Ecco come funziona una corretta difesa del gregge. I cani da guardiania sono almeno 6 e circondano il plantigrado ”accompagnandolo” verso la fuga
Di L.P. – 19 agosto 2022 – 12:22
L’AQUILA. Ecco come operano i cani da guardiania. I mastini abruzzesi qui sono all’opera con un orso che si era avvicinato al gregge. Lo affrontano scortandolo verso l’esterno, ”accompagnandolo” all’uscita come dei veri guardiani con un comportamento ben strutturato nel loro dna da secoli.
Siamo a Pantaniello di Chiarano, in Abruzzo. Il video è un documento straordinario del comportamento di questi cani, che pur essendo in tanti, almeno 6 (oltre ai cani da pastore) e pur avendo di fatto circondato l’orso, non lo attaccano ma con il loro comportamento inducono il predatore ad andarsene. Questi non si azzarda ad avvicinarsi ulteriormente al gregge ma preferisce sfilarsi accettando la superiorità dei ”difensori”.
Qualche sera fa vi abbiamo raccontato dell’attacco di un branco di lupi in Trentino a un gregge a Malga Agnerola. Anche in quel caso i Maremmani-abruzzesi sono intervenuti con successo. Erano ”solo” tre (due adulti e un cucciolone) ma all’interno del recinto elettrificato quindi con un ostacolo in più da affrontare per i predatori. E’ rimasta, invece, ferita una cagnolina da pastore, Lexie (QUI il racconto del pastore per approfondire) che si trovava all’esterno delle strutture di difesa.
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università di L’Aquila, membro partecipante ordinario Fondazione Michele Scarponi Onlus, ideologo ed attivista del movimento ambientalista italiano Ultima Generazione A22 Network
Chiamata anche Calabrone asiatico è un vorace predatore delle nostre api e può risultare in molti casi un pericolo per l’uomo.
Che cos’è
Il calabrone asiatico (o Vespa velutina) è una specie esotica recentemente introdotta nel continente europeo. Questo calabrone è un vorace predatore delle nostre api mellifere, arrivando a comprometterne i raccolti di miele e la capacità di sopravvivenza invernale delle colonie. Preda anche gli altri impollinatori selvatici e può risultare in molti casi un pericolo per l’uomo e per le produzioni agricole (frutteti,vigneti).
Come riconoscerla
Vespa velutina è più piccola di Vespa cabro (calabrone comune) e si distingue per:
Capo, antenne e torace di colore scuro, tendente al nero
Prima parte dell’addome più scura e parte terminale di colore giallo-arancio
Zampe scure, tranne la parte terminale di colore giallo.
Cosa non fare
Non cercare MAI di avvicinarsi per osservare o distruggere i nidi. I calabroni se infastiditi possono diventare aggressivi e procurare lesioni anche mortali con la loro puntura. Limitarsi sempre alla sola segnalazione di adulti e nidi sospetti.
Cosa fare
Gli apicoltori possono verificare periodicamente il contenuto delle bottiglie trappola e segnalare qualsiasi insetto sospetto. Verificare l’eventuale presenza di operaie di Vespa velutina in volo stazionario di fronte agli alveari. Ogni cittadino può segnalare nidi primari o secondari sospetti, mandando una foto. E’ importante che le segnalazioni siano tempestive, in modo da ostacolare la diffusione del calabrone.
Contatti e numeri utili
Per informazioni e segnalazioni: www.stopvelutina.it Associazioni apicoltori 115 in caso di pericolo per la cittadinanza Per l’identificazione è possibile inviare foto al numero WhatsApp 345 642 3030 o portare direttamente gli insetti ai Servizi Veterinari delle ASL
Considerazioni personali
Per quanto mi riguarda, il calabrone asiatico è una specia aliena o alloctona non tipica del territorio italiano ed è frutto sia dell’attuale estremizzazione climatica in corso che dell’importazione di privati cittadini di specie aliene vegetali ornamentali poste al di fuori dei giardini delle proprie case, come il Gelsomino giapponese rampicante o Falso Gelsomino, come mostrato da queste foto scattate proprio di fronte la mia camera da letto:
GELSOMINO RAMPICANTE
Diffuso in tutta Italia ad eccezione delle zone di montagna più alta, il gelsomino rampicante è una delle più belle piante rampicanti sempreverdi. Ha un bel fogliame verde scuro lucido e produce una grande quantità di fiori bianchi fortemente profumati da giugno a inizio settembre.
Il nome botanico è Trachelospermum jasminoides, ma è conosciuto anche come Rhyncospermum jasminoides. Viene anche chiamato comunemente falso gelsomino per la somiglianza dei fiori con quelli del gelsomino, anche se tra le due specie non vi è alcuna affinità.
Il gelsomino rampicante è una pianta sempreverde, cioè che non perde le foglie durante l’inverno. Può quindi essere utilizzato per formare siepi schermanti tutto l’anno.
Ha una struttura agile e leggera. I rami, sotto forma di lunghi tralci, sono sottili e lunghi fino a 10 metri. Non sono in grado di sostenersi da soli, ma hanno bisogno di un sostegno come una ringhiera, un muro, una parete di un fabbricato, un arco o un pergolato.
E’ adatto anche ai giardini di piccola dimensione. Il glicine rampicante forma siepi larghe 30-40 cm, quasi la metà dello spazio necessario alle tradizionali piante da siepe come la photinia e il leylandii.
E’ attraente tutto l’anno. Le foglie ovali, coriacee, lucide e persistenti, di colore verde scuro, coprono interamente la pianta. Nel periodo invernale possono assumere sfumature bronzee, mentre a primavera il nuovo fogliame è verde chiaro.
Fiorisce copiosamente a fine primavera. Dal mese di maggio le piante di gelsomino rampicante si coprono interamente di piccoli e profumati fiori bianchi a forma di stella. La fioritura dura un paio di mesi, ma il gelsomino rampicante rifiorisce a più riprese , seppure in forma minore, per tutta l’estate. I fiori rilasciano la loro flagranza in tutto l’ambiente circostante specialmente dopo il tramonto e nelle nottate più calde.
La rapida crescita garantisce una veloce copertura di ringhiere, reti e pareti dove può estendersi anche fino a 14 metri di altezza e 10 metri di larghezza.
COME COLTIVARE IL GELSOMINO RAMPICANTE
Il gelsomino rampicante è una pianta mediterranea che ha bisogno di luce. Se esposto a pieno sole darà il meglio di sé con una fioritura copiosa e prolungata. Può vivere tranquillamente anche a mezz’ombra o in luoghi di ombra completa con fioritura però meno abbondante.
Tollera le temperature estreme come il caldo torrido e il gelo. E’ resistente fino a -10°C anche se nelle località di montagna e nelle zone esposte a venti gelidi è opportuno coltivarlo al riparo di un muro.
Sopporta bene le raffiche di vento e la vicinanza del mare dove l’aria carica di salmastro può non essere gradita a molte varietà di arbusti. Nelle località di montagna si consiglia la coltivazione a ridosso di un muro esposto a ovest o a sud che protegga la pianta dai venti freddi dominanti. Le forti nevicate solitamente non danneggiano la pianta di gelsomino rampicante che sopporta il peso della neve accumulata grazie alla flessibilità dei rami.
Vive anche nei terreni poveri. In questi suoli sarà opportuno concimare almeno due volte l’anno con un ottimo concime granulare universale a lenta cessione. I momenti migliori sono a fine inverno e nel mese di ottobre.
Il momento ideale per la potatura è subito dopo la fioritura o nel periodo autunnale. Non occorrono grossi mezzi, bastano delle forbici da potatura con le quali si tagliano i tralci disordinati.
COME FORMARE UNA SIEPE DI GELSOMINO RAMPICANTE
Il Gelsomino rampicante è uno degli arbusti più utilizzati per la formazione di siepi folte e impenetrabili in grado di garantire riservatezza e ridurre i rumori dell’ambiente circostante. La distanza di piantagione consigliata è di 80-100 cm. Chiaramente se piantiamo ogni 80 cm la siepe sarà più folta e si chiuderà più velocemente. Se collochiamo una pianta al metro la nostra siepe sarà sempre folta ma occorrerà più tempo per renderla impenetrabile agli sguardi dei vicini.
Una volta inserite le piante di gelsomino rampicante in buche larghe e profonde 40 cm, stendiamo i rami lungo il sostegno e li leghiamo con dei nastri, meglio se di materiale ecologico. I tralci che si formano negli anni successivi si ancoreranno da soli al sostegno.
GELSOMINO RAMPICANTE IN VASO SUL BALCONE
Il gelsomino rampicante vive bene in ampi basi sui balconi e terrazzi. Un contenitore profondo almeno 40 cm è ideale per ottenere piante sane e vigorose. Occorre innaffiare regolarmente in modo che l’acqua bagni tutto il terriccio, ma senza lasciare ristagnare l’acqua nel sottovaso. I ristagni idrici sono pericolosi perché indeboliscono l’apparato radicale e rendono la pianta più esposta ad attacchi di parassiti o ad essere colpita da muffe e funghi.
Allerta calabroni: ecco cosa accade se fanno il nido vicino casa o giardino
I calabroni che in genere costruiscono i propri nidi in prossimità dei luoghi abitati possono appartenere, principalmente, a duespecie diverse: Vespa Crabro che è diffusa su tutto il territorio italiano e Vespa Orientalis presente nelle regioni meridionali. I nidi dei calabroni sono abbastanza voluminosi ed è anche piuttosto facile trovarli nei cavi degli alberi oppure negli anfratti di mura. Si tratta di insetti che preferiscono la stagione estiva e quella autunnale, poiché in tali periodi è più semplice per loro andare a reperire le sostanze zuccherine che utilizzano per nutrirsi e per costruire il loro nido.
I calabroni, a differenza delle api e delle vespe, risultano essere nocivi soprattutto per quanto riguarda per le coltivazioni poiché si cibano di frutti quali le albicocche e le pesche provocando dei seri danni agli alberi da frutto che coltiviamo con cura e con amore nel nostro giardino.
I calabroni sono degli insetti in grado di produrre un rumore alquanto fastidioso e possono costruire dei nidi nella vostra abitazione. Se notate la loro presenza vi consigliamo di non sottovalutarli, soprattutto se si tratta della VespaCrabro che è molto grossa potendo arrivare anche a misurare 4 cm ed è più aggressiva. Tuttavia può trattarsi comunque di una presenza casuale che è dovuta ad un volo di esplorazione, ma se compare più di una volta, in diverse giornate, l’allarme è immediato.
Allarme calabroni: nidi in casa
Chiaramente, al fine di eliminare definitivamente un nido di calabroni bisogna prestare molto attenzione e considerare il pericolo delle punture. È estremamente importante non sottovalutare questo aspetto poiché il veleno presente all’interno del pungiglione contiene delle sostanze tossiche e ritenute irritanti. Una puntura di calabrone può provocare dolore, gonfiore e perfino arrossamento ed inoltre, per i soggetti allergici, la puntura degli insetti può portare a reazioni gravi quali shock anafilattici.
Tralasciando la loro presenza decisamente poco gradita, essi possono rappresentare anche un pericolo per la salute e, se provocati, tali insetti possono pungere più volte e diventare anche molto aggressivi. Allontanarli, quindi, può essere molto rischioso anche se non si è dei soggetti allergici e per questo motivo si dovrebbe procedere con molta attenzione.
Per iniziare l’opera di eliminazione dei nidi di calabroni ci si deve coprire per bene da capo a piedi e si deve individuare il nido (che si presenta come un cono di carta), in questa operazione è estremamente importate mantenere la distanza di sicurezza ed utilizza una busta resistente manipolando sotto al nido e lasciandolo cadere sopra.
Utilizzate anche un tagliasiepi per tagliare la base del nido e assicurati di chiudere bene la busta e gettarla. Se il vostro intento è quello di eliminare i calabroni, ricordate che essi tendono a ritornare nel posto, se è di loro gusto, in cui hanno nidificato. Quindi, cercate bene di modificare l’ambiente tagliando i rami o applicando delle trappole per calabroni negli angoli più nascosti.
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus
I grifoni, che si sono cibati delle carcasse contaminate, hanno avvelenato, a loro volta, anche i propri piccoli, custoditi, in luoghi inaccessibili all’uomo
di Sonia Paglia
Mercoledì 14 Giugno 2023, 08:16 – Ultimo aggiornamento: 08:20
Sale il bilancio degli animali protetti, tra lupi, grifoni e corvi imperiali, che hanno perso la vita in Abruzzo, a causa del veleno disseminato nei boschi, in località Olmo di Bobbi, nel Comune di Cocullo, in provincia di L’Aquila. I grifoni, che si sono cibati delle carcasse contaminate, hanno avvelenato, a loro volta, anche i propri piccoli, custoditi, in luoghi inaccessibili all’uomo. Sono stati i carabinieri forestali del Nucleo Biodiversità di Castel di Sangro, attraverso le osservazioni con attrezzature specifiche, a individuare, all’interno di un sito di nidificazione, due pulcini, purtroppo, deceduti.
A lavoro, una task force, guidata dal tenente colonnello, Donatello Cirillo, e composta dal Nucleo investigativo (Nipaaf), dalla Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in danno agli animali (Soarda), unità cinofile di Assergi e Villetta Barrea, carabinieri forestali del Parco Nazionale d’Abruzzo e stazione di Scanno.
Le attività investigative, risultano alquanto complesse, ma dalle analisi dei reperti, (la prova materiale) e dai risultati restituiti dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo, sarebbero emersi elementi importanti, utili alle indagini.
Cosa è successo
Nei giorni scorsi, si è svolto un briefing, tra tutte le forze in campo, per fare il punto della situazione e concordare altri interventi mirati. Gli inquirenti, stanno seguendo più percorsi, approfondendo, ulteriormente, le indagini. Il movente sarebbe chiaro: gli animali protetti sono stati uccisi con il veleno, perché considerati competitori nell’attività venatoria, o nocivi per il bestiame e le coltivazioni. Le operazioni di bonifica dell’area interessata al fenomeno, sono state completate. Continuano, invece, le attività di sorveglianza discreta e preventiva. Così come le ispezioni in diverse aziende, alla ricerca della compatibilità della sostanza di nome Phorate, miscelata nella carne esca: stiamo parlando di un insetticida, impiegato, generalmente, in agricoltura intensiva, identificato in laboratorio.
Fonte: Il Messaggero Abruzzo
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus
L’assiolo – o assiuolo – misura poco più di 18 cm. Il suo piumaggio è notevole: il pattern ricorda una corteccia d’albero, ma a toccarla certamente è una soffice coltre piumata.
Gli occhi sono due splendidi cerchi dorati, ipnotici tanto per noi quanto per le sue prede (insetti) che, incuriosite dal brillare nel buio, si avvicinano troppo al rapace e vengono catturate.
É il più piccolo rapace notturno insieme alla civetta nana, caratterizzato da due ciuffi di penne auricolari. Occhi grandi giallo intenso e becco grigiastro con apice nero.
Si nutre principalmente di insetti, farfalle, piccoli invertebrati, talvolta piccoli uccelli e roditori. Caccia all’agguato e, una volta catturata la preda con gli artigli, la porta nel posatoio e la ripulisce con estrema pignoleria.
Durante il giorno riposa tra la vegetazione e se infastidito drizza i ciuffi auricolari.
L’assiolo è “il gufetto che anima le notti d’estate”: improvvisamente, nel buio della notte, si palesa il suo richiamo, breve, penetrante, ipnotico: “Chiù“. Dopo pochi secondi il richiamo riprende, ripetendosi, per tutta la notte instancabilmente, intervallato magari in lontananza da un altro simile, in risposta. Spesso si può ascoltare in duetto tra maschio e femmina (formano una coppia per la vita).
Questo piccolissimo gufetto migratore trascorre dalle nostre parti la bella stagione, per nidificare e covare. Sverna in Africa: arriva nella nostra isola a partire dalla primavera, mentre in autunno questi rapaci migrano. Durante la migrazione l’assiolo più attraversare anche lunghi tratti di mare, facendo sosta sulle piccole isole. In Corsica l’assiolo è stato visto nidificare oltre i 1700 metri.
Un’altra particolarità di questo rapace sono i cornetti auricolari: quando sono abbassati (l’animale è rilassato e a suo agio) assomiglia moltissimo ad una civettina ma quando invece l’assiolo alza i ciuffi (esprime paura o aggressività) cambia completamente aspetto, diventando meno “tranquillo”.
Origine zoogeografica:
Euro-centroasiatico-mediterranea
Areale di distribuzione:
Migratore parziale. Presente in tutta Italia eccetto la regione alpina e alle quote elevate degli Appennini. Nell’Isola la specie è stanziale e nidificante su tutto il territorio tranne le zone montane dell’interno.
Identificazione:
Lungo 19 cm, con un’apertura alare di 53-63 cm ed un peso di 55-130 g. Il piumaggio è superiormente bruno scuro lievemente vermicolato, con sfumature rossicce; inferiormente grigio-castano. La parte facciale è grigio-chiara. La coda è corta con ali molto sviluppate. Il becco è curvo e corto con occhi grandi giallo vivo. Nel complesso esistono due varianti di colore: una bruno-rossiccia e l’altra grigio-brunastra. Il volo è leggero e ondulato. Femmina leggermente più grande del maschio.
Habitat:
Uccello prevalentemente notturno, frequenta parchi, giardini, zone alberate in prossimità delle abitazioni umane, zone aperte in genere. Nutrendosi esclusivamente di insetti, questo rapace cerca habitat caratterizzati da clima mite e secco.
Riproduzione:
Nidifica in fossi e talvolta in vecchi nidi abbandonati da altre specie. Il maschio per attirare la femmina emette un canto caratteristico; quando una di queste risponde al segnale ha inizio la formazione della coppia. In primavera vengono deposte dalle 5 alle 6 uova, covate per circa 24-25 giorni. Una volta nati, i piccoli vengono sfamati da entrambi i genitori.
Status di conservazione:
Specie non minacciata a livello regionale.
Fattori di minaccia:
Riduzione e alterazione dell’habitat.
Grado di protezione:
Convenzione di Berna (legge 503/1981, allegato II).
Un fischio insistente nella notte: l’assiolo, il piccolo gufetto dal canto malinconico
D’ora in poi, quando sentirete un cadenzato fischio nelle notti d’estate, saprete che non è un allarme inceppato, ma è il richiamo d’amore dell’assiolo
Con il suo canto melanconico e ritmato, l’assiolo è la colonna sonora delle nostre notti primaverili ed estive: minuscolo, ma della voce potente, lo si può sentire da molto lontano, mentre richiama la femmina durante il periodo del corteggiamento.
L’assiolo (Otus scops) è un piccolo rapace notturno italiano, di circa 20 cm di lunghezza e 50 cm di apertura alare, che frequenta il territorio romagnolo dalla primavera fino a tutta l’estate. Di abitudini piuttosto elusive e quasi esclusivamente notturne, si può avvertite la sua presenza mettendosi alla finestra ed ascoltando il suo canto territoriale: un ritmato ed insistente (a volte per tutta la notte) “chiu”.
L’etimologia del nome è interessante: il nome Assiolo potrebbe provenire dal latino “asio” o “asius”, per indicare una specie “di gufo coi ciuffi”, o come abbreviativo di “asinus” (asino, animale con lunghe orecchie), sempre per via dei ciuffetti auricolari che questo uccello ha sopra il capo. Il termine “Otus” invece sembra derivare dal greco “ótos” (una specie di gufo citata da Aristotele), mentre la parola “scops” deriva sempre dal greco “skops”, che assume ancora il significato di uccello rapace notturno (nel greco classico). Come scriveva Ferrante Foschi nel suo “I nomi dialettali degli uccelli di Romagna”, l’Assiolo è conosciuto anche come “Ciù”, termine onomatopeico, che potrebbe derivare dal latino “àxio” (grido), che privato della “a” iniziale diventa “xio”, da cui “xiù” e poi “ciù”. Le sue ridotte dimensioni e la sua livrea criptica lo rendono praticamente invisibile agli occhi: le penne sono di colore grigiastro, su cui si ricamano intricate striature nere e vermicolature grigio-nere, chiazze rossicce, gocciolature bianche e barrature diffuse: insomma, un vero e proprio abito “camouflage”, che gli garantisce l’adeguata protezione da occhi indiscreti.
Alle nostre latitudini è animale migratore con presenza primaverile/estiva, quando fa ritorno dai quartieri di svernamento del Sud Italia o del Nord Africa (con diversi esemplari addirittura a percorrenza sub-Sahariana) per trovare i luoghi idonei per la nidificazione. Frequenta con preferenza gli ambienti di margine fra i boschetti e le aree aperte, ma anche le aree rurali ed agricole (basta che siano alberate), i parchi e i viali alberati (anche in città). Nell’ultimo “Atlante degli Uccelli nidificanti a Forlì”, realizzato dai colleghi della Coop. St.E.R.N.A., si vede come la distribuzione sia raddoppiata, rispetto al 2006 – anno del precedente studio-, con una concentrazione nel centro storico e aree limitrofe. Ovviamente possiamo ascoltare la sua lugubre cantilena anche nelle aree più periferiche, come il parco dell’Ospedale, il parco Paul Harris o l’area dell’ex-Eridania. Di certo è presente anche a Villa Saffi con più di una coppia (e lo dico per esperienza ed osservazione personale!).
Il canto è emesso dal maschio, da una posizione rilevata, quando la luce è ormai calata e può continuare a cantare per tutta la notte: a volte “duetta” con la femmina, che emette una nota più acuta, simile a un “ciu-i”. Non costruisce nidi ma occupa cavità naturali negli alberi (da qui la sua presenza prevalente in ambienti con alberature) oppure sfrutta nidi abbandonati di altre specie. È una specie territoriale e monogama. La cova è affidata esclusivamente alla femmina, che per tutto il periodo viene alimentata dal maschio, che si si adopera in un assiduo “vai-e-vieni” dal nido ai territori di caccia.
L’assiolo è un predatore che caccia quasi esclusivamente insetti di grosse dimensioni (ortotteri e lepidotteri, cioè cavallette e farfalle), che caccia all’aspetto: attende le sue prede su un posatoio abituale, da cui parte per la cattura, per poi farvi ritorno per consumare il pasto. Come tutti i rapaci notturni, non mangia le sue prede a brandelli, bensì le ingoia intere, producendo poi i caratteristici rigurgiti digestivi, chiamati “borre”, contenenti i resti non digeriti della preda (elitre ed altri elementi chitinosi degli insetti oppure pelo e ossa in caso di micromammiferi). Il suo volo agile gli permette di catturare prede “al volo”, in particolar modo le falene, che mangia sul suo posatoio dopo aver eliminato le ali; le altre prede invece vengono catturate sul terreno, sfruttando la sua acuta vista e il suo finissimo udito.
Nonostante l’aspetto mimetico e la vita notturna, anche per l’assiolo non mancano i predatori: uno di questi è il suo “parente” Allocco, che essendo rapace notturno forestale come lui, può ghermirlo durante le sue attività notturne. Alcuni studi hanno dimostrato come, in taluni territori del Nord Italia, una popolazione di assioli abbia concentrato la distribuzione dei nidi nei territori del Gufo reale, per sfruttare la sua protezione indiretta, in quanto predatore dell’allocco stesso. In caso di minaccia da parte di un mustelide (donnola, faina, …) o di un felino, l’assiolo cerca di assumere una posizione eretta ed allungata (con i ciuffetti auricolari ben eretti), tanto da assomigliare il più possibile ad un tronco. Altro atteggiamento difensivo è rappresentato dal volo librato col corpo tenuto quasi verticale, con le piume gonfie e con l’emissione di un verso simile ad un miagolìo.
Nella tradizione popolare, l’assiolo ha nomea di uccello stupido: un noto detto recita “U t’ha bichè e ciù” (Ti ha beccato l’assiolo), per indicare che una persona è sciocca. Infatti, secondo una vecchia credenza, se il Ciù (o Chiù) trova una finestra aperta e di notte si introduce in camera, può trasmettere la stupidità a chi dorme, con un becco in fronte. Altro detto romagnolo vuole che la notte di Pasquetta tutti gli animali potessero parlare: “La nota dla Pasquéta e scor nêca e Ciù e la Zvéta” (La notte di Pasquetta parlano anche l’assiolo e la civetta). Come tutti i rapaci notturni, era considerato un animale porta-sventura e ispiratore di lugubri pensieri, come ci ricorda anche il poeta Giovanni Pascoli che proprio a questi piccolo uccellino a dedicato la poesia “L’assiuolo”.
D’ora in poi, quando sentirete un cadenzato fischio nelle notti d’estate, saprete che non è un allarme inceppato, ma è il richiamo d’amore dell’assiolo. Occhio a non farvi beccare mentre dormite!
Fonte: Forlì Today
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus
TRENTO – Una nuova denuncia è stata inviata per posta raccomandata questa mattina alla Procura della repubblica di Trento dall’Associazione italiana difesa animali ed ambiente, dopo che in un video trasmesso in televisione – comunica Aidaa in una nota – «sono state di fatto rese note le condizioni inaccettabili in cui è costretta l’orsa JJ4 (Mamma Orsa Gaia) rinchiusa in gabbia di alcuni metri quadrati e probabilmente quotidianamente sedata».
Gli animalisti hanno denunciato sia il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, che i gestori della struttura del Casteller dove è tenuta l’orsa in attesa della definitiva pronuncia sul suo futuro, per il reato di maltrattamento di animali ai sensi dell’articolo 544 ter del codice penale aggravato dalla tortura e dalla somministrazione di farmaci, si legge ancora nella nota.
Fonte: Il Gazzettino
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus
Hanno sfilato da piazza Dante a via Mezzocannone: «È importante rispettare i diritti degli animali»
Sono scesi un piazza anche a Napoli, sfilando con pochi abiti e con le mani sporche di vernice rossa, gli aderenti alla rete «Animal Save» per chiedere la salvaguardia degli animali e una dieta vegetale. «Stiamo affrontando una crisi climatica ed ecologica mortale e dobbiamo agire ora per il benessere di tutti i terrestri. L’agricoltura animale è una delle industrie più distruttive e dannose del pianeta. La produzione e il consumo di carne e latticini sono la forza trainante del cambiamento climatico, dell’esaurimento delle risorse, dell’estinzione delle specie e di molte ingiustizie sociali», hanno detto i manifestanti.
I diritti degli animali
In occasione della Giornata della Terra l’organizzazione Vegan Earth Day March ha indetto una serie di iniziative programmate in più di 50 città in tutto il mondo. In Italia la marcia si è tenuta oggi a Napoli con un corteo che, partito da piazza Dante, dopo aver attraversato piazza Carità, si è concluso davanti al Laboratorio climatico autogestito Climax, in via Mezzocannone. La marcia è stata organizzata dal movimento Animal Save Italia in collaborazione con Fridays For Future Napoli e ha tre obiettivi principali: promuovere una transizione verso sistemi alimentari a base vegetale; far conoscere il Laboratorio climatico autogestito Climax; attirare l’attenzione sui diritti degli animali.
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus
Gli orsi sono sempre stati presenti nei boschi del nord Italia, ma a causa dell’ingerenza delle attività umane, si sono rifugiati nelle aree Alpine. Si pensava che lì potessero vivere tranquilli, ma quando l’uomo ha raggiunto anche quelle zone sono iniziate delle vere e proprie campagne di persecuzione a danno di questi splendidi animali.
Uccisioni con i fucili, veleno, trappole e altri sistemi: la morte di un orso veniva ricompensata con del denaro, determinando l’estinzione di questi animali dall’arco alpino.
Nel 1992 le cose iniziarono a cambiare. Il Parco Adamello Brenta elaborò un progetto di introduzione degli orsi in Trentino, che venne poi avviato nel 1996 con il nome di Life Ursus. Nel 1997 viene fatto uno studio di fattibilità: all’epoca nella Provincia di Trento erano presenti solo 3 orsi maschi anziani. Lo studio riguardò anche i cittadini trentini, che furono invitati a rispondere a un sondaggio: il 73% degli intervistati risultò favorevole alla reintroduzione degli orsi.
Così, tra il 1999 e il 2002 si sono svolte le operazioni di trasferimento dalla Slovenia al Trentino di 3 orsi maschi e 7 femmine.
Nel giro di vent’anni la popolazione di orsi è praticamente decuplicata, confermando il successo scientifico del progetto Life Ursus.
Ben diversa la questione della gestione della convivenza con questi animali, che ha messo in luce l’impreparazione e l’incapacità della Provincia di Trento, più interessata agli umori del proprio elettorato che alla comprensione delle caratteristiche di questi animali.
In Trentino gli orsi vengono catturati e imprigionati solo perché si comportano da orsi.
Dott. Alessio Brancaccio, tecnico ambientale Università degli Studi di L’Aquila, ideologo e consulente tecnico movimento ambientalista Ultima Generazione A22 Network e membro attivo della Fondazione Michele Scarponi Onlus