesanti – della strada. Le morti in automobili e quelle in bici non sono temi separati.

Sempre secondo il Rapporto Path «ogni giorno mille persone vengono uccise per strada mentre camminano o vanno in bici. Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte fra le persone fra i 5 e i 30 anni». Un concetto che forse va riletto un paio di volte per capirlo a fondo e ci dice che il pericolo più grande per tutti i noi, nei nostri primi 30 anni di vita, è la strada. E non importa se siamo a piedi o su un camion, in bicicletta o in macchina: siamo tutti in pericolo, e quello è il principale pericolo da cui dobbiamo guardarci.

A tal proposito quindi «il miglioramento della sicurezza stradale e la protezione del pianeta, della nostra salute e del nostro benessere vanno di pari passo poiché tante delle soluzioni per entrambi i problemi sono collegate. Per esempio, – prosegue il rapporto Path – riducendo la velocità dei veicoli si riduce l’incidenza di gravi incidenti per chilometro percorso, e aiuta anche creare spazi dove le persone possono ogni giorno sentirsi più al sicuro camminando o andando in bici». Ma lasciando per un attimo da parte il problema ambientale – per quanto possibile – dobbiamo comunque sottolineare che aumentare il numero di pedoni e di ciclisti, incentivare quindi un tipo di mobilità sostenibile, «migliora anche la sicurezza creando un fenomeno noto come “safety in numbers”: più alto è il numero delle persone a piedi o in bicicletta, più basso sarà il numero di incidenti gravi per chilometro percorso. Questo avviene per una serie di ragioni, incluso il fatto che quando un automobilista vede più pedoni e ciclisti sulla strada impara ad anticipare i loro movimenti e a gestire meglio lo spazio stradale e gli incroci».

Per questo motivo alcuni sostengono che la costruzione di piste ciclabili sia in realtà una falsa soluzione, perché non risolverebbero il problema della convivenza su strada laddove le piste ciclabili non siano presenti (come avviene in praticamente tutte le strade extraurbane). La ghettizzazione – per così dire – dei ciclisti su percorsi dedicati non favorirebbe lo sviluppo di una sensibilità e un’attenzione diversa da parte degli automobilisti nei confronti delle biciclette. Sono teorie che possono sembrare un po’ estreme ma che si basano su studi concreti, come appunto il Rapporto Path, ma anche sulla banale osservazione della realtà in cui viviamo, fatta di percorsi ciclopedonali pensati male e realizzati peggio, spesso senza una rete di collegamenti funzionale. Si tratta spesso di corsie ricavate qua e là a bordo strada, dove le auto non si fanno troppi problemi a sconfinare.

Eppure è innegabile che la costruzione di piste ciclabili risolverebbe almeno nelle zone urbane tanti problemi di convivenza sulle nostre strade. Ma sarebbe, appunto, una soluzione basata sull’eliminazione stessa di questa convivenza; è vero però che stimolerebbe l’uso della bicicletta o di altri mezzi alternativi e leggeri, che è il vero obiettivo che dovrebbero porsi tutte le politiche di questo tipo.

Per raggiungere questo obiettivo, gli analisti di Path hanno individuato una serie di azioni da mettere in pratica il più presto possibile: creare infrastrutture adatte alla mobilità pedonale e ciclabile, ma soprattutto sensibilizzare con campagne mirate, pianificare lo sviluppo territoriale in modo da favorire la prossimità, ma soprattutto potenziare il trasporto pubblico e integrarlo con la rete di infrastrutture ciclopedonali. Soluzioni percorribili, concrete, pratiche.

In Italia, invece, trainato da testate di proprietà di grandi gruppi industriali del settore automobilistico e da giornalisti con idee di mondo totalmente distaccate dalla realtà e senza alcun concreto appiglio statistico, il dibattito pubblico verte sulla responsabilizzazione del ciclista. E qui arriviamo alla seconda obiezione che di solito si muove a questo discorso sull’emergenza dei ciclisti ammazzati per strada, che si basa principalmente sulla colpevolizzazione delle vittime. È di pochi giorni fa una serie di editoriali sul Corriere della Sera, ad esempio, sul “problema” dei ciclisti che non accendono le luci quando pedalano la sera per le strade di Milano. In un articolo del 30 novembre – di lì a poche ore sarebbe stato ucciso Davide Rebellin – di Giangiacomo Schiavi dall’eloquente titolo Milano, ciclisti in bici a luci spente. La voce dei lettori: «Basta anarchia sulle strade di sera», si parla apertamente di «una campagna di civiltà nella Milano dei rider e delle due ruote che ignorano le regole della sicurezza e del buon senso» relativa ai ciclisti senza luci. L’articolo prosegue citando altri interventi che lanciano appelli alle autorità affinché facciano rispettare le regole ai ciclisti, rei di atteggiamenti pericolosi. Si arriva al punto in cui qualcuno si chiede «perché, se investo un ciclista senza luci, ci devo andare di mezzo io?».

L’articolo di Schiavi fa da eco a un altro pezzo pubblicato il giorno prima in cui Beppe Severgnini denuncia il fatto che «solo una bicicletta su cinque, in una città civile come la nostra, usa le luci». Un dato preciso e perentorio che non viene però da qualche studio statistico, bensì dalla sua esperienza personale: «quella percentuale — uno su cinque — non è buttata lì: ho contato i fanalini accesi, più volte». Più volte, addirittura.

A Severgnini risponde ancora Giangiacomo Schiavi che fa da sponda alle parole del collega sottolineando anche che «c’è poi la pattuglia degli irresponsabili che si è adeguata al peggio, in bici senza luci e senza casco: e non sono solo stranieri». Ci si sorprende quindi del fatto che anche gli italiani, fra lo stupore generale del pubblico che sbarra le palpebre stupefatto, spesso e volentieri non rispettano alcune regole del codice della strada (e non solo). Schiavi però riconosce che «le strade di Milano stanno diventando un pericolo pubblico» che bisogna in qualche modo arginare. Ma la soluzione che propone lascia quantomeno esterrefatti: non sono le macchine il problema, bensì i monopattini «che si sentono padroni dei marciapiedi». Poi i ciclisti senza luci, ovviamente.

Il non detto di questi interventi è che se i ciclisti vengono ammazzati per strada la colpa è loro che non si mettono in sicurezza: non indossano il casco, non mettono le luci, non si vestono come dei pannelli catarifrangenti ambulanti. Appelli che – sia chiaro – sono tutti giusti e condivisibili: i ciclisti devono pedalare con il casco e di notte devono mettere le luci sulle biciclette. Per una questione di sicurezza e di buon senso, non ci piove. Sono anni che si fanno campagne di sensibilizzazione sull’utilizzo del casco, a partire dai professionisti che sono obbligati a indossarlo in corsa dal 2004, fino agli amatori che sempre più spesso scelgono saggiamente di indossarlo.

È chiaro come il sole quindi che i ciclisti debbano attuare tutte queste misure di sicurezza, per la loro stessa incolumità. Il punto però è che non possiamo cadere nella trappola di colpevolizzare la vittima, di colpire l’anello debole della catena alimentare della strada in cui il mezzo più grande mangia il più piccolo. Di fronte alle tragedie quotidiane dei ciclisti (e dei pedoni o dei monopattini) la nostra risposta non può essere quella di guardare verso la vittima per controllare se aveva il casco o le luci o se stava su una pista ciclabile o se procedeva in mezzo alla carreggiata.

Una visione distorta della realtà che non nasce di certo oggi ma che anzi affonda le sue radici in un sostrato di insofferenza diffusa in buona parte della popolazione comune. È però un discorso che trova facile sponda in chi questa visione avrebbe il potere mediatico di plasmarla e che invece non si fa problemi a cavalcare, mostrando così una pericolosa miopia che portò Pierluigi Battista, altra importante firma del giornalismo italiano, a definire “una mania” quella per le biciclette. È un discorso fondamentalmente violento che si sfoga contro chi rappresenta l’anello debole quando si tratta del trasporto su strada e che ha portato all’incancrenirsi di un conflitto dal quale non riusciamo a uscire, forse proprio per questa sua insensatezza. Un punching down che come tale non è quindi accettabile in un contesto in cui dovremmo anzi stimolare e favorire la circolazione di sempre più biciclette, con il doppio fine di rendere più sicure le nostre strade per tutti – automobilisti compresi – e di rendere più vivibili le città.

Ma se guardando alle strade delle nostre città e al livello di pericolosità che hanno ormai raggiunto riusciamo invece a individuare come soluzione primaria soltanto una continua limitazione all’uso di monopattini e biciclette, allora abbiamo un problema – noi in quanto collettività – che va ben al di là dei numeri. Il problema è invece molto più profondo e riguarda una trasformazione culturale, dei paradigmi di pensiero, che ancora stenta ad arrivare. Finché continueremo a puntare il dito contro i ciclisti indisciplinati senza guardare al mondo nel suo complesso, finché troveremo giustificazioni ai nostri comportamenti sulla strada, finché continueremo anche nel nostro piccolo a fare battute sui ciclisti, a suonare il clacson quando ne incontriamo uno per strada, a insultarlo se non ci fa passare; finché non cambieremo il nostro modo di pensare alla strada e alle nostre modalità di trasporto, «fino a quando non capiremo – ha detto il ciclista Alessandro De Marchi in un video pubblicato sul suo profilo Instagram – che un’auto equivale ad avere una pistola carica, col colpo in canna e il dito sul grilletto, non andremo lontano».

De Marchi nel suo video – pubblicato il giorno dopo la morte di Rebellin – parla anche delle false soluzioni di cui abbiamo parlato in queste righe. A queste se ne dovrebbe aggiungere un’altra – e lo dico a malincuore – che è la proposta di legge di Mauro Berruto per obbligare gli automobilisti a lasciare un metro e mezzo di spazio fra la macchina e il ciclista durante i sorpassi. Una proposta che sulla carta risolverebbe molti problemi ma che come tante di queste norme sarebbe quasi impossibile da applicare.

Sarebbe però un passo importante – e questo l’ha sottolineato lo stesso Berruto nel suo intervento in Parlamento – da un punto di vista culturale, nel lento percorso che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della sicurezza stradale e soprattutto sul rispetto di chi sceglie di muoversi in bicicletta. Perché non dobbiamo mai dimenticarci, quando saliamo in macchina, che stiamo salendo su un oggetto potenzialmente letale, capace di uccidere una persona alla minima distrazione. E il mancato rispetto delle regole non può mai essere una giustificazione per uccidere una persona.

Sta quindi a noi automobilisti porre maggiore attenzione, avere maggiore rispetto; accettare l’idea di poter perdere anche un po’ di tempo se l’alternativa è prendersi il rischio di uccidere un altro essere umano la cui unica colpa è quella di essere in bicicletta davanti a noi.

Fonte: L’Ultimo Uomo

Venerdì i funerali di Davide Rebellin

Alle 10 nel duomo di Lonigo l’ultimo saluto all’ex campione investito da un camion

La bici di Davide Rebellin dopo l’incidente (Foto ANSA)
https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/venerdi-i-funerali-di-davide-rebellin-1.9798189

Si terranno venerdì 23 dicembre, alle ore 10, nel Duomo di Lonigo i funerali di Davide Rebellin, l’ex campione vicentino 51enne morto il 30 novembre a Montebello dopo essere stato travolto da un autocarro mentre si allenava in bicicletta. La salma sarà poi portata nel cimitero della frazione di Madonna di Lonigo. Nella giornata di ieri intanto si è svolta l’autopsia sul corpo che confermerebbe il decesso per schiacciamento.

A uccidere Rebellin, secondo quanto accertato dagli inquirenti coordinati dal pubblico ministero Claudia Brunino, sarebbe stato un tir tedesco il cui autista era poi fuggito senza prestare soccorso. L’autotrasportatore è indagato a piedi libero per omicidio stradale, omissione di soccorso e fuga.

Morte di Davide Rebellin, l’autopsia conferma la responsabilità del camionista

Esclusa l’ipotesi del malore, il campione di ciclismo ucciso da una ruota del tir. Il funerale venerdì a Lonigo

Davide Rebellin ex-professionista del team UCI polacco CCC Sprandi https://corrieredelveneto.corriere.it/vicenza/cronaca/22_dicembre_20/morte-davide-rebellin-l-autopsia-conferma-responsabilita-camionista-91ae1dde-7fdc-11ed-bda6-23f93de4993b.shtml

La prima certezza sulla tragica morte del campione Davide Rebellin è arrivata il 19 dicembre dall’autopsia disposta dalla procura di Vicenza che indaga sull’investimento del ciclista avvenuto il 30 novembre a Montebello. L’esame, eseguito dal medico legale Vito Cirielli, ha permesso di escludere malformazioni cardiache o altri fattori che avrebbero potuto lasciare spazio all’ipotesi che l’ex maglia rosa fosse stato stroncato da un malore mentre pedalava. Si conferma quindi che a uccidere Rebellin è stato il tir guidato dal camionista tedesco Wolfgang Rieke, indagato per omicidio stradale aggravato dall’omissione di soccorso visto che, dopo aver travolto il 51enne all’uscita da una rotatoria, si è allontanato come nulla fosse.

Le cause della morte

Il medico legale si è preso sessanta giorni di tempo per consegnare la propria relazione alla procura, ma i primi risultati hanno fatto emergere i traumi da schiacciamento – il più grave a livello toracico – che lasciano pensare che Rebellin sia morto sul colpo, travolto da una delle ruote del camion che, vista l’assenza di escoriazioni da trascinamento, probabilmente ha poi spinto il corpo sulla strada d’accesso al ristorante «La Padana». In quello stesso parcheggio nel quale il camionista è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza (e fotografato da alcuni testimoni) mentre faceva manovra e si dava alla fuga passando accanto al cadavere.

Il funerale

L’autopsia è durata quasi due ore, e le complesse fasi dell’esame sono state seguito anche da tre consulenti di parte: il professore Franco Tagliaro e il dottor Nicola Pigaiani nominati dall’avvocato Andrea Nardin, che difende Wolfgang Rieke; e la dottoressa Alessandra Rossi, scelta dalla famiglia del ciclista. «Era un esame necessario in vista di un eventuale processo – spiega il legale dei Rebellin, l’avvocato Davide Picco – per dissipare qualunque dubbio circa l’improbabile eventualità di un malore. Ora attendiamo di leggere le conclusioni del medico legale, in attesa che la procura decida quando disporre la perizia che, invece, dovrà ricostruire con esattezza la dinamica dell’incidente». In queste ore è atteso il nullaosta alla sepoltura. Il funerale del campione si celebrerà venerdì alle 10 nel Duomo di Lonigo (Vicenza), preceduto da un momento di raccoglimento e di ricordo. Per l’occasione il sindaco Pier Luigi Giacomello ha già annunciato il lutto cittadino.

Addio Davide Rebellin, commozione e rabbia ai funerali del campione

Nel Duomo di Lonigo l’ultimo saluto a Rebellin travolto e ucciso da un camion il 30 novembre. Chiesa gremita di parenti, amici e campioni del ciclismo.

23 dicembre 2022

La salma di Rebellin esce dal Duomo (Colorfoto)
https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/davide-rebellin-funerali-addio-tra-rabbia-e-commozione-1.9802400

Un commosso applauso ha salutato l’uscita dal duomo di Lonigo del feretro di Davide Rebellin al termine del rito funebre.L’omaggio è proseguito a lungo sul sagrato del Duomo dove si è radunata una grande folla.

I familiari hanno accolto le condoglianze dei conoscenti e dei campioni di ciclismo presenti al funerale. Per espressa volontà della famiglia il feretro verrà tumulato in forma privata al cimitero di Madonna di Lonigo.

L’omelia: «Una piccola stella che ha illuminato il nostro mondo»

«Una piccola stella che ha illuminato il nostro mondo». Così don Matteo Nicoletti ha ricordato Davide durante l’omelia pronunciata nel corso dei funerali del campione. «Davide – ha aggiunto il sacerdote – ha fatto della sua passione e del suo talento uno strumento per diffondere i valori cristiani nella comunità. La sua è stata una vita umile vissuta con fede e devozione è un esempio per tanti giovani».

ll feretro in chiesa (Colorfoto)

Lonigo saluta Davide, chiesa gremita ai funerali

Una folla commossa sta partecipando nel duomo di Lonigo al funerale di Davide Rebellin. Chi non ha trovato posto all’interno, assiste al rito dal sagrato del tempio e si unisce alle autorità civili e sportive, ai campioni del ciclismo di ieri e di oggi, agli amatori e a tanti leoniceni nel tributare il cordoglio ai famigliari del corridore ucciso da un camion pirata durante un allenamento su strada.

Numerosi i volti noti agli appassionati delle due ruote che partecipano al rito. Tra gli altri, Claudio Chiappucci, Gianni Bugno, Alessandro Ballan, Filippo Pozzato, Franco Pellizzotti e Gilberto Simoni. Con loro anche il ct della Nazionale italiana di ciclismo Daniele Bennati e il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni. È stato il campione trentino a rendersi partecipe del sentimento di sconforto che la sciagura ha provocato nel mondo del ciclismo. «Quanta rabbia – ha affermato Simoni – perdere un amico così, un campione così, un uomo così. Quanti morti dovremo piangere ancora prima che una legge ci tuteli?»

La cerimonia funebre è concelebrata da don Matteo Nicoletti e dai sacerdoti che hanno prestato servizio alla parrocchia di Madonna. Attorno alla salma tutti i familiari: la mamma Brigida e i fratelli Carlo, Simone e Stefano, la moglie Françoise.

La famiglia: «Ciao Davide, pedala tranquillo per la tua ultima volata»

Al sindaco Pierluigi Giacomello sono state affidate le parole della mamma Brigidadella moglie Françoise e dei fratelli Simone, Stefano e Carlo: «Davide sei nato luminoso e hai vissuto per illuminare i nostri cuori. Ora che sei diventato il nostro angelo proteggici con la tua luce. Rimarrai sempre in noi con il tuo splendore. Ciao Davide, pedala tranquillo per la tua ultima voltata: taglia il traguardo con le braccia alzate e il tuo sorriso. Il Cielo ti attende, l’amore ti accompagna».

La dedica dei nipoti. «Rimarrai per sempre un grande campione e una persone speciale unica. Ti vogliamo ricordare felice in sella alla tua cara bici. Non ti dimenticheremo mai, zio».

Il ricordo dei compagni di scuola. «Davide sorrideva sempre e il lunedì, a scuola, ci raccontava delle sue conquiste in bici. Abbiamo capito in fretta che il suo sogno sarebbe diventato realtà. Caro Davide, la tua ultima volata è verso il Cielo, sfreccia veloce guerriero di luce, insieme al tuo papa Gedeone».

Gilberto Simoni: «Quanta rabbia, quanti morti in bici dovremo piangere ancora?»

Gilberto Simoni, commosso, ha avuto parole di affetto per l’amico e di rabbia per la morte di Davide. Gibo ha puntato il dito contro una legge che non ferma la strage dei ciclisti per le strade. Li separavano nove giorni dalla nascita. Davide e Gilberto, nati e cresciuti insieme. Compagni in gruppo. Trattiene le lacrime Gibo: «Una rabbia che non riesco a calmare – ha detto una volta salito sull’altare -. Davide era un amico, un compagno di squadra. Era un onore essere battuto da lui in corsa. Lascia un vuoto incolmabile». Poi aggiunge: «Quasi una morte al giorno in bici sulle strade. Provo vergogna verso uno Stato che non ha il coraggio di fermare questa strage. La tua morte, Davide, non sia vana. Questa strage va fermata».

L’arrivo della salma in Chiesa

È stata accolta con un lungo applauso la salma di Davide Rebellin, coperta da un cuscino di fiori bianchi, giunta alle 9,30 in Duomo a Lonigo accompagnata dalla mamma, dalla moglie e dai fratelli. In chiesa, i banchi già affollati per la veglia del ricordo che precede il funerale. All’esterno, ad attenderlo, i campioni del mondo del ciclismo, ex compagni in gruppo: Bugno, Simoni, Chiappucci con il ricordo dell’amico, del campione, del compagno che oggi si intreccia con il tema della sicurezza dei ciclisti sulla strada.

Lonigo si prepara al funerale di Davide Rebellin. Oggi alle 10, nel Duomo l’addio al campione vicentino travolto e ucciso da un camion il 30 novembre. All’arrivo della bara (prima collocata alla Casa funeraria Santa Maria sulla strada provinciale San Bonifacio-Arcole), alle 9,30, vi sarà spazio per momenti di testimonianza e ricordi di familiari e amici.

Davide sarà poi sepolto al cimitero di Madonna di Lonigo, accanto a papà Gedeone, scomparso nel giugno scorso. In attesa della conclusione delle indagini giudiziarie sull’incidente del 30 novembre, a ventitré giorni dalla sua scomparsa, Davide avrà finalmente pace.

Lutto cittadino oggi a Lonigo, attese migliaia di persone

L’amministrazione della città del Basso Vicentino ha proclamato per oggi il lutto cittadino per l’ultimo saluto al campione. Ai funerali al Duomo di Lonigo, sono attese migliaia di persone e personalità dal mondo del ciclismo e dello sport. E l’amministrazione, guidata dal sindaco Pierluigi Giacomello, si è organizzata per gestire i flussi di tifosi che arriveranno da tutta Italia.

La veglia al Santuario di Madonna al quale Rebellin era devoto

L’altra sera, c’era stata una partecipata veglia di preghiera con la recita del Rosario nel Santuario di Madonna di Lonigo dedicato alla Madonna dei Miracolialla quale il campione scomparso era particolarmente devoto. La chiesa dove Davide aveva fatto il chierichetto negli anni giovanili, dove sempre tornava al suo ritorno nei luoghi natii per un fiore, un ringraziamento, una preghiera.

Sabato scorso, alla Pieve di San Floriano, in Valpolicella, invece tra i presepi esposti nel chiostro, accanto alla capanna, è stata posta una ruota con la foto di “due angeli”, Davide Rebellin e Michele Scarponi. La foto risale al 2009, quando Davide e Michele erano compagni di squadra alla Diquigiovannientrambi uniti poi da un tragico destino (anche Scarponi è morto a pochi passi da casa, investito da un camion)

In attesa della conclusione delle indagini giudiziarie sull’incidente del 30 novembre, a ventitré giorni dalla sua scomparsa, Davide avrà finalmente pace. 

“Ciao Davide” Lonigo, Vicenza
“Ciao Davide, non scorderemo mai la tua educazione”

Luisa Dissegna / Lino Zonin / Renzo Puliero

Dopo tanta rabbia e sgomento all’assistere all’ennesimo funerale di un ciclista morto lungo le nostre strade, la mia reazione non si è fatta attendere:

https://www.tgcom24.mediaset.it/2023/video/rebellin-l-autista-tedesco-ancora-a-piede-libero_59523804-02k.shtml
https://www.gazzetta.it/Ciclismo/07-01-2023/morte-rebellin-giorni-superperizia-dinamica-4501856482699.shtml
https://www.corriere.it/cronache/23_gennaio_07/morte-davide-rebellin-oltre-mese-camionista-ancora-piede-libero-mezzo-neanche-sotto-sequestro-0b121be0-8e9b-11ed-ae40-41a711fcbe95.shtml
https://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/montecchio/morrte-morto-rebellin-camionista-libero-1.9822818
https://www.fanpage.it/sport/ciclismo/arrestato-il-camionista-che-travolse-e-uccise-davide-rebellin-mentre-si-allenava-in-bici/

Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, tecnico sportivo CSEN Abruzzo e grande ciclista amatoriale abruzzese appassionato di ciclismo su strada e della sua storia italiana